N째22 - Dicembre 2014
Tennis World Analisi della finale di Coppa Davis: merito della Svizzera o demerito della Francia?
Il Tennis Giapponese
Novak Djokovic: stagione da record?
Il collegamento tattico/tecnico
Analisi della finale di Coppa Davis: merito della Svizzera o demerito della Francia? by Giorgio Giannaccini
Una cosa è certa, la sconfitta in Coppa Davis non è stata presa poi così tanto bene in Francia
Una cosa è certa, la sconfitta in Coppa Davis non è stata presa poi così tanto bene in Francia, e i maggiori giornali transalpini non hanno esitato nel dare la colpa a colui che è stato inquadrato come l'artefice di questa storica disfatta: il capitano non giocatore Arnaud Clement. Clement, dal canto suo non è nemmeno l'ultimo pivellino venuto per caso nel ruolo di capitano, difatti vanta una carriera davvero buona, pur non essendo stato né un Yannick Noah né un Cédric Pioline: è stato fino al suo ritiro uno dei migliori doppisti al mondo, top 10 fisso, vincendo nel 2007, proprio in questa specialità, Wimbledon, in più, vanta da singolarista la posizione n°10 del ranking mondiale. Il suo gioco non era nemmeno brutto a vedersi,
nonostante i suoi pochi centimetri – 1.72 – era in grado di battere spesso sopra i 200 km/h, gran giocatore di volo e di tocco, e abbastanza incisivo anche da fondo campo, riuscì a raggiungere nel 2008 – praticamente da redivivo, visto che era ormai in declino – un'incredibile quarto di finale a Wimbledon. Insomma, un giocatore che non ha troppi rimpianti per quello che ha raggiunto in carriera, specie in un tennis, come quello d'oggi, fatto di potenza fisica e atletismo, dove i giocatori di tocco vengono svantaggiati – pensiamo, sempre parlando di francesi, a Michael Llodra: se fosse nato negli anni '60 avrebbe vinto diversi Slam nell'erba, invece ormai da ritirato, non solo non ha vinto nulla, ma ha raggiunto al massimo 21° posizione mondiale di
Solo il doppio sembrava equilibrato perché, se da una parte c'era la coppia semifinalista al Masters di quest'anno – ovvero Roger Vasselin – Benneteau -, dall'altra c'era la coppia medaglia d'oro alle Olimpiadi di Pechino del 2008 singolare (pur vincendo in doppio molto, come 3 Slam e la 3° posizione mondiale). Ciò che appare quasi sicuro è che non sarà riconfermato per il prossimo anno, ma questo relativamente ci importa – anche se, sicuramente, un po' ci dispiace per lui -, quanto capire se egli abbia realmente delle colpe – fuori, insomma, dalla partecipazione emotiva francese – o se effettivamente non sia stata colpa sua ma merito degli svizzeri. Partiamo da un presupposto lapalissiano, la Svizzera era favorita, anzi probabilmente abbastanza favorita. Per quanto la Francia abbia la migliore scuola tennis mondiale assieme alla Spagna – entrambe le suddette scuole possono vantare, durante l'anno, una decina abbondante di giocatori in top 100 – e abbia diversi giocatori che hanno stazionato anche – e con buone posizioni – in top 10, la Svizzera arrivava da
molto positivo, avendo un rigenerato Roger Federer – nonché il più grande giocatore di sempre – e uno Stanislas Wawrinka che aveva vinto, proprio in questo anno, il primo Slam e che stava conoscendo la sua migliore annata tennistica. Il ranking parlava chiaro: Federer n°2 al mondo, Wawrinka n°4. E già questa era una brutta premonizione. Solo l'improvviso infortunio di Federer alla schiena – rimediato all'ultimo, nel Masters di fine anno contro il “gemello” Wawrinka – sembrava aver rimesso le carte in tavola. A dire il vero, solo il doppio sembrava equilibrato perché, se da una parte c'era la coppia semifinalista al Masters di quest'anno – ovvero Roger Vasselin – Benneteau -, dall'altra c'era la coppia medaglia d'oro alle Olimpiadi di Pechino del 2008, – e come già spiegai in un altro articolo - solo una scarsa applicazione dei due elvetici aveva minato
profondamente lo scarso risultato ottenuto dai due nella Olimpiade successiva. Dunque, almeno in questo confronto, sembrava esserci partita pari. Wawrinka ha fatto suo il match con Tsonga. Non uno Tsonga perfetto, ma Wawrinka era il favorito ed ha vinto – e per quanto in un match contro Tsonga possa succedere di tutto – c'era da aspettarselo vista la forma dello svizzero “minore” (tra l'altro fresco di semifinale al Masters). Mentre è stato proprio l'infortunio alla schiena a far perdere Federer in maniera indecorosa contro Monfils. Diciamoci la verità: quest'anno Monfils aveva messo in grandissima difficoltà Federer, facendolo vincere solo al quinto set agli Us Open, dove si era visto annullare in faccia due match point nel quarto set dall'elvetico, ma un Federer che viene dominato totalmente da
fondo campo e perde tre set a zero, beh, ci pare pure fin troppo logico dire che era una sbiaditissima copia del Federer visto quest'anno e che, con tutta la simpatia per Monfils – che ugualmente è stato bravo a vincere la partita -, quest'incontro – dalla visuale di Federer – è stato compromesso dall'infortunio alla schiena, che aveva messo in dubbio, fino all'ultimo, la sua partecipazione alla finale di Coppa Davis. Quindi, un infortunio a testa, e uno a uno palla al centro? Nossignore! Reputiamo che l'infortunio di Tsonga sia stato meno grave e meno invasivo di quello che aveva subito Federer. Perché, se da una parte Tsonga era già sfavorito, e comunque un minimo equilibrio c'è stato – Tsonga ha vinto almeno un set -, Federer non si è visto minimamente in campo contro un giocatore, sì molto forte, ma comunque di levatura molto minore rispetto a lui. Il doppio è stata la discriminante che ha deciso la finale, e forse proprio qui c'è stato il primo e vero errore tattico del capitano francese Clement. Perché non schierare l'ormai collaudatissima coppia – ma anche prolifera – Roger Vasselin-Benneteau? Contro un doppio che sicuramente sarà tostissimo come quello elvetico? E a questo punto, escluso improvvisamente Roger Vasselin – giocatore che ha nella volèe il suo miglior colpo -, perché far giocare Gasquet e non l'appena ritirato Llodra – comunque convocato -, che è stato il miglior doppista di Francia degli ultimi vent'anni? Ecco, questo è stato un clamoroso autogol, perché una partita che si presentava incerta, e quasi
Un non perfetto Arnaud Clement, ma non un traditore della patria, come ci vogliono far credere i rotocalchi francesi. “Sbagliare è umano”, diceva il vecchio saggio. sicuramente da concludere al quinto set, proprio per queste scelte, si è trasformata in una vittoria facile per la Svizzera in tre comodi set. A questo punto, “Il dado è tratto” come disse il celebre Giulio Cesare, e la vittoria della Svizzera appariva ormai una mera formalità, era difficile che almeno uno dei due svizzeri non vincesse il proprio incontro. L'infortunio di Tsonga, prima del match di Federer, non aveva migliorato la situazione di un destino, però - come già detto - che sembrava ormai già scritto. Ovvio, la conferma di Gasquet, questa volta nel singolare, appare tutt'ora incomprensibile, perché Gasquet ha quasi sempre perso in carriera contro Federer – escluse appena due vittorie del transalpino – ed una vittoria addirittura al meglio dei tre set appariva quasi totalmente utopica. A questo punto era meglio far giocare – viste anche le prestazioni di fine anno – la bestia nera di Rogere Federer, ovvero Gilles Simon. Ma sinceramente credo – vista anche, col senno di poi, la prestazione di Federer contro Gasquet – che ci sarebbe stato poco da fare anche per Simon, difatti Federer è sembrato pienamente ripreso dall'infortunio e apparso, come diverse volte quest'anno, ingiocabile. Il resto è storia, o se volete cronaca sportiva. Sta di fatto che la Svizzera era discretamente favorita ed ha vinto, mentre la Francia ha probabilmente aiutato la più quotata Svizzera – soprattutto nel doppio -, ma a parte ciò non ravviso gravi colpe, anche se, sbagliare un singolo incontro a questi livelli, può compromettere tutto il match, e forse è anche accaduto.
Il Tennis Giapponese di Marco Avena
Un tennis fino a poco tempo fa quasi sconosciuto ai più e negli ultimi tempi salito agli onori delle cronache.
Da giornalista di sport ma, soprattutto, da appassionato di tennis quale sono, non potevo non andare a Tokyo a fare shopping all'Uniqlo Megastore nel quartiere di Ginza e a vedere l'Ariake Tennis Center, la struttura che tutti gli anni tra fine settembre e inizio ottobre ospita nell'ordine il torneo WTA e quello ATP. È stato quasi un modo per rendere omaggio al tennis giapponese, un tennis fino a poco tempo fa quasi sconosciuto ai più e negli ultimi tempi salito agli onori delle cronache soprattutto grazie a Kei Nishikori, attualmente numero 5 del mondo e primo giapponese ad arrivare alla finale di uno Slam (agli US Open 2014, battuto dal croato Marin Cilic). “Special Kei” è la massima espressione di uno sport che oggi (al 15 dicembre, data in cui scrivo, ndr) vanta altri due giocatori nei primi centro del Mondo, il numero 93 Tatsuma Ito e il numero 100 Go Soeda, oltre a due tenniste come Kurumi Nara, numero 44 del ranking WTA, e soprattutto come l'inossidabile Kimiko Date-Krumm, 43enne ancora in grado di dare battaglia alle più giovani rivali e oggi al numero 89 della classifica.
Quel numero 5 che capeggia a fianco del nome di Nishikori sta destando grossa curiosità in un paese che fino a ieri aveva fatto follie soprattutto per il baseball e per il più nazionale Sumo, ma che pian piano sta scoprendo la bellezza di questo meraviglioso sport. In Giappone nulla si improvvisa, soprattutto quando si tratta di sport: c'è un'organizzazione perfetta e tutto ruota intorno al mondo della scuola. Ed è proprio l'attività sportiva promossa a livello scolastico che sforna i campioni di domani: vi dicevo dell'Ariake Tennis Center e non proprio per caso ci sono voluto andare nei giorni in cui si svolgevano le finali nazionali a squadre: è stato un vero e proprio spettacolo, una partita dietro l'altra, pubblico sugli spalti, giudici di sedia e giudici linea piazzati lì a giudicare le giocate dei giovani tennisti fin dal primo incontro del primo turno e l'ultimo atto giocato su quello stesso centrale che lo scorso 5 ottobre ha premiato proprio Nishikori ai Rakuten Japan Open Tennis Championships. Le finali nazionali sono una vera e propria olimpiade dello sport giapponese, si svolgono a Tokyo e in contemporanea per tutte le discipline. Per Tokyo è un pullulare di giovani atleti in divisa arrivati da chissà quale parte del paese sui famosi Shinkansen – i treni superveloci – che si sfidano su tutti i principali campi sportivi di questa immensa megalopoli.
Lo sport in Giappone è servito nel menù della scuola, i ragazzi sono spinti a praticarlo Da piccolino, come credo molti di voi, guardavo tantissimi cartoni animati – molti dei quali sportivi, da Holly e Benji a Mila e Shiro o Jenny la tennista (guarda caso tutti studenti, ndr) – e abituato a vedere i tornei giovanili italiani e gli impianti che li ospitavano mi ero sempre domandato come fosse possibile che i realizzatori di questi manga disegnassero così tanta gente sulle tribune di queste partite giocate da ragazzi e ragazzini. Pensavo che fosse semplicemente finzione dei cartoni animati. Beh, credetemi, mi sbagliavo. C'è tantissima gente a vedere queste gare e la tv nazionale trasmette anche gli eventi in diretta per chi a Tokyo in quei giorni non può andarci. Lungi da me dire se il loro tennis stia crescendo più del nostro, ma di certo vedere un sistema del genere mi ha fatto pensare: lo sport in Giappone è servito nel menù della scuola, i ragazzi sono spinti a
(aiutati anche nell'utilizzo delle strutture e dei materiali) e non devono sostenere costi che per molti sarebbero impossibili. Un sistema che aumenta il bacino di potenziali giocatori “pro” del futuro. Il tennis laggiù si gioca prevalentemente sul cemento e dove manca il cemento c'è la terra, ma non quella rossa che vi potreste immaginare voi bensì la terra classica, quella polverosa che dalle nostre parti si vede solo su tanti campi di calcio. Già, giocano proprio su quel tipo di terra, specialmente nelle cittadine più rurali (non possiamo dire povere), si adattano e imparano. Ma il Giappone tennistico sta crescendo anche a livello di marchi. Le racchette più conosciute sono da decenni quelle Yonex ma presto potrete vedere sui campi di tutto il mondo anche le Asics.
