N째21 - novembre
Tennis World IL CAMBIAMENTO TATTICO DI ROGER FEDERER
Roger Federer di Giorgio Giannaccini
Il suo cambiamento tattico
È indubbio che il Roger Federer di quest'anno sia sicuramente il più offensivo visto negli ultimi anni, se non il più offensivo di sempre. E c'è anche da aggiungere che se Federer non avesse optato per questa evoluzione tattica, non sarebbe sicuramente riuscito a tornare fra i primi tre giocatori al mondo, visto che i vari Djokovic e Nadal (più Murray quando è in forma) hanno tutt'altro tipo di forma fisica – dei veri super atleti, a dispetto di Federer – e in più hanno un gioco nettamente più solido da fondo campo, vuoi per caratteristiche tecniche – tutti e tre hanno rotazioni più accentuate rispetto al gioco di piatto dello svizzero -, vuoi per il fatto che essi non hanno un vero e proprio tallone d'achille nei colpi di rimbalzo (Federer concede abbastanza gratuiti con
il rovescio, anche quando non cerca la spinta). Dunque, nel tennis d'oggi, non sarebbe troppo sbagliato dire che il tennista che possiede i fondamentali più carichi di rotazione – però avendo anche un'ottima potenza per spingere – più una buona battuta, è un vincente o quantomeno uno davvero ostico da battere, e se ci pensiamo, Nadal e Djokovic, sono proprio di questa specie. In più, proprio contro questa categoria di tennisti, il rovescio a una mano – sebbene possa essere di eccelsa fattura come quello di Wawrinka o del neo talento Thiem – si trasforma in uno svantaggio tecnico, se non in un vero e proprio handicap, nel caso il suddetto giocatore non ha in questo fondamentale un grande colpo.
Il motivo è semplice: con rotazione alte e cariche è davvero arduo l'anticipo con il rovescio a una mano e risulta quasi impossibile schiacciare la palla - cosa che invece è possibile solo con il rovescio bimane - ne consegue che un giocatore con il rovescio ad una mano può solo accorciare – e quindi non giocare profondo – perché infastidito dalla traiettoria alta, o altrimenti, potrà giocare sì profondo, ma facendo solo pallonetti praticamente difensivi. Quest'ultima tattica poteva andare bene nel tennis su terra rossa dei primi anni '90, ma con le racchette di adesso questi lob difensivi possono farti solo perdere il punto, visto che sia la racchetta – ma anche l'altezza media dei giocatori di oggi – permette benissimo di poter anticipare il colpo da fondo campo e tirare un vincente anche su queste palle senza peso. Tanto è vero che i così detti pallettari di una volta, specialmente quelli degli anni '70 - come Barazzutti e Higueras - all'inizio degli anni '80, col fiorire di racchette sempre più potenti, hanno conosciuto il loro declino e hanno dovuto creare un tennis più proposito, rispetto ad una volta, per continuare ad essere competitivi.
Va di fatto che, tornando al nostro Federer, e appurato quindi che ha una difficoltà tecnica verso i suoi avversari – visto che come abbiamo detto, gioca piatto ed è vulnerabile sul rovescio a una mano (probabilmente il suo “peggior” colpo ) -, egli in passato doveva essere due volte superiore - se non tre - specialmente con Nadal, che imprime più rotazione di tutti ed è mancino – per poterli battere, e il peso degli anni ha acuito ulteriormente questo divario tecnico. La salvezza di Federer è stata questo improvviso binomio con l'antico campione di talento purissimo Stefan Edberg. Questa è stata un'intuizione molto felice per Federer, quale ex giocatore poteva essere più adatto di Edberg per poter mettere in evidenza e far rifiorire tutte le doti di tocco e di virtuosismo tecnico dell'elvetico?
Edberg è stato oltreché l'idolo di Roger, anche uno dei più grandi esponenti del serve & volley puro, del tennis aggressivo per eccellenza, e a differenza del più potente Becker o dell'immortale Sampras, lui è stato il giocatore che ha fondato maggiormente il suo tennis nel tocco, mentre gli altri due avevano un repertorio più ricco, avendo sia nel dritto che nella battuta, una fonte illimitata di vincenti. Edberg ha fatto capire a Federer quanto fosse ridicola la pretesa di gareggiare a fondo campo - con scambi interminabili - contro i più quotati e giovani Djokovic, Nadal e Murray, aprirgli gli occhi e fargli comprendere che è meglio subire un gran passante – subire, sì, questa umiliazione – che perdere fiato ed energia, seppur dignitosamente, lottando, visto che
Talvolta usa un back tendente a rimbalzare verso metà campo, questo per attirare il suo avversario a rete che, soprattutto nel caso di un giocatore bimane, paleserà una difficoltà tecnica. ne servirà tanta altra per tutta la durata dell'incontro. I risultati sul campo si sono visti nell'uso sovente del serve & volley – che in verità Federer adottava molto poco -, nel chip and charge, sia durante uno scambio ma spesso anche direttamente dalla riposta al servizio – soprattutto nei punti che “scottano” come le palle break -, negli attacchi sempre più frequenti contro tempo, che fruttano parecchi punti vincenti a rete, nelle variazioni di rovescio sia in top spin che in back spin, adesso molto più ragionate di prima, fatte a seconda della situazione di gioco e dell'avversario che ha difronte. È importante sottolineare quest'ultimo aspetto, perché conferisce a Federer una maggiore sicurezza con il suo colpo più insicuro, e lo rende addirittura forte, grazie a queste continue variazioni che ricordiamo sono soprattutto velenose col back - e spesso adopera anche due o tre tipi di back diversi, notiamo infatti che talvolta usa un back tendente a rimbalzare verso metà campo, questo per attirare il suo avversario a rete che, soprattutto nel caso di un giocatore bimane, paleserà una difficoltà tecnica nel tentativo di alzare la palla nei pressi, o comunque, in vicinanza della rete. Edberg non ha fatto nient'altro che riordinare i pezzi di un bellissimo puzzle, che era già bello di suo, ma che adesso è divenuto ancor più un capolavoro; e se gli avversari di Federer si erano adagiati su un suo definitivo declino, ora sono più che mai impauriti da un possibile scontro secco, testa a testa, con lui.
Nadal e Ferrer di Marco Di Nardo
Ce ne fossero tanti come loro!
E' appena terminata una delle edizioni meno memorabili nella storia delle Atp World Tour Finals, o Masters Cup come era denominata in passato la competizione che vede affrontarsi nell'ultima settimana della stagione tennistica i primi otto giocatori della classifica annuale. C'è stata davvero poca in tutto l'arco del torneo. Nelle prime quattro giornate dei gironi non si è visto nemmeno un incontro andare al terzo set: otto partite giocate, otto vittorie molto nette in due parziali, con la sensazione di una differenza molto ampia tra un giocatore e l'altro. Anche le classifiche finali dei due gironi non hanno dato spazio alle considerazioni. In entrambi i gruppi infatti c'è stato un giocatore imbattuto e il secondo si è qualificato con due vittorie e una sconfitta.
Le semifinali hanno rappresentato l'unico momento in cui c'è stata un po' di incertezza, anche se alla fine a qualificarsi per l'ultimo atto sono stati i due giocatori più attesi alla vigilia, Novak Djokovic e Roger Federer, con lo svizzero che ha dovuto annullare quattro match-point al connazionale Wawrinka. Ciliegina sulla torta, se così si può dire, la finale, vinta da Djokovic senza scendere in campo a causa dell'infortunio alla schiena di Federer che lo ha costretto a dare forfait. Un'edizione da dimenticare, non ci sono dubbi. Le cause di un'edizione così poco interessante possono essere molte. Federer ha parlato di una superficie che favorisce il giocatore migliore con i colpi da fondo campo, e che invece penalizza i grandi battitori. Altri non si sono dati una spiegazione.
Probabilmente però l'assenza di alcuni giocatori all'appuntamento finale della stagione ha fatto la differenza. In particolare sono mancati due giocatori forse non perfetti dal punto di vista estetico, ma che riescono comunque a garantire spettacolo con partite lunghe e combattute: Nadal e Ferrer. Quella di Rafa è stata un'assenza vera propria, visto che il maiorchino è stato costretto a disertare anche il Masters 1000 di Parigi-Bercy per l'appendicite, mentre quella di David è stata un'assenza parziale, essendosi presentato a Londra come riserva ed avendo giocato un solo incontro, l'ultimo del round robin, dopo il forfait di Milos Raonic. Non è un caso se dopo quattro giorni di partite in due set, sia bastato un solo incontro a Ferrer per portare finalmente un match al terzo. David ha avuto la
possibilità di disputare il primo match della quinta giornata, contro Kei Nishikori, e ha subito regalato spettacolo a modo suo. Nel primo parziale lo spagnolo ha subito il break nel settimo gioco, e si è trovato a inseguire sul 4-3 e servizio Nishikori, ma è riuscito a infilare un parziale di 3-0 (con doppio break), e a vincere il primo set per 6-4. Una rimonta alla Ferrer. Poi sulla distanza il giapponese ha avuto la meglio per 4-6 6-4 6-1, in quello che è stato il primo grande incontro alle Atp World Tour Finals. Per quanto riguarda Nadal, la sua assenza si era sentita già da qualche mese. Lo spagnolo non aveva giocato i due Masters 1000 estivi sul cemento americano e gli US Open, prima dell'appendicite che lo aveva costretto, come detto in precedenza, a dare forfait in questo evento. In entrambi i gironi la sua presenza avrebbe certamente cambiato le cose. Soprattuto in quello di Federer, contro il quale lo spagnolo vince quasi sempre. La controprova non ce l'abbiamo, ma in un torneo come le Atp World Tour Finals, in cui in qualsiasi caso (infortuni esclusi) ogni giocatore deve giocare almeno tre partite, un combattente come Nadal difficilmente non avrebbe dato maggiore incertezza. Del resto un'assenza come quella del maiorchino si era sentita anche agli US Open, dove a trionfare era stato Marin Cilic in finale contro Kei Nishikori. Anche in quel torneo con la presenza di Nadal difficilmente sarebbe andata allo stesso modo. Forse Rafa e David non saranno i giocatori più interessanti dal punto di vista stilistico, ma non si può negare che la loro assenza sia stata determinante in un'edizione così poco interessante delle Atp Finals.
Un 2015 targato Nadal di Adriano S.
L'ennesimo intoppo nella carriera di Nadal ha amplificato a dismisura le paure dei suoi fans.
L'ennesimo intoppo nella carriera di Nadal ha amplificato a dismisura le paure dei suoi fans, fornendo nuovo materiale di discussione anche per i suoi più infervorati detrattori. Oggettivamente la stagione 2014 dello spagnolo non è stata una delle migliori, tralasciando l'appendicite. La prossima potrebbe però essere di tutt'altro spessore. Eccone i 5 motivi: 1) Rafa ha sempre tratto vantaggio dal riposo. Ad ogni grande stop è sempre corrisposto un grande exploit. Figuriamoci quando il problema non è d'origine muscoloscheletrico, come nell'ultimo caso. Trarranno vantaggio dal riposo forzato stamina e ginocchia.
