Dopo cinque stagioni di dominio quasi incontrastato, Novak Djokovic ha dovuto cedere il primo posto della classifica ATP ad Andy Murray, che ha terminato il 2016 come leader del Ranking ATP. Basterebbe questo dato a descrivere come l'ultima stagione tennistica sia stata importantissima per definire le nuove gerarchie del tennis mondiale. Va detto che Djokovic era già stato scavalcato in classifica da Rafa Nadal alla fine del 2013 - e, per un breve periodo, anche da Roger Federer durante il 2012 - ma alla fine il serbo aveva sempre conquistato almeno il titolo di Campione del Mondo ITF, detenendo sostanzialmente il primato mondiale dal 2011 al 2015. Se si fosse confermato in questa
by Marco Di Nardo
IL 2016, L'ANNO DELLA RIVOLUZIONE
stagione, Novak avrebbe eguagliato il record di Pete Sampras (ITF World Champion dal 1993 al 1998), invece il premio del 2016 è andato proprio a Murray, che ha così realizzato la prestigiosa tripletta ATP Player of the Year, Numero 1 a fine anno e ITF World Champion. Un reale cambio al vertice quindi, anche se deciso solo dall'ultimo match dell'anno - Coppa Davis esclusa - con la finale delle ATP World Tour Finals, vinta proprio dallo scozzese su Djokovic. Ma il 2016 non è stato caratterizzato solo dal cambiamento al vertice del Ranking. Milos Raonic ha raggiunto la posizione numero 3 della classifica mondiale, suo miglior
piazzamento in carriera, riuscendo a terminare l'annata proprio come principale antagonista del duo Murray-Djokovic. Il canadese ha giocato una stagione di altissimo livello, ma soprattutto di grande regolarità: ha vinto un solo titolo, nel primo torneo dell'anno, battendo Federer nella finale di Brisbane; ma è stato l'unico giocatore del circuito a conquistare almeno i quarti di finale in tutti i primi quattro Masters 1000 della stagione (finale a Indian Wells, quarti di finale a Miami, Monte-Carlo e Madrid), e ha conquistato due prestigiosi risultati negli Slam, come la semifinale all'Australian Open e la finale a Wimbledon. Come al solito, però, è stato Stan Wawrinka a dimostrarsi il più pericoloso di tutti nel singolo evento. Per il terzo anno consecutivo lo svizzero si è imposto in una prova dello Slam, superando per la terza volta il numero 1 del mondo in finale: all'Australian Open 2014 si impose su Nadal, nel periodo in cui spagnolo aveva superato Djokovic nel ranking; lo scorso anno superò proprio il serbo al Roland Garros; quest'anno si è ripetuto contro Novak agli U.S. Open, prima che quest'ultimo fosse scavalcato da Andy Murray in classifica. Tre diversi titoli Major in tre anni per Stan, che in questo momento è più vicino dell'attuale numero 1 dal completamento del Career Grand Slam: a Murray mancano ancora i trofei di Melbourne e Parigi, allo svizzero manca solo Wimbledon. A proposito di Career Grand Slam, Djokovic quest'anno ha perso il primato mondiale, ma probabilmente se ad inizio stagione gli fosse stato chiesto cosa preferisse tra la conferma del numero 1 e il titolo al Roland Garros, avrebbe scelto questa seconda opzione. Ed è proprio quello che è accaduto, perché Novak ha finalmente conquistato quel titolo parigino
che inseguiva da tanti anni, completando appunto il Career Grand Slam. Ma il serbo ha fatto anche di più, perché avendo vinto Wimbledon e U.S. Open 2015, e Australian Open e Roland Garros 2016, ha portato a casa quattro titoli Slam consecutivi, realizzando un Grande Slam "virtuale", diviso a metà fra due stagioni: un'impresa che nell'Era Open era riuscita solo a Rod Laver, nel 1969, quando tuttavia l'australiano vinse tutti e quattro i titoli più importanti nella stessa stagione. Inoltre era dal 1992, con Jim Courier, che un giocatore non vinceva i primi due Slam della stagione (Australian Open e Roland Garros).
Ciò che Djokovic non è però riuscito a conquistare, è il titolo che probabilmente resterà a fine carriera l'unico grande trofeo assente nella sua bacheca: il torneo Olimpico. A Rio ha infatti trionfato il campione del 2016, Andy Murray, che è in questo modo diventato il primo tennista della storia a vincere due medaglie d'oro in singolare alle Olimpiadi, tra l'altro considerando sia il maschile che il femminile. La corsa di Djokovic è invece stata fermata dall'altro grande protagonista della stagione, Juan Martin del Potro, capace di vincere per la seconda volta il premio di ATP Comeback Player of the Year, dopo averlo già fatto nel 2011.
Nonostante sia retrocesso al numero 2, Djokovic ha quindi portato a termine una stagione che in ogni caso potrà ricordare come una delle migliori della sua carriera, avendo vinto due Slam (nel 2012 e 2014, pur terminando da numero 1, ne aveva vinto solo uno), quattro Masters 1000, e un totale di 7 titoli.
L'argentino, rientrato definitivamente dopo le tante operazioni al polso, ha sconfitto Novak al primo turno delle Olimpiadi, con un doppio tiebreak, fino ad arrivare a conquistare la medaglia d'argento, battendo anche Nadal in semifinale. Ma oltre all'impresa di Rio, 'Delpo' ha anche vinto il suo primo titolo dal rientro, a Stoccolma, e ha conquistato altre vittorie prestigiose, come quella in semifinale di Coppa
Davis contro Andy Murray, dopo 5 set di grande intensità e spettacolo. Infine Juan Martin ha coronato la sua annata contribuendo al primo successo della storia dell'Argentina in Coppa Davis: nella finalissima contro la Croazia, del Potro ha superato Ivo Karlovic nella prima giornata, e Marin Cilic, in rimonta dopo essere stato indietro per 2 set a 0, nel match che ha poi permesso a Leonardo Mayer di giocarsi e vincere l'incontro decisivo per la conquista dell'Insalatiera. Ma Federer e Nadal? Roger, per la prima volta dopo 15 stagioni, non ha conquistato nemmeno un titolo ATP, dovendo fronteggiare gli
infortuni, che lo hanno costretto a terminare la sua annata dopo il torneo di Wimbledon, saltando le Olimpiadi e gli U.S. Open, dopo aver disertato già il Roland Garros in precedenza. Alla fine lo svizzero è sceso fino alla posizione numero 16 nel ranking, nonostante due ottime prove disputate negli Slam, con le semifinali raggiunte sia all'Australian Open che a Wimbledon. Anche Rafa ha dovuto fermarsi
prima della fine dell'anno, a causa di problemi al polso, ma ha comunque avuto il tempo di lasciare il segno, vincendo per la nona volta in carriera sia a Monte-Carlo che a Barcellona. Nadal ha inoltre conquistato la medaglia d'oro in doppio alle Olimpiadi, insieme al suo amico Marc Lopez, diventando il primo tennista della storia a vincere tutti i quattro tornei dello Slam, la Coppa Davis, e le Olimpiadi sia in singolare che in doppio. In definitiva, il 2016 è stato davvero un anno di rivoluzione per il tennis maschile, anche se nella prossima stagione i rientri di Federer e Nadal, e la voglia di Djokovic di tornare in vetta,
cercheranno di restituirci la "normalità" a cui siamo stati abituati negli ultimi anni. Saranno i nuovi giovani del circuito a mettere ulteriormente in discussione le gerarchie, o torneremo ad avere i soliti 4 (Djokovic, Murray, Federer e Nadal) davanti a tutti? Sarà il 2017 a darci una risposta.
