La dieta mediterranea - Dalle piramidi egizie alle piramidi alimentari

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00 - copertina Piramidi def.

9-11-2007

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LA DIETA MEDITERRANEA

Esente da bolla di accompagnamento Art. 4 Comma 6 DPR627-78

Note biografiche Donatella Lippi è Professore Associato di Storia della Medicina presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia di Firenze, Visiting Professor presso l’Università Internazionale di Mosca, la Columbia University di NewYork, le Università di Colonia e di Heidelberg.

D. Lippi C.M. Rotella

Carlo Maria Rotella è Professore Ordinario di Endocrinologia presso il Dipartimento di Fisiopatologia Clinica e Responsabile della Sezione di Malattie del Metabolismo e Diabetologia della Unità Operativa di Endocrinologia, presso l’Azienda OspedalieroUniversitaria Careggi di Firenze.

DALLE PIRAMIDI EGIZIE ALLE PIRAMIDI ALIMENTARI

Copia omaggio per i Signori Medici - Vendita vietata

Il volume contiene una sezione scientifica approfondita.

LA DIETA MEDITERRANEA

Mattioli 1885

La situazione geografica, le circostanze metereologiche e le vicende politiche sono in grado di determinare le scelte alimentari individuali e collettive. Una linea ideale unisce Ippocrate (V sec. a.C.), in cui si riconosce il primo teorico di questo approccio, ad Ancel Keys - che nella metà del XX secolo nobilitò l’alimentazione tipica dell’Italia meridionale - attraverso confronti con le diverse culture, che hanno incrociato la storia del Mediterraneo.

Donatella Lippi, Carlo Maria Rotella

DALLE PIRAMIDI EGIZIE ALLE PIRAMIDI ALIMENTARI E X P L O R A

Mattioli 1885

ISBN 978-88-6261-012-4

€ 16,00




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LA DIETA MEDITERRANEA DALLE PIRAMIDI EGIZIE ALLE PIRAMIDI ALIMENTARI

Donatella Lippi Carlo Maria Rotella

Mattioli 1885


La dieta mediterranea dalle piramidi egizie alle piramidi alimentari Autori: Donatella Lippi Carlo Maria Rotella

Illustrazioni tecniche: Rodolfo Carlos Pazos

Isbn: 978-88-6261-012-4 2007, Mattioli 1885 spa www.mattioli1885.com

Questo libro non può essere riprodotto, interamente o in parte, incluse le illustrazioni, in alcuna forma senza il permesso scritto dell’Editore e degli Autori.


donatella lippi, carlo maria rotella > la dieta mediterranea



Note biografiche

Donatella Lippi è Professore Associato di Storia della Medicina presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia di Firenze, Visiting Professor presso l’Università Internazionale di Mosca, la Columbia University di NewYork, le Università di Colonia e di Heidelberg. È membro di numerose società scientifiche nazionali ed internazionali. La sua attività di ricerca si è indirizzata prevalentemente verso problematiche inerenti la formazione e la pedagogia medica, sia per quanto riguarda la storia della Evidence Based Medicine sia per quanto concerne la didattica della Storia della Medicina e delle Medical Humanities e l’esercizio della professione medica. Carlo Maria Rotella è Professore Ordinario di Endocrinologia presso il Dipartimento di Fisiopatologia Clinica e Responsabile della Sezione di Malattie del Metabolismo e Diabetologia della Unità Operativa di Endocrinologia, presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze. Ha trascorso lunghi periodi di ricerca presso qualificati Istituti Statunitensi quali il National Institutes of Health (Bethesda, Maryland) ed il City of Hope National Medical Center (Duarte, California). È membro di numerose Società Scientifiche nazionali ed internazionali, è stato Segretario della Società Italiana di Endocrinologia, Responsabile della Commissione Didattica della Società Italiana di Diabetologia e attualmente è Presidente della Società Italiana Obesità. La sua attività scientifica è rivolta prevalentemente a temi di fisiopatologia e clinica delle malattie tiroidee, del diabete mellito, dell’obesità e dei disturbi del comportamento alimentare. Silvia Ciani è Dottore di Ricerca in Scienze Endocrinologiche e Metaboliche presso l’Università degli Studi di Firenze. Si occupa della ricerca sperimentale e clinica nel campo dell’obesità e del diabete, di psicoeducazione alimentare per pazienti obesi e di educazione alimentare per pazienti con diabete di tipo 1. Svolge attività di nutrizionista in cooperazione con endocrinologi per la cura di diabete, obesità e patologie correlate e con medici psichiatri per la cura dei disturbi del comportamento alimentare. È membro della Società Italiana dell’Obesità (SIO) e dell’Associazione Nazionale Specialisti in Scienza dell’Alimentazione (ANSISA). LA DIETA MEDITERRANEA DALLE PIRAMIDI EGIZIE ALLE PIRAMIDI ALIMENTARI

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Prefazione

Nelle intenzioni degli Autori, questo libro è stato scritto per i medici e tutti gli altri operatori sanitari, che sono a contatto, direttamente o indirettamente, con le tematiche delle modificazioni dello stile di vita. Tuttavia, il linguaggio utilizzato è volutamente non troppo “tecnico”, in modo da dare la possibilità ai non addetti ai lavori (pazienti e popolazione generale), interessati al problema, di poter fruire di questa opera. Il libro si compone di due parti tra sé distinte, ma in qualche modo interdipendenti. La prima, scritta da Donatella Lippi, si propone come scopo principale quello di contestualizzare la formazione delle tradizioni alimentari dei vari popoli, che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, e i loro cambiamenti, nel divenire dei rapporti economicosociali ed ecologico-culturali. Pur partendo dalla peculiarità delle caratteristiche individuali di questi paesi, il costante trasformarsi della storia ha determinato la attuale deloca-

lizzazione del sistema alimentare, in cui è comunque possibile identificare gli elementi comuni ad una alimentazione di tipo mediterraneo, con caratteristiche ben precise, riconoscibili anche all’interno di questo processo evolutivo. In questo contesto, molti alimenti sono stati usati, sin dall’antichità, come veri e propri farmaci, confermando, da sempre, la valenza irrinunciabile di una terapia non farmacologica nella cura e nella prevenzione delle malattie. Di estrema importanza, il richiamo al significato nella lingua greca antica della parola dìaita, intesa come “stile di vita”, per ricordare come le scelte alimentari debbano andare di pari passo con il tipo di vita che generalmente conduce il singolo individuo, in cui gioca un ruolo fondamentale l’entità della attività fisica svolta. La seconda parte, scritta da Carlo Maria Rotella, in collaborazione con Silvia Ciani, tratta dei problemi connessi all’educazione ad un corretto stile di vita nella popolazione

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generale e dell’educazione terapeutica da svolgere nei confronti dei pazienti affetti da malattie metaboliche. Viene presa in considerazione la rilevanza clinica della dieta di tipo mediterraneo e la grande utilità della rappresentazione della distribuzione dei cibi sotto forma di piramide alimentare. Ambedue questi importanti strumenti terapeutici hanno ancor oggi dei detrattori, ma in questo libro vengono fornite tutte le evidenze scientifiche per smentire queste critiche. Della dieta mediterranea viene detto talvolta che è una dieta contenente un eccesso di carboidrati; a nostro avviso, e sulla base dei criteri della Medicina Basata sulle Evidenze, è una dieta povera di acidi grassi saturi e ricca di acidi grassi poli e monoinsaturi e di fibre vegetali, che agisce come vero salva-vita. La quantità di carboidrati complessi da consumare deve essere personalizzata e commisurata con l’entità dell’attività fisica svolta. La piramide alimentare del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, prodotta nel 1992, vanta il primato di aver introdotto il concetto dell’uso della “porzione”, piuttosto che ricorrere al

peso in grammi degli alimenti da consumare nel corso di ogni singolo pasto. Molti operatori del settore, di corta memoria, attribuiscono ad altre strategie di terapia alimentare questa idea e ciò è molto scorretto. È indubbio che questo primo modello educativo aveva i suoi limiti, ma, come viene descritto in questo libro, non possiamo più vedere questo strumento in funzione statica: le sue successive evoluzioni (e quelle che verranno) hanno portato degli elementi di estrema originalità nella visione della educazione alimentare, soprattutto dopo l’introduzione della obbligatorietà della stretta interdipendenza tra quantità di attività fisica svolta e qualità e quantità delle scelte alimentari. L’iconografia è ampia e permette al lettore di avere una migliore visione sinottica e capacità interpretativa del testo. Gli Autori sono grati alla Casa Editrice Mattioli 1885 per il prezioso aiuto e la professionalità dimostrata. Donatella Lippi e Carlo Maria Rotella

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Indice

Parte Prima: Il “melting pot” mediterraneo e la dieta che non c’è La “koinè” mediterranea Dall’Oriente al mito di Europa Il mondo classico La “dìaita” Cibi e bevande Il simbolismo dei Romani Il passaggio Aggregazione ed esclusione Le Indie La fame Champagne ghiacciato La rivoluzione industriale “Mare nostrum”

14-47 15-16 16-20 20-23 23-24 24-26 26-30 30-33 33-34 34-40 40-41 41-42 42-44 44-46

Parte Seconda: Piramidi alimentari e dieta mediterranea Piramidi alimentari e dieta mediterranea Aggiornamento continuo L’Italia nel Mediterraneao La piramide toscana della dieta Attività fisica Riflessioni conclusive

48-66 49-53 53-56 57-58 58-59 59-65 65-66

Postfazione

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Parte Prima | Il “melting pot” mediterraneo e la dieta che non c’è

Mercante di vino, in Tacuinum Sanitatis, particolare del foglio 86v, Vienna, Österreichische Nationalbibliothek

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Il “melting pot” mediterraneo e la dieta che non c’è Donatella Lippi

La “koinè” mediterranea Alimentazione mediterranea e modello alimentare mediterraneo non sono concetti sovrapponibili: mentre il primo di questi binomi allude ad una tipologia alimentare fondata sul consumo generico di sostanze tipiche del bacino del Mediterraneo, l’altro prevede una elaborazione teorica, basata su un processo osservativo analitico e sulla ricerca di evidenze1. L’analisi di quello che la società consuma dipende, infatti, da un complesso di circostanze, di natura spazio-temporale, economico-sociale, antropologico e religioso: la situazione geografica, le circostanze metereologiche, le vicende politiche sono, infatti, in grado di determinare le scelte alimentari individuali e collettive2. Nel momento in cui, però, l’alimentazione diventa il fulcro di una rifles-

sione più vasta a livello di stile di vita, legandosi a una speculazione scientifica che costruisce sul cibo i fondamenti di un intero sistema di relazioni complesse, l’aspetto medico e sanitario diventano le chiavi interpretative e i parametri di riferimento teorici, che guidano le scelte nutrizionali3. In questa prospettiva, è necessario distinguere i costumi alimentari spontanei, basati sulla disponibilità di determinate sostanze, dalle valutazioni scientifiche: il primo atteggiamento è caratteristico delle culture più antiche, che ancora non hanno elaborato una modulazione critica della scelta del cibo; l’intervento della medicina nell’organizzazione di un regime alimentare riflette, invece, una precisa determinazione teorica. Il passaggio tra il primo di questi atteggiamenti e l’altro avviene in Grecia, nel V secolo a.C., con la formulazione del concetto di dìaita.

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lizzandole al mantenimento o al recupero della buona salute. Una linea ideale unisce Ippocrate (V sec. a.C.), in cui si riconosce il primo teorico di questo approccio, ad Ancel Keys4, che, nella metà del XX secolo, nobilitò la alimentazione tipica dell’Italia meridionale, la quale, da allora, ha guadagnato gli onori delle riviste scientifiche: questo percorso, però, ha conosciuto momenti di crisi, svolte importanti, ripensamenti conflittuali, dovendosi confrontare con l’influenza di culture diverse, che hanno incrociato la storia del Mediterraneo: a bordo delle caravelle redonde spagnole, attraverso i confini del Nord o lungo le carovaniere orientali, si sono consumati questi incontri, che hanno cambiato il panorama delle mense, accendendo dibattiti e controversie nel mondo della gastronomia e della medicina. Anonimo, Uomo che cattura delle api, in Book of Hours, Fiandre, Liège, 1310-20. BL, Stowe 17, f.148 (part.) , sec. XIV - Londra, The British Library

Nel quadro delle culture precedenti, che hanno condiviso determinate circostanze ambientali e produttive, contribuendo alla definizione di una koinè alimentare mediterranea, esistono, però, delle differenze sostanziali, dipendenti non solo dai sistemi di preparazione degli alimenti, ma anche dalle tecniche di conservazione: il quadro di insieme è una geografia alimentare che ha numerosi punti di partenza comuni, i quali, però, si declinano in realtà molto diverse ed articolate, su cui si innestano differenze di ordine sovrastrutturale e culturale. In questa prospettiva, è possibile parlare di dieta mediterranea o di regime alimentare mediterraneo solo nel momento in cui un pensiero medico o filosofico interviene a disegnare abitudini alimentari precise, fina-

Dall’Oriente al mito di Europa Il cibo può a buon diritto essere considerato l’epifania di una cultura intera, anche nella complessità dei suoi grandi problemi sociali. Il rapporto tra cibo e uomo non ha prodotto, infatti, soltanto economia e tecnologia, ma anche riflessione, autocoscienza, immagine: non a caso, dieta e ricetta partecipano dello stesso universo semantico e oscillano tra l’ambito medico e quello culinario5. L’uso di prescrizioni di alimenti a scopo terapeutico risale a una tradizione molto antica e la dieta ha subìto, nel tempo, l’influenza e le vicissitudini delle correnti di pensiero dominanti6. Nella medicina empirica e magica, le diete venivano prescritte dai sacerdoti, i quali attribuivano a ciascun alimento virtù curative, sulla base dell’esperienza7. Cenni di dieta si trovano anche nella medicina mesopotamica; fra i precetti dei medici assiro-babilonesi, codificati tra le leggi

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Vincenzo Campi, La Fruttivendola, 1580, Milano, Pinacoteca di Brera

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Giuseppe Arcimboldo, Il Cuoco, 1570, Copenhagen, Castello di Rosenborg

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Pesca alle lamprede, in Tacuinum Sanitatis, foglio 84r, Vienna, Österreichische Nationalbibliothek

di Hammurabi (1900 a.C. circa), erano frequenti le prescrizioni alimentari a scopo dietetico, così come nella medicina egiziana ricorrono ricette in cui compaiono miele, birra, lievito, olio, cipolle, aglio, finocchi. Tra gli elementi maggiormente caratterizzanti dell’area mediterranea, l’olio riveste un ruolo particolare. Tutti gli antichi popoli del Mediterraneo rivendicano a sé, ciascuno attribuendolo ai propri dèi, la scoperta e l’utilizzazione dell’olivo: Iside in Egitto, Pallade Atena in Grecia. Il valore simbolico dell’olivo ha radici culturali suggestive: Ulisse scava il suo letto nuziale in un tronco d’olivo; un ramoscello d’olivo è nel becco della colomba della Genesi; nel Giardino degli olivi, Cristo pregherà e di legno d’olivo sarà la sua croce. A questa grande valenza emblematica, si uniranno quella del vino e del pane, in un coinvolgente meccanismo e scambio di metafore.