2) Il maiorchino ha pagato lo scotto degli sforzi dello scorso dicembre, quando andò a svernare in Sud America rovinando la preparazione atletica per l'anno nuovo. Quest'anno con l'intervento ha perso sì qualche milioncino, ma risparmiato tempo e fatica dando forfait per l'abominevole IPTL. 3) Dal prossimo anno sarà aggiunta una settimana in più dal termine del Roland Garros all'inizio di Wimbledon. Nadal ha dimostrato che una volta adattatosi alla superficie dei Championships, può diventare quasi imbattibile anche su erba.
4) Nadal avrà molto poco da difendere il prossimo anno. Non difende i titoli di Montecarlo, Roma e Barcellona, e soprattutto non difende praticamente più nulla da luglio in poi. E' il favorito principale per concludere il 2015 al numero 1 Atp. E magari sarà anche la volta buona per i Master finale... 5) Il 2016 potrebbe essere l'ultimo anno di professionismo sia per lui che per Roger Federer. Sarà quindi il prossimo l'anno cruciale che ci dirà se Nadal potrà realmente superare lo svizzero nel conto degli Slam in carriera. Rafa darà tutto.
I maestri... di Brent Kruger
In principio fu il Metropolitan Gymnasium di Tokyo. Il tennis open, nato poco più di due anni prima, stava cercando una sua precisa identità anche al di fuori dei major e Jack Kramer, fuoriclasse come organizzatore dopo esserlo stato in qualità di giocatore, pensò bene di racchiudere gli altri tornei in un circuito che denominò Grand Prix. Il Master voleva essere la summa conclusiva della stagione e nel 1970, in Giappone, si trovarono di fronte i sei tennisti che avevano conquistato il maggior numero di punti messi in palio nei tornei del Grand Prix. In quell’occasione, il mondo della racchetta era equamente rappresentato: c’erano due australiani (Rod Laver e Ken Rosewall), due europei (Zeljko Franulovic e Jan Kodes) e due statunitensi (Arthur Ashe e Stan Smith). Fu proprio quest’ultimo a spuntarla, alla fine di un round robin in cui tutti si affrontarono vicendevolmente.
Il gigante di Pasadena vinse quattro incontri come Laver ma si aggiudicò il titolo perché prevalse nel confronto diretto. Per le prime sette edizioni, il Master ebbe una sede vacante. L’anno successivo si giocò a Parigi ancora con un girone unico (a cui parteciparono in sette) poi Barcellona, Boston, Melbourne, Stoccolma e Houston. Dal 1972 i giocatori ammessi diventarono otto e furono divisi in due gironi di round robin con successive semifinali incrociate e finale. Questa formula, tuttora in vigore, venne abbandonata solo nel quadriennio 1982-1985, quando il torneo smarrì la sua tanto discussa e originale identità per affidarsi alla tradizionale eliminazione diretta. Nel frattempo, la manifestazione di fine stagione (che in realtà dal 1977 al 1985 scivolò all’inizio di quella seguente) trovò una dimora fissa a New York, nella suggestiva cornice del Madison Square Garden. Se gli anni Settanta furono quelli di Nastase (cinque finali consecutive e quattro titoli), gli anni Ottanta ebbero in Ivan Lendl il protagonista più continuo. Il cecoslovacco (poi naturalizzato americano) si presentò in finale per nove volte di fila portando a casa cinque trofei. Nel suo decennio, Ivan ebbe come avversari più credibili John McEnroe e Boris Becker. Lo statunitense, vittorioso al debutto nel 1978, riuscì
a ripetersi nell’83 e 84 mentre il tedesco fece sua la finale contro Lendl nel 1988 dopo aver perso quelle del 1985 e 1986. Dal 1990 e fino alle soglie del nuovo millennio, la manifestazione venne denominata ATP Tour World Championships e, rispettando la tendenza del periodo, si giocò in Germania: sei anni a Francoforte, quattro ad Hannover. Becker e Stich fecero la gioia del pubblico locale imponendosi tre volte ma all’orizzonte era già spuntata la nuova stella: Sampras. Nel destino di Pistol Pete, i due tedeschi ebbero ruoli di un certo rilievo. Michael Stich fu l’unico che riuscì a batterlo in finale (1993) mentre con Boris, nel 1996, l’americano mise in scena una delle più belle partite di sempre chiusa in suo favore 3-6, 7-6, 7-6, 6-7, 6-4. Sampras alzò cinque trofei e dal 2000 il torneo dei maestri
lasciò la Germania e si mise a vagabondare per il mondo. Dopo aver fatto tappa a Lisbona, la Masters Cup (così si chiamò in quegli anni) lasciò temporaneamente l’Europa e trovò casa dapprima in Australia e poi a Shanghai, con un intermezzo a Houston. Il biennio texano (2003/2004) fece da battesimo alle gesta di colui che tuttora è il detentore del record di successi: Roger Federer. Dopo le vittorie di Houston, lo svizzero si impose due volte anche a Shanghai (2006/07) e perse la finale del 2005 contro Nalbandian. Il torneo salutò la Cina con il primo titolo di Djokovic (2008) e approdò con l’ennesimo cambio di denominazione (ATP World Tour Finals) sulle sponde del Tamigi. Nei cinque anni londinesi, dopo la sorpresa Davydenko (2009) sono stati di nuovo Federer e Djokovic a dividersi il bottino con il serbo chiamato a difendere i titoli conquistati nel 2012 e 2013 senza perdere nemmeno un match. Nei suoi 44 anni di esistenza, al Master hanno partecipato 122 giocatori e 20 di loro si sono laureati maestri almeno una volta. Come detto, il detentore di titoli è Roger Federer (6) seguito da Sampras e Lendl (5) mentre Ilie Nastase vanta 4 successi, uno in più di Boris Becker, Novak Djokovic e John McEnroe. Il Master è l’unico torneo di tennis in cui si può alzare il trofeo riservato ai vincitori pur avendo perso un match. Anzi, in linea teorica si può farlo anche dopo due sconfitte, eventualità peraltro che non si è mai verificata. Più della metà delle volte (23 contro 21) il maestro ha dovuto subire un ko nel round-robin.
Curiosamente, nella corsa vittoriosa a ciascuno dei suoi cinque titoli, Pete Sampras ha sempre perso una partita: tre volte con Becker, una con Moya e Agassi. Al contrario, Lendl ha sempre fatto percorso netto nei suoi cinque titoli, così come McEnroe nelle tre occasioni in cui si è imposto. Con la formula dei due gironi non è affatto raro che due giocatori si affrontino due volte nel corso della stessa edizione, ritrovandosi in finale dopo essere stati avversari nel round-robin. Ebbene, come potrete verificare, in 8 delle 14 occasioni in cui questo evento è accaduto colui che era stato battuto si è vendicato. 1976 Fibak-Orantes 75 76; Orantes-Fibak 57 62 06 76 61 1978 McEnroe-Ashe 63 61; McEnroe-Ashe 67 63 75 1989 Becker-Edberg 61 64; Edberg-Becker 46 76 63 61 1990 Edberg-Agassi 76 46 76; Agassi-Edberg 67 76 75v62 1994 Becker-Sampras 75 75; Sampras-Becker 46 63 75 64 1996 Becker-Sampras 76 76; Sampras-Becker 3676 76 67 64
1999 Agassi-Sampras 62 62; Sampras-Agassi 61 75 64 2000 Agassi-Kuerten 46 64 63; Kuerten-Agassi 64 64 64 2001 Hewitt-Grosjean 36 62 63; Hewitt-Grosjean 63 63 64 2003 Federer-Agassi 67 63 76; Federer-Agassi 63 60 64 2004 Federer-Hewitt 63 64; Federer-Hewitt 63 62 2005 Federer-Nalbandian 63 26 64; Nalbandian-Federer 67 67 62 61 76 2008 Djokovic-Davydenko 76 06 75; Djokovic-Davydenko 61 75
È il rumeno Ilie Nastase il maestro con la miglior percentuale di incontri vinti: 88% grazie all’invidiabile record di 22-3. Alle spalle dello “zingaro”, un terzetto non troppo omogeneo composto da Federer, Laver e Okker. Sia Rocket Man che l’olandese volante, infatti, devono questi numeri all’unica partecipazione fatta registrare (chiusa da entrambi con quattro vittorie e una sconfitta) mentre è ben più significativo il record di Federer, che ha vinto 44 match perdendone 11. L’elvetico, per finire questa rapida carrellata di cifre, è invece il recordman di incontri disputati: 55 contro i 49 del terzetto composto da Becker, Lendl e Sampras.
…e le maestre L’equivalente femminile del Master maschile ebbe il suo battesimo sulla terra battuta di Boca Raton nel 1972. I Virginia Slims Championships, dal nome dello sponsor che patrocinava il circuito Wta, lasciarono la Florida dopo appena due edizioni (entrambe conquistate da Chris Evert) e fecero il classico “coast to coast” trasferendosi in California, a Los Angeles, per un triennio. Nella città degli angeli l’allora compagna di Jimmy Connors giocò altre tre finali ma in due occasioni venne sconfitta dall’australiana Evonne Goolagong. In principio il torneo cambiò formula diverse volte e si disputò prevalentemente tra febbraio e aprile. Fu solo nel 1986 che la Wta decise di spostarlo
al termine della stagione senza peraltro rinunciare, solo per quell’anno, al master primaverile. Era il periodo in cui il dominio di Martina Navratilova (dieci finali consecutive di cui otto vinte) sembrava inattaccabile e invece i due titoli dell’86 furono anche gli ultimi per colei che, tuttora, detiene il record sia per le finali giocate (14) che per le vittorie (8). Dal 1979 al 2000, le prime sedici della classifica Wta di fine stagione si ritrovarono al Madison Square Garden per giocarsi il titolo di “maestra”. Per sedici volte consecutive, dal 1984 al 1998, la finale dei Wta Championships si giocò sulla lunga distanza (unico match in tutto il panorama femminile) e ben tre volte le finaliste si trascinarono fino al quinto set: nel 1990, Monica Seles recuperò Gabriela Sabatini e la sconfisse 6-4, 5-7, 3-6, 6-4, 6-2 mentre nel biennio 95/96 Steffi Graf regolò la connazionale Huber e la giovanissima Hingis per mettere gli ultimi due dei suoi cinque trofei. Nel 2001 il master Wta lasciò la sede storica di New York per trasferirsi temporaneamente in Germania, a Monaco. Fu quella l’unica edizione in cui non venne giocata la finale in quanto Lindsay Davenport non riuscì a scendere in campo a causa di un infortunio e lasciò via libera alla connazionale Serena Williams. Per l’attuale numero uno del mondo si trattò del primo di quattro titoli, l’ultimo dei quali conquistato nel 2013 a distanza di dodici anni (un record). Per quattro stagioni, poi, il torneo si trasferì nell’immenso Staples Centre, la casa dei Los Angeles Lakers, ma la scarsa affluenza di pubblico consigliò la Wta a prendere in esame nuove sedi: Madrid (2006/07), Doha (2008/10) e Istanbul (2011/2013),
Record di titoli che appartiene alla Navratilova (8) davanti a Graf (5) e Istanbul (2011/2013), trovando soprattutto in Turchia un seguito di pubblico adeguato alla manifestazione. Dalla sua nascita, il torneo ha ospitato 147 giocatrici e ci sono state 19 diverse vincitrici. È solo dal 2003 che la Wta, per le sue finali, ha adottato con una certa continuità la formula del round robin e di conseguenza sono piuttosto rari gli episodi di una tennista che ha alzato il trofeo pur avendo perso un match. Tuttavia, la prima a fregiarsi di questo record fu, non senza sorpresa, Sylvia Hanika. La tedesca, nel 1982, perse piuttosto nettamente al primo turno dalla jugoslava Mima Jausovec ma si qualificò per le semifinali imponendosi in tre set ad Anne Smith e, sempre al terzo, sconfisse Wendy Turnbull in semifinale e Martina Navratilova in finale. Le altre quattro vincitrici passate attraverso la sconfitta nel girone eliminatorio sono state Maria Sharapova (2004), Amelie Mauresmo (2005), Justine Henin (2006) e Kim Clijsters (2010). Di queste, solo la Henin riuscì a farlo vendicandosi in finale di chi l’aveva battuta in precedenza: Mauresmo-Henin 4-6, 7-6, 6-2 nel round robin, Henin-Mauresmo 6-4, 6-3 nel match che valeva il titolo. Per finire, un rapido sguardo sulle cifre più significative del Wta Tour Championships. Detto del record di titoli che appartiene alla Navratilova (8) davanti a Graf (5) e alla coppia Evert-Serena Williams (4), la minore delle Ghetto Sisters detiene la miglior percentuale di incontri vinti (83,33% con un record di 25-5) davanti a Navratilova (82,19% con 60 vittorie e 13 ko) e Graf (80,49% e un record di 33-8).
