Tennis World Italia n 37

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La Legge di Stan Federico Mariani

Se due indizi fanno una prova, tre emanano una legge. Dopo un’annata opaca di apparente letargo, Stan Wawrinka alza la voce nell’ultimo grande appuntamento dell’anno e agguanta lo scettro newyorkese battendo Novak Djokovic in finale. È il terzo Major per Stan The Man alla terza finale Slam nella terza location diversa dopo i trionfi di Melbourne e Parigi, tutte finali – sfumatura statistica pregna di significato – vinte contro il numero uno dall’altra parte della rete (in Australia Nadal, le altre due Djokovic).

Il serbo è costretto a chinare il capo nuovamente, arreso a quella che ormai può essere definita la legge dello svizzero. È una carriera atipica quella di Stan che dal gennaio 2014 ha preso una strana deriva, o meglio non quella che i primi (e tanti) anni sul circuito avevano lasciato intendere. Il ragazzo di Losanna – che ha cominciato a vincere trofei pesanti soltanto a 29 anni – si conferma giocatore da palcoscenico

importante e il successo a Flushing Meadows rilancia d’improvviso il suo posto nella storia attuale e futura del Gioco. Già perché, suona come un paradosso per ciò che siamo abituati a vedere durante la stagione, ora Wawrinka ha appaiato Andy Murray come numero di Slam, la voce statistica preminente nel report di fine carriera di un giocatore anche se ovviamente non l’unica. Sfogliando a ritroso il 2016 dell’elvetico si registra un’annata tutt’altro che esaltante se relazionata allo status di inquilino fisso della top-five. Wawrinka ha rastrellato tre titoli prima di New York, bottino accettabile per

quantità ma non per qualità in quanto gli allori sono arrivati in tornei minori come Chennai e Ginevra, oltreché a Dubai. Nelle tappe di maggior prestigio, lo svizzero ha raccolto appena una semifinale al Roland Garros e un’altra sul circuito Masters 1000 (in Canada, perdendo malamente contro Nishikori). Poco, troppo poco. Evidentemente Stan stava preparando la chiusura col botto, effetto-sorpresa


pienamente riuscito.

Audentes fortuna iuvat. Nella sua cavalcata trionfale nella Grande Mela, Wawrinka è stato formidabile nello sfruttare una serie di incastri che il caso ha intavolato: Federer fuori dai giochi, Nadal eliminato prematuramente, Murray ha steccato abbastanza clamorosamente contro Nishikori e Djokovic a mezzo servizio. dopo essere sopravvissuto alla sfida di terzo turno contro Evans cancellando con una volée incrociata il matchpoint al brillante britannico nel tie-break del quarto set, Stan ha avuto un crescendo di rendimento nelle fasi finali del torneo, culminato con la

vittoria contro Djokovic in finale, in quattro set come le altre due finali Slam disputate mettendo in campo – prima del tennis – quella scaltrezza d’animo di chi sa sfruttare le occasioni che gli si presentano e non ha paura. Sarebbe tuttavia ingiusto appaiare in un’immaginaria scala del potere le carriere e

il valore di Wawrinka e Murray, come l’attuale numero di Slam in bacheca potrebbe lasciar intendere. Mentre il ragazzo di Dunblane ha edificato le proprie fortune grazie alla solidità su ogni superficie e, soprattutto, grazie alla continuità settimana dopo settimana, il rossocrociato è più un cavallo da corsa, l’uomo dell’exploit nelle grandi occasioni e in uno sport come il tennis attuale, estremizzato in una competitività di vertice spietata, la costanza deve essere premiata rispetto alla fiammata di una settimana. I voli pindarici sulla storia, tuttavia, interessano ai giornalisti e affascinano gli

appassionati ma poco toccano i giocatori. Wawrinka ora starà coccolando tra le mani il trofeo degli Us Open e poco importa se non ci saranno più squilli da qui a fine anno o per altri dodici mesi. Stan a New York ha confermato di essere uno Slammer, e se due indizi fanno una prova, tre emanano una legge. La legge di Stan.


Nadal, il problema sono gli Slams Marco Di Nardo

Parigi, è l'8 giugno 2014, Rafael Nadal affronta Novak Djokovic nella finale del Roland Garros, e batte il serbo in 4 set, conquistando il suo titolo numero 14 nei tornei del Grande Slam, il nono sulla terra parigina. Ancora una volta il maiorchino ha dimostrato di essere il migliore quando si gioca sulla distanza dei 3 set su 5: a gennaio dello stesso anno era stato finalista all'Australian Open, mentre nel 2013 aveva vinto Roland Garros e U.S. Open, per un totale di 4 finali negli ultimi 5 tornei Major, con 3 vittorie e 1 sconfitta. Da Wimbledon 2014 il buio. A settembre del 2016 la situazione sembra essersi ribaltata: Nadal sta giocando bene, e dopo un 2015 da dimenticare ha ritrovato un tennis di altissimo livello, ma non riesce proprio ad essere competitivo nei tornei dello Slam, in cui non ha più ottenuto nemmeno una semifinale da quel successo all'Open di Francia del 2014. La sconfitta contro Lucas Pouille agli ottavi di finale degli U.S. Open 2016, è solo l'ennesima delusione all'interno di un periodo in cui lo spagnolo sembra fare più fatica nei match sulla lunga distanza, rispetto a quelli che si giocano per tutto il resto della stagione individuale, sulla classica distanza dei 2 set su 3. Rendimento negativo al 5° set. In questo 2016, infatti, lo spagnolo è tornato a vincere con buona continuità nonostante


l'ennesimo infortunio che lo ha costretto a saltare il torneo di Wimbledon, ma all'Open degli Stati Uniti ha confermato la tendenza negativa quando si tratta di giocare incontri al meglio dei 5 set. In passato Rafa era praticamente imbattibile nei match che si prolungavano oltre le 3 ore di gioco, e soprattutto aveva un record incredibile al 5° set, mentre nell'ultimo periodo sono arrivate tre sconfitte consecutive al parziale decisivo: quella contro Fabio Fognini agli U.S. Open dello scorso anno, primo match della carriera in cui Nadal ha subito una rimonta da 2 set a 0 avanti (al momento il suo record è di 156 vittorie e 1 sconfitta dopo aver vinto i primi due parziali), quella contro Fernando Verdasco all'Australian Open di quest'anno, e infine la sconfitta al tie-break decisivo contro Pouille a New York. L'ultimo successo del maiorchino in un match terminato al quinto set, resta quindi quello ottenuto contro Tim Smyczek all'Australian Open 2015. Troppe sconfitte. Ma oltre al record negativo nelle ultime sfide al set decisivo, preoccupa proprio il rendimento complessivo negli Slam. Da Wimbledon 2014 sono arrivate 2 sconfitte ai quarti (Australian Open e Roland Garros 2015), 2 agli ottavi (Wimbledon 2014 e U.S. Open 2016), una al terzo turno (U.S. Open 2015), una al secondo turno (Wimbledon 2015), una al primo turno (Australian Open 2016), oltre al ritiro prima di giocare il terzo round al Roland Garros di quest'anno, e i forfait agli U.S. Open 2014 e Wimbledon di quest'anno, per un totale di 19 partite vinte e 7 perse negli ultimi 10 Slam. Decisamente troppo poco per un vincitore di 14 prove dello Slam tra il 2005 e il 2014.


Problema fisico o mentale? Un rendimento così negativo negli Slam potrebbe far pensare ad un fisico che non riesce più a sostenere il gioco dello spagnolo nei match sulla lunga distanza. Probabilmente Nadal non ha più la resistenza di qualche anno fa, ma il problema principale è da ricercare nella testa del maiorchino, ormai da troppo tempo all'inseguimento di un risultato importante nei tornei che contano di più. Nelle fasi finali del match contro Pouille sono emerse tutte le difficoltà di Rafa nel portare a casa le sfide importanti in questo periodo: dopo essere rientrato dal 3-6 al 6-6 nel tiebreak decisivo, Nadal ha avuto la chance di conquistare il match-point in proprio favore con un dritto che in passato avrebbe quasi sicuramente messo a segno, e invece ha messo in rete una palla che ha regalato un nuovo match-point al rivale, poi rivelatosi quello decisivo. Ma anche a livello mentale la situazione è migliorata rispetto al recente passato, in cui Nadal aveva rivelato di essere molto ansioso durante gli incontri, non riuscendo ad esprimere il suo tennis: ora manca solo un po' di fiducia per risolvere i match più complicati come quello di New York, fiducia che può arrivare solo attraverso i successi. Futuro roseo? Dopo la dura sconfitta subita a Flushing Meadows, Rafa ha comunque affermato di essere in una situazione migliore rispetto a un anno fa. In effetti, ad esclusione delle brutte sconfitte subite all'Australian Open e agli U.S. Open, in questa stagione Nadal è tornato a giocare decisamente meglio rispetto al 2015, vincendo il Masters 1000 di Monte-Carlo, il torneo di

Barcellona, e la medaglia d'oro in doppio alle Olimpiadi di Rio, dove ha anche ottenuto un discreto quarto posto in singolare. Certamente non è una situazione semplice, ma se riuscisse ad evitare nuovi infortuni, Rafa potrebbe essere uno dei favoriti per le Atp World Tour Finals di fine anno, e per gli Slam nella prossima stagione.





A.A.A. forza mentale di Rafael Nadal cercasi Gatto Luigi "Più la partita avanza più è un bene per

Rafael Nadal". Quante volte abbiamo sentito questa frase in passato...Una teoria che era divenuta sentenza, ma che è clamorosamente venuta a mancare negli ultimi due anni. Il motivo quest'anno non lo sa nemmeno Nadal: "Non ho perso per una questione mentale, né fisica né di pressione, mi è mancato qualcosa a livello di tennis", ha detto dopo il match rocambolesco contro Lucas Pouille. Difficile condividere questa opinione: quando sei avanti 4-3 30-0 e servizio nel quinto set e subisci il break, e quando qualche game più tardi sbagli un dritto comodo sul 6-6 nel tie-break, è difficile credere che le occasioni non sfruttate siano dovute solo a lacune tecniche o a una mancanza di fiducia in questo colpo, nonostante i fastidi al polso. Aveva illuso un po' tutti Nadal dopo le Olimpiadi e per di più dopo i primi tre turni agli US Open in cui aveva ceduto appena 20 games, tutti però contro avversari di livello abbastanza modesto, proprio come a Rio, dove il primo vero avversario lo aveva incontrato nella semifinale persa sempre al tie-break del set decisivo. Ed è proprio il bilancio al terzo o quinto parziale che più preoccupa sulla condizione mentale e fisica di Rafa, che su 16 match terminati al terzo set quest'anno ne ha persi cinque, senza

considerare che a Roma contro Djokovic ha avuto set point non sfruttati in entrambi i set e che contro Murray a Madrid il punteggio è stato ugualmente serrato (7/5 6/4).

NEGLI SLAM È CRISI NERA - Negli ultimi dieci Major non è arrivato nemmeno una volta in semifinale: il miglior piazzamento? Due quarti di finale agli Australian Open e al Roland Garros 2015, poi due quarti turni, due terzi turni, un secondo turno e un primo turno. Nel mezzo due Slam non disputati. Nel 2016 al meglio dei 5 set ha raggiunto risultati non da top 10, eppure potrebbe presto ritrovarsi alla terza posizione del ranking mondiale, il che la dice lunga sul momento che i giocatori che non siano Djokovic o Murray stanno attraversando. Al di là della sfortuna, ciò che è successo a Parigi con l'infortunio al polso è un altro segnale che dimostra quanto a livello fisico il calo sia evidente. Le sconfitte a Melbourne e New York non sono invece giustificabili, con tutto il rispetto per le prestazioni pazzesche di Pouille e Verdasco. Contro quest'ultimo era addirittura avanti 2-0 con palla break per il 3-0 pesante nel quinto set. A posteriori, sembra esser stato lui a far diventare fenomeni gli altri, basti vedere la stagione negativa di Verdasco. Certo, Pouille è un giovane che in prospettiva potrà raggiungere i massimi livelli nel tennis mondiale, ma ormai sono troppi i match dove sembra che gli avversari di Nadal facciano la partita della vita.

UN GIOCO DA ALTI E BASSI - Se nei momenti cruciali i migliori giocatori al mondo possono contare su un colpo ormai determinante nel



tennis moderno come il servizio, lui è quasi sempre costretto a giocarsi il punto da fondo limitandosi a mettere una prima palla che sa quasi di rimessa. "Solo" sei anni fa proprio agli US Open ha servito per la prima volta a più di 200km/h, davvero un mistero il fatto che non sia più riuscito a trovare quelle velocità. Un altro segnale di poca brillantezza di gioco è rappresentato dalla poca profondità coi colpi da fondo, Pouille ha spesso e volentieri avuto l'opportunità di anticipare la palla e di attaccare sia col diritto che col rovescio, come dimostrano i 59 vincenti messi a segno. Inoltre, nei momenti importanti Nadal non solo sbaglia, ma lo fa anche in modo vistoso, in lunghezza o affossando la palla a rete. La nota positiva è rappresentata dalla ricerca della rete: 35 i punti vinti nei pressi del net su 48 giocati contro Pouille, a dimostrazione che la medaglia d'oro vinta in doppio a Rio non è frutto del caso. ASIA... E POI ATP FINALS? - Arriva una parte di stagione molto importante per Rafa, che difende 1.700 punti in totale tra Pechino, Shanghai, Basilea, Bercy e proprio il torneo dei Maestri dove dovrebbe essere al via: al momento è sesto nella Race con più di 600 punti di vantaggio sul nono Berdych. Difficile avere alte aspettative soprattutto a Londra a novembre, in una superficie sempre più ostica per lui.





Nadal, un insospettato "Big Serve" Alex Bisi

Rafa Nadal, oltre che essere considerato “the King of Clay”, ha come sua caratteristica principale di essere un eccellente giocatore di rimessa e da fondo campo, ma molti sottovalutano la sua capacità al servizio. Un’analisi Atp dimostra che Rafael è il giocatore con la più alta percentuale di punti vinti sulla seconda di servizio. Il maiorchino non ha una seconda potente

come tanti altri, ma il suo slice mancino risulta molto difficile da attaccare. Il suo servizio mira spesso al corpo, per ottenere una risposta poco profonda e possibilmente centrale, in modo da poter prendere il controllo del punto e magari chiudere con un dritto.

Roger Federer, il suo eterno rivale, dotato di un servizio più performante dello spagnolo, è secondo in questa particolare classifica, anche se lo scarto è minimo. Percentuale punti vinti con la seconda di servizio: - Rafael Nadal 56.9% - Roger Federer 56.6% - John Isner 56.1% - Andy Roddick 56% - Novak Djokovic 55.5% - Wayne Arthurs 54.6% - Milos Raonic 54.6% - Juan Carlos Ferrero 54.2% - Andre Agassi 54% - Philipp Kohlschreiber 53.9%

Notare che solo quattro giocatori sono classificati come “big server”, cioè giocatori che ottengono molti punti al servizio, Isner,Raonic, Roddick e Arthurs. Altri, hanno imparato a massimizzare la seconda di servizio per ottenere punti importanti; Djokovic,Ferrero, Kohlschreiber e Agassi.


