Mattioli 1885 - Alimentazione e stile di vita

Page 1

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA

Note biografiche

D. Lippi, C.M. Rotella

Donatella Lippi è Professore Associato di Storia della Medicina presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia di Firenze, Visiting Professor presso l’Università Internazionale di Mosca, la Columbia University di NewYork, le Università di Colonia e di Heidelberg. Carlo Maria Rotella è Professore Ordinario di Endocrinologia presso il Dipartimento di Fisiopatologia Clinica e Responsabile dell’Agenzia di Obesiologia, presso l’Azienda OspedalieroUniversitaria Careggi di Firenze.

Donatella Lippi Carlo Maria Rotella

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA

La storia del genere umano è, per molti aspetti, la storia dei cibi, dell’alimentazione, del modo di intendere la cucina nel corso dei secoli. Attraverso questa chiave di lettura la comprensione della storia si arricchisce infatti di contributi insostituibili. In una seconda parte, il volume affronta il tema del trattamento delle patologie croniche e dell’eccesso ponderale in particolare, secondo un’impostazione moderna, che vede il paziente come potenziale principale artefice del successo o del fallimento della gestione del suo problema clinico.

Mattioli 1885

Obiettivo dell’opera è quello di rivisitare il concetto di dieta alla luce del ruolo culturale e simbolico dell’alimentazione.

DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

E X P L O R A

Mattioli 1885

isbn 978-88-6261-078-0

€ 16,00




EXPLORA |



ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

Donatella Lippi Carlo Maria Rotella

Mattioli 1885


Alimentazione e stile di vita dalla prescrizione della dieta all’educazione terapeutica Autori: Donatella Lippi Carlo Maria Rotella

Isbn: 978-88-6261-078-0 2009, Mattioli 1885 spa www.mattioli1885.com

Questo libro non può essere riprodotto, interamente o in parte, incluse le illustrazioni, in alcuna forma senza il permesso scritto dell’Editore e degli Autori.


donatella lippi, carlo maria rotella > alimentazione e stile di vita



Presentazione

Questo bel lavoro dei colleghi Lippi e Rotella si propone di affrontare il tema, quanto mai attuale, dell’approccio terapeutico nei confronti dei soggetti con eccesso ponderale alla luce della storia delle abitudini alimentari e del rapporto tra individuo e cibo. L’argomento è di largo interesse da quando, a partire dagli anni ’80, nel mondo occidentale, e in Italia in particolare, si è manifestato un fenomeno del tutto nuovo: il crescente numero di soggetti affetti da un eccesso ponderale più o meno marcato e le relative complicanze, mediche e psicologiche. La novità del problema ha determinato anche la presa di consapevolezza, via via crescente nella comunità scientifica, del fatto che le popolazioni dei paesi occidentali vivessero in un mondo sempre più “obesiogeno”, in cui la grande disponibilità di cibo a basso costo, unita al diffondersi di una serie di comodità tipiche del ventesimo secolo, erano tali da determinare la diffusione di una vera e propria epide-

mia, l’obesità, in grado di colpire strati sempre più ampi della popolazione. A fronte di tale fenomeno, oramai ampiamente noto nelle sue proporzioni e nelle sue molteplici, gravi conseguenze, la comunità scientifica ha cercato di porre rimedio a vari livelli, con diverse tipologie di intervento, i cui risultati fino ad oggi sono stati largamente insufficienti. L’epidemia si diffonde oramai anche presso le fasce più giovani di età, proponendo problemi di grandissima rilevanza sociale. L’opera che ho il piacere di presentare è giustamente ambiziosa, in quanto da un lato propone un’impostazione del problema che valorizza la conoscenza del cibo come risultato dell’incontro tra natura e cultura, dall’altro centra il trattamento dell’eccesso ponderale sull’autogestione consapevole del paziente, nell’ottica di quell’impostazione moderna del trattamento delle patologie croniche definita come educazione terapeutica.

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

|9


Il filo conduttore del libro nel suo insieme è profondamente condivisibile: una migliore conoscenza del problema nelle sue varie sfaccettature è la condizione irrinunciabile per favorire la soluzione del problema stesso. Più il paziente è informato e consapevole, maggiori saranno le probabilità che affronti le sue difficoltà in modo adeguato e duraturo. Tale presupposto rende conto del fatto che le indicazioni di strategie terapeutiche sono precedute da una stimolante storia dell’alimentazione nei secoli, che valorizza il cibo e i suoi significati e lo svincola da una connotazione essenzialmente negativa. La parte scritta da Donatella Lippi sottolinea vari aspetti. Innanzitutto la storia del genere umano è, per molti aspetti, la storia dei cibi, dell’alimentazione, del modo di intendere la cucina nel corso dei secoli. Le informazioni sul cibo ci permettono di aprire squarci estremamente stimolanti sulle condizioni economiche, le convinzioni religiose, i costumi e le usanze delle popolazioni. Alla fine del suo contributo, l’affermazione “l’uomo è ciò che mangia” diventa ben comprensibile e convincente. L’uomo non è e non è stato certamente solo colui che si nutre, ma attraverso questa chiave di lettura la comprensione della storia del genere umano si arricchisce di contributi insostituibili. Il merito principale di Donatella Lippi è quello di stimolare la curiosità intellettuale nei confronti di un tema spesso trascurato nei libri di storia e di favorire una maggiore consapevolezza circa le abitudini alimentari odierne, a confronto di quelle di un passato più o meno lontano, una riflessione su cosa mangiamo, come mangiamo e perché. La seconda parte, più clinica, affronta il tema del trattamento delle patologie croniche e dell’eccesso ponderale in particolare, secondo un’impostazione moderna, che vede il paziente come potenziale principale artefice del successo o del fallimento della gestione

del suo problema clinico. Il modello che viene descritto è il risultato di una profonda riflessione condotta da Carlo Rotella e dai suoi collaboratori, testimoni di un costante impegno della Scuola Medica Fiorentina nella terapia dell’obesità da oltre venti anni. Durante questo arco di tempo, grazie ai nostri pazienti e al confronto con altri colleghi, attivamente impegnati nel settore, è emerso sempre più chiaramente il fallimento di un approccio terapeutico prescrittivo, che non tenesse adeguatamente in considerazione le risorse cognitive, emotive e culturali del paziente. Si è sempre più imposto un cambiamento culturale che ha interessato il ruolo del medico, la figura del paziente e il rapporto tra di essi. In particolare, è emerso il dato che i migliori risultati si potevano ottenere in quei soggetti adeguatamente informati, assiduamente seguiti, periodicamente incoraggiati, che avevano fatto proprio il concetto secondo il quale il medico rappresenta il tecnico esperto che conosce il problema e le possibili strategie per risolverlo, mentre il paziente, adeguatamente istruito, è il principale artefice di un cambiamento esistenziale che coinvolge una sostanziale modifica del proprio stile di vita. Siamo quindi ben lontani da un rapporto medico/paziente basato essenzialmente sulla prescrizione, in cui il malato deve attenersi al sapere del curante e delegare ad esso la soluzione delle sue difficoltà, tipologia di rapporto indispensabile in situazioni di acuzie clinica, ma del tutto fuorviante di fronte a patologie croniche. Tale cambiamento di impostazione è spesso difficilmente accettato sia dai medici che dai loro pazienti, ma è probabilmente l’unica strada che può garantire risultati clinici nel medio e lungo periodo. Il testo di Donatella Lippi e Carlo Rotella ci fornisce uno stimolante strumento culturale, che viene pubblicato in un periodo storico in cui, tra l’altro, il cibo viene presentato e vissuto principalmente come un problema,

10 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


più che come una risorsa e un piacere. Siamo del parere che questo fenomeno abbia molteplici spiegazioni, tra cui anche la poca conoscenza e la poca attenzione che vengono date al cibo, alla sua storia, preparazione e ai suoi possibili significati. In conclusione, il testo di Lippi e Rotella merita di essere letto e approfondito, sulla base di due elementi essenziali attorno ai quali si incentra questo bel contributo: - La valorizzazione del sapere riguardo agli alimenti può favorire un rapporto più equilibrato e consapevole degli individui con il cibo.

- Il miglioramento delle conoscenze circa i fattori terapeutici implicati nel trattamento dell’eccesso ponderale e l’utilizzo delle risorse proprie di ogni paziente sono indispensabili per una duratura gestione del problema da parte di larghi strati della popolazione, a cui la comunità scientifica ha il dovere di indicare strategie terapeutiche efficaci. Valdo Ricca Psichiatra e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 11


12 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


Introduzione

Secondo molti antropologi, attraverso il cibo, la cucina rappresenta un modo per porre in relazione diversi piani di analisi, da quello ecologico a quello tecnico, da quello sociale a quello simbolico. I gusti alimentari rappresentano quindi un effetto del contesto socioculturale di appartenenza, per cui gusto e disgusto non dipendono dalla natura, ma sono spesso determinati dalla cultura e quindi dalle abitudini. Come ha sostenuto Fishler “La variabilità delle scelte alimentari umane procede forse in gran parte dalla variabilità dei sistemi culturali: se non mangiamo tutto quello che è biologicamente commestibile, è perché non tutto ciò che si può biologicamente mangiare è culturalmente commestibile.” Sempre secondo Fishler, “Ogni cultura possiede una cucina specifica che implica delle classificazioni, delle tassonomie particolari e un complesso di regole fondato non solo sulla preparazione e sulla combinazione degli alimenti, ma anche sulla loro raccolta e sul

loro consumo”. Possiede anche dei significati, che sono strettamente dipendenti dal modo in cui le regole culinarie vengono applicate: come gli errori di grammatica possono danneggiare o annullare il significato di una frase, gli errori di «grammatica culinaria» possono determinare delle improprietà inquietanti per chi mangia. A lato dell’apporto calorico, proteico, di zuccheri, grassi e altri nutrienti, il cibo porta con sé idee, convinzioni, valori e rappresentazioni collettive. Organizza e struttura ogni tipo di transazione. L’aforisma tedesco “Der Mensch ist, was er isst” (l’uomo è ciò che mangia) si riferisce all’importanza del cibo della costruzione dell’identità individuale e collettiva, e non certo solo a causa del legame intimo con il sacro e la religione. Il cibo ingerito, infatti, non è solo alimento per il corpo, ma anche un elemento del sistema di classificazione del mondo esterno e, quindi, connotato da un forte valore simbolico.

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 13


In prima istanza, la ricostruzione di questo rapporto uomo-cibo-gastronomia nelle diverse culture contribuisce alla individuazione della percezione delle diverse “gabbie identitarie”, che, ancora oggi, rappresentano un elemento importante nel quadro del processo di globalizzazione che contraddistingue il periodo storico attuale e, conseguentemente possono costituire un ostacolo ad un intervento terapeutico su base nutrizionale. In seconda istanza, verrà eseguita una accurata valutazione storica sulla evoluzione delle conoscenze in campo della Nutrizione Clinica dall’inizio del ‘900 fino ad ora. Verrà valutato il significato attribuito al termine “Dieta” nei diversi contesti preventivi, terapeutici ed assistenziali e di quanto il concetto di “prescrizione” sia stato capace di produrre risultati significativi nel lungo termine. È evidente che, per gli aspetti terapeutici, si farà principalmente riferimento alla terapia dell’Obesità Viscerale che produce una serie di conseguenze nefande per la salute, quali il Diabete Mellito di tipo 2 e la Sindrome Metabolica. Anche il concetto di “Educazione Alimentare” non è recente (1940), ma bisogna attendere il 2005 per poter vedere un modello integrato di educazione rivolto sia ad una corretta alimentazione che ad un adeguato stile

di vita. Per quanto riguarda le diete ipocaloriche designate per la perdita di peso, Stunkard nel 1959 affermava: “Tra tutti gli obesi, la maggior parte non inizierà neppure un trattamento; tra quelli che ne incominceranno uno, la maggior parte non lo porterà a termine; tra quelli che lo termineranno, la maggior parte non perderà peso; tra quelli che ne perderanno, la maggior parte lo recupererà rapidamente”. Da qui la necessità di utilizzare tecniche di derivazione cognitivo-comportamentale per aiutare i pazienti a compiere il proprio percorso. Sono state poi sviluppate ulteriori metodiche quali, ad esempio, quelle dell’Empowerment e della implementazione della motivazione, allo scopo di aumentare il numero dei pazienti che riescono a stabilire una “Alleanza Terapeutica” con l’operatore sanitario. Siamo così giunti ai giorni nostri, quando abbiamo identificato uno strumento più completo e flessibile, che può mettere in coniugazione le esigenze cliniche del singolo individuo, con le sue abitudini socio culturali, e con il desiderio di sottrarsi ad imposizioni prescrittive che non riesce né a comprendere, né a mettere in pratica con costanza: questo strumento si chiama “Educazione Terapeutica”. Donatella Lippi e Carlo Maria Rotella

14 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


Indice

Parte Prima: Cibo degli dei o cibo degli uomini? Secrezioni irrancidite delle ghiandole mammarie, miceti, rocce Mangiatori di… La negazione della carne Il rifiuto del maiale La sacralità della vacca Varie

16-49 17-19 19-22 22-36 36-43 43-47 47-49

Parte Seconda: Le modificazioni dello stile di vita: curarsi o essere curato?

52-64

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 15


Parte Prima | Cibo degli dei o cibo degli uomini?

Marchands chinois (Mercanti cinesi), in Livre des merveilles, [Jean de Cori, Jean le Long (trad.), Livre de l’estat du Grant Kaan], Français 2810, f. 139, Maestro detto de la Mazarine, 1410-1412 ca., Bibliothèque Nationale de France, Parigi, Francia

16 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


Cibo degli dei o cibo degli uomini? Donatella Lippi

Secrezioni irrancidite delle ghiandole mammarie, miceti, rocce “Per poter mangiar meglio dobbiamo saperne di più circa le cause concrete e le conseguenze delle nostre diverse e mutevoli abitudini alimentari”1. Si chiude con questa prospettiva, centrata sul rapporto conoscenza vs educazione, l’analisi condotta da Marvin Harris in relazione alle interdizioni alimentari, gusti e disgusti, preferenze in materia di cibo: dopo aver esaminato i contesti economici e sociali in cui certi tabù si sono sviluppati e consolidati, Harris concludeva, infatti, come questi siano il risultato di adattamenti da parte degli attori sociali, per raggiungere un soddisfacente equilibrio economico, ecologico e nutrizionale. Dei rapporti tra economia e religione si sono impegnati, infatti, sia storici delle religioni, sia economisti, sia sociologi, ma un contributo particolarmente significativo è

stato dato anche dagli antropologi, da Mary Douglas2 a Claude Lévy-Strauss3, da Jack Goody4 a Marvin Harris5. Le prospettive, dalle quali la questione è stata affrontata, sono diverse e complementari e spaziano da approcci fortemente teorici ad analisi approfondite di singole culture, molto spesso culture primitive, conservatrici, in grado di mantenere la peculiarità dei loro caratteri originari. Oggi, il dibattito si è spostato anche sul piano della interculturalità e della multiculturalità, approfondendo i problemi dell’etnicismo e dell’identità: in questo dibattito, agli storici dell’alimentazione si sono aggiunti a buon diritto anche medici e storici della medicina, offrendo un ulteriore contributo alla interpretazione del mutevole quadro piacere-salute nella storia della dietetica. Il rapporto col cibo, inteso come ponte e come conversione della Natura in Cultura,

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 17


attraverso l’uso e la sottomissione dei materiali grezzi trasformati in piatto finito, rappresenta infatti un’ottica estremamente articolata: questo processo magico-alchemico, che ha, infatti, la funzione di esorcizzare la potenziale pericolosità del cibo stesso6, rivela le motivazioni fondanti di miti, simbologie e riti, che si sono costruiti intorno al cibo e che oscillano dal piano del gusto a quello della salute, dalla prospettiva religiosa a quella economica e sociale. Cibo come identità religiosa, filosofica, etnica, ma anche come identità individuale, come strumento di conforto e di appartenenza a un gruppo, che può essere quello della famiglia o quello della società in cui si vive. Cibo come linguaggio e come elemento rivelatore: l’uomo è ciò che mangia, come recita un celebre aforisma tedesco, ma l’uomo mangia ciò che è, vale a dire alimenti che sono il frutto della sua cultura, della sua tradizione, del suo passato7. Le differenze sostanziali tra le cucine del mondo, infatti, si possono far risalire ai condizionamenti ambientali e alle varie possibilità offerte dalle diverse zone, ma c’è qualcosa oltre la pura e semplice fisiologia della digestione che influisce sulla definizione di ciò che “è buono” da mangiare. “Secrezioni irrancidite delle ghiandole mammarie, miceti, rocce”, cioè formaggio, funghi, sale: con questo provocatorio esempio, ancora Marvin Harris riassumeva la capacità dell’uomo di essere onnivoro, aggiungendo, però, che, come gli altri onnivori, noi non ingeriamo di tutto, ma evitiamo alcune sostanze perché inadatte a essere mangiate dalla nostra specie; abbiamo, infatti, numerose limitazioni di ordine biologico, ma ci sono anche altre sostanze che evitiamo di mangiare, pur essendo perfettamente commestibili dal punto di vista biologico: coerenza immotivata, giustificazioni pratiche o vaccinazione magica, in base alla quale una

rinunzia attenuata e provvisoria a certi beni ne garantisce il loro godimento futuro8? Se non esiste una risposta univoca, è però vero che, in questa prospettiva, la produzione alimentare, la scelta e la manipolazione delle sostanze, i comportamenti alimentari individuali e di gruppo sono stati spesso strumento da parte del potere costituito, sin da epoche molto lontane: il rapporto costi-benefici in termini nutrizionali, infatti, non sempre coincide con un rapporto positivo in termini monetari. Preferenze e avversioni al cibo derivano, infatti, anche da un bilancio attivo del calcolo dei concreti costi e benefici, ma, secondo Harris9, da sempre l’amministrazione ha scaricato sulle classi inferiori i costi: secondo la sua impostazione, dove esistono caste, ciò che è vantaggioso per un gruppo, non lo è per un altro, per cui la capacità di alcuni di mantenere un elevato standard alimentare, coincide con la capacità di controllare chi è in posizione subalterna. Ma se l’enunciazione di un precetto dietetico, nel mondo antico, aveva una ricaduta relativa, in quanto povertà, carestie, guerre, malattie, inadeguati mezzi di produzione e analfabetismo rappresentavano un ostacolo concreto alla ricezione di un particolare messaggio alimentare, a partire dal XIX secolo determinate circostanze hanno favorito la diffusione di vere e proprie mistificazioni alimentari. L’incremento demografico, lo sviluppo delle comunicazioni, il progresso scientifico ed economico e l’aumento dei consumi avrebbero potuto, invece, rappresentare l’occasione giusta per sostenere progetti di educazione alimentare, anche ai fini della prevenzione di numerose patologie. In questo quadro, in cui l’alimentazione appare spesso come frutto di mode, messaggi pubblicitari, modelli fuorvianti, la rilettura in chiave storica della formazione e della affer-