Le migliori 5 finali dell'ATP Finals di Roberto Marchesani
McEnroe-Ashe 1978 Il Masters ha già vissuto 8 edizioni, la prima nel 1970 a Tokyo vinta da Stan Smith, straordinario campione di questo sport forse ingiustamente sottovalutato, in un unico girone all’italiana che allora prevedeva solo 6 giocatori. Poi via via, passando per 6 città diverse nei 6 anni successivi, il torneo trova la propria casa naturale al Madison Square Garden, New York, dove ci rimane per ben 13 anni. La prima finale nel gennaio 1978 vede di fronte un bel classico tra Connors e Borg con Jimmy che vince il match dopo una intensa battaglia di 3 set, legittimando il proprio n.1 atp che agli occhi degli storici non fu mai cosi immeritato, vista la supremazia stagionale sia di Borg ma anche di Vilas. Ma è l’anno dopo, nel gennaio 1979 (edizione Masters però relativa alla stagione 1978 – il torneo per parecchi anni si poteva disputare solo all’inizio dell’anno successivo per la collocazione dell’Open d’Australia nel mese di dicembre) che John McEnroe diventa - restando tutt’ora - il più giovane giocatore della storia a laurearsi Maestro, 1 mese prima di compiere 20, e lo fa in circostanze davvero particolari.
In finale c’è Arthur Ashe, che a 35 anni è autore di una fantastica stagione che gli permette di qualificarsi tra i migliori 8 nonostante un anno sabbatico per problemi di salute, che lo aveva tenuto lontano dai campi da tennis. Ashe con un po’ di fortuna e il ritiro di Jimmy Connors nel girone riesce a passare in semifinale dove regola in 3 set il sempre ostico Brian Gottfried. Tra John McEnroe e Arthur Ashe ci sono 15 anni di differenza (quasi 16) e John, anche se appena 19enne, è già un talento esploso in tutto il suo splendore. Vola durante il torneo e nel girone rifila un imbarazzante 6-3 6-1 proprio al suo prossimo avversario della finalissima. Difficile credere che Ashe possa avere una chance di vittoria. E invece è tutta un'altra partita rispetto alla precedente. Vederli è uno spettacolo, un contrasto di stili nell’uguaglianza di stili. Entrambi tentano costantemente il serve-and-volley. Ashe vince un delicato tie-break con un paio di risposte notevoli e comanda di un break nel terzo e decisivo parziale. Si fa riprendere, ma tiene la testa delle operazioni e manda McEnroe a servire per salvare il parziale sul 4-5. Con un passante straordinario di rovescio e poi una successiva demivolee errata del Genio i primi due punti mandano Ashe sullo 0-30. Dopo l’ace di McEnroe per il 15-30, Ashe infila una strepitosa risposta di rovescio.
Perché pochi secondi prima la stessa risposta era stata nulla per il let sul servizio) e va a 2 match point per conquistare il Masters a 35 anni (polverizzando qualsiasi record di longevità), ma saranno 2 punti che rimarranno nella sua memoria per molto tempo. Soprattutto il primo, quando un facile passante di rovescio si stampa sul nastro con McEnroe completamente battuto. Il secondo è una risposta lunga. La finale in pratica finisce li. Ashe perderà i successivi 3 game. 6-7 6-3 7-5. Lendl-Gerulaitis 1981 Altra finale, altri match-point mancati. Passano solo 3 anni e un altro memorabile atto conclusivo va in scena al Madison Square Garden per l’edizione 1981 del torneo (giocato nel gennaio 1982). Ed è un altro americano a rimpiangere :
Vitas Gerulaitis, che come Ashe non ha mai vinto il Masters ma poteva dire di esser arrivato ad un punto dal titolo. Gerulaitis ha di fronte Ivan Lendl, il giocatore più caldo di quel periodo con le sue 34 vittorie consecutive con cui approda all’ultimo giorno del torneo. I due – come McEnroe e Ashe nel 1978 – prima di giocarsela in finale avevano già disputato il primo round nel girone all’italiana, ma a differenza del primo caso qui Gerulaitis pur perdendo aveva creato i suoi grattacapi al cecoslovacco, arrivando a soli due game dal titolo. Lendl vinse 4-6 7-5 6-2. Le premesse per una grande finale c’erano tutte. E’ il Masters del memorabile Tanner-Connors dell’ultimo giorno, uno spareggio per la qualificazione finito in tre tie-break, ma anche dell’inizio del periodo di predominio assoluto di Lendl su McEnroe con un parziale di 7 vittorie in altrettanti scontri diretti, con John che capisce che non ci sarà trippa per gatti per un po’ da quel momento, brutalizzato in semifinale dal rivale con un inequivocabile 6-4 6-2. Gerulaitis si era rifatto nel girone battendo la coppia argentina Clerc-Vilas e regolando Telscher in semifinale. Ma una differenza sostanziale si trova tra la prima sfida e l’ultima : la finale si gioca 3 set su 5. Gerulaitis è sopraffino nei primi due set, ma onestamente è una gran partita anche per merito di Lendl. Il contrasto di stili è splendido : la potenza del giovane ma già fortissimo cecoslovacco, che basa la quasi totalità del suo gioco da fondocampo, e la leggiadria, la velocità, il gioco costantemente
votato all’attacco di Gerulaitis che ricorda un po’ la massima di Muhammad Ali, leggero come una farfalla e pungente come un ape. Gerulaitis si porta comodamente due set a zero, dopo un lottato tiebreak e un netto 6-2 nel terzo. Nel terzo parziale si va in un secondo tie-break, con Gerulaitis che ha la palla della vittoria sul 6-5 ma non la trasforma, perdendo tre punti di fila. Mentalmente è un duro colpo che il lituano non può non accusare, nonostante un discreto quinto set ceduto con onore al 10° gioco. Lendl si conferma come l’astro nascente del tennis mondiale. Becker-Lendl 1988 Le successive due finali che andremo a rivivere non sono semplicemente tra le più belle finali nella storia di questa manifestazione, ma si ritagliano a pieno titolo un posto tra le più grandi mai giocate da quando esiste questo sport. La finale del 1988 e poi quella del 1996. Andiamo con la prima, una partita di rara bellezza e tensione. Quasi un avventura nella New York notturna del Madison Square Garden. Quasi 5 ore (4h44m) di tecnica e potenza, tattica e stile con ancora Ivan Lendl in
campo (alla 9° finale consecutiva nel Masters, l’ultima) e Boris Becker, già battuto due volte nel 1985 e nel 1986 nell’atto conclusivo delle Finals, sempre da Lendl. Va fatta una premessa, il fuoriclasse cecoslovacco viene da una stagione difficile, che lo ha visto imbattersi in un infortunio alla spalla, mesi travagliati, una finale agli US Open persa in 5 ore con Wilander che gli è costato anche il primo posto in classifica mondiale. Un Lendl non al meglio ma che a New York aveva ritrovato una certa brillantezza e anche un certo spirito, di rivalsa, che per lui rappresentava il prologo del 1989. Come diceva sempre “per me il Masters è l’inizio della stagione successiva, non la fine di quella precedente” per via di quella curiosa ma inevitabile collocazione a gennaio.