Analizzando le stagioni recenti, troveremo sempre i soliti nomi a guidare la classifica - 2015 Djokovic 60.2% - 2014 Federer 57.8% - 2013 Djokovic 59.6% - 2012 Federer 59.9% - 2011 Federer 57.1% - 2010 Nadal 59.5% - 2009 Roddick 57.2% - 2008 Nadal 60.1% - 2007 Federer 59% - 2006 Federer 58.9% Notare che la stagione 2015, che ha visto Djokovic ottenere un bilancio di 82 match vinti a fronte di 6 sconfitte, vanta la percentuale piĂš alta di punti sul secondo servizio delle ultime 10 stagioni.


Il racconto Edberg-Chang US Open 1992

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La scommessa Remo Borgatti

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Certo che io e Franklin siamo proprio due bei tipi. Avevamo poco più di sei anni, nel settembre del 1960, quando la nostra prima insegnante, Miss Louisa Stevenson, ci mise nello stesso banco il primo giorno di scuola. Da allora non ci siamo mai persi di vista. A quel tempo, l’Empire State Building era ancora il grattacielo più alto di Manhattan e aspettavo con una certa ansia che mio padre mantenesse la promessa di portarmi sul tetto per farmi vedere la città dall’alto. Franklin è nipote di immigrati, per parte di madre. Suo nonno Olaf lavorava al consolato degli Stati Uniti a Stoccolma e lì si era innamorato di un’impiegata americana, una certa Rose Staynbow, la quale però nel 1932 era tornata in Alabama. L’anno successivo, Olaf Magnusson aveva lasciato la Svezia con la seria intenzione di raggiungere Rose a Tuscaloosa ma la ragazza non aveva perso tempo e quando Olaf la rivide venne a sapere che si era fidanzata con uno del posto. Deluso ma non scoraggiato, lo svedese si era trasferito a New York in cerca di lavoro e, nonostante la depressione, era riuscito a sopravvivere lavando piatti in un ristorante di Staten Island. Niente di originale, insomma. Fu proprio in quel locale che conobbe Barbara, la cuoca di origini italiane che in seguito divenne sua moglie. I due ebbero due figlie, una delle quali è la madre del mio migliore amico. Tutto questo per dire che nelle vene di Franklin

scorre sangue scandinavo. E adesso vi spiegherò perché questo particolare riveste una certa importanza nella vicenda che sto per raccontarvi. Mi chiamo Robert McDonald e sono uno dei circa 18 mila fortunati che potranno assistere in diretta, dal vivo, al Super Saturday di questi meravigliosi US Open 1992. Il biglietto per un posto all’interno del Louis Armstrong Stadium l’ha messo a disposizione la ditta in cui io e Franklin lavoriamo e, dato che non interessava a nessun altro, abbiamo deciso di giocarcelo con una sfida a tennis. Due ore programmate in uno dei sei campi in duro di Dekalb Avenue, a due passi dalla Long Island University, per quella che non era una partita come le altre. Niente affatto. Perché chi vinceva andava a Flushing Meadows e chi perdeva andava a lavorare. Danno e beffa. Due su tre e, nel caso fossimo andati per le lunghe, eventuale tie-break secco al posto del terzo set. Ma io confidavo di risolvere la questione nel limite temporale della prenotazione, anche e soprattutto perché avevo battuto Franklin le


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ultime sei volte che ci eravamo incontrati. Siamo due autodidatti che non hanno mai scambiato una sola pallina con il maestro. E si vede. Eccome se si vede! Tuttavia, nel tempo, abbiamo lavorato sodo sui nostri difetti, consolidandoli e trasformando ognuno di loro in una parvenza di certezza. Così adesso riusciamo a gioire dei pochi colpi azzeccati e, soprattutto, abbiamo il coraggio di innervosirci quando sbagliamo. Senza pensare che, in casi come i nostri, gli errori rappresentano la norma e quindi andrebbero tollerati con ben altro spirito, se proprio non accettati del tutto. Comunque, stavolta in palio c’era ben più dell’orgoglio - che pure aveva sempre costituito il sale delle nostre battaglie - perché il destino aveva voluto riservare a uno di noi due l’opportunità di vedere finalmente da vicino (beh, insomma, non proprio vicinissimo considerata la vastità di questo stadio) il proprio beniamino opposto a quello dell’altro. Io giocavo per andare a tifare Chang. Franklin per Edberg. Le nostre preferenze erano un paradosso in

quanto, sul campo, entrambi amavamo esprimerci cercando di imitare (piuttosto rozzamente, per la verità) l’idolo dell’altro. Io appena potevo mi attaccavo alla rete; per lui invece sembrava che la linea di fondo segnasse il limite di un burrone e preferiva pedalare da dietro e cercare di infilarmi col rovescio a due mani. In ogni modo, avevo vinto 6-3 e 7-5, recuperando il secondo parziale da 2-5 e annullando due palle set sul 5-3 e 40-15. Cioè, annullare è una parola azzardata; Franklin aveva prima commesso un doppio fallo e poi si era avventurato in un dritto lungo linea assai pretenzioso che gli era scivolato in corridoio di almeno quindici pollici. Naturalmente, non si era più ripreso e aveva perso quasi tutti i punti successivi. «Ti sembrerà incredibile» mi aveva confessato negli spogliatoi «ma stasera ho capito come devo giocare per vincere. Nessuno può battere Franklin Bridgewater otto volte di fila!» Gli avevo risposto con un sorriso, prima di infilarmi sotto la doccia e pensare a quello che sarebbe successo oggi. Quando, a metà degli Anni ’70, vennero poste le basi per l’edificazione del nuovo complesso che avrebbe sostituito il glorioso West Side Tennis Club di Forest Hills quale sede degli US Open, i miei genitori furono assai prossimi al lutto. Entrambi fan sfegatati di Jim Morrison, proprio qui dove io mi trovo in questo momento loro assistettero al concerto dei Doors il 2 agosto del 1968 (ricordo bene che mi portarono da nonna Esther, quella sera) nel mitico Singer Bowl, l’arena per gli spettacoli costruita quattro anni prima nell’ambito dell’Esposizione Universale del 1964/65. Adesso, nello spazio che ospitava la sagoma rettangolare del Singer Bowl, ci sono i due campi principali dello slam di casa nostra: il Louis Armstrong Stadium e il Grandstand. Sono


le undici e dieci del mattino e i primi due semifinalisti del singolare maschile stanno terminando il palleggio di riscaldamento. Nello zaino che ho portato con me ci sono due sandwich, una bottiglietta di Coca-Cola, un cappellino per il sole che tra poco sarò costretto a indossare, la macchina fotografica e il Motorola 3200 con cui aggiornerò Franklin sullo svolgimento della partita. I patti erano chiari fin da subito: chi va allo stadio telefona all’altro ogni tanto e gli racconta cosa sta succedendo. Lui adesso è davanti a un pannello di controllo e ci rimarrà per tutto il turno, ma può rispondere al telefono e il minimo che io posso fare è alleviare la sua pena. Il programma di questo Super Saturday promette scintille. Dopo Chang-Edberg, ci sarà la finale del singolare femminile tra Monica Seles e la spagnola Arantxa Sanchez Vicario; a seguire, l’altra semifinale maschile tra Courier e Sampras. Non si poteva chiedere di meglio. Per quanto mi riguarda, le palpitazioni caleranno con il trascorrere della giornata perché emotivamente sarò coinvolto soprattutto nel match d’apertura. Quando gli dei del tennis hanno elargito il talento allo stato puro, Chang era sicuramente da un’altra parte ma penso che la natura abbia voluto compensare questa lacuna dotando il “cinesino” di un’intelligenza tattica superiore alla media. Nella mia vita di appassionato di tennis ho sempre avuto un debole per i giocatori americani, anche se così diversi tra loro; prima Connors, poi McEnroe, adesso Michael. Vi chiederete: perché Chang e non Sampras, Agassi o Courier? Non lo so nemmeno io. Forse perché, di questi quattro, è stato il primo a vincere uno slam o forse per il modo in cui l’ha fatto. Insomma: Chang non era un predestinato e la sua impresa a Parigi tre anni fa l’ha trasformato in una sorta di eroe. Ma non per caso.

In tutta onestà, Agassi lo detesto con quel suo modo di fare irritante. Fino a luglio, pensavo (e, segretamente, speravo) fosse tutto fumo e niente arrosto. Aveva perso da favorito tre finali e attendevo da un momento all’altro che si sgonfiasse come un palloncino bucato. Poi ‘sto qui mi va a vincere Wimbledon! Wimbledon, avete presente? Courier è un bastonatore, ma penso che durerà poco. Sampras, invece, per adesso lo tengo in sospeso. Quando ha vinto questo torneo due anni fa sembrava fosse nata una stella, poi si è un po’ perso per strada e difetta di carattere. Però il “greco” ha qualità e un paio di colpi formidabili; con quel servizio potrebbe andare lontano. Che ore sono? Le dodici meno dieci. Chiamo Franklin. «Chiedimi se sono felice». Il mio migliore amico esordisce senza nemmeno appurare chi c’è dall’altra parte della cornetta. In sottofondo riconosco i rumori della sala controllo nonostante il frastuono di un aereo appena decollato dal La Guardia. «Il solito boeing, tanto per cambiare» aggiunge Franklin. «Allora, come va?» «Per te non troppo bene» gli rispondo. «Hai voglia di sfottere, per caso?» Sorrido sotto i baffi, che peraltro non ho. «Intendevo per voi svedesi.» «È sotto?» domanda Franklin. «Direi!» «Cazzo! Com’è possibile?» «Possibilissimo» ribatto. «Non c’è niente di strano.» «C’è tutto di strano, invece. L’anno scorso ci ha sempre perso!» «Quasi sempre, amico mio. Hai la memoria corta. Ti dice niente Bercy?» Dopo qualche secondo di silenzio, Franklin mormora: «Avevo rimosso.» Poi mi chiede quanto stanno.


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«In questo istante, due set-point Chang. Edberg ha appena messo in corridoio una volee di rovescio che non la sbagliavo nemmeno io.» «Non allargarti troppo, Bob.» «Giuro, era facilissima. Due a cinque e 15-40, tutto per l’americano.» «Certo, americano, come no! Almeno io lo ammetto di essere un po’ svedese. Ma sostenere che Chang è americano…» «Conta dove nasci, amico, non il colore della pelle o il taglio degli occhi.» «Ok, taglia corto e raccontami com’è andata finora.» «Aspetta un attimoooo. Niente da fare. Edberg non aveva chiuso la volee alta ma il recupero di Michael è uscito. Peccato. Com’è andata? Hanno iniziato con break e contro-break. Nel secondo gioco Edberg ha perso la battuta a zero con due doppi falli.» «Falli di piede?» Franklin conosceva il suo beniamino alla perfezione e sapeva che, di tanto in tanto, i giudici di linea gli chiamavano l’invasione sul servizio. Del resto, il movimento alla battuta dello scandinavo era così proiettato in avanti e con il piede sinistro così vicino alla riga che era fisiologico pestarla. Questione di millimetri. «Uno, il primo, poi basta. Ci sono già stati alcuni scambi eccezionali. Merda! Ace al centro. Annullato anche il secondo set-point.» «Grande Stefan!» esclama Franklin. «Calmati, è il primo che fa.» «Al momento giusto, però! Mi dicevi degli scambi eccezionali.» «Sì, come quello che ha chiuso il terzo gioco. Volee incrociata di dritto di Edberg irraggiungibile per chiunque ma non per le gambe di Michael, che hanno fatto il miracolo: passante in corsa micidiale.» «Come quelli che dovrei imparare a fare io contro di te, insomma» ammette Franklin. «Basterebbe anche meno, te l’assicuro.

Vantaggio Edberg con un altro servizio sulla linea. Chang è perplesso ma cambia parte. In generale, lo svedese sbaglia troppo e si prende troppi rischi.» «Lo sai bene che il suo gioco è quello. Gli australiani giocavano in quel modo. Laver, Newcombe, Roche. L’ultimo è stato Cash, bontà sua.» «Lascia stare i canguri, che hanno fatto il loro tempo. Adesso che l’erba è rimasta solo a Wimbledon, vedrai che non vinceranno più nulla. Ma torniamo a noi. Chang è in vantaggio perché si difende benissimo e, appena può, attacca.» «Attacca? Credo di non aver sentito bene.» Franklin è piuttosto sbalordito. «Hai sentito benissimo. Dovresti saperlo che, in quanto a lucidità tattica, Michael non è secondo a nessuno. Sul cemento non può fare match solo di rimessa, con Edberg che prende la rete su ogni straccio di palla. E allora si


comporta come quando in Coppa Davis giochi in casa e scegli la superficie peggiore per il tuo avversario, anche se non è proprio la tua preferita. Attaccare un attaccante è il modo migliore per tenerlo lontano dalla rete e… Gran passante di Michelino! Di nuovo parità! Dicevo che far giocare Edberg in difesa è un’ottima idea e devi mettere in conto qualche volee sbagliata, anche se finora Chang ha mostrato buona attitudine. Prima si è anche esibito in un perfetto serve-and-volley.» «Bob, mi hanno appena chiamato dalla sala B per un’anomalia ai diffusori esterni. Appena torno ti faccio uno squillo e mi aggiorni sulla situazione.» «Ok Franklin, ci risentiamo.» Spengo il Motorola e Chang conquista il terzo set-point con una precisa risposta ma Edberg reagisce e infila tre punti consecutivi caricando le sue battute di rotazioni che l’americano riesce malamente a controllare. Ora però Michael serve per chiudere la frazione. Edberg si liscia i capelli dopo aver indotto Chang a mettere in corridoio il passante: 0-30. Lo scandinavo saltella sul posto e sta rubando il tempo a Michael. Niente prime per Chang in questo game. Edberg tiene lo scambio col dritto e Michael offende seguendo una rasoiata incrociata di rovescio a una mano ma non è una buona idea sfidare il rovescio dello svedese. A me sembra che la palla di Chang sia fuori ma Edberg sfodera il miglior colpo fin qui giocato e fulmina l’americano con il passante. Poi guarda perplesso la linea laterale, il giudice di linea e quello di sedia ma il suo fair-play è encomiabile e si limita a una simpatica smorfia. Tengo per Chang, ma sono abbastanza sportivo da riconoscere i valori tecnici e morali di Edberg. Un signore, lo svedese. In troppi confondono il suo naturale fair-play con la mancanza di carattere. Un altro attacco profondissimo con il rovescio in cross e la volee

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che ne segue diventa una pura formalità. Mezzogiorno, 5-4 Chang ma il set si è riaperto. Il problema al diffusore esterno deve essere piuttosto serio perché Franklin si fa vivo solo alle 13, proprio mentre alcuni recuperi inverosimili e un paio di volee affondate in rete da Edberg hanno permesso a Chang di tamponare l’emorragia. «Voglio solo buone notizie» esordisce Franklin. «Dimmi che Stefan ha vinto il secondo set.» Rammento che ci eravamo lasciati con Chang ampiamente in vantaggio nel primo parziale e mi sembra sia trascorso un secolo, anziché un’ora. «Non è proprio così, ma siamo sulla buona strada. Lo svedese è in vantaggio 4-1 e ha appena ceduto uno dei due break ma sta dominando e per poco non porta a casa anche il primo set.» «Come sarebbe? Stava sotto 2-5 e due setpoint!» «Infatti. Ha annullato quelli e anche un terzo, da lì ha infilato sette punti consecutivi e ha servito per pareggiare 5-5. A quel punto mi pare abbia fatto doppio fallo e due mezzi disastri a rete e sono stati altri tre set-point per Chang, stavolta consecutivi. Come suo solito, Edberg non ha fatto una piega: due ottimi serve-volley e poi c’è stato uno scambio stupendo che Michelino era riuscito a rovesciare costringendo il tuo beniamino a una volee non molto ortodossa ma lo svedese ha messo il passante di dritto negli unici venti centimetri liberi e Chang si è dovuto arrendere, oltre che ruzzolare sul cemento dopo aver tentato di giocare la volee.» «Cazzo, che partita mi sto perdendo!» impreca Franklin. «Almeno non fossi stato qui me la sarei vista sulla CBS.» «Su, non prendertela. Sono qui apposta per raccontartela quasi in diretta.» «Ok, ok.» Il mio amico non è molto convinto