Quando la medicina passò dalla fase magica a quella rituale, si fece strada il concetto dell’igiene dell’alimento e, ad esempio, il popolo di Israele seguì la legge che imponeva l’ispezione e il controllo qualitativo delle carni destinate al sacrificio; nelle religioni politeistiche, il culto propiziatorio degli dei si intrecciò al culto degli alimenti. “Ricetta per cuocere della carne adatta a guarire dalla indisposizione di stomaco. Giaggiolo, carne di piccione nel mezzo, che sia cotta con oca, finocchio, una misura di fave, acqua calda, polvere assorbente, infuso di grano, due palle di cicoria; triturare finemente, filtrare, bere”8. Così recita un brano di un Libro di medicina, demotico, risalente al II secolo d.C., per insegnare a preparare un piatto di carne e verdure per chi soffre di stomaco: se nessun libro di cucina è pervenuto dall’antico Egitto e solo raramente vengono forniti alcuni cenni sulle modalità di preparazione dei cibi, il patrimonio dei papiri medici è, invece, ricchissimo: schematizzate nella formulazione casuistica tipica del linguaggio medico prescrittivo, le ricette propongono una ricca selezione di sostanze, da preparare secondo istruzioni ben precise. Tra queste, ingredienti del mondo animale, vegetale e minerale: in mancanza di presidi terapeutici diversi, il medico egiziano interveniva attraverso una terapia, che si avvaleva di sostanze di solito usate nel consumo alimentare. La definizione di questi principi come alimenti o come medicamenti sarà una costante della medicina antica, ma raggiungerà anche i nostri giorni: la soluzione offerta dalla crasi dei due termini, uniti nella loro realtà di alicamento, sottolinea come la sostanza che nutre (alimento) possa anche avere effetti fisiologici interessanti (medicamento), intervenendo sulla funzionalità dell’organismo. Nella ricetta medica egiziana, la funzione curativa è rivestita in primo luogo dagli ingredienti vegetali con cui è cotta la carne: il finoc-

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chio, dalle qualità digestive e anticolitiche; la cicoria, dalle proprietà depurative ed epatoprotettive; il giaggiolo, che è un efficace colagogo. In questo senso, l’osservazione aveva in qualche modo indirizzato la prescrizione medica, guidata dalla empirìa: le sostanze alimentari comuni nel mondo egiziano, del resto, compartecipavano dei fasti della medicina, in quanto molte prescrizioni mediche proponevano un articolato utilizzo degli ingredienti di cucina. In particolare, latte e miele rivestivano un ruolo centrale, grazie anche alla loro valenza simbolica, riconducibile a quel sostrato orientale, che si trasforma nel sogno biblico della Terra promessa. Il latte era, infatti, l’alimento-base per gli Ebrei, ridivenuti nomadi dopo la cattività in Egitto; in una cultura che non conosceva lo zucchero, il miele rappresentava la dolcezza stessa del vivere, la metafora del sogno compiuto. Il latte era veicolo di vita e dei valori della vita: l’immagine di Iside che allatta il figlio Horus diventerà il prototipo di Maria lactans nei monasteri copti orientali e, successivamente, sarà introdotto nell’iconografia occidentale. La Palestina, contrariamente all’Egitto, era ricca di piogge: al latte dei pastori e al miele selvatico, si aggiungevano alberi e piante coltivati, dai cereali, con cui preparare il pane, alla vite e all’olivo. Le norme alimentari si rivelavano coordinate alle convinzioni religiose, che avevano consentito la trasformazione delle tribù semitiche in un popolo unito e tale alimentazione non discendeva da considerazioni nutrizionali, sanitarie o gastronomiche, ma esclusivamente religiose. Il paesaggio delle terre che si affacciano sul Mar Mediterraneo consentiva, quindi, dei comportamenti alimentari particolari, basati su una tradizione agricola, pastorale o marinara: questi elementi comuni rappresentavano la

disponibilità nutrizionale condivisa, sulla quale la cultura greca costruì la propria normativa alimentare anche a fini igienico-sanitari. Dalla creazione della ritualità, alla commensalità sacrificale, alla cultura del simposio, il mondo greco ha elaborato una dimensione della alimentazione, in cui lo schema immutabile del rito accompagnava un evolversi della funzione e dei valori simbolici dell’incontrarsi, come sfondo della celebrazione poetica. Il mondo classico “Astenetevi dalle fave”: così una delle più famose interdizioni pitagoriche proibiva il consumo della Vicia faba, uno dei legumi più comuni nelle zone che si affacciano sul Mediterraneo9. I motivi di questo divieto sono stati indagati sin dalle epoche più antiche, cercando nella forma e negli effetti della fava queste ragioni così forti: simile alle porte dell’Ade, capace di indurre incubi notturni, difficile da digerire… È stato soltanto tra la fine del 1800 e la metà del XX secolo, che è stato possibile spiegare la genesi di questa interdizione, legata a una patologia che, nelle campagne siciliane, era nota come zàfara, in quanto caratterizzata da un vistoso ittero. Successivamente, a seguito della osservazione che le reazioni prodotte dal chinino potevano essere in alcuni casi simili a quelle indotte dall’ingestione delle fave da parte di soggetti sensibili, fu possibile correlare la crisi emolitica a una forma di idiosincrasia alla vicina: Pitagora, che legò i suoi adepti a un sapere settario, spostando gli occhi dal mondo dell’Olimpo al microcosmo del corpo umano, aveva rilevato le conseguenze letali derivanti dal consumo di fave fresche e, pur nella impossibilità di spiegarne il meccanismo, aveva salvaguardato la salute dei suoi accoliti con la forza dell’interdizione.

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Quella che oggi si cela dietro al ruvido termine di GP6fosfatodeidrogenasi è, in realtà, una patologia antichissima, diffusa proprio nelle zone in cui la Vicia faba è più comune e coltivata, anche per regalare agli olivi quel carico di sostanze azotate contenute dalle foglie, dopo la raccolta dei baccelli. Vuole una leggenda che lo stesso Pitagora sia stato ucciso per non aver voluto svelare il segreto della sua rigidissima norma. Faba-faber: nel mondo romano, questo legume era indicato nella alimentazione del povero, dell’operaio (faber); cotto e bollito, poteva essere trasformato in una puls fabata, una minestra, che veniva ad integrare con un apporto proteico importante i carboidrati derivanti dalla coltura cerealicola. Usate, in Grecia, anche per esprimere il voto, le fave venivano trasformate dai Romani in un pane, il lomentum, soprattutto nei periodi di carestia. Fruges e pecudes: nel mondo romano delle origini, l’opposizione fondamentale che organizzava l’insieme delle produzioni alimentari era polarizzata nella classificazione dello spazio; i prodotti della terra coltivata si contrapponevano agli armenti. Anche nel mondo greco, città e campagna propongono modelli alimentari diversi e sono questi ciò che contraddistingue gli uomini dagli dèi, i greci dai barbari, i cittadini all’interno di uno stesso contesto. Le ragioni economiche impongono scelte determinate: l’alimentazione, soprattutto a Roma, fu un vero e proprio linguaggio, che serviva a collocare ciascuno nel suo spazio, con una fortissima carica simbolica. Nell’orto di cui parlano Catone e Varrone, si consumava la vera cultura romana, fedele ai principi della sua autenticità, legata al pater familias, che era sia dispensatore di cibo, sia garante dello stato di salute di tutto il gruppo familiare, attraverso la prescrizione

La raccolta delle fave, in Tacuinum Sanitatis, Département des manuscrits, Latin 9333 f. 47 , XV sec., Parigi, Bibliothèque Nationale de France

di sostanze alimentari, utilizzate a fini terapeutici. Cavolo, ruta, latte, uova diventano protagonisti di una medicina domestica, che sarà ancora esaltata da Plinio, nel I secolo d.C.: Catone sosteneva la bontà del cavolo crudo, condito con solo aceto, ma gli attribuiva anche la sua stessa prolificità. Forse perché dal gambo reciso del cavolo stilla una sostanza biancastra, che può alludere a un simbolo di fertilità, l’idea dei bambini trovati sotto a un cavolo, per quanto sia frutto di una elaborazione moderna, tradisce questa convinzione. Al cavolo venivano attribuite proprietà cicatrizzanti e veniva utilizzato come cataplasma per curare la sciatica e le ulcere varicose, mentre, trasformato in sciroppo, serviva a calmare la tosse. L’osservazione e l’esperienza legittimavano, quindi, anticamente il ricorso a questa

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La raccolta delle olive nere, in Tacuinum Sanitatis, XIV se., Vienna, Österreichische Nationalbibliothek

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forma di alimentazione a fini terapeutici, per quanto contingente e, in origine, occasionale. Nel mondo greco successivo al V secolo a.C., invece, veniva elaborato il concetto di dìaita, nel quadro di una nuova medicina, che metteva in campo tutte le strategie, in funzione preventiva e terapeutica. La “dìaita” Il termine “dieta” oggi sembra indicare prevalentemente l’adattamento della razione alimentare allo stato ed alle condizioni biometriche dell’individuo. Nell’antichità, però, il termine aveva un significato più vasto, allargandosi a indicare tutti gli ambiti, che l’uomo avrebbe dovuto pianificare di sua iniziativa, in quanto non determinati in modo automatico dalla natura. La salute, secondo il medico greco Ippocrate, (V sec. a.C.) consisteva nell’equilibrio (eukrasìa) di quattro umori: il sangue, il flegma, la bile gialla e la bile nera. Una loro discrasia avrebbe compromesso lo stato di benessere, provocando la malattia10. Oltre ai salassi, agli emetici ed ai purganti, che avrebbero dovuto funzionare come riequilibratori degli umori, il medico ippocratico avrebbe potuto utilizzare diversi espedienti, sia a livello anamnestico, sia a livello prognostico e terapeutico: nel colloquio con il paziente, veniva data grande importanza alla individuazione delle variazioni intercorse nello stato di malattia, al rapporto sonnoveglia, alle secrezioni del corpo. Alcuni di questi settori, che non dipendevano dalla natura, ma potevano essere influenzati dall’intervento umano, erano indicati come le sex res non naturales: di queste si occupava la dieta e comprendevano, quindi, il rapporto dell’uomo con aria e acqua, cibo e bevande, movimento e riposo, sonno e veglia, deiezioni e sessualità, affetti e passioni.

La medicina greca, abbandonata la magia, valorizzò la dieta come provvedimento terapeutico e profilattico e, nel cosiddetto Giuramento di Ippocrate (V sec. a.C.), il medico prometteva di “regolare il regime di vita dei malati”, intendendo anche, appunto, il sistema alimentare, insieme al quale, però, era necessario contemplare anche altre numerose variabili, tra cui l’alimentazione, i bagni, il sonno, il lavoro, l’attività sessuale, il vomito e le purgazioni, gli esercizi ginnici. “Alimenti ed esercizi hanno in effetti virtù reciprocamente opposte, ma che contribuiscono insieme a fare la salute. Per loro natura gli esercizi disperdono le energie disponibili, mentre i cibi e le bevande compensano le perdite” (Ps. Ippocrate, De dieta, II, 1-2)11. L’intervento sul regime di vita, comunque, rientrava in un settore della medicina riservato alle persone ricche o agiate, che potevano spendere in salute, tempo e denaro; per i ceti più modesti, la chirurgia o i medicamenti avrebbero restituito la salute in tempi più rapidi o avrebbero accelerato la morte. Le opere mediche del mondo classico, che trattano il tema dell’alimentazione, comprendono trattati esclusivamente dietetici e alimentari facenti parte del Corpus Hippocraticum (De dieta, De dieta in acutis, De salubri dieta), opere di Galeno (II sec. d.C.), Oribasio (IV sec. d.C.) e Antimo (VI sec. d.C.), così come anche raccolte di semplici (Dioscoride, Plinio, Apuleio) e opere più generali (Celso, De medicina). Nel mondo antico, opinioni e conoscenze estese rendevano la scienza alimentare in funzione della salute una branca medica importante, alla luce delle seguenti considerazioni: la causalità tra alimentazione e salute come equilibrio; le proprietà naturali e artificiali di cibi e bevande; la stretta relazione tra scienza alimentare e salute e le altre branche del sapere medico; la primarietà assoluta della ali-