Nel 1988 siamo a dicembre ma la sostanza per Lendl è che il torneo fosse una strada per arrivare agli Australian Open l’anno successivo. Raccontare la partita è difficile, consiglio di vederla integralmente, magari in più parti. I punti spettacolari sono tanti, merito di Rosso Malpelo Boris che di classe e personalità ne aveva da vendere, merito della solidità granitica, quasi ossessiva del suo avversario. Il quinto set è un controbilanciarsi di emozioni e situazioni. Lendl serve per il match, arriva a due punti dal titolo, viene raggiunto. Nel tie-break sono di nuovo entrambi a due punti dal trionfo. Il match-point è uno dei più belli mai visti nella storia, uno straordinario scambio di 37 colpi con una
Lendl nella storia del Masters rappresenta un monumento assoluto con i suoi 5 titoli (3 consecutivi) e soprattutto per le 9 finali in 9 anni conclusione degna del più grande colpo di scena, beffardo. Un nastro maledetto (per uno) e benedetto (per l’altro). Vedere per credere. Ah, a vincere sarà Becker, Lendl conquisterà l’Australian Open due mesi dopo. Sampras-Becker 1996 Via Lendl, che nella storia del Masters rappresenta un monumento assoluto con i suoi 5 titoli (3 consecutivi) e soprattutto per le 9 finali in 9 anni che rappresentano un record ineguagliato e ineguagliabile, rimane Becker a portare il testimone. Vincente nella prima finale (1988) ma perdente in questa, giocata 8 anni dopo, in un altro continente, dalle Americhe alla sua Germania, ad Hannover. Contro un'altra leggenda, Pete Sampras. E’ una sfida diversa, che va a tutta velocità. I materiali si sono evoluti, le racchette sono più potenti. Becker e Sampras servono fulmini. Ma che partita. Eppure qualcuno descrive questo tipo di tennis noioso… sarà pure, ma non quel match. Potenza e classe allo stato puro. E’ il più anziano a partire meglio dai blocchi, Becker, che vince un fondamentale primo set. Il tedesco è in una giornata di grazia, farà una grandissima partita, ma complessivamente Sampras era un giocatore migliore, nonostante l’americano quel giorno viaggi sempre sul filo dell’equilibrio, vincendo un tie-break nel secondo set che se l’avesse perso ora probabilmente staremo parlando di un'altra storia. Ma lo sappiamo bene, il corso dell’evoluzione non si segna con i sé e con i ma. Sampras serve due volte per non
andare sotto per due set a uno, ma si porta lui avanti portando in cascina un altro tie-break. Nessuno può cedere di un millimetro, è un saggio di servizio e risposta, di colpi precisi, di geometrie velocissime. Una partita spettacolare. Nel quarto set si pensa ad un assolo dell’americano, ma il tedesco tiene botta, si salva in diverse occasioni, vince un tie-break tesissimo e porta la contesa al quinto con la seria possibilità di giocare 4 tie-break in una singola finale del Masters, ovviamente mai successo. E non succede, perché nel quinto set (con Becker a inaugurare i servizi, quindi con un piccolo vantaggio) la partita si spacca nel nono gioco, sul 4-4. Con un paio di passanti strepitosi, uno di dritto e uno di rovescio, Sampras effettua il break decisivo accompagnato con tanto di urlo belluino,
poco consono alle sue caratteristiche. Allo scoccare della quarta ora di gioco, Pete vince il suo 3° Masters (ne vincerà altri due, nel 1997 e 1999) dopo un altro scambio memorabile. Bello il sincero abbraccio finale tra i due campioni nel fragoroso applauso di Hannover. Di partite come quelle, se ne vedranno poche negli anni successivi, per non dire nessuna. Nalbandian-Federer 2005 Passano 9 anni prima di ritrovare un'altra finale storica. Leggendaria, mi sembra il termine più corretto. Leggendaria per il contesto, per l’importanza storica, per le situazioni, per il match nella sua valenza più assoluta, per il grottesco di una vicenda che ha dell’incredibile a tratti. Federer e Nalbandian sono i protagonisti della più grande finale del Masters degli ultimi 10 anni certamente, ma tra le più grandi di sempre (non a caso l’ho inserita nella lista). Come nel 1996 anche a Shanghai (il Masters nel frattempo è volato in altri nidi, ora siamo in Asia) si giocano 3 tie-break (uno dei quali davvero splendido, il secondo). Federer ha appena realizzato un'altra delle sue stagioni stellari e si presenta all’ultimo match con la possibilità, vincendo, di eguagliare il fantascientifico record di John McEnroe con 82 vittorie in 85 partite. Roger è 81-3 con un ultima partita da giocare. Non perde da 3 anni nel torneo dei Maestri, non perde una finale da oltre 2 (nel frattempo ne ha messe insieme 24…), non perde un singolo match oramai dalla primavera (35 match).
Ma ha avuto un serio infortunio alla caviglia nel mese di ottobre che gli ha impedito di giocare il suo torneo, Basilea, e quelli di Madrid e Parigi-Bercy (chissà a quanti match sarebbe arrivato senza questo problema…), ma recupera in tempo per il Masters anche se con una condizione molto approssimativa, senza aver fatto un richiamo fisico importante. Ha già battuto Nalbandian nel torneo, all’esordio, primo match del Round Robin, ma sulla distanza di due set su tre. Tre su cinque è tutta un'altra storia. Ci vogliono forza e gambe. Due tie-break aprono i primi due set, serratissimi. Premessa : condizioni rapidissime, come poche volte si è visto da allora in avanti (forse Bercy 2010?). Superficie molto liscia, palle rapide, che vanno una meraviglia. Tanti colpi vincenti. Il primo tie-break va a Federer con il punteggio di 7 punti a 4, il secondo va ancora a Federer ma in circostanze molto più assurde. Annulla un paio di set-point e chiude 13 punti a 11. Ma dopo oltre 2 ore di gioco, lo svizzero inizia ad accusare la stanchezza e la mancanza di un adeguata preparazione causa caviglia malandata. E all’improvviso cede di schianto. Sotto i colpi letali
di Nalbandian, le lacune fisiche del Re vengono messe a nudo, impietosamente. Vince appena 3 dei successivi 19 game. E’ ko tecnico. Ma è qui – sul 7-6 7-6 2-6 1-6 0-4, una partita morta e sepolta direbbe il sommo Rino Tommasi – che scatta un qualcosa, di indescrivibile, indecifrabile, superlativo. Un qualcosa che nemmeno Federer sarà in grado di spiegare. Orgoglio? Cosa potrebbe essere? Consapevolezza di aver perso la partita e conseguente…mmm.. liberarsi dei colpi e dell’angoscia della sconfitta stessa? Boh. Personalmente non lo so spiegare. Roger cambia marcia e con una rimonta esaltante va al servizio, sul 6-5, per chiudere la partita e diventare Maestro per la terza volta consecutiva.
E’ un qualcosa di assurdo, di incredibile. In soli 20 minuti riuscire a (quasi) vincere una partita morta. 65 30-0 e servizio a disposizione. McEnroe è vicino. Ma c’è un nuovo colpo di scena. Nalbandian con un rovescio sensazionale e un paio di errori dello svizzero riesce a rientrare e poi a vincere un tie-break senza sussulti, con le lacune fisiche di Federer di nuovo insormontabili. Peccato, per Roger, sarebbe stata la vittoria più epica della sua carriera. Per Nalbandian di sicuro è stata la più importante.
NASCE IN ITALIA PAPERMILK LA PRIMA CARTA AL LATTE AL MONDO
FIRMATA SUSANNA BONATI & GRUPPO CONRDENONS SPA
“Essere creativa è una maledetta benedizione con cui sono nata mio malgrado, e da creativa avere ideato PAPERMILK, la prima carta al latte al mondo, è una gioia completamente inenarrabile che oggi posso fare scoppiare. Grazie a Gruppo Cordenons spa tutto che ha creduto in un'intuizione dentro a una bolla di emozione. Sì, nel mondo, da oggi, ci sarà una carta in più: la "MIA"! Così esordisce Susanna Bonati (Direttore della rivista Comunicando e affermata creativa italiana, appena uscita vincitrice dal “Luxury Packaging Award 2014 con la sua shopping bag realizzata per la casa vinicola franciacortina La Montina) all'indomani della fine della manifestazione internazionale “Luxe Pack”
(fiera di riferimento a Montecarlo per il packaging di lusso) dove PAPERMILK, è stata lanciata in anteprima assoluta. L'interesse per una carta così emozionale e intima, nonché precorritrice e anticipatrice delle tematiche del prossimo EXPO 2015, è stato grande e l'emozione altrettanta. Il pubblico italiano e internazionale hanno accolto con vero e impulsivo entusiasmo la nascita di una paper così “densa di senso”, di evocazioni e di nutrimento, come molti visitatori hanno spontaneamente dichiarato. Nutrimento della creatività, del cervello, dell'anima. La cura, la protezione, l'intimità, ma anche l'evocazione del vero lusso fatto di silenzio, di bianco e di spazio armonico hanno conquistato i cuori, porto
È il latte fatto a carta! d'approdo di una carta che, con lo stesso cuore, Susanna Bonati si è inventata e Gruppo Cordenons spa ha prodotto. Cos'è PAPERMILK? È una carta, con cui i creativi di tutto il mondo potranno sbizzarrirsi a dare vita a prodotti per la comunicazione ad alto contenuto aggiunto. Le fibre di latte contenute nella carta, infatti, conferiscono al nuovo supporto non solo un tatto e una morbidezza unici (essendo inclusa anche una percentuale di cotone nella ricetta industriale) ma un immediato rimando alla primordiale necessità vitale del latte materno che, come nessun'altra cosa, ci ha “protetti” e nutriti. Esattamente come PAPERMILK potrà fare con i prodotti contenuti nei packaging realizzati con lei, con il suo morbido abbraccio. Il latte sta al nutrimento nella prima fase di vita come PAPERMILK sta al nutrimento della creatività! È prodotta con fibre di latte, linters di cotone e fibre di pura cellulosa vergine proveniente da fonti gestite in maniera responsabile È il latte fatto a carta! Da dove nasce l'idea? L'idea nasce nella testa di Susanna un anno e mezzo fa, dopo avere approfondito la sua conoscenza sui tessuti a base latte, che nella moda si stanno ricavando uno spazio importante e significativo anche da un punto di vista “cosmetico”, considerato che gli abiti prodotti con tessuti a base fibre di latte consento un rilascio sulla pelle di sostanze lenitive e
PAPERMILK nasce per diventare simbolo del ritorno al primario, all'essenziale, alla cura, alla protezione. ammorbidenti. Susanna ha da sempre considerato la carta, la stoffa della comunicazione, insistendo sul concetto per cui nessun abito sarebbe tale senza un tessuto, esattamente come nessun prodotto comunicativo senza un supporto. Da qui l'istinto forte di volere vedere realizzata un'intuizione “giusta nella pancia”, di quelle di cui solo i creativi conoscono l'anima. Doppie sono le linee che hanno creato in Susanna il disegno di PAPERMILK: l'evocazione emotiva primordiale della protezione invalicabile, e il lusso del silenzio, della tranquillità, del nitore e dello spazio sereno di cui solo il latte può essere emblema. Proprio in un momento storico di grande sovraffollamento di messaggi urlati e di grande confusione, PAPERMILK vuole essere l'angolo della coccola. Il foglio biancolatte su cui riscrivere una storia; la storia; la propria storia...
Perché è unica? Mai era stata prodotta in tutto il mondo una carta che contenesse fibre di latte. Susanna Bonati & Gruppo Cordenons spa hanno rimediato alla mancanza, pensando di elargire coccole a forma di carta... PAPERMILK DETTAGLI: Grammatura: attualmente è disponibile nelle tre grammature 140 gr., 250 gr. e 350 gr. Colori: oggi solo nella nuance biancolatte. Per informazioni: Susanna Bonati email: info@susannabonati.it telefono: 339.42.62.006 www.susannabonati.it Susanna
Serena cinguetta la sua singletudine di Laura Saggio
O la si ama o, pure no.
O la si ama o, pure no. Ma in ogni caso non si può non riconoscerle più meriti, su tutti quello di essere la numero 1 al mondo indiscussa nel campo, che fa sempre molto discutere fuori dal campo. E’ così, eccentrica e provocatrice, furba e sempre sul pezzo. La stagione si è conclusa e ancora una volta il bilancio è dalla sua: Serenona dominatrice della 'scena', tra un paio di momenti sconcertanti (l'attacco del virus misterioso) e tanti, troppi - per le altre - ace. Ma quando le luci della ribalta vanno in vacanza, lei non ci pensa proprio a spegnere i riflettori puntati e decide di cinguettare una trentina di minuti sul suo profilo twitter, cioè al mondo, la sua situazione sentimentale, oggetto di molte curiosità in questo anno tennistico.