Il Giappone, un paese tanto diverso dal nostro quanto affascinante, è tutto da scoprire e lo è anche nel tennis I due brand sono celebri anche per il loro abbigliamento e, a proposito di indumenti, i meno giovani come me ricorderanno che qualche decennio fa fu la Mizuno ad entrare prepotentemente nel mercato del tennis ricoprendo di soldi Ivan Lendl nella parte finale della sua carriera. Oggi, invece, sta facendo breccia nel cuore degli appassionati il già citato Uniqlo, il marchio che capeggia su magliette, pantaloncini e calze di Novak Djokovic e Kei Nishikori. Il fondatore di questo brand si chiama Tadashi Yanai, l'uomo più ricco del Giappone e i suoi negozi stanno nascendo come funghi in tutto il mondo. Uniqlo è un universo dell'abbigliamento a 360 gradi, potete trovarci di tutto, dalle mutande ai piumini, passando per pantaloni, maglie, magliette e poi ancora completi da golf e ovviamente da tennis. Il tutto a prezzi moderati. Il Megastore di Ginza ha 12 piani, c'è da perderci un'intera giornata e soprattutto c'è la possibilità di scegliere il completo da tennis del colore che si preferisce. Ma non è finita qui perché i più attenti di voi conosceranno anche la Srixon, l'azienda che con le sue racchette fornisce il sudafricano Kevin Anderson e la già citata Krumi Nara. Il Giappone, insomma, è un paese che sembra proprio intenzionato ad entrare con la forza nel mondo del tennis e se fino a ieri lo faceva solamente con i suoi prodotti, oggi può finalmente contare su un top ten. Il Giappone, un paese tanto diverso dal nostro quanto affascinante, è tutto da scoprire e lo è anche nel tennis. Provare per credere!
Michael Chang di David Cox
"Aiutare Kei era un’opportunità unica”
All’interno della O2 Arena, il magnifico ritrovo del tennis per le ATP World Tour Finals di fine stagione, Michael Chang sta provando a spiegare la combinazione di fattori che l’ha riportato nel circuito, una decennio dopo essersi ritirato. L’influenza di Chang è stata una rivelazione, portando Kei Nishikori alla sua prima finale di un Grande Slam e un posto nella top five dopo appena dieci mesi insieme. “Era davvero un’opportunità unica,” ha detto. “In normali circostanze, probabilmente è qualcosa che non avrei preso in considerazione. Allenare non è qualcosa a cui avevo pensato di dedicarmi. Ma non ci sono stati molti giocatori asiatici di successo in campo maschile,e sentivo che Kei aveva davvero una buona possibilità di andare oltre.” Chang è stato ripetutamente assediato da giovani giocatori, sia negli Stati Uniti che in Asia, gli è stato chiesto di essere il loro allenatore fisso, ma con una
famiglia giovane, dice che non era preparato a dedicarsi a ulteriori viaggi a meno che non fosse qualcosa che non poteva davvero rifiutare. Allenare non soddisfa del tutto lo spirito competitivo di Chang ma dice che ha avuto grande soddisfazione lavorando con giovani giocatori alle clinic di allenamento negli Stati Uniti e aiutando la sua famiglia a capire il gioco. “In generale mi piace allenare”, spiega. “E’ divertente essere in grado di migliorare e ricavo molta soddisfazione nel vedere persone che sorridono sul campo da tennis, divertirsi e vedere i loro occhi che si illuminano e che dicono qualcosa tipo,’Wow, questo mi ha davvero aiutato. Ora mi sento davvero meglio.’ E’ così anche se si tratta di aiutare periodicamente mio padre con il suo gioco e semplicemente incoraggiare le persone con cui entro in contatto.” “Ai livelli più alti, è sicuramente soddisfacente poter vedere Kei migliorare, vederlo soddisfatto e conscio di questo miglioramento, ‘Hey, sto migliorando. Sto migliorando e si vedono i risultati.’ Penso che questa sia una cosa positiva per me.” Ma ci sono state sfide per Chang, in particolare nello sviluppare il livello di pazienza che serve per questo lavoro.
“L’aspetto più impegnativo è sapere che per alcune cose ci vorrà tempo,” dice. “Ti piacerebbe poter dire a qualcuno, ‘Hey vai un po’ di più sulla palla’ e all’improvviso lo fanno e tu non devi più ripeterglielo. Sfortunatamente, come vi dirà ogni allenatore e insegnante, la ripetizione è parte del processo. E richiede tempo. Quando si ripetono continuamente le stesse cose e si prova a instillare nel gioco di qualcuno, serve tempo per far si che queste cose vengano ingranate.” Per Nishikori, Chang ha capito che per renderlo in grado di competere al meglio dei cinque set contro il resistente Novak Djokovic, aveva bisogno di sviluppare qualche opzione in più. Lo stesso Chang si è spinto nel campo di alcuni tra i migliori colpitori di sempre. Ma ha lottato contro le possibilità di
Boris Becker, Goran Ivanisevic, Andre Agassi, Pete Sampras e altri attraverso un mix di accorgimenti, velocità fenomenale e varietà di colpi. “Abbiamo parlato di aggiustare alcune cose del suo gioco e dal punto di vista tecnico,” dice Chang. “Riguarda la flessibilità. Il tennis maschile è piuttosto variegato, quindi aveva bisogno di arrivare al punto in modo che per lui fosse comodo venire avanti e giocare una volèe. Bisogna avere diverse opzioni così si può cambiare tra vari stili di gioco piuttosto che giocare sempre nello stesso modo. Aumentando le opzioni di gioco, si diventa un opponente più duro. Le persone non riescono a tagliarti fuori dal gioco. Volevo aiutarlo così che potesse essere paziente se ne aveva bisogno, ma anche aggressivo o mescolare il gioco.” Nishikori è già arrivato a un punto in cui viene visto tra i favoriti per i tornei più importanti. Solo in pochi si sono sorpresi del fatto che sia arrivato tra i primi quattro alle World Tour Finals lo scorso mese, battendo Andy Murray e David Ferrer prima di diventare l’unico giocatore a togliere un set al campione finale Novak Djokovic. Comunque a Chang farebbe ancora piacere vederlo sviluppare un po’ più di consistenza nell’arco dell’intero anno, su tutte le quattro superfici, per fare il paio con l’inarrestabile Novak Djokovic. “Mi piacerebbe davvero veder diventare più costanti i suoi risultati,” ha detto. “Ha ottenuto qualche buon risultato qui e lì ma non sono stati davvero costanti durante l’anno, e mi piacerebbe costruire un’abitudine di risultati costanti con le occasioni
Con le racchette e le corde di adesso, i giocatori colpiscono la palla molto più velocemente con più giro,e le racchette permettono di farlo di vincere più tornei e inanellare vittorie sui top players.” Lavorare con Nishikori ha aperto gli occhi a Chang su quanto il gioco, e in particolare la tecnologia, abbia fatto passi avanti negli ultimi vent’anni. Ammette di provare un misto di invidia quando ha visto quello che i migliori sono capaci di fare. “Se avessi giocato con il mio vecchio equipaggiamento contro questi ragazzi ora, semplicemente non avrei combinato nulla,” ha detto. “Sicuramente non sarei capace. Con le racchette e le corde di adesso, i giocatori colpiscono la palla molto più velocemente con più giro,e le racchette permettono di farlo. Persino nel Champions Tour, nessuno usa la vecchia tecnologia. Adesso possiamo fare molto di più rispetto a quanto potevamo fare quando eravamo al nostro meglio all’epoca.”
Pezzi da '90 di Valerio Carriero
Molto sta cambiando in entrambi i circuiti, soprattutto in quello WTA.
Il 2014 tennistico non verrà ricordato solo per le incredibili vittoria Slam di Wawrinka e Cilic, per la rinascita di Federer e la Davis vinta dalla Svizzera. O ancora per il Roland Garros numero 9 di Nadal, per la continuità di Djokovic, per lo storico aggancio di Serena Williams a Evert e Navratilova. Molto sta cambiando in entrambi i circuiti, soprattutto in quello WTA ormai orfana di Li Na e con un disperato bisogno di colmare il vuoto dalla pioniera asiatica. Parliamo dei classe ’90, sempre più presenti ai piani alti del ranking o nelle fasi finali dei tornei. Il punto sull’ATP Sono 18 i figli del ’90 nella top 100, ma solo uno nei primi 10 alla fine della stagione. Si tratta di Milos Raonic, il primo nella storia di questa generazione capace di chiudere in top10, ma anche il primo a conquistare la qualificazione alle Finals. Apparizione in chiaroscuro, anche a causa di acciacchi fisici ma poco importa. La sua stagione resta di assoluto livello con solidi piazzamenti anche sulla terra, miglioramenti premiati dal quarto di finale al Roland Garros e dalla prima semifinale Slam qualche
settimana dopo ai Championships. Un solo titolo vinto per lui, ma anche una finale in un 1000 (a Parigi-Bercy). Immediatamente fuori dall’olimpo, c’è Grigor Dimitrov. Il bulgaro, classe 1991, ha anche assaporato la top10, ma non l’ha difesa adeguatamente perdendo questa e qualificazione al Masters per una manciata di punti, a causa di cali evitabili nel corso del 2014, chiuso comunque con tre tornei vinti. Scendendo leggermente, troviamo David Goffin (letteralmente rinato dopo la serie di infortuni con un filotto di 44-4 nel dopo Wimbledon, con quattro titoli Challenger e due sul circuito maggiore) e Dominic Thiem (autore di un balzo di 100 posizioni rispetto al 2013). I loro destini si sono incrociati quest’estate in casa dell’austriaco, sulla terra di Kitzbuhel, in occasione della prima finale ATP tra due ’90. Curiosamente, sarà ricordata come “la prima” solamente per una manciata di ore, considerando quella oltreoceano in scena nella medesima giornata tra Milos Raonic e Vasek Pospisil, con il derby canadese che regala il titolo di Washington al nr.1 del Paese. Scorrendo ancora la classifica troviamo Jack Sock, unico americano della new generation in top100, dopo il flop Harrison (attualmente nr.190).
Un gradino sotto c’è Jerzy Janowicz, crollato a causa di una deludente stagione compromessa da problemi fisici ma già capace nel 2013 di conquistare la semi a Wimbledon e nel 2012 una finale in un 1000. Appena fuori dalla top 50 c’è Pablo Carreno Busta, in un anno difficilissimo per lui con tutti i limiti dell’iberico che vengono a galla sul circuito maggiore. Poi il già citato Pospsil, sino a giungere alla piazza nr.52 occupata da Nick Kyrgios. L’australiano esploso con i quarti di finale raggiunti a Wimbledon con il capolavoro sul nr.1 del momento Rafael Nadal, ma comunque capace di vincere in precedenza ben 3 Challenger. Poco più in basso (56) un altro dei giovani canguri, quel Bernard Tomic sempre pizzicato dai media anche a causa di atteggiamenti poco ortodossi di
suo padre, ma bravo nel reagire ad un postoperazioni difficilissimo (il suo ritorno sul circuito lo ha visto perdere da Nieminen in 28 minuti, per il triste record di match più corto della storia) con il secondo titolo in carriera vinto a Bogotà. Dopo JanLennard Struff (59), Federico Delbonis (60), Diego Schwartzman (61), Jiri Vesely (66), Blaz Rola (80), Ricardas Berankis (86), troviamo il 17enne croato Borna Coric (91), primo vero mostro di precocità in top100 dai tempi di Nadal e Gasquet. Per lui una stagione da incorniciare con un Challenger vinto e le semifinali ATP nel 250 casalingo di Umago e nel 500 di Pechino, superando nel tabellone ostacoli quali Gulbis e il suo idolo Rafa (anche se decisamente fuori forma per i dolori all’appendice). Chiude questo spaccato di classifica il russo Andrey Kuznetsov (93), ma anche fuori dai primi 100 c’è abbastanza talento per star tranquilli in vista di un futuro prossimo. Lucas Pouille, Jason Kubler ma soprattutto Alexander Zverev. Il tedesco, 17enne come Coric, ha stupito tutti nel 500 di Amburgo raggiungendo un’incredibile semifinale, prima di cedere di schianto a Ferrer. Il resto della sua stagione non è stata all’altezza delle aspettative, anche a causa del carattere particolarmente fumantino da affinare con il passare degli anni. Poco più in basso un altro interessantissimo australiano, Thanasi Kokkinakis, per non parlare del 16enne Stefan Kozlov già ampiamente in top500 con la finale nel Challenger di Sacramento persa solamente dall’ex top20 Querrey.