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ma si limita a un profondo sospiro e mi chiede di continuare. «Comunque, per tenerla corta Edberg ha annullato altre due palle set tanto che ho perso il conto e alla fine con un ace e uno smash è andato cinque pari. A quel punto pensavo che Michelino sarebbe crollato e infatti ha sbagliato due dritti strani per uno come lui ma ha rimediato con i soliti passanti e si è garantito almeno il tie-break, che invece lo svedese ha dovuto sudarsi con una volee impossibile e un ace, dal 30-30 in poi.» «E dopo un recupero del genere, Stefan ha perso il suo primo tie-break contro Chang? Non ci credo.» «Invece devi crederci, Franklin.» Come io credevo al suo rilievo statistico, dato che lui sapeva tutto dello scandinavo e dei suoi risultati in carriera. Se si trattava di Edberg, Franklin avrebbe potuto partecipare con successo a un quiz televisivo. «Ha perso quattro dei cinque punti in cui ha battuto, compreso l’ultimo. Lì Chang ha tirato un fulmine in risposta: 7-3 e americano avanti di un set.» «Però adesso Stefan ha cambiato marcia, o sbaglio?» L’esclamazione del pubblico accompagna in sottofondo il lob perfetto che regala a Chang il sesto game. «Li senti?» chiedo a Franklin allontanando per un attimo il Motorola dall’orecchio. «Ti riferisci agli applausi?» «Esatto. Michael è appena andato 2-4 con un pallonetto ma Edberg ha avuto dieci minuti ingiocabili. Variazioni di ritmo, rovesci ora in top ora in back, mi ricordo anche un passante in corsa sempre di rovescio. Stava letteralmente dominando ma lo sai com’è Chang, non si arrende mai.» «Ovvio che lo so. Chiamami quando finisce il set, ma solo se lo vince Stefan!» «D’accordo. Vorrà dire che ci vedremo lunedì

in fabbrica, se Chang chiude tre a zero.» «Non gufare» mi rimprovera bonariamente Franklin. «A dopo. Speriamo.» «Terrò le dita dei piedi incrociate, come sono adesso. Ti saluto.» Una delle doti eccezionali di Michael è quella di non darsi mai per vinto. Sta avvinghiato alla partita come un’edera e dagli episodi della stessa sembra trarre linfa indispensabile alla sopravvivenza. So, come tutti sanno, che Chang non regalerà nulla. Tuttavia, sul piano della qualità pura lo svedese è superiore e in un certo qual modo l’esito della sfida dipende da lui. Edberg tiene facilmente la battuta e va 5-2. Michael accorcia le distanze in un game interlocutorio poi succede l’imponderabile: Edberg mette in rete due volee basse di rovescio in fotocopia, ne impatta malamente una terza (di dritto, in cui palesa tutti i limiti della sua impugnatura) e infine viene passato senza pietà dal mio mito. Break a zero e rincorsa quasi completata. Dieci minuti più tardi posso sciogliere la croce nelle dita dei piedi e premere il tasto verde del cellulare. «Non avevo dubbi.» Franklin è raggiante. «Invece faresti bene ad averne. C’è mancato poco che il tuo Stefan gettasse all’aria un set praticamente già vinto. Era 5-2 e ha subìto tre game di fila con un break a zero. A dire il vero nel decimo gioco ha avuto il set-point ma il rovescio l’ha tradito e Michael ha pareggiato. Allo scoccare delle due ore di gioco, Edberg era indietro di un quindici sul suo servizio e alla fine ha rimediato il 6-5 con uno scambio in cui è stato bravo e fortunato, tanto che Chang gli ha puntato addosso l’indice rimproverandolo scherzosamente. I soliti grandi riflessi dello svedese sotto rete.» «C’è stato un altro tie-break?» «No. È finito 7-5, con Michael che si è innamorato un po’ troppo del lob in parallelo


sul rovescio alto di Edberg e lui l’ha giustamente punito. Erano 30 pari e Chang ha messo un passante sul nastro mentre il setpoint se l’è giocato benissimo lo svedese; appena Michael ha accorciato il palleggio, Edberg è venuto a rete e ha piazzato una volee profonda di dritto e quella dopo, di rovescio, sembrava una statua greca, tanto era plastico. Mi dispiace dirlo ma se l’è meritato, questo set.» «Non ho dubbi, Bob. E poi lo so che tu, in fondo, ammiri Edberg per come interpreta il tennis. Solo che hai scelto Chang, perché è americano come noi. Oddio, con quella faccia che si ritrova non è proprio come noi, ma l’America è un grande paese e anche se i suoi avi vengono dalla Cina che differenza fa? È lo stesso motivo per cui io mi sento un po’ svedese e preferisco Edberg, come preferivo Wilander e Borg prima di lui.» Sull’onda dell’entusiasmo per il set conquistato da Edberg, Franklin si sente in diritto di filosofeggiare ma lo freno all’istante. «Certo, certo. Sta iniziando il terzo set. Ci sentiamo dopo, d’accordo?» «Quando vuoi tu, io sono qui.»

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Un’ora dopo, sembra che il tempo si sia fermato. Franklin risponde al terzo squillo. «Pensavo ti fossi addormentato» mi dice. «Impossibile, con questi due. È uno spettacolo ma adesso non c’è tempo perché ho deciso di raccontarti il tie-break del terzo set in diretta. Poi ti spiego come ci sono arrivati.» «Un altro tie-break? Incredibile!» «Ti anticipo che Michael è carico come una mina e temo che per Stefan sarà dura venirne fuori in questo set. Comunque, servizio Edberg. Prima al centro… volee di dritto e… smash. Chang si butta su ogni palla ma stavolta non

può farci niente: 1-0 Edberg.» «Sento il pubblico in sottofondo e mi sembra che si stia divertendo un sacco.» «Beh, mi dispiace dovertelo dire ma è proprio così, Franklin. Secondo punto, scambio da fondo campo… rovescio lungo linea di Chang a cercare il colpo debole di Edberg, poi un rovescio incrociato… ma no! Così lo fai attaccare. E infatti… passante in rete. Lo sai, Michael, che appena può ti attacca! 2-0 Edberg.» «E vai!» «Tranquillo, siamo solo all’inizio.» «Però è già un mini-break!» Franklin è ottimista ma non sa che Stefan era avanti 5-2 anche in questo set, prima di essere rimontato. «Prima lunga di Chang. La seconda è sul dritto ma troppo morbida, Edberg attacca in lungo linea e… altro passante in rete. Ma dai, Michelino, cosa mi combini? Sembra che si sia improvvisamente sgonfiato.» «Eh, caro Bob, succede.» «Adesso piazza due risposte vincenti e torna in partita, vedrai. Di nuovo prima in pancia,


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buona risposta di Chang, volee di rovescio… passante lungo linea e volee in allungo di Edberg su cui Michael arriva male. Cazzo, lo svedese ha un senso della rete superiore anche al grande Mac! Lui è più geniale ma Stefan si sposta come un gatto.» «È un grande, Bob. Ammettilo.» «Mai detto il contrario, ma al cuore non si comanda. Certo che 4-0 è un bel vantaggio. Se Chang non fa questo punto, mi sa che il tiebreak è andato. Il cinesino cammina a testa bassa. Brutta sensazione.» «Bellissima, invece.» Franklin se lo sta godendo tutto, questo finale di set. Io invece preferirei essere al suo posto, almeno per dieci minuti. «Ace. 5-0. Niente da fare. Possiamo mettere giù e ti richiamo più tardi.» «Non se ne parla. Resti in linea e finisci.» Franklin rigira il coltello nella piaga. «Ok, servizio Chang, scambio sulla diagonale del rovescio, adesso Michael si sposta sul dritto e cerca il dritto di Stefan… A Edberg resta in campo tutto, anche un dritto tirato due metri

fuori dalla linea laterale, ma Michael comanda lo scambio e… no, questa no!» L’ovazione del pubblico copre parzialmente la domanda di Franklin. «Cioè?» «Sul dritto anomalo di Chang, Edberg ha tirato un rovescio vincente lungo linea da fantascienza. Roba da matti!» «Lo sai che il rovescio è il suo colpo migliore. E pensare che da ragazzino lo colpiva bimane!» «Era meglio se continuava…» Sento Franklin ridere dentro il cellulare e inizio a descrivergli brevemente i dodici giochi che hanno preceduto questo calvario. «E pensa che Edberg era in vantaggio anche stavolta per 5-2. Chang aveva fatto il break nel primo game con una risposta terrificante ma lo svedese si era ripreso subito la battuta e da lì aveva infilato altri tre giochi. Credo ci sia stato un parziale di sedici punti a quattro e… Volee in rete, primo punto di Chang e quarto setpoint annullato.» «Come sarebbe a dire quarto?» «Aspetta che ci arrivi! Dicevo del parziale che ha portato Edberg avanti 4-1 e poi ordinaria amministrazione fino al 5-3. Lì Chang ha trovato un game di risposta eccezionale e con due magie si è portato 15-40, un passante lungo linea di rovescio in corsa e un lob impossibile su una volee che più profonda non poteva essere. Poi gli ha risposto nelle stringhe delle scarpe e 5-4. Intanto… ‘spetta ‘spetta che… grandissimo! Tre volee non definitive di Edberg e passante di Chang. Sei a due. Grande reazione, Michael.» «Se continui a mescolarmi i punteggi non ci capisco più niente, Bob.» «Hai ragione, Franklin, ma pensavo che il tiebreak fosse finito. Invece Chang non si arrende mai. Comunque, Michael ha servito sul 4-5 ma ha dovuto annullare tre set-point con Edberg che ha sbagliato una volee già fatta. A sua volta


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Chang ha avuto la palla-break ma non l’ha capitalizzata e… ueilaaaaaa, stupendo!! Un passante di rovescio sullo smash angolato di Edberg. Chang è tornato! 6-3 e due servizi. Se riesce a mettergli pressione… Chissà.» «Finisci di raccontare.» «Nient’altro. Edberg ha tenuto la battuta del 6-5 e sul 30-30 del gioco seguente il nastro ha fermato il suo attacco. Poi Chang si è difeso alla grande e ha infilato il passante del 6-6. Ma adesso aspetta un attimo che sta battendo Michael. Prima sulla linea, Edberg risponde di drittoooo fuori, anzi no, poi attacca in contro tempo e… nooooo! Passante in rete. Fine. 7-3 Edberg, cazzo!» Che rabbia! Quando avevo iniziato a crederci davvero, un punto così assurdo. Saluto Franklin

terzo tentativo, Chang ottiene il break con la consueta raffica di passanti ravvicinati; Edberg si butta da una parte all’altra ma deve arrendersi. Sul 4-1 Chang, Franklin mi fa uno squillo. Lo chiamo durante il cambio di campo. «Aggiornamento al volo che devo uscire a controllare se i diffusori sono a posto.» «Quattro a uno Michael» esclamo con soddisfazione, ma Franklin non sembra disperato. Anzi. «Prevedibile» dice. «La rapidità di Chang è impressionante. Prima ha fatto un punto del genere: passante di rovescio lungo linea e i piedi non hanno fatto in tempo a toccare il cemento che stavano già partendo per rincorrere la volee incrociata di dritto. Sette o otto passi velocissimi e passante di dritto vincente. Pazzesco.»

e torno a guardarmi la partita senza doveri di cronaca. Non sono dell’umore adatto per parlare. Mi torna il sorriso qualche minuto più tardi, quando Michael finalmente ritrova il filo tattico del match e torna ad aggredire lo svedese appena può. Nel secondo gioco Edberg sfodera un pallonetto millimetrico anche col dritto ma nel quarto è costretto a cedere la battuta. Al

«Eh» sospira Franklin «si sa che il cinesino è così. Ok, grazie, esco per una ventina di minuti. Ci sentiamo a fine set.» «O a fine partita» aggiungo io. «Che è quello che speri tu.» «Non è detto, Bob. Non è detto. A dopo.» Comunicazione interrotta. La frase sibillina di Franklin mi tormenta più del recupero di Edberg, che si concretizza in due

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fasi. Il contro-break arriva nel settimo gioco ma Chang si riprende il vantaggio nell’ottavo e serve per andare al quinto set sul 5-3. Qui Stefan si supera e indovina una risposta di rovescio in back che atterra a qualche centimetro dalla linea laterale, con Michael proiettato a rete che la guarda atterrito. Sul 30-30 lo svedese fa seguire due attacchi, chiusi da uno smash e da una deliziosa stopvolley di dritto. Altro break e 4-5, che diventa cinque pari nonostante il brivido di un setpoint annullato con un servizio in kick a uscire e elegante volee di rovescio. Ce l’ho con Michael che non reagisce ma se ragiono mi rendo conto che il mio connazionale fa quello che può. E lo fa sempre benissimo. Solo che è Edberg, con il suo immenso talento, a decidere le sorti della partita. Ovviamente

Dimmi tutto.» «Niente di importante, caro. Volevo solo sapere come stai.» «Bene, mamma, grazie. E tu?» «Il solito, Robert. Stasera sono da zia Kelly per la partita a bridge e domani andrò a teatro. Ma cos’è il rumore che sento? Dove sei?» Edberg ha appena sparato fuori una volee alta di dritto ed è set-point Chang. «Sto guardando il tennis.» «Ed è il caso di tenere la tv a volume così alto? Cosa diranno i tuoi vicini?» «Mamma, sono a Flushing. Sono dentro allo stadio!» «Ah, sei proprio lì mentre stanno giocando?» «Infatti» rispondo nel silenzio del Louis Armstrong, che aspetta col fiato sospeso la battuta di Edberg. Lo svedese sbaglia un’altra

questo non lo confesserò mai a Franklin, ma è così. Al duemillesimo attacco di Edberg (esagero, ma le sue discese a rete saranno almeno duecento) squilla il cellulare. «Che tempismo! Chang ha appena annullato una palla-break e adesso è avanti 6-5!» «Robert!» «Oh, mamma, scusa. Credevo fosse un amico.

volee e Chang porta a casa il set per 7-5. Altro boato e mamma mi saluta. Vorrei dirle di chiamarmi ancora tra un po’, per scaramanzia, ma non capirebbe e lascio perdere. Quando riferisco a Franklin che Chang ha pareggiato e si va al quinto, lui sospira come se si fosse tolto un peso dallo stomaco. «Questa poi me la spiegherai» gli dico. «Alla fine, ma solo se vince Edberg.»