Potrà Djokovic battere le due conquiste storiche di Federer? by Gatto Luigi
Spaesato, incredulo, quasi irriconoscibile. Il Novak Djokovic visto contro Andy Murray nell'atto conclusivo delle ATP Finals è la fotografia perfetta della seconda parte di stagione altalenante in cui il serbo non è mai stato vicino al suo miglior livello, nonostante le finali raggiunte allo US Open e a Londra, approfittando soprattutto nello Slam newyorkese di una concorrenza pressoché nulla, visto che l'unico top 10 affrontato era stato Wawrinka in finale E il problema principale, come nella maggior parte dei casi quando si parla di grandi campioni, non sta tanto nel dritto e nel rovescio e nemmeno nel fisico, nonostante i problemi al braccio sofferti da luglio. Nel corso delle sue conferenze stampa Djokovic ha più volte sottolineato dopo una sconfitta la necessità di staccare la spina, quasi avvertendo una sorta di desiderio di allontanarsi dalla pressione e dalle aspettative post Roland Garros enormi su di lui. Ed ecco che da lì torna il vecchio Djokovic, vulnerabile sulla lunga distanza e insicuro nei momenti clou. Non è detto che la separazione con Becker gli faccia del bene, ma non c'è dubbio che il legame ballerino degli ultimi mesi con il tedesco non abbia aiutato psicologicamente Djokovic. E ora la questione è: può Marian Vajda essere l'unico coach a seguire il serbo tutto l'anno? Nel 2014
dovette ridurre le settimane di collaborazione per stare vicino alla propria famiglia, chissà che dunque Nole non cerchi un'altra persona, non necessariamente un supercoach, per poter permettere al suo attuale allenatore di "rifiatare" tra un torneo e l'altro. Come ritrovare quindi la motivazione per la prossima stagione? Sicuramente il ritorno di Federer e Nadal, che puntano ad essere da subito al loro miglior livello, potrebbe motivare Djokovic ad essere quasi quello visto nei primi sei mesi del 2016, dove ha guadagnato ben 8.000 punti, una cambiale pesante che in caso di risultati negativi potrebbe condizionarlo in classifica.
I RECORD DA BATTERE - Ma oltre ai tanti punti da difendere, due record storici possono rappresentare un forte incentivo per credere che sarà un gran Djokovic quello versione 2017. Se fino solo a qualche mese fa i 17 Slam di Roger Federer sembravano di gran lunga raggiungibili, ora non c'è così tanta certezza. Fermo a quota 12 Major, Djokovic compirà 30 anni il prossimo maggio e abbiamo più volte visto come una volta diventati over 30 i grandi campioni vanno in contro a una lenta decadenza. Basti pensare che dal 2011, anno in cui ha compiuto 30 anni, Federer ha vinto appena uno Slam. Cinque titoli separano Nole dall'eguagliare il tennista svizzero, sei dal superarlo. La questione si fa ancor più
complicata per il record delle settimane da numero uno: Nole è a quota 223, e per superare Federer a 302 dovrebbe stare in vetta al ranking per un anno e mezzo circa. Difficile riuscirci, lecito provarci. E chissà che proprio da questi complicati ma possibili traguardi non torni la fiamma nella mente e nello spirito di Djokovic, un essere umano che negli ultimi due anni e mezzo tanto umano non è stato.
Il piano di Federer by Federico Mariani
Ancora qualche giorno e l’off-season sarà finita. Coi primi tornei minori nell’emisfero australe comincerà a placarsi l’astinenza dell’appassionato di tennis, vorace nel mese dicembrino al punto da guardare- pur con distacco l’IPTL. Nel fragoroso flop della competizione a squadre, sempre più mediocre e scadente, ha avuto il suo peso l’assenza di Roger Federer che, al pari di Serena Wiliams, ha negato la sua presenza nell’ultima tappa molto presumibilmente per una volgare questione pecuniaria. Sono aumentati, dunque, i giorni di digiuno da Federer che manca dai campi ormai dalla semifinale di Wimbledon persa contro Raonic. Nel mezzo ne sono successe di cose, molte delle quali imponderabili: Del Potro ha certificato il suo rientro ai massimi e ha fatto trionfare l’Argentina in Davis, Murray ha detronizzato Djokovic vincendo per la prima volta le Finals, Wawrinka è tornato a
squillare a New York nell’ormai canonico acuto annuale che, per sua fortuna, vale uno Slam. Queste, in estrema sintesi, le principali. In tale confusione ai piani alti e con un potere centrale tutt’altro che dominante dev’essere per forza venuto in mente allo svizzero quali trofei avrebbe potuto alzare se non si fosse infortunato. Ma se l’allontanamento dai campi (obbligato) gli ha privato di competere ovviamente, dall’altra parte la lunga pausa può essere vista come una dichiarazione di intenti: Federer sta facendo da qualche tempo la seconda cosa migliore che gli riesce dopo giocare a tennis ovverosia pianificare. Roger sta
pianificando nei minimi dettagli quello che verosimilmente dovrebbe essere l’ultimo giro sulla giostra e non è certo il tipo da intraprendere l’ultimo anno come un tour d’addio per salutare e farsi osannare in tutti quei tornei dove si è alimentata la sua leggenda, come ad esempio ha fatto Kobe Bryant per intenderci. Il campionissimo di Basilea riapparirà con la racchetta nella prima settimana del 2017 per la Hopman Cup, una sorta di warm up generale in vista di Melbourne e degli Australian Open dove si presenterà da numero 16 del mondo. La programmazione resa nota da Federer includerà poi le tappe di Dubai e Indian Wells
con la conferma, inoltre, di presentarsi ai nastri di partenza sull’erba di Stoccarda. È chiaro comunque che lo schedule attuale lascia il tempo che trova ed è suscettibile a variazioni che dipendono dal menisco e, in generale, dalla condizione di mister 17-Slam. Nei giorni scorsi Tony Roche ex coach di Federer ha dichiarato apertamente che vedere nuovamente lo svizzero intascarsi una o due prove dello Slam è tutt’altro che utopico. Frasi del genere potevano avere un significato circostanziale fino a qualche tempo fa, frasi quasi obbligate per rendere onore al campione che fu ma non ponderate al 100%. La seconda metà del 2016 e
l’ascesa di Murray, tuttavia, dimostrano che il vertice del tennis sta accusando un livellamento verso il basso, pecca ascrivibile in gran parte a Djokovic, vero uomo in meno degli ultimi sei mesi. Dietro alla coppia di testa, inoltre, è distinguibile un discreto vuoto con Wawrinka e Raonic che non offrono assolutamente le garanzie qualitative che terzo e quarto posto richiederebbero, e il resto della ciurma ancora lontano e tutt’altro che convincente negli Slam. In questa sorto di vuoto è lecito attendersi un’incursione di Federer, un colpo di coda, un ultimo
valzer. Roger ha deciso di fermarsi, saltare quattro Masters 1000, gli Us Open, Basilea e le Finals londinesi, non ha forzato la mano, ha sacrificato alcuni mesi per eccellere nei successivi. Vederlo brillante già in Australia non è certo una speranza utopica, del resto Federer ha alle spalle una carriera intera che funge da manifesto della programmazione minuziosa e puntigliosa. Un vero e proprio punto di forza spesso sottolineato in più sedi dall’elvetico che lo ha differenziato in passato dal resto dei tennisti di vertice e che probabilmente continua a farlo.
