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Sostanze pericolose nel Chiese, l’origine è ancora sconosciuta
Pfos, sigla di (acido PerFluoroOttanSolfonico), Pfas, per dire sostanze perfluoroalchiliche. O anche acidi perfluoroacrilici. Non si sa se sia più inquietante il nome o l’acronimo. Sono sostanze velenose che viaggiano nelle falde acquifere e vengono trasportate dall’acqua. Da dove traggono origine? Bella domanda. In Veneto (fra le province di Verona, Vicenza e Padova) lo sanno bene: dalle concerie. E lì (dove operano distretti assai consistenti) sono concentrate in altissime, quindi allarmanti percentuali. Però (stando ai tecnici) ci possono essere altre origini: sono acidi molto forti, usati in forma liquida, con una struttura chimica che conferisce loro una particolare stabilità termica e li rende resistenti ai principali processi naturali di degradazione. L’impiego di queste sostanze avviene principalmente (come detto) nella concia delle pelli, ma anche nel trattamento dei tappeti, nella produzione di carta e cartone per uso alimentare, nel rivestimento delle padelle anti aderenti e nella produzione di abbigliamento tecnico. Come si vede, ce n’è abbastanza. Quattro anni fa, nell’ambito di analisi periodiche effettuate nei pozzi del basso Chiese, furono trovate anche qua. E la domanda sull’origine scattò subito, anche perché da queste parti di aziende impegnate nella lavorazione di pelli e simili non si ha notizie né per ieri, né per oggi. E allora?
“Non resta che approfondire”, hanno detto i vertici provinciali, sollecitati dal consigliere Alex Marini, originario della valle del Chiese. Va detto (anzi, va sottolineato, non certo per buttare in vacca il problema, ma per dare le notizie per quello che sono) che le percentuali verificate nella valle del Chiese non sono allarmanti. Lo si legge nella risposta di Mario Tonina (vicepresidente ed assessore all’ambiente della Provincia) alle interrogazioni. Per capirci, secondo la direttiva europea in materia per avere dati allarmanti bisogna arrivare ad un limite massimo di Pfas di 100 nanogrammi al litro, mentre nella zona di Storo si va da 10
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di Giuliano Beltrami
I Pfos sono sostanze velenose che viaggiano nelle falde acquifere e vengono trasportate dall’acqua. Nel fiume Chiese ne sono state rilevate delle tracce la cui origine è al momento sconosciuta. In Veneto, dove le percentuali sono molto maggiori, vengono dall’industria conciaria.
a punte di qualche decina quando il livello si alza.
Per intenderci, nel Veneto la quantità è sopra ai 30 nanogrammi al litro ed è pure più alta nel Chiese bresciano, zona Villanuova e Montichiari, tanto da venire citata sul Corriere della Sera.
Fermi tutti, arriva l’università Novembre 2019. Il Consiglio provinciale (su sollecitazione di Alex Marini) approvava all’unanimità una mozione per affrontare il problema Pfos-Pfas.
Di conseguenza il Dipartimento di Ingegneria civile dell’Università di Trento ha conferito un assegno di ricerca per lo studio e l’individuazione degli inquinanti nelle acque grazie all’impiego dell’intelligenza artificiale.
“E’ il primo risultato dell’impegno assunto dalla Provincia – commentava fiducioso Marini nel 2020 - per studiare la falda acquifera a monte del lago d’Idro e riuscire finalmente ad individuare da dove provengano i pericolosi inquinanti la cui diffusione è stata scoperta l’anno scorso suscitando diffusa preoccupazione nel Comune di Storo e non solo. Il meccanismo è stato attivato. Ora non resta che attendere l’esito della ricerca. Confidiamo che con la creazione di un modello scientifico si possa rimediare ai danni commessi nel passato”. Si presume che l’origine venga dalla zona industriale di Condino e da attività del passato. Ma si presume e basta. “Speriamo altresì – concludeva Marini - che la procedura che verrà definita per la modellazione della falda possa fornire una best practice scientifica replicabile per affrontare altre situazioni analoghe”.
L’assessore Mario Tonina, nel 2021, scriveva: “I risultati del monitoraggio semestrale delle acque sotterranee della piana di Storo, programmato e condotto nel 2021 da Appa su 15 punti di campionamento in collaborazione con il Servizio geologico provinciale, mostrano concentrazioni di Pfos in calo rispetto al 2020 e paragonabili ai valori modesti del 2019. Pertanto la perturbazione permane sostanzialmente stazionaria; sono state inoltre condotte analisi una tantum su altri punti di campionamento estemporaneo con prelievo da quote più profonde, riscontrando un’assenza di contaminazione delle acque sottostanti i livelli consueti di estrazione. Non è stato ancora possibile – conferma l’assessore - stabilire la fonte esatta della contaminazione: a tal fine serviranno le analisi sui terreni ottenute con specifici carotaggi i cui lavori saranno messi prossimamente a gara da Apac (Agenzia provinciale per gli appalti e i contratti, ndr). I risultati di dette analisi si avranno presumibilmente a inizio 2022”.
Sarà che la materia è complessa, sta di fatto che stanno passando gli anni e non è ancora successo nulla. Così, con tutta probabilità, la legislatura provinciale finirà, lasciando in eredità ai futuri governanti la ricerca della soluzione di un problema che si trascina da qualche anno.
Una rete per eliminare i pozzi
Come cambia il mondo!
Molti anni fa il Comune di Storo scoprì che per alimentare l’acquedotto del capoluogo comunale poteva pescare acqua dal pozzo in località Gaggio. Grande idea in un paese che qualche sofferenza l’aveva. Detto, fatto. Ora la musica deve cambiare, perché dalla falda insieme all’acqua escono pure (non in quantità allarmante, lo abbiamo detto, ma meglio non bere) le sostanze Pfos e Pfas. E allora che fare?
Al grido di “razionalizzazione!” la Giunta del sindaco Nicola Zontini si è mossa, in accordo con la Giunta provinciale per trovare una soluzione. Che è stata individuata nella messa in rete degli acquedotti di tre Comuni: Bondone (con l’acquedotto della frazione Baitoni), Bagolino (grazie alle tubature di Ponte Caffaro) e Storo. Quindi acqua di sorgente e non di pozzo. Un progetto ambizioso da due milioni e mezzo è partito, e ha ottenuto il finanziamento della Provincia per una cifra che sfiora i due milioni di euro. Come funzionerà?
Nella zona del Ponte dei Tedeschi (sulla strada che da Ponte Caffaro porta verso Baitoni) verrà installata una stazione di pompaggio per prendere l’acqua in esubero di Caffaro da mandare verso la zona industriale di Storo. Poi si dovrà realizzare la dorsale Lodrone-Storo ed una serie di ramali. Insomma, un progetto innovativo, con il quale si vorrebbero prendere due piccioni con una fava: garantire acqua ai paesi interessati alla rete e soprattutto garantire acqua pura.