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mentazione per la vita dell’uomo sano e dell’uomo malato12. Cibi e bevande Cibi e bevande rispondevano alla funzione di conservare o restituire la salute, se in essi si individuavano le caratteristiche, potenzialità e virtù capaci di contrastare e integrare l’eccesso o il difetto che provocavano lo squilibrio e la malattia. Gli alimenti agiscono, infatti, sull’organismo, attraverso il meccanismo della digestione, per cui è sempre stato importante e primario individuare le caratteristiche digestive dei singoli alimenti. “Ecco come si può far sparire o rinforzare le qualità…: facendo bollire e raffreddare a più riprese gli alimenti forti, si toglie loro tale qualità; tostando e arrostendo gli alimenti umidi si toglie loro l’umidità; allo stesso modo, per gli alimenti secchi tenendoli a bagno e spruzzandoli; per i salati tenendoli a bagno e facendoli bollire; per gli alimenti amari e aspri mescolandoli con alimenti dolci, per alimenti astringenti unendoli a quelli grassi” (Ps. Ippocrate, De dieta 56, 9)13. La digestione veniva ancora vista come una sorta di cottura, che trasforma i cibi in succhi o liquidi: i cibi umidi e caldi, ad esempio, sono maggiormente digeribili, ma hanno minori capacità nutritive, sono “cotti” più rapidamente e quindi vengono più rapidamente evacuati; le caratteristiche di base venivano stabilite empiricamente, sulla base dei sensi o dell’esperienza. Una volta appurate in natura le virtù dei diversi alimenti, queste non sono necessariamente costanti, ma possono venire accentuate o indebolite dalle modalità della preparazione. L’importanza primaria, comunque, accordata dai medici antichi all’alimentazione, viene spiegata con alcuni dati di fatto: è una necessità insostituibile per sani e malati. La

digestione buona o cattiva è la premessa per ogni condizione di salute o di malattia e l’alimentazione adeguata può ottenere i risultati di una terapia. Stimolati dunque dalla necessità di liberarsi dalle conseguenze negative di un’alimentazione simile a quella delle bestie, “a me sembra che costoro cercarono un’alimentazione idonea alla loro natura e così scoprirono quella a cui noi oggi facciamo ricorso. … Bollirono, cossero, mescolarono e temperarono le sostanze forti e intemperate con quelle più deboli, conformandole tutte alla natura ed al potere dell’uomo… A questa scoperta e a questa ricerca, quale nome più corretto e più adatto si potrebbe attribuire, se non quello di Medicina?” (Ps. Ippocrate, De antiqua medicina, 3)14. Nei confronti dell’uomo sano, l’alimentazione deve contemplare alcuni parametri fondamentali: - varietà: vasta gamma di prodotti e valutazione di fattori differenzianti; carni, frutta, verdure, cereali, tutti i prodotti alimentari reperibili in un determinato periodo storico. Altri fattori differenzianti possono essere considerati il clima e le condizioni ambientali; - personalizzazione: attività, età, costituzione, sesso. I bambini, ad esempio, hanno una natura calda e umida; i giovani calda e secca; gli adulti fredda e secca; i vecchi fredda e umida. Le donne, invece hanno una natura umida e fredda, mentre gli uomini secca e calda; - flessibilità: variabili stagionali; - moderazione: nei primi secoli dell’Impero, in modo particolare, verrà elaborato dagli Stoici un modello di medicina etica, che prevedeva l’identificazione dello stato di salute con la stessa virtù. Nell’alimentazione dell’uomo malato, la diversità del regime dipende da tre fattori: obiettivo, tempo, misura; per questo, i parametri da valutare sono la varietà dei cibi, la

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La raccolta delle castagne, in Tacuinum Sanitatis, XIV sec., Vienna, Österreichische Nationalbibliothek

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All’inizio dell’acme delle malattie. Quando lo sono meno? Nella fase di remissione delle malattie. È evidente dunque che il momento migliore per somministrare il cibo sia quello in cui i malati cominciano a stare meglio” (Galeno, In Hippocratis de acutorum victu liber commentarius, I, 45)15. Il simbolismo dei Romani

La raccolta delle castagne, in Tacuinum Sanitatis, Département des manuscrits, Latin 9333 fol. 14, XV sec., Parigi, Bibliothèque Nationale de France

moderazione, la flessibilità e la personalizzazione. Questi parametri riceveranno la loro teorizzazione nel II secolo d.C., grazie all’opera del medico Galeno di Pergamo. L’obiettivo è il recupero della salute perduta; i tempi sono sotto lo stretto controllo del medico; il cibo va somministrato in modo che il malato non diventi troppo debole nei confronti della malattia, ma il cibo non deve tuttavia neanche alimentare la malattia stessa e, per questo, va distribuito nei momenti di remissione, in una misura perfettamente controllata. “Qual è il momento migliore per la somministrazione del cibo ai malati? Quello in cui è evidente che meno sono affetti il torace o le parti del ventre. Qual è il peggiore? Quando queste parti sono più affette. Quando sono più affette?

In quest’ottica, alcune sostanze rivestono importanza particolare e si collocano nel regime alimentare sia per il loro valore nutrizionale, sia per una forte connotazione simbolica: tra queste, ancora il miele e il latte. Numerosissime attestazioni del miele ricorrono a partire dal Corpus Hippocraticum, con funzione di eccipiente, ma anche per il suo valore terapeutico, come cicatrizzante ad uso topico, oppure in diverse miscele come hydromele o oxymele. L’opposizione tra uomini e dèi passa, in Grecia, anche attraverso l’alimentazione: esistono bevande o cibi di vita, destinati a rinnovare l’immortalità, si tratti del nettare, che allontana la morte violenta, oppure dell’ambrosia, la cui funzione è quella di negazione del moros, la morte, che attende tutti gli umani. Il latte, che, insieme al vino, è la bevanda degli eroi omerici, ha una profonda funzione spirituale e col latte si veicola anche la stessa divinità. Nel valutare le proprietà degli alimenti, vengono individuati anche alcuni tabù alimentari, come divieto di accedere a una serie di cibi e bevande, estesi a particolari gruppi o momenti dell’esistenza individuale: se il tabù va messo in relazione con il funzionamento dei sistemi simbolici, per cui cibarsi non è solo partecipare a un codice di comportamento alimentare, ma anche socio-culturale, mitologico e simbolico, il sogno legato al cibo può avere valenze diverse.

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Grano, vite, olivo: attorno a questa triade, si articolarono l’agricoltura e la pastorizia e su queste realtà si disegnava il sistema alimentare, a forte caratterizzazione vegetale. Dal De dieta dello Pseudo Ippocrate (V sec. a.C.) al De observatione ciborum di Antimo (VI sec. d.C.), non si evidenziano particolari cambiamenti nei principi dietetici generali, da un punto di vista medico, ma si diversificano la qualità e la quantità dei cibi consumati: le mense romane si arricchiscono di sostanze esotiche e rare, alimenti di altri paesi, pietanze originali. Cambia, in parte, anche l’alimentazione degli sportivi, soprattutto da quando il premio simbolico si trasforma in premio dal valore venale: aprendo l’accesso alla pratica sportiva anche agli strati più bassi della popolazione, viene a cadere l’ideale dell’uomo kalokagathòs, per cui si cerca di raggiungere il massimo della potenza fisica. Galeno condanna l’alimentazione degli atleti, che si sottopongono alla anankofagìa, la costrizione alimentare, mangiando fino a tardi, nella notte: il loro fisico è paragonato alle mura di una città, che è stata sottoposta a troppi assedi e che, quindi, mostra tutta la sua debolezza. Inizialmente, infatti, l’alimentazione degli atleti prevedeva il consumo di vegetali, latte, formaggi freschi, fichi secchi; Plinio racconta che poi un allenatore di nome Pitagora introdusse la carne, ma le fonti sono discordi. La carne, comunque, doveva essere di bue, toro, capra, capriolo e successivamente venne inserita anche quella di maiale16. Con l’ampliamento della prospettiva politica romana, inizia un dibattito molto acceso, che investe sia l’ambito del governo della Res publica, che sta per trasformarsi in Impero, sia il contesto letterario, sia il settore alimentare. In questo panorama così dinamico, risuona forte e chiara la voce del filosofo Seneca, la

cui figura riveste un’importanza paradigmatica nel dibattito tra vecchio e nuovo, tra democrazia e tirannide. Nei primi anni dell’Impero, inoltre, non a caso si colloca anche la figura di un medico, Celio Aureliano, che dedica la sua opera alle malattie acute e croniche, prestando particolare attenzione alla obesità, come malattia sistemica, contraddicendo la precedente convinzione che essa fosse sinonimo di benessere, ricchezza, opulenza. I medici del periodo classico potevano legare l’obesità solo a un sovraccarico alimentare, ma è significativo che l’idea si sia diffusa e sia diventata oggetto di sguardo medico a partire da un periodo così ben delimitato: in realtà, la diversa situazione produttiva degli anni di fine Repubblica portò a una progressiva introduzione di alimenti diversi e a un progressivo cambiamento di gusto, con l’inserimento di prodotti nuovi, esotici, tanto che anche la letteratura registra il costume di banchetti particolarmente opulenti, come la Coena Trimalchionis di Petronio. Tra la battaglia di Azio, nel 31 a.C., e la morte di Galba, nel 68 d.C., si contestualizza l’apogeo della gastronomia e l’opera di Apicio, De re coquinaria. Davanti a questo trionfo di opulenza alimentare, nel momento in cui le istituzioni repubblicane vengono soppiantate dal regime imperiale, si assiste a una sorta di identificazione del principio di libertà con quello di moderazione: Seneca sostiene infatti il ritorno alla frugalità dell’uomo libero, in contrapposizione alla obesità del tiranno: si configura in questo modo una percezione negativa dell’obesità, associata alle figure della commedia, tanto che si carica di una valenza nuova e la crudelitas del tiranno viene assimilata alla cruditas, l’indigestione. Nel momento in cui il mondo classico aveva individuato nel cibo un elemento costi-

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Adriaen Jansz. van Ostade, La pescivendola, sec. XVII, Londra, Wallace Collection

tutivo della identità umana, autorappresentandosi come area della civiltà, zona privilegiata e protetta, in contrapposizione all’universo estraneo della barbarie, la cottura era diventata elemento distintivo: gli Ittiofagi del Mar Rosso sono monofagi e àpotoi, partecipando di un livello culturale inferiore; all’op-

posto, il nobile Odisseo rifiutò il cibo di Circe, per non abdicare alla propria natura di uomo. Il ritorno della cruditas rappresenta, quindi, un’inversione di tendenza, una regressione nella scala dei valori sociali17. Esiste, inoltre, nella percezione filosofica

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di questo periodo, una sorta di interazione tra la sobrietà nel cibo e la salute morale. Nell’età imperiale, il lusso aumentò in modo smisurato: Vitellio, Domiziano e Nerone verranno condannati dalla storiografia per i loro eccessi alimentari, oltre che per la negatività del loro governo. L’iconografia conferma un fisico compromesso dall’obesità, così come le fonti letterarie concordano sul venter obesus di Vitellio e Nerone e sulla obesitas ventris di Domiziano: saevitia e luxuria sono caratteri connessi alla figura del tiranno. L’obesità, derivante da sovraccarico alimentare, è quindi un problema morale, che pro-

gressivamente si medicalizza e, infatti, diventa una entità nosografica autonoma con Celio Aureliano: non ha i caratteri di una patologia localizzata, ma viene definita polysarcìa, cioè eccesso di carne ed è una forma di cachexìa, quae multis accidentis denuntiet periculum, che preannuncia un grave rischio reale, attraverso particolari sintomi. L’aumento di adiposità del ventre provoca, infatti, difficoltà nella deambulazione, pesantezza e debolezza, dispnea, sudorazione al minimo sforzo, riassunte nella constatazione di una indecens difficultas. L’intervento, secondo i medici, deve essere quindi impostato sulle abitudini di vita, con un regime alimentare moderato, con una

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dieta ricca di carboidrati complessi, verdure e pesce; sono sconsigliate le vivande ricche di lipidi, come uova, cervello e frattaglie e si consigliano, invece, verdure con proprietà diuretiche come gli asparagi, in un recupero ideale di una Età dell’oro felicemente vegetariana, in cui la fertile terra, secondo l’epopea virgiliana, dava spontaneamente molti e copiosi frutti. Il passaggio Il concetto di misura si conferma e si estremizza in età medievale, proprio mentre si configura, in nuce, l’idea di Europa18. Se in età classica era un ideale supremo, per cui era necessario accostarsi al cibo con piacere, ma senza voracità, offrendolo generosamente, ma senza ostentazione, la prima regola della cultura cristiana è il rifiuto della carne, che aveva una valenza particolarmente significativa, in quanto era considerata il cibo dei potenti: il cibo parco, invece, era in grado di favorire l’ascesi. Queste indicazioni erano determinate, in realtà, da una riflessione anatomo-fisiologica elementare: l’apparato digerente, infatti, posto al di sotto del diaframma, è in posizione inferiore rispetto al capo e al torace, designati, secondo la tradizione encefalocentrica e cardiocentrica, ad accogliere il pneuma; sotto il diaframma, invece, si collocano le passioni e le facoltà istintive, quelle che le fonti chiamano gastrimarghìa e pornèia, gola e lussuria. L’ascesi, come processo di mortificazione, si basa sull’ingestione di cibi secchi (xerofagìa) ed è sostenuta dal desiderio di continenza (enkràteia): se la malattia è concepita ora come punizione divina, la medicina deve basarsi su questi principi di continenza. Da una parte, infatti, il Cristianesimo indica la strada dell’ascesi, dall’altra si verifica l’incontro con la nozione culturale e geografica

di Europa, a cui concorre l’incontro tra la cultura romana e quella germanica: le popolazioni germaniche avevano diversi valori culturali e vivevano dei prodotti della foresta, pensando e usando il territorio in modo assolutamente diverso rispetto alle culture mediterranee. Alla triade grano-vite-olivo, si contrapponevano carne, latte e burro: quando l’Impero di Roma venne travolto dalle invasioni barbariche, inevitabilmente ne assimilò la cultura alimentare, che non fu più sentita come inconciliabile e avversa. Allo stesso modo, la tradizione agricola romana si diffuse nel Nord, attraverso anche la estensione del Cristianesimo, che portò con sé, nella cultura dell’Eucaristia e nell’impartizione dei Sacramenti, i simboli alimentari della cultura del Mediterraneo - il pane, il vino, l’olio - che, a loro volta, erano già stati protagonisti del mito. “Là dove l’olivo s’arresta, finisce il Mediterraneo”: è lapidaria la constatazione di Georges Duhamel, che evoca nell’olio d’oliva l’essenza della cultura mediterranea19. Dall’incontro tra queste due tradizioni, si sviluppò una cultura nuova, europea, la cui identità univa la tradizione mediterranea a quella nordica e si regolava su un calendario liturgico, che contribuì ad accelerare la fusione degli usi gastronomici. Si diffondono nei primi secoli del Medioevo i trattati di dietetica, che si configurano come una letteratura a carattere pratico, professionale, calata nella realtà di ogni giorno: una volta eliminata la carne dal regime alimentare, diventava necessario trovare altrove le capacità e le forze di sussistenza; la rinuncia alla carne ha un grande valore simbolico, come volontà di resistere alle tentazioni del mondo e le fonti agiografiche mostrano con evidenza quanto la società medievale senta e viva la corrispondenza fra cibo e salute, in quanto la malattia si manifesta con la perdita dell’appetito20.