Andy Murray voto 9 Riscatta una vita da mediano, sempre sul filo di lana fra l'appellativo di Fab Four e quello di perdente di successo. Nessuno avrebbe mai pensato allo scozzese in cima al ranking Atp a fine anno, a maggior ragione dopo quanto rivisto a inizio anno...Il classico Muzza, solido finchè non si alzava la posta in gioco per poi liquefarsi in finale, a Melbourne come a Parigi. Quindi la svolta, col ritorno di Lendl e i benefici della paternità: la vittoria senza discussione a Wimbledon condita dal bis olimpico, prima del grandioso finale di stagione culminato alle Atp Finals. Il numero
Il pagellone ATP di fine anno by Adriano S.
1 raggiunto va però adesso legittimato, suonano in tal senso come un campanello d'allarme la prestazione agli Us Open e il rischio corso con Raonic in semifinale alla O2 Arena. Nonostante ciò, Epico Novak Djokovic voto 8,5 La mente umana tende per indole ad essere 'irriconoscente'. Bastano così a dimenticare quanto fatto prima di Wimbledon le sconfitte di fine anno fra cui, ricordiamo, una in finale agli Us Open e una all'ultimo atto delle Atp Finals, non prettamente tornei sociali. Da quasi 50 anni nessuno riusciva nell'impresa di vincere
4 tornei del Grande Slam di fila, lui chiudeva questo mostruoso cerchio al Roland Garros, dove era arrivato pressochè imbattuto. Il modo in cui ha perso il numero 1 però, non può non costargli caro in termini di giudizio. Leggendario Juan Martin Del Potro voto 10 La prima Davis argentina porterà per sempre indelebile il suo marchio e ne fa probabilmente l'uomo dell'anno. Più di chi ha emulato Laver, più del nuovo numero 1 del mondo. Perchè la sua storia, il suo carisma, il suo tennis hanno saputo emozionare la gente come nessun altro. Idolo Stan Wawrinka voto 7,5 Senza l'exploit di Flushing Meadows, non meno inaspettato del suo primo trionfo Slam, parleremmo di stagione mediocre. Meno continuo del solito, a tratti indisponente, a tratti straripante e per sua fortuna al momento giusto a New York. Stupefacente Rafael Nadal voto 5,5 Doveva esser la stagione della rinascita, ma tirando le somme a fine anno a rinascere sono stati solo i suoi capelli. Dopo una prima parte di stagione gradualmente promettente, con la nona perla a Montecarlo che lo riproponeva come principale avversario di Djokovic quantomeno sul rosso, lo spagnolo si è arenato, fortemente condizionato dal problema al polso. Vale solo per l'onore la medaglia in doppio conquistata a Rio, il 2017 sarà probabilmente l'ultimo anno buono per tornare grande. Logoro
Roger Federer voto 4,5 Stagione disastrosa, la peggiore in carriera, rovinata
clamorosamente spento. Agrodolce
dal menisco rotto in maniera banale dopo il buono spezzone di stagione australiano.
Dominic Thiem voto 7 Fra i nuovi nomi sembra il più papabile per una vittoria Slam
Poco chiara la riabilitazione post-chirurgica, che ha portato lo svizzero a giocare la
in tempi brevi, perlomeno a Parigi. Fin quando ha retto il fisico, spremuto
stagione europea primavera-estate in
all'inverosimile, ha avuto un livello di gioco
condizioni precarie, pieno di dubbi, a rischio forfait fino all'ultimo in ogni torneo cui era
da top 3, poi è imploso. Dovrà stare attento in futuro a non commettere gli stessi errori.
iscritto. Poi la saggia decisione dello stop e l'arrivederci al 2017, dove promette di
Esagerato
tornare al top: il 2016 è però da considerare un anno buttato, col rischio che fosse l'ultimo buono. In cantina
Milos Raonic voto 7 Stagione della consacrazione ad altissimi livelli per il canadese. Chiude l'anno al numero 3, ma il suo livello massimo di gioco è probabilmente
Marin Cilic voto 7 Stagione della rivincita per il croato, in crisi e bistrattato dopo aver vinto il suo unico Slam, alla sua prima vittoria in un 1000 a Cincinnati e al bis fra i magnifici
quello raggiunto quest'anno. Difficile ipotizzare un suo trionfo in un grande torneo finchè gli storici big saranno ancora in gioco. Maturo
otto delle Finals. Un vero peccato le debacle con Federer a Wimbledon e con Del Potro in finale di Davis, dove dopo aver dominato in entrambi i casi i primi due set si è
Kei Nishikori voto 6,5 Stagione sulla falsa riga della precedente. Spesso sembra avvicinarsi al livello di primi, come agli Us
Open, a Roma e alle Finals, ma tassativamente cede di schianto e vi si
Pouille, Kyrgios e A.Zverev voto 6,5 Tralasciando le beghe dell'australiano e i
allontana quando il gioco si fa duro. Rimane nel limbo del discreto, colpa un gap
limiti di tenuta mentale che in generale accomunano i tre, per quanto fatto vedere in
psicofisico che difficilmente riuscirà a colmare in futuro. Limitato
questa stagione sono loro i nomi da cui ci si aspetta di più nel prossimo anno, accanto a quello dell'ormai esploso Thiem. Portenti
Gael Monfils voto 6,5 La sua miglior stagione in carriera verrà probabilmente
Paolo Lorenzi voto 8 Annata sbalorditiva
ricordata più per le sceneggiate che per i bei risultati. Il fatto che tra l'altro le abbia messe
quella del senese, che colleziona record e diventa a 34 anni il nuovo numero uno
in atto nei suoi momenti di massima visibilità lascia ancor più perplessi. Showman
d'Italia. Pazzesco
David Goffin voto 7 Grande annata quella del belga, che non ripete il miracolo Davis ma concentra i suoi sforzi su sè stesso,
Fabio Fognini voto 6 Stagione strana, in cui torna a vincere un torneo Atp ma perde lo scettro di numero uno azzurro. Mostra finalmente un atteggiamento più consono in
sfiorando una top ten che avrebbe probabilmente meritato ai danni del solito (invisibile) Berdych. Top player
campo, probabilmente grazie alla maturità conferitagli dal matrimonio con Flavia. Sedato
Da Andy a Jamie