Per l’Italia, il capofila nel ranking è Marco Cecchinato alla posizione nr.162. Poi Stefano Travaglia (197), Alessandro Giannessi (357), Lorenzo Giustino (359) sino a Matteo Donati al nr.403, seguito a 32 posizioni di distanza da Gianluigi Quinzi, in un’annata con molte difficoltà tra l’impatto durissimo col mondo professionistico e l’infortunio al polso patito nella seconda parte del 2014. Il punto sul WTA Ben diversa la situazione tra le donne, già ai piani alti. Tra le prime 10 al mondo sono 4 le nate negli anni ’90: Simona Halep, Petra Kvitova, Eugenie Bouchard e Caroline Wozniacki. Tutte loro hanno giocato una finale Slam nel 2014, con la chicca di Wimbledon tra Petra e Genie, la prima assoluta in un Major tra due tenniste di questa generazione. Decisamente più avanti rispetto all’ATP anche riguardo alla serie di piazzamenti di ognuna di loro. Per Simona, che ha anche assaporato il best ranking di nr.2, oltre alla finale del Roland Garros, spicca l’atto conclusivo delle Finals e il primo Premier 5 della carriera. Per Petra, già il secondo Slam e un potenziale che non scopriamo di certo nel 2014.
Per Caroline, dominatrice nel ranking fino a qualche anno fa, una rinascita inaspettata quanto bella, una rivoluzione anche dal punto di vista tecnico, aggiungendo potenza da fondo e nuove trame offensive. Le sorprese arrivano più che altro dalla bella Genie, con due semi e una finale Slam nell’arco della stagione oltre al primo titolo in carriera, qualificazione a Singapore e storia del tennis canadese riscritta. Ma c’è tanta freschezza anche scendendo gradatamente. Alizè Cornet (19), Garbine Muguruza (20), Karolina Pliskova (23), Anastasia Pavlyuchenkova (24), Elina Svitolina (28), Madison Keys (30): tutte loro hanno vinto almeno un torneo nel 2014. Non finisce qui, con la pazzesca Belinda Bencic, classe 1997 e già numero 32 al mondo, capace di
raggiungere i quarti agli Us Open e una finale International (a Tianjin). Seguono a ruota alle piazze 32 e 33 Zarina Diyas e la nostra Camila Giorgi, anche loro ad un passo dal primo titolo (nel caso dell’azzurra per ben due volte, con le finali perse a Katowice e Linz). Molto deludente invece l’annata di Sloane Stephens, crollata al nr.36 dopo gli ottimi risultati del 2013 da confermare. E’ probabilmente l’eccezione che conferma la regola. Immediatamente alle sue spalle, infatti, troviamo Caroline Garcia: la francese dall’enorme potenziale, seppur con poca continuità, scala il ranking e si sblocca a Bogotà, battendo in finale Jelena Jankovic.
Lista che si allunga con Coco Vandeweghe (39, a segno a s’Hertogenbosch), Irina-Carmelia Begu (41, sconfitta in finale a Mosca), Mona Barthel (42, vittoriosa a Bastad), Alison Riske (43, campionessa di Tianjin), Kurumi Nara (44, regina a Rio). Ma anche Heather Watson, che tenterà la risalita dal nr.49 dopo la mononucleosi; Christina McHale, nr.52 e finalista ad Acapulco; Annika Beck, 53 e trionfatrice a Lussemburgo. Lauren Davis (55), Jana Cepelova (56 e finalista a Charleston), Bojana Jovanovski (57 e due volte finalista nel 2014), Monica Puig (59 e vincitrice a Strasburgo), Ajla Tomljanovic (62, con ottavi di finale raggiunti al Roland Garros grazie allo scalpo della Radwanska), Kristina Mladenovic (67), Kiki Bertens (68), Tereza Smitkova (69), Vitalia Diatchenko (71), Shelby Rogers (73, finalista a Bad Gastein), Anna Karolina Schmiedlova (74), Stefanie Voegele (80). Poi c’è Donna Vekic, classe 1996 ma già titolata a Kuala Lumpur. Tuttavia la sua seconda metà di stagione l’ha vista preda di un periodo di crisi nerissima tra doppi falli e cambi di allenatore, chiudendo solamente come nr.82. Più in basso la sua coetanea Katerina Siniakova al nr.84, seguita da AnaLena Friedsam.
Posizioni nr.87 e 88 presidiate dalle spagnole Lara Arrabuarrena e Maria Teresa Torro-Flor (a segno a Marrakech). Al nr.92 l’interessantissima Ana Konjuh (classe 1997), seguita da Sorana Cirstea in una stagione deludente, e le americane Madison Brengle e Nicole Gibbs. Chiudono la parata di ’90 Polona Hercog (96), Timea Babos (98), Saisai Zheng (99) e An-Sophie Mestach (100), a quota 48. Praticamente (quasi) una tennista su due nelle attuali top 10 ha meno di 25 anni. Volti che dunque cambiano decisamente in modo più rapido nella WTA e lo dimostra anche l’età media della top 10 dei due circuiti (25.4 contro 27.8), probabilmente dalla maggior emotività che caratterizza il circuito femminile rispetto a quello
maschile. Riuscirà anche la nuova generazione ad entrare nel cuore degli appassionati?
Un anno, una crescita straordinaria... Stanislas Wawrinka di Laura Saggio
Una cosa di cui siamo profondamente certi è che, quest'anno, Stanislas Wawrinka non lo scorderà tanto facilmente.
Una cosa di cui siamo profondamente certi è che, quest'anno, Stanislas Wawrinka non lo scorderà tanto facilmente. Un anno iniziato e concluso nel migliore dei modi, all'insegna di due vittorie, a dir poco, storiche, sia personalmente che per la sua patria, la Svizzera. Prima il sigillo che ha scioccato il mondo del tennis, la sua vittoria agli Australian Open battendo in finale nientepopodimeno che Rafael Nadal, ovvero uno di quei giocatori che, quando si ritirerà dal tennis giocato, sarà sicuramente considerato fra i più grandi di sempre in questo sport. Ovvio, c'è da dire che la sua vittoria in finale è stata un po' particolare, dopo un primo set giocato sulla soglia della perfezione tecnica e vinto meritatamente – nell'incredulità di
quasi tutti gli spettatori ma anche dei cronisti -, c'è stato l'infortunio di Rafa che di fatto ha compresso il match, in favore dell'elvetico. Certo, il tennis è strano, e per quanto Nadal fosse rimasto in campo solo per il rispetto del pubblico, Wawrinka ha un po' tremato e non si sa come abbia fatto a perdere il terzo set, ma nel quarto è tornato in campo con la testa giusta, e ha confermato quello che – per lui – si presentava ormai come una mera formalità, vincendo il quarto set e aggiudicandosi il primo torneo del Grande Slam della sua carriera, coronando due settimane di tennis giocato a davvero altissimo livello. Wawrinka ha poi confermato questo eccelso livello di gioco, e nei primi mesi della stagione è stato il giocatore più in forma del circuito ATP.
Sicuramente, se dovessimo analizzare come sia stato possibile un'evoluzione del genere - e poi così improvvisa -, ci verrebbe da dire che questa crescita esponenziale sia da ravvisare nell'improvvisa maturazione fisica, soprattutto nella copertura del campo e nella mobilità dello svizzero. Già c'era stata una prima maturazione nella carriera di Wawrinka, ma questa non era stata di natura fisica bensì di natura mentale. Basti pensare a come, nei quarti di finali degli Us Open del 2007, nonostante avesse la partita in pugno contro l'allora costante ma non talentuoso Juan Ignacio Chela, perse improvvisamente la calma – che aveva sempre contraddistinto il suo mansueto carattere -, con tanto di racchetta frantumata per terra, e perse anche il treno per una possibile semifinale che sembrava
fattibile oltreché storica. Da qui in poi, ci saranno dei miglioramenti psicologici sulla gestione della partita da parte di Stan, e che collimeranno nell'entrata in top 10, ottenuta grazie alla finale del Masters Series nostrano, ovvero quello ospitato a Roma. E da qui ci sarà un continuo sali e scendi in classifica - per diversi anni - fra top 15 e top 30. Ma è nel 2013 che questa altalena si interrompe bruscamente, proprio perché si registra questo repentino cambiamento fisico, che porta l'elvetico a navigare fisso nei magnifici dieci. Wawrinka non è più un giocatore che possiede un potente e costante servizio, uno dei migliori rovesci del circuito – peraltro giocato ad una mano – e un pesante dritto in chiusura – difatti, in talune interviste, ha dichiarato che non è tanto il rovescio ad essere il suo miglior colpo quanto il dritto in chiusura – senza però un'adeguata mobilità che comprometteva la fase difensiva, che in sede di top 10 diventa essenziale se si vuole essere, a questi altissimi livelli, competitivi. Il Wawrinka di quest'anno si è dimostrato abile nei recuperi col back di rovescio – back non perfetto tecnicamente come quello di Federer, ma comunque buono – e anche con quelli di dritto, mostrando di avere una buona sensibilità in recupero. Sensibilità tecnica mostrata anche nella conquista - quando opportuno - della rete, che si presenta in diversi frangenti nel suo gioco, essendo il suo tennis molto offensivo. E per quanto la sua mano non sia così vellutata come quella di un Llodra, ha dimostrato bene o male di avere un tocco quantomeno educato,
e di essere un buon giocatore di rete – anche se, c'è da ricordarlo, lo standard attuale di manualità nel gioco di volo, oggi come oggi, è molto più bassa rispetto, ad esempio, agli anni '70 (e questo lo si deve al cambio di racchetta, che avvantaggia chi tira i passanti: infatti, più che passanti, si dovrebbe parlare di bombe molotov lanciate addosso al giocatore a rete!). Il trionfo svizzero, dunque, in Coppa Davis non ci deve per nulla sorprendere, gli elvetici avevano due dei primi cinque giocatori al mondo in singolare, in più, c'è da ricordare che nel lontano 2008, alle Olimpiadi di Pechino, i due vinsero la medaglia d'oro in doppio. Solo una scarsa applicazione degli svizzeri, in questa specialità, aveva impedito di ripetere uno storico bis d'oro nell'Olimpiade successiva. Infatti, tutti e due, non giocarono praticamente mai il doppio durante l'anno, sicché aveva portato a diverse imperfezioni ed errori da dilettante che i due commettevano durante le partite olimpioniche: come il fatto che Federer, quando stava a rete, si girava verso il fondo del campo per vedere dove Wawrinka mandasse la palla – errore che si vede solo nelle partite da quarta categoria!
Ma l'applicazione appunto – di un potenziale di inesprimibile livello – ha portato anche a superare questo ultimo scoglio, e credeteci – per quanto, col senno di poi, sarebbe stato più opportuno, per la Francia, schierare il doppio che ha disputato il Masters, ovvero Benneteau-Roger Vasselin – non sarebbe stata comunque scontata la vittoria transalpina in doppio anzi! E poi il singolare è andato come è andato, ovvero con la vittoria della Svizzera che, appunto, nelle due vittorie ottenute negli incontri di singolare, ha potuto annoverare anche una conquistata da Wawrinka. Questo a sottolineare che stavolta non ha vinto Roger Federer da solo, perché la grande vittoria di Wawrinka alla partita d'esordio della finale con Tsonga, e la grande prova - sempre di Stan - in
doppio, sono valsi sicuramente il 50% del merito (se non più, viste le precarie condizioni di Federer nella prima giornata!) di questa fantastica e storica vittoria della Svizzera.