«In ogni caso!» «Ok» si arrende lui. «In ogni caso. Adesso quanto stanno?» «Per caso conosci il record dei due al quinto set?» «Conosco quello di Edberg ma non per caso: 22-14. Probabilmente Chang ha un rapporto migliore. Però in questo torneo Stefan ha già dimostrato di saper lottare, contro Krajicek e Lendl.» «Anche Michael ha vinto in cinque set con Washington e Ferreira.» «Ci sta. Chang è un animale da maratone, Edberg no.» «Allora mi sa tanto che lo svedese ci lascia le penne. In questo momento ha fatto il break: 2-0. Una gran risposta di rovescio! Del resto, Edberg non conosce altro Dio all’infuori dell’attacco e Michael, da buon cinese, lo attende al varco e lo passa. L’inerzia della sfida è adesso tutta dalla parte dell’americano.» «Pessimo inizio per Stefan ma c’è ancora tempo per recuperare. Ci sentiamo tra un po’.» Saluto Franklin e in un attimo Chang fa suo a zero il servizio del terzo game ed è 15-40 su quello dello svedese. Il match sembra chiuso ma Edberg rimedia con due buone prime, due ace inframmezzati da una risposta fortunata di Chang e si tiene a galla ancora con la battuta. Michael è solido nei colpi da fondo campo e non disdegna di prendere la rete appena può. Sul 30-30 del quinto gioco, però, valuta male un pregevole rovescio passante dell’avversario e deve affrontare una palla-break. È, questo, un gioco in cui gli errori banali abbondano e in tale contesto lo svedese deve ringraziare il suo colpo più debole, il dritto, che lo tiene a galla e gli regala il contro-break. Aveva ragione Franklin: c’è ancora tempo per recuperare. Sono le 16:42 quando chiamo il mio amico per l’ultima volta. «È finita?»

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«Un minuto fa.» Cerco di mantenere un tono neutrale perché non voglio fargli capire subito chi ha vinto. «Ti stai divertendo a tenermi sulle spine?» «Mi sono divertito per più di cinque ore, anche se adesso sono quasi più stanco di loro. È stato un grandissimo match e il tennis è uno sport crudele perché non prevede il pareggio.» «Bob, non è il momento di fare filosofia spicciola. Dimmi chi ha vinto, per favore!» «Chang è stato avanti 3-0 e 15-40, non ha sfruttato nemmeno una delle tre palle-break e si è fatto recuperare fino al 2-3. Poi ha giocato un gran game di risposta, ha strappato di nuovo il servizio a Stefan e, sinceramente, a quel punto non avrei scommesso un cent sul campione in carica.» «Invece?» «Invece Edberg ha cambiato marcia, accidenti a lui. Tre giochi stupendi in cui Michael, per portare a casa un misero quindici, ha dovuto inventarsi un lob in controtempo da manuale del tennis. Due break a zero e Stefan ha servito per la finale.»


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«Allora ha vinto!» esclama Franklin. «Si è portato 30-0 ma la sua corsa si è fermata: un doppio fallo, un bel passante di Chang e una pessima volee alta di rovescio. Palla-break.» Prolungo il silenzio per aumentare il pathos e la sofferenza di Franklin. «Stai scherzando, vero?» «Per niente. Sulla seconda di servizio, Edberg ha dimostrato di essere un grande campione. Kick a uscire e volee di rovescio. Era l’ultimo treno per il cinesino. Una risposta in rete e una fuori di qualche centimetro e Stefan è andato in finale.» «Grandissimo! Tutto alla perfezione. Un sabato che non dimenticherò facilmente.» La vittoria di Edberg deve aver attenuato in Franklin l’amarezza di non aver potuto assistere alla partita. Solo così riesco a spiegarmi la sua felicità. O c’è dell’altro? Quasi mi avesse letto nel pensiero, Franklin provvede a togliermi la curiosità mantenendo la promessa fatta un’ora prima. «Caro amico, ti perdonerò di avermi battuto per l’ennesima volta e di essere lì al mio posto

perché l’intuizione che ho avuto attenua tutti i mali.» «Cioè?» «Cioè giusto ieri ho giocato l’accoppiata Edberg vittorioso al quinto e Minnesota vincente su California di almeno 4 nell’American League. Ho puntato 100 dollari e ne ho vinti 680! Che ne dici?» In questo aspetto Franklin è molto più americano di me, che di baseball so poco o nulla. Non è la prima volta che azzecca una scommessa e adesso comprendo il suo sollievo quando Chang ha vinto il quarto set. «Che sei il solito fortunato, cos’altro posso dirti?» «Errore, Bob. Errore. Ci capisco un sacco, tutto qui. E adesso ti saluto e ti lascio alle altre partite del Super Saturday. Per me super lo è già stato. Alla prossima Bob e… grazie. Non poteva andare meglio.» «Ci vediamo lunedì, Franklin. Domani la finale te la guardi in tv?» «Garantito!» «Preferisci Courier o Sampras, come avversario?» «Bella domanda, amico. Con Courier è in vantaggio 4-3, con Sampras stanno 2-2. Tutto sommato preferisco Pete ma l’osso più duro l’ha già rosicchiato.» «Credo anch’io. Chang non poteva giocare meglio di così ed è stato davvero vicino alla vittoria. Peccato. Se lo sarebbe meritato.» «Il tennis è uno sport crudele, Bob. La prossima volta che giocheremo contro te ne accorgerai!» «Buon lavoro, Franklin. Mi faccio un sandwich, che qui sono già in campo Seles e Sanchez. Nonostante tutto, è stato un piacere.» «Anche per me, Bob. Anche per me.»




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Il racconto Graf-Seles U.S. Open 1995

INCUBI E DELIRI Remo Borgatti

Günther, siamo nei guai. L’incubo è tornato. Quella folla in trepida attesa davanti all’uscita degli spogliatoi è lì solo per lei. Li guardo e sento che è stato tutto inutile. Mi chiedo: a cosa è servito ciò che ho fatto? A nulla, temo. Io sono qui, ancora sottoposto a custodia

cautelare, e lei è là, a New York, e si sta affacciando dall’uscio degli spogliatoi come un fantasma che cammina. E spaventa. La ferita di Amburgo si è rimarginata e la belva è più feroce che mai. Aveva detto che la sua vita era irrimediabilmente cambiata, che niente sarebbe più stato come prima, che una parte di lei si era fermata a quel giorno e non era più ripartita. Lacrime di coccodrillo. Eccola, sta uscendo e la gente la applaude e la incoraggia. Ma dico io: secondo voi quella lì ha bisogno di essere

incoraggiata? È sempre stata spietata con le sue avversarie. Meglio, con le sue vittime. Al quinto torneo da professionista, a Houston, già alzava la coppa riservata alla vincitrice dopo aver sconfitto in finale nientemeno che sua maestà Chris Evert. Lo ricordo come fosse ieri: era il 30 aprile 1989 e la jugoslava, perché a quel tempo la Serbia ancora non esisteva in quanto tale, si impose dopo aver perso il primo set. Ah, giusto: di chi sto parlando? Di Monica Seles, naturalmente. Quella che, a suo dire, non avrebbe mai


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più giocato una partita a tennis. Vatti a fidare. Ventotto mesi senza un match ufficiale e questa cosa fa quando torna? Va a Toronto e lascia 14 giochi alle cinque povere disgraziate che hanno avuto la malasorte di trovarsela dall’altra parte della rete. Ultima, in finale, Amanda Coetzer, che al primo turno aveva eliminato il mio amore. Chi è il mio amore? Steffi, ovviamente! Steffi Graf. La più grande tennista della storia. Prima che arrivasse Monica. Con quel suo modo bizzarro di impugnare la racchetta con due mani sia nel dritto che nel rovescio. Tanto che, se non la vedi battere, non capisci nemmeno se è destra o mancina. Comunque, è mancina. Come il diavolo. Anzi, è il diavolo! Dal Canada a New York, cambia il palcoscenico ma non la recita. Sei partite e altrettante vittorie nette. Nettissime. E adesso tocca a Steffi, che nel tragitto esterno dagli spogliatoi al Louis Armstrong segue la rivale di qualche metro, entrambe attorniate dagli addetti alla vigilanza che aprono loro il cammino verso la stadio. C’è entusiasmo per questa

finale degli US Open, che qualcuno ha definito (senza troppa fantasia) il “match del secolo”. Sono d’accordo. C’è un solo trono e, dato che la WTA ha voluto assegnare alla slava di nascita ­ ma ora naturalizzata statunitense - il numero uno ex-aequo perché quella era la posizione che occupava il 30 aprile 1993, ci sono due regine. Come? No, non mi sono affatto sbagliato anche se vi posso giurare che si è trattato di una pura e semplice coincidenza. Nello stesso giorno, con quattro anni di differenza, Monica ha vinto il suo primo torneo da professionista e rischiato di chiudere la carriera. Se solo fossi stato più preciso. E deciso.

Fa lo stesso. In fondo è meglio così. Oggi c’è la resa dei conti e ci penserà lei a vendicarmi e a mettere a tacere tutti quegli scribacchini in malafede che, ad ogni slam conquistato da Steffi, ripartono con la solita solfa: facile adesso, che quel pazzo di Parche ha messo fuori gioco la Seles. Bene. Bravi. A parte che avrei qualcosa da ridire sull’aggettivo con cui vengo qualificato. Non è forse una condizione dell’animo umano amare alla follia? Certo che lo è. E dunque, di cosa mi accusate? Un mazzo di fiori per ciascuna e le due protagoniste entrano in campo. La ex-jugoslava se la ride, la tedesca è seria. Ti capisco Steffi, con il papà in


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gattabuia accusato di frode fiscale e tu che forse non potrai nemmeno tornare in Germania, c’è poco da stare allegri. Ma oggi è il giorno che aspettavamo da più di due anni e non puoi tradirmi. Devi far vedere chi sei a quella smorfiosa. Monica ha messo su qualche chilo e il giro vita della sua polo Nike, seppur bianca, la tradisce. E poi cos’è quel gonnellino a rombi, che fa il paio con il nastro fermacapelli? Semplicemente orrendo. Se fosse una sfilata di moda, non ci sarebbe partita. Steffi è una statua, elegantissima nel completino

Adidas con i fiori rossi stampati sulla spalla sinistra. Ma non è una sfilata di moda. E’ la finale più importante mai giocata da due tenniste e non c’è un solo posto vuoto sulle gradinate dell’Armstrong. Se posso vedere il match in televisione, trasmesso dalla CBS, lo devo a Jutta, la psicologa che mi segue da quando mi hanno condannato. Lei sostiene che sono pronto per affrontare i miei demoni e sconfiggerli. Il plurale non va bene. Non demoni. Un solo demonio. Monica Seles. La ragazza di Novi Sad inizia al servizio e lo tiene ai vantaggi, sfondando sul dritto di Steffi e strappando

un sorriso a papà Karolj, che la segue nel player-box. La mia amata pareggia subito, con due ace e mezzo, e mette pressione alla rivale nel terzo gioco; ma sul 15-30 Monica estrae dalla sua Yonex quattro dritti-rovesci di una profondità disgustosa e rimette le cose a posto. Sarà una nottata di grande sofferenza. Così ti voglio, Steffi! Terzo punto del quinto game e, lo giuro, non dirò mai più che il rovescio è il punto debole del mio idolo. Oddio, è un po’ vero ma in questo scambio ne ha tirati cinque consecutivi e ha sballottato la povera (!) Monica a destra e sinistra, prima di finirla con


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una rasoiata incrociata in back che non ha fatto alzare la pallina dal cemento. Una delizia. Di nuovo 15-30 e sentore di break, ma la Seles non ci sta e si va a sedere avanti 3-2. Comincio ad agitarmi e non penso sia una buona cosa. Il servizio di Steffi ha un effetto calmante sui miei nervi. Due ace aprono e chiudono il sesto game, che stava complicandosi dopo un nastro malandrino in favore di Monica, e nel successivo l’americana perde il campo per tre volte e arrivano le prime palle-break: 15-40. Ci siamo, è il momento di prendere il largo. Mamma mia! Steffi, mi fai prendere un colpo! Sprechi due occasioni (beh, a dire il

vero nella prima Monica ha tirato un missile di rovescio lungo linea sfuggito anche ai radar del vicino aeroporto di La Guardia) e te ne procuri una terza con un dritto impossibile che fa il contropelo alla riga laterale? Sei davvero unica. Dai, aggredisci quella seconda! Nooo! La risposta di dritto a colpo sicuro si stampa sul nastro. Parità. Ma Monica sbaglia di nuovo. Stavolta devi chiudere, Steffi. Prima a uscire della Seles, doppiata con il rovescio anomalo in contropiede. Quarta pallabreak annullata, senza rimpianti. Doppio fallo e una nuova opportunità ma, sotto le scorie della prolungata assenza, Monica non ha smarrito il coraggio e piazza un altro tracciante di rovescio che pizzica la linea di fondo. Che incoscienza, per non dire altro… Questa ragazza ha l’anima della sopravvissuta e l’ace con cui si va a sedere in vantaggio 4-3 la dice lunga sulla sua determinazione. Mentre aspetta di rispondere alla battuta di Steffi, Monica si posiziona dentro la linea di fondo campo, è piegata in avanti e fa forza sui quadricipiti, alternando il peso del corpo da un piede all’altro. Devo riconoscere

che questo suo modo impavido di affrontare le avversarie è ammirevole. Lei non indietreggia mai, nemmeno contro l’altra numero 1 del mondo. Quella vera. Nel primo punto del nono gioco, Steffi azzarda una palla corta sul dritto della rivale ma Monica ci arriva, stacca la mano di supporto dal manico della racchetta e aggancia la sfera di feltro con un’uncinata in cross che lascia di sale la tedesca. Tesoro, se quella era una smorzata… Molto meglio questa risposta anomala sulla seconda deboluccia della Seles, vanificata dal solito rovescio che si affossa in rete e tiene Monica avanti di un’incollatura nello score: 4-5 e adesso Steffi servirà per rimanere nel primo set. Puoi soffiare finché vuoi, Monica, ma oggi sarà dura per te. Le palle che escono dal rovescio in back che Steffi indirizza sul dritto bimane della rivale hanno tutte le carte per far imbestialire la Seles: sono strette, corte e rimbalzano pochissimo, tanto da costringere Monica a piegarsi mentre avanza. Sul 40-0 del decimo gioco, Steffi sbaglia la direzione del dritto d’attacco e si fa infilare lungo