by Giorgio Giannaccini Un anno fantastico in casa Murray, anzi a Dunblane. E già, perché dopo la fantastica vittoria di Andy Murray alle Atp Finals di Londra dove ha definitivamente detronizzato l'ex cannibale Novak Djokovic, una volta RoboNole, adesso, invece, umano e in crisi come tutti i mortali, ci ha poi pensato Jamie (il fratello maggiore di un anno di Andy) a mettere la ciliegina sulla torta per una annata strepitosa e senza eguali che riguarda entrambi i fratelli scozzesi. Jamie, infatti, anche lui concorrente quest'anno alle Atp Finals di Londra ma nella specialità di doppio, ha centrato la semifinale del torneo - in coppia col fido compagno di doppio Bruno Soares -, risultato che è valso per entrambi la posizione da numeri uno in doppio che durerà fino all'inizio del prossimo anno tennistico, proiettando, quindi, per la prima volta due fratelli, ovvero i Murray, come i detentori di entrambe le classifiche Atp. Un'annata, per ambedue, che
ha dell'incredibile se pensiamo che il meno celebre e talentoso dei due fratelli, appunto Jamie, ha vissuto una stagione, almeno nella sua specialità, perfino migliore di quella del fratello più famoso. Un 2016 a dir poco strepitoso il suo, dove oltre alla semifinale del Masters di Londra può vantare anche la vittoria agli Australian Open di doppio sempre col brasiliano Bruno Soares, e poi la doppietta conquistata agli Us Open in quel di New York. Risultati, dunque, superiori anche a quelli del buon Andy, che di tornei dello Slam ne ha vinti solo uno, a Wimbledon (cosa, però, non di poco conto). Un trionfo, quello di Jamie, il maggiore dei due fratelli, che
va a completare e a consacrare un ragazzo che fino a qua aveva avuto la semplice sfortuna di portarsi appresso un cognome fin troppo scomodo e che apparteneva a un predestinato come Andy. Ma lui non è stato con le mani in mano in questi anni, e ha dimostrato a tutti che anche Jamie valeva più di qualcosina. A Dunblane quindi l'indole nel primeggiare non è poi cosa così rara, soprattutto se vieni da casa Murray, e, in fondo, a farcelo capire era stata la stessa Judy Murray, mamma dei due tennisti. Tempo fa, infatti, aveva rivelato allo show della CNN
'Open Court' come entrambi i figli da piccoli fossero eternamente in competizione tra loro: “Non importava cosa facessero, se giocassero a carte, a domino, a Monopoli, a golf o a calcio, sono stati sempre in competizione tra loro. Si divertivano molto ma litigavano tanto. Si inventavano dei giochi, sistemi di valutazione e regole. Non posso dire che si siano allenati o abbiano giocato molto a tennis insieme, perché non duravano mezz’ora senza litigare!”. E se per caso i due si affrontavano in una gara ufficiale, allora la cosa poteva davvero degenerare:
“Stavo riaccompagnando in Scozia un sacco di bambini dice sempre Judy -. Stavo guidando il mini-bus, c’era piuttosto buio e Andy aveva battuto Jamie nella finale di questo evento Under 12. Improvvisamente cominciano una battaglia nella parte posteriore del mini-bus. La mano di Andy era appoggiata sul sedile e Jamie ha preso un chiodo e gliel’ha infilato nella mano. C’era sangue e ho dovuto fermare l’autobus, medicare la ferita, separarli e guidare per le poche ore che mancavano. Questo insegna ad essere umili e a non vantarsi mai di aver battuto qualcuno, specialmente se si tratta di tuo fratello!”. Acqua passata verrebbe ormai da dire, visto il recente affiatamento dei due che ha
praticamente consegnato nel 2015 la Coppa Davis alla Gran Bretagna, e a darcene conferma è lo stesso Jamie: “Io e Andy abbiamo praticato un sacco di sport insieme ed eravamo sempre molto vicini - ha raccontato -. Ci siamo continuamente spinti a migliorare. Certo, abbiamo anche litigato, come capita tra fratelli. Ma non c’erano molti giocatori in Scozia, e ognuno di noi voleva essere meglio dell’altro. Sono sicuro che Andy direbbe lo stesso, voleva sempre battere il suo fratello maggiore”. Eppure, se la crescita tennistica di Andy andò avanti tranquillamente durante l'adolescenza, non si può dire la stessa cosa per Jamie,
che invece subì un brusco ridimensionamento da teenager. A 12 anni nonostante Jamie fosse tra i migliori prospetti d’Europa e nel 1999 diventò addirittura il numero 2 del ranking Under 14 con Rafael Nadal e Richard Gasquet già in circolazione, decise di andare in una scuola-tennis della federazione britannica a Cambridge per otto mesi, eppure non fu una bella esperienza. “E' andato in una scuola della federazione a Cambridge per qualche anno - rivelò poi Andy Murray tempo dopo - e lì lo hanno
rovinato. Se non ha espresso tutto il suo potenziale, è colpa loro”. Infatti in quegli otto mesi di agonia peggiora perfino il suo colpo migliore, ovvero il dritto. “Devo essere onesto ha poi aggiunto Jamie - : non è durata molto. Sono stati appena otto mesi e non avrei dovuto patirne come invece è accaduto. Ho avuto bisogno di molto più tempo per smaltire quel periodo, ma quando sei giovane le esperienze possono essere più traumatiche e avere un
effetto più duraturo”. Jamie dopo questa brusca esperienza si fermò per un paio di mesi, domandandosi se la voglia di competere fosse ancora intatta e se era possibile mettersi nuovamente alla prova. Decise allora di ricominciare daccapo e continuare col tennis, ma non era più quel grande talento che prima di Cambridge incantava tutti. “E' l'unica cosa che vorrei cambiare della mia vita ha poi aggiunto Jamie -. Avrei dovuto affrontare meglio quel periodo, riprendere la strada giusta, ma mi sono
fatto travolgere dagli eventi”. Eppure Jamie nonostante tutto non si è arreso, decidendo poco tempo dopo di cambiare specialità, scelta che si è poi rivelata saggia e che gli è valsa un'intera carriera: “Quando avevo sedici anni - ha confessato Jamie -, mi sono reso conto che non ero poi granché in singolare, e a 18 davvero non sapevo se sarei arrivato da qualche parte nel tennis. Fortuna che sono passato al doppio”. Ma ormai il passato è
passato, e Jamie Murray che adesso non è più il pivellino di una volta, forte della nuova posizione da numero uno in doppio, sta già guardando dritto al prossimo futuro - affianco sempre al solito e fido Bruno Soares per la nuova stagione che verrà: “Penso che ci sono cose da migliorare nel nostro gioco ha poi dichiarato Jamie a conclusione delle Atp Finals -. Dobbiamo esserne consapevoli, e questo è anche stimolante per noi. Speriamo conclude Jamie - che nel prossimo anno riusciremo ancora a
sederci sopra la vetta del ranking da numeri uno del mondo”. Un'ultima frase, questa, che ha già il profumo di una promessa che verrà mantenuta.