Alla domanda di un suo fan: “sei single?” la Williams risponde: “non per scelta”. Ecco così arrivata la risposta che tutti gli appassionati delle love story nate nei circuiti aspettavano da tempo: la relazione tanto chiacchierata con il suo prestante coach Patrick Mouratoglou sembra definitivamente arrivata alla stretta di mano finale. Decisa e sintetica, come sul campo. Lascia i curiosi a bocca asciutta. Dopo due anni di tira e molla, di romantici allenamenti, di intese in campo, di abbandoni improvvisi (a Wimbledon, per esempio), tutto si è così risolto. O forse no? Vedremo, il sentore di chi conosce un pochino come funziona il mondo della comunicazione e della pubblicità, fa pensare che
“Perché solo uno?”
all'inizio della prossima stagione il match sentimentale verrà riaperto a beneficio, ovviamente, della mai sazia vanità di chi è 3 mila- metri sopra il 'ranking'. Per concludere la nostra conoscenza sull'inarrivabile Williams, conoscenza da lei simpaticamente concessaci a suon di passerotto, riportiamo qui alcune delle sue brevi risposte digitate: “il mio sedere è troppo grosso” (in merito all'impossibilità di partecipare alla prossima maratona di New York sulle orme della Wozniacki); e ancora: “brucio tutto” (riferito al suo piatto forte in cucina), e infine: “perché solo uno?” (riguardo la scelta dei super poteri che avrebbe desiderato avere). Autoironica, modesta e ambiziosa, questo il profilo che esce dall'intervista a viso aperto tra fans e super eroina, un profilo vincente comunque la metti. In casa Williams vincere -facile- è quasi un'abitudine. Come conferma Venus, che ha recentemente concretizzato in progetto un'altra sua passione: il design di interni. “Southeast Tennis and Learning Center” , questo il nome della favolosa struttura da 18 milioni di dollari nella quale ha duramente lavorato la maggiore delle due super sorelle. E' un progetto pensato per i bambini che, come ha dichiarato Venus, cambierà la vita: “Come designer realizzi dei progetti che portano un grande cambiamento nelle vite delle persone, l'obiettivo è che i bambini apprendano con più gioia”. Forse un po' meno modesta della numero 1 (ma poi chi ci crede alla modestia di Serena?) e ugualmente ambiziosa. Buon sangue non mente e soprattutto stravince.
Le sorelle Williams ed il problema del sessismo nel tennis di Princy James
Shamil Tarpischev afferma che i suoi insulti alle sorelle Williams volevano essere solo uno scherzo.
Shamil Tarpischev afferma che i suoi insulti alle sorelle Williams volevano essere solo uno scherzo. E’ un peccato che pensi di aver fatto una battuta quando si è riferito alle sorelle Williams chiamandole “I fratelli Williams” durante uno show televisivo. Tarpischev non si è fermato qui ed ha proseguito dicendo che “è spaventoso quando le guardi bene”. Forse dovrebbe chiarire la “battuta” ed illuminarci su questo punto. Il presidente della federazione di tennis russa è stato il più danneggiato da questi insensibili commenti dal momento cheè stato sospeso per un anno e multato di 25.000 $ dalla WTA con l’accusa di insulti insensibili. L’associazione ha agito correttamente portando avanti un’azione
disciplinare ma ciò che l’associazione non può combattere è l’atteggiamento riprovevole che non è limitato al solo Tarpischev; è solo che lui ha detto apertamente ciò che molti altri covano nella propria mente. Ognuno ha il diritto di non gradire un particolare giocatore/giocatrice o di criticare il loro stile di gioco per qualsiasi ragione soggettiva, che si tratti delle sorelle Williams, della Sharapova, di Nadal o di Federer. Non tutti sono appassionati del gioco potente ed aggressivo per il quale le sorelle Williams sono famose. Ma non si può negare che il duo abbia dominato il gioco come nessun altro negli ultimi 15 anni, specialmente Serena che è seconda nella storia delle classifiche avendo vinto
18 titoli del Grande Slam. Anche senza l’etichetta di afroamericane, possono vantarsi di un’incredibile impresa. Richard Williams, padre nonché allenatore delle Williams, ha spiegato molte volte quanto sia stato difficile per lui progettare e infine realizzare un sogno per le sue figlie che sembrava impossibile considerando la sua etnia e la sua condizione sociale. Già dall’inizio è stato come nuotare contro corrente: l’esperienza indiretta che ha avuto come loro allenatore, le molte critiche rivoltegli dai media, i giudizi parziali e, soprattutto, un pubblico ostile. Ma la famiglia Williams ha avuto la meglio quando le sorelle hanno vinto in totale 41 titoli del Grande Slam (25 singoli e 16 doppi); 8 medaglie d’oro alle Olimpiadi (una a testa nel singolo e tre nel doppio). Un record che rimarrà imbattuto per molto tempo, forse per sempre. Resta il fatto che sia triste che non abbiano ricevuto i riconoscimenti dovuti, ma che vengano invece duramente criticate sulla base del loro aspetto. Anni fa Martina Hingis accusò le sorelle Williams di giocare la carta dell’etnia. Disse che essere nere le aiutava ad avere degli sponsor e che godevano di un sacco di vantaggi dall’essere ciò che sono perché potevano sempre giocare la carta della vittima. Possiamo essere tolleranti con la Hingis che all’epoca era una ventenne molto impulsiva anche se è stata davvero una sciocca a pensare una cosa del genere. Se il colore della pelle delle sorelle Williams fosse stato più chiaro, non solo loro ma anche il loro stile di gioco non sarebbero andati incontro a critiche così dure. E’ comunque imperdonabile che giocatori navigati, cronisti eccetera, le accusino di rovinare il gioco.
La bellezza è l’ultimo requisito di un atleta. Sfortunatamente la stampa di solito è felice di avere una bionda, alta e snella da mettere in copertina. Non è mai sbagliato gradire qualcuno per il suo aspetto fisico ma lo è stabilire degli standard di bellezza e cercare di sminuire le giocatrici che non rientrano in questi standard. Questo è esattamente ciò che il presentatore della BBC John Inverdale ha fatto quando si è lasciato andare a commenti denigratori sulla vincitrice di Wimbledon dell’anno scorso Marion Bartoli. La sua immaginazione si è spinta un po’ troppo oltre quando ha espresso il dubbio che il padre della Bartoli le avesse detto che non sarebbe mai stata una persona di bell’aspetto come Maria Sharapova, quando lei era giovane. Bartoli, che ha un
175 ha replicato in modo esemplare dicendo: “Non sono bionda, certo. E’ un dato di fatto. Ho mai sognato di avere un contratto come modella? No. Mi spiace. E ho mai sognato di vincere Wimbledon? Assolutamente sì.” Sharapova è splendida quanto una modella di Victoria Secret ed è una delle persone più sexy del pianeta. E’ comprensibile che sia esaltata per la sua bellezza mozzafiato ma quando parliamo di tennis, dovremmo parlare del suo meraviglioso gioco piuttosto che delle sue gambe sexy. Inverdale con i sui commenti ha involontariamente sminuito anche la Sharapova. Le sorelle Williams sono spesso derise per il loro aspetto fisico muscoloso, specialmente Serena. Ci sono disgustosi video su Youtube che analizzano il suo fisico e spesso oltrepassano i limiti. I media non sono i soli colpevoli qui nel provvedere ai capricci del pubblico. Non sono i soli a definire quali siano gli standard di bellezza delle atlete donna. Tarpischev etichetta Serena come poco femminile per il suo aspetto muscoloso; stranamente Venus, che ha una figura snella, viene anch’essa considerata “mascolina”. Quindi Tarpischev è semplicemente sessista e razzista. Tarpischev ricorda alle sorelle Williams che la loro lotta contro le avversità non ha mai fine e che saranno sempre oggetto di scherno da parte di persone di cattivo gusto come lui, nonostante tutto ciò che hanno conquistato.
WTA Finals di Alessandro Varassi
Un viaggio lungo 33 anni da Houston a Singapore
Battendo Simona Halep in finale, Serena Williams, numero 1 del mondo, ha conquistato lo scorso 26 Ottobre il quinto WTA Championship della sua carriera, terzo di fila. Parliamo del torneo che a livello femminile è il corrispettivo delle ATP Finals: la coppa dei maestri, come veniva chiamata fino a qualche anno fa, dove i migliori giocatori dell’anno si scontrano tra di loro per decretare il “maestro dei maestri”. Una competizione affascinante, che vuole essere una sorta di torneo finale, per decretare, a ragione o a torto, il miglior giocatore e giocatrice della stagione. Per il circuito WTA, l’edizione 2014 ha inaugurato la nuova location, che ospiterà le Finals fino al 2018: il Singapore Indoor Stadium. Stacey Allaster, CEO WTA, è
rimasta entusiasta della risposta del pubblico (4 delle 14 sessioni hanno registrato il sold out), e si è sbilanciata parlando “della migliore edizione della storia delle WTA Finals”. Nata nel 1971, come la competizione maschile anche quella riservata alle donne non ha avuto una sede fissa, seppure segnata a lungo dagli Stati Uniti: fino al 2005, solo 1 edizione su 36 (quella del 2001) si è disputata fuori dagli Usa, precisamente a Monaco di Baviera. Houston, Boca Raton, il Madison Square Garden di New York (ben 23 edizioni), Los Angeles e Oakland hanno fatto da cornice all’evento. Dal 2006 è iniziata una turnazione, che ha visto coinvolte la Spagna con Madrid (3 edizioni), i petroldollari del Qatar con
Le WTA Finals 2014 sono state un successo di pubblico Doah (3 edizioni), la Turchia con Istanbul (altre 3 edizioni(, fino ad arrivare all’attuale Singapore, a testimonianza del profondo interesse del mondo tennistico per l’Asia. Parlare di albo d’oro per questa prestigiosa competizione riporta d’attualità nomi storici, come Martina Navratilova, leader di successi in singolare con 8 affermazioni, Chris Evert, Steffi Graf, Monica Seles, Gabriela Sabatini, Martina Hingis, fino ad una leggenda come Billie Jean King, vincitrice della prima edizione assoluta. Oltre alla sopra citata Serena Williams, con 5 allori. Le WTA Finals 2014 sono state un successo di pubblico: 129mila spettatori durante i 10 giorni della manifestazione, arricchita non solo dagli incontri di singolare e doppio ufficiali, ma anche da eventi di beneficenza, rising stars e vecchie glorie.
Anche le 3 edizioni di Istanbul avevano fatto registrare buoni numeri: nel 2012, i 73.072 biglietti venduti (su 7 giorni) erano stati il record a partire dal 2000, confermati, seppur con un leggero calo, dai 69.983 del 2013, con circa 16.000 spettatori per la finale. 4 delle 11 sessioni a Singapore hanno riempito i 10mila posti a disposizione nell’Indoor Stadium. Qualcosa da aggiustare c’è, ha comunque sottolineato la Allaster (le luci e qualche problemino con il tetto), ma il bilancio è più che positivo, e l’intenzione è quella di mantenere un evento WTA a Singapore anche quando la sede delle Finals traslocherà, dopo il 2018.