Novak Djokovic: stagione da record? di Marco Di Nardo
Si è parlato tanto di Novak Djokovic in questo 2014
Si è parlato tanto di Novak Djokovic in questo 2014. Il rapporto con il nuovo allenatore Boris Becker, il martimonio con la storica fidanzata Jelena Ristic, il primo figlio Stefan, e tanti successi tennistici. Oltre a tutti questi avvenimenti, Djokovic ha chiuso l'anno al numero 1 del mondo per la terza volta, coronando una stagione fantastica. In molti hanno definito questa come una delle migliori annate del tennista serbo, e lo stesso Novak ha parlato del momento migliore della sua carriera. Ma dal punto di vista esclusivamente tennistico, è davvero stata una stagione da record per il numero 1 Atp? Se si termina l'anno in vetta al ranking mondiale non c'è dubbio sul fatto che si sia giocato ad un livello altissimo. Ma per un giocatore come Djokovic,
abituato a vincere quasi ovunque, prima di parlare di stagione supelativa bisogna analizzare attentamente i risultati. Sia chiaro, non si vuole sminuire il fantastico lavoro svolto dal serbo, né i risultati ottenuti in questo 2014, ma semplicemente confrontare quanto fatto quest'anno con le scorse stagioni. Partiamo dall'inizio. Novak apre la stagione negli ultimi giorni del 2013, partecipando all'esibizione che dal 2009 si svolge ad Abu Dhabi anticipando i primi tornei dell'Atp World Tour. Per la terza volta consecutiva si aggiudica l'evento, battendo in semifinale Jo-Wilfried Tsonga e in finale David Ferrer. E fin qui niente di nuovo. Poi il tennista serbo vola a Melbourne per aprire ufficialmente la sua annata tennistica.
A Parigi le cose vanno benissimo fino all'ultimo atto, quando un Nadal super gli blocca la strada al titolo. All'Australian Open arriva il primo colpo di scena: Djokovic, vincitore delle ultime tre edizioni, viene eliminato da Stanislas Wawrinka ai quarti di finale, e iniziano le prime critiche sul rapporto con Boris Becker, definito da molti solo legato a questioni di marketing. Dopo la sconfitta subita contro Federer in semifinale a Dubai, Djokovic in ogni caso dimostra di non essere in crisi vincendo entrambi i Masters 1000 della primavera americana: Indian Wells e Miami. Poi un infortunio al polso ne condiziona la perfomance nella semifinale del torneo di MonteCarlo, in cui cede nettamente a Federer, e lo costringe a saltare il Masters 1000 di Madrid. Novak torna però in campo a Roma e trionfa superando Nadal in finale, presentandosi al Roland Garros come principale favorito. A Parigi le cose vanno benissimo fino all'ultimo atto, quando un Nadal in versione super non gli permette però di conquistare il suo
titolo all'Open di Francia. Il tennista serbo non subisce il colpo e a Wimbledon gioca due settimane di grande tennis, e al termine di una epica finale vince per la seconda volta ai Championships, superando Federer dopo 5 set lottatissimi. Sembra essere tutto in discesa a quel punto, ma nel mese di agosto Novak offre due pessime prestazioni nei Masters 1000 del Canada e Cincinnati: due sconfitte in due set, sempre negli ottavi, contro Tsonga e Robredo, e gli spettri di inizio anno sembrano riaffiorare. Poi agli US Open arriva la sorprendente sconfitta in semifinale contro Kei Nishikori, e dopo la vittoria nell'Atp 500 di Pechino, un'altra sconfitta in semifinale contro Federer nel Masters 1000 di Shanghai. Nel frattempo Federer vince un torneo dopo l'altro e mette in discussione la leadership del serbo nel ranking Atp. Poi il fantastico finale di
Tra Roland Garros e Wimbledon, viceversa, Novak ha ottenuto i migliori risultati in carriera stagione di Djokovic, con i trionfi nel Masters 1000 di Parigi e alle Atp World Tour Finals, fa tornare tutto alla normalità e gli permette di chiudere l'anno in vetta alla classifica mondiale. Andando ad analizzare i risultati ottenuti, quindi, che stagione è stata rispetto alle precedenti? Per quando riguarda i successi nei Masters 1000, che sono stati quattro, Djokovic in passato aveva fatto meglio solo nel 2011 con cinque titoli in questa categoria di eventi. Nel 2012 e 2013 si era invece fermato a quota tre. Sotto questo aspetto è stata quindi un'ottima annata per lui. I risultati negli Slam, però, sono stati abbastanza particolari. Nei due Majors in cui solitamente il serbo si comportava meglio, ovvero quelli sul cemento, sono arrivate le peggiori prestazioni, mentre nei due Slam centrali Novak ha giocato benissimo. Nel complesso è stata la sua peggiore stagione da questo punto di vista, con 4280 punti contro i 5120 del 2012 e 2013, e addirittura i 6720 del 2011. Dividendo però (come fatto in precedenza) in due blocchi i quattro tornei, mettendo insieme i due su cemento e i due centrali (Roland Garros e Wimbledon), si possono fare considerazioni diverse. Tra Australian Open e US Open, Djokovic ha fatto addirittura peggio del 2010, non raggiungendo nemmeno una finale, cosa che per l'ultima volta gli era successa nel 2009. Nel 2010 aveva raggiunto i quarti a Melbourne e la finale a New York, nel 2011 aveva vinto entrambi i tornei, nel 2012 e 2013 vittoria in Australia e finale negli Stati Uniti. Tra Roland Garros e Wimbledon, viceversa, Novak ha ottenuto i migliori risultati in carriera.
Quella di Novak Djokovic, è stata un'annata fantastica e piena di vittorie. Per la prima volta ha infatti giocato la finale sia a Parigi che a Londra, perdendo la prima e vincendo la seconda. A Wimbledon aveva già vinto nel 2011, ma in quella annata si era fermato prima al Roland Garros, non andando oltre la semifinale. Per chiudere il discorso, andiamo a confrontare i punti totali conquistati nel 2014, che sono stati 11,360, con quelli conquistati negli anni precedenti. Nel 2011 erano stati 13,630, nel 2012 12,920 e nel 2013 12,260. Anche questo dato conferma un'ottima prestazione del serbo, ma comunque inferiore alle precedenti. In conclusione, quella di Novak Djokovic, è stata un'annata fantastica e piena di vittorie. Ma parlare di stagione da record o di miglior momento della carriera del serbo, probabilmente non corrisponde alla realtà dei fatti.
Nole, il numero 1 di Laura Saggio
I numeri e le parole del campione indiscusso del 2014
Il 2014 è stato sicuramente l’anno di Nole. Ha chiuso la stagione davanti a tutti. Ha vinto le finals di Londra. È diventato papà. E sarà il protagonista si se stesso in un documentario sulla sua vita annunciato sui social dal campione così: “Per la prima volta dirò chi sono”. Prodotto in Australia, uscirà pochi giorni prima degli Australian Open. Sulla scena vedremo non solo i successi sportivi di Nole, partendo dal rapporto con la sua prima coach Jelena Gencic, ma anche la sua vita di ragazzo serbo nato nel 1987, sulla scia della guerra e della miseria. Che sia un bravo ragazzo lo sappiamo tutti. Simpatico, mai fuori dalle righe, impegnato nella vita e nel sociale. Un Campione vero.
E oggi anche tenerissimo papà: “Tutto ruota intorno a mio figlio”, così cinguetta ai suoi fan durante i venti minuti di conversazione virtuale con il mondo. “Mi piace viaggiare, conoscere posti nuovi e nel tempo libero fare altri sport. Ma nella mia seconda vita c'è un bambino: sono sempre in giro per il mondo, ma ora, durante questo periodo di riposo, posso dare una mano a mia moglie Jelena, che in questi due mesi se l'è cavata da sola”. Finita la pausa, Nole dovrà difendere la prima posizione in classifica e non sarà certo una passeggiata. Tra le nuove, ormai affermate, leve e forse l’ultimo sprint di grandi campioni affamati degli ultimi bocconi, la sfida sarà certamente appassionante.
Djokovic dalla sua avrĂ un tifoso in piĂš molto speciale e la consapevolezza di essere oggi il numero 1. I numeri parlano chiaro: 600- partite vinte in carriera da Novak Djokovic. 20- Masters 1000 vinti in carriera. 3 Indian Wells (2008, 2011 e 2014), 4 Miami (2007, 2011, 2012 e 2014), 1 Monte Carlo (2013), 1 Madrid (2011), 3 Roma (2008, 2011 e 2014), 3 Canadian Open (2007, 2011 e 2012), 2 Shanghai (2012 e 2013), 3 Parigi Bercy (2009, 2013 e 2014). 1310- punti di vantaggio di Novak su Roger Federer alla vigilia dell'inizio del Master conclusivo di Londra. 47 - tornei vinti in carriera. 6 di questi vinti nel 2014 (Indian Wells, Miami, Roma, Wimbledon, Pechino e Parigi Bercy).
La ricerca del regno di Djokovic di Princy Jones
È stato determinato nel cambiare il suo destino.
Quando negli anni ‘90 Roger Federer sembrava invincibile sul campo, è arrivato Rafael Nadal a provare il falso; insieme, il duo ha ridefinito il concetto di rivalità, reimpostando così gli standard del gioco ancora più in alto dei loro predecessori. Con quei due che monopolizzavano il gioco, il panorama appariva piuttosto faticoso per ogni giocatore. Neanche per Novak Djokovic è stato facile. Il 20enne passato alla storia per essere diventato il primo serbo a vincere un Grande slam quando ha vinto gli Australian Open nel 2008, pensò di smettere presto, frustrato dalle molte sconfitte subite contro Federer e Nadal. Fortunatamente non si è arreso. È stato determinato nel cambiare il suo destino. Veloce passo avanti al 2014 – Djokovic è un uomo felice. Ha vinto una seconda corona di Wimbledon, e portando il suo bottino a un totale di 7 titoli del
Grande Slam; lo stesso mese ha sposato il suo amore di lunga data Jelena Ristic; è diventato padre del piccolo Stefan in ottobre; ha vinto quattro titoli Master; ma soprattutto ha finito l’anno da numero 1 per la terza volta in quattro anni! Un bel traguardo per qualcuno che stava pensando al ritiro nel 2010. Comunque quando si tratta di statistiche del Grande Slam, il serbo è molto indietro rispetto al maestro svizzero al matador spagnolo. Mentre ci sono 10 major che separano lui e Federer, lui ha vinto solo la metà di Nadal, che è più vecchio di lui solo di un anno. Ma quando si arriva ai dettagli, Djokovic è il giocatore più temuto del tour in questo momento. Può anche non sostituire Nadal o Federer, ma è quello che ha rallentato il loro bottino di Grandi Slam. Alcuni giorni fa, l’allenatore e zio di Nadal, Toni Nadal, ha lodato molto Djokovic, dicendo è leggermente superiore a suo nipote, ed è abbastanza vicino a Federer da poterlo acchiappare. Toni ha le sue ragioni per fare un commento del genere, considerando la precisione clinica per la linea di fondo del serbo e il suo acume mentale. Le sue statistiche testa-a-testa con Nadal stanno a 19-23 e con Federer, è 17-19, qualcosa a cui si è avvicinato negli ultimi anni.
Ci sono possibilità che sorpassi i due in un prossimo futuro. Sì, Djokovic ha provato che è il miglior giocatore del circuito del momento. Ha grandi speranze per il 2015 e punta a prendersi gli Australian Open, l’evento Grande Slam in cui ha fatto meglio. ma più di tutto, dovrà rompere la maledizione dell’Open francese. Come Federer, sul rosso sporco, non è ancora stato capace di far capitolare Nadal, la sua vera nemesi. Djokovic è arrivato in finale due volte, nel 2012 e nel 2014, perdendo contro Nadal in entrambe le occasioni. Tranne in queste occasioni, Nadal l’ha sconfitto tre volte in semi-finale, nel 2007, 2008 e 2013. Al serbo serve una vittoria al Roland Garros per essere considerato alla parti con Nadal, nonostante
quello che pensi Toni Nadal. Djokovic può anche avere una tecnica migliore, ma quello che conta sono i numeri. Il numero 1 dovrebbe concentrarsi sull’agguantare più major l0’anno prossimo, così da essere considerato tra i più grandi della storia di questo gioco. Nadal è il “Re della terra rossa”, Federer è il “Re dell’erba” e Melbourne è il posto dove anche Djokovic può costruire il suo regno. Altre due vittorie all’Australian Open lo metteranno alla pari con Roy Emerson, che ne detiene il record, con sei vittorie. In questa stagione, Djokovic ha vinto sette titoli sulle otto finali che ha giocato. Considerando la sua forma attuale, possiamo dire che il 27enne ha buone possibilità di ripetersi anche nella stagione a venire, se non meglio. Con Nadal che si sta riprendendo dagli infortuni e senza segnali di ritiro da parte di Federer, il 2015 offre ampie speranze di vedere incontri affascinanti fra il trio delle meraviglie.