Juan Martin del Potro, un ritorno insperato! by Giorgio Giannaccini
La convalescenza e il rientro, l'ansia e l'attesa di non essere da meno, di ritornare il giocatore di una volta, per non deludere le sue aspettative ma soprattutto quelle di un intero popolo che risponde al nome di Argentina. Sono stati sicuramente questi i pensieri che hanno vagato nella mente di Juan Martin del Potro per tanto, troppo tempo, durante l'inizio della passata stagione. Un rientro che sapeva più di una scommessa, una terribile scommessa che tanti atleti, dopo un periodo di stop così lungo, avevano perso. E invece la vita è strana! - questa rischiosa scommessa si è tramutata nel nuovo trampolino di lancio per una seconda parte di carriera che si profila molto promettente per il gigante di Tandil. Ma andiamo per ordine. Era il lontano agosto del 2012 quando, durante il Masters 1000 di Cincinnati, aveva cominciato a sentire un improvviso dolore, proprio lì al polso sinistro, ed era stato costretto a un mese stop forzato, più per precauzione che per altro. Un problema che quindi sembrava semplicemente passeggero e superato, invece, si era rifatto sentire ma in forma questa volta molto più grave pochi anni dopo, quando quello stesso polso scricchiolava nuovamente durante gli Australian Open 2014, e questa volta il problema era ormai diventato palesemente serio. A marzo dello stesso anno, infatti, Del Potro era stato costretto a operarsi perché non poteva più giocare in quelle condizioni e sperimentava, per la prima volta nella sua carriera, come fosse
difficoltosa una convalescenza così lunga, lontano dal tennis giocato. Rientrato finalmente a competere nel gennaio successivo, partecipava al 250 di Sydney e veniva eliminato da Kukushkin ai quarti di finale. Ma quel polso, quel maledetto polso sinistro, gli faceva ancora male. Sembrava un calvario che non doveva mai finire, e Delpo, per nulla sollevato dalla situazione non certo promettente, era costretto a operarsi nuovamente se voleva ancora giocare a tennis nella sua vita. A fine marzo dello stesso anno, eravamo nel 2015, Del Potro tentava un nuovo ritorno nel circuito Atp purtroppo poi rivelatosi vano -, partecipando al Masters 1000 di Miami dove era addirittura costretto a presentarsi con il numero 616 della classifica Atp visto che a causa di questo lunghissimo e interminabile stop aveva perso praticamente tutti i punti accumulati nel ranking Atp. Eppure l'ennesima sciagura era dietro l'angolo, e poco tempo dopo, il dolore tornava a martoriare di nuovo il povero polso
mancino del gigante di Tandil, e in pieno giugno era costretto a operarsi nuovamente e per la terza volta di fila proprio in quello stesso polso. Del Potro è così tornato realmente a giocare solo nell'ultimo febbraio, dopo quasi due anni di totale inattività tennistica, al torneo di Delray Beach, ricominciando la sua scalata al trono mondiale dalla posizione numero 1045, e ottenendo tra l'altro una buona semifinale, dove poi è stato eliminato da Sam Querrey per 7-5 7-5. Ma a Delpo è poi bastato il magico palcoscenico che risponde al prestigioso nome di Wimbledon per mostrare sprazzi da campione, quasi a resuscitare l'antica classe, l'antico lampo di genio che aveva perso dopo l'infinito e tormentato infortunio. A pagarne le conseguenze, o meglio ancora, a fare da vittima sacrificale, ci ha pensato Stanislas Wawrinka, non proprio un giocatore qualunque, che al secondo turno del torneo patrocinato da Sua Maestà la Regina è stato
demolito in una partita di gran livello per 3-6 6-3 7-6 6-3. E pazienza se la partita subito dopo, al terzo turno di Wimbledon, Delpo si è fatto poi battere dal talentuoso transalpino Lucas Pouille. Ciò non poteva essere certo una evoluzione nel suo gioco ma nemmeno una bocciatura vista come fosse ancora precaria la sua condizione fisica dopo il rientro. Anzi, l'importante era stato l'aver ritrovato quel suo gioco così tanto aggressivo, basato sulle bordate piatte da fondocampo e su quel meraviglioso servizio, suoi autentici marchi di fabbrica, che pochi erano riusciti a emulare. Intanto però il gigante di Tandil aveva ancora la fiducia della sua gente, come lo aveva dimostrato la convocazione in Coppa Davis contro l'Italia, e la sua vittoria, decisiva, in coppia nel doppio con Pella contro il duo italiano composto da Fabio Fognini e Paolo Lorenzi. Ma il bello doveva ancora venire. Nel mese successivo, ad agosto, Delpo piazza il suo definitivo rientro in un evento non proprio comune, le Olimpiadi di Rio de Janeiro, facendolo in modo clamoroso e roboante. Sconfigge Novak Djokovic al primo turno, battendolo in una partita durissima che finirà 7-6 7-6 per l'argentino, inaugurando il periodo di crisi del serbo che nessuno si sarebbe mai aspettato. Ma l'Olimpiade va avanti, e anche l'argentino non si fa pregare. Dopo aver sconfitto avversari discreti ma non nobili tennisticamente come lui - ovvero i vari Joao Sousa, Taro Daniel e Roberto Bautista Agut - c'è lo scontro in semifinale con Rafael Nadal. Niente da fare, il gigante di Tandil ci riserva un'altra grande emozione, con un immenso cuore rimonta l'ex re della terra battuta, sconfiggendolo per 5-7
6-4 7-6. La finale contro il numero 2 del mondo, il britannico Andy Murray, non è da meno, ma il giocatore originario di Dunblane è più decisivo nei momenti chiave, e così si porta a casa la medaglia d'oro col punteggio combattuto di 7-5 4-6 6-2 7-5, mettendo a segno un tassello pesante che giustificherà a fine anno la sua scalata al trono del ranking Atp. Ma la rincorsa ai piani alti della classifica mondiale prosegue per del Potro, e il nuovo teatro dove vanno in atto le sue gesta si sposta a New York, nel torneo degli Us Open. Dopo una buona marcia che lo aveva visto battere giocatori come il maratoneta spagnolo David Ferrer e l'astro nascente del tennis mondiale Dominic Thiem, si è poi dovuto arrendere alla vendetta dell'elvetico Stanislas Wawrinka che ancora furioso dell'onta subita a Wimbledon, ha poi pensato, subito dopo la vittoria su Delpo, di fare suo il torneo battendo clamorosamente Djokovic in finale. Ma è stata poi la Coppa Davis a dare spazio e consacrare definitivamente Juan Martin del Potro in un ritorno ad alti livelli insperato. Prima ha battuto
in semifinale di Coppa Davis la Gran Bretagna e nello specifico Andy Murray, per giunta nella sua Glasgow, in una maratona - inutile dirlo conclusasi con una rimonta per 6-4 5-7 6-7 6-3 6-4 che ha fatto vibrare il cuore dei tifosi argentini accorsi in Scozia. Poi il capolavoro in finale: sotto di due set contro un altro gigante, il croato Marin Cilic, capovolge il risultato piazzando i tre successivi set con il punteggio di 7-5 6-4 6-3 che piega dopo quasi 5 ore di partita il tennista originario di Medjugorje. Questa vittoria, sommata con l'altra ottenuta nel primo singolare contro Ivo Karlovic, consegnano di fatto il trofeo della Davis Cup all'Argentina. Un trionfo che ha il sapore di un capolavoro, e tutto questo grazie per larghi meriti al gigante di Tandil. Un ritorno definitivo, emozionante e ottenuto col cuore. Un invito speciale a guardare le sue partite nella prossima stagione, perché ed è una certezza tornerà a breve protagonista come non lo è mai stato.