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Bartolome Esteban Murillo, La piccola venditrice di frutta, 1670-75, Monaco (Germania), Alte Pinakothek

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Annibale Carracci, Vende formaggio parmigiano, in Arti, mestieri e figure tipiche, 20. B. II 129, tav. 73,1646, Roma, Biblioteca Casanatense

In questa prospettiva, gli elementi caratterizzanti della alimentazione mediterranea vengono passati al vaglio della medicina: “L’olio recente, che proviene da olive fresche, nere e mature, è misuratamente caldo ed umido, ammorbidisce ed inumidisce equilibratamente lo stomaco, rapidamente si trasforma in bile. L’olio, se sarà stato ricavato da olive assai mature, sarà privo di ogni frode perché vi rimarrà un po’ d’asprezza, tolta la quale, diviene nocivo e subito convertibile in umori dannosi, se non altro impedisce la digestione dello stomaco; tranne che vecchio, sarà inadatto all’uso, utile alla medicina.” “… Il pane è più caldo del frumento da cui deriva, a causa della morbidezza e della cottura. Di esso sappiamo che vi sono tre forme, una gran-

Ubuchasym de Baldach, Vinum vetus oriferum (osteria), Theatrum sanitatis, MS4182, c.166 , Roma, Biblioteca Casanatense

de s’intende, una media ed una piccola. La grande ha più mollica, la scorza più dura, scorza che nutre poco, dissecca e costipa. La mollica è densa, viscosa e dilatante. Il fuoco perfora le parti interne del pane piccolo e sottile ed asciuga l’umidità della mollica. Donde Ippocrate (afferma che) il pane piccolo ed esile contiene poca mollica e poco nutrimento, la sua espulsione (è) lenta, costipa il ventre. Il pane di forma intermedia, cotto misuratamente con condimento di sale e lievito, qualora venga fatto con farina bianchissima dei sopraddetti cereali, osservato il giusto equilibrio di morbidezza e di cottura, è ottimo per i (temperamenti) sani e moderati. Il pane grande giova agli asciutti (di temperamento), il piccolo ed esile agli umidi; il secondo (tipo di) pane nutre di meno e si digerisce più in fretta.”

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“Il vino recente è caldo in primo grado. Il vecchio che trapassa nei sette anni lo è in quarto grado. Il mezzano dai due ai quattro anni è caldo in secondo grado. Il vino quanto più caldo tanto è più asciutto e quanto meno caldo tanto più umido. …Qualora il vino sia mediocre e si beva misuratamente, secondo richiede l’età, il tempo, l’infermità o la buona salute, è sano. Al medico d’altra parte è necessario che nel vino e nelle altre cose tenga sempre presente il temperamento e la sovrabbondanza di umore di ciascun uomo. Il vino, bevuto moderatamente come sopra dicemmo, conforta ed aumenta il calore naturale, espelle la bile gialla col sudore e l’urina, riscaldando ed inumidendo modera la bile nera, ammorbidisce le membra irrigidite, indurite e secche per la fatica e l’eccessiva stanchezza, toglie la spossatezza e ridona le forze ai malati, ingrassa i corpi, rinforza l’energia e l’appetito, elimina la dilatazione e la flatulenza. Ma, qualora si beva trascurando un ragionevole limite oppure fino all’ebrietà, genera turbamento della mente, stoltezza, apoplessia, epilessia, paralisi, tremore, spasmo e simili. Infatti le vene ed i ventricoli del cervello si riempiono e si spegne il calore naturale”. In questo contesto di grande sincretismo, si moltiplicano i Regimina Sanitatis, in cui si delinea una sorta di utopia alimentare, come possibilità di star bene in salute solo con l’uso della propria sapienza, senza medici o medicine, e gli alimenti hanno un ruolo fondamentale nella costruzione del benessere. La Regula riproduce un tipo di alimentazione e di edibilità ben radicate nelle abitudini mediterranee, che vengono ad arricchirsi del contributo del mondo arabo, sia per quanto riguarda l’introduzione di determinati alimenti, sia per quanto concerne la sistematizzazione del sapere. Cibus e potus si configurano ancora tra le sex res non naturales, tanto che Ildegarda,

badessa del monastero di Bingen e depositaria di una tradizione medica nel solco della tradizione cristiana, dedicherà numerose pagine al rapporto tra funzione gastronomica e dietetica degli alimenti. Aggregazione ed esclusione Legata alla tradizione ippocratico-galenica, la medicina bizantina, elaborata nella culla del Bosforo, seguiva la dottrina della patologia umorale: se la scelta del nutrimento contribuisce in modo essenziale al mantenimento di un equilibrio fisico e psichico, si diffondono gli abbecedari sanitari, ordinati per mese, che propongono il consumo di determinate sostanze nei diversi periodi dell’anno. Nell’ambito della cultura medievale, la tipologia letteraria di questi calendari dietetici si configura come un sapere tecnico, in cui la natura breve e concisa delle formule prescritte e di quelle vietate, pur nel loro schematismo, lascia intravedere non soltanto l’approccio teorico di derivazione ippocratica, ma anche, e soprattutto, l’attenzione all’applicazione pratica delle prescrizioni, non disgiunta dalla conoscenza delle proprietà delle piante e delle loro virtù alimentari e curative, derivante dalla tradizione classica, testimonianza delle numerose connessioni fra scienza dietetica e sapienza naturalistica medievale. Mentre, nel frattempo, il percorso culturale romano-cristiano si univa alla tradizione germanica, l’Islam, sulle sponde meridionali del Mediterraneo, aveva elaborato una diversa cultura alimentare, in cui il pane era usato, ma veniva privato dei significati simbolici del Cristianesimo, e dove il vino e il maiale erano banditi, in quanto considerati impuri. Il Mediterraneo, da luogo di incontro, a cui Roma aveva dato una fisionomia globale, era diventato luogo di scontro e se i galeoni

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dell’Ordine di Santo Stefano si scontravano con la pirateria saracena, i valori in gioco erano assai diversificati. Mentre la cultura romana si fondeva con quella nordica, le regioni del Sud della penisola italica e della penisola iberica non assimilarono mai completamente gli usi continentali e la vicinanza col mondo arabo contribuì a dare a queste cucine una peculiare fisionomia. Gli apporti del mondo arabo-islamico, in questo clima di grande dinamicità, raggiunsero poi anche il resto d’Europa, tra migrazioni di popoli e di eserciti: la presenza dei Normanni in Sicilia e dei Visigoti in Spagna contribuì in modo decisivo a disegnare un nuovo equilibrio culturale europeo, in cui le suggestioni solari e i profumi del Sud incontravano i venti della tradizione culinaria gotica. Fu anche la stessa agricoltura islamica a comportare l’introduzione di specie vegetali sconosciute o utilizzate solo dagli strati alti della società, a causa dei prezzi elevati, come medicine o condimenti esotici: la diffusione, nel Magreb, nella Penisola Iberica e nell’Italia meridionale, di canna da zucchero e riso, originarie delle zone a clima subtropicale o tropicale, dello spinacio e della melanzana richiese, infatti, la creazione di spazi irrigati e di ecosistemi artificiali, che cambiarono in parte la fisionomia del territorio21. In questo panorama così composito, l’ingresso di nuove sostanze alterava il quadro della cultura alimentare e in questo dibattito si inserì in modo naturale anche la riflessione medica: agrumi e zucchero sostituirono aceto e miele e si precisò l’interesse per le spezie: pepe, zenzero, noce moscata, zafferano. Secondo il Thresor de santé (Lyon 1607), il pepe “conserva la salute, dà sollievo allo stomaco” e possiede una lunga serie di applicazioni terapeutiche, che vanno dalla cura del mal di stomaco a stimolare l’appetito: questo impiego medico, in realtà, è antecedente a quello

gastronomico, tanto che le spezie erano raccomandate nel condimento delle vivande, per renderle più digeribili22. Aldobrandino da Siena consigliava l’uso della cannella per favorire la funzionalità epatica e i chiodi di garofano come carminativi: la digestione era ancora concepita come un sistema di cottura, in cui le spezie, figlie dei climi caldi d’Oriente, controbilanciavano l’eventuale carattere freddo degli alimenti. Virtù gastronomiche e dietetiche sono la caratteristica dei condimenti: il sale “accresce ai commestibili bontà del sapore, e toglie la sgradevolezza proveniente… da una certa umidità acquosa e indigesta”; l’aceto “è uno dei maggiori stimolanti dell’appetito… è giovevole a incidere, aprire e dilatare i vasi e a temperare l’ardore della bile”23. Anche questo approccio all’uso delle spezie, che diventò uno dei caratteri del regime alimentare mediterraneo, si collega a quella concezione galenica della medicina, fondata sull’equilibrio degli umori e sulla convinzione di una peculiare natura degli alimenti. La cucina, come arte combinatoria, risponde a una esigenza primaria di salute, in quanto contribuisce ad equilibrare le sostanze introdotte nell’organismo. Pere e formaggio, prosciutto e melone: protagonisti delle mense, risultanti di una scelta dietetica precisa, volta a stemperare il carattere umido e freddo della frutta con quello caldo e secco degli altri ingredienti. Dietetica e cucina parlano ancora lo stesso linguaggio e, dopo il medico e il cuoco, un altro messaggio è affidato alla sapiente decisione dello scalco, che deve organizzare le portate in modo tale da assecondarne la digestione24. Le Indie Con la scoperta del Nuovo Continente, infatti, si erano create rinnovate prospettive alimentari, anche se gli alimenti introdotti,

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Job Berckheyde, Il panettiere, XVII sec., Worcester, MA (USA), Worcester Art Museum

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Johan Zoffany,, Una bancarella fiorentina di frutta, 1777 ca., Londra, Tate Gallery

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quali il mais, il caffè, la cioccolata, verranno recepiti in maniera estesa solo molti anni più tardi e con il deterioramento dell’alimentazione popolare25. L’iconografia molto realistica dei pasti, dal banchetto di gala alla merenda del cacciatore, documenta queste consuetudini: determinate trasformazioni storiche, inoltre, come la Riforma protestante, smantellarono la regola ecclesiastica medievale, in cui era stato trovato un fattore di unità per l’alimentazione occidentale e sollecitarono le cucine nazionali. Il progresso scientifico e chimico interrompono il rapporto tradizionale tra dietetica e cucina; la digestione è ora vista come un fenomeno di fermentazione e i medici, depositari di una nuova autorità, diventano complici della trasgressione: caso eclatante è quelle delle bevande euforizzanti, il cui uso oscilla tra l’impiego medico e quello di intrattenimento. Lo stesso atteggiamento ambiguo è sostenuto dai medici nei confronti delle spezie, la cui funzione terapeutica è antecedente a quella gastronomica, anticipando la progressiva liberazione della cucina dalla medicina. Anche per quanto riguarda il cacao e la cioccolata e il loro inserimento nel regime alimentare, l’Europa cristiana si scontrò a lungo sull’argomento, soprattutto perché, nel loro effetto euforizzante, mettevano in crisi, per quanto assumibili nel loro stato liquido, il rigore del digiuno. Liquidum non frangit jeiunum: con questo assioma, veniva, in qualche modo, sancita la liceità della bevanda nei confronti dell’impegno liturgico, attraverso un pretestuoso appiglio alla sua natura liquida, che era compatibile con la normativa religiosa. In realtà, le bevande euforizzanti importate a seguito dei viaggi transoceanici avevano rivoluzionato le abitudini alimentari ed

erano guardate con estremo sospetto e, spesso, con un atteggiamento di condanna: da questa reazione, scaturì la necessità di fare appello alle “ragioni della salute”, con cui medici e scienziati si affrettavano a spiegare che alcol, tè, caffè, cioccolato facevano bene e proponendo, quindi, in sincera convinzione, un alibi intellettuale, per “aprire la porta al “desiderio”26,27. La cioccolata fu protagonista di questo dibattito, soprattutto in Spagna e in Italia. La “cioccolata indica”, molto speziata, che il medico napoletano Giuseppe Donzelli inseriva nel suo Teatro farmaceutico28, non a caso venne trasformata in elettuario dal farmacista Adriano Mynsicht29: la cioccolata ha un alto valore nutritivo, preserva dalle malattie ed ha efficacia terapeutica, risanando da stomachi languores, debilitates, cruditates, vomitum & cardialgiam… intestina a flatibus, aut colica passione vindicat & ipse qui diarrhoea, aut super purgationem exhaustum habet ventriculum, hujus choccolate potu summum experietur medicamentum. Si apriva, in questo modo, la strada alla liceità del suo consumo, che conquistò, prevalentemente, le mense mediterranee, contrapponendosi all’uso nordico del tè e del caffè. Anche il destino del mais e del pomodoro rappresenta un capitolo importante della fisionomia mediterranea: il Medioevo aveva già conosciuto i “grani di mare”, che salvavano le annate di cattivo raccolto, ma l’impatto esercitato dal mais fu molto più forte. Importato da Colombo, si acclimatò facilmente e venne coltivato in Castiglia, Andalusia, Catalogna, Portogallo, Francia sud-occidentale, Italia. Resistente e produttivo, il mais è stato, a lungo, presente nei campi dei mezzadri, nella parte di loro esclusiva pertinenza, garantendo una risorsa più sicura rispetto al frumento: responsabile dell’insorgenza della pellagra

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Annibale Carracci, Il Mangiafagioli, 1583, Roma, Galleria Colonna

nelle zone in cui il monofagismo maidico era predominante, rappresentò una presenza importante nella alimentazione europea. L’asiatica melanzana, importata dagli Arabi nel corso del Medioevo, si diffuse prevalentemente in Catalogna e nelle regioni del mediterraneo peninsulare; i fagioli bianchi con l’occhio nero, che riempiono la scodella del protagonista del quadro di Annibale Carracci, hanno imposto anche una variazione nella terminologia, da dolichos a phaseolus. Il pomodoro sedusse i palati italiani, spagnoli e provenzali, ma dovette attendere la fine del XVIII secolo per affermarsi in Europa e molto più tardi fu apprezzato sotto forma di salsa e di condimento. “Questo ortaggio o frutto, comunque si voglia chiamarlo, era quasi del tutto sconosciuto a Parigi quindici anni fa. È stato grazie all’immigrazione di gente proveniente dal Mezzogiorno che

la Rivoluzione ha condotto nella capitale, dove quasi tutti fanno fortuna, che questo frutto vi si è acclimatato. Inizialmente molto caro, è poi diventato estremamente diffuso e in quest’anno che sta per terminare lo si vede alle Halles, in grandi cesti, mentre prima era venduto a sei alla volta…Comunque sia, i pomodori sono un elemento preziosissimo per la cucina ricercata. Servono per produrre eccellenti salse, che si accompagnano con ogni tipo di carne”. Così Brillat-Savarin, negli ultimi giorni del consolato di Napoleone, racconta l’uso del tomat30. Le “popolazioni del Mezzogiorno” sono forse da interpretare come tre cognati originari della Provenza, che aprirono un ristorante in rue Saint-Anne nel 1786, prima della presa della Bastiglia e prima dell’ascesa sociale del pomodoro: in realtà, il pomodoro, dopo essere passato dal vaso di fiori che ornava la finestra della