Il balzo di Wawrinka e Cilic di Laura Saggio
L'analisi di un curioso destino che accomuna chi raggiunge la prima vittoria in carriera di uno Slam
In pochi nella storia del tennis sono riusciti passando direttamente dai tornei ATP 250 a conquistare un Grand Slam. Stan e Marin sono fra questi. Australian Open lo svizzero, US Open il croato. Un balzo notevole quello compiuto quest'anno dai due professionisti, che si sono aggiudicati due tra i tornei più prestigiosi della stagione, saltando a piè pari gli ATP Master 1000 e ATP 500. Prima di tagliare questo traguardo, Stan aveva vinto 5 tornei ATP 250 (dal 2005 al 2013), mentre Cilic dal 2008 al 2014 se ne era aggiudicati 11. Questo balzo improvviso, che certamente regala molti punti e guadagni, era però già stato scritto nel libro del tennis da altri tre Top Player, che furono poi portatori dello stesso (più che straordinario) destino. Dal 1990 (anno in cui furono definiti i tre livelli di tornei ATP) chi riuscì
nella medesima impresa dei presenti, vinse poi un altro Slam e soprattutto raggiunse il numero 1 del ranking. Chi furono i tre professionisti del salto? L'estroso Gustavo Kuerten, l'attaccante Patrick Rafter e l'eterno Lleyton Hewitt. I tre, che successivamente divennero numeri 1, da giovanissimi si aggiudicarono (dopo il balzo) il loro primo Grand Slam, rispettivamente: Roland Garros 1997, US Open 1997, US Open 2001. Kuerten vinse poi per altre due volte il Roland Garros, Rafter replicò a New York e Hweitt alzò l'anno dopo il trofeo di Wimbledon. Sarà un caso, certo, ma nello sport i precedenti, sopratutto se positivi, danno spinta e carica. Per Stan e Cilic riuscire a replicare l'impresa dei campioni sopra citati vorrebbe dire prima di tutto incidere il proprio nome nell'albo dei tennisti più forti al mondo, e poi confermare la tradizione del balzo ATP 250 - Grand Slam. Vedremo come andrà a finire, per ora rimandiamo l'appuntamento al prossimo anno e chissà forse al prossimo Slam per i Due.
Intervista a Marin Cilic di David Cox
Colui che è stato catapultato sotto i riflettori
“E’ stato molto speciale,” Marin Cilic riflette guardandosi indietro a quel giorno di settembre quando è tornato in Croazia come campione di un titolo Slam, il primo in tredici anni. “Ci saranno state dalle 30.000 alle 40.000 persone nella piazza della mia città natale. Non mi aspettavo assolutamente che si presentasse così tanta gente. Ma molti di loro mi seguivano dagli inizi della mia carriera quindi erano emozionati. L’unica cosa fastidiosa era il poco tempo a disposizione che ho avuto là. Ho a malapena avuto il tempo di sedermi prima di partire di nuovo.” Parlo con Cilic all’interno della O2 Arena di Londra mentre si prepara a fare la sua parte ai World Tour Finals per la prima volta nella sua carriera. È la fine di un periodo che l’ha portato attraverso Olanda, Cina e Russia nelle ultime sei settimane con appena una pausa per respirare. “C’è molta più attenzione adesso,” sorride. “E’ un po’ nuovo fuori e dentro il campo. Gli altri giocatori ti guardano di più. Rispettano un po’ di più il tuo gioco. E c’è più attenzione da parte dei media. Ed è qui che voglio essere.”
Cilic sa che può contare sull’aiuto di Goran Ivanisevic che ha indirizzato la sua pazzia. Lo status di Ivanisevic di icona nazionale nella sua patria è diventata quasi mitica dopo la vittoria a Wimbledon 2001, un momento che il suo nuovo protetto ricorda bene. “Probabilmente è la domanda che viene chiesta di più in Croazia, perché in Croazia tutti sanno dov’erano durante la finale di Goran,” ride. “Probabilmente è uno degli incontri sportivi che siano mai stati visti nella storia croata. Avevo un campo da tennis vicino a casa ed ero là con dei miei amici. E’ stato molto divertente per noi e assolutamente una grandissima vittoria per Goran. Forse un giorno le persone faranno questa domanda per la finale degli US Open.” Il trionfo di Cilic è stato inaspettato, non ha avuto l’atmosfera da fiaba di Wimbledon 2001. apparentemente giù e fuori come competitore, fuori dalla top 100 dalla classifica, Ivanisevic ha dato allo sport una grande storia. “Goran come personaggio è molto amato da tutti in Croazia e vederlo perdere tre volte in finale è stato davvero devastante per tutti,” racconta Cilic. “Sapevamo quanto Wimbledon significasse per lui e quando arrivò alla quarta finale nel 2001, era nell’aria. Tutti si aspettavano che quella volta avrebbe vinto. Era una storia così incredibile che
doveva essere così. Quando si pensa a quante persone lo aspettavano quando è tornato a Split qualche giorno dopo, c’era forse una delle più belle atmosfere di sempre. Quasi 200.000 persone a Split solo per celebrare la vittoria.” Aveva senso che Ivanisevic fosse l’uomo che finalmente sbloccasse il dilemma su come tirare fuori il meglio da Cilic. I loro percorsi si sono incrociati per la prima volta quando un Cilic, allora 9 anni, era tra i raccattapalle per un match di esibizione in Croazia contro Thomas Muster nel 1997. Ci sarebbero poi voluti altri cinque anni prima che Cilic, diventato uno dei top junior in Europa, venisse formalmente presentato.
“Avevo 14 anni e ci allenavamo insieme,”ricorda. “Non parlai molto, ero piuttosto timido e Goran subito dopo l’allenamento disse, “Questo ragazzo ha qualcosa. Diventerà bravo.”, anche se ero nervosissimo e non riuscivo a mettere la palla in campo. Ma lui semplicemente lo sapeva, quindi fu una bella esperienza per me.” Ivanisevic ha continuato a mantenere la stessa profonda condizione che Cilic un giorno avrebbe battuto i migliori del mondo. Per lui, uno dei personaggi più vistosi del tennis, è stato un cambiamento di assetto mentale e personalità, cosa che Cilic richiedeva più di qualsiasi altra per tirare fuori il meglio di sé in campo. “E’ un allenatore molto calmo,” dice Cilic. “La sua personalità è molto diversa ora che allena, rispetto a quando giocava. Sa quello che fa ed è molto divertente, quindi il tempo passa molto veloce. Fin dall’inizio ha detto che dovevo cambiare un po’ il mio carattere. E non è stato facile. Quindi mi sono preso un po’ di tempo per metabolizzare e per capire come dovevo essere durante gli incontri. Ma ho sentito che le cose stavano andando al loro posto dopo l’Open francese. Giocavo contro (Novak) Djokovic e ho giocato un ottimo tennis su una superficie che non era adatta a me.” I campi in sintetico sono sempre stati il territorio dove Cilic è maggiormente pericoloso e non vede l’ora che arrivino gli Australian Open di gennaio, un evento in cui arriva da precedente semifinalista. È facile dimenticarsi quanto fossero diverse le cose dodici mesi fa.
Ivanisevic crede che Cilic possa raggiungere quello che lui non è mai stato capace di fare e vincere un secondo titolo Slam Cilic tornava da una squalifica per doping, in cui è incappato dopo che aveva accidentalmente ingerito una sostanza proibita dopo aver assunto un medicinale per il raffreddore dopo un torneo. “E’ molto lontano nella mia memoria ora, ma sento che da quel periodo ho guadagnato molta maturità,” dice. “Da quel momento ho saputo quello che volevo fare, sto spingendo molto di più in allenamento e voglio usare ogni opportunità che ho per migliorare. Quando ti ritrovi in una situazione del genere, è difficile perché non sai quando tornerai a giocare a tennis. Qualcosa che ami e che hai fatto per tutta la tua vita. E poi quando torni, apprezzi molto di più quello che hai e non vuoi sprecare nessun minuto in campo.” Ivanisevic crede che Cilic possa raggiungere quello che lui non è mai stato capace di fare e vincere un secondo titolo Slam, forse persino sull’erba di Wimbledon, una superficie che sta gradualmente diventando più naturale per lui. Per adesso tutto è roseo, ma Cilic sa che non puoi prendere tutto per scontato nello sport. “Non sai mai cosa ti aspetta dietro al varco,” dice. “Ma il miglior torneo della mia carriera potrebbe dover ancora arrivare. Sono pronto a cogliere le opportunità che mi si presenteranno in futuro nel miglior modo possibile.”
David Goffin: la promessa dopo l'infortunio di Laura Saggio
Il 2014 è stato sicuramente l'anno che ha dato l'avvio decisivo alla carriera del giovane-maturo Goffin
Il 2014 è stato sicuramente l'anno che ha dato l'avvio decisivo alla carriera del giovane-maturo Goffin. I due titoli conquistati e la storica finale giocata a Basilea contro il Maestro, gli hanno permesso di compiere un salto in alto di ben 89 posizioni e di assestarsi così comodamente al 22esimo posto ATP. Non male in un solo anno e a 23 anni. Che fosse un giovane talento lo si era già capito nel 2012, anno in cui giocò un ottimo set al Roland Garros, sempre con papà Federer, ed entrò meritatamente nei Top50. Poi lo stop nel 2013, l'infortunio al polso e un risentimento all'inguine lo portano lontano dai campi e dalla classifica. Un momento duro non solo fisicamente ma soprattutto psicologicamente, fermarsi proprio quando inizi a raccogliere i primi importanti frutti dopo tanti anni di fatica, è una sfida nella sfida. Ma David il carattere ce l'ha, la sua determinazione e costanza si riflettono nel suo gioco, paziente e intelligente. Così, recuperata la forma, tra agosto e settembre di quest'anno ecco arrivare le due prime importanti vittorie (dove batteThiem in finale) e (dove ha la meglio suJoao Sousa) che segnano un promettente ritorno sui campi.
E le promesse non sono disattese, in Svizzera Goffin stupisce tutti arrivando a giocarsi la finale dopo aver sconfitto il Top10 Raonic Questo è David, stupisce e azzittisce, soprattutto quelli che non credevano nella sua forza per via del suo ‘peso piuma’ che non gli avrebbe permesso di competere ad alti livelli. E invece eccolo qui, con tutta la sua astuzia tattica e la sua maturità nello giocare colpo dopo colpo senza mai buttare via palla. Un giocatore speciale, che lavora sodo dentro e fuori dal campo, che dopo l'infortunio è riuscito a trovare le giuste motivazioni ed energie (mentali soprattutto) per affermarsi. Il merito di questo risultato va certamente anche al suo staff, su tutti il coach Thierry Van Cleemput e lo psicologo Fabrice Dezanet. David, il coach e lo psicologo lavorano continuamente insieme, come dichiara Thierry: “Al termine di ogni torneo, facciamo il punto con Fabrice, che poi parla con David per discutere sull’impostazione da avere in campo, dandoci consigli su come affrontare le cose”. Per quanto riguarda invece l'aspetto giocato, Van Cleemput spiega che per tornare da vincente dopo lo stop “David doveva essere ambizioso su tutti i punti”.
I risultati di quest'anno danno ragione al lavoro fatto
I risultati di quest'anno danno ragione al lavoro fatto e segnano il primo importante passo verso il raggiungimento degli obiettivi futuri: gli Slam su tutti. “Il nostro livello deve essere costante e credo che David sia pronto per raggiungere stabilmente i quarti di finale nei masters 1000 e gli ottavi nei tornei del Grande Slam”. Intanto, aspettando il futuro, godiamoci la scalata di questo ragazzino laborioso, recentemente candidato per il “Comeback player 2014” dall'ATP, e magari chissà, forse tra qualche anno parleremo di lui da un'altra ‘altezza’.