18 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


mazione di determinate teorie può contribuire a dare una visione relativa e critica di questo percorso e delle nostre abitudini di oggi. Mangiatori di… Un gourmet sans entrâves: è questa l’immagine a cui ricorre Claude Fischler per sottolineare la forza delle regole culinarie, quelle norme, anche non scritte, che sono presenti in ogni cultura e che vengono interiorizzate dagli individui, quasi sempre in modo inconscio10. Ma un buongustaio senza freni è figura assolutamente impensabile. Esistono, infatti, precetti comuni, condivisi da gruppi umani diversi, che regolano i fondamenti di una cucina: questi possono riguardare l’uso particolare (cosiddette “regole di esclusione”) di alcune classi di alimenti, come nel caso del pesce e della carne in alcuni paesi cattolici, o della carne e dei latticini nell’ortodossia ebraica11, oppure sono regole di inclusione, che impongono l’uso di determinati alimenti ai fini della costruzione di un piatto. Esiste, cioè, una grammatica culinaria basata anche su esigenze formali, che rientrano altresì nella norma sociale e nella morale. La trasgressione a queste regole può produrre conseguenze su tre piani: sul piano del gusto e della salute, qualora non vengano rispettate le leggi della forma; sul piano sociale, quando il particolarismo alimentare derivi da un desiderio di autonomia; sul piano morale, quando vengano disattese norme che sono parte integrante di un sistema religioso. Inclusione ed esclusione costituiscono, quindi, la risposta a determinate esigenze del gusto, intendendo il termine nella sua accezione più vasta, per designare “le scelte alimentari insieme agli stati affettivi e all’edonico (piacere/dispiacere) loro associati”12. Davanti alle scelte alimentari di diversi gruppi culturali o dei sottogruppi che ne

Calendario, Novembre: macellazione del maiale, in Libro di Preghiere, fol. 13v, anonimo, 1570-80, Koninklijke Bibliotheek, L’Aja, Paesi Bassi

fanno parte, determinate da una molteplicità di fattori, di natura storica, economica, religiosa o sociale, l’indagine sui meccanismi che regolano la trasmissione e il divenire di queste scelte acquista particolare importanza. La trasmissione per via genetica13, che si fonda su predisposizioni “innate”, compatibili con differenze individuali, può avvenire lungo un percorso intergenerazionale, che implica un processo di apprendimento, in cui la continuità del contesto induce alla ripetizione delle scelte, oppure lungo un percorso intragenerazionale, per influenze reciproche e rapporti tra individui di uno stesso gruppo sociale. In questi processi di identificazione, il cibo rappresenta, quindi, un punto di riferimento importante nella costruzione della identità, sia in senso positivo, sia in senso negativo, caratterizzando la cultura dell’intero

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 19


Calendario: Novembre - Due uomini uccidono un bue, in Libro d’ore, c. 12r, anonimo, 1500-1525 ca., Koninklijke Bibliotheek, L’Aja, Paesi Bassi

20 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


gruppo. All’interno dei sistemi sociali, infatti, le regole di comportamento hanno una duplice funzione: uniformare la cultura verso l’interno e separarla dall’esterno. Le tradizioni alimentari diventano, allora, lo strumento per mantenere, riprodurre e proteggere l’identità. In passato, soprattutto a partire dall’antichità classica, i costumi alimentari sottolineavano con decisione le differenze e segnavano l’identità: per i Greci, che mangiavano polenta d’orzo, la polenta di farro era elemento distintivo delle genti italiche, così come si tende oggi ad associare i Francesi col consumo delle rane (frog eaters), gli Inglesi a quello del roast beef, gli Italiani a quello dei macaroni e i Tedeschi a quello dei crauti. È Erodoto che dedica grande attenzione al problema dei diversi tipi di alimentazione: dai Nasamoni, mangiatori di frutti di palma e locuste (4, 172; 4, 182) ai Lotofagi (4, 177), agli Etiopi trogloditi che si cibano di rettili (4, 183, 4), ai Gizanti, mangiatori di scimmie (4, 194), ai Budini che si nutrivano di pinoli (4, 109,1) agli Androfagi, antropofagi (4, 106)14. In questo processo di identificazione, in cui la selezione degli alimenti, nel rapporto collettivo gusto/disgusto, ha giocato un ruolo fondamentale, non è un caso che proprio la carne, verso la quale nelle varie epoche e nelle varie culture si sono sviluppati atteggiamenti diversi, che rivelano implicazioni articolate e complesse, sia stato uno degli alimenti più carichi di implicazioni in questo senso. Se, infatti, è vero che l’identità si costruisce anche sul senso del diverso, essendo noi fatti di carne, il nutrirsi della carne significa annullare la distinzione tra il sé e l’altro, innescando problematiche psicologiche e sociali profonde. Basti pensare al divieto cattolico di mangiar carne nei periodi di Quaresima, al divieto di consumo della carne di maiale nei paesi vicino-orientali o alla sacralità delle

vacche in India. La progressiva adozione di cibi carnei, infatti, ha costituito un elemento determinante nel processo di ominazione15, tanto da vedersi riconosciuto uno statuto d’alimento per eccellenza e da essere considerata parametro per misurare la prosperità di un periodo o di una classe sociale. Secondo la testimonianza di Esiodo16, i Greci consideravano se stessi mangiatori di pane, là dove la carne cruda, di cui si cibavano i popoli barbari, era vista come un non cibo: l’umanità era sentita quindi come prerogativa esclusiva dei Greci, che cuocevano la carne e avevano avuto in dono dagli dei i cereali, la vite, l’olivo, il miele, tanto che la carne cruda rimase a lungo il segno tangibile della negazione della cultura17. Le caratteristiche nutrizionali della carne, veicolate dal grasso e “intuite” nel grasso, hanno sempre presentato innegabili vantaggi, apparentemente confermati dal maggiore successo riproduttivo degli organismi carnivori, nel ciclo evolutivo, ma sono state, nello stesso tempo, cagione indiretta, in certi casi, della sua esecrazione. La simbologia legata alla carne ha attraversato i secoli con fortune alterne, per venire messa in discussione solo in tempi molto recenti, grazie alla individuazione dei rischi di una dieta eccessivamente carnea, per l’insorgere della malattia arteriosclerotica, o in determinati contesti culturali. Ma nel consumo della carne entrano in gioco fattori economici fortissimi, veicolati e nascosti dalla percezione della cultura e del gusto: il non-consumo della carne di cavallo o della carne di cane può essere letta, infatti, sulla base di ragioni che solo in parte possono essere ricondotte allo status di questi animali come pet, compensatori di relazioni non soddisfacenti sul piano umano. Allo stesso modo, cibarsi della carne degli insetti, abitudine diffusa ed apprezzata in

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 21


diverse parti del mondo, suscita disgusto e repulsione ai palati occidentali, che non hanno mai conosciuto le infestazioni delle cavallette o le invasioni di altri animali dannosi alle coltivazioni. Ricercata e, allo stesso tempo, aborrita, la carne gode tuttora di uno statuto ancipite: alimento invitante, ma soggetto anche a regole restrittive o proibitive, è ancora oggi indiscussa protagonista del mondo delle inibizioni e delle liceità, dei permessi e delle trasgressioni, di quegli strani divieti, che vengono assorbiti in modo naturale da alcuni, senza necessità di ricorrere a spiegazioni di sorta, incomprensibili per gli altri: i tabù18. La negazione della carne Vir fuit hic ortu Samius, sed fugerat una et Samon et dominos odioque tyrannidis exul sponte erat ... (Ovidio, Metamorfosi, XV, 60-62) Si deve, con ogni verosimiglianza, ai celebri versi delle Metamorfosi di Ovidio (XV, 7293) lo stereotipo dell’uomo di Samo, Pitagora, che giunto a Crotone a seguito del suo rifiuto della tirannide che si era instaurata nella sua isola con Policrate, ne diventò il riformatore politico19. Matematico, fisico, taumaturgo, dotato, secondo la tradizione, di poteri soprannaturali, Pitagora è anche a capo di un gruppo di adepti, una setta filosofico-iniziatica e, nello stesso tempo, politica e religiosa20. Questa immagine del multiforme filosofo vegetariano era destinata a fissarsi anche nelle epoche successive, diventando il capostipite di una tradizione votata all’avversione per il consumo della carne, nata, secondo le parole di Ovidio, per una malsana invidia dei mortali nei confronti del cibo degli dei. I Greci, in realtà, discussero ampiamente di vegetarianismo e del tema ad esso associa-

to del rapporto uomo-animale. La riflessione fu oggetto di un dibattito esteso e articolato, che coinvolse tutte le principali scuole filosofiche del mondo antico e per molti – dotti, sapienti, filosofi, sette religiose, gruppi sociali – la scelta vegetariana fu anche pratica di vita. L’opzione di astenersi dalle carni animali fu giustificata in molti modi e può quindi essere valutata sotto molteplici prospettive: come espressione di saggezza o via di accesso all’equilibrio; come pratica ascetica; come azione consona a schemi di carattere teoricoconcettuale o religioso. Da un certo punto di vista, in realtà, possiamo considerarla anche una forma di “disobbedienza”: nei non comuni casi letterari e filosofici in cui compare, infatti, la disobbedienza non si presenta tanto come negazione delle regole in sé, quanto piuttosto come contravvenzione al quadro di leggi interne alla polis, e come ottemperanza ad altre, percepite come più opportune. Basti pensare al caso celeberrimo dell’Antigone di Sofocle o a Socrate, che, in nome di norme etiche ritenute più alte e preferibili, scelse deliberatamente la morte, come forma suprema di ribellione, che sia data a un essere umano21. Il tema del vegetarianismo, dunque, fu oggetto di discussione a partire dall’Orfismo e dal Pitagorismo antico, fino all’affermazione definitiva del culto non cruento dei Cristiani nel III-IV secolo d.C., vale a dire lungo l’intero arco del pensiero pagano; la vastità e la complessità del dibattito comprovano la vastissima fioritura di letteratura22 dedicata al problema, che in buona parte ci è pervenuta23. Conosciamo invece, purtroppo, gli argomenti antivegetariani solo in modo indiretto e disorganico: sappiamo che furono ostili alla pratica e alla dottrina, per ragioni diverse, gli Stoici, gli Epicurei, alcuni Peripatetici; gli argomenti avversi al vegetarianismo erano sostenuti tutti in nome

22 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


Pitagora nel suo studio, in Filippo Calandri, Trattato di aritmetica, c. 1r, Bottega di Boccardino il Vecchio, XV sec., fine, Biblioteca Riccardiana, Firenze

Pythagore enseignant (Pitagora che insegna), in Vincentius Bellovacensis, Jean de Vignay (traduttore), Speculum historiale, Français 50, f. 98v, Maestro François, 1463, Bibliothèque Nationale de France, Parigi, Francia

del razionalismo ed erano, spesso, affrontati in veri e propri trattati antivegetariani, a riprova del fatto che il problema era avvertito da molti come fondamentale, forte e minaccioso, tanto da suscitare dispute di ordine teorico, morale e religioso. Vegetarianismo come ribellione: non a caso, il vegetariano cercò i suoi simili in comunità esterne al sistema politico-sociale della città24, come nel caso degli Orfici e dei Pitagorici, cui peraltro li unisce la tradizione culturale più nota. È luogo comune, infatti, collegare il vegetarianismo antico alle pratiche cultuali e di purificazione della polis, ai rituali sacri, ai sacrifici, agli altari: nella città greca, religione, culto, prassi sacrificale e vita pubblica erano legate così strettamente che l’una non poteva decadere senza danneggiare l’altra25. Il sacrifi-

cio, e in particolare il sacrificio cruento26, era l’atto religioso-politico preminente della polis, in quanto marcava le occasioni più solenni della vita pubblica: poteva essere offerto dalla città, dal comandante di una spedizione militare27, da un privato, ma poteva essere anche l’atto che segnava la fondazione stessa della città, la cui nascita era sancita dal sacrificio cruento di un animale o di un essere umano. Basti pensare all’uccisione di Remo per mano di Romolo. Il sacrificio cruento era, quindi, sentito sia come una pratica altamente simbolica e rappresentativa, finalizzata a conservare e rafforzare il legame sacrale con gli antenati, di cui si ripetevano gesti e rituali, conformemente alla tradizione, ma era considerato anche il sistema più efficace per sollecitare l’attenzione della divinità ai casi umani e per

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 23


The Chinese market (Il mercato cinese), François Boucher, 1767-1769, Rijksmuseum, Amsterdam, Olanda

stabilire col dio una relazione speciale. Il rifiuto del sacrificio cruento e del consumo delle carni immolate (Parcite, mortales, dapibus temerare nefandis corpora!28), in una società in cui il consumo della carne era legato alla pratica dell’offerta, acquistava, allora, significati più ampi e diventava il rifiuto di un intero sistema di valori, dalle gravi implicazioni politiche e religiose29: se, infatti, Prometeo aveva strappato a Zeus il segreto del fuoco e aveva inventato il suo uso alimentare e il pasto sacrificale, la negazione dell’alimentazione carnea, che era elemento distintivo della separazione tra gli dei e gli uomini, significava anche il rifiuto della diversa condizione legata all’essere mortali. In questa prospettiva, è evidente come la rinuncia a sacrificio cruento, atto religiosopolitico per eccellenza, comportasse, per il vegetariano, il porsi al di fuori della polis, al di fuori della comunità civile, la cui aggregazione si assicurava intorno agli altari. Parallelamente a questo atteggiamento,

però, si sviluppò anche un altro importante filone di pensiero, che prese in esame lo statuto ontologico dei viventi e, partendo dall’affermazione del valore assoluto della vita in sé, considerò l’uccisione dell’animale e il cibarsi ` ´leggi della sua carne come violazione delle della Natura, come un atto παρα ϕυσιν, cioè contro natura. Tabù alimentari e metensomatosi30 È significativo che la prima comparsa della pratica vegetariana in Grecia si collochi, con buone probabilità, al tempo dei grandi sapienti taumaturghi, Orfeo, Abaris, Aristea, Epimenide e altri saggi ancora, che Dodds31 definisce “sciamani”: è assente dalla vita quotidiana, dalla mitologia, dal culto ufficiale dei Greci primitivi. Gli sciamani beneficiano di particolari poteri psichici: l’anima, distinta dal corpo, ha il potere di staccarsene, di allontanarsi, di reincarnarsi, e anche di imporgli la propria legge, in quanto può costringerlo a vivere

24 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


senza cibo per periodi anche molto lunghi. Il tema orfico del dominio dell’anima sul corpo, attraverso il platonismo, diventerà centrale soprattutto nella tarda antichità e il vegetarianismo sarà considerato un modo efficace per allentare il rapporto che lega l’anima al corpo, attraverso l’indebolimento e la mortificazione del corpo stesso. Uno degli aspetti più suggestivi della figura mitica di Orfeo stava, inoltre, nel suo rapporto con la natura e nella sua affinità col mondo animale, che riusciva ad ammaliare grazie al suono della sua lira. I seguaci dell’Orfismo si servirono del mito della morte di Dioniso, sgozzato e divorato dai Titani, per denunciare il sacrificio e distogliere gli uomini dall’uccisione degli animali e dal consumo della carne. Il tema dell’astinenza dalla carne animale, però, viene abitualmente associato, nel mondo antico, in modo primario, alla teoria32 pitagorica della trasmigrazione delle anime dal corpo umano a quello animale, in base alla quale l’uccisione e il consumo di carne animale diventano un atto efferato e criminale33. Per questo, vuole la tradizione che Pitagora avesse imposto ai suoi adepti una serie di norme alimentari, imponendo loro di obbedire a una stretta regolamentazione del nutrimento. Pitagora teorizzò in proposito una precettistica ricca, sempre finalizzata al reperimento di regole religiose, cultuali e morali, che fin dall’antichità molti autori si sono affannati a spiegare. Le ragioni dei numerosi tabù alimentari34 sembrarono insolite al loro primo apparire e difficilmente spiegabili: le fonti, in realtà, sono tarde e, spesso, contraddittorie. A proposito del tema specifico dell’alimentazione carnea, infatti, alcuni autori parlano di astensione totale, ma, all’interno di questa generalizzata interdizione, ci sono precisazioni significative: in alcuni passi,

infatti, la proibizione di uccidere e di mangiare gli animali35 si scontra con il divieto di mangiare (esthiein) gli esseri viventi36, per quanto la prescrizione più frequente sia quella di non mangiare e di non sacrificare gli animali37. In altri casi, invece, è proibito formalmente solo il sacrificio cruento: simili comportamenti sono considerati, di volta in volta, empi, odiosi agli dèi, di impedimento alla purificazione dell’anima e al controllo del pensiero. Un altro gruppo di testimonianze, invece, parla di un divieto parziale38, che investe solo alcuni animali o alcune parti di essi. Aristosseno - che magnificava la sua competenza sulla questione - in un passo tramandatoci da Giamblico, asserisce che i Pitagorici si cibavano di pane, orzo, verdure e “[...] della carne di quegli animali che era lecito sacrificare (thusima) […]”39. Questa tradizione era d’altra parte accettata correntemente, con la riserva però che si doveva sacrificare moderatamente e solo in casi eccezionali40. Secondo la testimonianza di Aristosseno e Giamblico, il divieto era assoluto nei confronti del bue aratore e dell’ariete41, confermato anche da altri autori, che invitano al rispetto per il bue operoso, valido compagno dell’uomo e per il montone che procura lana e latte42. È ancora Aristosseno, però, che sostiene che Pitagora avrebbe permesso di cibarsi di capretti e maialini da latte43. Anche Aristotele44 - che è fonte degna di fede - parla di astensione parziale dalla carne animale, in particolare dal gallo bianco e da alcuni pesci, perché sacri. Una serie estremamente diversificata di divieti riguarda i pesci e un ruolo speciale nell’ambito del divieto parziale rivestono, secondo Aristotele, l’utero e il cuore 45: Giamblico parla, invece, di utero e cervello «[…] parti preposte alla guida del corpo e, per così dire,

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 25


Dicembre: l’abbattimento del maiale, in Bréviaire à l’usage de Paris, f. 6v, 1400 ca., Bibliothèque Municipale Equinoxe, Châteauroux, Francia

26 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


fondamenta e sedi del pensiero e della vita»46. Altre tradizioni, invece, sembrano ignorare il vegetarianismo di Pitagora e narrano del famoso sacrificio di un bue per celebrare una scoperta matematica o riferiscono che egli fu il primo ad abolire il vecchio regime vegetariano degli atleti, inserendo nella loro alimentazione la carne per esaltarne il vigore «[...] mentre prima erano tenuti a fichi secchi [...] e frumento […]»47. Questa ricchezza complessa di attestazioni, effettivamente contraddittorie, ha dato luogo a un processo ininterrotto di reinterpretazione e a innumerevoli tentativi di spiegazione degli ainigmata, confermando, del resto, il fascino e il grande potere attivo della precettistica pitagorica48. Le regole e i divieti riguardanti la vita quotidiana e campestre, l’alimentazione, le purificazioni, i sacrifici, furono questioni continuamente discusse tra gli antichi, nella loro valenza fortemente simbolica, legata ai culti, alla religiosità e ai misteri. Tuttavia, nonostante l’apparente carattere antinomico della maggior parte delle testimonianze, emergono alcuni aspetti generali con adeguata chiarezza: le disposizioni riguardano sempre il problema del sacrificio, che deve essere incruento49; la questione è spesso accostata al tema della liberazione dell’anima dalle passioni, della non-contaminazione, della devozione agli altari, del rapporto con la divinità. Il secondo aspetto emergente è il carattere antropocentrico della dottrina pitagorica della metensomatosi, dove appare centrale la questione della purificazione e della protezione dell’anima dell’uomo, attraverso il transito in molteplici forme corporee. L’attenzione per l’animale, in questa prospettiva, non è basata tanto su considerazioni specifiche per la vita dell’animale in sé, quanto piuttosto sul desiderio di salvaguardare l’anima dell’uomo, che si è trasferita in

esso. L’esigenza costante di ridefinizione delle disposizioni, lo sforzo continuo di perfezionarle, limitarle, stemperarne il rigore, adattarle alle esigenze cultuali della comunità, vogliono indicare, con ogni probabilità, che la dottrina di Pitagora mal si conciliava con quello che era l’atto politico-religioso per eccellenza della vita pubblica greca, il sacrificio cruento. Al di là, quindi, della sensibilità dimostrata da Ovidio per l’animale, vittima senza macchia e di bellissimo aspetto, la scelta vegetariana di Pitagora è una scelta tutta umana, che si declina anche in atteggiamenti di ordine politico. Le apparenti contraddittorietà delle testimonianze sul vegetarianismo pitagorico, allora, devono essere riferite a un contesto molto articolato e complesso: mentre gli Orfici vivevano lontano dalla città, che per loro rappresentava il luogo fondato sull’uccisione, dichiarando una precisa volontà di rinunciare al mondo, alcuni dei Pitagorici scendevano, invece, a un compromesso, mettendo a punto un sistema fondato su carne e non-carne. Nel caso dei “pitagorici politici”, infatti, scopo della dieta era la conservazione della salute del corpo e l’esercizio della moderazione, che si contrapponeva alla avidità che aveva contraddistinto il governo aristocratico di Crotone prima della riforma: gli adepti “politici”, vivendo all’interno del contesto istituzionale, si astenevano solo da alcuni tipi di animali e dalle loro parti più vitali 50, come il celebre Milone di Crotone, atleta famosissimo, di cui si tramanda che fosse un grande consumatore di carne. A questa duplicità del regime alimentare è, forse, da ascrivere, la antinomia delle testimonianze. Vegetarianismo ed emarginazione sociale Che la pratica vegetariana abbia posto, di