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Maître François,, Mercanti di grano e di vino, in Sant’Agostino, La città di Dio, Libri I -X, volgarizzamento di Raoul de Presles, The Hague, MMW, 10 A 11, c. 253v , 1475-1480, L’Aja (Den Haag) - Museum Meermanno

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Habits & commerce des Indiens du quartier d’Urabx, in P. B. Van der Aa, La Galerie agréable du monde..., Leyden, [ante 1733], N. IX. 9-30, v. 22, tav. [33a] Roma, Biblioteca Casanatense

nonna di L’Arlesienne di A. Daudet alla coltivazione nel giardino del signor Roumanille, ex soldato dell’impero diventato coltivatore e padre del grande poeta Joseph Roumanille, cominciò a essere coltivato anche in Francia, sostituendo colture in disgrazia, come quella della robbia, della vite, dell’olivo31. La fame Il sistema produttivo europeo, nel 1700, subì una forte scossa, dovuta anche al grande incremento demografico, a cui non faceva seguito un altrettanto forte sistema produttivo: le carestie si abbatterono sull’intero continente, provocando uno stato di ipoalimentazione diffusa, a cui si cercò di sopperire attraverso l’ampliamento dei terreni coltivati e l’introduzione di sostanze più redditizie,

come il mais, il riso e la patata. Scopo di questi alimenti era, in realtà, riuscire a tamponare il sintomo-fame: nell’Italia meridionale, si diffuse, per questo, il consumo della pasta. Pasta fresca e pasta secca rappresentano i due sistemi fondamentali della sua produzione: il primo, antichissimo, diffuso in molte zone del mondo; più recente l’altro, la cui invenzione è tradizionalmente fatta risalire agli Arabi, che avrebbero usato l’essiccazione per garantire la sopravvivenza durante gli attraversamenti del deserto. Se il poeta Francesco de Lemene (16341704) rivendica a Napoli l’invenzione dei maccheroni (…Siamo noi, i napoletani e i bergamaschi/ A voler costituire, ognuno per sé, la patria dei Maccheroni…/ Siamo vicini e ci batteremo più per i maccheroni che per il Tasso!) anche la novel-

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la LXI della raccolta di Sacchetti ha come tema i maccheroni: ne è protagonista un signore fiorentino, che rimprovera un suo intendente di consumare la pasta con il pane… In realtà, le prime testimonianze relative all’uso della pasta provengono dalla Sicilia, nel palermitano, dove è attestata, già nel XII secolo, la produzione della pasta secca. Dalla Sicilia alla Liguria: una lunga teoria di centri di produzione della pasta si collocano successivamente in Puglia, per poi diffondersi anche al Nord. Anche nel caso della pasta, come nel caso del pane, è legittimo pensare a due diversi livelli di consumo: il concetto di conservazione della pasta secca la colloca nell’universo popolare, là dove la scorta alimentare è garanzia per i momenti più difficili; la pasta fresca pare, invece, appannaggio delle classi più elevate, nella sua effimera trasformazione nel morbido ricamo di tortelli e ravioli o nella decorazione quasi musiva di lasagne e cannoli ripieni. “Tortelli tortelli/ o cosa squisita/ voi date la vita;/ il mondo non ha/ di voi né averà/ conforti più belli/ tortelli tortelli”32. Così Giovanni Battista Fagioli, autore delle Rime piacevoli (1729-30), esaltava il ricco tortello. L’uso della pasta rimase per lungo tempo circoscritto: nei periodi in cui il prezzo della farina aumentava, era proibito, nel napoletano, fabbricare la pasta, così come in Sicilia, per quanto, nel 1501, fosse inserita tra i generi di prima necessità soggetti a calmiere. Solo nel XVII secolo la pasta cominciò a rivestire un ruolo importante nel regime alimentare, a seguito di precisi avvenimenti economici e politici: l’incremento demografico, infatti, mise a dura prova l’approvvigionamento alimentare e si ridussero i consumi della carne, che vennero sostituiti dai cereali33.

Nello stesso tempo, l’invenzione del torchio meccanico e la maggiore diffusione della gramola permisero di produrre la pasta a prezzo inferiore e in maggiore quantità: da questo momento, i ceti popolari utilizzarono la pasta come alimento primario, abbinata al formaggio, che ne fu abituale condimento, fino all’Ottocento, quando si sposò con la salsa di pomodoro. Nella grande famiglia delle paste alimentari secche, che solo a fine Ottocento saranno veramente tali, grazie a un particolare procedimento di essiccatura naturale alternata a caldo e a freddo, va inserito anche il cous cous, a base di frumento, sorgo o miglio, non macinato in farina, ma spezzettato: è una semola grossolana, cotta a vapore, che ha conquistato gli onori della letteratura nella descrizione di Rabelais, che parla di un “coscoton alla moresca”, molto apprezzato in Provenza. Volume alimentare e apporto proteico: un binomio perfetto per garantire la sopravvivenza e la possibilità di sfuggire alla denutrizione ed alla pellagra, che caratterizzavano il Nord. Senza posate e per la strada, la pasta consentiva un consumo immediato, anche senza l’uso di condimento… Champagne ghiacciato Le convinzioni dietetiche del passato hanno continuato ad influenzare a lungo le scelte dei cuochi e le strategie di preparazione degli alimenti: numerosi consigli gastronomici tradiscono questo strettissimo legame, tra cui la condanna nei confronti delle bevande ghiacciate. Una credenza molto diffusa sosteneva, infatti, che il vino si trasformasse subito in sangue, all’interno del corpo umano, per cui sarebbe stato dannoso alla salute berlo ad una temperatura troppo bassa. Molti consigli alimentari dal XVII secolo

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in poi denotano un sempre crescente allontanamento dalle prescrizioni della dietetica antica. Gli alimenti, che si credevano riservati agli strati più bassi della popolazione, cominciano a comparire su più nobili mense: ne sono esempio le verdure, che, radicate nel terreno, erano considerate grossolane e, quindi, riservate ai lavoratori manuali, oppure la carne di bue, ritenuta, come quella di altri quadrupedi, più pesante del pollame, in quanto legata fortemente al suolo. Latte e pesce: un binomio pericolosissimo, secondo la medicina medievale, che viene contraddetto dai consumi alimentari del XVIII secolo. Nelle ricette più antiche, i condimenti avevano un ruolo funzionale quanto nei trattati di dietetica, ruolo che viene progressivamente perso nelle epoche successive. Proprio le droghe sono protagoniste di questo nuovo orientamento: gli autori francesi, che avevano a lungo disprezzato la cucina del Sud per l’uso eccessivo di spezie, tendono ora a distinguere le spezie-medicamenti dalle spezie-aromi e sempre loro segnano il futuro destino dello zucchero, legato d’ora in poi solo alla colazione, agli entremets e ai dessert, e della frutta, servita alla fine del pasto, contro ogni consiglio della medicina precedente. Al centro dei dibattiti nell’Europa del Settecento è la carne: il successo delle dottrine vegetariane tipiche dell’Illuminismo è la spia di un profondo cambiamento, che coinvolge anche il pensiero filosofico. Come la carne era stata bandita dalle mense dei Cristiani, viene ora riproposta una alimentazione vegetale, come simbolo di semplicità e leggerezza, che contrappone la svolta illuminista alla ricchezza dei pranzi d’ancien régime: i sapori forti e le pietanze decise delle epoche precedenti vengono sottoposti a durissima critica e condannati, insieme a tutto il mondo di valori che rappresentano.

Il rapporto tra la medicina e l’alimentazione diventa, allora, molto più articolato, tanto che la medicina si sforzerà di assecondare le ragioni del gusto, finchè la gastronomia se ne emanciperà decisamente. Libera dall’essere al servizio della salute, l’arte culinaria, che si pone ora al servizio del buon gusto, supera il rapporto col temperamento individuale e l’umore predominante, valicando anche il condizionamento sociale. Se nel XVII secolo la stagione dei ricettari “nazionali” sembra terminata, inizia un processo di regionalizzazione, che trova nella Lucerna de corteggiani di Giovan Battista Crisci (Napoli, 1634) un vero e proprio repertorio di prodotti dell’Italia centro-meridionale34. Nonostante la diffusione della cucina francese, attraverso il Piemonte, che convive con un sostrato autoctono forte, alla fine del Settecento si attua una vera e propria rinascita della cucina italiana, che si consolida anche nell’epoca successiva, come dimostra la pubblicistica gastronomica successiva all’Unità: tre modelli (locale, statale, internazionale) riflettono un assetto profondo ed articolato, a conferma di “una cucina socialmente stratificata e geograficamente distribuita”35, che si cala nelle diverse realtà regionali, le quali, prima di essere divisioni amministrative, sono realtà ambientali e culturali. La rivoluzione industriale Il cambiamento dei rapporti sociali indotto dai mutamenti economici e produttivi del XIX secolo accompagna anche una modificazione del paesaggio produttivo e dei rapporti di lavoro, lasciando una traccia profonda anche nella storia dell’alimentazione e marcando un netto divario anche tra le diverse aree interessate al fenomeno. La prassi delle misurazioni antropometriche, entrata in uso nella seconda metà dell’Ottocento, sulla scorta delle suggestioni positivi-

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ste, nell’ambito di un rilevamento delle condizioni di vita della popolazione nello Stato Italiano dopo l’Unità, metteva infatti in luce gravi deficit fisici, dovuti a problemi dietetici. L’alimentazione femminile, inoltre, appariva generalmente dipendente da un modello profondamente discriminante, soprattutto nei ceti inferiori, così come la sottoalimentazione infantile generava patologie ed era causa di molti decessi36. La buona salute diventava, in questa prospettiva, un obiettivo da raggiungere partendo da una sana alimentazione: in realtà, in mancanza di presidi terapeutici efficaci, l’assunzione di un apporto calorico adeguato rappresentava una strategia importante, tanto che i medici condotti dell’Ottocento insisteranno a lungo sulla opportunità della dieta terapeutica, intendendo con essa la somministrazione di carne, vino imbottigliato, pane bianco, caffè, uova e frutta. L’onda lunga della logica della produzione industriale del XIX secolo coinvolse, nei suoi benefici, anche le classi inferiori, potenziali consumatori nella prospettiva di nuovi mercati: se l’agricoltura, infatti, non produceva più cibo, ma forniva materie prime all’industria alimentare, i progressi della zootecnia e le innovazioni tecnologiche, che modificarono i sistemi di conservazione e di trasporto della carne, ne innalzarono i livelli di consumo. Parallelamente allo sviluppo del comparto conserviero, altri due fattori contribuirono a dare una nuova fisionomia alla cucina italiana: la propaganda turistica e quella scolastica attuate dalla politica del Regime. Il turismo marino e i viaggi verso il Sud, iniziati ai primi del Novecento e condivisi da una borghesia medio-alta, avevano rivendicato all’Italia il ruolo di baricentro della civiltà occidentale, protesa geograficamente verso il Nord-Africa, ma legata al centro d’Europa nella politica del Patto d’Acciaio.

Esposizioni, fiere, sagre, campagne autarchiche e folklore, inoltre, furono le strategie messe in atto nel Ventennio, per divulgare un diverso sistema alimentare, finalizzato culturalmente a marcare la fisionomia della cucina italiana e a giustificare, da un punto di vista politico, le scelte dell’autarchia e la “battaglia del grano”. Nel primo decennio fascista, soprattutto, la tattica politico-produttiva mirava a una “riconversione alimentare” che, al di là dei programmi roboanti del Regime, tendeva essenzialmente a salvare la bilancia commerciale: diffondere i contenuti energetici dei cereali a scapito di quelli proteici, attraverso la protezione doganale. La volontà di indirizzare i consumi verso alimenti prodotti all’interno del paese si traduceva nella propaganda dell’autarchia nazionale e domestica: carne, pane bianco, zucchero e alcol, che erano considerate sostanze che influivano negativamente sulla razza, in quanto “alimenti antifisiologici”, venivano bandite e sostituite da latte e derivati, uova, miele, cereali, verdura, frutta. Non a caso, Nicola Pende sosteneva che la riduzione del consumo della carne serviva a rendere “ancora più sana e più consona con le tradizioni di frugalità mediterranea questa nostra razza, di cui i carnivori nordici temono la crescente prolificità e le sicura longevità”37. Queste affermazioni, che si ammantavano di deboli convinzioni scientifiche, costruivano un modello in cui le condizioni dell’ideale naturistico si sposavano con quelli della salute, della vigoria fisica, della fertilità: in realtà, il problema di una alimentazione adeguata era molto diffuso e, dopo l’introduzione delle vitamine, agli inizi del Novecento, che avevano avviato, a partire dagli Stati Uniti, il modello della Newer Nutrition, tornava alla ribalta il problema di una nutrizione efficace.38