L'ennesimo ritorno di Rafael Nadal di Marco Di Nardo
Ora il più grande giocatore di tennis su terra rossa della storia è chiamato a rientrare a gennaio del 2015.
Ormai è quasi una costante. Rafael Nadal vince, poi un infortunio lo costringe a stare lontano dalle competizioni, ritorna e sorprende tutti vincendo ancora. E' successo tante volte, forse troppe. Ma Rafa è sempre stato in grado di tornare più vincente di prima. Ci riuscirà anche questa volta, dopo l'ennesimo stop dovuto ai problemi fisici? In questo 2014 Nadal ha saltato quasi tutta la seconda parte della stagione. Prima un infortunio al polso destro lo ha costretto a saltare i due Masters 1000 estivi sul cemento americano, Canada e Cincinnati, e l'ultimo Slam della stagione, l'Open degli Stati Uniti. Una volta rientrato in campo a fine settembre, nell'Atp 500 di Pechino, è stato colpito da un'appendicite che ne ha condizionato i risultati,
prima di costringerlo a disertare anche il Masters 1000 di Parigi-Bercy e le Atp World Tour Finals. In pratica dopo il torneo di Wimbledon, Rafa ha potuto giocare appena sette partite fino alla fine della stagione. Ora il più grande giocatore di tennis su terra rossa della storia è chiamato a rientrare a gennaio del 2015, con un ritardo molto importante in classifica nei confronti di Djokovic e Federer, e tanti punti da difendere. Nel 2014 aveva infatti vinto l'Atp 250 di Doha e raggiunto la finale all'Australian Open, risultati molto difficili da replicare se si considerano le pochissime partite giocate negli ultimi mesi.
Ma cosa è successo in passato? Non sembrava difficile anche in altre occasioni? A Doha la difesa del titolo sarà poi resa ancora più difficile dalla presenza del numero 1 del mondo Novak Djokovic. Sembra quindi davvero molto difficile che Nadal possa tornare in vetta alla classifica nella prossima stagione. Ma cosa è successo in passato? Non sembrava difficile anche in altre occasioni? Era il 2009 quando Rafa Nadal, dopo aver dominato la stagione precedente e i primi mesi dell'anno in questione, era colpito dal suo ormai storico problema alle ginocchia, e per la prima (e per il momento unica) volta perdeva un incontro al Roland Garros. Saltato il torneo di Wimbledon, il maiorchino veniva scavalcato in classifica da Roger Federer, che tornava al primo posto. Rientrato in campo nel Masters 1000 del Canada, Rafa non riusciva a recuperare completamente la condizione migliore, nel finale di stagione non si aggiudicava nemmeno un titolo in singolare, e perdeva tutte e tre le partite del round robin alle Atp World Tour Finals. All'inizio del 2010 il miglior Nadal sembrava solo un ricordo, eppure dopo un inizio incerto, quell'annata diventò una delle più vincenti del fenomeno di Manacor, con tre Slam vinti consecutivamente (Roland Garros, Wimbledon e US Open), che lo fecero diventare il primo giocatore della storia a vincere nello stesso anno su tre superfici differenti a livello Major. Ovviamente quella serie di successi riportarono lo spagnolo in vetta al ranking Atp a fine 2010.
In questo 2015, sarà davvero impossibile per lui tornare al primo posto della classifica? Il secondo ritorno al vertice, forse quello più clamoroso, fu quello del 2013. Nella stagione precedente Nadal era stato fermo dal post Wimbledon fino alla fine dell'anno, e anche all'inizio del 2013 aveva dovuto disertare l'Australian Open. Dopo sette mesi di stop Rafa rientrò in campo a febbraio raggiungendo immediatamente la finale all'Atp 250 di Vina del Mar. Da quel momento in avanti iniziò una serie impressionante di successi per lo spagnolo, con dieci titoli, quattro finali perse, e due semifinali, con un unico risultato negativo, il primo turno a Wimbledon. Nonostante un torneo dello Slam non giocato, e un primo turno in un altro Major, i cinque successi nei Masters 1000 e le due affermazioni al Roland Garros e agli US Open lo riportarono al primo posto della classifica Atp di fine anno.
Nadal diventò così il primo tennista a tornare per due volte al numero 1 a fine anno dopo aver perso altrettante volte lo scettro. E in entrambe le occasioni dopo infurtuni molto importanti. E allora in questo 2015, sarà davvero impossibile per lui tornare al primo posto della classifica? Lo stesso Rafa ritiene che sia molto difficile, perché ora ha due anni in più rispetto al 2013. Ma guardando quanto successo in passato, tutto appare possibile...
Come si è preparato Agassi per gli Australian Open di David Cox Andre Agassi è stato un maestro della preparazione durante la off-season, con quattro titoli agli Australian Open.
Durante una carriera che ha coperto un arco di tre decenni ai vertici del gioco, Andre Agassi è diventato un maestro del perfezionamento della preparazione durante la off-season, che ha avuto come risultato quattro titoli agli Australian Open. Ma come ce l’ha fatta? L’amico di lunga data e preparatore atletico Gil Reys ci svela tutto... Andre Agassi è passato alla storia degli Australian Open come uno dei più grandi campioni di sempre ad onorare i campi di Melbourne Park. Nonostante abbia boicottato il torneo all’inizio della sua carriera, Agassi si è velocemente innamorato dell’evento, vincendolo alla sua prima partecipazione nel 1995 e dominando la prima parte del 2000, vincendo tre titoli tra il 2000 e 2003. Agli occhi di Agassi e Reyes, un successo così duraturo non è stato casuale. A differenza di molti giocatori che si stavano ancora togliendo la ruggine di dosso nelle prime settimane di gennaio, Agassi raramente non era al suo meglio. Da quando aveva 24 anni, ha iniziato a capire che la off-season era un momento critico per le sue possibilità di alzare i trofei più importanti del
e da allora la coppia ha adottato un approccio scientifico per assicurarsi di essere all’apice della condizione all’inizio dell’anno. “Andre in verità si rifiutava di chiamarla off season,” ricorda Reyes. “La chiamava pre-season. Nel momento in cui finiva la sua ultima partita dell’anno, stava già parlando con me di cosa avremmo fatto nelle successive sei settimane, questo era il suo modo per dirmi che era pronto per lavorare.” Si preparavano per la brutalità delle ondate di caldo dell’estate australiana dividendo la off-season in diverse fasi, la prima e più importante si trattava di dettagliate conversazioni con Agassi su qualsiasi cosa, dalla sua dieta al suo livello di fiducia, alla sua condizione mentale. “Non ci si può arrivare direttamente dicendo, ‘Ok, sarà il training camp più duro di sempre’”, spiega Reyes. Prima di tutto, bisogna in qualche modo fare sempre il punto della situazione di tutto quello che è successo nel corso dell’anno appena passato. Per la maggior parte delle settimane, è sicuro che si lasci per strada una sconfitta e in questo modo si fa il punto della situazione per la maggior parte dell’anno. Un’altra domanda che sorge è, hanno bisogno di solo qualche giorno di riposo? A volte la risposta è si, ma a volte è no. Può sembrare sorprendente ma a volte con Andre sarebbe stato un errore perché troppo riposo non andava bene per il suo assetto mentale.
Bisogna stare in linea con il proprio atleta.” Ora che arriva novembre, ogni giocatore è fisicamente sfinito dopo mesi di competizione, ma spesso è lo stress mentale che infligge il tennis che richiede più riposo. Tranne qualche eccezione, la maggior parte dei giocatori perde qualche settimana e la usa per riposarsi e staccare completamente la "spina". Ma può essere pericoloso allontanarsi dallo sport per troppo tempo. Il campione degli US Open, Maric Cilic, dice che non si può completamente staccare dal tennis, neanche per dieci giorni, perché il corpo è abituato a fare qualcosa ogni giorno e se ci si prende due settimane di vacanza, si inizia già a perdere memoria muscolare. Reyes è d’accordo.
“Ora il gioco è estremamente fisico e sono piuttosto sicuro che l’atletismo è in continua ascesa, e ad un livello probabilmente mai visto prima d’ora. La velocità, la potenza del gioco, il ritmo che si impone al proprio corpo, e il tempo che serve per recuperare stanno tutti crescendo. Quindi non si può semplicemente premere il tasto on e il tasto off. Per Agassi, un atleta che non fa mistero delle proprie sensazioni, era la mente che più aveva bisogno di riposo e quindi piuttosto che prendersi una vacanza, preferiva mettere via la racchetta e ritirarsi nella solitudine della palestra. Proprio come i ciclisti professionisti, aveva l’ossessione di mantenere le gambe in forma, rimarcando che “Più forte colpisco la palla, più forte mi tornerà indietro quindi ho bisogno delle mie gambe e non posso permettermi che perdano la loro tonicità.” “Andre ha sempre pensato che fosse un errore perdere la forma fisica in ogni sua estensione,” dice Reyes. “Era solito paragonare la fatica a fine stagione con un freddo insistente. Il freddo insiste così tanto perché non si riesce a mangiare nulla e quindi quando il virus ha attraversato il sistema, ci si sente malissimo perché non si è mangiato per quattro giorni. Se non si tiene il passo con il lavoro in palestra quando si è stanchi, una volta che si è di nuovo freschi si farà fatica. Quindi ci prendevamo delle pause mentali in cui gli allenamenti erano un po’ più sopportabili. Persino il giorno di Natale e per Capodanno era in palestra e a correre su Magic Mountain (una collina di 320 yard vicino alla loro base a Las Vegas):”
“Avevamo un grido di battaglia in palestra, “Spingi te stesso oltre la stanchezza. Le cose migliori sono dall’altro lato della stanchezza.” E lui mi diceva, “Portami da quella parte. Fammi entrare in contatto con chi sono oltre il mio punto di stanchezza. Chi sono quando supero il mio punto di sfinimento? Su cosa posso contare quando sono sotto pressione fisicamente e mentalmente in una partita?” Ma quando si tratta di entrare di nuovo in campo, Agassi doveva anche trovare un equilibrio tra il tartassare continuamente il suo corpo per trovare la condizione di cui aveva bisogno per i mesi a venire, e l’essere capace di dare tutto quello che aveva quando lavorava sul gioco. “Arrivavamo in Australia e a volte guardavamo un altro giocatore e dicevamo, guarda quel ragazzo, sembra un po’ stanco. Per favore stai attento con me. Dobbiamo gestire le cose in modo che io sembri fresco.” Se il corpo è così stanco da non riuscire a dare tutto in allenamento, danneggia lo stato mentale. Questo è importante soprattutto quando ci si avvicina all’inizio della stagione perché bisogna essere in grado di valutare il proprio livello.