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linea ma nel complesso il 5-5 arriva con tranquillità, grazie soprattutto alle prime di servizio. Stupenda! Con una volee incrociata di rovescio da tre quarti campo, Steffi apre il game senza ritorno. Monica è salita 6-5 recuperando da 15-30 e la pressione è di nuovo sul mio amore. Che però è un ghiacciolo e si guadagna il tie-break con quattro punti consecutivi. Da quando è tornata a giocare, Monica ha disputato un solo tie-break e l’ha vinto tre giorni fa contro Jana Novotna. È stato, quello con la ceca, l’unico incontro in cui l’americana ha tremato: Jana ha servito per il primo set sul 6-5 e ha avuto due palle per chiudere, ma dal 40-15 in poi è stata spazzata via dalla furia della Seles. E questa cos’è, Steffi? Una smorzata di dritto sul rovescio di Monica. Che ci arriva in allungo ma la volee in appoggio è facile e comoda: 1-1 e la tedesca esulta. Che coraggio! Ma ti prego, Steffi, basta spaventi. Ecco, molto meglio così: ace al centro e 2-1. E ancora meglio questo dritto devastante: 3-1 e minibreak. Mamma Heidi approva, sotto la visiera nera del berretto Metropolitan Models. Steffi cambia campo in vantaggio 4-2 dopo aver

recuperato una risposta di Monica che sembrava vincente con uno scatto laterale di rara armonia atletica. Non ci sono dubbi: le gambe sono il colpo migliore di Steffi Graf. La Seles scuote la testa e sorride. Forse ha già in mente cosa farà nel punto seguente: risposta incrociata sulla robusta seconda di Steffi e mini-break recuperato. Qualche errore ma qualità di gioco eccellente. Quarantaquattro minuti di gioco e 4-4 sul tabellone, quando Monica si ribella alla regola del rovescio infido e basso di Steffi; la serba di nascita stacca la mano destra e con un giro di polso mancino ripaga la mia

beniamina con la stessa moneta. Cross stretto imprendibile e 5-4. Inizio a tremare. E non di freddo. Steffi mette in saccoccia il decimo punto dopo uno scambio intensissimo ma la battuta successiva esce di due millimetri in corridoio; mentre sta colpendo la seconda, il frastuono del solito aereo decollato dal La Guardia si dilata sul Louis Armstrong ed è doppio fallo. Ovvero, 6-5 Seles e setpoint con il servizio a favore. Il pubblico si scalda e l’omino coi baffi del “Cafè de Colombia” sembra soddisfatto di aver sponsorizzato questo finale thrilling. E il bello deve ancora arrivare. La prima centrale atterra nei paraggi della riga e l’esultanza di


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Monica viene strozzata dalla chiamata out del giudice di linea. Giuro che non l’ho vista: avevo gli occhi chiusi dalla paura. La Seles, infuriata, corre verso il seggiolone di Richard Kaufman poi forse pensa che nella vita ci sono cose più importanti di un errore e torna sui suoi passi. Il replay della CBS non fuga i dubbi ma, francamente, se fossi tifoso di Monica avrei tirato un pugno al televisore. Steffi si sposta per impattare la seconda dell’avversaria col dritto e annulla la palla-set. Monica allarga le braccia e impreca. Mi vergogno a pensarlo, ma credo abbia subito un torto. Rimanere calmi e concentrati dopo un episodio del genere è una virtù che non trova

dimora nell’animo inquieto dell’americana. Dopo il cambio di campo Monica cede un altro mini-servizio perdendo il campo con il dritto e allora tocca a Steffi servire per chiudere la frazione, sullo score di 7-6. Alla fine di un altro scambio particolarmente intenso, la Seles allunga la traiettoria del dritto e quando balzo dalla sedia per esultare mi rendo conto che la tensione mi aveva quasi paralizzato le gambe. Urlo di gioia, rischiando di essere richiamato dall’infermiera di turno, e sono consapevole che il peggio sia passato. Negli undici incontri sostenuti da quando è tornata, Monica non aveva perso nemmeno un set ed era rimasta in campo in

media un’ora a match. Stavolta, se vorrà vincere, dovrà allungare la sfida e ogni minuto che passa è una buona notizia per noi. Sul piano della tenuta fisica, Steffi è decisamente favorita. Il primo gioco del secondo set non finisce più. Steffi ha smarrito la prima di servizio e, dopo cinque parità, la Seles ottiene il break. È il primo della partita, ma non sarà l’ultimo. Un quarto d’ora dopo Monica piazza l’ace che vale il clamoroso 6-0 e io sono disperato. Cos’è successo, Steffi? Errori tedeschi e invenzioni serbo-statunitensi, come la smorzata di rovescio bimane o l’ace di seconda, che consegnano alla storia il secondo six-love tra le due


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acerrime rivali. Il primo l’aveva ottenuto Steffi a Wimbledon più di sei anni fa ma non vale; Monica era ancora in fasce! Comunque, dalle stelle alle stalle in un batter di ciglia. Inizia il set finale e Monica non ha certo dovuto faticare più di tanto per raggiungerlo. Mentre Steffi sembra essere partita per un pianeta lontano. Due rovesci in rete e 0-30. Calma, Steffi! Non farti sommergere dall’ondata di aggressività della tua indemoniata rivale; tienila bassa! Ti prego, reagisci. Non potrei sopportare una sconfitta. Non questa notte. Sì, così: lavora di gambe e gira intorno alla palla per mulinare il dritto. Mettila nell’angolo! Quattro punti di forza e finalmente si torna a vincere un game. E a sperare. Monica è scatenata e gli scambi lunghi sono tutti suoi. Durante il cambio di campo Steffi ha cambiato calze, indossando quelle che le sono state recapitate da un ball-boy di origine asiatica. Sono in pensiero per la microfrattura al piede che l’ha fatta soffrire per tutto il torneo ma Steffi è tosta e non si arrenderà al dolore. Nel terzo gioco, Monica ne fa un’altra delle sue e gli spettatori apprezzano. Steffi la sballotta a destra e sinistra

prima di finirla con un dritto supersonico in lungo linea. Ma il diavolo non muore mai, aggancia il dritto con la sola mancina e trova il vincente: 30-30. Il punto successivo è una pugnalata in pieno petto: Steffi attacca con grande profondità sul dritto di Monica e le intercetta il passante con la stop-volley, che però le rimane troppo alta; l’altra si fionda sulla palla a grandi falcate, spiazza la tedesca e alza le braccia al cielo. Palla-break. La prima del terzo set. Steffi annulla caricando il dritto a pallettoni e poi rispolvera la biscia di rovescio in cross sulla quale Monica palesa tutte le sue difficoltà. Questo punto mi

rincuora perché capisco che la mia preferita non ha perso la testa. Grandissima! Altro scambio mozzafiato chiuso da Steffi con il rovescio in back che schizza verso l’esterno: 2-1 e siamo fuori dalla fossa. Finalmente, Steffi strappa la battuta a Monica. Dopo dieci inutili tentativi, la tedesca approfitta di un calo di intensità dell’avversaria che commette troppi errori e si porta sul 3-1. I coniugi Seles, in tribuna, non ridono più e la figlia ha perso lucidità. Steffi invece sembra aver messo i pattini e vola sul campo, come se l’incontro fosse appena iniziato. Le intenzioni di Monica sono chiare: accorciare gli scambi e cercare il vincente nei primi 2-3 colpi. Il giochino le


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riesce nel quarto punto del quinto game, grazie a una risposta semi-bloccata di rovescio, ma Steffi era già 40-0. Poi però un dritto della Seles pizzica la riga e la mia connazionale non ci sta. Fulmina il giudice di linea con lo sguardo, poi chiude gli occhi per qualche secondo e controlla il respiro. Calma, tesoro. No, non così! Non farti mettere all’angolo dalla pressione di Monica. Un altro quindici vola via e adesso siamo 40-40 ma l’americana vive di momenti e il nastro ferma due volte le sue intenzioni bellicose: 4-1 e striscione del traguardo in vista. Quando mette i piedi nel campo, Monica è intrattabile. Sul 40-0 Steffi strappa

l’applauso anche alla sua rivale per una risposta di rovescio da cineteca del tennis ma il sesto è un gioco tutto contrario. Settimo ace per Steffi e la Seles batte il palmo della mano destra sulle corde della sua racchetta. I complimenti si sprecano. Che intenzioni hai, Monica? Vuoi forse toglierci, con la tua presunta arrendevolezza, il sano gusto del trionfo? Hai capito che non c’è più nulla da fare e la metti sul buonismo e sulla sportività? Sappi che con me non attacca. Vuoi togliere polpa alla sfida e lasciare solo il nudo scheletro per rendere la tua sconfitta invisibile, ma non ci riuscirai. Beccati questa prima sulla riga e vatti a sedere sotto 2-5.

Siamo a un solo gioco dal titolo e non ci fermeremo. Monica piazza l’ottavo ace e si porta 30-15 ma, sulla successiva seconda, Steffi si avvicina al titolo con la risposta sulla riga. Ancora poco e si stappa lo champagne. Due miseri quindici. Però le diavolerie della Seles non sono ancora finite: rovescio anomalo dal centro del campo e 40-30, che diventa gioco quando Monica chiude il dritto in lungo linea dopo aver mandato Steffi a salutare gli spettatori della prima fila con il colpo precedente. Attenta Steffi, non farti ingannare dall’apparente remissività della tua rivale. Io la conosco bene e posso garantirti che è tutta una sceneggiata. Guardala, allarga le braccia e sorride come se stesse vincendo lei. Si crogiola nel lungo e caldo applauso della folla; il Louis Armstrong è ai piedi di questa ammaliatrice, la cui sfortunata vicenda umana ha trasformato da spietata cannibale del circuito WTA a simbolo della capacità di resurrezione. Puah, il suo atteggiamento non merita nemmeno un commento. Cos’hai da lamentarti? Ma finiscila! Il rovescio profondo di Steffi era giusto nell’angolo e tu fai di nuovo la vittima, come nel primo


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set? Ecco, sì, brava: fai cenno a Kaufman che non ne puoi più di queste ruberie. Vuoi andartene? Qualsiasi cosa faresti pur di non perdere questo incontro, vero Monica? Invece lo perderai, perché non ne hai più da spendere e ti stai attaccando a tutto. Oh, oh! E questa energia dove l’hai trovata, nel fondo del barile? Monica si aggiudica lo scambio più duro del match, martellando il rovescio di Steffi per poi farle sbagliare un dritto in corsa, e ora respira con affanno. La detesto ma ne ammiro la forza di reazione. Il prolungato incitamento degli spettatori concede alle

due rivali qualche salutare boccata d’ossigeno in più. Anche Steffi sembra provata ma non è questo il momento per prestare orecchio alla fatica. Devi battere bene e prendere in mano lo scambio, così, come stai facendo. No, non farti invischiare nuovamente nella tela che ti sta tessendo col suo dritto a uscire sul tuo rovescio. Oddio, noooo, non così lungo! E invece sìììììì! La palla atterra a qualche centimetro dalla riga e Monica, che se la trova addosso, la colpisce di contro balzo e con eccessiva violenza: 30-15 e siamo ancora a due punti dalla vittoria.

Stavolta è il rovescio a tradire Monica e ci sono due match-point. Non sto più nella pelle. E non ho il coraggio di guardare. La prima è out e sulla seconda sento un solo colpo prima del boato. È fatta! Apro gli occhi e vedo Monica spostarsi a sinistra, poi il replay rimanda la sua tremenda risposta vincente e allora deduco che chiudere gli occhi porta sfiga. Vorrà dire che la seconda opportunità me la guardo in diretta. Il servizio è profondo quanto basta e Monica rimanda un dritto che costringe Steffi a indietreggiare e difendersi col back di rovescio; altri due


dritti piuttosto centrali della statunitense e Steffi danza sulle gambe come una ballerina finché il terzo dritto di Monica finisce la sua affannosa corsa sul nastro. È finita. Abbiamo vinto. Steffi balzella come un canguro, travolta dalla gioia, e lascia cadere la sua Wilson prima di dirigersi verso il box per salutare coach, parenti e sostenitori. Poi torna in campo e l’abbraccio con Monica cancella anni di sofferenza, per entrambe. Ce l’abbiamo fatta. Abbiamo distrutto il mostro. 7-6/0-6/6-3. Il tennis non è una scienza esatta e puoi perdere anche vincendo più giochi del tuo avversario. Non mi costa nessuno sforzo concedere a Monica l’onore delle armi, perché quando vinciamo siamo tutti più buoni, generosi e comprensivi. L’incubo è finito, Günther. E io sono finalmente guarito.




I migliori "ritorni" sul cemento Alex Bisi Con l’ultimo Slam stagionale alle porte, è interessante guardare una statistica che riguarda i migliori ribattitori del tennis moderno per quanto riguarda il cemento. In america si sa, vanno matti per le statistiche, e dal 1991 raccolgono dati su questo fondamentale del tennis, che per essere efficace ha bisogno di un veloce split step (il passo preparatorio al colpo), un’apertura non troppo accentuata per appoggiarsi sul servizio dell’avversario. I primi due della classifica Atp , Novak Djokovic e Andy Murray, sono anche i primi due di questa speciale classifica. Fino all’avvento di questi due, Andre Agassi era considerato il miglior “ritorno” del tennis moderno, a pari merito con Michael Chang, e Stefan Eberg in quinta posizione. Altri nomi eccellenti son Jimmy Connors al settimo posto, Lleyton Hewitt all’ottavo,Guillermo Coria al nono e David Ferrer al decimo. Interessante notare che solo 3 punti percentuali dividono la prima e la decima posizione. Percentuali di punti vinti sulla risposta

Novak Djokovic 32.6 % Andy Murray 32.4 % Michael Chang 32.2 % Andre Agassi 32.2 % Stefan Edberg 31.2 % Christian Berstrom 30.4 % Jimmy Connors 30.3 % Lleyton Hewitt 30.1 % Guillermo Coria 30 % David Ferrer 29.8 % Questa particolare classifica è una delle poche che non vede figurare nelle prime posizioni Roger Federer, e nel dettaglio prendiamo in esame i primi due della classe Novak Djokovic e Andy Murray. Il serbo, su cemento, ha vinto il 33% dei suoi giochi di risposta,e attualmente è 33-2 sul cemento nella stagione 2016.



Il ritorno di Quinzi Marco Di Nardo

Vincere il titolo juniores a Wimbledon non è garanzia di successo tra i professionisti, su questo non ci sono dubbi. Gli esempi di grandi promesse del tennis giovanile incapaci di confermarsi tra i "grandi" sono tantissimi, eppure Gianluigi Quinzi sembrava davvero poter rappresentare il futuro del tennis italiano: carriera strepitosa tra gli Under-18, con la prima posizione nel ranking ITF raggiunta a gennaio del 2013, e soprattutto il titolo ai Championships conquistato nello stesso anno, tutto lasciava pensare ad una rapida scalata in classifica anche tra i professionisti. Invece il

talento di Porto San Giorgio si è spento, facendo fatica ad ottenere successi nel circuito Challenger (solo una semifinale nel 2013, poi quasi il nulla), e in alcuni periodi addirittura nei Futures (tre sconfitte su tre tornei all'inizio di questa stagione senza mai raggiungere le semifinali).

Nelle ultime due stagioni Quinzi aveva provato a risollevarsi da questa difficile situazione attraverso una serie lunghissima di cambi di allenatore, senza comunque mai trovare la strada giusta per ottenere una certa continuità di risultati. All'inizio del 2016 c'era addirittura chi parlava di un possibile ritiro del giovane azzurro - alcune voci volevano Gianluigi vicino ad appendere la racchetta al chiodo per iscriversi all'università - che sembrava davvero aver perso ogni motivazione. Ma proprio quando la situazione sembrava ormai essere disperata, ad aprile è arrivata la cura Ronnie Leitgeb, in passato allenatore anche di Thomas Muster e Andrea Gaudenzi, e

primo coach in grado di dare una svolta a questa fase della carriera di Quinzi. Con il nuovo allenatore, Gianluigi è tornato immediatamente a vincere, trionfando in due Futures consecutivi, e raggiungendo i quarti di finale nel Challenger di Caltanissetta: è proprio in questo torneo che si sono visti i miglioramenti, soprattutto dal punto di vista mentale, dell'azzurro, che al primo turno ha


battuto Guilherme Clezar per 6-2 1-6 7-6 rimontando da 1-5 nel parziale decisivo, e agli ottavi ha estromesso dal torneo un Top-100 come Facundo Bagnis sempre al set decisivo. A luglio è successivamente arrivato un altro risultato confortante, con i quarti di finale raggiunti nel Challenger di San Benedetto, battendo Hernan Casanova e Salvatore Caruso, prima di arrendersi a Constant Lestienne, numero 205 Atp, in un match molto combattuto, seppur terminato in due set. Nel mese di agosto l'ennesima conferma, con un Quinzi che sembra davvero essere tornato quello del 2013, concentrato sul tennis al 100%. A Cordenos l'italiano è tornato infatti in

semifinale in un Challenger dopo quasi 3 anni, superando due giocatori classificati nei primi 150 del ranking mondiale come Leonardo Mayer ed Elias Ymer, al termine di due grandi battaglie terminate al terzo set, a conferma dell'ottima condizione fisica e mentale dell'azzurro.