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La scoperta delle vitamine, infatti, aveva indicato che molti alimenti, fino ad allora sottovalutati, dovevano essere riconsiderati: alla fine degli anni Trenta, si scatenò, allora, negli Stati Uniti, la “vitaminomania”, che si tradusse, in un primo tempo, nella produzione di integratori in pillole e poi nella diffusione di additivi specifici. Successivamente, con l’avvento della guerra, l’attenzione si spostò sul problema del razionamento. Il modello bucolico proposto dal Regime, invece, aveva tre diversi obiettivi: salvaguardare i prodotti nazionali, fortificare la salute fisica, potenziare l’incremento demografico. Su questi principi impostò la sua propaganda alimentare, che si perpetuò anche dopo che fu cancellata l’utopia imperiale del Fascismo. Nell’Italia repubblicana, profondamente divisa tra Settentrione e Meridione, permaneva un analogo orientamento alimentare e si consolidava lo stereotipo del Sud della penisola, caratterizzato da una cultura alimentare fatta di olio, verdure fresche, sapori intensi, pesci di mare, il cui flusso verso il Nord era garantito dall’efficienza dell’industria conserviera. L’origine locale venne sempre rispettata e valorizzata e, anche quando alcuni alimenti verranno prodotti nel Settentrione, non perderanno la loro denominazione di origine, che rappresentava un valore aggiunto alla loro qualità. “Mare nostrum” Nella faticosa ricostruzione del dopoguerra, ma, soprattutto con il boom economico e la divulgazione del modello americano e l’apparente democratizzazione sociale e geografica della disponibilità alimentare, cominciavano ad evidenziarsi importanti mutamenti nel tenore di vita generale della popolazione, che passava da una alimentazione prevalentemente cerealicola a una alimentazione,

che, soprattutto al Nord, era basata su proteine e grassi animali.39 La carne, in particolare, considerata a lungo preclusa ai ceti inferiori, fu una conquista dei meno abbienti, l’espugnazione di uno status symbol, una atavica rivendicazione. I grassi, olio e burro, e la carne, infatti, sono sempre stati appannaggio delle classi più elevate per il loro costo, tanto che, nel momento in cui l’alimentazione delle classi inferiori era prevalentemente a base di cereali, si erano generate vistose conseguenze sullo stato di salute della popolazione, carente di vitamina D. L’iconografia è testimone di due diversi stereotipi, mostrando generosamente storpi e zoppi, contrapposti all’ideale estetico del “grasso”, simbolo di ricchezza e di benessere, con una accezione eminentemente positiva. Mentre, quindi, aumentava, in tempi recenti, l’incondizionata disponibilità di prodotti, si registravano due fenomeni apparentemente contrapposti, ma intimamente legati: a seguito della grande accessibilità delle risorse alimentari, veniva rimarcato come, da una parte, la ipernutrizione produceva conseguenze negative sullo stato di salute; dall’altra, si diffondeva, invece, un diverso modello estetico, nella ricerca di nuovi parametri distintivi. Nel momento in cui l’abbondanza del cibo è una conquista di massa, viene recuperato un modello estetico opposto40. Salute e bellezza: un binomio che si è costruito sulle esigenze della fisiologia e dell’estetica, indicando la necessità di un diverso regime alimentare, sia per salvaguardare la salute, sia per capovolgere uno stereotipo ormai superato. Furono i medici americani, in particolare Ancel Keys e i suoi collaboratori, a “riscoprire” la cultura alimentare mediterranea e a divulgare il mito “di un Sud miracolistico, terapeutico, enorme giacimento di vitamine e di

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Copertina del Times, Gennaio 13, 1961: Ancel Keys

acidi grassi polinsaturi”41, dando avvio al rilancio della cucina inventata dalla povertà42. Keys, infatti, che negli anni del secondo conflitto mondiale si trovava in Italia, aveva osservato i benefici effetti della alimentazione tipica delle aree meridionali per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e si era fatto promotore di una campagna di sensibilizzazione che tendeva a divulgare il modello alimentare mediterraneo43. La scoperta che una alimentazione ricca di grassi polinsaturi abbassava i livelli di colesterolo, i cui rapporti con la malattia arteriosclerotica erano già stati evidenziati negli anni Sessanta, raggiunse il grande pubblico americano: non si trattava soltanto di limitare l’apporto calorico (New Nutrition) o di assumere cibi con alto contenuto vitaminico (Newer Nutrition), ma di ridurre in modo drastico il consumo di alimenti che avrebbero potuto avere conseguenze negative sullo stato di salute44.

La dieta bilanciata, basata sui 4 gruppi alimentari basici, veniva ad essere superata, in quanto i latticini erano palesemente coinvolti nell’aumento del livello di colesterolo: successivamente anche la carne rossa venne sottoposta a questa critica45. Non a caso, infatti, il messaggio di Keys, che era stato anche l’inventore della razione K per i soldati americani46, si rivolse prevalentemente ai paesi anglosassoni: la cucina italiana e non solo meridionale - esaltata dall’esperienza di piccole comunità chiuse e conservatrici, diventava la strategia per combattere il colesterolo, le malattie cardiache, l’obesità47. Passata alla storia come dieta mediterranea, questa scelta nutrizionale che, come abbiamo visto, è frutto dell’incontro tra esperienze culturali diverse, stratificate nel corso dei secoli in un colorato melting pot, assurgeva a regime alimentare di eccellenza e veniva sperimentata in tutti i paesi dell’area mediterranea48. Contemporaneamente, lo stimolo al recupero di una alimentazione sana e regolata veniva da un’esigenza completamente diversa: nel momento in cui l’elevazione del tono di vita consentiva, infatti, un maggiore introito calorico a grandi strati della popolazione, l’ideale estetico della persona grassa, simbolo di potere e ricchezza nelle civiltà più antiche, lasciava il posto a quello contrario. Il valore della magrezza, in realtà, è presente anche nella medicina antica, nella letteratura cavalleresca, negli scritti di estetica femminile, nell’ideologia alimentare dell’Illuminismo e del puritanesimo ottocentesco, ma nel XX secolo ha caratteristiche diverse, ora che la paura della sovralimentazione ha cancellato l’annosa paura della fame49. Per quanto esistano, infatti, differenze legate ai diversi sistemi politici ed economici, che hanno avuto conseguenze capillari, dividendo l’Europa in due grandi blocchi anche a livello di alimentazione, è possibile individua-

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re, anche in questi ultimi tempi, degli episodi congiunturali che permettono di evidenziare degli atteggiamenti comuni: in primo luogo, i legami tra cibo e territorio sono stati superati, permettendo di fronteggiare il problema della fame e i rischi delle cattive annate. Lo sviluppo dei trasporti e delle tecniche di conservazione ha aperto la strada a questa delocalizzazione del sistema alimentare, che viene a cancellare l’appartenenza territoriale di certi prodotti, grazie anche allo sviluppo, in anni recenti, della catena del freddo50. Una conseguenza della delocalizzazione è l’affievolirsi della individualizzazione: i modelli alimentari del mondo industrializzato, infatti, hanno raggiunto una sorta di uniformità, sia per l’aumentata mobilità sociale, per lavoro o turismo, sia per il venir meno dei calendari religiosi, sia per l’allentarsi dei vincoli stagionali. In realtà, questo superamento del rapporto uomonatura-alimentazione vede un allontanamento dei consumatori dai processi produttivi: la costante disponibilità di prodotti sul mercato, superando la stagionalità della loro produzione, mette in condizione di essere indipendenti dalla natura, dando l’effimera illusione di aver raggiunto finalmente quell’utopia alimentare, il paese di Cuccagna, che è un topos della letteratura da Boccaccio ai fratelli Grimm51. Di contro all’abbondanza alimentare dei nostri tempi, si è disegnata un’altra ideologia del benessere e del potere, recuperando istanze salutistiche da tempo dimenticate e la modificazione del significato del termine “dieta” è paradigmatica: nella medicina greca, indicava il regime di vita, il sistema, cioè, con cui l’organismo realizza il proprio benessere, valutando le caratteristiche individuali; oggi, indica, invece, la limitazione del cibo, caricando di una accezione negativa un concetto che, invece, era stato formulato in un’ottica positiva52. Giustamente Barthes scriveva che mangiar poco è segno di efficienza e di potere53, ma la spiega-

zione può essere scritta davvero nella ancestrale educazione religiosa che crediamo rimossa e che, invece, ha radicato in noi una volontà penitenziale inconfessata54. In forza della sua duplice, ambigua natura di animale logico e di animale simbolico, oltre che essere naturale, l’Homo edens è produttore di cose e di immagini: in questo senso, le scelte alimentari diventano prodotto culturale55. Il codice alimentare trasfigura, infatti, come abbiamo visto, sul piano simbolico, le articolate condizioni e gerarchie del potere e i momenti fondamentali dei rapporti umani, si diversifica secondo il variare delle circostanze e risponde a esigenze diverse, diventando uno strumento euristico importante per penetrare la trama del vissuto collettivo. Bibliografia 1. Cardini F. Alimentazione e storia, in AA.VV., Archivi per la storia dell’alimentazione. Atti del convegno, Potenza-Matera 5-8 settembre 1988. Roma: Ministero Beni Culturali, 1995, volume I: 1-39; Cini C. L’alimentazione nella storia, Bologna: Regione Emilia Romagna, 1987. 2. Puddu P. La conoscenza del cibo. Dalla preistoria ai cibi di Frankenstein, Bologna: Clueb 2002. 3. Montanari M. Il cibo come cultura, Bari-Roma: Laterza 2004. 4. Vanitallie TB. Ancel Keys: a tribute, Nutrition & Metabolism 2.4, 2005: 2-4. 5. Barthes R. Pour une psycho-sociologie de l’alimentation contemporaine. Annales ESC 1961; XVI. 6. Lippi D, Conti AA. Storia della Medicina per il Corso di Laurea Triennale in Dietistica, Bologna: Clueb 2004. 7. Toussaint-Samat M. Storia naturale e morale dell’alimentazione, Firenze: Sansoni, 1991: 601-2. 8. Bresciani E. La cultura alimentare degli Egiziani antichi, in AA. VV. Storia dell’alimentazione, a cura di M. Montanari e JL. Flandrin, Bari-Roma: Laterza 1999: 37-45. 9. Grmek MD. Le malattie all’alba della civiltà occidentale, Bologna: Il Mulino 1982; Lippi D. Il favismo nell’antico Egitto, Medicina nei Secoli, 1989, I.3: 3016. 10. Lippi D, Baldini M. La Medicina. Gli uomini e le teorie, II ed, Bologna: Clueb 2006.

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11. Mazzini I. Alimentazione e medicina nel mondo antico, in AA. VV. Storia dell’alimentazione, cit.: 191-200. 12. Smith WD. Erasistratus dietetic medicine, Bull. Hist. Med. 56, 1982: 398-409. 13. Idem 14. Idem 15. Mazzini I. Alimentazione e salute secondo i medici del mondo antico: teoria e realtà, AA.VV. Homo edens, Regimi, riti e pratiche dell’alimentazione nella civiltà del Mediterraneo, Milano Diapress 1989: 257-64. 16. Smith WD. The development of classical dietetic theory, Hippocratica, Actes du Colloque Hippocratique de Paris (4-9 septembre 1978), Paris: 1980: 436-48. 17. Gourevitch D. Le menu de l’homme livre. Recherches sur l’alimentation et la digestion dans les oeuvres en prose de Sénèque le philosophe, AA.VV. Mélanges de philosophie, de littérature et d’histoire ancienne offerts a Pierre Boyancé, Roma: 1974: 311-44. 18. Montanari M. Alimentazione e cultura nel Medioevo. Roma-Bari: Laterza, 1988. 19. Toussant-Samat M. op. cit.: 239. 20. De flore dietarum, Trattatelo medievale salernitano sull’alimentazione, a cura di P. Cantalupo, Annali Cilentani, Quaderno 2, 1992: 1-45. 21. AA. VV. Il mondo in cucina. Storia identità, scambi, a cura di M. Montanari, Bari-Roma: Laterza 2002. 22. Allen SL. Nel giardino del diavolo. Storia lussuriosa dei cibi proibiti, Milano: Feltrinelli 2005. 23. Flandrin JL. Condimenti, cucina e dietetica tra XIV e XVI secolo, in AA. VV. Storia dell’alimentazione, cit.: 380-98. Qui, p. 387. 24. Naso I. La cultura del cibo: alimentazione, dietetica e cucina nel Basso Medioevo. Torino: Paravia-Scriptorium, 1990; Flandrin J-L. I tempi moderni, in AA. VV. Storia dell’alimentazione, cit.: 427-48. 25. Montanari M. Il mondo in cucina. Storia, identità, scambi, Bari-Roma: Laterza 2002. 26. Lippi D. Esta preciosa y medicinal bebida. L’uso della cioccolata in Medicina, in AA. VV. Cioccolata, squisita gentilezza, Catalogo della mostra, Firenze, Vallecchi 2005, a cura di P. Scapecchi e L. Nencetti: 45-54. 27. Montanari M. La fame e l’abbondanza, Roma-Bari: Laterza, 1993. 28. Donzelli G. Teatro farmaceutico Dogmatico e Spagirico…nel quale s’insegna una molteplicità d’arcani chimici più sperimentati dall’autore, in ordine alla sanità con evento non fallace…, Venezia: Gio. Francesco Valvasente, 1696. 29. Mynsicht Hadrani A. Thesaurus et armamentarium medico-chimicum, Venetiis, 1707, p.147. 30. Toussaint-Samat M. op. cit.: 787-90. 31. Toussaint-Samat M. op. cit.: 787. 32. Montanari M. Nuovo convivio. Storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età moderna, Bari-Roma:

Laterza 1991: 273. 33. Montanari M. La fame e l’abbondanza, Bari-Roma: Laterza 1994: 179. 34. Capatti A, Montanari M. La cucina italiana. Storia di una cultura, Bari-Roma: Laterza 2002. 35. Idem: 32. 36. Colella A. Figura di vespa e leggerezza di farfalla, Firenze: Giunti 2003 37. Sorcinelli P. Gli Italiani e il cibo, Bologna: Clueb 1995: 160-74. 38. AA. VV. Il cibo e l’impegno, I Quaderni di MicroMega, Suppl. al nr. 5/2004. 39. McGee H. Il cibo e la cucina. Scienza e cultura degli alimenti, Roma: Franco Muzzio Ed. 1989 40. Whorton JC. Crusaders for fitness: the history of american health reformers, Princeton: Princeton University Press 1982. 41. Capanni A, Montanari M. op. cit.: 39. 42. Stacey M. Consumed: Why Americans Love, Hate and Fear Food, New York: Simon and Schuster, 1994. 43. Keys A. Mediterranean diet and public health: personal reflections, Am. Jour. Clin. Nutr. 61, 1995: 1321-3. 44. Nestle M. Mediterranean diets: historical and research overview, Am. Journ. Clin. Nutr. 61 (Suppl. 6), 1995: 1313-20. 45. Roth D. America’s Fascination with Nutrition, Food Review 23.1, 2000: 32-7. 46. Kalm LM, Semba RD. They starved so that others be better fed: remembering Ancel Keys and the Minnesota Experiment, The Journ. of Nutr. 135, 1995: 13471352. 47. Keys A, Keys M. Eat well and stay well, New York: Doubleday and Co. 1959. 48. Contaldo F, Pasanisi F, Mancini M. Beyond the traditional interpretation of Mediterranean diet, Nutr. Metab. Cardiovasc. Dis. 13, 2003: 117-119. 49. AA. VV. Ecologia e alimentazione. Atti 3° Convegno Nazionale, Firenze 9-12 maggio 1990, Firenze, Seminario di Scienze Antropologiche 1992. 50. Pelto G, Pelto P. Alimentazione e delocalizzazione: i cambiamenti nel regime alimentare dopo il 1750, in La fame nella storia, a cura di R. Rotberg e T. Rabb, Roma 1987: 307-327. 51. Lippi D. I determinanti socio-culturali nell’alimentazione europea negli ultimi secoli, in AA. VV. Aggiornamenti in nutrizione clinica 10, Roma: Il Pensiero Scientifico Editore 2002: 111-123. 52. AA. VV. The Nutrition Transition. Diet and Disease in the Developing World, B. Caballero and B. M. Popkin Ed., London: Academic Press 2002. 53. Barthes R. op.cit., v. nota 5. 54. Cabras PL. Il cibo e i suoi significati nella storia del genere umano, in AA. VV, L’obesità. Firenze: SEE 1997: 29-48.