Dominic Thiem, un anno da incorniciare by Giorgio Giannaccini L'anno della definitiva consacrazione, così si può riassumere l'intensa annata che ha visto protagonista Dominic Thiem, giocatore austriaco classe '93, che ormai si sta profilando come il maggiore talento capace di far parlare di sé dentro al campo per meriti sportivi e non certo per sceneggiate come invece sta accadendo all'aussie Nick Kyrgios. Una stagione che lo ha visto esausto dopo aver giocato la bellezza di ben 82 partite, con 4 titoli Atp vinti e 2 finali perse. Numeri da capogiro
insomma, che al di là del mero dato statistico, sono indicativi nel farci comprendere come questo ragazzo non sia più una promessa ma una certezza nel prossimo futuro tennistico. La semifinale ottenuta al Roland Garros ne è una dimostrazione, come anche la partecipazione al Masters di Londra, sebbene ci sia andato, grazie alla rinuncia per guai fisici di Nadal, col numero 9 del ranking Atp. Ma è pure vero che l'unica vittoria ottenuta nel girone, ai danni di Gael Monfils per 6-3 1-6 6-4, gli ha permesso di compiere il sorpasso
sull'iberico e di chiudere l'anno da numero 8 della classifica mondiale, davvero non male se consideriamo anche la sua giovanissima età e il best ranking accumulato durante l'anno da numero 7 Atp. Eppure ci sentiamo di dire che Thiem deve ancora completare un ultimo step per la sua definitiva crescita. Prendiamo ad esempio la semifinale del Roland Garros: Novak Djokovic si è imposto sull'austriaco con un fin troppo liscio 6-2 6-1 6-4, dimostrando che tra i due c'è ancora un abisso. Se da una parte, infatti, c'era la continuità mostruosa del serbo che rimandava la palla
dall'altra parte del campo come se fosse un muro, dall'altra c'era una discontinuità, seppure con la presenza anche di grandissime soluzioni, che facevano capire come fosse ancora acerbo Thiem. E anche gli altri risultati nei tornei dello Slam sono da migliorare: un terzo turno agli Australian Open sconfitto da David Goffin, un secondo turno a Wimbledon dove è stato estromesso dal torneo per mano di un triplice 7-6 del ceco Jiri Vesely, non sono sicuramente risultati degni per un tennista del genere. Eppure di buono c'è tanto: come si può scordare la
mitica maratona in quel di Buenos Aires contro Rafael Nadal con tanto di match point annullato per un 6-4 4-6 7-6 da favola, e la successiva finale, contro Nicolas Almagro, conclusa anche questa vittoriosamente con un combattuto 7-6 3-6 7-6? E poi la ciliegina sulla torta, l'aver sconfitto il proprio idolo di infanzia, Roger Federer, nell'erba di Stoccarda per 3-6 7-6 6-4, dando vita forse alla rimonta più bella della sua carriera. E pensare che era stato proprio l'elvetico, mesi prima, a chiedere a Thiem se i due si potessero allenare insieme, esperienza che per l'austriaco non è stata poi così banale. “E' davvero qualcosa di fantastico aveva poi detto Thiem - ogni palla che ti propone è un'esperienza a sé”, aggiungendo, inoltre, come fosse “incredibile sapere che Federer mi ha fatto i complimenti per il mio rovescio, lo conosco bene, mi invita ad allenarci a casa sua. È il più forte tennista di tutti i tempi, un grande uomo oltre che un grande atleta, se il tennis ha questa popolarità in gran parte per Roger". Purtroppo l'ultima parte di stagione non è stata
così gloriosa, complice soprattutto un calendario mal programmato e fin troppo fitto di partite, e così, arrivati alle Atp Finals, negli altri due match del girone non ha brillato, perdendo prima con un non convincente Novak Djokovic al quale però ha strappato un set e poi con il canadese Milos Raonic. “Beh, avrei preferito vincere questa partita e giocare ancora ha poi detto Thiem a conclusione del match contro Raonic ma, ovviamente, ora sono contento di rilassarmi un po'. Ormai non posso cambiare il risultato quindi cercherò di godermi qualche giorno di riposo”. Eppure per Dominic la soddisfazione per quanto combinato quest'anno rimane e non è poca: “Se confronto la mia posizione attuale all'obiettivo che mi ero prefisso sono molto soddisfatto. Il mio traguardo era mantenere la posizione raggiunta l'anno scorso (20, ndr) e magari migliorarla un attimo. Onestamente non mi aspettavo di finire l'anno qui, alle Finals, e nella top 10. Sono anche molto contento di aver concluso l'anno qui a Londra con 3 match
soddisfacenti e non col brutto torneo che ho giocato a Parigi”. Si conclude così un anno da incorniciare per Dominic Thiem, e ben sopra le sue aspettative. Ora rimarrà da vedere se nella prossima stagione farà quel piccolo
passo in avanti che lo consacrerà definitivamente tra i primissimi del mondo. Non sarà facile ma le capacità, la voglia e l'ambizione ci sono: "Mi considero un sognatore aveva già detto Thiem in passato -, ho tanti sogni sia riguardo al tennis che al
resto della mia vita fuori dal tennis. Il mio sogno concluse - è vincere uno Slam”. Una determinazione, quella dell'austriaco, non comune, un po' come il suo gioco, che forse un giorno farà sognare anche noi.
I borsoni comprati in sconto by Cris
I borsoni comperati a sconto posati in ordine sparso sulle panchine consumate, i calzini puzzolenti che confondono il loro odore con le t-shirt appena indossate in campo, il pavimento bagnato di rosso per il mix di acqua e terra rossa portata dai campi, sono ciò che da anni fa parte della vita di chi, come me, frequenta gli spogliatoi di un circolo tennis. Sotto le docce chi ha appena finito di giocare discute sulla partita: "Oggi mi ha fregato il rovescio, non me n'entrava uno!" "Io invece ero stanco, succede". Qualcuno si cambia velocemente, tra tre minuti inizia l'ora che ha prenotato e sa che se non si presenta velocemente al campo, quelli dell'ora prima iniziano un altro gioco e dopo lo vogliono finire, e come minimo inizia a giocare dieci minuti dopo. Si parla di diritti, rovesci, servizi, tie-break come se su quei campi si fossero giocate partite di un Master 1000, e non si parla di ciò che ha
caratterizzato davvero quelle partite; palle steccate, servizi con macroscopiche invasioni di campo, rovesci frutto più della fortuna che della corretta esecuzione, e molte palle finite dentro ma chiamate puntualmente fuori, tanto l'avversario è lontano e il nastro della rete di metà campo copre totalmente la visuale della riga di fondo campo. Quando la conversazione esaurisce la disquisizione tecnica dell'incontro appena concluso, in un modo in cui solo Clerici e Scanagatta nei momenti migliori avrebbero saputo fare, la stessa si sposta sul secondo argomento più discusso negli spogliatoi dei circoli, gli
articoli scontati al Decathlon. Chi non partecipa direttamente tiene le orecchie ben tese per carpire preziose informazioni che potrebbero aumentare il livello estetico del suo tennis, e per livello estetico non intendo riuscire a fare un rovescio come Federer, ma piuttosto arrivare al circolo con un borsone nuovo scintillante e aspettare che negli spogliatoi ci siano più persone possibile per sottolineare che lo ha comperato con uno sconto stellare. Gli argomenti che raschiano il fondo del barile infine sono sempre i soliti, chi si iscrive al torneo sociale, da quanto tempo non vedi questo o
quell'altro giocatore e quanto costa un tubo di palline nuove su Internet. Poi c'è il campo, e il campo nei circoli tennis in Italia è uno solo, quello in terra rossa. Il tendone forato fa si che quando piove, inevitabilmente, nello stesso si formino più buche che in un campo da golf. Le buche servono però. Quando ci rimbalza sopra, la pallina prende delle direzioni che spiazzerebbero Djokovic, e il punto è assicurato. Nel percorso che divide gli spogliatoi dal campo che ho prenotato e dove il mio avversario mi sta aspettando
facendo un po' di riscaldamento (che si traduce in due corse svogliate intorno al rettangolo di gioco), mi fermo a guardare Mario e Gino impegnati nella loro partita settimanale. Corre voce siano bravi, tra i migliori del circolo, ma guardandoli mi rendo conto che in realtà sono due pippe, uno poi serve peggio di Sara Errani. Eh già, il metro di paragone di chi frequenta il circolo è sempre quello, l'ATP e la WTA. Il resto non esiste, le categorie B, C, D sono un territorio sconosciuto, c'è Djokovic e poi ci sono Mario e Gino.