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 27


fatto, i suoi seguaci fuori della polis e che si sia trasformata in un atto di aperto dissenso e di disobbedienza alle norme della città è, infatti, apertamente attestato solo per le sette pitagoriche attive ad Atene dal IV al I sec. a.C.: continuarono a esistere solo le comunità religiose51 e gli adepti diventarono un gruppo sociale secondario, contrastato e schernito, noto a noi solo in quanto oggetto di sarcasmo da parte degli autori della Commedia di mezzo, quella fase del teatro attico i cui protagonisti sono personaggi ispirati dalla realtà quotidiana, specialmente gli umili, e nella quale si attua anche una sorta di “parodia mitologica”. È grazie a questi Autori che sappiamo che le congregazioni superstiti avevano carattere religioso, che i seguaci erano di livello sociale assai basso, che vivevano un’esistenza misera ed erano derisi e disprezzati dai concittadini52. Veniva loro rinfacciato tutto ciò che li rendeva differenti dai loro contemporanei, in primo luogo il vegetarianismo: le testimonianze tendono, infatti, a sottolineare in modo sarcastico la loro scelta di moderazione e frugalità, insinuando come fosse dovuta, in realtà, ad una cronica povertà di mezzi: “Coloro che conducono un’esistenza pitagorica si dice che non mangino carne né nulla che abbia vita (empsuchon), assolutamente […]”53. Altre critiche venivano loro indirizzate perché astemi: “[…] e soli tra tutti gli uomini non bevono vino […]”54 e perché non offrivano sacrifici cruenti: “[…] il menu sarà composto di fichi secchi, di scorie di olive e di formaggio. Ecco ciò che i pitagorici hanno l’abitudine di offrire in sacrificio. Per Zeus! Mio caro, è la più splendida vittima che si possa trovare!”55. Si ironizzava, infine, sul loro modo di vestire, sulla regola del silenzio iniziatico, la pietà religiosa. Venivano inoltre denigrati per la moderazione e la temperanza del loro regime di vita, le quali altro non erano, agli occhi dei comici,

Calendario: Dicembre - l’uccisione del bue, in Libro d’ore, c. 23r, anonimo, XVI Secolo, Koninklijke Bibliotheek, L’Aja, Paesi Bassi

che un mezzo per dissimulare una povertà troppo concreta: “… per gli dèi, dobbiamo pensare che i Pitagorici di una volta erano volontariamente coperti di sporcizia, e che volontariamente e con gioia si siano messi a indossare i loro grossolani mantelli da contadini? Secondo me non è vero, ma fu per necessità, perché non avevano un soldo, che essi hanno scoperto questo meraviglioso pretesto della frugalità, e che hanno fissato regole molto utili per i poveri. Servi loro pesci e carni, io voglio essere impiccato dieci volte se essi non ne mangiano fino a rosicchiarsi le dita! ”56.

28 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


Una visione “democratica” del mondo La teoria e la pratica vegetariana non furono legate, nel mondo antico, solo ed esclusivamente alla religiosità orfico-pitagorica, ma furono oggetto, nello stesso tempo, di un profondo interesse filosofico e morale che indusse a discuterne in termini non religiosi ma, in certa misura, razionalistici. La disputa si inserì, infatti, nel quadro più generale del dibattito circa lo statuto ontologico di tutti gli esseri viventi e i diritti e i doveri che ne governano le relazioni, dalle piante agli animali, all’uomo, alla divinità. La controversia tra vegetariani e antivegetariani si configurò, nella sostanza, come l’opposizione tra una visione antropocentrica o non antropocentrica del mondo, tra una concezione provvidenzialistica o non provvidenzialistica della divinità. La discussione si disegnava, allora, tra quanti ponevano l’uomo al centro dell’universo, negando il possesso della ragione agli ` ´e ritenendo la sarcofagia una pratica animali κατα ϕυσιν, cioè conforme a natura e quanti, al contrario, concepivano la divinità come assolutamente equilibrata nel governo del ` ´della cosmo, considerando l’uccisione e l’uso carne degli animali una pratica παρα ϕυσιν, vale a dire contraria alle leggi della natura. Il mutamento e l’ampliamento della prospettiva teorica non coinvolgeva più soltanto la questione vegetariana nei termini della disobbedienza alle leggi, ai riti, ai costumi della città e della religione, ma della osservanza alle leggi più alte e cogenti della Natura e da queste considerazioni discendeva la necessità dell’interpretazione e dello studio di queste norme. Non a caso la discussione acquistò particolare vigore dopo l’esperienza aristotelica: le indagini, le riflessioni e le osservazioni sulla natura, sul mondo, sull’uomo, sui viventi,

condotte da Aristotele e dalla sua scuola, dettero grande impulso alla questione, ampliando ulteriormente i termini del dibattito. Il concetto di vivente era stato, infatti, fino ad allora, privo di una sua articolazione interna. Se piante e animali erano unificati da Pitagora e dai primi pitagorici sotto l’unica categoria di “vivente”, Empedocle, nel suo poema le Purificazioni, poneva un confine assai labile tra di essi attribuendo anche alle piante intelligenza e ragione. Platone, legato a una concezione assai arcaica, non distingueva, nel Timeo, le piante dagli animali, ma le progressive osservazioni, sempre più numerose e particolareggiate,

Novembre: l’abbattimento del bue, in Salterio, c. 11v, anonimo fiammingo, 1500-1535, Det Kongelige Bibliotek, Copenhagen, Danimarca

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 29


Il bue sgozzato (particolare), Scuola paleologa, 13161321, Kariye-Camii (Chiesa di Chora), Istanbul, Turchia

sull’intelligenza artigianale dell’animale, di cui la pianta è priva, dettero l’impulso a una sempre più articolata discriminazione. La techne, splendida unione di arte e tecnica, concetto che avrà importanza capitale nella filosofia greca, attribuita da Democrito anche ai ragni tessitori e agli uccelli costruttori di nidi, fu uno dei primi parametri di valutazione. Con Aristotele viene disegnata una distinzione assai pertinente all’interno del mondo dei viventi: le piante sono dotate del solo principio vegetativo, la facoltà di crescita organica, il treptikòn, mentre gli animali

possiedono anche l’anima senziente, cioè la sensazione, la memoria, la capacità di discernimento, quelle facoltà che li rendono simili a noi. In realtà, Aristotele, per quanto denoti idee non sempre coerenti, nega agli animali la ragione, il logos, e, con essa, ogni capacità di pensare: la differenza si colloca non sul piano del temperamento, che lascia spazio a possibili analogie, ma sul piano delle capacità intellettuali. Il problema della giustizia, per Aristotele, non si pone nei confronti degli animali: la moralità dell’essere umano, quindi, non è coinvolta: in una sorta di gerarchia del vivente, le piante sono destinate al consumo degli animali, come gli animali sono destinati al consumo da parte degli uomini, sia nel caso degli animali feroci, sia nel caso di quelli domestici, “schiavi naturali”. Contrariamente all’atteggiamento degli Stoici, che, sulla scorta di Aristotele, si inseriranno nel dibattito relativo alla presenza della ragione negli animali, consolidando la convinzione che siano privi di logos, cioè di razionalità ed autorizzando implicitamente il consumo della carne, Seneca, si fece, invece, sostenitore degli insegnamenti pitagorici. È lui stesso che racconta come fosse stato affascinato dalla scelta di vita di Pitagora, dalla quale fu costretto, però, ad allontanarsi perché, agli inizi del regno di Tiberio, l’astinenza dalla carne era guardata con sospetto e considerata prova della appartenenza a un culto straniero, “setta detestata dalla folla”, soprattutto per il vegetarianismo. Nello stesso periodo, la voce di Plutarco rappresenterà una forte testimonianza contro la visione aristotelica, condannando la caccia e la macellazione degli animali e individuando la vera differenza tra gli oggetti inanimati e gli esseri animati, questi ultimi tutti dotati di sensibilità, ed intelligenza. Il dibattito si è, quindi, ulteriormente spostato sul piano della

30 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


giustizia e del diritto alla vita. Altri tabù Una delle interdizioni apparentemente più singolari che ricorrono tra i precetti pitagorici è quella che riguarda l’astensione dalle ´ di fave, prescritta nell’ampia proibizione ´ cibarsene e di insufflarne i pollini: κυαµων απεχεσθαι. Astenetevi dalle fave. Così recita uno dei symbola pitagorici, indicazioni brevi e concise, il cui significato esoterico sfuggiva ai comuni mortali?. Filosofi e storici sin dall’antichità si sono confrontati con questa interdizione, le cui attestazioni non vanno oltre il I secolo a.C., rimandando, però, ad autori più antichi: questo voler ricorrere ad auctoritates precedenti, come autorevoli punti di riferimento, può, in effetti,

essere considerato una conferma indiretta che l’incomprensibile proibizione è da attribuirsi al periodo classico della cultura greca. La proibizione riguarda, innanzitutto, la Vicia faba, legume attestato sin dalla Preistoria nel suo uso alimentare lungo le coste del Mediterraneo. Semi di questo legume sono venuti alla luce in località archeologiche italiane, ma anche egiziane e vicino-orientali, a conferma della sua diffusione e del suo consumo: la sua identificazione è ormai sicura, in quanto gli autori classici non hanno dubbi nell’indicazione della Vicia faba, rispetto al nelombo (Faba aegyptia, Nymphaea nelumbo L.), una specie di loto, ritenuto sacro in Oriente. Data la grande diffusione di questo legume, l’interdizione pitagorica appariva parti-

Pèlerins en Tartarie (Pellegrini in Tartaria), in Livre des merveilles, [Jean de Mandeville, Voyages], Français 2810, f. 173, Maestro detto de la Mazarine, 1410-1412 ca., Bibliothèque Nationale de France, Parigi, Francia

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 31


Récolte des fèves (Raccolta delle fave), in Tacuinum sanitatis, Ms. 4182, f. 44, miniatore italiano, 13901400 ca., Bibliothèque Nationale de France, Parigi, Francia

colarmente difficile da accettare, anche perché non riguardava in primo luogo il suo uso alimentare, in quanto le testimonianze di Empedocle e di Callimaco insistevano sulla necessità di “tenere lontane le mani dalle fave”. Anche nella tradizione orfica, compare questa avversione per le fave, che, del resto, è presente anche in altre culture. Se Erodoto fa risalire questo atteggiamento all’ambiente egiziano, là dove, per la prima volta, è stata formulata l’idea della trasmigrazione delle anime58, tale interpretazione è stata accettata anche in tempi recenti, ma non pare sufficientemente supportata dalle fonti, in quanto la metensomatosi, il passaggio cioè dell’anima in altre forme viventi, avrebbe coinvolto diversi tipi di animali, ma non necessariamente le piante e,

Faba (Raccolta delle fave), Ubuchasym de Baldach, Theatrum sanitatis, Tav. 92, Giovannino De’ Grassi, XIV sec., Biblioteca Casanatense, Roma

a maggior ragione, la fava, così diffusa nel mondo mediterraneo e alimento base della dieta del tempo. La letteratura fiorita intorno a questo tema si è arricchita di aneddoti e di narrazioni didascaliche, exempla, spiegazioni e tentativi di razionalizzazione: se Aristotele ha fatto notare la somiglianza tra i grani della fava e gli organi genitali maschili, “lettere lugubri” sulla fava sono state ricordate da Plinio, ma è ancora lo stagirita a ricordare l’uso delle fave durante il sorteggio nella vita politica; altri autori ne sottolineano le proprietà carminative, indicandole come causa di borborigmi, flatulenze e gonfiori, difficoltà digestive. La medicina attuale conferma, invece, la fondatezza delle osservazioni dietetiche e delle indicazioni terapeutiche già asseverate dagli antichi: lo stesso Dioscoride, riassumen-

32 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


Récolte des fèves (Raccolta delle fave), in Tacuinum Sanitatis, Latin 9333, f. 47v, miniatore tedesco, XV sec., Bibliothèque Nationale de France, Parigi, Francia

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 33


Il favismo Il favismo è un difetto genetico, ereditario, dovuto alla mancanza dell’enzima G6PD (glucosio-6-fosfato deidrogenasi) ed è diffuso in Sardegna, in Africa ed in tutto il bacino del mar Mediterraneo, nelle stesse zone dove il Plasmodium falciparum, agente eziologico della malaria, ha colpito in passato, o colpisce tuttora, le popolazioni di queste zone. In effetti, i globuli rossi malati degli individui fabici sono relativamente resistenti all’infezione del plasmodio, determinando, di conseguenza, una sorta di selezione naturale. Le manifestazioni principali del favismo sono a carico dei globuli rossi e infatti si manifesta come una grave forma di anemia, provocata dall’ingestione di fave fresche o secche, crude o cotte e solitamente anche dagli altri legumi o dall’assunzione di determinati farmaci. Alcune sostanze contenute nelle fave distruggono rapidamente i globuli rossi, causando, nel soggetto colpito, debolezza, pallore, urine rossastre, nausea, vomito e crisi emolitica grave. Nei casi più gravi, può verificarsi un’anemia emolitica, che potrebbe anche causare la morte, ed il paziente deve essere sottoposto a trasfusioni di sangue. Il

do le opinioni correnti, sottolineava come la fava provochi flatulenze e induca brutti sogni, per quanto sia nutriente ed efficace nella cura della tosse e della nausea59. Le fave, in effetti, contengono oligosaccaridi difficili da digerire, che possono essere responsabili delle flatulenze e, nello stesso tempo, rivelarsi efficaci nelle diarree di origine infettiva. Quanto alla loro proprietà di indurre brutti sogni, questa è forse da attribuirsi alla presenza in concentrazione abbastanza elevata di levodopa (L-dopa), un neurotrasmettitore, precursore della dopamina: la somministrazione di questa sostanza

difetto è ereditario con carattere recessivo, con il gene localizzato sul cromosoma X: le donne, quindi, risentono in forma lieve del difetto genetico, mentre nei maschi si riscontrano le manifestazioni più gravi. L’unico modo per sapere con certezza se un individuo sia affetto da questa patologia è quello di sottoporsi all’esame del sangue ed eseguire l’apposito test. Gli individui fabici devono assolutamente evitare di ingerire fave, di assumere alcuni farmaci e sostanze che possono avere lo stesso effetto del legume in questione e determinare gravi crisi emolitiche. In alcuni casi si possono manifestare i sintomi del malessere anche esclusivamente nel respirare i pollini delle fave in fiore, con le medesime conseguenze dell’ingerimento. Nei comuni sardi, infatti, è vietata la coltivazione delle fave a meno di 15 km di distanza dal centro abitato. La carenza di G6PD consente, comunque, una vita perfettamente normale e non comporta in genere alcun disturbo, purché l’individuo colpito non ingerisca fave o determinati farmaci che possano provocare crisi emolitica grave. L’unico modo per evitare rischi è, quindi, la prevenzione.

aumenta la quantità di dopamina, che precorre la noradrenalina nel sistema nervoso centrale: insonnie, allucinazioni e tensione nervosa possono risultarne accresciute. La spiegazione dell’interdizione risale, invece, a tempi molto recenti: latirismo. Questo è il nome, dato nel 1873 dal medico napoletano Arnoldo Cantani60, all’intossicazione provocata dalle cicerchie, sindrome neurotossica le cui prime attestazioni risalgono alla metà del XVII secolo, quando, durante la guerra dei Trent’Anni, la mancanza di grano e, di conseguenza, di pane determinò la necessità di cibarsi di cicerchie,

34 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


Marchands sur le fleuve jaune (Mercanti sul fiume Giallo), in Livre des Merveilles du monde, [Marco Polo, Devisement du monde], Français 2810, f. 51, Maestro di Egerton, 1410-1412 ca., Bibliothèque Nationale de France, Parigi, Francia

Lathysus sativus o Lathyrus Cicera. Molto probabilmente, anche i medici della Grecia classica avevano osservato il fenomeno provocato dalle cicerchie, di cui si cibavano nei momenti di emergenza, ma non lo avevano collegato all’ingestione delle fave, che, nell’alimentazione quotidiana, erano diffuse e innocue. In realtà, durante il XIX secolo, si registrarono diversi casi di medici che descrivevano una singolare patologia, caratterizzata da ittero diffuso e conseguente all’ingestione di fave. Le zone in cui il fenomeno veniva osservato si distribuivano lungo le coste del Mediterraneo, dalla Spagna alla Sicilia e i primi a riconoscere queste ipersensibilità personale

furono proprio i medici siciliani, che chiamavano zàfara (dall’arabo al-zafran, giallo), sia l’ittero malarico, sia quello derivante dalle crisi di favismo, ancor prima che venisse spiegato nella sua eziologia. Nel momento in cui venne proposto di denominare favismo la malattia prodotta in soggetti particolarmente sensibili dall’ingestione delle fave o dalla inalazione dei pollini, veniva riconosciuta questa identità nosologica autonoma61. Che l’evento fisiopatologico centrale fosse la crisi emolitica venne scoperto negli ultimi anni del 1800: venne confermato, poi, anche il carattere familiare della predisposizione, maggiormente presente nei giovani di sesso