Quindi si fa intenso lavoro in palestra all’inizio della off-season e man mano che ci si avvicina al periodo dei tornei, si fa più lavoro di cardio durante le sessioni di allenamento in campo.” Agassi era notoriamente cauto con le distrazioni fuori dal campo, in particolar modo alla fine della sua carriera mentre cercava di mantenere la forza ai livelli più alti del gioco durante i suoi 30. Ma il tennis del 2014 è un mondo di grandi distrazioni, anche per i top ten più dediti. Ci sono fondazioni da promuovere, sponsor da soddisfare e opportunità di esibizioni lucrative. L’IPTL ha esordito questo mese, frutto dell’ingegno della ex star di doppio Mahesh Bhupathi che vuole fare per il tennis quello che la IPL ha fatto per il cricket. E con contratti milionari che vengono offerti solo per farsi vedere, Roger Federer,
Andy Murray, Novak Djokovic, Serena Williams e Maria Sharapova hanno tutti abboccato, nonostante gli impegni che si estendono attraverso diversi continenti. Pete Sampras in precedenza quest’anno aveva scherzato, “Se c’è qualcuno abbastanza stupido da darti un milione di dollari, tu devi essere stupido abbastanza da non accettarli” ma Reyes avverte che questi lunghi viaggi durante questa parte cruciale dell’anno fa correre il rischio di infortuni. “A volte un’esibizione può semplicemente essere una sessione di allenamento che porta soldi e non c’è niente di male,” dice. “Ma se avete passato 3-4 giorni tra viaggio, media e tutto quello che ne consegue, bisogna seriamente pensare se è una decisione
intelligente in termini di preparazione. Più avanti Andre andava con la sua carriera, meno erano le cose di questo tipo che faceva. E quando arrivava gennaio prendeva il volo della Qantas, mi guardava e mi diceva, sono pronto. E tornava un mese dopo con un trofeo in borsa, dicendo “Grazie. Ce l’abbiamo fatta.”
Navratilova: nuovo coach della A. Radwanska di Laura Saggio
Martina Navratilova scende ancora in campo, questa volta da allenatrice.
Martina Navratilova scende ancora in campo, questa volta da allenatrice. Sarà l'ennesima sfida da vincere, per chi, da giocatrice, ha vinto tutto. “Sono molto carica, anche se tornare in modalità partita con tutto lo stress delle competizioni non sarà facile. Il pensiero mi toglie il sonno!”. Queste le parole del nuovo coach di Agnieszka Radwanska: Martina Navratilova, la leggenda del tennis femminile di tutti i tempi con i suoi 18 Slam vinti in carriera. Così Martina conferma e prosegue la moda dei 'Top coach', che sembra imperversare nel tennis di oggi. Edberg alla guida del Maestro Federer, Becker a supporto del numero 1 Djokovic, Chang con il suo Nishikori, Ivanisevic con la promessa Cilic... E ora arriva la Navratilova.
E sicuramente sarà all'altezza della competizione. Il compito non sarà facile, anche perché la numero sei del ranking WTA, dopo un'annata non proprio eccellente, è chiamata nella prossima stagione a confermare le aspettative puntate su di lei, con l'obiettivo di raggiungere le primissime posizioni della classifica. L'entusiasmo da parte di entrambe c'è, ed è un buon punto di partenza: “Non vedo l’ora di iniziare questa nuova fase della mia vita” ha dichiarato Martina, che a 58 anni sembra ancora una ragazzina in 'erba' difronte alla sua prima sfida importante. La Navratilova sarà affiancata nel suo lavoro dall'attuale coach di Aga, Tomasz Wiktorowski. Si partirà con la preparazione appena dopo Natale.
La Radwanska, finalista a Wimbledon nel 2012, ha puntato sulla Navratilova per riuscire a raggiungere un successo Slam, come lei stessa ha dichiarato: “I suoi trionfi parlano da soli. Spero di poter imparare qualcosa dalla sua immensa esperienza, sono certa che Martina sarà decisiva per la mia carriera”. Agnieszka non poteva fare scelta più giusta, se le due 'ragazze' dell'Est riusciranno a trovare una buona sintonia e continuità nel lavoro, i risultati certamente non tarderanno ad arrivare.
Una piccola provocazione di Giorgio Giannaccini
..e se Camila Giorgi fosse – potenzialmente – il nostro più grande talento femminile mai avuto?
Che il nostro tennis femminile non abbia mai avuto grandi talenti c'è da ammetterlo! Certo, non avere grandi talenti non significa non avere grandi giocatori, e questo è il nostro caso, visto che negli ultimi anni abbiamo avuto grandissime giocatrici che hanno raggiunto exploit impensabili, ma queste, più per tenacia, tenuta atletica e intelligenza tattica, hanno raggiunto tali risultati. Così è stato per la nostra più grande giocatrice di sempre: Francesca Schiavone, in grado di vincere il Roland Garros nel 2010 e in grado l'anno dopo di bissare la finale, senza contare che è stata quarta in classifica mondiale, ed ha vinto quattro volte la Fed Cup, precisamente nel 2006, nel 2009, nel 2010 e infine nel 2013. Questa giocatrice, nonostante avesse un buon rovescio ad una mano – una delle poche tenniste, negli ultimi anni, ad entrare in top 10 con questo colpo – non era certo un talento immenso, il suo tennis si basava su una forte rotazione in topspin dei suoi colpi che, soprattutto sulla terra, la rendeva un'avversaria ostica anche alle migliori giocatrici al mondo, unendo armi come gli attacchi contro tempo – buono e puntuale era il suo tocco a rete – insieme
anche a variazioni col back di rovescio ed un'ottima fase difensiva, ottenuta grazie ad una grande mobilità fisica che le dava la sua minuta stazza. La battuta andava a giornate, e la sua non incredibile statura non l'aiutava – appena 1.66 per 64 kg –, come succedeva proprio con il suo rovescio in topspin, talvolta un colpo molto efficace, altre un volte, un colpo così pregno di rotazioni ed estremizzato – praticamente un'impugnatura western di rovescio, o giù di lì –, che il colpo faceva fatica ad avere la stessa fluidità nei giorni più felici, a causa di una rotazione difficile da spingere per chi non è molto imponente fisicamente. Ma quello che lei fece, fu - sostanzialmente - incredibile, dettato – e precisiamolo a ripeterlo, per elogiare la forza di questa ragazza – non tanto dal talento cristallino che non aveva, ma dalla forte determinazione di una ragazza qualunque, che la fece rimanere in top 10 per circa un anno. Il caso di Sara Errani, è un po' meno eclatante ma comunque da elogiare lo stesso, seppur minore. Questa giocatrice che è più regolarista rispetto alla Schiavone, e possiede dei fondamentali con cui concede meno – accelera spesso di dritto ma poco col rovescio, mantenendolo comunque di più in campo, mentre la Schiavone oltre a non accelerare troppo di rovescio concedeva più gratuiti.
Non possedendo grande potenza nei colpi, ha basato e basa la sua carriera su fondamentali pregni di forti topspin che alzano la traiettoria della palla, così da non venire attaccata e sfoggiare le sue doti di grande atleta quale è che le consentono una resistenza fisica e una rapidità a fondo campo molto rara nelle donne. Purtroppo, il suo servizio, sempre a causa di una stazza minuta -1.64 per 58 kg -, è praticamente un appoggio in campo con un po' di kick per infastidire l'avversario, ma se dalla prima non ottiene molti punti ma perlomeno non viene attaccata, la seconda è facilmente attaccabile. Però, anche in lei, ha agito molto una rara e non comune visione del gioco – grazie alla frequentazione del circuito di doppio, che l'ha portata ad essere numero 1 in questa specialità assieme all'amica
Roberta Vinci – che le permette di attuare coraggiose ma anche sapienti discese a rete, e che in altri casi, non necessariamente nell'andare a rete, le permette di capire quando è il momento di attaccare, che sia una risposta al servizio, un colpo accorciato dell'avversario, o una qualsiasi altra situazione di gioco adottando il chip and charge o la smorzata – colpo tipico del tennis su terra rossa e da lei ben eseguita. Tutto questo le ha permesso di conquistare la finale Slam a Parigi nel 2012, e sebbene abbia perso pur nettamente con la Sharapova 6-3 6-2, ha ben figurato contro la campionessa russa, inoltre, dal 2012 al 2014 ha continuamente navigato, più o meno, dentro alla top 10. Altra storia, più umile, è quella di Flavia Pennetta, una tennista storica dell'Italia, perché è stata la colonna portante di quella squadra - assieme alla Schiavone - che ha vinto quattro Fed Cup, ed anche lei, come la Errani, è stata la numero 1 in doppio. In singolare è stata numero 10 del mondo nel 2009, e dopo un ritiro che sembrava imminente, è tornato a ridosso della top 10 nel 2014. Conquistando, in questa sua seconda carriera, una semifinale agli Us Open nel 2013 e vincendo un prestigiosissimo torneo come Indian Wells nel 2014. Da un punto di vista tecnico, la si potrebbe definire come una picchiatrice da fondo campo: davvero eccelso il suo rovescio bimane per precisione e potenza, potente ma un po' meno preciso il dritto, e buona ma non incredibile la battuta – comunque la migliore delle italiane in questo fondamentale,
essendo anche la più alta delle “big”, con i suoi 172 cm di altezza. Nel tempo – sempre grazie al doppio – ha imparato ad attaccare di più a rete, anche se non ho una un grandissimo tocco e lo si desume soprattutto nei back di rovescio che, come nel caso della Errani, non è un colpo che appartiene al proprio repertorio tennistico. Quindi, sebbene abbiamo avuto storicamente dei buonissimo risultati, soprattutto negli ultimi anni, non abbiamo mai formato e cresciuto in Italia un talento assoluto - nel settore femminile - che avesse naturalezza in gran parte dei colpi, che avesse un timing innato, che fosse una potenziale giocatrice eclettica – tecnicamente parlando. Abbiamo avuto “solo” grandi giocatrici che sono diventate campionesse grazie all'intelligenza tattica e alla forte abnegazione, e non certo a immense ed uniche doti biologiche connaturate dalla nascita e poi sviluppate. Ma questa tendenza alla “mediocre eccelsa” - ovvero a quella tipologia di giocatrice che non sarebbe stata nessuno se non avesse sviluppato doti fisiche e tattiche fuori dal comune - potrebbe essere infranta dal nuovo astro nascente del tennis femminile italiano: Camila Giorgi.
Questa giocatrice, per la verità italo-argentina, nata a Macerata il 30 dicembre 1991, sembra all'occhio dei più un cavallo pazzo in cerca dell'egregio fantino che possa ammaestrarne il grande potenziale. La Giorgi, che non è un gigante, e raggiunge un onestissimo 1.68 di altezza, presenta un fisico molto tonico, che le consente una potenza, in entrambi i colpi di rimbalzo, davvero devastante per una della sua stazza, e che le consente di reggere ad armi pari – anzi a potenza pari – il confronto con le migliori picchiatrici del circuito, e ne è una prova la vittoria ottenuta contro la Sharapova quest'anno ad Indian Wells, in una partita davvero tirata e ad altissimo livello, che solo pochissime giocatrice al mondo potevano portare a casa. In più - sempre questo suo fisico - le permette una buona mobilità in campo, che può ancora
migliorare e che sicuramente migliorerà strada facendo. Inoltre, quel suo servizio, tecnicamente ben eseguito, ma che gli anni scorsi le provocava qualche doppio fallo di troppo, si sta regolarizzando: la prima non è debole, è potente e precisa, ed anche la seconda sta diventando man mano solida, grazie ad una fluida rotazione in kick. Possiamo capire che avere due colpi da fondo campo tirati con la stessa potenza di una top 3 non è poco, e avere anche il servizio, è un vantaggio quasi dopante rispetto ad un'altra qualsiasi giocatrice. Ma la Giorgi ci ha mostrato di avere anche una buona mano a rete, e se la sua convinzione nell'andarci – nelle situazioni opportune – aumentasse, assieme
Un pensierino, però, potremmo effettivamente farcelo... alla posizione – che non è perfetta proprio per questo motivo -, potremmo assistere ad una giocatrice che, se matura come sperato, avrebbe una varietà di colpi incredibile per il tennis femminile. nche perché il suo anticipo nei colpi di rimbalzo è una caratteristica molto rara nel circuito Wta, che non sarà ovviamente quello della Bartoli, ma è sicuramente tra i migliori. Insomma, come tipologia di gioco, potremmo anche parlare, con un pizzico di fantasia, di un Fognini donna stilisticamente parlando – perché eclettica come gioco, forte sia a difendere che ad attaccare, con una grande varietà di colpi –, non certo caratterialmente, visto che se Fognini ci appare con così tanta personalità se non troppa, Camila, a dire il vero, sembra sempre così timida e schiva davanti alle telecamere.
Visti questi aspetti tecnici appena analizzati, sarebbe lecito chiedersi se ci troviamo di fronte – e davvero a quel grande talento tennistico che in Italia perlomeno nel settore femminile - ci è sempre mancato. Un pensierino, però, potremmo effettivamente farcelo...
Perchè quando si vince pensate subito al doping? di Adriano S
L'uomo ha un masochistico bisogno di non darsi pace, è evidente.