Goffin: una stagione da record di Marco Di Nardo
Sembrava essersi quasi perso David Goffin.
Sembrava essersi quasi perso David Goffin. Dopo un ottimo 2012 il tennista belga aveva fatto pensare all'inizio di un percorso vincente che potesse portarlo fino alla Top-10 del ranking Atp. Invece un 2013 negativo lo aveva riportato fuori dai primi 100 giocatori del mondo, e le numerose sconfitte subite all'inizio di questa stagione avevano messo in mostra le difficoltà di un giocatore ancora troppo acerbo per competere ad alti livelli. Nella seconda parte del 2014 Goffin ha invece sorpreso tutti, inanellando una serie di vittorie impressionante, e arrivando fino alla posizione numero 22 della classifica, suo best ranking. E' iniziato tutto nel Challenger di Scheveningen.
David, numero 106 Atp, ha dominato il torneo senza perdere alcun set, e nelle due settimane successive ha trionfato ancora nei Challenger di Poznan e Tampere, continuando a non cedere alcun parziale ai suoi rivali. L'aspetto mentale è spesso decisivo nel tennis, e 30 set vinti consecutivamente rappresentano la miglior cura per un giocatore che in tanti mesi ha perso numerose partite e fiducia. Così una volta arrivato a Kitzbuhel il tennista belga è diventato quasi ingiocabile anche in un torneo di categoria Atp 250. In Austria David ha lasciato per strada qualche set, ma ha comunque continuato a vincere, conquistando il suo primo titolo Atp della carriera.
Il periodo magico del tennista belga non è però terminato
Il periodo magico del tennista belga non è però terminato, e a Metz è arrivato il secondo titolo in stagione e della carriera, prima di un altro successo Challenger a Mons. Goffin si è poi spostato a Basilea e ha conquistato la sua prima finale in carriera in un Atp 500, grazie ai successi su Milos Raonic ai quarti e su Borna Coric in semifinale. Prima della finale, poi persa nettamente contro Federer, David aveva quindi vinto 43 partite su 45, un risultato davvero incredibile e paragonabile anche alle grandi serie vincenti di Djokovic e Federer. Certamente il livello dei tornei in cui Goffin ha costruito la sua serie di vittorie è stato inferiore a quello in cui generalmente giocano i due campioni citati in precedenza, ma non è da sottovalutare un periodo così lungo non perdendo quasi mai per un ragazzo che è comunque ancora giovane. Il giocatore belga, che ha chiuso la stagione perdendo al secondo turno nel Masters 1000 di Parigi-Bercy, potrebbe davvero essere uno dei tennisti più scomodi da affrontare nel 2015. Il suo 2014, in ogni caso, resta una stagione da record.
Davydenko all’ultima fermata di Alessandro Varassi
Il russo, ex numero 3 del mondo, ha salutato il circuito ATP a Mosca lo scorso Ottobre a causa dei problemi fisici
La Kremlin Cup disputata a Mosca è stata l’occasione per Nikolay Davydenko di dare l’addio al circuito ATP: il russo ha deciso di dire basta: troppi i problemi fisici degli ultimi tempi, che ne hanno limitato i risultati negli ultimi anni. Classe 1981, Davydenko saluta con un best ranking di numero 3 del mondo, conquistato ad inizio novembre 2006, e ben 21 titoli ATP. Il fiore all’occhiello è senza dubbio la Masters Cup, oggi ATP Finals, vinta nella prima edizione disputata alla O2 Arena di Londra, nel 2009. Proprio a cavallo tra 2009 e 2010 si è avuto l’ultimo picco della sua carriera, culminata con la clamorosa rimonta contro Rafael Nadal a Doha (vittoria al terzo dopo aver perso per 0-6 il primo parziale),
e una sciagurata sconfitta nei quarti di finale a Melbourne contro Roger Federer, dopo aver sciupato un buon vantaggio. Tre volte trionfatore a livello di Masters 1000 (Bercy 2006, Miami 2008 e Shanghai 2009), nei tornei del Grand Slam vanta 2 semifinali a Parigi e 2 a New York, senza mai essere andato oltre, battuto in 3 occasioni da Federer. La sua annata migliore, quella in cui centrerà anche il best ranking, è senza dubbio il 2006, quando conquista 7 finali e 5 titoli nel World Tour, oltre ad aiutare la Russia nella conquista della seconda Coppa Davis della sua storia. Un robot, come alcuni appassionati lo avevano soprannominato, che pur senza eccelsi mezzi
Davydenko può vantare un record positivo contro Rafael Nadal: sei vittorie a cinque, tre di queste in finale. tecnici ha fatto della resistenza fisica e della tenuta da fondo quando lo scambio si allunga dei veri e propri marchi di fabbrica. Fisico asciutto e longilineo, di Davydenko può dirsi tutto tranne che sia un personaggio fuori dal campo, nonostante gli ottimi risultati. A far parlare di lui è però una storia legata al mondo delle scommesse: siamo nell’agosto 2007, torneo di Sopot, Polonia. Davydenko è opposto a Martin Vassallo Arguello. Dopo aver vinto il primo parziale per 6-2, la quota del russo sul principale sito mondiale di betting exchange incredibilmente inizia a salire, contro ogni logica. Arrivano soldi pesanti a puntare la vittoria dell’argentino, e gli scommettitori avranno ragione: il russo si ritirerà nel corso del terzo parziale, per un problema ad un piede. Scattano le indagini, che non arriveranno mai a nulla: fuga di notizie sulle precarie condizioni di Davydenko,
match truccato? Non lo sapremo mai, ma il russo viene ormai etichettato. Pochi mesi dopo, a San Pietroburgo, viene punito con un warning dal giudice di sedia, accusato di non aver dato il massimo contro Marin Cilic (sì, avete letto bene, è questa la motivazione trascritta nel referto), multato di 2mila dollari, poi condonati in appello. Stessa scena, senza multa ma con siparietto arbitro-Davydenko a Bercy, durante il doppio 6-2 inflittogli da Marco Baghdatis. Non proprio il massimo della vita, essere così tanto chiacchierato nel proprio ambiente per questi episodi. Davydenko ha sempre tirato dritto per la sua strada, senza farsi condizionare, reclamando la sua innocenza (effettivamente prove concrete sul suo conto non sono mai state trovate). Dopo gli ultimi colpi, ricordati in apertura, tra 2009 e 2010, gli ultimi anni non sono stati degni di nota.
Bilancio Azzurre 2014 di Laura Saggio
Pennetta sopra tutte Sara Errani chiude l'anno al 15esimo posto del ranking perdendo 8 posizioni dalla fine del 2013 senza portare a casa nemmeno un torneo. Dopo la finale di Roma Sara disputa ancora un buon match a Parigi contro la Jankovic, ma nei tornei successivi sembra perdere costanza, fiducia e incisività e l'efficacia del suo gioco viene meno. Poca profondità di palla, difficoltà a misurarsi sulle superfici veloci, scarsa . In doppio invece si conferma la numero 1 del mondo (in coppia con la nostra maestra di tocco Roberta) con due Slam vinti (Australian Open e Wimbledon), una finale al Roland Garros e il Career Slam complessivo. Un 2014 tra alti e bassi - più bassi che alti - per le azzurre. Sara, Roberta, Francesca, Karin, non hanno espresso il loro miglior tennis durante questa stagione. Meglio Camila. L'unica: Flavia, che eguaglia il 2009 chiudendo alla 12esima posizione, grazie alla finale di Sofia, l'ultimo torneo WTA in programma. L'anno di Flavia l'abbiamo analizzato nel redazionale “Focus Flavia” (pubblicato sul precedente numero) che terminava con un incoraggiamento alla brindisina a compiere uno sprint finale. Così è stato, complimenti Flavia. Dopo cinque anni, sono di nuovo solamente 11 le tenniste al mondo che precedono la numero 1 del tennis femminile italiano. Il successo a Indian Wells, l'infortunio al polso, l'operazione, 32 anni e la riconferma di se stessa, con una consapevolezza in più, come dichiara Flavia durante un'intervista: “sono tosta, non mi arrendo mai e non mi considero mai arrivata”. Con queste premesse di forza ritrovata e una nuova serenità durante i match, figlia di tanto lavoro su se stessa, gli scenari per il prossimo anno sono tutti aperti in casa Pennetta, compresi quelli in doppio.
Camila Giorgi chiude al 35esimo posto, guadagnando 63 posizioni in classifica (fine 2013 n.98). Pur non avendo vinto alcun torneo, il suo è stato un buon anno. Oltre alla scalata in classifica e alle due finali (Katowice e Linz, perse per la poca esperienza nel giocare e gestire la tensione emotiva durante i match point), la più giovane delle azzurre incassa tre ottimi successi contro le top10, segnali importanti per il futuro. Da migliorare sicuramente il suo rendimento, ancora troppo altalenante, e la fiducia nei punti decisivi del match. Roberta Vinci si aggiudica quest'anno la 49esima posizione. Perdendo ben 35 posti in classifica dal
2013. Un serio balzo indietro. Una stagione, doppio a parte ovviamente, tutta da dimenticare (pur avendo raggiunto le due finali di Istanbul e Bucarest). Sei sconfitte al primo turno nella prima fase della stagione, una forma fisica non ottimale, scarsa fiducia e poca sicurezza nell'esprimere il suo gioco, completano un quadro tecnico-fisico da resettare per affrontare al meglio la prossima stagione. Francesca Schiavone termina il 2014 all'82esimo posto, perdendo 43 posizioni dallo scorso anno. Anche per lei una annata nettamente negativa. Nemmeno un turno superato negli Slam ed esclusa la buona prestazione di Roma tutto il resto della stagione non è stato particolarmente degno di nota.
Peccato perché la Leonessa ci aveva abituati ad altri guizzi e altra determinazione mentale, che forse è venuta un po' a mancare. Aspettiamo fiduciosi un ultimo salto prima degli applausi finali. Karin Knapp termina il 2014 alla 56esima posizione del ranking lasciando sui campi 15 posizioni (nel 2013 numero 41 WTA). Nonostante un inizio di stagione positivo, con la bella prestazione contro Maria Sharapova agli Australian Open e il successo in Fed Cup, anche il suo anno è andato lentamente spegnendosi, con sette sconfitte incassate al primo turno. Nella seconda parte della stagione Karin si è data una scossa, vincendo per la prima volta in carriera un torneo del circuito maggiore (Tashkent). Anche per lei la tenuta mentale, oltre a un gioco forse troppo poco efficace e costante, è l'aspetto sul quale soffermarsi in vista di un 2015 più in fiducia e grintoso. Il quadro appena descritto conferma che sono di fatto ancora le veterane a portare avanti i colori azzurri nel mondo (ma non ne avranno ancora per molto). Esclusa la Giorgi, non ci sono per ora giovani ragazze pronte a battersi a livelli più alti. Questo certamente non è un bene, perché presto il tennis italiano femminile avrà bisogno di un naturale cambio generazionale e tutti noi vorremmo che fosse all'altezza delle nostre eccezionali ragazze, che in questi anni ci hanno regalato tante soddisfazioni indimenticabili facendoci onore nel mondo.