La ciliegina sulla torta, paradossalmente, è arrivata però questa settimana, nel Challenger di Genova, dove Quinzi è stato eliminato al primo turno: l'ex campione juniores di Wimbledon ha pescato infatti all'esordio la testa di serie numero 1 Nicolas Almagro, ex numero 9 al mondo e attuale Top-50 (numero 48), ancora in ottima forma avendo vinto in questa stagione l'Atp 250 di Estoril. Pur avendo perso, Quinzi ha dimostrato di potersela giocare alla pari anche contro giocatori di livello superiore, uscendo sconfitto per 1-6 6-4 7-5. Se la matematica non è un'opinione, Gianluigi ha vinto 15 giochi contro i 14 di Almagro, dominando un primo set chiuso con 3 break di scarto, e giocando quasi alla pari nei restanti due parziali. Un match giocato quindi ad

altissimo livello, che non può far altro che aumentare la consapevolezza di aver preso la strada giusta per centrare l'ingresso nei primi 300 giocatori al mondo. E potrebbe essere solo l'inizio di una scalata molto più importante.


Movimento italiano Under 23 - e pur si muove Andrea Ignazzi Faticosamente, non senza intoppi, il movimento italiano va avanti, con alcuni spunti di riflessione. Il ranking attuale esprime veramente il vero potenziale dei nostri azzurrini? Forse no, basti pensare che Eremin al momento è il fanalino di coda, malgrado sia il meno giovane e disponga di un potenziale nascosto che non si è riusciti a far emergere. Al di la di queste elucubrazioni, permane un dato oggettivo: nessun italiano under 23 nei primi 200 al mondo. Potendo

contare, per giunta, su tantissimi challenger nostrani e relative Wild card da disporre a proprio piacimento distrubuendole tra i vari giovani. Tutto questo non basta, forse ci si dovrebbe domandare se "alla fine della fiera", non manchi nei nostri giovani semplicemente del puro e innato talento. EDOARDO EREMIN - Giocatore controverso,

dotato di un talento innato per il tennis, ad oggi è il simbolo di questo decadimento lento che i nostri azzurri stanno attraversando. Stagione complicata da descrivere quella del cassinese che dopo un pessimo avvio, trovava la svolta ad aprile a Barletta con la vittoria su Sijsling, raccogliendo nei successivi tornei qualche vittoria "spot" (Fabbiano e Monteiro su tutte oltre alla già citata con Sisjling) e la semifinale nel challenger di Vicenza. Nel momento di massima espressione, nel momento in cui sembrava sbocciato ed avviato ad ottenere dei risultati all'altezza del suo estro, prima un'attacco di panico nel match contro Dutra da Silva a Praga, poi la sconfitta disarmante a Milano con Donati, hanno impedito ad Eremin quel salto di qualità che

era nell'aria. Il tutto sfociato, successivamente, in una crisi a livello mentale che lo ha portato ad ottenere prestazioni decisamente sottotono. Lui che vive su di un equilibrio fragile, ha bisogno costantemente di entrare in campo in fiducia, altrimenti il suo tennis perde di efficacia. L'emblema di questo momento di scoramento prolungato sono le percentuali di prime in campo, che non superano il 40%. In


realtà sembra un dato poco rilevante, ma nel suo tennis potente e muscolare è una delle chiavi principali, sintomo di una chiara flessione mentale. LORENZO SONEGO - Se si parla di Eremin, inevitabilmente si finisce per parlare anche di Lorenzo Sonego, giocatore che, rispetto al primo, è l'esatto opposto sia mentalmente che tennisticamente. L'andamento di Sonego è decisamente più lineare e non soggetto a picchi estremi come quello di Eremin. Il piemontese sta attraversando un leggero momento di sbandamento, con tre primi turni a livello challenger consecutivi. In verità solo nell'ultimo match disputato non partita sfavorito, ossia contro il giapponese Santillan,

mentre le due precedenti sconfitte sono pervenute per mano di giocatori di caratura superiore come Janowicz e G. Melzer. Ragazzo umile, con un temperamento tranquillo ma un agonista come pochi in campo. Il suo atteggiamento è lodevole, ad ogni punto si carica, ed è un vero "fighter". Di sicuro sotto questo aspetto il migliore per distacco, se paragonato ad altri giovani azzurri.

Il suo vero handicap è la mancanza di background, basti pensare che fino a un paio di anni fa giocava gli Open e che solamente ad undici anni ha cominciato a giocare a tennis. Malgrado questo, la sua forza di volontà è encomiabile, è un po' come un ragazzo che è costretto a fare tre anni in uno. Tuttavia un campanello d'allarme si accende, anche perché fra non molto comincia la trasferta americana su cemento e il suo rendimento è tutto da verificare. GIANLUCA MAGER - Non deve ingannare l'exploit compiuto a Genova, dove ha raggiunto partendo dalle qualificazioni i quarti di finale, perché se è pur vero che una rondine non fa primavera, allo stesso modo un segnale isolato

non è sufficiente per affermare l'inversione del trend. Celate o meno, le difficoltà di Gianluca sono principalmente riconducibili al distacco con il suo coach storico Nargiso, colui che lo ha strappato dagli Open ed ha permesso al sanremese di intraprendere una carriera professionistica. Ha un carattere difficile, complicato, ma proprio dietro a queste difficoltà si nasconde un giocatore dal talento


cristallino ma grezzo. Nargiso su di lui ha compiuto un mezzo miracolo, ma al momento il ligure è nel mare in tempesta, senza un porto dove attraccare, ma rimane sotto l'ala protettrice della FIT. Una crisi che si protrae da Recanati, quindi metà luglio, nei successivi 6 tornei un'unica vittoria al primo turno contro Perez Sanz, se si esclude la vittoria nella qualificazioni con Corioni. Sopratutto è l'atteggiamento in campo, unito al suo body language che preoccupa, oltre ai consueti e prolungati buchi di concentrazione. Genova ha davvero lenito tutte le ferite ? DONATI - Ai nastri di partenza di questo 2016 da lui ci si attendeva qualcosina in più in termini di risultati. O quantomeno le

aspettative erano parecchio alte. Purtroppo Donati ha sofferto di problemi alla schiena da subito, che si sono protratti successivamente ridimensionandone le prestazioni. Ad inizio anno aveva una programmazione ambiziosa, interrotta dal protrarsi incessante del mal di schiena. Se accantoniamo i problemi fisici, Matteo ha disputato una stagione "on clay" discreta, ma il suo vero valore lo poteva

dimostrare su cemento, avendo caratteristiche più congeniali ai terreni veloci. La sensazione è stata quella di voler tutelare la schiena giocando su una superficie che attutiva e non provocasse un ritorno al dolore. Unico acuto a Caltanissetta con la conquista di una finale persa sul filo di lana, contro il veterano Lorenzi nonché attuale n°1 d'Italia. NAPOLITANO - QUINZI - Bisognerebbe essere contenti di aver ritrovato Gianluigi; quest'anno, dopo mille vicissitudini e cambi di allenatori, sembra aver trovato un equilibrio nel suo gioco. Forse meno pressioni e più tranquillità fuori dal campo, non c'hanno ridonato il Quinzi che sognavamo, ma perlomeno possiamo essere moderatamente soddisfatti dei risultati

conseguiti fin qui. Inizio di stagione traumatizzante con tanti primi turni e la trasferta in Israele partendo dalle qualificazioni futures. Ora possiamo guardare al futuro con maggiore ottimismo. La vera sorpresa è Stefano Napolitano, alzi la mano chi si sarebbe aspettato di ritrovarre un Napolitano a ridosso dei duecento al mondo. Giocatore solido mentalmente, bravo a sfruttare le sue chance,


iniziando da Ostrava a fine Aprile, per poi proseguire con le ottime performance di Todi e Biella. Ha davvero espresso tutto il suo potenziale ? Oppure possiamo aspettarci ulteriori miglioramenti ? Ad oggi la terra è stato terreno di conquista, sarà importante capire cosa può offrire su superfici veloci, lui che ad inizio anno ha faticato parecchio soprattutto indoor e per giunta a livello futures. Non ci resta che metterci comodi e aspettare.


Elogio al muro Andrea Guarracino Quando avevo 12 anni ed ero un promettente under, mio padre mi fece fare un provino a Formia presso il Centro Tecnico Federale Italiano, diretto da Mario Belardinelli. Ricordo ancora, con grande emozione, come se fosse oggi, le sue parole finali: "Andrea in questo sport molto difficile per emergere sono necessarie in modo

particolare 2 cose : 1- Un' enorme passione 2- Tanto allenamento al muro". Della prima cosa ero per fortuna dotato in esubero, così mio padre, anche lui allenatore di tennis, mi costruì due muri di allenamento nel tennis club che gestivamo in quel periodo. Ricordando le parole di Belardinelli, che per me erano sacre ed inconfutabili, ho passato centinaia e

centinaia di ore della mia adolescenza a palleggiare con il muro. Allenandomi con lui ho compreso il motivo delle parole del più grande allenatore di tennis che l'Italia abbia avuto: il muro è il più forte giocatore e il miglior maestro del mondo. E' il più forte avversario in quanto qualunque colpo tu possa inviargli, lui comunque te lo rimanda indietro, e di questo chiunque può accorgersene subito.


Ma il muro è anche un fantastico allenatore di tennis in quanto usa il metodo della reciprocità: ti tratta esattamente nel modo in cui lo tratti tu. Quando palleggiamo con un maestro, lui si sforza di "ripulire" i colpi sbilenchi che gli inviamo, per permetterci di colpire più palle possibili, mentre se ci alleniamo con un compagno, spesso la palla ritorna ancora più " sporca" per le sue deficienze tecniche. Quando ti alleni con il muro questo non succede mai! Se lo " accarezzi" lui fa lo stesso con te, mentre se lo " picchi" lui ti " ripicchia" senza nessuno scrupolo. Tutto ciò ci costringe a migliorare velocemente ed enormemente le nostre qualità nel controllo e nella sensibilità sulla palla, che a mio parere sono le doti più importanti per un tennista che vuole raggiungere l'alto livello. Al muro inoltre la palla ritorna con un tempo tecnico molto inferiore e questo ci consente di mettere nella nostra memoria motoria un numero molto maggiore d'impatti e ci costringe ad un ritmo esecutivo più elevato,

facendoci velocizzare le preparazioni dei colpi e il nostro gioco di gambe.

senso di grande tristezza, ricordando la mia giovinezza tennistica.

Esistono centinaia di esercizi che si possono fare al muro per tutti i livelli di gioco e per allenare tutti i tipi di colpo, che un buon maestro può facilmente illustrarvi.

Il muro è per me uno strumento di allenamento sempre molto valido, che andrebbe rivalutato e maggiormente apprezzato. D'altronde tutti i tennisti si allenano instancabilmente per migliaia di ore con l'unico obiettivo di diventare alla fine come lui: un muro.

Purtroppo nei circoli moderni molto spesso lo spazio che prima era destinato al muro di palleggio è stato utilizzato per altre attività, commercialmente più redditizie, ed ogni volta che me ne accorgo provo un

Dedicato a Mario Belardinelli che ho avuto l'onore e il piacere di conoscere.


Parallelismo “vita-tennis”

Federico Coppini

Qualche anno fa, un mio allievo e amico trentenne, in parte contagiato dalla mia passione per il tennis, in parte per predisposizione naturale, si ammalò talmente tanto di questo sport, diventandone “portatore sano”, al punto che rapportava ogni azione o scelta o momento della sua vita di tutti i giorni ad una delle possibili fasi tatticostrategiche prettamente tennistiche. Queste implicano, nello specifico, delle decisioni da prendere prontamente nel momento in cui ci si trova sulla palla, nonché da modulare di volta in volta per ogni palla successiva che và e che torna, la giusta posizione nel campo, una lettura corretta dello scambio e via dicendo. Da qui nacque spontaneamente una serie di riflessioni da parte mia sul parallelismo tra la vita e il tennis. Chi si appresta a leggere qui di seguito sappia che ho creato delle distinzioni abbastanza drastiche per delineare con chiarezza il mio pensiero.

Fino a poco meno di dieci anni fa esistevano quattro tipologie di giocatori, delineatesi nel corso della storia del tennis moderno, che possono trovare un loro peculiare riscontro nel vivere comune, ovvero negli stili di comportamento personali e sociali dei singoli individui inseriti in diversi contesti, quindi costretti a fronteggiare le più disparate (e disperate!) situazioni di vita. Ad esempio, alcune persone vivono d’attesa, in maniera alquanto passiva, senza prendere alcuna iniziativa, come se si accontentassero di ciò che hanno già e di quello che gli capita. Si limitano a difendersi o a rispondere agli attacchi esterni e non hanno voce in

capitolo sugli eventi della propria vita, aspettando quasi che la manna gli piova dal cielo! Questi “tipi” nel tennis sarebbero assimilabili a dei “contrattaccanti da fondo”. C’è invece chi prende la vita di petto e ne è protagonista senza paure di sorta, in virtù di un disegno, di una propria logica che lo conduce a determinate scelte, con tolleranza nei confronti degli errori che si possono commettere durante il percorso e con una perseveranza di fondo che nella maggior parte dei casi lo renderà soddisfatto di se stesso e del suo operato, senza remore alcuna. Un tipo del genere sarebbe tennisticamente un “aggressivo da fondo” (alla Agassi per intenderci).


Chi è pure proiettato in avanti nel suo percorso, con una ulteriore dose di determinazione, ma anche con la coscienza dei propri limiti nel caso in cui dovesse temporeggiare rimanendo indietro, sarebbe sicuramente un “serve and volley”. Infine, ma non per ordine di importanza (anzi, al contrario), ci sono quelli (come Sampras o Federer), pochi in verità, che riescono a giocare tutti i colpi da tutte le parti del campo nel modo giusto e al momento opportuno…al che si rimane spiazzati! Sicuramente anche loro sbaglieranno, ma in tali casi è innegabile che si tratta di possedere delle doti naturali un po’ fuori dalla norma. Comunque sia chi si

avvicina a questo stile di gioco viene detto “tout court”, che nella vita corrisponderebbe ad un tipo di persona duttile, elastico mentalmente, adattabile a più situazioni, che magari a volte non eccelle in particolari ambiti, ma si barcamena discretamente avendo la meglio in tutti i contesti in cui si trova ad agire e interagire. Negli ultimi anni i serve and volley sono andati estinguendosi (date le alte velocità di gioco che non consentono spesso di raggiungere la rete); i contrattaccanti da fondo, dal canto loro, sono stati costretti a diventare più propositivi e aggressivi per sopravvivere.