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 35


maschile. Mancava ancora, però, la spiegazione dei processi patogenetici del fenomeno: si pensò a una intossicazione, ma questa ipotesi non riusciva a legarsi a nessuna sostanza in particolare e, soprattutto, non permetteva di comprendere la diversità delle reazioni individuali. Si fece ricorso, allora, a un particolare meccanismo di sensibilizzazione allergica. Ma la risposta venne dopo che, durante la seconda guerra mondiale, la campagna di prevenzione antimalarica messa in atto nell’esercito americano evidenziò intolleranze individuali importanti alla primachina, il principio attivo di indicazione specifica contro la malaria, in soggetti provenienti dall’Italia meridionale e dalla Grecia: le reazioni erano molto simili a quelle prodotte dal favismo. Coloro, cioè, che non sopportavano le fave, avevano una analoga intolleranza al chinino. Le ricerche si intensificarono e venne dimostrato che si trattava di una insufficienza enzimatica innata, in ambedue le patologie, dovuta alla carenza nell’attività della glucosio 6-fosfato deidrogenasi (G6PD): l’enzima del globulo rosso responsabile della degradazione del glucosio non sviluppa, cioè, la sua capacità di proteggere l’emoglobina nella sua funzione di trasporto gassoso. In anni recenti, è stato dimostrato come il deficit di G6PD non provochi una enzimopenia in senso stretto, ma una vera e propria famiglia di enzimopatie eritrocitarie e come la trasmissione ereditaria sia legata al cromosoma X. La distribuzione geografica del tratto genetico che si esprime con il deficit di G6PD corrisponde alle aree di antica endemìa malarica e, secondo gli studi attuali, la conservazione di un tasso elevato di questo deficit enzimatico eritrocitario sarebbe dovuta al vantaggio selettivo che esso offre nelle zone di endemia malarica62. Molto verosimilmente, Pitagora aveva

osservato le crisi prodotte dal favismo e ne aveva data una spiegazione in buona parte “magica”, attraverso il tabù, arricchito di una complessa simbologia; la mentalità razionalistica ippocratica del V secolo a.C. aveva sotto gli occhi la innocuità delle fave e aveva quindi confinato la loro presunta nocività nell’ambito della superstizione e, come tale, rimase invisibile agli studiosi per tanti secoli; solo da poco, quindi, la ricerca ha potuto dimostrare la realtà nosologica del favismo, spiegarne i meccanismi e, di conseguenza, riabilitare l’antico tabù. Il rifiuto del maiale Incontinenza, gola, lussuria: a partire dalla trasformazione dei compagni di Odisseo in porci, ad opera della maga Circe, l’allegoria tra il corpo e le abitudini viziose del maiale e quelli dell’uomo, quando questi si lascia trascinare dagli istinti, diventano un topos della letteratura e dell’arte. Eppure, una volta sfatato l’incantesimo, i guerrieri achei recuperano le loro sembianze umane e sembrano ancora più alti e più belli a vedersi. E non è un caso che, quando Odisseo torna a Itaca, il primo ad accoglierlo sia il porcaro Eumeo, il custode del suo patrimonio, dei suoi beni più preziosi, quei maiali che fa pascolare con diligenza e che i Proci sacrificano alla loro ingordigia, uccidendo ogni giorno quello più bello. Zampe muscolose, testa allungata, denti sporgenti e ispida criniera, irta di setole dure: questi maiali, secondo l’iconografia molto simili ai cinghiali, venivano macellati all’età di due o tre anni, con un sistema di taglio che, dai reperti archeologici disponibili, non doveva essere molto diverso da quello attuale. Protagonisti della cerimonia detta suovetaurilia, simboli di fecondità, da sacrificare per proteggersi dalla follia, i suini furono un elemento importante anche per la civiltà

36 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


romana, tanto che, fra il III e IV secolo, a Roma, nel Forum suarium, che veniva utilizzato anche per la vendita libera, durante l’inverno si tenevano distribuzioni gratuite di caro porcina, carne di maiale, che veniva riscossa come imposta dalle province meridionali e dalla Sardegna. Allevato libero nei boschi di quercia

farnia, il maiale rappresentava una risorsa importante per sopperire al fabbisogno proteico dell’uomo medievale, ma, con l’avvento dei secoli del Basso Medioevo, la sempre maggiore messa a coltura del territorio, per fronteggiare le necessità alimentari di una popolazione in forte crescita, provocò il restringersi delle aree incolte, soprattutto di

Rappresentazione del mese di novembre [Macellazione del maiale], Cristoforo e Nicolao da Seregno detti i Seregnesi, 1470 ca., Chiesa di Santa Maria del Castello, Mesocco Cantone dei Grigioni, Svizzera

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 37


Novembre: l’allevamento del maiale, in Libro d’ore, c. 11v, Scuola di Tours, XVI sec., secondo decennio, Biblioteca Riccardiana, Firenze

quelle boschive. Le attività silvo-pastorali, che avevano rappresentato una risorsa fondamentale nei secoli precedenti, vennero ridotte e gli spazi incolti superstiti vennero sottratti all’uso comune e gestiti dalle classi sociali più forti: l’allevamento del maiale conobbe, di conseguenza, una contrazione, dal punto di vista della diffusione e profonde variazioni nelle forme. I contadini continuarono ad allevare suini, ma all’interno del podere: l’allevamento nei boschi diventò marginale e occasionale e si sperimentarono nuove tecniche di stabulazione. I documenti, infatti, da questo periodo, tendono a distinguere i porci silvestres da quelli domestici, allevati nella stalla, ma il maiale resta comunque ancora protagonista delle mense: simbolo di ricchezza sulla tavola del contadino, è invece oggetto di valutazione ancipite sulla tavola dei ricchi, tra pregiudizi, disprezzo ed esaltazione, là dove la dietetica dettava anche le norme del gusto63. Parallelamente al dibattito gastronomico, il maiale suscita, allora, una riflessione sociale, soprattutto quando si renderanno disponibili altri tipi di carni, che sembreranno più dignitose agli occhi dei palati più nobili ed esigenti. In realtà, la carne del maiale è stata sempre protagonista di una vexata quaestio,

per arrivare anche ai giorni nostri, quando solo studi fondati sulle evidenze hanno potuto dimostrare la maggiore liceità del suo consumo, rispetto ad altre carni rosse64. Kasher e halal Ragioni igieniche ed economiche sono, invece, a monte della nascita della fobia e della ripugnanza per la carne del maiale, in ambito ebraico ed arabo. Secondo quanto affermato dal Levitico, infatti, non possono essere mangiati gli animali che non hanno lo zoccolo fesso e che non ruminano, né quelli che strisciano sulla terra, né i volatili che abbiano quattro zampe, né i pesci senza squame e senza pinne65. Di fronte alla varietà di queste interdizioni, sono state avanzate diverse interpretazioni, che è possibile ricondurre, sostanzialmente, a due categorie: da una parte, infatti, si è sostenuto che queste norme siano arbitrarie perché non hanno scopo dottrinale, ma disciplinare, mentre, dall’altra, sono apparse come allegorie di vizi e di virtù. È questa una delle interpretazioni suggerite da Mosè Maimonide, medico di corte del sultano Saladino nell’Egitto del secolo XIII, secondo cui “scoprire il motivo di ognuna di queste regole particolari” è impossibile e, soprattutto, inutile66. La condanna del maiale pronunciata da

38 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


Moïse et les Hébreux sacrifiant (Mosè e gli ebrei sacrificanti), in Guiard des Moulins, Bible historiale, Français 159, f. 89, Miniatore francese, XIV-XV sec., Bibliothèque Nationale de France, Parigi, Francia

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 39


Ebrei e Musulmani venne attribuita anche al fatto che si tratta di un animale sudicio e coprofago, ma era anche allora difficile da sostenere razionalmente, soprattutto tenendo conto della tolleranza di queste popolazioni verso altre specie animali, ugualmente mangiatrici di escrementi, come le capre. Il fatto che mangiassero le feci non bastava a spiegare questa interdizione: Maimonide fece ricorso, tra le altre, ad una teoria molto elaborata, sostenendo che i cibi vietati dalla legge non solo non erano buoni per l’uomo, ma erano molto dannosi alla salute: il maiale, in particolare, “contiene troppi umori in più del necessario e troppa materia superflua”. La teoria di Maimonide sull’utilità per la salute pubblica dell’astinenza dalla carne di maiale dovette attendere secoli per ricevere

Femme cuisinant (Donna che cucina), in Recueil de peintures, Turc 140, f. 19v, Miniatore turco, XVII sec., seconda metà, Bibliothèque Nationale de France, Parigi, Francia

una parvenza di giustificazione scientifica: il rapporto tra trichinosi e carne suina cruda fu stabilito clinicamente solo nel 185967; a partire da quella data, diventò anche la spiegazione più diffusa del tabù del porco, presso Ebrei e Musulmani. I teologi avanzarono allora una serie di spiegazioni di tipo salutistico anche per gli altri tabù biblici: la selvaggina e le bestie da soma erano state proibite perché la loro carne è troppo stopposa per poter essere digerita perfettamente; i crostacei devono essere evitati perché portatori della febbre tifoidea; non bisogna cibarsi di sangue, perché il sangue veicola i microbi… Nel caso del maiale, questo tentativo di razionalizzazione ebbe un esito paradossale. Gli Ebrei di tendenza riformista sostennero che era sufficiente cuocerne bene la carne, ma gli ortodossi inorridirono a veder trasformato il Libro della Legge di Dio in un manuale di medicina. Sicuramente, il rapporto causa-effetto era stato osservato, senza poterne dare, però, una spiegazione; ma non era questa l’unica causa dell’interdizione e la predilezione per i ruminanti dallo zoccolo fesso aveva altre ragioni. Secondo alcuni Autori, infatti, sostenitori di una interpretazione allegorica del passo in questione, lo zoccolo diviso starebbe a significare che tutte le azioni devono rivelare una giusta distinzione morale ed essere dirette verso la giustizia68. Questo riferimento alla simmetria e all’uniformità è un Leit-motiv ricorrente nel mondo ebraico, ripetuto in più casi anche nel Levitico (XIX:19): “… Non accoppiare animali di specie diversa; non seminare il tuo campo con sementi di specie diverse; non indossare una veste di diverse specie di tessuto…”. Direttamente collegato alla limitazione e proibizione di cibarsi di alcune specie di animali è anche il divieto di mangiare o mescolare carne con latte o latticini. Ciò è

40 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


ripetuto tre volte nella Torah: “Non cucinerai il capretto nel latte della madre” (Es. XXIII:19; Es. XXXIV:26; Dt. XIV:21): i motivi dell’origine del divieto sono oscuri. Alcuni Autori parlano di norme umanitarie, per cui sarebbe una crudeltà cucinare insieme figlio e latte materno69. Maimonide è stato il primo ad affermare che il motivo di questa proibizione era il desiderio della Torah di sopprimere un costume religioso dei popoli cananei, i quali offrivano alla divinità i capretti cucinati nel latte materno. Un’altra spiegazione è che il latte è il primo alimento dell’ uomo, che non richiede preparazione e che soprattutto non richiede, per ottenerlo, un intervento cruento: la carne, invece, presuppone una cultura, la capacità di allevare o cacciare un animale e soprattutto la sua morte. Il divieto dunque indicherebbe la contrapposizione esistente tra un alimento definito “innocente” e l’altro, che deriva da un “delitto”. Dunque, mescolare “innocente” con “colpevole” comporterebbe una confusione di valori, non solo alimentari ma etici70. Questo concetto di simmetria, fortemente sentito nel mondo semitico, unitamente al senso di completezza e di conformità, è collegato alla necessità di distinzione anche delle diverse categorie della creazione, in un ideale di santità in cui ordine e purezza diventano concetti sovrapponibili. Le regole dietetiche si articolano, quindi, sulla stessa linea della santità: gli animali che non sono membri perfetti della loro classe di appartenenza e che appaiono, quindi, contaminati, diventano immondi. Sulla base di queste osservazioni, si deve principalmente all’antropologa Mary Douglas la formulazione di una interpretazione per cui l’abominio del maiale si fonda sulla sua non-appartenenza a una categoria tassonomica precisa71. Ambiguità, imperfezione, non santità. Il cibo diventa, in questo modo, strumento di identità e confine simbolico. Ai divieti alimentari, venivano ad aggiun-

gersi, inoltre, norme precise relative alle modalità di consumo, riconducibili a quel concetto di kashrut, che è anteriore alla creazione stessa: la perdita della purezza, infatti, la caduta di Adamo ed Eva, non è cominciata mangiando il frutto proibito, ma ancora prima, al principio della creazione: gli esseri creati sono già, comunque, imperfetti, inferiori e finiti. In questa prospettiva, le leggi alimentari del kashrut sono la manifestazione dell’amore divino per gli Ebrei, che si converte in ricette precise per i cibi, preparazioni e alimenti appropriati, regolati dalla halakah, la legge, che è sì una ingiunzione divina, ma è anche l’esito di una stratificazione secolare di tradizioni, interpretazioni, commenti, esegesi72. La Torah sembra aggiungere al già citato aforisma in base al quale siamo quello che mangiamo, anche il concetto che siamo come mangiamo73. Per questo, la macellazione deve avvenire per mano di uno shokhet, il macellaio rituale, che pratica la shekhità, la rescissione della giugulare con un coltello affilatissimo, per evitare inutili sofferenze all’animale: astenersi da azioni crudeli è fondamentale nell’Ebraismo, che è uno dei principi etici fondamentali in cui si è strutturato il patto di Dio con Noè dopo il diluvio. Allo stesso modo, riservare al nutrimento le carni di animali con lo zoccolo fesso e ruminanti è probabilmente determinato dal fatto che il cibo non deve avere una totale adesione alla terra, alla materialità, ma deve sostenere un processo di pensiero, che ritorna su se stesso per arricchirsi di continuo74. Il codice dietetico ebraico, a cui i maestri hanno dato interpretazioni, spesso, estensive, appare, quindi, estremamente complesso, generato da più motivazioni e diversificato in base alla provenienza etnica dei diversi gruppi di Ebrei osservanti, alle motivazioni individuali, di gusto e di cultura. Il grande dibattito odierno, anche per

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 41


Lavoro nei campi con una città sullo sfondo, in Sarasai Albums, Hazine 2166, c. 27, Scuola di Tabriz, XVI sec., fine, Topkapi Palace Museum and Library, Istanbul, Turchia

quanto riguarda il mondo musulmano, ruota intorno alla carne halal, che si tende ad assimilare alla carne kasher 75: le norme coraniche, infatti, oltre al rispetto del Ramadan, sono tassative nei confronti delle bevande alcoliche, della carne di un animale che non sia stato macellato secondo le regole musulmane e della carne di maiale. La spiegazione data da Marvin Harris si pone, in questo caso, in una prospettiva più genericamente medio-orientale, mettendo in luce come la spiegazione data dal passo del Levitico non trovi un corrispondente nel mondo musulmano76. Alle tradizionali spiegazioni proposte dalla letteratura e basate sulle abitudini e sul tipo di alimentazione del maiale, animale sporco, che si ciba anche di carogne, si rotola nel fango e si alimenta anche quando è già sazio, Harris aggiunge una ulteriore ipotesi, coerente alla propria impostazione materialista. Il maiale, che fornisce solo carne, venne in origine addomesticato solo per questo scopo: mentre i ruminanti si cibano di erba e hanno

un apparato digerente, che consente loro di assimilare grandi quantità di cellulosa, il maiale non ingrassa se mangia erba e arbusti e la sua alimentazione deve essere necessariamente integrata. Allevando ruminanti, invece, gli Israeliti e gli altri abitanti della zona ottenevano carne e latte senza dover spartire col bestiame il raccolto, che era così riservato solo all’alimentazione degli uomini. L’apparato termoregolatore del maiale, inoltre, non era adatto al clima caldo e torrido: il maiale, infatti, si rotola nel fango perché non ha altro modo per rinfrescarsi, dal momento che le setole non lo proteggono dal sole e non suda. Allevare maiali nel Vicino Oriente era, quindi, troppo costoso, in quanto era necessario garantirgli l’ombra, l’acqua, una dieta integrata: la deforestazione, infatti, aveva fatto sì che le condizioni ambientali fossero diventate sfavorevoli al suo allevamento e il maiale non poté essere salvato da nessuna funzione alternativa, in quanto non è un

42 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


animale da latte. Ogni tesi fondata sulla efficacia simbolica della proibizione del consumo della carne di maiale viene, in questa prospettiva, a cadere di fronte all’evidenza del rapporto costi-benefici, che è alla base della teoria di Harris: il tabù, che è condiviso non a caso dalle popolazioni di religione ebraica e musulmana, è la conseguenza di fattori ambientali più che religiosi, tanto che nelle zone in cui l’allevamento dei maiali era “pilastro del sistema agricolo tradizionale, l’Islam non riuscì mai a conquistare la maggioranza della popolazione. Così la Malaysia, l’Indonesia, le Filippine e l’Africa del Sud del Sahara, che dispongono di condizioni ambientali particolarmente adatte all’allevamento dei maiali, hanno rappresentato un limite alla diffusione dell’Islam” 77. Il maiale, secondo questa interpretazione, risultava così escluso dalla alimentazione consentita, sulla base di circostanze ambientali ed economiche, sanzionate dalla Religione e avallate dalla Medicina. La sacralità della vacca Mohandas Gandhi (1868-1948) era cresciuto secondo l’uso invalso nella casta dei mercanti nella zona dell’India occidentale, dalla quale proveniva, ed era vegetariano. Quando divenne, in modo consapevole, sostenitore del vegetarianismo e poi dirigente della Vegetarian Society di Londra, trasformò quello che era stato per lui il simbolo dell’umiliazione coloniale in uno strumento di resistenza78, come elemento centrale di una riflessione sulla tradizione indiana, rivista alla luce delle istanze storico-politiche, che avevano presieduto gli avvenimenti del passato e che condizionavano il presente. La strategia della non-violenza per la liberazione nazionale si innestava, in questo modo, in un filone che rispondeva anche al prototipo della cultura indiana diffuso

nell’immaginario collettivo occidentale, che considerava da sempre gli Indiani il popolo vegetariano per antonomasia. In realtà, ben prima che Alessandro Magno raggiungesse l’India, i Greci conoscevano gli usi di gimnosofisti e di bramini e assimilavano la loro astensione dalla carne al costume pitagorico. Oggetto di valutazione ancipite da parte dei Cristiani, che ne sottolinearono la spiritualità e l’autocontrollo, accusandoli, nello stesso tempo, di zoolatria e percependo solo l’aspetto della metensomatosi, più familiare data l’esperienza di Pitagora, solo a partire dall’età moderna gli Indiani vennero inquadrati con maggiore obiettività rispetto alle loro abitudini alimentari. Nel sistema alimentare indiano, l’elemento che ha sempre colpito di più la mentalità occidentale è stata la sacralità dei bovini, ribadita anche da una normativa statale ben precisa: sulla base dell’art. 48 della Costituzione indiana, il macello di carne bovina è tassativamente vietato e tutti gli Stati dell’Unione Indiana hanno promulgato leggi a protezione di questo animale “sacro”, sottolineando distinzioni anche tra il maschio e la femmina della specie. Al centro di una complessa rete di rapporti sociali e politici, i bovini, in India, appaiono come il frutto di una storia economica che si intreccia strettamente con l’ambito religioso e sacrale, troppo facilmente ricondotta a una interdizione fideistica, svincolata dal contesto storico e socio-economico in cui si venne affermando. Per quanto considerato ufficialmente illegale, tutta la società indiana è costruita sul sistema delle caste, indicate con il termine varna, che, letteralmente, significa “colore” e allude alle differenze sociali esistenti nel momento in cui, all’inizio del III millennio a.C., le tribù indoeuropee degli Ariani dettero inizio alla loro penetrazione nella parte

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 43


L’Indie de ça le Gange, in P.B. Van der Aa, La Galerie agréable du monde..., Leyden, [ante 1733], P.B. Van der Aa, N. IX. 9-30, v. 20, tav. [2], ante 1733, Biblioteca Casanatense, Roma