Il mio avversario non si è cambiato negli spogliatoi, è venuto già in tuta e ha già fatto il suo riscaldamento, i due giri attorno al campo. "Cavolo, potevi arrivare prima, c'era il campo libero e potevamo approfittarne. Dai, prendi la racchetta che iniziamo!" Quando il tuo avversario ti dice iniziamo non esistono preliminari di alcun tipo, si tirano fuori le palle e si inizia. Neanche quella prostituta quella volta a Budapest fu così veloce a tirarmi fuori le palle ed iniziare. Dal campo vicino si sentono delle urla, e capisco subito il motivo, si discute su un punto. "La palla era fuori", "No, era dentro, sula riga", "Guarda, sono sicuro, l'ho vista bene", "Ok, prendila vinta te!". Gridano ma tanto lo so che ricominceranno a giocare e finirà tutto lì, che più tardi negli spogliatoi, quando li incontrerò, parleranno di tutto ma non di quello, ed il motivo è semplice. In un giocatore di circolo più che l'onestà conta la disponibilità, da quanto è libero per poter giocare con te.
E' il problema del tennis, va giocato in due, e spesso è più difficile trovare qualcuno con cui fare una partita in un circolo che un rappresentante di condizionatori d'aria in Lapponia. Quelli più forti ti scansano, quelli più deboli anche, coloro che sarebbero al tuo livello spesso non sono reperibili, o giocano con altri, o fanno turni di lavoro diversi dai tuoi, o peggio ancora hanno mal di schiena e aspettano di tornare in salute. Se trovi uno disponibile, fissaci al volo, anche se ti
chiama le palle fuori. Tutti tesserati FIT, tutti soci del circolo, tutti abilitati dall'esito positivo dell'elettrocardiogramma a giocare e sentirsi parte del movimento alla pari di Murray. Intanto sul mio personale campo centrale, senza alcun tipo di riscaldamento, inizio a giocare la mia finale di Wimbledon, e sulla prima di servizio la mia palla prende una buca e schizza fuori. Il mio avversario inizia ad imprecare, a suo dire era pronto a rispondere con un salto alla Nishikori, e se è
sotto di un 15 è colpa del circolo che non sistema i campi e non ripara il tendone. Esatto, quello che lo divide da Nishikori è la cattiva manutenzione dei campi. E chissà che non abbia ragione, alla fine Nishikori al circolo non è mai venuto a giocare. C'è una pallina dubbia, per me è dentro, per lui è fuori. Mi fa vedere un segno, è fuori. Peccato che quel segno fosse lì da mezz'ora, ma
questo al circolo è un dettaglio irrilevante. Tornando negli spogliatoi dopo aver finito con un risultato a metà (le partite al circolo non finiscono mai del tutto, fissi l'ora e se va bene hai concluso appena un set) cammino veloce tra gli altri campi dove gioie e drammi prendono forma come sui campi secondari di un qualsiasi Master 1000. Al di là di racchette con incordature che risalgono alla seconda guerra mondiale, impugnature continental che risalgono alla
prima, palline sgonfie, stecche, rovesci improvvisati e traiettorie deviate, un esercito di tennisti sta tenendo in vita lo spirito dello sport più bello del mondo. Affianco Mario e Gino che nel frattempo hanno finito, chiedo: "Chi ha vinto?" "Vincevo io" - risponde Mario - "ma è finita l'ora…" "Che vuoi, d'altra parte anche a Wimbledon quando scende il sole interrompono e ricominciano il giorno dopo", cerco di consolarli. "E' vero" , replica Gino,
mettendo nel borsone una pallina talmente sgonfia che a Wimbledon non adopererebbero nemmeno per far giocare il cane del custode. Gli spogliatoi adesso si stanno svuotando, il mio avversario è andato a casa senza cambiarsi e Mario e Gino sono sotto la doccia. Schivando i loro calzini puzzolenti e le loro t-shirt appena indossate mi dirigo verso le docce, finché i due non mi vedono spuntare con il mio accappatoio e mi chiedono: "Senti, tu che sei giovane, quanto costa un
Curare i movimenti dell'avversario by Federico Coppini
E’ un elemento fondamentale perché una delle regole elementari del gioco sta proprio nel rimandare la palla nella zona di campo lasciata scoperta dall'avversario. E’ un elemento fondamentale perché una delle regole elementari del gioco sta proprio nel rimandare la palla nella zona di campo lasciata scoperta dall'avversario. Per fare questo il tennista esperto con la sua visione periferica tiene sempre sotto controllo i movimenti del suo antagonista in modo da
anticiparne la strategia e per scoprire in tempo quelli che possono essere i punti vulnerabili della sua posizione sul campo. Durante lo scambio, il giocatore deve sempre rimanere concentrato sui movimenti di preparazione dei colpi da fondocampo e ad eventuali repentine variazioni di posizione del piatto corde nel momento che precede
l'impatto, che possono nascondere insidiosi colpi a sorpresa come la palla corta. Il giocatore perfettamente concentrato che durante lo scambio presta attenzione anche agli atteggiamenti del suo avversario è in grado di intuirne le intenzioni e di anticipare lo scatto in avanti di quella frazione di secondo che gli consente di arrivare meglio sulla palla e di trovarsi in una situazione di vantaggio per l'esito dello scambio. Le più grandi difficoltà nel mantenere alto il livello di concentrazione, comunque vanno ricercate nei tempi morti che caratterizzano il gioco del tennis. La maggior parte dei giocatori dilettanti e professionisti, infatti, presenta problemi di concentrazione nei 25 secondi che separano la fine di un punto dall'inizio del punto successivo. Le fonti di
distrazione possono essere di natura esogena (esterna) quando sono riconducibili ai sensi della vista e dell'udito, endogena (interna) se fanno riferimento a concetti di tipo astratto e ad ogni attività dell’avversario. Alla prima categoria appartengono i rumori ed i movimenti degli spettatori a bordo campo, i tentativi dell'avversario per spezzarci il ritmo (Nastase, Connors e McEnroe fanno scuola ... ),
una cattiva chiamata dall'arbitro o del giudice di linea così via, fino ad arrivare a quell’aeroplano che, con tanto di striscione pubblicitario, durante la finale degli Internazionali d'Italia del 1988 mandò su tutte le furie Ivan Lendl per le decine di giri "innocenti" sopra l'anello del Foro Italico. Le cause di tipo endogeno, invece sono rappresentate da tutto ciò che la nostra mente è capace di inventare. In aggiunta a riflessioni di tipo negativo legate al gioco (negative self-talking) come il tormentarsi su un colpo sbagliato in modo incredibile, oppure su come potrebbe essere diversa la situazione di punteggio se avessimo sfruttato tutte le occasioni, la concentrazione
del tennista è minacciata da pensieri che non hanno nessuna relazione con la partita. Cose accadute il giorno prima, i programmi per la serata, i problemi e gli ostacoli che si incontrano nella vita di tutti i giorni, spesso si insinuano nella mente del giocatore mettendo a dura prova la sua capacità di rimanere nel match al 100%.