Come si trucca una partita e come salvare il tennis di Marco Avena
Ancora una volta, purtroppo, le scommesse sono tornate di attualità nel mondo del tennis.
Proprio il tennis è uno di quegli sport che più si presta a “pilotare” le partite perché essendo uno (o al massimo due, se c'è accordo con l'avversario) l'attore chiamato in causa, è più facile dirigere la sfida in un verso o nell'altro. Mentre nel calcio o in altri sport di squadra per condizionare una partita ci vuole spesso la cooperazione di più individui, nel tennis basta una singola chiacchierata per alterare l'andamento in un match, lo hanno confermato anche i vertici di Sportradar AG, società leader a livello mondiale nelle attività di contrasto e prevenzione delle frodi sportive, che controlla i flussi anomali di betting a livello internazionale attraverso il Fraud Detection System: “Tecnicamente, truccare un match di tennis o addirittura un set è più agevole rispetto ad una partita di calcio – confermano da Sportradar AG –. Noi abbiamo dei modelli matematici e delle
modalità di osservazione che cambiano da sport a sport. Scommesse concentrate su tornei Challenger? Dipende dalle quote e dall'offerta di betting dei bookmakers, che sono poi quelli che ci rimettono dei soldi”. Senza entrare nel merito di chi abbia fatto cosa, senza citare i possibili colpevoli di cui si occuperanno le varie Procure (in questo caso, in Italia, è quella di Cremona che se ne sta occupando sul filone di quanto già emerso nel calcio), vogliamo spiegarvi come sia possibile combinare un incontro o solo una parte di esso, visto che – e se siete oltre che appassionati anche scommettitori lo sapete – è possibile puntare anche su un solo singolo set. Il fatto che proprio nell'ultimo anno gli allibratori italiani abbiano esteso l'opportunità di puntare anche su eventi più piccoli – Challenger o Itf – di certo non facilita la salvaguardia del nostro sport. Mentre dagli ATP 250 in su è più difficile condizionare un incontro, proprio grazie ai riflettori che sono puntati sul torneo, nei cosiddetti tornei minori la cassa di risonanza più bassa fa sì che tutto passi maggiormente in secondo piano e che un match con un giocatore sfavorito capace di imporsi (o di vincere un set) contro uno con una classifica nettamente migliore quasi non faccia
notizia. Se poi aggiungiamo che in una situazione “pulita” possa pure succedere che il numero 800 del mondo batta il 250 senza inganno, tutto ciò complica ulteriormente le cose. Scommettere può essere un piacevole divertimento per l'appassionato che vuole entrare più nella sfida, magari guardandola da tv, ma è inammissibile se collegata a un tennista pro, uno che per sbarcare meglio il lunario si improvvisa faccendiere e lestofante per far guadagnare meglio sé e i suoi “amici”. Ma come si fa a truccare una partita? Beh, diciamo che rispetto al passato è tutto più facile. Nel mondo di internet e della comunicazione immediata, in cui tutto corre più veloce, basta avere con sé un computer, un conto a uno o più
bookmaker online e il gioco è fatto: non servono valigette piene di soldi, non servono incontri nei peggiori posti della città lontano da occhi indiscreti, bastano una buona connessione al web, una chat e come per magia tutto ha inizio: in men che non si dica i soldi di chi è mandante finiscono sul conto di chi è pronto a truccare la partita e il resto sarà il campo a dirlo. Se, poi, chi scende in campo con l'intento di condizionare un match decide anche di scommettere contro se stesso o contro l'avversario (a seconda della decisione presa a “tavolino” in precedenza), allora il guadagno diventa doppio. Io, giocatore pro, posso anche non avere un conto di scommesse online, ma posso registrarne uno a nome di un amico, di mia sorella o di mio zio. Come detto, non ci sono molti individui coinvolti, basto solo io ed eventualmente il mio avversario. Non c'è il rischio che altri possano rovinare la “festa”, perché un doppio fallo o una palla malamente messa in corridoio faranno il resto. Venitemi ad accusare di aver volontariamente sbagliato una corta o di aver sparato un dritto fuori di 30 centimetri.... Se io vinco una partita dopo aver volutamente perso il primo set sarò ulteriormente meno sotto i riflettori perché la giustificazione sarà: “Non sono subito entrato in partita, ma alla distanza la mia migliore condizione ha prevalso...”. Se poi i due giocatori sono d'accordo, si spartiscono i primi due set e nel terzo se le danno di santa ragione per il successo finale, diventa tutto più semplice.
Nessuno si accorgerà di nulla e alla fine del match entrambi usciranno dal campo con le tasche piene. Il tennis, mondo itinerante per eccellenza, poi fa il resto: sempre io, giocatore pro italiano che mi trovo a giocare in Ecuador, per esempio, acquisto una sim card del posto o mi connetto da un internet point locale, scommetto sul mio conto (meglio se su un provider asiatico non soggetto al controllo Aams – l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato in Italia) e tutto filerà liscio come l'olio. I soldi vinti? Anche per quello c'è una soluzione: esistono i paradisi fiscali, esistono i conti con prestanome. Ogni controllo in un modo o nell'altro è aggirabile. I moralisti, giustamente, lanciano proclami, si adoperano a operare nel modo più trasparente possibile e a cercare la verità, ma per un momento lasciateci essere cinici e realisti: nel mondo delle transazioni digitali e dei codici binari, non esiste soluzione a tutto ciò. Era, è e sarà sempre impossibile arrestare fenomeni di questo tipo, il calcio lo insegna: è dagli anni '70 che ne sentiamo
parlare e puntualmente si ripresenta. Il tennis non fa e non farà eccezione. In un mondo dominato dal dio denaro, è impossibile fermare un fenomeno di questo genere. È triste da dire, ma ci sarà sempre modo di farla franca e una volta concluso un processo si penserà di aver chiuso un caso, almeno fino alla prossima volta. L'unica salvezza? L'essere umano, già proprio lui, la mente criminale che ha architettato tutto. Fare attività di educazione e prevenzione potrebbe salvare il nostro (e gli altri) sport: la presa di coscienza di un atleta davanti a situazioni concrete è emblematica, è una leva su cui bisogna agire con forza e senza fermarsi.
Se il giocatore capisce che sta rovinando tutto ciò per cui ha sudato e faticato, allora potremo dire di aver salvato il tennis!
Il tennis allena la vita di Stefano Massari
Senam in vivasdam Natum is es Marem escessi licaventis. Ahabesin dem es ce tam
Mi trovo a La Spezia ed è sabato pomeriggio, è luglio e fa caldo. Per le strade quasi nessuno, forse per via dello scirocco che ingrigisce il cielo e avvolge tutto impastando le cose, avviluppandole le une alle altre fino a renderle quasi indistinguibili. Ho appena finito una riunione con alcuni colleghi e cammino verso la stazione. Ad ogni passo la camicia mi si attacca un po' di più alla pelle. Sento il peso del cellulare nella tasca dei jeans e mi viene in mente che questa mattina Luca ha fatto l'esame di maturità. Luca è un tennista, classifica 2.5, con cui lavoro da anno. Un ragazzo con un'intelligenza viva e un desiderio di dare e ricevere amore grande quanto la sua impulsività, commovente quanto la sua trasparenza. Decido di chiamarlo.
Prima ancora di dirmi ciao cerca di spiegarmi come mai non mi aveva ancora telefonato e non capisco bene cosa mi dica. Parla di qualcosa che ha a che fare con la scomparsa o la rottura di un cellulare. Poi, come se continuasse a parlare dello stesso argomento, mi dice che l'esame è andato bene e visto che mi conosce mi dice già quello che vorrei sapere, vale a dire cosa significa bene. Significa che, mentre la sera prima se la stava facendo sotto, questa mattina si è alzato pensando all'esame in un altro modo. Ho pensato, mi dice, che un giorno come questo nella vita non mi capiterà più e allora ho deciso di vivermelo per la sua unicità. Per ricordarlo tutta la vita non come un incubo, ma come un giorno intenso e bello.
Non explabo remquatiam fugia quat eos sus, sum Questo pensiero, va avanti Luca, ha cambiato tutto. Mi ha permesso di sedermi davanti alla commissione d’esame con uno spirito diverso e di dare il meglio di me. Sono riuscito a dire tutto quello che sapevo e quando non sapevo qualcosa sono riuscito a non perdermi nel silenzio. Non faccio in tempo a intervenire nella conversazione che subito aggiunge di aver anche aiutato una compagna di scuola, trasferendole la propria filosofia. Sono contento di me, mi dice, e qualunque voto prenderò non avrò rimpianti. Finalmente fa una pausa, forse per respirare, e allora riesco a fargli presente che oggi mi ha detto la cosa più importante da quando lavoriamo insieme. Perché è riuscito a portare nella vita
una competenza che sta da tempo allenando sul campo da tennis. Vale a dire considerare le gare, e dunque le sfide, come un momento di gratificazione, di divertimento, di crescita e lo ha fatto attraverso la ricerca del senso delle cose, della vita. Per uno come lui e come tanti agonisti con cui lavoro, spostare l’attenzione dal risultato alla prestazione è un passo molto difficile. Ma quando ci riescono, vale a dire quando riescono a concentrarsi non sulla vittoria o sulla sconfitta, ma su ciò che più dà loro gratificazione e piacere dunque il gesto tecnico o atletico o i valori che riescono ad esprimere con la loro presenza in campo, ecco che cambia il modo di vivere la partita e di conseguenza una parte significativa della loro vita. Ma gestire lo stress non è facile; perché viviamo, tutti, nella cultura del risultato. Quando, da ragazzo, tornavo a casa da scuola, mia madre non mi chiedeva cosa avessi imparato, che cosa mi fosse piaciuto delle lezioni o dell’interrogazione o del compito in classe, ma semplicemente mi domandava quale voto avessi preso. Non sostengo, sia chiaro, che i risultati non contino. Sostengo però che pensare solo al risultato ci porti a concentrarci su ciò che non dipende interamente da noi e per questo generi ansia. Mentre concentrarci su quello che desideriamo fare per raggiungere il risultato ci porta a considerare azioni e gesti che dipendono da noi e molto spesso ci danno gioia in sé e per sé.
Inutile notare che, tra le altre cose, questo secondo atteggiamento ci aiuta a raggiungere risultati positivi molto più del primo. Mentre Luca ed io ci salutiamo e ci diamo appuntamento alla prossima settimana, penso che il pensiero di Luca a proposito dell'esame e della sua unicità, in vero, valga per ogni giorno della sua e della mia vita e della vita di tutti e che se riuscissimo a vivere ogni istante con questa consapevolezza o almeno con questo spirito probabilmente vivremmo meglio. Però non faccio in tempo a dirglielo e forse neanche desidero farlo. Perché credo che quel pensiero sia già dentro di lui, magari non ancora così chiaro, magari non ancora trasformato in parole e che le parole che troverà lui per dirmelo saranno migliori delle mie.
Salgo sul treno e mi rimetto il cellulare in tasca. Il treno parte. Prima di entrare in galleria guardo in alto verso le nuvole grigie e pesanti e chissà perché mi aspetto di vedere un piccolo frammento di cielo.