44 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


nord-occidentale dell’India, sottomettendo le popolazioni indigene di pelle scura. Il sistema sociale delle caste è da sempre alla base della società indiana, tradizionalmente divisa in quattro grandi classi, a cui si sono aggiunte, nel tempo, altre distinzioni, fondate sulle professioni e sui guna, le qualità costitutive della Natura materiale, da cui sono influenzati: la casta più elevata è quella dei Brahmana, sacerdoti ed insegnanti. Ogni casta ha il proprio dharma, una serie di doveri da compiere. Si tratta generalmente di preghiere, di servizio nei confronti della comunità, di dominio delle proprie passioni. Secondo le dottrine induiste, la casta nella quale un individuo nasce è il risultato delle sue azioni in una vita precedente. In questa visione, le ineguaglianze fra gli uomini sono quindi motivate da azioni passate, ed hanno, del resto, un valore provvisorio, valgono cioè fino alla morte dell’individuo e alla sua successiva reincarnazione. Questo complesso equilibrio sociale è sottoposto al pericolo quotidiano della contaminazione, che, sotto il concetto di impurità, riunisce rischi di ordine fenomenico e situazionale. L’idea di purezza ha, infatti, in India, profonde valenze di ordine qualitativo, che, lontane da precetti igienici, hanno lo scopo di proteggere ciò che è puro e ciò che è sacro. L’impurità produce, quindi, in primo luogo, una vulnerabilità sociale. I gradi di impurità sono legati a circostanze contingenti o materiali, alcune delle quali transeunti: l’impurità permanente caratterizza le caste inferiori, che hanno rapporti di fisicità con il corpo, mentre quella temporanea, che ricorre in modo trasversale, può essere emendata, seguendo particolari norme e comportamenti. La Natura rappresenta una minaccia per l’ordine sociale e uno dei maggiori veicoli di rischio è rappresentato dal cibo che, insieme ai rapporti sessuali, implica una sorta di

contaminazione interna. La ritualità è una delle strategie messe in atto per tutelarsi da situazioni contaminanti, che comportano un rischio sociale importante, una retrocessione nella gerarchia, una variazione nel proprio status. Regole preventive e riti riparatori intervengono a discernere ciò che era contaminato dall’impurità. Il cibo rappresenta un rischio di contaminazione anche tramite i luoghi, perché la cucina è uno degli ambienti più vulnerabili della casa, là dove si trovano presenze spirituali ancestrali. In questa prospettiva, il rispetto delle norme diventa fondamentale: nella religione induista, vacche e tori sono venerati come divinità. Questa caratteristica è condivisa da tante altre culture, a partire da quella anticoegiziana, che hanno collegato al toro il concetto di virilità, di sicurezza della riproduzione, di salvaguardia della specie. La protezione accordata alle vacche simboleggia, allo stesso modo, la venerazione della maternità: anche nell’antico Egitto, la dea Hathor era una delle dee preposte al parto e protettrici della gravidanza. Nell’Induismo, la sacralità delle vacche è connessa alla dottrina della trasmigrazione delle anime, per cui il raggiungimento del nirvana implica una serie di passaggi: l’anima, però, può sempre precipitare all’indietro ed è necessario proteggere questo percorso attraverso il supporto al mantenimento delle mandrie che vivono vicino ai templi. La vacca, simbolo della indianità, rispetto alla cultura conquistatrice britannica, diventa quindi, nello stesso tempo, simbolo religioso e politico, in cui si concentra l’ideale della purezza e dell’autodefinizione etnica. Le motivazioni di questa centralità, però, appaiono legate anche a cause di ordine economico e sociale, al di là di quelle religio-

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 45


Indiana che si riposa, carica di un cesto, Scuola inglese, XVIII sec., Tate Gallery, Londra, Gran Bretagna

so-sacrali: in realtà, come ha sostenuto Marvin Harris, i testi più antichi dell’Induismo, che celebrano gli dei e i costumi dei Veda, un popolo di allevatori e agricoltori che signoreggiò sul Nord dell’India tra 1800 e 800 a.C., pur contemplando la divisione in caste, non avevano questo senso di sacralità nei confronti delle vacche: la macellazione degli animali era consentita come rito religioso, sotto il controllo dei sacerdoti Brahmani, ma non esisteva limitazione al consumo della carne: gli dei si sarebbero cibati della parte spirituale della vittima, mentre i fedeli avrebbero beneficiato della parte corporea. I sacrifici, del resto, erano frequenti,

perché venivano celebrati in numerosissime circostanze: questo periodo terminò quando, a seguito dell’incremento demografico e della sempre maggiore necessità di spazi coltivati, i pascoli si erano ridotti e l’antica vita semipastorale si era trasformata in agricola. In questa prospettiva, il bestiame, diventando una sorta di elemento concorrenziale all’uomo nello sfruttamento degli spazi, diminuendo numericamente, acquistò un valore maggiore e divenne prerogativa delle caste più elevate. Le caste inferiori, allora, le cui condizioni di vita, soprattutto a partire dal VII secolo a.C., erano peggiorate, a causa di guerre ed eventi climatici avversi, divennero ostili ai sacrifici degli animali, di cui non avrebbero potuto godere in alcun modo e che rappresentavano, quindi, la summa dei privilegi delle classi ricche. Su questo terreno fertile, si innestò il Buddhismo, religione contraria all’uccisione e al sacrificio cruento. Gli insegnamenti del Buddha (563-483 a.C.) riflettevano il sentire della gente comune e contrastavano le convinzioni indù: la meditazione, il voto di povertà e le buone azioni si sostituirono al rituale e alle preghiere, come strumenti di salvezza. La condanna dei sacrifici bovini, per quanto non esplicitamente espressa, implicava una scelta vegetariana: “per nove secoli buddhismo e induismo lottarono per conquistare stomaco e cervello del popolo indiano”79: i Brahmani, in seguito alla vittoria dell’Induismo, desistettero dal costume del sacrificio rituale, adottarono il principio dell’ahimsa, la non violenza e si presentarono come protettori dei bovini. Il latte sostituì la carne come cibo rituale nell’Induismo e come fonte principale di proteine per la casta brahmanica: venne lasciato libero spazio alla venerazione del bestiame e all’identificazione di Krsna e altre divinità con gli animali domestici, cosa che non poteva mettere in atto il Buddhismo, che

46 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


privilegiava la meditazione rispetto alle preghiere. Facendosi difensori delle vacche e astenendosi dalla carne, i Brahmani facevano una scelta non solo religiosa, ma anche economica, in quanto adottavano un sistema agricolo sicuramente più produttivo: secondo Harris, infatti, i buoi non sono concorrenti dell’uomo nel consumo di risorse alimentari, perché raramente si cibano di prodotti dell’agricoltura o pascolano su terre che potrebbero essere coltivate, ma si nutrono di radici, paglia, foglie o tavolette pressate di vari residui, non commestibili per l’uomo. In questo modo, vengono utilizzati per l’aratura e il lavoro nei campi e il loro concime serve per fertilizzare la terra o come combustibile. Latte e sterco diventano, allora, sottoprodotti, che compensano i costi di mantenimento delle vacche: il tabù della carne bovina, in questa prospettiva, consente di conservare intatto il patrimonio zootecnico il più a lungo possibile, favorendo la funzionalità “di lungo periodo” del sistema agricolo e “riducendo nello stesso tempo la disuguaglianza originata dal sistema delle caste per quanto riguarda il consumo di alimenti essenziali dal punto di vista nutritivo”80. L’avversione indù per la carne bovina impedisce quindi il formarsi di un grande mercato di carne indiana, interno ed internazionale, che farebbe lievitare il prezzo dei bovini indiani, destinando le risorse agricole all’allevamento di animali da carne e ostacolando i piccoli proprietari ad allevare gli animali per arare le loro terre. Le classi inferiori, oggi, possono cibarsi solo delle carogne degli animali, che muoiono in stato di abbandono: gli esponenti delle classi superiori invitano le caste degli Intoccabili a dei banchetti, dove la modesta parte

commestibile di questi animali viene consumata previa cottura. Lo stesso Mohandas Gandhi ebbe a dire che la deificazione della vacca in India era inevitabile, in quanto “era la dispensatrice dell’abbondanza. Non si limitava a fornire il latte, bensì rese semplicemente possibile l’agricoltura… Come compenso delle contromisure indù atte a impedire il riemergere di abitudini alimentari carnivore particolarmente dispendiose dal punto di vista dell’energia e foriere di divisione sociale, la vacca rende possibile un’agricoltura che rende possibile la vita umana”81. Varie Secondo la fredda disamina di Marvin Harris, che legge la storia dell’alimentazione con gli occhi dell’economista, severe leggi di mercato presiedono alle scelte del gusto: perché negli Stati Uniti la carne di cavallo viene prodotta, ma non viene consumata? Perché nel mondo occidentale non si mangiano insetti? Perché ci si astiene dai pet? Le risposte a queste domande sono racchiuse nel rapporto costi-benefici: in base alla teoria del foraggiamento, l’abbondanza di specie ruminanti di alto livello e la mancanza di insetti nel mondo occidentali fa sì che si escludano molte specie dalla nostra dieta. La incapacità, del resto, di cogliere i significati profondi delle scelte alimentari e le loro cause oggettive può indicare la via sbagliata nella adozione dei rimedi: “per poter mangiar meglio dobbiamo saperne di più circa le cause concrete e le conseguenze delle nostre diverse e mutevoli abitudini alimentari. Dobbiamo saperne di più sul cibo in quanto nutrimento, come dobbiamo saperne di più sul cibo in quanto

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 47


profitto. E solo in seguito saremo veramente in grado di saperne di più sul cibo in quanto pensiero”82. Note 1. Harris M., Buono da mangiare, Torino, Einaudi 1992, p. 251. 2. Douglas M., Purezza e pericolo, Bologna, Il Mulino 1998; Idem, Antropologia e simbolismo, Bologna, Il Mulino 1985. 3. Levy-Strauss C., Il crudo e il cotto, Milano, Il Saggiatore 1966. 4. Goody J., L’addomesticamento del pensiero selvaggio, Milano, Franco Angeli, 1987; Idem, Cooking, Cuisine and Class. A Study in Comparatve Sociology, Cambridge, Cambridge University Press 1982. 5. Vedi nota 1. 6. Fischler C., L’Onnivoro. Il piacere di mangiare nella storia e nella scienza, Milano, Mondadori 1992. 7. Montanari M., Il cibo come cultura, Bari-Roma, Laterza 2004. 8. Aubin H., L’homme et la magie, Paris, Desclee de Brouwer & Cie, 1952. 9. Harris M., op. cit. 10. Fischler C., op. cit., p. 24. 11. Idem, p. 25. 12. Idem, p. 70. 13. Fischler C., op. cit., pp. 70 e sgg. 14. Herodotus, Antologia erodotea, a cura di L. Annibaletto, Roma, Dante Alighieri 1989. 15. Fischler C. op. cit., p. 92. 16. Hesiodus, Le opere e i giorni, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli 2000, § 82. 17. Scarpi P., Il senso del cibo, Palermo, Sellerio Editore 2005, p. 20. 18. Freud S., Totem e tabu: di alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici, Bari, Laterza 1930. 19. Ovidius Naso, Publius, Metamorphoses, Lipsiae: in aedibus B.G. Teubneri, 1909. 20. Mannucci J E., La cena di Pitagora. Storia del vegetarianismo dall’antica Grecia a Internet, Roma, Carocci, 2008. 21. Santese G., Vegetariani e filosofi nel mondo antico, htttp://www.fondazionebasso.it/webconsole/news/re sources/3o0adpx7r36ho4ko330388xmn8sz5768/files /santesecorretto.doc 22. Il vegetarianismo dei testi antichi non va confuso coi testi che si limitano a consigliare un’alimentazione leggera, scevra da pasti troppo pesanti o troppo saporiti, tra i quali la carne occupa un posto centrale. La frugalità nel cibo - raccomandata da tutti i filosofi greci e largamente praticata- è, in realtà, un regime alimentare ridotto, mentre il vegetarianismo si configura come un vero e proprio stile di vita, che si oppone a quello condiviso dalla maggioranza degli uomini.

23. Basti ricordare il De pietate di Teofrasto, il De animalibus di Filone, le opere zoologiche di Plutarco, il De Abstinentia di Porfirio. Tutte le citazioni sono tratte da Santese G. op. cit., passim. 24. Secondo alcune interpretazioni, questo potrebbe essere uno dei significati da attribuirsi ai numerosi viaggi di Pitagora. 25. Dodds E.R., The Greeks and the irrational, University of California, Berkeley & Los Angeles 1951 (trad. it. I Greci e l’irrazionale, La Nuova Italia, Firenze 1959), pp. 287 ss. 26. Secondo Teofrasto (in Porph. De abst. II 5,1–7,2.), i primi sacrifici che l’uomo primitivo offrì agli dèi non furono cruenti. 27. Le libagioni (spondai) di vino misto ad acqua erano usate prevalentemente in occasione dei trattati e delle alleanze sanciti da giuramento, tanto che il termine ha passato ad assumere il significato di “tregua”. 28. Ovidius, op. cit., XV, 73. “O mortali, evitate di profanare i (vostri) corpi con empie vivande!”. 29. Detienne M.E., Vernant J.P., La cucina del sacrificio in terra greca, Torino, Boringhieri 1982. 30. Per “metensomatosi” si intendeva il passaggio di una stessa anima umana in successivi e svariati corpi: umani, animali, astrali. Tale teoria era sostenuta da vari filosofi e da correnti eterodosse cristiane ed esoteriche giudaiche. 31. Dodds E.R., I Greci e l’irrazionale, Firenze, La Nuova Italia 1973, cap. V. 32. La dottrina della metensomatosi sembra essere uno dei dati accertati del Pitagorismo antico. Burkert W., Weisheit und Wissenschaft: Studien zu Pythagoras, Philolaos und Platon, Nürnberg 1962: Xenophan. 2 B 7 DK (Diog. Laert. VIII 36); Emped. 31 B 115-117, 127, 136, 137, 140, 146, 147 DK; Herod. II 81 e 123; Pind. Ol. II 55. 33. Tsekourakis D., Pythagoreanism or Platonism and ancient medicine? The reasons for vegetarianism in Plutarch’s Moralia in Aufstieg u. Nieder. d. römisch. Welt, II, 36, 1, Walter de Gruyter, Berlin -New-York 1987, p. 379: Diogene Laerzio (cfr. V. Phyt., VIII 14) sostiene che, secondo Pitagora, nel corpo di un animale può trasmigrare l’anima di un uomo, di un amico, di un parente: mangiarne le carni potrebbe costituire un atto di antropofagia. 34. Solo Giamblico (cfr. V. Pyth. 86) prescriveva di prenderle alla lettera. Tra i moderni hanno tentato di comprenderne il significato D. Sabbatucci, Saggio sul misticismo greco, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1991; Detienne M., Les jardins d’Adonis. La Mythologie des aromates en Grèce, Paris, Gallimard, 1972; L. Robin, La pensée hellénique des origines à Epicure, Paris, Presses universitaires de France, 1942, p. 35, che ritiene non vi sia nulla da spiegare. 35. Il divieto di uccidere e mangiare gli animali ricorre in Sext. Emp. Math. IX, 128, Jambl. V. Pyth. 168 e in Diog. Laert. VIII 13. Eudosso (fr. 36 Gisinger=325

48 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


Lasserre= Porph. V.Pyth. 7) afferma che Pitagora avrebbe evitato di entrare in contatto con cuochi e cacciatori , considerati “assassini”. 36. Cfr. Jambl., ivi, 68. 37. Jambl., ivi, 107-9, 150; Porph. De abst. II 28. 2; Diog. Laert. VIII 20-22; ecc. 38. Questa tradizione ci è tramandata da Diogene Laerzio, biografo e dossografo vissuto nel III sec. d. C., ma risale ad Aristosseno, peripatetico del III sec. a. C.. LEVY I., Recherches sur les sources de la légende de Pythagore, Paris, Leroux, 1926. 39. Cfr. Aristox. fr 28 Wehrli (=Athen. X 418F); Jambl., ivi, 98; Plutarco conferma la tolleranza per le carni atte al sacrificio in Quaest. Conv. VIII, 729c ss.; 728e. 40. Si vedano in proposito Porph. De abst. I 26. 3; II 28. 2; V. Pyth. 34, 36; Athen. VII 308C; Jambl., ivi, 98, 109, 150; Diog. Laert. VIII, 13; 34. 41. Cfr. Aristox. fr.29 a Wehrli (= Diog. Laert. VIII 20). Secondo Giamblico (ivi, 150) Pitagora raccomandava agli acusmatici di celebrare moderatamente sacrifici, senza mai sacrificare il bue. 42. Cfr. Ovid. Metam. XV, vv. 115-26. 43. Cfr. fr. 25 Wehrli (=Aul. Gell., ivi, IV 11. 6). Boyancè P., Sur la vie pythagoricienne, Revue des Études Grecques, LII, 1939, pp. 36-50: la distinzione tra animali idonei o non idonei al sacrificio non è casuale ma riflette la tradizione trasmessaci da Ovidio in Metam., XV, vv. 96 ss., in base alla quale, nell’età dell’oro, il maialino e il capretto furono i primi animali a essere puniti e immolati agli dei, perché devastavano, rispettivamente, i campi seminati cari a Cerere e i germogli delle viti protette da Bacco. 44. Fr.195 Rose 2 (=Diog. Laert.VIII 34). Al contrario, pongono il gallo tra gli animali che è permesso sacrificare sia Diogene Laerzio (VIII 20) che Giamblico (ivi, 150). La prescrizione è associata al carattere sacro dell’animale anche in Eliano, (Var. Hist. IV 17) e ancora in Giamblico (ivi, 84). 45. Arist. fr.194 Rose 3 (=Diog. Laert. VIII 17- 19). Cfr. anche Aelian. Var. Hist. IV 17. 46. Aelian., ivi, 109. 47. Cfr. Diog. Laert., ivi, e Porph. De abst. I 26.2. 48. Santese G. op. cit..Con ainigmata si intendono i precetti pitagorici, la cui tradizione era avvolta nel mistero. 49. Diversamente, Diog. Laert. VIII, 13. 50. Mannucci J.E., op. cit., p. 18. 51. Il Pitagorismo antico fu sia scuola filosofico-scientifica sia congregazione religiosa. 52. Le citazioni sono tratte da Santese G., op. cit. 53. Alessi, Tarentini, Meineke III, p. 483; l’affermazione che nessuno mangia qualcosa che ha vita si trova anche in Alessi, Attico, Meineke III, p. 396; Alcmeone, Mnesimaco, Meineke III, p. 576; Antifane, La bisaccia, fr. 3 Meineke III, p. 75; e in Diog. Laert. VIII, 44. Tutte le citazioni sono tratte da Sarnese G., op.

cit., passim. 54. Alessi, ibid. 55. Alessi, La Pitagorizzante, Meineke III, p. 474. 56. Aristofonte, Pitagorica, Meineke III, p. 362. 57. Grmek M.D., Le malattie all’alba della civiltà occidentale, Bologna, Il Mulino 1982, p, 362. 58. Herodotus, op. cit., II, 123. 59. Dioscorides Pedanius, Dyoscoridis ... Virtutum simplicium medicinarum libellus. 717 continens capitula: cum nonnullis additionibus Petri Paduanensis in margine appositis ; Eiusdemque Dyoscoridis De naturis & virtutibus aquarum tractatus vnus nouissime recogniti, infinitisque erroribus castigati, Uenetijs: mandato & impensis heredum ... Octauiani Scoti ... & sociorum: per Georgium Arriuabenum, 1514 II, 105. 60. Cantani A., Latirirismo (Lathyrismus) illustrato in tre casi clinici, Il Morgagni XV, 1873, pp. 745-765 61. Grmek M.D., op. cit., p. 387 62. Grmek M.D., op. cit., p. 399. 63. Scarpi P. op. cit., pp. 91- 140. 64. Brandsch C., Shukla A., Hirche F., Stangl G., Eder K. Effect of proteins from beef, pork, and turkey meat on plasma and liver lipids of rats compared with casein and soy protein, Nutrition, 22, 11-12, 1162-1170. 65. Lev. XI, 7. 66. La guida dei perplessi, a cura di Mauro Zonta, Torino, Utet, 2002 67. Virchow R., Recherches sur le developpement de Trichina spiralis., Gaz. hebdom. 46, 1859, in Rather L.J., A Commentary on the Medical Writings of Rudolf Virchow, San Francisco, Norman Publishing, 1990. 68. Douglas M., Purezza e Pericolo, cit., p. 112. 69. Cooper J., Eat and Be Satisfied: A Social History of Jewish Food, Northvale (N.J.), Jason Aronson Inc. 1993. 70. Toaff A., Mangiare alla giudia. La cucina ebraica in Italia dal Rinascimento all’età moderna, Bologna, Il Mulino 2000. 71. Douglas M., Purezza e Pericolo, cit. 72. Cohen R., Il cibo nella cultura ebraica, in AA. VV., Del gusto e della fame. Teorie dell’alimentazione, a cura di B. Antonmanrchi, M. Biscuso, Roma, Montag 2004, pp. 197-208. 73. Ovadia M., L’etica come arte culinaria: considerazioni ebraiche, in AA. VV., Il cibo e l'impegno/2, Quaderni di MicroMega, Suppl. 5/2004, pp. 23-32. 74. Idem, p. 27. 75. Zaouali L., Alla mensa di Allah, in AA. VV., Il cibo e l'impegno, cit., pp. 33- 37. 76 Harris M., op. cit. 77 Harris M., op. cit., p. 79. 78 Mannucci J.E., op. cit., p. 107. 79 Harris M., op. cit., p. 47. 80 Harris M., op. cit., p. 51. 81 Idem, p. 58. 82 Idem, p. 25.1.