Da quando ha cominciato a vigere l’eterno scontro Federer- Nadal, le tipologie di giocatori si sono ridotte fondamentalmente a due: i “ruba tempo” e i “ruba spazio”. Roger appartiene alla prima, Rafa alla seconda. Se dovessimo ragionare su un ulteriore parallelismo tra la vita e il tennis, della prima di queste due categorie potrebbero far parte coloro i quali posseggano doti intellettive notevoli, capacità di reazione immediata, di anticipare le situazioni future possibili, leggendone i potenziali esiti, quindi riuscendo ad agire tempestivamente e lucidamente sul presente in atto, giungendo prima (sulla palla) alla soluzione. Alla seconda apparterrebbero tutti quelli che con sacrificio, impegno e lavoro costante, poco a poco, un pezzettino alla volta, cerchino di avere la meglio sulla situazione, mettendo in crisi l’avversario con l’arma migliore in loro possesso: la perseveranza. Quale delle due personalità sia tennisticamente più adeguata o preferibile rimane una opinione soggettiva. Certamente un tipo che sia eclettico e anticipatore ma anche tenace ad oltranza quasi sempre l’avrebbe vinta su tutti. Ai posteri l’ardua sentenza.


La Respirazione Amanda Gesualdi

Un argomento molto interessante che collega lo Zen al mondo del Tennis è la Respirazione. Dal vocabolario, “respirare”, significa compiere processi atti a garantire uno scambio con l’ambiente. Lo “scambio” è parte integrante del gioco tennis, è un continuo spazio-tempo con l’avversario. La respirazione ci permette di governare al meglio la nostra capacità di scambiare e reggere un determinato ritmo. Continuando con il vocabolario, frasi come “respirare a pieni polmoni”, “essere vivo”, “sentirsi a proprio agio”, “provare sollievo o tranquillità”, sono tutte affermazioni che in determinati contesti e discorsi hanno un collegamento psicologico evidente con l’azione del respirare. In Medicina Tradizionale Cinese l’emozione relativa ai polmoni e al loro moto armonioso è la Libertà! Nella pratica della Meditazione il respiro è la Meditazione stessa. L’atto di meditare significa svuotarsi di tutto ciò che non serve, e per fare ciò, è necessario iniziare con qualcosa di estremamente semplice e nella sua semplicità, vitale! Portare l’attenzione sul respiro, sull’aria che entra ed esce e senza la quale non potremmo vivere. Dio stesso ci diede la Vita e l’Anima attraverso il Soffio. Inizierei consigliandovi un esercizio che è utilissimo per abbattere le ansie e lo stress in generale, utile a ripristinare un più naturale modo di respirare. Cercheremo di recuperare la Respirazione Arcaica, che è quella che possiamo osservare in un neonato o in un


bimbo piccolo. Quest’ultimo respira sollevando ed abbassando un’intera area che va dalla pancia al torace, e lo fa simultaneamente, tutto si muove in perfetta sincronicità. Oggi l’essere umano adulto, carico delle tensioni giornaliere, tende a muovere quasi esclusivamente la parte alta.

Coricarsi in un luogo tranquillo (può essere fatto anche nel letto prima di prendere sonno o per conciliarlo), portare una mano in appoggio sulla pancia (sotto l’ombelico) e l’altra all’altezza del plesso solare (sopra l’ombelico). Iniziare ad ascoltare la respirazione, senza ostacolarla o indirizzarla. “Ascoltare” se una delle due zone sottostanti le mani tende ad alzarsi o abbassarsi per prima o per seconda durante il respiro. Dopo alcuni minuti di ascolto rilassato e profondo iniziare a sincronizzare la salita delle due zone (fase di inspirazione) e la discesa delle stesse (fase di espirazione). Cercando una modalità pacata e lenta. Tra la fase di inspirazione e quella di espirazione c’è sempre una piccola pausa, che fa parte del corretto modo di respirare. Man mano che diventiamo più abili nell’utilizzare questa tecnica, proviamo a “scollare” le costole durante la fase di entrata dell’aria, in modo da ampliare la cassa toracica e la capacità polmonare. Consiglio questo prezioso esercizio ogni volta che ci si sente oppressi, tesi, preoccupati. Lo consiglio anche come azione meditativa, per migliorare il senso di Sé, la concentrazione, la consapevolezza; per gli atleti, la sera prima di un torneo importante, concilia il sonno e ne migliora la qualità, rendendoli più presenti e prestanti il giorno seguente. Ed ora eccoci al tennis… La corretta respirazione in campo è alla base


della coordinazione stessa, non solo da un punto di vista fisico ma soprattutto psicofisico. Quando siamo tesi per qualcosa la respirazione è la prima ad abbandonarci per lasciare spazio alle ansie e alle paure. Respirare è vita e vitalità, concentrazione e attenzione, ritmo, coordinazione, resistenza mentale, forza. Quando stiamo per sollevare un peso notevole, senza rendercene conto, facciamo entrare tutta l’aria (quasi come se stessimo prendendo la rincorsa), alziamo l’oggetto trattenendo l’aria nei polmoni e poi in modo diaframmatico buttiamo fuori tutta l’aria. Questa operazione ci consente di applicare una forza maggiore. Ecco perché nello sport, dove lo sforzo e l’attenzione sono continui, la respirazione è determinante per poter essere pronti, coordinati e lucidi.

L’Atleta d’élite deve essere in grado di sapere respirare in diversi modi, rappresenta un eccellente lavoro stimolare diverse tecniche. Tecnicamente parlando la respirazione più utilizzata è quella in cui la fase di entrata dell’aria coincide con la fase di apertura, la fase di uscita con la fase di chiusura del colpo. Più precisamente il ciclo respiratorio è il seguente: 1. APERTURA

1. 2. A-INSPIRAZIONE 3. PAUSA PREIMPATTO 4. IMPATTO-ESPIRAZIONE-CHIUSURA 5. PAUSA PRE-APERTURA 6. APERTURA-INSPIRAZIONE 7. Ecc. La micro pausa prima dell’impatto è importante per riuscire ad utilizzare il diaframma (muscolo di spinta e uscita). Le pause tra le fasi di entrata e uscita dell’aria sono spesso inconsce (non ce ne rendiamo conto), ma esistono e sono parte integrante del ciclo respiratorio. Dopo aver appreso la tecnica base, il secondo step sarà quello di coordinare l’entrata e l’uscita dell’aria

con la velocità di palla in arrivo e in uscita. Es.: - ricevo una palla lenta: inspiro lentamente; - colpisco giocando un lob o una palla tagliata e lenta: espiro lentamente; - ricevo una palla veloce: inspiro velocemente; - colpisco tirando un vincente: faccio uscire l’aria velocemente;


Una volta integrata la respirazione base, è necessario sapere che vi sono Atleti che sono più forti in vuoto polmonare (minima percentuale), Atleti che sono più forti in pieno polmonare. Per scoprire questo è possibile eseguire un semplice test. Far sedere l’atleta e testare la forza di un muscolo, ad esempio il deltoide medio. Chiediamo all’atleta di tenere il braccio all’altezza della spalla, di inspirare e di stare in apnea (pieno polmonare), al “via” spingerà verso l’alto, il coach farà resistenza e ascolterà la forza. La stessa prova verrà eseguita in vuoto, quindi l’atleta inspirerà ed espirerà rimanendo in vuoto d’aria, e conseguentemente applicherà la spinta. In questo modo è possibile osservare il calare o

atleti arrivano ad avere la respirazione ottimale seguendo istintivamente quello che li fa sentire più forti e stabili; altri hanno invece bisogno di essere seguiti ed educati. E’ molto importante che il Coach dia spazio alla tecnica respiratoria, esattamente come se fosse un colpo; molti processi psicologici si risolvono con una corretta respirazione, infondendo nell’atleta equilibrio ed armonia.

l’aumentare della forza nelle due situazioni distinte. Supponendo che l’atleta sia più forte in pieno polmonare, durante il colpo (dopo aver inspirato all’apertura), all’impatto non espirerà ma tratterrà l’aria, farà uscire l’aria tra il finale e la ripresa della posizione atletica. Se l’atleta è più forte in vuoto polmonare dovrà buttar fuori l’aria poco prima di impattare la palla. Molti

e coordinazione fine. Palleggiare a ritmo medio basso in modo da portare l’attenzione senza troppe difficoltà alla tecnica respiratoria. Ogni cinque/dieci minuti variare la tipologia, ecco qui di seguito alcune possibilità: inspirare dal naso in fase di ap ertura, espirare dal naso in fas e di impatto-chi

Un esercizio in campo molto utile, è prendere coscienza dei vari modi di respirare. Il tennis è uno sport di “situazione”, “ciclico e aciclico”, ed è necessario che il nostro Atleta sappia risolvere le varie sfide. Alcune di queste sono particolarmente difficili e richiedono attenzione


iusura; inspirare dal naso in fase di apertura, espirare dalla bocca in fase di impattochiusura; espirare dal naso in fase di apertura, inspirare dal naso in fase di impatto-chiusura; espirare dalla bocca in fase di apertura, inspirare dal naso in fase di impattochiusura; inspirare dal naso in fase di apertura, trattenere l’aria (pieno polmonare) all’impatto, espirare dalla b occa in fase di ritorno in posizione atletica; inspirare dal naso in fase di apertura, buttare fuori l’aria dalla bocca prima di impattare (vuoto polmonare) ed impattare in fase di pausa; inspirare dal naso in fase di apertura, espirare emettendo un suon o diaframmatico (dovete sentire

che parte dal plesso solare o stomaco) in fase di impatto-chiusura. E’ fondamentale che il Coach osservi il proprio Atleta in questa semplice e determinante azione respiratoria. Soprattutto durante i tornei in cui la tensione sale, vi accorgerete come sia prioritario divenire padroni di questo strumento psico-fisico! E’ nelle cose semplici che riscopriamo noi stessi e la nostra ricchezza! Alla domanda del nostro Atleta: “Sono teso cosa posso fare?”…. Il Coach risponde: “Respira!”



La spalle del tennista

principali:

Benedetta Gnetti

1. Preparation 2. Early cocking

La spalla è un complesso sistema costituito da tre ossa: scapola, omero e clavicola. La

3. Late cocking 4. Acceleration

clavicola è un osso anteriore a forma di manubrio. Unisce il complesso della spalla alla gabbia toracica tramite l’articolazione sterno-claveare e si articola con la parte di scapola detta acromion formando l’articolazione acromion-claveare. L’acromion sporge a tetto al di sopra della glenoide scapolare che, accogliendo la testa dell’omero, partecipa alla costituzione dell’articolazione gleno-omerale. La spalla è dunque l’espressione di movimenti coordinati di quattro articolazioni: gleno-omerale, scapolo-toracica, acromionclaveare e sterno-claveare. Queste articolazioni sono stabilizzate da sistemi capsulo-legamentosi e sono attivate da diversi gruppi muscolari. In un sistema così complesso, la stabilità e la mobilità si trovano in una condizione di equilibrio molto fragile, ma nello stesso tempo molto vantaggioso per fare in modo che venga generata una grande quantità di energia necessaria per imprimere forza alla pallina che viene colpita. Il dolore cronico non traumatico di spalla rappresenta da sempre il problema più comune dei tennisti e in generale di tutti gli atleti overhead. Il gesto atletico più esaminato è da sempre il movimento del servizio che si può scomporre in 5 fasi

5. Deceleration o Follow-through. La spalla, all’interno del movimento del servizio, è una parte di una catena cinetica energetica, in cui il corpo è considerato come un sistema di segmenti (gambe, anca, tronco, spalla, gomito, polso) che si collegano l’uno all’altro per generare e trasferire all’ultima parte, la più distale, l’energia necessaria a colpire la palla. La spalla assume il ruolo di moderatore di forza, mentre gomito e polso hanno il compito di trasferire la forza alla pallina. Questo è detto fenomeno “catch up” e fa sì che un problema a livello più prossimale non


inficerà sulla produzione di energia, in quanto saranno i segmenti distali che andranno a colmare questa mancanza lavorando di più. Ecco perché le parti più distali sono quelle più soggette ad overuse e di conseguenza a lesioni.

propulsiva, quella in cui avviene l’impatto con la pallina. I muscoli coinvolti sono: deltoide anteriore, grande pettorale, latissimus del dorso, sottoscapolare e teres minor. Le patologie più comuni per un atleta overhead sono: lesioni della cuffia dei

Le fasi in cui si verifica la più grande produzione di forze sono la late cocking e la

rotatori, lesioni SLAP e impingement syndrome.

follow-through. Durante la late cocking il braccio si trova in

Quest’ultima si divide in due grandi

abduzione, rotazione esterna, abduzione orizzontale ed estensione. I muscoli coinvolti sono: deltoide posteriore, infraspinato, teres minor. In questa fase c’è anche un rischio di lussazione anteriore.

categorie: 1. Internal impingement. 2. Impingeme 3. nt subacromiale o external impingement. Le cause principali di impingement sono:

Durante la acceleration e la follow-through il braccio passa in rotazione interna velocemente ed adduzione. La acceleration è la più importante perché è la fase

instabilità gleno-omerale; patologie a carico della cuffia dei rotatori o del bicipite brachiale; discinesia scapolare; deficit della rotazione interna glenoomerale. Queste cause possono creare un circolo vizioso di movimenti non corretti che portano a microtraumi ripetuti e quindi ad un impingement secondario, responsabile a sua volta del dolore cronico. L’internal impingement si verifica nella fase di late cocking con la gleno-omerale in massima rotazione esterna, in massima abduzione orizzontale e a seconda degli sport in abduzione o estensione. Gli atleti lamentano dolore posteriore e dolenzia alla palpazione dell’infraspinato. L’impingement


avviene nel momento in cui l’omero, portandosi posteriormente al piano

La discinesia scapolare è definita come una alterazione della posizione e del movimento

scapolare, non è seguito dal movimento di retrazione della scapola, e va così ad

della scapola. Negli atleti overhead sembra essere collegata ad una alterazione

intrappolare sovraspinato ed infraspinato tra la testa omerale e la rima postero- superiore

dell’attività dei muscoli rotatori/stabilizzatori scapolari: trapezio superiore, trapezio

della glenoide. Questo fenomeno è detto

inferiore e serrato anteriore. Durante un

“iperangolazione”.

movimento overhead la scapola deve fare un movimento che va da una retrazione ad una

Due sono i meccanismi patologici che sono stati studiati come eziologia dell’internal

protrazione. Nella fase di late cocking deve esserci una sufficiente retrazione per

impingement: 1. eccessiva traslazione omerale 2. discinesia scapolare.

impedire il fenomeno dell’iperangolazione e ridurre i sintomi da impingement. Alcuni studi, hanno mostrato che gli atleti overhead hanno uno squilibrio tra muscoli retrattori e muscoli protrattori, a favore di questi ultimi.