L'uomo ha un masochistico bisogno di non darsi pace, è evidente. Ovviamente anche nello sport, e nello specifico nel tennis, questo bisogno atavico viene puntualmente fuori. Quasi nessuno fra i vincenti è riuscito a non destare sospetti di doping. Udite udite: ultimamente è stato accusato persino Roger Federer. E' difficile, impossibile per i più infervorati, capire come un 33enne riesca ancora a competere a certi livelli. Allora è stato ripescato materiale del 2010 che associava l'utilizzo di EPO alla contrazione della mononucleosi, che debilitò lo svizzero quasi 5 anni fa. Le reazioni sono state imbarazzantemente incoerenti.
Da una parte gli ultras dello svizzero, inorriditi dalla bestemmia e pronti a rilanciare grazie al nuovo StemCell treatment di Nadal; dall'altra gli ultras del maiorchino, rinfrancati a tal punto da dire: 'Finalmente qualcuno accusa Federer e lascia in pace Rafa'. l re dei sospetti è infatti storicamente Rafa Nadal. Da quando è sceso sul pianeta terra è stato visto come un Visitor dalle cattive intenzioni. Colpa della sua massa muscolare, delle sue energie inesauribili, della politica spagnola 'filodopeggiante' dell'era Fuentes. Si è tanto dibattuto sull'argomento ed è stato umano discuterne, ma non è mai stato trovato uno straccio di prova.
A un certo punto, quando un processo finisce, bisognerebbe accertare il verdetto, invece quando Rafa torna a vincere riparte l'ondata di accuse. I suoi fan, giustamente, lo difendono a spada tratta, innescando discussioni barbariche sui social con gli 'aggressori'. Allora si presume che, per proprietà transitiva, non debbano loro accusare altri. Quando Novak Djokovic ha iniziato a vincere con continuità, è stata invece la volta dei tifosi di Nadal. 'Inaccettabile!', 'Una dieta non fa primavera!'. L'uovo magico, una forma di 'pulizia' del sangue considerata dopante in paesi come l'Italia, aveva catalizzato le attenzioni del mondo intero dopo un servizio statunitense sull'argomento.
Solo che quell'uovo ipobarico Nole lo utilizzò l'anno prima della sua esplosione. Ormai si era però trovato l'appiglio dal quale potersi sporgere per urlare 'al doping! al doping!'. Da che pulpito. Neanche la Madonna di Medjugorje credeva in cuor suo, nonostante qualsiasi genere di Ave Maria si potesse sfornare, che Marin Cilic avrebbe potuto vincere uno Slam. Figuriamoci se sono riusciti ad accettarlo i 'dopinghunters' del web. C'era persino il precedente della squalifica per doping (sarebbe meglio chiamarla negligenza, ma passi), ad alimentare il sospetto. Figuriamoci se Cilic può dare lezioni di tennis a Federer; troppo complicato pensare che abbia vinto gli Us Open solo con le sue forze. Bisogna immedesimarsi nelle persone per provare a capirle meglio. Ecco, io credo che si entri in una sorta di trance, nella quale si vede solo ciò che si vuol vedere o sentire. Così non ha senso il progresso graduale e inesorabile di Cilic da inizio anno con culmine a New York, non ha senso una 15giorni da Dio e ha senso solo l'escamotage del pensiero. Rassegnamoci. Se provi a vincere, sei fregato. A meno che tu non desti particolare pena, come Murray, non abbia la faccia da buono, come Del Potro, o la pancetta come Stan Wawrinka.
Il mese più lungo di Alex Bisi
Dicembre, l’ultimo mese dell’anno è anche il più ricco dei 12 che compongono l’anno solare.
Dicembre, l’ultimo mese dell’anno è anche il più ricco dei 12 che compongono l’anno solare. E’ il momento giusto per meditare su quello che è successo durante gli altri 11 mesi e fare bilanci su come siano andati, ed è anche un buon momento per stilare nuovi propositi per l’anno che verrà, ma è soprattutto il mese del Natale. In questi 31 giorni si è più indaffarati che mai, la preparazione degli addobbi natalizi, alberi , presepi, calze, lunghe code nei negozi per i regali, le grandi abbuffate che durano fino alla befana lasciandoci qualche chilo di troppo come ricordo alla loro conclusione. Ma è ricco anche di sentimenti positivi, non solo di impegni. Per tradizione si è tutti più buoni, è un’occasione per ritrovarsi assieme alla famiglia e magari lasciare fuori al freddo i problemi della vita quotidiana, almeno per un pò. Ma si sa, come spesso succede, in tutte le cose c’è un rovescio della medaglia, e per un appassionato di tennis Dicembre è il mese più difficile, quello in cui non ci sono competizioni da seguire.
Un calvario per chi solitamente segue almeno un torneo ogni settimana,una via crucis che dura fino a quando non iniziano i tornei preparatori all’Australian Open a Gennaio. Dopo mesi e mesi di abbuffate sportive, l’appassionato della racchetta si ritrova sperduto, prosciugato di ogni sua passione, non gli resta che vivere di ricordi, ripercorrendo la stagione appena conclusa. I più previdenti , con gran gioia delle mogli (sarcasmo), hanno partite registrate da poter guardare nei momenti in cui l’astinenza raggiunge i livelli massimi, e divorano match già visti come fosse la prima volta, anche se in verità conoscono a memoria ogni scambio. Li riconosci subito, pigiama, ciotola di pop-corn davanti alla tv, con la moglie che lo guarda con compassione, mentre ripensa alle parole del parroco di qualche anno fa, quando si sposarono. I meno previdenti invece si rifugiano in riviste , internet e ritrovi con amici che condividono lo stesso problema e passano ore a parlare di aneddotti e previsioni sulla stagione futura con le rispettive mogli che li osservano a distanza, capendo lo stato d’animo di un drogato in astinenza. Se non siete appassionati di tennis, queste righe forse faranno luce sui vostri dubbi sul perché,
al pranzo di Santo Stefano il vostro amico tennista, sembrava avesse la sindrome di Stendhal mentre gli parlavate della vostra vacanza in montagna. Sembrava non volesse esser lì perché in realtà in quel momento lui stava rivivendo la finale di Davis, non siate indifferenti con persone affette da questo problema, cercate di stargli vicino chiedendoli come sta la schiena di Federer e vedrete che i loro occhi torneranno a splendere di luce. Siate empatici con i malati di tennis, perché questi 31 giorni per loro sono veramente difficili, e se a Natale siamo tutti più buoni non si può esimersi da questa opera caritatevole. Vorrei potervi dare qualche altro consiglio, ma devo andare, inizia la finale di Wimbledon… Buone Feste a tutti!!!!
Goal Setting di Laura Saggio
Il termine Goal setting significa: programmazione degli obiettivi.
L’atleta, insieme al suo staff, prima dell’inizio di ogni stagione pianifica gli obiettivi da raggiungere durante il corso dei vari tornei. Può accadere che, in alcuni casi, causa infortuni, fattori esterni o emotivi, il giocatore si trovi come smarrito e non riesca a recuperare le energie necessarie per riprendere le giuste coordinate. Questa perdita di rotta può causare un notevole calo di performance, compromettendo l’esito di una stagione, se non a volte addirittura di una carriera. Per queste motivazioni è necessaria un’efficace strategia di programmazione che sia modulabile durante l’arco delle competizioni. Dividere gli obiettivi in tre periodi (breve, medio, lungo termine) di solito risulta la tecnica migliore
affinché l’atleta riesca ad ottenere un miglioramento (o un recupero) graduale di prestazione. C’è infatti un nesso tra i livelli di motivazione, determinazione, impegno, costanza del giocatore professionista, e la tipologia di obiettivi prefissati. Gli obiettivi servono da 'focalizzatori' d’attenzione, stimolano una più alta concentrazione e soprattutto alimentano la motivazione. Attraverso la tecnica del goal setting è possibile pianificare non solo gli obiettivi generici, bensì quelli più specifici e determinanti, capaci di direzionare l’atleta fino a una convinta azione concreta. Due sono i diversi tipi di obiettivi: OGGETTIVI: cioè misurabili, come ad esempio raggiungere una determinata posizione in classifica.
Motivazione, convinzione e auto-stimolazione sono fattori determinanti per ogni atleta professionista. SOGGETTIVI: non misurabili (divertirsi, compiere il gesto tecnico il più preciso possibile). Lo step successivo interessa il loro indirizzo verso: -Il risultato -Una migliore performance -Se stessi (ricerca di una maggiore resistenza, velocità) Nell’organizzazione di questa tabella programmatica è necessario indicare inoltre: -La specificità (cosa deve essere fatto); -Il realismo (deve essere alla portata delle proprie capacità); -La valutabilità (gli obiettivi devono essere quantificabili); -Il timely (la scadenza per il raggiungimento degli obiettivi a breve-medio-lungo termine);
-La strategia (riguardo gli aspetti tecnico-tattici). Lavorare bene sui propri obiettivi significa prepararsi bene mentalmente prima di iniziare le competizioni. Motivazione, convinzione e auto-stimolazione sono fattori determinanti per ogni atleta professionista.
Il collegamento tattico/tecnico di Wayne Elderton Può darsi che non lo abbiate notato, ma la tecnica è l’argomento preferito della maggior parte delle persone impegnate nel tennis.
Può darsi che non lo abbiate notato, ma la tecnica è l’argomento preferito della maggior parte delle persone impegnate nel tennis. I giocatori ne parlano (basta ascoltare qualsiasi conversazione dopo un match), gli allenatori ne parlano, e così i genitori, i commentatori della TV e la lista potrebbe continuare. La maggioranza delle lezioni che le persone prendono si concentrano sulla tecnica. Basta guardare i video sul tennis, le riviste e i siti web, e vedere di cosa si parla di più. La tecnica sembra essere la grande fissazione. Il motivo è che il tennis è uno sport motorio complesso. La coordinazione, l’agilità e l’equilibrio richiesti sono impegnativi, anche per il miglior atleta.
Potete prendere in considerazione un fenomeno dell’atletica che ha una resistenza mentale eccezionale (come ad esempio Michael Jordan) e, senza allenamento nel tennis, verrebbe demolito in campo dalla maggior parte dei giocatori amatoriali 4.0 +. La loro superiorità tecnica avrebbe la meglio. Imparare la tecnica è un aspetto cruciale del tennis. Qualsiasi modo per migliorare e affrettare il processo dell’apprendimento della tecnica sarebbe inestimabile per ogni giocatore e ogni allenatore. Quel processo è ora qui. Un Nuovo Ordine del Mondo E’ ovvio che il gioco è cambiato negli ultimi 30 anni.
L’allenamento ha tenuto il passo e continuato ad evolversi? Benché il “materiale” che viene insegnato si sia in massima parte modernizzato (guardate tutta l’enfasi sulla tecnica del gioco moderno negli anni recenti), il processo usato per allenare è rimasto sostanzialmente lo stesso. Una delle principali iniziative che hanno permesso a questo argomento di emergere negli ultimi anni è il Games Based Approach (GBA) [l’approccio basato sul gioco]. Ha guadagnato popolarità nei ambienti degli allenatori, e il termine è usato frequentemente senza che gli allenatori ne capiscano realmente la potente premessa. La premessa per il GBA è semplice. Il tennis è un gioco. Ogni gioco deve essere giocato, e giocare è uno sforzo tattico.
Il successo in ogni gioco richiede chiare intenzioni, prendere delle decisioni e risolvere i problemi. Quanto alla tecnica, il tennis non è un pattinaggio figurato. Non ci sono giudici vicino che dicano “La tua esecuzione era molto migliore di quella del tuo avversario, 15 – 0 per te!” La tecnica è il secondo punto (dopo la tattica), ma non è secondaria. Non mi fraintendete! Non sto dicendo che la tecnica non è importante. E’ cruciale per il successo nel tennis. Pertanto, se veramente volete preparare la scena per lo sviluppo di un colpo tecnico significativo, la chiave è la tattica (no, questo non è un errore di stampa). Questa priorità tattica può rappresentare un ostacolo per gli allenatori. Specialmente perché la maggioranza del loro repertorio di allenamento consiste di materiale tecnico. Prima che un allenatore possa incorporare la tattica e spostarsi da un semplice allenamento tecnico a un allenamento tattico-tecnico, ci sono delle domande fondamentali che si deve porre. Qual è il rapporto fra tattica e tecnica durante l’allenamento? Come può l’allenamento passare da tattico a tecnico? Come può l’allenatore usare tattica e tecnica in modo sistematico? La maggior parte dei giocatori e degli allenatori non è al corrente del dibattito intorno al GBA che si verifica negli ambienti degli allenatori. I denigratori a torto pensano che la tecnica sia trattata male o ignorata in un GBA.