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 49


Parte Seconda | Le modificazioni dello stile di vita: curarsi o essere curato?

50 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


Le modificazioni dello stile di vita: curarsi o essere curato? Carlo Maria Rotella in collaborazione con Ilaria Dicembrini e Francesco Rotella

L’obesità è una malattia cronica ad eziologia multifattoriale. Fattori genetici, ambientali ed individuali concorrono nel determinare un’alterazione del bilancio tra introito calorico e dispendio energetico con conseguente accumulo di trigliceridi nelle cellule adipose e successiva instaurazione di un complesso meccanismo patologico che coinvolge diversi organi. La prevalenza dell’obesità è in drammatica crescita in tutto il mondo, arrivando ad interessare in numerosi Paesi fino ad un terzo della popolazione, con un’incidenza in costante aumento soprattutto nell’età pediatrica. L’obesità rappresenta senza dubbio l’epidemia di più vaste proporzioni del terzo millennio ed, al contempo, la più comune malattia cronica del mondo occidentale. Il sistema più semplice, pratico e scientificamente corretto, per valutare un eventuale eccesso di peso è rappresentato dal calcolo dell’Indice di Massa Corporea (BMI), che si

ottiene dividendo il peso corporeo espresso in chilogrammi per l’altezza al quadrato espressa in metri. Possiamo così distinguere i pazienti in 4 categorie: - normopeso per valori di BMI inferiori a 25 kg/m2 - sovrappeso per valori di BMI compresi tra 25 e 29.9 kg/m2 - obesità per valori di BMI uguali o superiori a 30 kg/m2 - obesità severa (o morbigena) per valori di BMI uguali o superiori a 40 kg/m2. L’enorme impulso ricevuto dalla ricerca in campo medico a causa della diffusione epidemica della malattia, ha sottolineato l’importanza di una definizione non soltanto quantitativa, ma anche qualitativa dell’eccesso ponderale. Esistono infatti due principali tipologie di tessuto adiposo: il tessuto adiposo viscerale che si accumula a livello addominale superiore determinando un’obesità così

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 51


detta centrale (o “a mela”) ed il tessuto adiposo sottocutaneo che si distribuisce prevalentemente a livello dei fianchi ed alla radice delle cosce (obesità “a pera”). Tessuto adiposo viscerale e sottocutaneo differiscono notevolmente per le caratteristiche metaboliche ed endocrine. Infatti nell’obesità centrale, l’eccesso di tessuto adiposo viscerale espone il soggetto, più frequentemente nel sesso maschile, ad un rischio significativamente aumentato di aterosclerosi e quindi di malattie cardiovascolari. Nell’obesità periferica invece, più caratteristica del sesso femminile, l’accumulo di grasso sottocutaneo comporta una sostanziale ininfluenza sull’incremento del rischio cardiovascolare. Determinante, per definire qualitativamente l’obesità, diventa la misura della circonferenza della vita, la cui importanza è sottolineata dalla diretta correlazione che esiste tra questo parametro ed altre misure più complesse e costose di grasso viscerale, come quelle ottenute tramite scansioni addominali durante la Tomografia Assiale Computerizzata (TC) o Risonanza Magnetica Nucleare (RMN). La semplice misura della circonferenza della vita, eseguita tramite un metro flessibile passante per il margine superiore delle spine iliache anteriori superiori, fornisce una stima valida ed economica del tipo di obesità. L’obesità viscerale rappresenta un serio fattore di rischio per morbilità e mortalità, sia di per sé (vedi, ad esempio, complicanze respiratorie o osteoartritiche), sia per le patologie cui frequentemente si può associare quali diabete mellito, ipertensione arteriosa, dislipidemie, calcolosi della colecisti, disfunzioni sessuali e tumori, in particolare del tratto intestinale (colon) e della mammella. Tali condizioni morbose, ancora oggi spesso considerate come entità distinte, portano i pazienti ad essere valutati presso una serie di centri specialistici (Servizi di Diabetologia, Centri per la diagnosi ed il trattamento dell’i-

pertensione arteriosa, delle dislipidemie e per la cura dell’obesità) senza una visione unitaria della causa che li accomuna (l’obesità viscerale) e con la prescrizione di farmaci distinti per ciascun disordine. L’accumulo di tessuto adiposo centrale induce un circolo vizioso che si automantiene determinando una ridotta sensibilità dei tessuti all’azione dell’insulina (insulinoresistenza) con conseguente aumento dei livelli circolanti di insulina (iperinsulinemia) ed ulteriore accumulo di grasso viscerale (per stimolazione della liposintesi). L’accumulo di tessuto adiposo viscerale determina un maggiore rilascio nel torrente circolatorio di acidi grassi liberi ed anche una alterata secrezione di ormoni e citochine (identificati complessivamente come adipochine). Attraverso questo meccanismo patogenetico vengono ad essere interessati tutti gli organi e gli apparati (pancreas, fegato, sistema cardiovascolare, muscolo scheletrico, sistema nervoso centrale, reni e sistema immunitario) con profonde alterazioni delle normali funzioni biologiche e la possibile comparsa di evidenti disordini metabolici. Tutti i disordini metabolici riconducibili all’obesità viscerale (diabete, ipertensione arteriosa, dislipidemie ed obesità) rientrano nella definizione di un’unica entità morbosa attualmente identificata come Sindrome Metabolica. In questi anni la definizione di Sindrome Metabolica si è evoluta continuamente. D’altra parte, ciò non deve meravigliarci, dal momento che il criterio di normalità per alcune variabili biologiche si è spostato verso valori sempre più bassi, in accordo alle sempre maggiori evidenze scientifiche che si sono acquisite nel tempo. Gli esempi classici sono rappresentati dai valori di pressione sistolica e diastolica da considerare per la diagnosi di ipertensione arteriosa (superiori a 140/90 mmHg) e da quelli della glicemia a digiuno necessari per la diagnosi di diabete mellito (al di sopra di 126 mg/dl). Tra le varie

52 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


definizioni quella ritenuta scientificamente più valida e praticamente più facilmente eseguibile è stata presentata nel 2001 nell’ambito del National Cholesterol Education Program (1). Tale definizione di Sindrome Metabolica richiede infatti una accurata valutazione clinica del paziente ed alcuni semplici esami ematici di routine. Per porre diagnosi di Sindrome Metabolica sono necessari almeno tre dei seguenti criteri: 1) glicemia a digiuno ≥ 110 mg/dL. Occorre ricordare che valori a digiuno ≥ 126 mg/dL in almeno due diverse occasioni consentono di porre diagnosi di diabete mellito. 2) circonferenza addominale > 88 cm nella donna e >102 cm nell’uomo 3) valori di colesterolo HDL < 50 mg/dl nella donna e < 40 mg/dl nell’uomo 4) valori di trigliceridi ≥150 mg/dl dopo un digiuno di almeno 12 ore 5) valori di pressione arteriosa riscontrata dal medico o dal paziente stesso ≥ 130/85 mmHg. Diabete Mellito, Obesità, Sindrome Metabolica devono essere considerate malattie croniche. Se per certe malattie, come ad esempio il diabete, è diffusamente noto che si tratti di problematiche croniche, per l’obesità non è universalmente accettato che sia una malattia cronica; quindi il curante dovrà innanzitutto affrontare questo problema, convincendo il paziente della cronicità della malattia e della ineluttabilità di modificazione dello stile di vita che dovrebbe essere a tutti gli effetti assimilata ad una forma di terapia costante per tutto il resto della vita. Questo primo intervento terapeutico è reso ancora più difficoltoso dal fatto che, nell’immaginario collettivo si è consolidato il concetto che la soluzione per un problema di sovrappeso o obesità debba essere la perdita di peso tramite la prescrizione di una dieta e non una modificazione progressiva e permanente del

peso, passando attraverso altrettanto permanenti modificazioni dello stile di vita. La necessità di trattare queste condizioni inguaribili, con un decorso prevalentemente silente, ma con gravi conseguenze sulla qualità e sull’aspettativa di vita ha comportato una rivoluzione nelle strategie terapeutiche e nelle finalità stesse della medicina in generale. Fin dai tempi antichi, il personale sanitario si è prevalentemente occupato della gestione di quadri acuti o di urgenza: gli operatori sanitari, facendosi carico della responsabilità gravosa di una diagnosi e di un trattamento tempestivo, cercavano di garantire la sopravvivenza del malato affidatosi passivamente alle loro cure per un periodo di tempo limitato (ore, giorni, settimane). I successivi progressi della medicina, grazie ad esempio alla scoperta dell’insulina nel 1921 o all’avvento degli antibiotici a partire dal 1945, hanno portato il personale sanitario a riconoscere la necessità di un’assistenza sanitaria a lungo termine per pazienti affetti da malattie croniche come il diabete. Lo scopo della medicina diviene quindi quello di prolungare la durata della vita, da un lato, e di migliorare la qualità di vita del paziente dall’altro. La prevenzione ed il trattamento precoce delle complicanze croniche (attraverso il controllo di fattori di rischio) sono una parte importante nella cura dei malati cronici, capace di incidere sulla prognosi quoad vitam e quoad valetudinem. Nella Tabella 1 sono riportati in estrema sintesi i tre diversi setting di terapia. Impostare un setting terapeutico quando ci si trova di fronte ad una patologia cronica è per definizione complicato in quanto viene a mancare un elemento motivazionale fondamentale: la prospettiva della guarigione. Il pensiero di non potersi liberare dalla fonte della propria sofferenza è di per sé un elemento foriero di angoscia e frustrazione per chi esperisce questa condizione. Il ruolo del “curante” in questo tipo di setting tera-

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 53


Livello di criticità clinica

Modello ideativo

Rapporto medico-paziente

Urgenza-emergenza

Neonato allattato al seno

Il medico si fa carico di tutti i processi diagnostico-terapeutici per salvare la vita al paziente senza alcun coinvolgimento dell’oggetto delle cure (che spesso è in stato di incoscienza).

Malattia acuta

Fascia dell’età evolutiva

Il medico sfrutta il Locus of Control Esterno del paziente ed usa metodi prescrittivi, generalmente di breve durata, da pochi giorni a poche settimane.

Malattia cronica

Età adulta

Il medico potenzia il Locus of Control Interno del paziente ed usa metodi non prescrittivi cercando di instaurare una Allenza Terapeutica.

Tabella 1 - Setting terapeutici peutico deve necessariamente passare attraverso un processo di condivisione di tali emozioni per trovare insieme al paziente nuovi obiettivi che portino al recupero di quel senso di autoefficacia, fondamentale (tanto per paziente quanto per il curante) per il processo di cura. Un altro aspetto cruciale, quasi regolarmente presente in questo tipo di setting terapeutico, è legato alla tendenza del paziente a viversi come “malato” e all’estrema facilità con cui tende a riferire qualsiasi aspetto negativo della propria vita alla malattia. Tale convinzione risulta spesso la più difficile da sradicare, non solo per ragioni intrapersonali, ma anche per condizioni che sono profondamente inserite nel contesto familiare e sociale del soggetto. Non sarà ad esempio soltanto una convinzione del paziente diabetico che qualsiasi malessere o disagio sia dovuto al suo stato di “malattia inguaribile”; ma saranno i parenti o gli amici stessi a perpetuare questo meccanismo, consolidando sempre più questa convinzione. A volte il curante può percepire tutto questo come qualcosa di immodificabi-

le. D’altronde è già complicato prendersi cura di un soggetto con una malattia cronica… figuriamoci se ci si deve occupare anche della famiglia e degli amici! Questo stato d’animo, seppur assolutamente naturale e comprensibile, deve essere rilevato e contrastato. Spesso può essere utile confrontarsi con il paziente stesso, alleandosi con lui, per cercare delle interpretazioni alternative, criticando così le interpretazioni più “facili”, più “ovvie”, ma anche del tutto non funzionali alla cura. Un approccio terapeutico che includa interventi relativi alla sfera psicologica del paziente può essere ulteriormente incisivo ai fini del miglioramento della qualità di vita. La malattia cronica assai più della malattia acuta, costringe il personale sanitario a prendersi cura non soltanto del corpo, ma anche della persona nel suo insieme. La cura dei pazienti affetti da malattie croniche appartiene infatti, tanto al personale sanitario quanto al paziente stesso. Mentre nel modello acuto è il medico ad assicurare interamente il trattamento, nel modello cronico il medico riuscirà ad accompagnare

54 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


ed assistere efficacemente il paziente soltanto se parteciperà affettivamente alla relazione terapeutica incoraggiando, guidando ed ascoltando. La gestione delle malattie croniche comporta delle evidenti difficoltà per il personale sanitario: mentre nelle situazioni di emergenza ed urgenza l’attenzione professionale viene costantemente attratta da uno stimolo esterno, una crisi o un trauma, un pericolo di vita per l’individuo, nel modello cronico l’accompagnamento del personale sanitario richiede una costante motivazione interna. In particolare è profondamente diversa la gestione del tempo necessario a raggiungere determinati obiettivi terapeutici: nella patologia acuta sono generalmente brevi, basati su algoritmi (certi farmaci per certe malattie), mentre nel cronico si tratta di gestire la malattia per un lungo periodo. Possiamo prevedere con una certa precisione il tempo di guarigione da una broncopolmonite, ma non possiamo stabilire quello necessario ad un paziente per accettare la propria malattia. Lo stesso si può dire per la difficoltà nel predire il tempo pedagogico, necessario al paziente per imparare a curarsi. In tale condizione gli operatori sanitari, abituati alla efficienza del modello acuto, si trovano a mal sopportare questi momenti di attesa, vissuti come tempi morti e non come periodi di maturazione necessari. Senza un’adeguata preparazione ed esperienza, questi aspetti verranno ignorati e la visita ambulatoriale si trasformerà in una ripetizione di momenti biomedici (misurare peso e pressione, valutare gli esami ematici, ecc) senza l’integrazione di quei fattori necessari a renderla veramente efficace nel lungo termine. Anche il rapporto con la famiglia cambia profondamente in seguito alla diagnosi di una malattia cronica: mentre nella malattia acuta il paziente si lascia curare dai familiari con accettazione anche se talvolta con una certa sofferenza, in quella cronica è il paziente stesso a diventare

gestore della propria terapia. In una malattia acuta è necessario informare i familiari sullo stato del paziente; al contrario, in una malattia cronica, è necessario educare la famiglia affinché vi sia collaborazione nella gestione della cura. Del resto, tutti i pazienti consciamente o inconsciamente, pensano alla malattia in termini di guarigione e, tutte le volte in cui questo non è possibile, è naturale che si assista ad una serie di reazioni legate alla perdita di ciò che era consueto, familiare. L’esperienza della perdita viene vissuta da ogni individuo fin dalla più giovane età, a cominciare dal cambiamento iniziale, quello della nascita, con la separazione dal corpo della madre, per ripetersi nel corso dell’esistenza ogni qual volta ci si confronta con una mancanza. L’avvento di una malattia è un evento imprevedibile, che annuncia la possibilità di sofferenze e talvolta un vero e proprio pericolo di vita. Nel caso di una malattia cronica come il diabete mellito tipo 2, ad esempio, disponiamo di ottimi trattamenti farmacologici, ma il miglioramento del quadro clinico dipende significativamente dalle modificazioni dello stile di vita che il nostro paziente deciderà di adottare, in particolare dagli interventi sulle abitudini alimentari scorrette e sulla sedentarietà. Di fronte ad una tale prospettiva di cambiamento si possono generare non solo delle reticenze, ma delle vere e proprie resistenze agli interventi terapeutici necessari. Questo perché il cambiamento rappresenta un disequilibrio esistenziale, una rottura che determina incertezza. Da questa prima reazione di stupore il paziente potrà passare mediante un processo di integrazione ad uno stato di tristezza, nostalgia per ciò che si è perduto fino ad arrivare ad una nuova visione dell’esistenza con integrazione nella nuova condizione (Figura 1). Questo percorso porta il paziente ad “acconsentire” al nuovo stato,

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 55


Diagnosi

Shock

Incredulità

Angoscia

Rivolta

Negazione/Rifiuto

Tristezza

ACCETTAZIONE

RASSEGNAZIONE

PROCESSO DI INTEGRAZIONE

PROCESSO DI ALLONTANAMENTO

FIGURA 1 Accettazione o rassegnazione

ritrovando un equilibrio emozionale grazie al quale potrà sostenere più serenamente il trattamento nella vita quotidiana e le sue implicazioni personali, familiari, professionali e sociali. L’altro percorso possibile, quello dell’allontanamento, viene intrapreso quando la diagnosi di una malattia inguaribile, anche se curabile, genera nel paziente una sensazione di angoscia. Questo malessere scatena un meccanismo di difesa finalizzato a proteggere: il diniego della malattia o il rifiuto delle emozioni che questa suscita. Senza un aiuto esterno le strategie di allontanamento tendono a perdurare nel tempo fino al giorno in cui il meccanismo di protezione lascerà il posto alla rassegnazione. Mentre il percorso dell’integrazione prevede le normali tappe dell’ela-

borazione della perdita, il processo di allontanamento rappresenta un rischio di fallimento. Il personale sanitario ha in questo momento iniziale del rapporto con il paziente un ruolo fondamentale: accompagnare e guidare il soggetto nelle varie fasi attraverso cui la motivazione al cambiamento passa, quando si decide di affrontare la soluzione ad un problema comportamentale. Questo modello del cambiamento, descritto da Prochaska e Di Clemente (Figura 2), è caratterizzato da 5 fasi, precedute da un periodo di premeditazione in cui non è presente alcuna intenzione di cambiare (negazione del problema o non volontà al cambiamento). Tale modello è applicabile non soltanto all’obesità, ma anche ad altri disturbi del comportamento alimen-

56 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


Uscita permanente ?

