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Cambi costituzionali?

Continua dalla Prima - l’elezione diretta del presidente del consiglio che in questo caso mantiene in capo al parlamento l’elezione del presidente della Repubblica, il quale continuerebbe a mantenere il suo ruolo di personalità superpartes e di contrappeso.

Di fronte alle perplessità delle opposizioni, sembra esserci una sola sponda alla maggioranza che cammina in solitudine, quella dei renziani e dei calendiani: l’ex Terzo Polo infatti è sì contrario ad eleggere direttamente il capo dello Stato, ma propone in cambio di trasformare il presidente del consiglio, oggi un “primus inter pares”, in un vero premier votato dal popolo e con i poteri conseguenti. Ora su questa base, Meloni, Calenda e Renzi possono ragionare e trovare l’intesa che, se raggiunta, potrebbe consentire al centro destra di arrivare a quella soglia dei due terzi della Camera e

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Senato che consentono di approvare una riforma costituzionale in Parlamento senza andare al referendum. Già, perché questo è il rischio della Meloni: di fare la fine di Renzi che giocò tutte le sue carte sul tavolo della battaglia referendaria per la sua “Grande Riforma”, la perse malamente e fu immediatamente rottamato. Imparata la lezione, Giorgia Meloni sta coltivando l’intesa, Calenda e Boschi hanno espresso parole di disponibilità rientrando in gioco dopo essersi cacciati da soli nell’angolo, con le loro dispute e litigi vari. Calenda è d’accordo sul premier con più poteri e vorrebbe una Camera sola e propone una commissione con le opposizioni, la Boschi s’è accordata

Prudenza!

senza batter ciglio.

Pd e Cinque Stelle sono al palo. Cercano di capirne di più. Si sono dichiarati contrari alla riforma proposta nell’incontro con la presidente Meloni, sostenendo che essa violerebbe i principi della costituzione repubblicana e della democrazia parlamentare.

In particolare hanno accusato la Presidente di concentrare troppo potere nelle sue mani e di voler seguire l’esempio di Orban, il leader ungherese che ha modificato la costituzione per limitare i diritti e le libertà dei cittadini. Ma poi entrando nel concreto, sia la Schlein (Pd) che Conte (5S) hanno buttato lì qualche proposta. La segretaria del Pd preferirebbe puntare sulla fiducia costruttiva, e su una nuova legge elettorale e poco altro, ripetendo le sue contrarietà al presidenzialismo, all’autonomia regionale di Calderoli, alla Bicamerale, (commissione ad hoc composta da esponenti di tutti i partiti) non crede un granché dato che le bicamerali del passato sono tutte finite nel nulla di fatto. La bicamerale piace invece a Conte (5S) che la vorrebbe attuare quanto prima. Dimenticando che le prime bicamerali per la riforma costituzionale risalgono ai tempi di De Mita e di D’Alema, 1983, e non se ne è mai venuti a capo. La Schlein e Conte sarebbero infine disponibili a ragionare su un premierato alla tedesca, ovvero senza elezione diretta ma attribuendo al presidente del Consiglio più poteri (dalla sfiducia costruttiva, al potere di nomina e revoca dei ministri fino alla possibilità si sciogliere le camere). Nel passato, per ben due volte il popolo sovrano ha affondato le riforme organiche, quella del centrodestra ai tempi del governo di Berlusconi e quella già citata di Matteo Renzi. Nel contempo abbiamo visto montagne di carta stampata finita nel macero, cervelli sopraffini finiti nel dimenticatoio, infinite trasmissioni tv in ogni canale dedicate all’argomento tra gli sbadigli del pubblico e mai s’è visto un risultato. Per concludere. Il problema sul tappeto non è di poco conto. Non esiste una soluzione preconfezionata. I modelli teorici da noi citati devono fare i conti con la storia dei singoli sta- ti, in Italia, per esempio, molte resistenze al presidenzialismo provengono dalla paura dell’“uomo forte”, esperienza vissuta drammaticamente dal nostro Paese con il fascismo ed ignota negli Usa o nella Francia, così come non si può non ricordare che sul fronte delle riforme istituzionali sono franate maggioranze in apparenza granitiche con i loro leader. E’importante, comunque, che un confronto fra tutte le forze politiche sul tema avvenga in modo leale, avendo di mira gli interessi del paese, evitando di generare confusione invocando attacchi improbabili alla costituzione, la cui sacralità riguarda solo i principi fondamentali e non già la parte relativa all’ordinamento dello Stato.

Il prossimo 18 giugno si celebrerà l’ottava Giornata Internazionale della Gastronomia Sostenibile. Questa focalizza l’attenzione del mondo sul ruolo che la gastronomia può avere nella realizzazione di uno sviluppo sostenibile richiamando istituzioni pubbliche e private, produttrici e commerciali ad avere forti collegamenti con i produttori locali. Da alcuni anni si discute parecchio di questo tema mentre l’opinione pubblica sembra essergli in buona parte finalmente favorevole. Ma fino a che punto? Come sta lavorando la formazione alberghiera per radicare il concetto di gastronomia sostenibile nelle nuove generazioni di professionisti della ristorazione?

“La giornata Internazionale della Gastronomia Sostenibile è un momento molto importante per sollecitare una maggior attenzione all’ambiente e sensibilizzare trasversalmente le persone, soprattutto i giovani, sul ruolo-impatto del cibo per il nostro pianeta” - afferma il Coordinatore dei percorsi di Alta formazione professionale Cucina Italiana, Arte Bianca e Alta Ristorazione del CFP di Tione, Marco Campaner – “Concetti quali km0, prodotti locali, territorialità e risparmio energetico sono pilastri sui quali quotidianamente si lavora a scuola. I ragazzi, quando in laboratorio, vengono costantemente stimolati con attività volte proprio a capirne il valore. Per parte propria l’Alta Formazione di Tione cerca di scegliere il più possibile prodotti del territorio, che seguano le stagioni e siano sempre in linea con il rispetto dell’ambiente in cui ci troviamo”.

Lo scorso maggio presso l’Alta Formazione del CFP

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