Questo è vero solo se il GBA è applicato in modo inesatto. Se capiamo quello che ci dice la ricerca attuale sul processo di apprendimento motorio e la funzione del cervello, il GBA è il modo migliore e il più efficace per imparare la tecnica. Uno dei modi più efficaci per utilizzare un GBA è usare quello che io chiamo “Situation training” (ST) [allenamento nella situazione]. Lo scopo nello ST è identificare le situazioni che i giocatori incontrano quando sono in partita, e migliorare il loro rendimento in quelle situazioni. Sembra una cosa abbastanza semplice, eppure il tipico allenamento tecnico usato dagli allenatori non fornisce loro gli strumenti necessari.
Tecnica e tattica diventano una cosa sola. Per la maggioranza degli allenatori, la tecnica e la tattica sono due categorie distinte e separate. Niente può essere più lontano dalla verità. Nel mondo odierno dell’analisi biomeccanica e dell’alta velocità nell’immagine digitale, il legame tattico/tecnico troppo spesso si perde. Questa falsa separazione fa sì che i giocatori spendano migliaia di dollari in lezioni tecniche che migliorano l’aspetto dei loro colpi, ma non migliorano affatto il loro gioco. Domandate a qualsiasi gruppo di giocatori di amatoriali: “Quanti di voi perdono con avversari tecnicamente peggiori di voi?” e quasi tutti alzeranno la mano. Tutti vi possono parlare delle più recenti tecniche, ma pochi sanno come giocare bene. E questo non dovrebbe accadere. Il rapporto tattico/tecnico è semplice. La tecnica è solo un mezzo per implementare una tattica. La capacità tecnica da sola è inutile in una partita se non viene usata nel modo giusto, al momento giusto e nel luogo giusto. Il fatto è che, senza tattica, dei buoni colpi tecnici sono semplicemente un esercizio per mostrare di avere classe. Immaginate un giocatore di pallone che dà un calcio alla palla con impeccabile abilità. Il suo colpo in rete confonde facilmente il portiere. Benché lui abbia dato il calcio con grande tecnica, la sua squadra era furibonda. Perché? Sotto la pressione, aveva messo la palla nella sua stessa rete. Buona tecnica, tattica sbagliata. Questo può essere un esempio estremo, eppure nel tennis i giocatori di continuo mettono in pratica idee veramente brutte con bei colpi.
Imparare un colpo senza un’intenzione tattica è una cosa incompleta. Quanti giocatori hanno avuto un allenatore che li ha riempiti di cesti di palle per “incidere” un colpo che poi non hanno potuto usare in partita? Se l’allenatore non dedica tanto tempo a integrare la capacità nel gioco tattico, è molto poco probabile che il giocatore sappia usarlo nel corso di una vera partita. Il motivo? Il colpo era stato appreso isolato dalla realtà. Nel giocare una vera partita, ogni colpo richiede che si prenda una decisione. La tattica è proprio prendere una decisione. E’ la scelta che un giocatore fa di quale tecnica usare, quando, dove e contro chi. Nessuno può giocare bene senza tattica, e nessuna tattica può essere messa in pratica senza prendere una qualche decisione. Attenzione: se un allenatore riesce a cogliere il punto cruciale, cioè che c’è una semplice connessione fra tattiche e tecniche, il suo modo di allenare migliora sensibilmente.
Esploriamo la tattica che sta dietro le tecniche. Nella foto 1, la giocatrice accompagna in basso, verso il fianco sinistro. Questo sarebbe considerato errato da molti allenatori. E pertanto è un’ottima tecnica quando la tattica è una palla di attacco ricevuta in alto (specialmente se l’intenzione è di accompagnarla verso la rete). Questo accompagnamento è la conseguenza naturale del livello di accelerazione della racchetta attraverso la palla, causato da un impatto dall’altezza del petto, unito a una completa rotazione del corpo. Qualunque altro modo di accompagnare non avrebbe permesso al corpo e alla racchetta di fare ciò che era necessario per eseguire la tattica. Nella foto 2 l’accompagnamento è eseguito nel modo “più classico” che termina sopra la spalla.
La Tattica Determina Qual Tecnica è “Giusta”! Per esempio, osserviamo nelle tre fotografie il modo in cui una giocatrice top accompagna il colpo. Ricordate, sono tutti colpi di diritto, e tutti durante Questo è stato il risultato dell’aver colpito con un tiro con effetto penetrante in profondità, per neutralizzare l’avversario durante uno scambio. Nella terza foto, l’accompagnamento si limita a girare intorno alla parte posteriore della testa. Questo sistema è stato chiamato”finale invertito”,”bender” o “flip”. Io lo descriverò a volte come un finale “al laccio”. Comunque sia chiamato, questo strano finale è diventato popolare con tutti i professionisti. La tattica è che l’avversario ha eseguito il tiro con una velocità che ha spinto la giocatrice verso il lato. Per rispondere, lei ricambia con un alto effetto ad arco per guadagnare tempo.
L’intensa preparazione necessaria per ricevere il colpo più potente, l’impatto sul fianco (un impatto frontale non avrebbe consentito la necessaria traiettoria verticale), la rapida azione dal basso verso l’alto sono stati il risultato di questo modo di accompagnare. Questi non sono casi unici. Basti guardare un qualsiasi torneo di professionisti, e potrete vedere costantemente questi modi di accompagnare. Sono forse sbagliate le foto 1 e 3? Se sì, quei professionisti dovrebbero restituire i loro milioni di dollari! Ovviamente, sono tutti modi di accompagnare “giusti” (perfettamente adatti alla situazione incontrata). Tecnicamente, non è solo l’accompagnamento a variare quando cambia la tattica, ma variano anche
la misura della preparazione, la velocità e il ritmo del swing, il percorso della racchetta, la rotazione del corpo, il punto d’impatto e il lavoro di gambe. Queste cose non sono espressione degli stili dei giocatori, ma l’applicazione di una specifica tecnica di situazione. Ogni giocatore professionista sa (coscientemente o incoscientemente) che c’è un legame diretto fra tattica e tecnica. Sono solo gli allenatori che non lo capiscono. Questo legame può sembrare complicato all’inizio ma, nella mia esperienza di allenatore di centinaia e centinaia di allenatori, è uno dei concetti più importanti da conoscere per un allenamento di livello superiore (non è questione di allenare giocatori di alto livello, ma allenare ad alto livello). Il legame passa da tattico a tecnico (o da tecnico a tattico) attraverso i seguenti passi: Tattica Prima bisogna definire la tattica di cui il giocatore ha bisogno per esibirsi (ad esempio un colpo di scambio diritto attraverso il campo per neutralizzare l’avversario). La tattica comprende le intenzioni, le decisioni e la soluzione del problema su cui il giocatore si deve impegnare per vincere più punti (o per perderne di meno). Controllo della Palla Successivamente, determinare le caratteristiche chiave del controllo della palla necessario perché la tattica abbia effetto. Questo include il ricevere i diversi controlli della palla e anche l’inviarli. Il controllo della palla è un ponte cruciale fra tattica e tecnica.
I 5 Controlli della Palla sono: * Altezza * Direzione * Distanza * Velocità * Effetto Nel nostro esempio di diritto, la palla deve essere più alta, con una traiettoria ad arco e effetto, verso l’angolo opposto del campo. Il modo in cui la palla è controllata è determinato direttamente da ciò che la racchetta fa alla palla al momento dell’impatto. Questi sono chiamati i Princìpi P.A.S. (Traiettoria, Angolo e Velocità della racchetta). Nel nostro caso, la traiettoria della racchetta sarebbe dal basso verso l’alto (circa 40 gradi), l’angolo sarebbe verticale
con le corde che guardano verso l’angolo opposto del campo, e la velocità sarebbe media, ma accelerando verso l’impatto per dare l’effetto. Ricordate, la meccanica del corpo non determina direttamente quello che fa la palla, sono i Princìpi PAS che lo determinano! Tecnica Alla fine, bisogna applicare la meccanica necessaria ad eseguire i tiri con coerenza, a velocità più alta senza sprecare energia (economia) e minimizzando gli infortuni (efficienza); (ad esempio un appropriato legame dei segmenti del corpo dal suolo in su). Nella nostra metodologia canadese, noi effettivamente includiamo il Controllo della Palla nella categoria tecnica. E’ chiamato “la doppia definizione della tecnica” (quello che fa la palla e quello che fa il corpo del giocatore). Il punto chiave è che la tecnica è “giusta” solo se porta a termine il compito che le era stato assegnato. Quando ero un giovane allenatore senza esperienza, ho sprecato troppe ore a controllare “forma” e ”aspetto” dei colpi dei giocatori (sfortunatamente, senza migliorare molto la loro prestazione nel match). Un allenatore spesso noterà (e lo commenterà con il giocatore) un certo numero di problemi tecnici; comunque dovrebbe concentrarsi solamente su quello che aiuta la prestazione del giocatore.
L’istruzione tecnica dovrebbe essere di controllare la palla per eseguire una tattica (non solamente perché un allenatore vuole che il giocatore abbia un determinato aspetto). Imparare la tecnica giusta. Allora quale tecnica insegnate? Esiste qualcosa come una tecnica “basilare” che tutti dovrebbero imparare? Pensate a tutte le ore che gli allenatori trascorrono alimentando migliaia di colpi “diritti” dal cesto. Le domande che dovrebbero formulare sono, “Quale diritto si sta imparando?”, “E’ quello più utile?” e “E gli altri, necessari per il successo del gioco?” In un GBA, l’imparare il gioco inizia con i colpi di scambio (dato che lo scopo principale dei giocatori che iniziano è uno scambio costante). Lo stesso principio vale per il servizio e le volées (questi colpi, che permettono a un giocatore di restare neutrale, sono il miglior modo di cominciare). Pertanto, avendo detto quanto sopra, anche per chi è agli inizi, appena cambia la situazione deve cambiare anche la tecnica. Ogni colpo nel tennis è come un movimento negli scacchi.
Il giocatore vede quello che sta facendo l’avversario, la sua posizione e la palla ricevuta, decide quale tattica usare e adatta la tecnica specifica alla situazione. Se la tecnica non si adatta alla situazione, ne risulterà un brutto tiro. Il cercare di usare il colpo diritto del tipo “misura unica” per cui hanno pagato centinaia di dollari non funziona. Senza adattamento non c’è efficacia. Dopo i colpi neutri, sarebbe bene aggiungere azioni difensive (per mantenere la costanza quando si è maggiormente sfidati). Allora potrebbero essere aggiunte azioni di attacco per aumentare la pressione sugli avversari, e finalmente azioni contrastanti per imparare a gestire un gioco a più alta velocità e capovolgere la situazione contro gli avversari.
Qualunque sia la tecnica imparata, è importante che gli allenatori mantengano il legame fra la loro Tattica, il Controllo della Palla e la Tecnica. Maggiore il distacco, maggiore sarà il disservizio reso al giocatore che impara le tecniche. Conclusione Per esempio, vedete chiaramente che il vostro avversario è dal lato del suo diritto, e lui vi manda una mediocre palla di scambio attraverso il campo verso il vostro diritto. Quale tecnica di diritto applicate? L’effetto ad angolo acuto attraverso il campo? L’effetto profondo con un arco chiuso verso il centro? O cambiate la direzione della palla con un colpo lungo la linea?
Ogni colpo nel tennis offre delle scelte, e ogni scelta richiede una tecnica molto diversa. La vostra scelta è altrettanto importante quanto la vostra forma. Imparare i colpi in ripetizione isolata (separata dal gioco) non mette i giocatori completamente in grado di giocare con successo. Il tennis non è stato creato perché i giocatori possano concludere il colpo! La tecnica è solo un mezzo per giocare (non fine a se stessa). Per imparare veramente la tecnica pertinente, pratica e utile, ricordate il punto chiave: la tattica. Reprinted with permission of TennisPro, the official publication of Professional Tennis Registry.