Ri ca du ta

to en im ten an M

Contemplazione

Azione

Precontemplazione

Determinazione

FIGURA 2 Modello di Prochaska e Di Clemente

tare (Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa). La motivazione può passare attraverso le diverse fasi dello schema anche per più volte, per raggiungere infine un cambiamento stabile. Le fasi del cambiamento sono rappresentate dalla meditazione (il soggetto è consapevole del problema, a volte accetta il cambiamento, talora lo rifiuta), dalla determinazione (fase limitata nel tempo in cui può comparire la decisione di cambiare), dall’azione (inizia il cambiamento, ma il cammino è costellato da passi indietro), dal mantenimento (con un lavoro attivo di consolidamento e prevenzione delle ricadute) ed infine dalla ricaduta (se non si ha l’uscita permanente dal problema, può comparire una ricaduta che da avvio ad un nuovo processo) (2). Da questo schema appare evidente che nella gestione di malattie come diabete ed obesità sia inevitabile andare incontro a ricadute: è tuttavia importante continuare a muoversi nella ruota del cambiamento.

Per instaurare un approccio terapeutico di una condizione morbosa cronica, occorre in primo luogo che il paziente sia motivato a compiere il percorso. La motivazione al cambiamento può essere, da un punto di vista teorico, scomposta in due componenti: quanto la condizione presente del paziente è lontana da quella desiderata e quanto il soggetto si sente in grado di mettere in atto tutti i cambiamenti necessari per colmare questa distanza. Il concetto di motivazione si collega inevitabilmente a quello di “moto a luogo”; quindi sottende necessariamente il vero e profondo desiderio di raggiungere una meta intesa sia in senso fisico che concettuale. Una persona può infatti credere di essere motivata, senza esserlo. In questo caso ci troviamo di fronte ad un “moto da luogo”, cioè le tematiche e le conflittualità che sono presenti nel luogo dove ci troviamo (ad esempio lo stato di obesità), ci impediscono di allontanarsi agevolmente da tale condizione. Un soggetto

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 57


potrebbe anche essere motivato, ma non essere pronto, perché sussistono degli ostacoli seri che gli impediscono di affrontare il problema. Le fasi di questo sistema operativo definite nel modello di Prochaska e Di Clemente descritto precedentemente, non devono essere mantenute come esercizio meramente teorico, ma devono essere applicate nella pratica clinica quotidiana. Sta di fatto che il più importante predittore di perdita di peso consiste nella capacità di auto-motivarsi (3). Per una trattazione sistematica dello stato dell’arte del ruolo della motivazione e della prontezza al trattamento, si rimanda alla recente review sull’argomento di Cresci e Rotella (4). La motivazione nasce dalle percezioni e dalle aspettative di un individuo circa gli avvenimenti che gli capitano. I modi di procedere degli operatori sanitari che incoraggiano o persuadono i pazienti circa ciò che possono o debbono fare, rimangono spesso estranei alla problematica generalmente più complessa dei pazienti. La logica degli operatori sanitari tende ad adattare il paziente alla malattia quando, in realtà, egli aspira piuttosto ad adattare la malattia e la relativa terapia al proprio stile di vita. Dalle interazioni medico-paziente deve quindi emergere un progetto futuro. La motivazione a curarsi deve essere legata ad un progetto, alla speranza ed al desiderio di mantenere/recuperare il proprio stato di salute ed il proprio ruolo familiare. Un’attività che motiva deve lanciare una sfida, deve permettere di operare delle scelte, favorendo la collaborazione. Il fine è quello di favorire ed arricchire la conoscenza del sé, così come di chiarire gli interessi ed i valori di fronte al mondo professionale. L’essenza della motivazione sta in questo doppio movimento, verso sé e verso l’avvenire. Questa assistenza continuativa, con i suoi imprevisti, è da considerarsi in una prospettiva temporale, dovendo essere l’oggetto di un contratto terapeutico. Un contratto nel quale entrambe le parti si impe-

gnano, di comune accordo a rispettare diversi elementi. Trattandosi della terapia, ciò implica una attenta gestione degli obiettivi da negoziare con il paziente. Questa sorta di patto o alleanza terapeutica ha ampiamente mostrato la propria efficacia nel campo della gestione delle malattie croniche. In un’alleanza terapeutica basata sulla fiducia e sul sostegno dei curanti, il paziente potrà ritrovare la motivazione ad accettare il cambiamento dello stile di vita e le esigenze del trattamento. L’assistenza continua del malato cronico, non può sottostare alla prescrizione di regole precostituite fornite dal personale sanitario a tutti i pazienti: il paziente affetto da malattia cronica non è un recipiente passivo della terapia, ma il vero protagonista dell’atto terapeutico. Nel caso del diabete, il buon controllo della glicemia e dei fattori di rischio associati richiede l’acquisizione di comportamenti adeguati relativi all’alimentazione, all’attività fisica e alla terapia farmacologica; il paziente può comportarsi nel modo più vantaggioso soltanto se riesce a fare proprie delle competenze gestionali complesse, che non possono essere trasmesse soltanto con l’atto della prescrizione. La medicina ha preso a prestito dalla fisica il termine di compliance. Questo termine utilizzato in fisica per definire le caratteristiche dei corpi elastici, viene impiegato in medicina per indicare l’adesione del paziente alle prescrizioni terapeutiche. La trasposizione della nozione di compliance nel campo della relazione medico-paziente può tuttavia generare problemi: il malato è paragonato ad un oggetto più o meno elastico, più o meno resistente all’azione esercitata dal personale sanitario e così la relazione medico-paziente viene a configurarsi come un rapporto di forza. La decisione del paziente non può dipendere da pressioni esterne, avvertimenti o persuasione. Per questo motivo l’educazione è un momento indispensabile nella gestione del malato cronico. Ed è nel lontano 1972 che,

58 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


per la prima volta, viene riconosciuta l’importanza della educazione terapeutica. Leona Miller introduce un programma di educazione in una popolazione di messicani residenti in aree socioculturali svantaggiate di Los Angeles, ottenendo una durata di degenza media annuale sovrapponibile a quanto riportato nella restante popolazione non diabetica ricoverata. Tale lavoro, condotto su 6000 pazienti, venne pubblicato nel New England Journal of Medicine con un evidente impatto in tutto il mondo della medicina (5). Altra tappa fondamentale nell’evoluzione delle strategie terapeutiche è rappresentata dalla pubblicazione nel 1993 dello studio americano Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) (6). Tale studio ha indiscutibilmente dimostrato che l’efficacia dell’educazione terapeutica in termini di aspettativa e qualità di vita può essere ulteriormente amplificata da un approccio multidisciplinare alla malattia da parte di una équipe formata da medici, infermieri, dietisti, personal trainer e psicologi, nonchè dalla valutazione regolare delle conoscenze/ competenze del malato. Nello studio DCCT ogni quindici giorni i pazienti diabetici dovevano presentare al medico o all’infermiere i valori delle glicemie capillari domiciliari discutendo con loro eventuali modifiche della dieta e/o della terapia. Telefono e fax venivano usati sistematicamente e furono montate antenne telefoniche in modo che tutti i pazienti potessero avere un accesso costante a informazioni e consigli in merito alla gestione della terapia. L’aiuto di psicologi faceva parte dei servizi offerti ai malati per rinforzare la motivazione a curarsi. La gestione dei pazienti affetti da diabete, a partire dal 1993, non è più basata esclusivamente su nozioni o tecniche biomediche, ma richiede un personale medico adeguatamente preparato alla cura del paziente affetto da malattie croniche. Il suo scopo è quello di

implementare le conoscenze sulla malattia e sulla sua gestione, modificando comportamenti ad essa correlati per ottenere una migliore gestione della stessa. L’educazione consente di cogliere e gestire gli aspetti psicologici correlati con la malattia, diventando secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) del 1998, lo strumento capace di far acquisire e mantenere al paziente quelle capacità necessarie ad ottenere una gestione ottimale della propria vita con la malattia. Pertanto essa diventa un processo continuo integrato nell’assistenza sanitaria. Non è ovviamente pensabile ottenere dei risultati, di fronte ad una situazione così complessa e richiedente un così massiccio “impiego di forze”, senza utilizzare dei validi strumenti di lavoro. Nella gestione terapeutica con un malato cronico devono essere instaurati due tipi fondamentali di interventi: gli interventi specifici per la patologia in oggetto (modifica dello stile di vita, eventuali trattamenti farmacologici mirati, utilizzo di strumenti specifici come Pedometro, Bioimpedenziometria corporea e Armband) e interventi basati su strumenti per così dire “psicologici”. Indipendentemente dalla malattia cronica diagnosticata (diabete, sindrome metabolica, obesità) si impone, in primo luogo, la necessità di un trattamento cronico basato essenzialmente su modifiche permanenti dello stile di vita (dieta e attività fisica). Come precedentemente ricordato, questo intervento è efficace non solo nel garantire risultati nel lungo termine in termini di calo ponderale, ma anche nel ridurre l’incidenza di comorbilità e complicanze con una significativa riduzione della necessità di ricorrere a terapie farmacologiche (farmaci antipertensivi, ipolipemizzanti, antidiabetici, ecc). Gli interventi sullo stile di vita sono il trattamento di prima linea anche davanti ad un paziente con neodiagnosi di diabete anche

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 59


se, le recenti evidenze scientifiche in materia, sottolineano la necessità di abbinare un trattamento farmacologico precoce (in prima istanza con metformina), in grado di aumentare la sensibilità tissutale all’insulina e di ridurre nel lungo termine la mortalità per patologie cardiovascolari, ed al tempo stesso tempestivamente aggressivo (con associazione di più farmaci antidiabetici orali fino al loro utilizzo associato ad insulina) qualora, nonostante le strategie attuate, non si raggiungano gli obiettivi terapeutici. Con il termine “dieta” si può intendere sia uno stile di vita che un regime alimentare. Il primo è un modo di vivere, risentendo del nostro bagaglio culturale, delle proprie tradizioni, delle abitudini e può essere modificato nel corso della vita, mentre l’altro è un modo di alimentarsi scelto dalla persona o imposto da altri, e che viene effettuato per un periodo di tempo limitato. I gusti alimentari rappresentano un effetto del contesto socioculturale di appartenenza, per cui gusto e disgusto non dipendono dalla natura, ma sono spesso determinati dalla cultura e quindi dalle abitudini. Come ha sostenuto Fishler “La variabilità delle scelte alimentari umane procede forse in gran parte dalla variabilità dei sistemi culturali: se non mangiamo tutto quello che è biologicamente commestibile, è perché non tutto ciò che si può biologicamente mangiare è culturalmente commestibile.” Sempre secondo Fishler, “ogni cultura possiede una cucina specifica che implica delle classificazioni, delle tassonomie particolari e un complesso di regole fondato non solo sulla preparazione e sulla combinazione degli alimenti, ma anche sulla loro raccolta e sul loro consumo. Possiede anche dei significati, che sono strettamente dipendenti dal modo in cui le regole culinarie vengono applicate: come gli errori di grammatica possono danneggiare o annullare il significato di una frase, gli errori di «grammatica culinaria»

possono determinare degli effetti negativi sulla salute di chi mangia (7). La maggior parte degli studi scientifici effettuati nell’ambito dell’alimentazione e della nutrizione, hanno cercato di individuare un regime alimentare in grado di ottimizzare lo stato nutrizionale dell’uomo per un’aspettativa di vita maggiore, assieme ad una migliore qualità della vita. Secondo il rapporto del 2002 dell’OMS, esistono alcuni fattori di rischio in grado di influenzare concretamente e in modo negativo la durata della vita di un uomo. Alcuni di questi fattori di rischio derivano da comportamenti del soggetto (vedi l’abitudine tabagica), altri (come ipertensione e ipercolesterolemia, ad esempio) possono avere una componente genetica. Da queste considerazioni si può dedurre che ha un corretto stile di vita chi: • non fuma • non beve abitualmente alcolici • non fa uso di droghe e/o di sostanze stupefacenti • non è in sovrappeso • non fa una vita sedentaria • segue un’alimentazione varia ed equilibrata Non vi è dubbio, allora, che non è solamente una particolare dieta che riduce i fattori di rischio nel lungo termine, quanto appunto uno stile di vita, un comportamento adeguato alla condizione del soggetto. Allo stato attuale è scientificamente provato, anche in studi clinici a lungo termine, il ruolo fondamentale della Dieta Mediterranea sulla durata e sulla qualità della vita, nonostante la variabilità della abitudini alimentari dei vari paesi. Lo stile alimentare mediterraneo infatti, non è un “atto” dietetico, ma un insieme di fattori o di circostanze che in un certo senso vincolano la popolazione ad avere un particolare tipo di alimentazione per tutta la vita: fra questi, prime fra tutte sono la tradizione agricola del paese, il clima e l’economia (8).

60 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


Il concetto di dieta Mediterranea risale agli anni ’60, quando Ancel Keys, della School of Public Health presso l’Università del Minnesota, analizzò per primo il ruolo dell’alimentazione nella prevenzione delle patologie cardiovascolari. Già nel 1952, Ancel Keys aveva intuito la relazione esistente tra la dieta ed i valori di colesterolo nel sangue. Analizzando gli abitanti di due quartieri di Madrid agli inizi degli anni ’50 si rese conto che mentre gli abitanti del quartiere a basso tenore economico, non bevevano quasi mai latte, non consumavano quasi mai né carne o burro e avevano bassi valori di colesterolo con una incidenza molto bassa di cardiopatie coronariche; gli abitanti dell’altro quartiere, invece, con una dieta più ricca di grassi saturi, avevano valori di colesterolo molto più elevati, e tra essi, i casi di infarto del miocardio erano molto più frequenti (9). Successivamente Ancel Keys coniò il termine di dieta mediterranea dimostrando, in un importante studio prospettico, che le popolazioni che si affacciavano sul bacino del Mediterraneo presentavano una ridotta incidenza di malattie cardiovascolari e tumorali in confronto con le altre popolazioni studiate (10). La ricerca effettuata su più di 12.000 individui in Finlandia, Grecia, Italia, Giappone, Olanda, Stati Uniti e Jugoslavia evidenziava importanti correlazioni tra la quantità di grassi saturi e colesterolo dell’alimentazione, i livelli di colesterolo nel sangue e la percentuale di morte per malattie cardiovascolari. Di queste sette nazioni, gli Stati Uniti e la Finlandia avevano il più alto consumo di prodotti animali, la più alta assunzione di grassi saturi, i più alti valori di colesterolo e la più alta percentuale di morte per malattie cardiovascolari. Al contrario, i paesi del Mediterraneo e il Giappone presentavano una incidenza minore di tali eventi. Il Giappone con la sua alimentazione particolarmente ricca in pesce, risultava il secondo paese

con il più basso indice di mortalità per malattie cardiovascolari. Per gli abitanti di Creta, risultò, inoltre, che nonostante più del 40% delle calorie alimentari totali provenissero dal consumo di grassi, essi mostravano un basso indice di colesterolo e malattie associate, con una percentuale di decessi dovuti a malattie cardiovascolari 57 volte inferiore a quanto osservato in Finlandia. La maggior parte dell’assunzione di grasso proveniva da olio d’oliva e per il resto, il consumo maggiore era per cereali, ortaggi e, in generale pesce azzurro, con un basso consumo di carne e derivati. Dagli anni ’70 in poi, i dati raccolti sulle popolazioni di tutto il mondo hanno confermato che le popolazioni che si affacciano sul Mediterraneo hanno una maggior aspettativa di vita e che questo dato correla con il tipo di alimentazione caratteristica proprio di quella area. Nel corso degli anni, sono state elaborate numerose raccomandazioni nutrizionali caratterizzate da una presentazione grafica della distribuzione dei cibi sotto forma di “piramidi alimentari”. Per una trattazione più dettagliata dell’argomento si rimanda al libro “La dieta mediterranea” di Lippi e Rotella (7). L’aforisma tedesco “Der Mensch ist, was er isst” (l’uomo è ciò che mangia) sottolinea l’importanza del cibo nella costruzione dell’identità individuale e collettiva e non certo solo a causa del legame intimo con il sacro e la religione. Questo problema ha portato a cercare di identificare degli strumenti più idonei alle singole popolazioni. Anche il nostro gruppo ha realizzato uno schema di Piramide della Dieta Mediterranea Toscana (7) che più si avvicina alle tradizioni alimentari della popolazione Italiana (Figura 3). Se fino ad allora, l’epidemiologia nutrizionale ha contato principalmente sugli studi circa il rapporto fra parametri biochimici di rischio di malattia ed un singolo o pochi nutrienti, oggi si è passati allo studio del

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 61


LA PIRAMIDE TOSCANA DELLA DIETA MENSILE / OCCASIONALE Dolci, carni rosse, formaggi stagionati, salumi

SETTIMANALE

Olio di oliva, latte e yogurt, pane, pasta, riso, polenta, cereali integrali, frutta, verdura

Sale da cucina: <6 g/die Acqua: 1,5-2 l/die Vino: 1-2 bicchieri/die

Formaggi freschi, uova, carni bianche, pollame, pesce, patate, legumi

GIORNALIERA

Attività fisica per sviluppare la massa muscolare, da fare almeno 4 volte la settimana Andare in bicicletta/cyclette almeno 50 minuti ad una velocità di 20 km/h (20 pedalate/minuto), camminare di passo svelto almeno 60 minuti (senza superare una frequenza cardiaca di 120 battiti/minuto) Attività fisica giornaliera, da fare il più a lungo possibile Camminare con il cane, fare la strada più lunga, fare le scale ed evitare l’ascensore, andare a piedi al lavoro e a fare la spesa o altri servizi (ufficio, banca, ecc.), fare giardinaggio e piccoli lavori domestici, parcheggiare più lontano, camminare più a lungo durante la giornata

FIGURA 3 Piramide della dieta mediterranea Toscana

profilo dietetico, cioè della condotta alimentare, ovvero allo studio dell’aderenza alla dieta mediterranea in relazione alle malattie cardiovascolari (e neoplastiche), in termini di incidenza, di progressione della malattia e di mortalità. Recentemente Sofi e collaboratori (11), hanno effettuato per la prima volta una metaanalisi prendendo in considerazione oltre 60 studi prospettici che hanno valutato l’aderenza alla dieta Mediterranea attraverso un punteggio numerico e lo stato di salute. I risultati di questo studio dimostrano che l’adeguamento della propria alimentazione ad una dieta Mediterranea comporta una riduzione della mortalità totale (–9%), della mortalità cardiovascolare (–9%), dell’incidenza e mortalità per cancro (–6%), dell’inciden-

za del Morbo di Parkinson (–13%) e della incidenza della malattia di Alzheimer (–13%). Vista l’elevata incidenza di queste malattie, così come il sovrappeso, l’obesità, il diabete tipo 2, derivati principalmente dal fatto che i consumi alimentari si stanno allontanando da tale modello, vi è da parte dei principali enti scientifici una forte promozione verso questo modello alimentare. La raccomandazione di utilizzare una distribuzione calorica in macronutrienti di circa il 55% di carboidrati, 15% di proteine e 30% di grassi, caratteristica dello stile alimentare mediterraneo, è ampiamente riconosciuta e basata su approfondite ricerche scientifiche effettuate per più di 30 anni (12-16). Bisogna altresì ricordare che una semplice modificazione qualitativa della alimentazione non è un

62 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


intervento sufficiente ad ottenere la perdita del peso, è infatti indispensabile mettere in atto uno squilibrio nel bilancio energetico di circa 250-300 Kcal al giorno e questo deve essere effettuato in parte aumentando il dispendio energetico, attraverso l’incremento dell’attività fisica ed in parte riducendo l’introito calorico tramite la restrizione alimentare. Per quanto riguarda le diete ipocaloriche designate per la perdita di peso, Stunkard nel 1959 affermava: “Tra tutti gli obesi, la maggior parte non inizierà neppure un trattamento; tra quelli che ne incominceranno uno, la maggior parte non lo porterà a termine; tra quelli che lo termineranno, la maggior parte non perderà peso; tra quelli che ne perderanno, la maggior parte lo recupererà rapidamente”. Questo può essere dovuto al fatto che molti tipi di diete, non sono sostenibili a lungo termine, per cui cadono gli eventuali effetti benefici nel tempo. La dieta mediterranea al contrario, è molto più vicina ad uno stile di vita, più facilmente seguibile nel lungo termine. Nel verificare periodicamente l’efficacia di questi interventi sullo stile di vita, la bilancia rappresenta uno strumento piuttosto grossolano, non fornendo informazioni circa la composizione corporea. Più opportuna è l’esecuzione della bioimpedenziometria corporea. Tale esame relativamente non costoso, semplice da eseguire, non dannoso e non doloroso per il paziente, si avvale di 4 elettrodi (posizionati due a livello della mano e due a livello del piede) che consentono di misurare la resistenza incontrata da una corrente elettrica di bassa intensità nell’attraversare il corpo (Figura 4). Tale resistenza espressa da due valori (resistenza e reattanza) tramite elaborazione mediante software specifici permette di eseguire una stima attendibile della composizione corporea ed in particolare della percentuale di massa grassa e massa muscolare. Tale strumento, oltre che

monitorare, verificare e valutare gli effetti delle modifiche dello stile di vita, consente anche di far “vedere” al paziente quanto la sola restrizione dietetica si associ alla perdita di massa muscolare, comportando effetti negativi sullo stato di salute con una elevata percentuale di recupero ponderale nel lungo termine. L’associazione di un regolare programma di esercizio fisico consente invece di mantenere/implementare tale percentuale di massa magra creando i presupposti per un progressivo e costante percorso di calo ponderale. Altri strumenti tecnicamente validi nella monitorizzazione e quantificazione del livello di attività fisica giornaliera sono rappresentati dal pedometro o contapassi (Figura 5) e più recentemente dall’Armband. Questo dispositivo indossabile da applicare sul braccio è in grado di registrare il dispendio energetico nelle 24 ore (a riposo e durante esercizio fisico) mediante la misura delle variazioni delle temperatura cutanea, del calore dissipato, del movimento e della impedenza cutanea (Figura 6). Bioimpedenziometria e Armband consentono al personale sanitario di personalizzare le indicazioni circa l’attività fisica ai fini del calo ponderale e permettono al paziente di verificare gli effetti delle modifiche attuate sullo stile di vita.