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Piramidi alimentari e dieta mediterranea Carlo Maria Rotella con la collaborazione di Silvia Ciani

Mentre la nutrizione rappresenta il processo di assunzione di un cibo e la sua successiva trasformazione all’interno del corpo ed è un processo istintivo, guidato dalla necessità di soddisfare la sensazione della fame, per alimentazione si intendono tutti quei processi che stanno alla base della preparazione dei cibi (la cottura, la conservazione, la modificazione) e che ne alterano il sapore, l’odore, la consistenza e che quindi sono guidati dal soddisfacimento di una esigenza psicosensoriale più complessa, che sottende la necessità di appagare un piacere più che un bisogno. Nel corso della storia, l’alimentazione è variata nel tempo, si è arricchita, articolata, modificata, così come si sono modificate le usanze e la struttura sociale; l’agricoltura, l’allevamento, la scoperta di nuove terre, l’industrializzazione, sono andate di pari passo con lo sviluppo demografico tanto che risalgono al 1798 (Malthus) le prime proiezioni o

meglio “preoccupazioni” riguardo al progressivo e incalzante aumento demografico rispetto all’andamento nella produzione di alimenti. Il progresso della scienza, lo studio della fisica, della chimica e della biologia fin dal 1600 hanno dato contributi essenziali per la conoscenza della composizione degli alimenti e della fisiologia del nostro organismo, chiarendo i bisogni alimentari e nutritivi dell’uomo. Pertanto negli ultimi secoli si sono sviluppate da un lato le tecniche per incrementare la produttività alimentare, e dall’altro le dottrine e le scienze rivolte allo studio delle popolazioni e del loro modo di alimentarsi, ed in particolare allo studio di come certi tipi di alimenti siano in grado di incidere sulla qualità della vita degli individui in specifiche condizioni psico-biologiche ed eco-sociali. A partire dai primi anni del ventesimo secolo tutti i paesi industrializzati si sono

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Food for Young Children

1992

1916 1940s 1970s

2005

1950s-1960s

FIGURA 1 Indicazioni sui comportamenti alimentari e sull’attività fisica redatte negli anni dal United States Department of Agriculture (www.mypyramid.gov)

preoccupati di fornire delle linee guida o delle direttive per l’alimentazione, nell’ottica di favorire la crescita e lo sviluppo armoniosi degli individui nelle singole comunità. Negli Stati Uniti d’America, per esempio, il Dipartimento dell’Agricoltura1 ha redatto nel corso degli anni varie indicazioni rivolte alla popolazione (Fig. 1); le informazioni contenute promuovevano comportamenti alimentari ritenuti idonei alle reali esigenze della maggior parte degli individui, dando particolare enfasi al problema delle necessità nutrizionali nella fascia dell’età evolutiva. Dagli anni ’70 in poi, i dati progressivamente raccolti dallo studio sulle popolazioni di tutto il mondo hanno permesso di evidenziare che le popolazioni che si affacciavano

sul Mediterraneo avevano una maggior aspettativa di vita rispetto ad altre di aree limitrofe e che questo dato correlava con un certo tipo di alimentazione che possedeva caratteristiche comuni in quell’area. Fu allora che, nel 1992, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, iniziò una campagna per la salute promuovendo il corretto stile alimentare tipico delle zone mediterranee, elaborando uno schema visivo a forma di piramide che racchiudeva in sè il significato delle osservazioni scientifiche raccolte fino a quel momento (Fig. 2). Dal 1992, quindi, questa piramide è stata, ed è tuttora, l’icona della corretta alimentazione per tutti i paesi industrializzati. Nel tempo è stata tradotta e modificata, ma sostanzialmente il

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Parole chiave Grassi (naturalmente presenti e aggiunti) Zuccheri (aggiunti)

Grassi, Oli e Dolci Uso moderato

Questi simboli mostrano gli zuccheri e i grassi aggiunti ai cibi

Latte, yogurt e formaggi 2-3 porzioni

Carne, pollame, pesce, legumi, uova e frutta secca 2-3 porzioni Frutta 2-4 porzioni

Verdura 3-5 porzioni

Pane, cereali, riso e pasta 6-11 porzioni

FIGURA 2 La piramide guida di cibi USDA (United States Department of Agriculture) - 1992

significato educativo in essa contenuto è rimasto immutato. Infatti è proprio in questa rappresentazione grafica di un modello di alimentazione che compare per la prima volta il concetto dell’uso della “porzione”, piuttosto che ricorrere al peso in grammi degli alimenti da consumare nel corso di ogni singolo pasto. Grazie a questa immagine vediamo rappresentati i vari gruppi di alimenti distribuiti sui vari livelli della piramide. Il gruppo dei cereali (pane, pasta, riso, patate), e sopra il gruppo della frutta e della verdura stanno alla base della piramide e quindi sono da consumare in maggior quantità e più frequentemente (più porzioni al giorno). Il gruppo dei latticini (latte, yogurt e formaggi) e degli alimenti ricchi in proteine (carne, pesce, legumi e uova) sono da consumare meno frequentemente e da alternare l’uno con l’altro. Il gruppo dei condimenti (olio e burro) e dei dolci, poiché dotati di una più elevata concentrazione calorica, è al vertice della piramide e quindi da usare meno frequentemente ed a piccole dosi. Questo sicuramente rappresen-

tava un modello innovativo, che permetteva di istruire le persone ad utilizzare con moderazione gli alimenti con elevata concentrazione di lipidi, che continuano a rappresentare anche oggi il più grosso fattore di rischio di sviluppo dell’obesità viscerale e delle sue complicanze metaboliche. In realtà produrre un modello di educazione alimentare ed aspettarsi dei risultati concreti nel breve o medio termine non è così facile come ci si potesse aspettare a quell’epoca, tanto è vero che le abitudini alimentari di circa il 50% della popolazione dei paesi industrializzati non sono ancora corrette2 e la prevalenza dell’obesità continua ad aumentare. Date queste premesse, nel 2001, all’Harvard School of Public Health3, nel Massachusetts, un gruppo di esperti nutrizionisti aggiornò la rappresentazione grafica e la struttura concettuale della piramide alimentare, sulla base della evoluzione delle evidenze scientifiche e dei dati relativi alle cause di mortalità e preservazione di un buon stato di salute, ed elaborarono la “Healthy Eating Pyramid”, la piramide alimentare della salu-

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Carne rossa, burro Multivitamine (per molti)

uso moderato

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Riso non integrale, pane bianco, pasta non integrale, patate, soda e dolci Latticini o supplemento di calcio 1-2 volte al giorno

Alcol con moderazione (se non controindicato)

Pesce, pollame, uova 0-2 volte al giorno

Frutta secca, legumi 1-3 volte al giorno Verdura (in abbondanza)

Frutta 2-3 volte al giorno

Cibi integrali (nella maggior parte dei pasti) Esercizio quotidiano e controllo del peso

Oli vegetali (oliva, soia, mais, girasole, arachidi e altri oli vegetali)

FIGURA 3 Healthy Eating Pyramid dell’Harvard School of Public Health, Massachussets (2001). Tratto da: Willet WC. Eat, dreank and be healty

te (Fig. 3). Lo scopo di questo nuovo messaggio, rispetto alla USDA food Pyramid del 1992, era quello di dare ancor più informazioni alle persone che avevano intenzione di fare scelte appropriate riguardo alla propria alimentazione, enfatizzando l’importanza dell’attività fisica quotidiana, e non solo dell’alimentazione, al fine di raggiungere un corretto controllo del peso. Le indicazioni riportate su questa piramide, però, sono il risultato degli studi scientifici del settore e non rispecchiano comunque le modalità e le tradizioni culturali alimentari dei singoli paesi occidentali. La stessa Scuola di Harvard ritiene che altre piramidi alimentari, come quelle promosse dall’Oldways Preservation and Exchange Trust4 (Fig. 4) possano essere rappresentative di una corretta alimentazione. In altre parole siamo arrivati alla conclusione che non esiste un solo “modello” per la piramide alimentare, ma ne esistono molteplici, da adattare alle tradizioni alimentari delle singole popolazioni, ma che si rifanno comunque ad un comune intento di promuovere l’educazione alimentare.

In Europa gli ultimi decenni sono stati caratterizzati, infatti, da una serie considerevole di ricerche scientifiche assolutamente concordanti che hanno evidenziato come l’aderenza ad una dieta di tipo mediterraneo sia associata ad una riduzione di tutte le cause di mortalità5, ad una riduzione della prevalenza di disordini metabolici6 come l’obesità e l’ipertensione, ad una diminuzione dell’incidenza di eventi coronarici7,8 e di vari tipi di cancro5. Lo schema a piramide viene quindi utilizzato come immagine di riferimento per una corretta distribuzione dei gruppi di alimenti caratteristici di questo tipo di alimentazione, che per ogni religione, paese e tradizione culturale, può risultare diversa nei particolari, ma fondamentalmente omogenea nei contenuti (Fig. 5). È importante sottolineare che alla base di tutti questi diversi tipi di piramide viene indicata l’assoluta necessità di eseguire una adeguata attività fisica in quanto la quantità e la qualità dei cibi assunti deve necessariamente variare in base all’entità del dispendio energetico. Molte sono le versioni modificate o adattate della piramide alimentare, una delle quali

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Raccomandazioni sulle bevande giornaliere

carne

Mensilmente Dolci

6 bicchieri d’acqua

Uova Vino con moderazione

Pollame Pesce

Settimanalmente

Formaggi e yogurt

Quotidianamente

Olio di oliva

Legumi e frutta secca

Frutta

Verdura

Attività fisica quotidiana

Pane, pasta, riso, couscous, polenta, altri cereali integrali e patate

FIGURA 4 La piramide della dieta mediterranea tradizionale (Oldways Preservation and Exchange Trust, 2000)

(Fig. 6), visto l’aumento dell’incidenza dell’Obesità e del Diabete di tipo 2, è stata concepita, mettendo alla base della piramide frutta e verdura, per incrementarne l’uso: tali alimenti infatti, non solo apportano micronutrienti fondamenali per la prevenzione alla salute (vitamine e sali minerali), ma soprattutto, per il loro contenuto in fibre, aumentano il senso di sazietà e rallentano l’assorbimento degli zuccheri. Un’immagine di questo tipo (Fig. 6) è di supporto terapeutico nel trattamento specifico dell’obesità e del sovrappeso laddove tale condizione è stata determinata da comportamenti alimentari errati9. Una modificazione dello stile di vita porta a focalizzare l’attenzione su cibi più funzionali (pasti frazionati, spuntini ipocalorici a base di frutta e presenza in tutti i pasti di cibi ricchi in fibra, utilizzando ove necessario anche cereali integrali). Una operazione di questo tipo rappresenta una variazione sostanziale dello scopo che lo strumento della piramide alimentare si proponeva originaria-

mente; si passa, cioè, dall’utilizzo per scopi di educazione alimentare rivolti alla popolazione generale ad uno strumento di educazione terapeutica per intervenire sullo stile di vita di alcuni tipi di pazienti affetti da malattie metaboliche. Aggiornamento continuo Lo strumento della piramide alimentare è per definizione uno strumento destinato ad una continua evoluzione con il mutare delle nostre conoscenze. Nel 2005, alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche, sono state redatte in America le nuove linee guida per l’alimentazione10: esse enfatizzano l’importanza del controllo del peso, che non era adeguatamente espressa nella precedente versione e continuano a sottolineare l’importanza dell’attività fisica. Le raccomandazioni sui grassi alimentari segnano un evento importante rispetto al passato, quando tutti i grassi erano considera-

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Piramide alimentare vegetariana Raccomandazioni sulle bevande giornaliere 6 bicchieri d’acqua

Settimanalmente

Alcol con moderazione

Uova, dolci Uova, latte di soia, latticini

Quotidianamente Oli vegetali

Frutta secca, legumi

Cereali integrali Legumi e fagioli

Frutta everdura

Adogni pasto Attività fisica quotidiana

Piramide alimentare asiatica Raccomandazioni sulle bevande giornaliere 6 bicchieri d’acqua o té Sake, vino o birra con moderazione

Mensilmente Carne Dolci

Settim.