Per avere un'idea più chiara della concentrazione durante il match, cerchiamo ora di far tesoro delle parole di un grande excampione. Rod Laver (per due volte autore del Grande Slam): "Non ci sono segreti nel costruire la concentrazione di un giocatore. E’ un'abilità che va sviluppata allo stesso modo in cui si allenano le altre componenti che insieme compongono il gioco. L’errore di molti giocatori è che non allenano la concentrazione mentre allenano i loro colpi. Se la mente del tennista inizia a divagare durante le sedute di allenamento, state certi che lo stesso succederà durante la partita. Quando mi allenavo in Australia, non appena cominciavo ad avvertire un po' di stanchezza cercavo di incrementare la mia concentrazione. Al termine
di ogni allenamento molto duro mi obbligavano a lavorare ancora 10-15 minuti per migliorare la concentrazione sotto uno stress di tipo fisico: ho sempre pensato di avere avuto più giovamento da quei minuti extra che dall'intera seduta di allenamento".
Anche Serena sente il potere magnetico del divano by Federico Coppini
Quando guardiamo Serena Williams o Novak Djokovic giocare, tendiamo a pensare che sono sempre motivati. Che sono sempre pronti di andare là fuori ed allenarsi al massimo, e combattere con tutto il loro cuore in qualsiasi momento. Pensiamo che non sentano quel potere magnetico che
tutti noi normali esseri umani sentiamo verso il divano. Ciononostante, la differenza fra Serena o Novak e tutti noi altri non è nelle sensazioni che proviamo. Se guardate il documentario su Serena, potete scoprire come lei spesso abbia problemi di motivazione; e se senti le interviste di Novak Djokovic dopo la sua vittoria molto anticipata ai French Open, vedrai che lui ha fatto davvero fatica a trovare la motivazione per continuare a spingersi più
avanti. La differenza è solo nel fatto che noi decidiamo di stare seduti sul divano e aspettare che arrivi questa sensazione di motivazione da sola. E se non arriva, semplicemente continuiamo a stare svaccati sul divano senza metterci al lavoro per avere la nostra possibilità di raggiungere i nostri obiettivi a lungo termine, e agire per difendere i nostri desideri. Molti di noi, pensando che il tennis debba essere divertente, dicono che se giocando non si divertono
più non ha più senso continuare. Ma in realtà dipende tutto da quanto ci mettiamo di impegno nel raggiungere i nostri obiettivi una volta usciti dal campo magnetico del nostro divano. Mettersi d’impegno è molto più importante che essere motivati. L’impegno nel raggiungere un fine più grande. Avere un insieme di obiettivi chiari e definiti da seguire e da cercare. Se decidi di andare finalmente in campo ad
allenarti anzichè sederti da qualche parte ad aspettare, puoi finalmente trovare la motivazione che stavi cercando. La inizierai a sentire appena metterai piede nel campo, oppure a metà dell’allenamento, o a volte può darsi che non la sentirai proprio. Ma almeno hai fatto quello che è necessario per riuscire a ottenere i propri obiettivi e seguire le proprie aspirazioni, ingrediente chiave per essere giocatori di successo. Quindi ricordate che quello
che importa è non starsene seduti in disparte aspettando che arrivi la motivazione da sola. Invece, esci e va in campo ad allenarti. Puoi avere una giornata in cui non ti alleni bene, ma la strada è lunga e riuscirai a percorrerla bene se anche nei giorni in cui non sei motivato ti allenerai bene.
C’ MON
by Francesca Amidei C' MON! Un urlo di battaglia… C' MON! Una scossa elettrica che ti riporta in vita… C' MON! Un pugno chiuso che ti dona la forza… C' MON! Un pensiero che ti porterà alla vittoria… Quattro lettere tenute insieme da un'apostrofo e quattro significati tenuti insieme dalla voglia di non mollare mai. Australian Open 2016 - Day 4: Thursday 21 January - Rod Laver Arena - h 7.00 pm local - Lleyton Hewitt vs David Ferrer Dopo due ore e ventotto minuti di gioco sul punteggio di due set a zero e cinque games a tre nel terzo set tutto a favore del tennista spagnolo, Lleyton Hewitt ha detto addio al tennis giocato urlando, nel cuore della notte australiana, l'ultimo "c'mon" della sua carriera. Queste poche righe, se lette con occhio attento, sarebbero sufficienti per tracciare un identikit dell'ormai ex tennista nato ad Adelaide nel Febbraio del 1981. Emerge infatti il suo indiscusso spirito combattivo ed una spiccata capacità difensiva esaltata da lob e passanti che gli hanno permesso di neutralizzare, nei seicentoquindici matches vinti da professionista, gli attacchi scagliati da ogni parte del campo dai suoi avversari. Queste sono infatti le armi che Hewitt ha messo in mostra negli ultimi quattordici anni accompagnate da un'instancabile passione ed un amore morboso per la competizione con il sorriso e la leggerezza di chi sa di aver lasciato un segno indelebile nella storia del nostro sport.
C'era una volta un ragazzino dai capelli biondi lunghi ed il cappellino con la visiera all'indietro, stile da surfista, che ha preferito impugnare una racchetta piuttosto che cavalcare le alte onde nel Pacifico. Il giovane Lleyton ci mise solo due primavere per trovare la sua onda perfetta che lo portò a vent'anni ed otto mesi a diventare il numero uno del mondo più giovane della storia. Quello fu l'inizio del suo biennio d'oro tra il 2000 ed il 2001 con la vittoria a Wimbledon, agli Us Open ed il doppio trionfo alle Tour Finals; Quello fu l'attimo in cui capì che da grande avrebbe fatto il tennista; Quello fu l'istante in cui promise a se stesso che avrebbe lottato su ogni punto per i successivi quindici anni della sua carriera; Quello fu semplicemente il momento in cui, alzando le braccia al cielo, gridò per la volta al mondo C'MON.