FIGURA 4 Bioimpedenziometro

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 63


Per quanto riguarda gli strumenti “psicologici” oltre alla motivazione di cui è stato già parlato, il cognitivo-comportamentismo, da molti anni ormai utilizza strumenti come il problem solving o il diario alimentare (17). Questi strumenti, sui quali non ci dilungheremo, in quanto per lo più ben conosciuti, mirano a stimolare la metacognizione (capacità di rappresentare la mente propria, la mente altrui e di avere una padronanza emotiva) e ricercare la modificazione pratica di alcuni comportamenti disfunzionali del paziente (18). È evidente che questi strumenti, da soli, non riescono di per sé a motivare il paziente, come ben descritto nel capitolo di Ravaldi e Ricca contenuto nel libro precedentemente citato (17). Negli ultimi anni hanno preso campo altri strumenti come l’empowerment e la medicina narrativa. La definizione letterale di empowerment sarebbe “responsabilizzazione” o “autorizzazione”. Questo concetto tuttavia, essendo stato applicato a numerosi campi al di là di quello psicologico, ha spesso risentito troppo della presenza della parola “power” (potere) inclusa al suo interno e quindi spesso il concetto di empowerment viene assimilato ad un processo che porta alla percezione di “sentire di avere potere” o “sentire di essere in

grado di fare”. Giuseppe Burgio, insegnante, formatore e ricercatore presso l’Istituto di Formazione politica «Pedro Arrupe» di Palermo, ha recentemente dato una definizione più esaustiva del concetto di empowerment affermando che: “Empowerment indica l’insieme di conoscenze, abilità relazionali e competenze che permettono a un singolo o a un gruppo di porsi obiettivi e di elaborare strategie per conseguirli utilizzando le risorse esistenti. Indica sia un concetto sia un processo che permette di raggiungere gli obiettivi, e si basa su due elementi principali: la sensazione di poter compiere azioni efficaci per il raggiungimento di un obiettivo, e il controllo, la capacità di percepire l’influenza delle proprie azioni sugli eventi”. Da questa definizione si può comprendere come un elemento fondamentale di questo strumento sia la ricerca di un senso di fiducia e di auto-efficacia. Solo così infatti un individuo sarà spinto a “fare” e ad “imparare dal fare”. Senza empowerment quindi non ci può essere sperimentazione, elemento fondamentale per un qualsiasi cambiamento. Da un punto di vista psicologico quindi il curante dovrebbe accompagnare il paziente verso il sentirsi efficace, consapevole di poter incidere sugli eventi della propria vita, avere

FIGURA 5 Pedometro

FIGURA 6 Armband

64 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


una buona autostima e ad interpretare gli insuccessi come dei momenti di apprendimento; sempre ricordandosi che questo percorso non può essere imposto, ma è un auto-processo, un’arte inappresa. Passando ad un livello più pratico, nella cura di un paziente cronico, secondo questo modello, il ruolo del curante non dovrebbe essere “prescrittivo”. Dare “ordini”, in quest’ottica, non serve, ma deve essere ricercata una partecipazione e un coinvolgimento personale del paziente. Il curante dovrebbe comportarsi come un buon leader: condividere le decisioni, stimolare l’autonomia e il senso di responsabilità, individuare i bisogni e favorire la crescita personale. Risulta evidente, soprattutto a chi si confronta quotidianamente con questo tipo di situazioni, che riuscire in questo tipo di approccio appare utopistico. Dal concetto di empowerment, tuttavia, possiamo a nostro avviso acquisire delle preziose indicazioni. La prima è espressa proprio nella traduzione “letterale”: responsabilizzazione. Come abbiamo già detto definendo il setting terapeutico nel caso di una patologia cronica, appare necessario ridefinire gli obiettivi, responsabilizzando il paziente, rendendolo partecipe e consapevole in tale processo di scelta. Il concetto di empowerment inoltre, perché sia efficace, deve in qualche modo trascendere l’individuo (seconda parte curante) e raggiungere la comunità, passando attraverso tutte le figure che non sono necessariamente le varie prime parti curanti, vale a dire l’obesiologo, lo psichiatra/psicologo, il dietista, il personal trainer, l’infermiere, ma anche le terze parti curanti, cioè i componenti del nucleo familiare. Lo strumento della narrativa invece fonda le sue basi sulla considerazione che, tramite l’autobiografia, un soggetto con una malattia cronica possa trovare nuove energie, ma soprattutto nuove strategie, per affrontare la propria vita. L’obiettivo è quindi quello di far

redigere al paziente una biografia della propria malattia per stimolarlo ad occuparsi di se stesso e della propria patologia. La teoria alla base è che una maggiore consapevolezza della propria storia modifica il modo in cui il paziente vede e interpreta il proprio presente e il proprio futuro, dando nuovi stimoli e nuove chiavi interpretative. Sotto certi aspetti anche questo approccio stimola l’auto-cura e responsabilizza il paziente, proprio come l’empowerment, cercando di amplificare e potenziare le risorse comunque già presenti all’inizio del processo di cura. Quanto espresso fino ad ora, dovrebbe aver fatto comprendere quanto sia necessaria una vera e propria rete di figure terapeutiche, tutte interconnesse fra loro, per affrontare una patologia cronica. Volendo scendere maggiormente nel dettaglio, le prime parti curanti sono rappresentate non solamente dai medici specialisti, ma anche da tutti gli operatori sanitari di sostegno sopra citati. L’obiettivo di questa molteplicità di figure passa attraverso la necessità di competenze diverse per affrontare un problema che abbraccia molte aree, ma non solo. Il creare diversi setting terapeutici permette al paziente di identificare con maggiore chiarezza i vari ambiti problematici e di imparare ad affrontarli separatamente con il necessario impegno e motivazione. Un aspetto importante che occorre sottolineare consiste nel fatto che non sempre si agisce in ambienti terapeutici in cui siano presenti tutti gli operatori sanitari precedentemente citati. Molto spesso il singolo medico si ritrova a dover affrontare e cercare di risolvere i problemi dei pazienti cronici. In questa evenienza sarà il singolo operatore sanitario che dovrà integrare dentro di sé tutte le competenze necessarie a risolvere il problema. Come risulta evidente dalle più moderne tecniche psicologiche però, la rete terapeutica non si deve esaurire a queste figure o competenze. Il coinvolgimento del paziente in primo luogo, e

ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 65


della famiglia in seconda battuta, risulta essere imprescindibile nel percorso di cura. Una modificazione sostanziale e duratura dello stile di vita passa attraverso le scelta consapevole del paziente, ma tale scelta deve assolutamente essere inserita all’interno di un ambiente ricettivo. Coinvolgere i familiari, gli amici, o comunque gli affetti del soggetto, appare oggi come un presupposto fondamentale per mettere in atto quei cambiamenti che il paziente decide di porsi come obiettivo durante il confronto con le prime figure curanti. Solo quando il paziente percepisce che il progetto di cura diviene condiviso all’interno della propria vita quotidiana e quando gli strumenti di modificazione del comportamento sono mossi più dal piacere che dal dovere, le difficoltà da superare per ottenere un cambiamento appaiono raggiungibili, senza eccessive difficoltà, senza “sacrificio”. Bibliografia 1. National Cholesterol Education Program-NCEP-III Report. JAMA 2001; 16: 285 (5). 2. Prochaska J, Di Clemente C. Towards a comprehensive model of change. Miller W, Heather N Editors. Treating addictive behaviours: process of change. New York 1986; Plenum press: 3-27. 3. Teixeira PJ, Palmeira AL, Branco TL, Martins SS, Minderico CS, Barata JT, Silva AM, Sardinha LB. Who will lose weight? A reexamination of predictors of weight loss in women. Int J Behav Nutr Phys Act 2004 Aug 2; 1(1): 12. 4. Cresci B, Rotella CM. Motivational readiness to change in lifestyle modification programs. In press. 5. Miller LV, Goldstein J. More efficient care of diabetic patients in a county-hospital setting. N Engl J Med 1972 Jun 29; 286 (26): 1388-91. 6. DCCT, Diabetes Control and Complications Trial Research Group. The effect of intensive treatment of

diabetes on the development and progression of long-term complications in insulin-dependent diabetes mellitus. New England Journal of Medicine 1993; 329; 977-986. 7. Lippi D, Rotella CM. La dieta mediterranea. Dalle piramidi egizie alle piramidi alimentari. Mattioli 1885, Fidenza, 2007. 8. Ciani S, Rotella CM. Dieta Mediterranea versus Dieta a Zona. L’Endocrinologo, In press. 9. Keys A, Taylor HL, Blackburn H, Brozek J, Anderson JT, Simonson E. Coronary heart disease among Minnesota business and professional men followed 15 years. Circulation 1963; 28: 381-95. 10. Keys A. Seven countries: a multivariate analysis of death and coronary heart disease. London: Harvard University Press, 1980. 11. Sofi F, Cesari F, Abbate R, Gensini GF, Casini A. Mediterranean diet and health status: a meta-analysis. BMJ 2008; 337: 673-675. 12. Department of Health and Human Services, 1988.The Surgeon General’s Report on Nutrition and Health). Washington, DC:Publication 8850210. 13. National Academy of Sciences, National Research Council, Food and Nutrition Board: “Diet and Health: Implications for Reducing Chronic Disease Risk” Washington, DC: National Academy Press, 1989. 14. Deckelbaum RJ, Fisher EA, Winston M, Kumanyika S, Lauer RM, Pi-Sunyer FX, St Jeor S, Schaefer EJ, Weinstein IB: Summary of a scientific conference on preventive nutrition: Pediatrics to geriatrics. Circulation 1999; 100: 450-456. 15. US Department of Agriculture. The Report of the Dietary Guidelines Advisory Committee on the Dietary Guidelines for Americans, 2000. Washington, DC: USDA, 2000. 16. Lauber RP, Sheard NF. The American Heart Association Dietary Guidelines for 2000: A summary report. Nutr Rev 2001; 59: 298-306. 17. Rotella CM. Il ruolo dell’Educazione Terapeutica nel trattamento dell’obesità e del diabete mellito. Ed. SEE Firenze, 2005. 18. Brown AL, Arnibuster BB, Baker L. The role of metacognition in reading and studying. In: Orasanu J (Ed.) Reading comprehension: From research to practice. Hillsdale, N.J., Lawrence Erlbaum, 1986: 49-75.

66 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA



68 | ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA


Note biografiche

Donatella Lippi è Professore Associato di Storia della Medicina presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia di Firenze, Visiting Professor presso l’Università Internazionale di Mosca, la Columbia University di NewYork, le Università di Colonia e di Heidelberg. È membro di numerose società scientifiche nazionali ed internazionali. La sua attività di ricerca si è indirizzata prevalentemente verso problematiche inerenti la formazione e la pedagogia medica, sia per quanto riguarda la storia della Evidence Based Medicine sia per quanto concerne la didattica della Storia della Medicina e delle Medical Humanities e l’esercizio della professione medica. Carlo Maria Rotella è Professore Ordinario di Endocrinologia presso il Dipartimento di Fisiopatologia Clinica e Responsabile dell’Agenzia di Obesiologia, presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze. Ha trascorso lunghi periodi di ricerca presso qualificati Istituti Statunitensi quali il National Institutes of Health (Bethesda, Maryland) ed il City of Hope National Medical Center (Duarte, California). È membro di numerose Società Scientifiche nazionali ed internazionali, è stato Segretario della Società Italiana di Endocrinologia, Responsabile della Commissione Didattica della Società Italiana di Diabetologia e attualmente è Past President della Società Italiana Obesità. La sua attività scientifica è rivolta prevalentemente a temi di fisiopatologia e clinica delle malattie tiroidee, del diabete mellito, dell’obesità e dei disturbi del comportamento alimentare. Ilaria Dicembrini, laureata in Medicina e Chirurgia, è specialista in Endocrinologia ed è attualmente titolare di assegno di ricerca presso la Sezione Malattie del Metabolismo e Diabetologia del Dipartimento di Fisiopatologia Clinica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze. Svolge attività clinica in collaborazione con medici psichiatri e dietisti per la cura dell’obesità, del diabete e delle patologie correlate. Si occupa di ricerca sperimentale e clinica nel campo dell’obesità e del diabete con particolare interesse ai meccanismi fisiopatologici alla base delle malattie metaboliche. È membro della Società italiana di Diabetologia (SID) e della Società italiana dell’Obesità (SIO). Francesco Rotella, laureato in Medicina e Chirurgia, è specialista in Psichiatria, ha conseguito il diploma di Master Europeo in “Affective Neurosciences” rilasciato in collaborazione dall’Università di Maastricht e l’Università di Firenze e attualmente è titolare di assegno di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze. Svolge attività clinica in collaborazione con medici endocrinologi e dietisti presso il Dipartimento di Fisiopatologia Clinica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze, per la cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare. Si occupa di ricerca sperimentale e clinica nel campo dei Disturbi del Comportamento Alimentare e dei Disturbi d’ansia. ALIMENTAZIONE E STILE DI VITA DALLA PRESCRIZIONE DELLA DIETA ALL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA

| 69


Crediti fotografici Récolte des fèves (Raccolta delle fave), in Tacuinum Sanitatis © Bibliothèque Nationale de France, Paris (Francia) Marchands chinois (Mercanti cinesi), in Livre des merveilles, [ Jean de Cori, Jean le Long (trad.), Livre de l’estat du Grant Kaan] © Bibliothèque Nationale de France, Paris (Francia) Calendario, Novembre: macellazione del maiale, in Libro di Preghiere © Koninklijke Bibliotheek, Den Haag (Paesi Bassi) Calendario, Novembre: due uomini uccidono un bue, in Libro d’ore © Koninklijke Bibliotheek, Den Haag (Paesi Bassi) Pitagora nel suo studio, in Filippo Calandri, Trattato di aritmetica © Biblioteca Riccardiana, Firenze - Su concessione del Ministero Beni e Attività Culturali Pythagore enseignant (Pitagora che insegna), in Vincentius Bellovacensis, Jean de Vignay (traduttore), Speculum historiale © Bibliothèque Nationale de France, Paris (Francia) The Chinese market (Il mercato cinese) © Rijksmuseum, Amsterdam (Olanda) Dicembre: l’abbattimento del maiale, in Bréviaire à l’usage de Paris © Bibliothèque Municipale de Châteauroux (Francia), cliché CNRS-IRHT Calendario, Dicembre: l’uccisione del bue, in Libro d’ore © Koninklijke Bibliotheek, Den Haag (Paesi Bassi) Novembre: l’abbattimento del bue, in Salterio © Royal Library, Copenhagen (Danimarca) Il bue sgozzato (particolare), Kariye-Camii (Chiesa di Chora), Istanbul © http://www.thais.it Pèlerins en Tartarie (Pellegrini in Tartaria), in Livre des merveilles, [ Jean de Mandeville, Voyages] © Bibliothèque Nationale de France, Paris (Francia) Récolte des fèves (Raccolta delle fave), in Tacuinum sanitatis © Bibliothèque Nationale de France, Paris (Francia) Faba (Raccolta delle fave), Ubuchasym de Baldach, Theatrum sanitatis © Biblioteca Casanatense, Roma - Su concessione del Ministero Beni e Attività Culturali Marchands sur le fleuve jaune (Mercanti sul fiume Giallo), in Livre des Merveilles du monde, [Marco Polo, Devisement du monde] © Bibliothèque Nationale de France, Paris (Francia) Rappresentazione del mese di novembre (Macellazione del maiale) © Fondazione Castello Mesocco, Mesocco (Svizzera) Novembre: l’allevamento del maiale, in Libro d’ore © Biblioteca Riccardiana, Firenze - Su concessione del Ministero Beni e Attività Culturali Moïse et les Hébreux sacrifiant (Mosè e gli ebrei sacrificanti), in Guiard des Moulins, Bible historiale © Bibliothèque Nationale de France, Paris (Francia) Femme cuisinant (Donna che cucina), in Recueil de peintures © Bibliothèque Nationale de France, Paris (Francia) Lavoro nei campi con una città sullo sfondo, in Sarasai Albums © Topkapi Palace Museum and Library, Istanbul (Turchia) L’Indie de ça le Gange, in P.B. van der Aa, La Galerie agréable du monde..., Leyden © Biblioteca Casanatense, Roma - Su concessione del Ministero Beni e Attività Culturali Indiana che si riposa, carica di un cesto © Tate, London 2009

Laddove non sia risultato possibile contattarli, l’Editore, depositando quest’opera, è pronto a corrispondere quanto spetta agli aventi causa, come disposto dall’articolo 105 della Legge n° 633 (22 Aprile 1941) della Repubblica Italiana.



Finito di stampare a Fidenza (PR) nel mese di maggio 2009 presso Mattioli 1885 spa


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.