L’eccessiva traslazione omerale compromette la congruenza gleno-omerale. La causa principale negli atleti overhead è l’instabilità anteriore di spalla causata da una lassità della capsula anteriore che si ha in seguito movimenti ripetuti. Un’altra causa di traslazione omerale è la poca tenuta delle strutture posteriori che porta ad una riduzione della rotazione interna. Una retrazione delle strutture posteriori è causa della compromissione della funzione di amaca del legamento gleno-omerale inferiore e di un aumento del rischio di impingement durante la fase di late cocking perché provoca una traslazione postero superiore della testa omerale. Durante la fase di follow through, una retrazione della banda posteriore di questo legamento indurrà una traslazione anterosuperiore della testa omerale aumentando il rischio per un impingement subacromiale.

Per stabilire un programma riabilitativo corretto bisogna dunque tenere conto di tre disordini funzionali: 1. instabilità gleno-omerale anteriore 2. perdita del movimento di rotazione interna 3. perdita di f 4. orza dei muscoli stabilizzatori scapolari. Di solito in un quadro di internal impingement questi 3 sono correlati. Lo scopo del processo riabilitativo in atleti overhead è di ristabilire un equilibrio muscolare, una resistenza muscolare, un recupero graduale di propriocezione, stabilità dinamica e controllo neuromuscolare. La fase iniziale ha come obiettivi: ripristino dell’equilibrio dei muscoli della cuffia dei rotatori, iniziale propriocezione scapolare e


controllo muscolare locale. Particolare attenzione va rivolto al controllo

follow-through.

neuromuscolari dei muscoli extrarotatori. Può essere indicata una progressione di

Si verifica nel 10-30% degli atleti.

esercizi in CCC.

Lo spazio subacromiale, in una proiezione anteroposteriore, deve essere di 9-10 mm ed

Nella seconda fase si passa ad esercizi che

è definito come lo spazio compreso tra l’arco

aumentino lo stress in compressione assiale in una posizione weight bearing e ad esercizi

coracoacromiale, composto dalla faccia inferiore dell’acromion, il legamento

che aumentino il recupero neuromuscolare dei muscoli della cuffia dei rotatori. Si

coracoacromiale e il processo coracoideo, e la grande tuberosità e la faccia superiore

prosegue con esercizi per il recupero del ritmo scapolo-toracico.

della testa omerale.

Nella terza fase l’obiettivo principale è il ritorno all’attività sportiva. Vengono aumentati gli esercizi di rinforzo muscolare, sono introdotti esercizi pliometrici a difficoltà crescente. Possono essere proposti esercizi in catena cinetica aperta volti al recupero del gesto sportivo. Per i problemi in rotazione interna sono proposti esercizi di stretching delle strutture posteriori , che possono poi essere proposti come programma domiciliare, e mobilizzazioni in traslazione dorsale della gleno-omerale in posizione end-range, con attenzione a problemi di lussazione. Per la discinesia scapolare si va ad agire su trapezio superiore, inferiore e medio, serrato anteriore e romboidi per ristabilire un equilibrio sia intramuscolare sia intermuscolare. L’impingement subacromiale o external impingement si ha nella acceleration e nella

Il dolore tipicamente insorge in un lasso di tempo che può variare da settimane a mesi. È localizzato in zona acromiale anterolaterale o anteriore e di frequente si irradia fino alla parte laterale del terzo mediale dell’omero. Compare la notte ed è esacerbato quando il soggetto è sdraiato sulla spalla dolorosa o quando dorme con la spalla sopra la testa. Durante le attività overhead sia la cuffia dei rotatori che la muscolatura periscapolare hanno un ruolo importante nello stabilizzare le articolazioni gleno-omerale e scapolotoracica. Una corretta mobilità della spalla è garantita dal mantenimento della testa omerale all’interno della fossa glenoidea. Responsabile di tutto questo è la muscolatura della cuffia dei rotatori attraverso la produzione di una forza dinamica compressiva. Quando questa forza è assente o insufficiente la testa omerale


migra superiormente diminuendo così lo spazio subacromiale. Una alterazione della forza impressa dalla cuffia dei rotatori non è però la sola causa di dolore alla spalla e di impingement. Come nel caso di internal impingement si deve tenere anche conto del posizionamento scapolare e quindi della sua cinematica. Il normale ritmo scapolo-omerale richiede infatti l’attivazione di trapezio superiore, trapezio medio, trapezio inferiore e serrato anteriore per stabilizzare e ruotare in upward la scapola. Il volume dello spazio subacromiale durante l’elevazione del braccio è massima quando la cinematica di scapola è ideale in modo da ridurre l’incidenza dell’impingement in RI o RE dovuto alla cuffia dei rotatori. Il rischio maggiore per l’impingement resta però una scapola ruotata internamente , rotazione in downward, e con un tilt anteriore, che aumenta quando si richiede una abduzione sul piano scapolare con RI (empty can). Il serrato anteriore essendo responsabile del movimento scapolare di upward, posteriore tilt e RE è un garante dello spazio subacromiale. Una sua debolezza è causa di un dolore importante alla spalla. Una analisi EMG ha dimostrato che durante l’elevazione, in caso di impingement c’è un’aumentata attività del trapezio superiore e inferiore, una diminuzione di quella del serrato anteriore, infraspinato, sottoscapolare e deltoide laterale . In realtà un altro studio ha messo in evidenza che i pazienti con impingement non usano le stesse strategie motorie per

eseguire un compito, per cui il programma riabilitativo deve prevedere un’attenta valutazione delle strategie messe in atto dal paziente in esame. Un corretto programma riabilitativo deve avere come scopo un ristabilire un corretto ritmo scapoloomerale e deve quindi basarsi sul ristabilire l’equilibrio tra il trapezio superiore, medio ed inferiore, e il serrato anteriore. I muscoli della cuffia dei rotatori sono valutati con 3 manovre: lift off test per il sottoscapolare, il braccio del paziente è posto dietro la schiena e si chiede al paziente di resistere alla forza impressa dall’esaminatore;per sovra spinato e sottospinato il braccio del paziente è posizionato lungo il corpo a gomito flesso a 90°, il paziente lo deve portare in RE vincendo la forza impressa dall’esaminatore;


movimento. Il secondo è considerato positivo se la cuffia dei rotatori risulta avere più forza. Per l’instabilità invece si possono proporre: apprehension test, re location test, posterior apprehension test. Gli atleti overhead con impingement non usano in realtà le stesse strategie motorie per eseguire il medesimo compito, per cui il programma riabilitativo deve prevedere un’attenta valutazione delle strategie messe in atto dal paziente in esame.

il paziente abduce il braccio a 90° sul piano scapolare e lo ruota internamente portando i pollici rivolti verso il basso, deve mantenere questa posizione vincendo la forza impressa dall’esaminatore, questo serve per il sovra spinoso. Due manovre invece sono altamente sensibili, ma non specifiche per diagnosi di impingement e sono: test di Neer che consiste nel portare in massima elevazione passiva e RI il braccio stabilizzando la scapola; Hawkins test il braccio è a 90°di elevazione sul piano scapolare, con il gomito a 90° si porta in massima RI. Questi hanno un valore predittivo di più del 90% se positivi entrambi. Possono poi essere proposti tests specifici per il posizionamento scapolare: scapular assistant test e scapular resistence test. Il primo è positivo se il paziente trova miglioramento nell’esecuzione del

Per stabilire un programma riabilitativo corretto bisogna dunque tenere conto di tre disordini funzionali: 1. instabilità gleno-omerale anteriore 2. perdita del movimento di rotazione interna 3. perdita di forza dei muscoli stabilizzatori scapolari. Di solito in un quadro di impingement questi 3 disordini sono correlati. Lo scopo del processo riabilitativo in atleti overhead è di ristabilire un equilibrio muscolare, una resistenza muscolare, un recupero graduale di propriocezione, stabilità dinamica e controllo neuromuscolare. La fase iniziale ha come obiettivi: ripristino dell’equilibrio dei muscoli della cuffia dei rotatori, iniziale propriocezione scapolare e controllo muscolare locale. Particolare attenzione va rivolto al controllo neuromuscolari dei muscoli extrarotatori. Può essere indicata una progressione di


esercizi in CCC.

Per i problemi in rotazione interna sono proposti esercizi di stretching delle strutture

Nella seconda fase si passa ad esercizi che aumentino lo stress in compressione assiale

posteriori , che possono poi essere proposti come programma domiciliare, e

in una posizione weight bearing e ad esercizi che aumentino il recupero neuromuscolare

mobilizzazioni in traslazione dorsale della gleno-omerale in posizione end-range, con

dei muscoli della cuffia dei rotatori. Si prosegue con esercizi per il recupero del

attenzione a problemi di lussazione. Per la discinesia scapolare si va ad agire su

ritmo scapolo-toracico ed esrcizi di rinforzo per gli stabilizzatori scapolari.

trapezio superiore, inferiore e medio, serrato anteriore e romboidi per ristabilire un

Nella terza fase l’obiettivo principale è il

equilibrio sia intramuscolare sia intermuscolare.

ritorno all’attività sportiva. Vengono aumentati gli esercizi di rinforzo muscolare, sono introdotti esercizi pliometrici a difficoltà crescente. Possono essere proposti esercizi in catena cinetica aperta volti al recupero del gesto sportivo.

Quando il trattamento convenzionale non da risultati si passa all’intervento chirurgico che deve prevedere una valutazione anche dell’articolazione gleno-omerale, della cuffia dei rotatori e dell’articolazione acromiocalvicolare.



Il gomito del tennista

l’epicondilite, del quale lui stesso ne soffriva, come “sofferenza del legamento anulare che circonda la testa del radio e del tricipite”.

Il gomito è un'articolazione formata da tre ossa: l'osso del braccio, chiamato omero e le due ossa dell’ avambraccio, dette radio e ulna. Nella parte inferiore dell'omero ci sono due sporgenze ossee chiamate rispettivamente epicondilo (o epicondilo laterale) ed epitroclea (o epicondilo mediale). La protuberanza ossea sulla parte laterale del gomito, l'epicondilo, è la zona anatomica che sarà di nostro interesse.

Nonostante il nome ci riporti ad una origine più di tipo infiammatorio, l’epicondilite ha le sue radici in un processo degenerativo , da qui il termine più corretto di tendinosi o tendinopatia laterale, la cui patogenesi ancora oggi non è molto chiara. La teoria più accettata è quella che trova la causa in micro e macrolesioni della giunzione miotendinea del complesso dei muscoli estensori di polso e dita risultanti da overuse e microtraumi ripetuti. In particolare, il muscolo più interessato

Benedetta Gnetti

L’epicondilite laterale fu descritta per la prima volta in Germania dal dottor Runge nel 1873 che la definì come “writer’s cramp”. Siccome veniva spesso riscontrata in persone che praticavano il tennis, nel 1882 il chirurgo Morris pubblicò sulla rivista The Lancet un articolo dove la descrisse come “ the lawn tennis arm”, ma fu l’anno dopo per mano del dottor Major che apparì per la prima volta il termine “tennis elbow”. Costui scrisse un articolo sul British Medical Journal dove definì

sembra essere l’estensore radiale breve del carpo responsabile dell’estensione e della stabilizzazione del polso, dei movimenti di grip e di grasping. Questi movimenti, se ripetuti con frequenza, portano l’estensore radiale breve del carpo a sfregare continuamente contro il bordo del capitello radiale e quindi ad una sua progressiva degenerazione. Come conseguenza di tutto questo si ha una esacerbazione della sintomatologia dolorosa, un indebolimento del sito di ancoraggio e un aumento dello stress in quell’area. All’inizio l’epicondilite veniva associata solamente a persone che praticavano sport, ma allo stato attuale


viene riconosciuta come un disordine occupazionale causato da overuse e stress ripetuti di mano, polso e braccio. Ha un’incidenza annuale cha varia dall’1 al 3% e di solito i sintomi si risolvono in un periodo di tempo cha va da 6 a 24 mesi, ma solo nel 20% dei casi i sintomi superano l’anno. Di solito è più frequente tra i 30 e i 50 anni di età senza prevalenza di sesso. CAUSE Le cause più comuni sono due: 1. overuse: indica una qualunque attività che provoca un importante stress nel punto di attacco del te

1. 2. endine e che porta ad aumento della sollecitazione del tendine stesso. 3. trauma: inteso come un colpo diretto o una azione di sfo 4. rzo improvvisa. Questi potrebbero infatti provocare un edema a livello del tendine portando ad una sua successiva degenerazione. SEGNI E SINTOMI Il dolore è il primo motivo per cui viene richiesto un consulto specialistico. Solitamente è localizzato nella parte laterale del gomito in prossimità o direttamente sull’epicondilo ed è evocabile tramite

palpazione. Viene esacerbato dai movimenti di prensione e stiramento del polso, occasionalmente può scendere ed irradiarsi lungo il braccio fino ad arrivare alla mano. Può essere associato a difficoltà nella presa e debolezza del braccio. Di solito interessa il braccio dominante, ma può presentarsi anche in quello controlaterale. DIAGNOSI La diagnosi viene fatta in seguito ad una anamnesi precisa incentrandola sul tipo di attività o lavoro che il paziente svolge. A questa deve seguire un esame obiettivo suddiviso in palpazione, necessaria per localizzare dolore e gonfiore, test di mobilità e provocativi del comparto estensorio. Gli esami strumentali, quali RX, risonanza magnetica, TC possono essere richiesti solo per escludere altre cause. TRATTAMENTO Il trattamento può essere : conservativo chirurgico. Il trattamento conservativo ha un successo in almeno il 90% dei casi. La prima fase del trattamento prevede una modificazione dell’attività scatenante il problema con


limitazione dei movimenti che esacerbano il dolore e periodi di riposo più lunghi tra un’attività e l’altra. L’utilizzo di tutori può aiutare ad allentare la tensione sul muscolo ed alleviare di conseguenza i sintomi. Due sono i tipi di tutori che possono essere usati: uno posizionato al di sotto del gomito con un cuscinetto che è a livello dell’origine dell’estensore radiale breve del carpo ed uno che blocca il polso a 12° in estensione. Si possono usare anche terapie fisiche come dry

needling, ultrasuoni, laser (low level laser therapy) e diatermie. L’uso di antiinfiammatori sembra non avere troppo successo in quanto la tendinopatia laterale di gomito non sembra esser causata da un processo infiammatorio acuto. A tutto questo deve però essere associato uno specifico programma fisioterapico paziente mirato. Molti studi hanno messo in evidenza che gli esercizi di tipo eccentrico hanno effetti benefici sul complesso muscolo-tendine sia da un punto di vista di

rimodellamento strutturale sia da un punto di vista del recupero della forza tensile. Importante poi sarebbe consigliare un programma di esercizi domiciliare. Se questo trattamento conservativo non dovesse dare buoni risultati si potrebbe proporre al paziente una infiltrazione di corticosteroidi o di platelet-rich plasma (PRP). Molti studi hanno verificato che le iniezioni di corticosteroidi danno qualche beneficio a breve termine per quanto riguarda il dolore, ma avendo una discreta probabilità di eventi avversi (atrofia, rottura,depigmentazione) e di recidive a lungo termine il loro uso andrebbe ponderato bene. A medio termine alcuni studi hanno dimostrato che la fisioterapia associata alla lowlevel laser terapia dà buoni risultati. In molti casi comunque l’optimum sembra essere l’associazione tra uso di ortesi, riposo ed esercizi mirati. Se i sintomi persistessero per più di 12 mesi si dovrà iniziare a pensare all’eventualità del trattamento chirurgico che può essere effettuato tramite tecnica classica (oper surgery) o tramite artroscopia.






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