Uova, pollame Pesce, frutti di mare, latticini

Al giorno, opzionale

Oli vegetali Legumi, frutta secca, semi

Verdura

Frutta Riso, spaghetti pane, miglio, grano, altre farine integrali

Quotidianamente Attività fisica quotidiana

Piramide alimentare latino-americana Raccomandazioni sulle bevande giornaliere 6 bicchieri d’acqua

Alla settimana Alcol con moderazione Carne, dolci, uova Oli vegetali, latticini

Al giorno

Pesce, frutti di mare

Pollame Cereali integrali, tuberi, pasta, legumi, frutta secca

Frutta

Verdura Attività fisica quotidiana

FIGURA 5 Piramide alimentare vegetariana, piramide alimentare asiatica, piramide alimentare latino-americana (Oldways Preservation and Exchange Trust, 1999-2004)

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Dolci, grassi

Formaggi, latticini

Pesce, pollame, carne

Pane, pasta, pizza

Frutta Verdura

FIGURA 6 USDA Food Guide Pyramid modificata dagli Autori

FIGURA 7 USDA Food Guide Pyramid: aggiornamento 2005 (www.mypyramid.gov)

ti “cattivi”; le linee guida adesso esortano a mantenere il più possibile basso l’introito dei grassi “trans”, limitando l’introito dei grassi saturi, ed a riconoscere i potenziali effetti benefici sulla salute dei grassi poli e monoinsaturi. Pur continuando a sottolineare l’im-

portanza dell’uso dei carboidrati di tipo complesso, le nuove linee guida raccomandano di limitare assolutamente l’uso degli zuccheri semplici, dando grande rilievo agli effetti benefici dei cereali integrali. Tenendo conto di tutti gli aggiornamenti scientifici e delle riflessioni presenti anche nelle Linee Guida Americane, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, nel 2005 ha elaborato un aggiornamento alla USDA Food Guide Pyramid del 1992 (Fig. 7). Questa immagine non contiene testo: secondo le precise intenzioni del Dipartimento, essa doveva essere semplice e comprensibile a prima vista, ed i dettagli potevano essere consultati tramite internet al sito www.mypyramid.gov. Il fatto però che le indicazioni fossero accessibili solo tramite internet, ha precluso a milioni di persone, non in possesso di un computer, l’accesso alle informazioni riguardanti la distribuzione degli alimenti e questo ha suscitato non poche polemiche. Comunque se ci colleghiamo al sito e vediamo i dettagli (Fig. 8), le innovazioni rispetto alla vec-

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CEREALI

VERDURA

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FRUTTA

LATTE

CARNE E LEGUMI

FIGURA 8 Dettagli della figura 7 (www.mypyramid.gov)

chia USDA Food Guide Pyramid, sono importanti e riguardano, sia le indicazioni specifiche per i singoli gruppi di alimenti che due concetti fondamentali: da un lato l’attività fisica come primo strumento per il mantenimento di un buon stato di salute, dall’altro la personalizzazione delle porzioni in base al fabbisogno energetico individuale, cosa che non era mai stata presa in considerazione precedentemente da tale organizzazione. In questa presentazione vengono fortemente raccomandati altri quattro concetti pricipali, che non sono così originali, ma che vanno sempre tenuti in considerazione in un modello di educazione al cambiamento dello stile di vita: la varietà di cibi deve essere la più completa

possibile ogni giorno; la proporzionalità della composizione dei cibi che ciascuno deve assumere nelle diverse condizioni in cui si trova; la necessità assoluta di una moderazione nell’uso di ciascun tipo di alimenti ed infine la necessità per ciascun individuo di fare dei miglioramenti graduali per raggiungere la condizione di equilibrio. Il problema fondamentale comunque persiste: nei paesi europei il modello alimentare americano non può essere importato come tale; differenze nei gusti, nelle scelte alimentari, nella disponibilità dei cibi, fanno sì che questo tipo di modello alimentare non sia realisticamente perseguibile in ogni contesto sociale e culturale.

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L’Italia nel Mediterraneo Essendo scientificamente provato, anche in studi clinici a lungo termine11,12, il ruolo fondamentale della dieta mediterranea sulla salute dell’uomo, dobbiamo indubbiamente anche tenere presente la variabilità nel pattern dietetico dei vari paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo stesso. L’alimentazione sarà sempre legata alle differenze nella cultura, nella tradizione, nella religione, nell’economia e nella produzione agricola. Quindi ogni comunità dovrà preoccuparsi di dare delle direttive in questo settore, tenendo conto sia dei progressi scientifici, sia delle innovazioni tecnologiche, sia degli stili alimentari della propria popolazione, ma anche della produzione alimentare delle proprie regioni. In Italia, dal 1977 la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU)13 cura la redazione dei Livelli di Assunzione Raccomandati di Energia e Nutrienti (LARN) per la popolazione italiana sulla base dei consumi alimentari esistenti in Italia, e al 1996 risale l’ultima revisione che tiene conto degli importanti documenti elaborati dal Consiglio Nazionale per le Ricerche Americano (National Research Council, 1989) e del Comitato Scientifico della Commissione Europea (Commission of the European Communities, 1993). Sempre in Italia, fin dal 1986 l’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN)14 con la collaborazione di numerosi rappresentanti della comunità scientifica nazionale, ha predisposto e successivamente diffuso le prime “Linee guida per una sana alimentazione italiana”. Nel 1997 e poi successivamente nel 2003 sono state effettuate due revisioni delle linee guida, in base agli aggiornamenti scientifici circa il ruolo dei singoli nutrienti e dei vari componenti minori e in base al continuo mutamento dei consumi, delle abitudini, degli orientamenti alimentari e degli stili di vita.

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Recentemente, un gruppo di lavoro del Ministero della Salute (D.M. del 1.09.2003) si è occupato di elaborare, alla luce degli obiettivi nutrizionali definiti a livello comunitario nell’ambito del progetto EURODIET 2001, una piramide alimentare settimanale15 (PAS) indirizzata alla popolazione generale (Fig. 9). Essa rappresenta uno strumento semplice per inserire le porzioni di alimenti consumati ogni giorno per una settimana e ricevere indicazioni nutrizionali e di attività fisica, anche questa è utilizzabile esclusivamente attraverso il supporto informatico (www.piramideitaliana.it) (Fig. 9). Sempre lo stesso gruppo di ricerca, e sempre attraverso il supporto informatico, ultimamente ha eseguito ulteriori aggiornamenti creando una piramide alimentare giornaliera con le indicazioni delle porzioni e una piramide dell’attività fisica (Fig. 10). Per gli operatori del settore risulta comunque di maggior semplicità e chiarezza rapportarsi alle Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana del 200314, all’interno delle quali vi sono delle tabelle (Tabb. 1, 2) che riportano l’entità delle porzioni standard nell’alimentazione italiana ed il numero di porzioni consigliato. Tali indicazioni, riportate graficamente secondo i criteri della piramide alimentare, configurano la caratteristica alimentazione mediterranea (Fig. 11): riportando le porzioni al giorno per ogni singolo gruppo di alimenti, come descritto in tabella 1 e 2 sulle tabelle dell’INRAN, otteniamo delle raccomandazioni nutrizionali idonee per la maggior parte della popolazione. La piramide alimentare indubbiamente continua ad essere la rappresentazione grafica di più immediata comprensione e concettualmente più esaustiva, ed è diventata di uso talmente comune nella comunicazione, anche a livello delle scuole, che oramai è consuetudine rappresentare così non solo ciò che riguarda

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FIGURA 9 Piramide settimanale dello stile di vita italiano (Sezione di Scienza dell’Alimentazione - Dipartimento di Fisiopatologia Medica, Università “La Sapienza” di Roma)

l’alimentazione, ma anche altri tipi di messaggi, come, ad esempio, quello dell’attività fisica. La piramide toscana della dieta

FIGURA 10 Piramide dell’attività fisica (Sezione di Scienza dell’Alimentazione - Dipartimento di Fisiopatologia Medica, Università “La Sapienza” di Roma)

Sulla base delle precedenti considerazioni, abbiamo recentemente elaborato un “modello” di Piramide Alimentare “Toscana” (Fig. 12) coerente con le abitudini alimentari degli agricoltori toscani della prima metà del secolo scorso16. Lo scopo è stato quello di creare un modello di piramide vicino alle reali esigenze di una popolazione che purtroppo continua ad avere dei seri problemi di educazione alimentare, che portano ineluttabilmente allo sviluppo delle malattie metaboliche che sono responsabili dell’aumentato rischio di malattie cardio-vascolari. La nostra intenzio-

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ne è stata da un lato quella di incentivare la normalizzazione dell’introito calorico giornaliero riducendo quelle che sono oramai considerate, nella mentalità consueta, le porzioni standard alimentari, incrementando l’uso di frutta e verdura, e dall’altro l’educazione all’aumento del dispendio energetico attraverso l’attività fisica ai fini del controllo del peso. È anche utile qui ricordare che da tempo gli abitanti della Toscana mantengono il primato di longevità in Italia. Il contadino italiano in generale, ed in particolare quello toscano nella nostra esemplificazione, aveva le sue principali fonti di sostentamento dai prodotti dell’orto e del frutteto, e questo spiega perché frutta e verdure stiano alla base della nostra piramide, subito al di sopra dell’attività fisica. Le proteine provenivano dai legumi, dalla carne degli animali da cortile (polli e conigli), e da quella di maiale, raramente di bovino. L’uso delle uova di gallina era moderato (la vendita delle uova era una fonte di guadagno), ma costante. Al contrario di quanto taluni ritengono, l’alimentazione contadina prevedeva un consumo discreto di pesce sotto forma di baccalà o stoccafisso, di acciughe ed aringhe sotto sale, di sardine sott’olio, e questo garantiva un introito costante di grassi poli e monoinsaturi. In aggiunta, tali acidi grassi benefici provenivano anche dall’uso di olio extravergine di oliva di prima spremitura, prevalentemente crudo e dall’assunzione moderata di noci e nocciole. Una porzione di latte vaccino era una costante della prima colazione. L’uso di formaggi, ottenuti da latte vaccino o caprino era moderato, e venivano consumati prevalentemente freschi (quelli stagionati venivano venduti). Date le ristrettezze economiche, l’uso delle carni rosse era molto contenuto e le dosi di olio erano rigorosamente limitate, perché la vendita dell’olio era la principale fonte di guadagno della famiglia.

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I carboidrati complessi provenivano principalmente da un consumo abbondante di pane, a lievitazione naturale, sempre cotto in casa nel forno a legna. Le altre fonti erano rappresentate dalla polenta, le patate ed i legumi, mentre la pasta (fatta in casa) era consumata occasionalmente. Non è un caso che le minestre più caratteristiche della cucina toscana abbiano come base il pane raffermo, come ad esempio la ribollita, la pappa col pomodoro e l’acqua cotta. Occorre sottolineare che la quantità di carboidrati assunti era direttamente proporzionale all’entità del lavoro fisico svolto con precisi ritmi circa-annuali governati dalle ore di luce e con una grande differenza fra i sessi, in relazione alla fatica fisica effettuata. Da tutto questo si deduce che il modello che proponiamo è quello di una dieta di tipo mediterraneo “povera”, all’interno della quale l’uso dei carboidrati era proporzionale all’esercizio fisico svolto, e tale proposta può essere attuabile anche oggi, purché si svolga una attività fisica quotidiana. Attività fisica Più volte si è fatto riferimento all’attività fisica come elemento costitutivo fondamentale nella programmazione delle scelte alimentari, ma quale è il tipo di attività fisica che è necessario svolgere, per quanto tempo e con quale frequenza? I suggerimenti che verranno qui illustrati si applicano principalmente a coloro che desiderino perdere peso per motivi di salute, ma si applicano anche a coloro che vogliano mantenere un buon stato di forma fisica pur essendo affetti da un leggero soprappeso. Il muscolo scheletrico è formato da due tipi di fibre: le fibre rosse, o tipo I, a contrazione lenta, insulino-sensibili e determinate geneticamente, e le fibre bianche, o tipo II, a contrazione rapida. Le fibre del tipo I sono alta-

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Gruppo di alimenti

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Alimenti

Cereali e Tuberi

Porzioni Peso (g)

Pane

1 rosetta piccola/1 fetta media

50

Prodotti da forno

2-4 biscotti/2,5 fette biscottate

20

Pasta o riso (*)

1 porzione media

80

Pasta fresca all’uovo (*)

1 porzione piccola

120

Patate

2 patate piccole

200

Insalate

1 porzione media

50

Ortaggi

1 finocchio/2 carciofi

250

Frutta o succo

1 frutto medio (arance, mele)

150

Ortaggi e Frutta

2 frutti piccoli (albicocche, mandarini) Carne, pesce, uova, legumi

150

Carne fresca

1 fettina piccola

70

Carne stagionata (salumi)

3-4 fette medie prosciutto

50

Pesce

1 porzione piccola

100

Uova

n. 1 uovo

60

Legumi secchi

1 porzione media

30

Legumi freschi

1 porzione media

80-120

Latte e derivati

Latte

1 bicchiere 125 (un bicchiere)

Yogurt

1 confezione piccola

125 (un vasetto)

Formaggio fresco

1 porzione media

100

Formaggio stagionato

1 porzione media

50

Olio

1 cucchiaio

10

Burro

1 porzione

10

Margarina

1 porzione

10

Grassi da condimento

(*) in minestra metà porzione Tabella 1 - Entità delle porzioni standard nella alimentazione italiana (14)

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Alimento/gruppi alimenti

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1.700 kcal

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2.100 kcal

2.600 kcal

Porzioni giornaliere Cereali, Tuberi Pane

3

5

6

Prodotti da forno

1

1

2

Pasta/Riso/Pasta all’uovo fresca

1

1

1-2

Patate

1 2 2 (a settimana) (a settimana) (a settimana)

Ortaggi e Frutta Ortaggi/Insalata

2

2

2

Frutta/Succo di frutta

3

3

4

1-2

2

2

3

3

3

Carne, Pesce, Uova e Legumi Latte e Derivati Latte/Yogurt

Formaggio fresco/Formaggio stagionato 2 3 3 (a settimana) (a settimana) (a settimana) Grassi da condimento Olio/Burro/Margarina

3

3

4

Tabella 2 - Numero di porzioni consigliato (14)

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Olio g 10 Burro g 10 Margarina g 10 1-2/die

3-4/die 3-4/die

Pesce g 100 Uovo (Circa g 60) Legumi freschi g 100 Legumi secchi g 30 Carni fresche g 70 Carni conservate g 50

Formaggio stagionato g 50 Formaggio fresco g 100 Latte g 125 (un bicchiere) Yogurt g 125 (un vasetto)

3/die

3-4/die

Frutta o succo g 150

Insalate g 50, Ortaggi g 250

2/die

1-2/die

2 patate piccole g 200

1-2/die

Pasta o riso g 80 o Pasta fresca all’uovo g 120

2/4 biscotti o 3/4 fette bisc. g 20

1-2/die

Pane 1 fetta media o 1 rosetta piccola 50 g

3-6/die

FIGURA 11 Rappresentazione grafica dei dati delle tabelle 1 e 2 secondo i criteri della piramide alimentare

mente vascolarizzate, possiedono un’elevata capacità ossidativa ed un alto numero di trasportatori di glucosio, che aumenta ulteriormente in risposta all’esercizio fisico. Le fibre del tipo II possono essere in proporzione variabile ossidative (IIa) o glicolitiche (IIb). Queste ultime, oltre ad essere meno vascolarizzate, sono anche meno insulino-sensibili in quanto possiedono un minor numero di trasportatori di glucosio. La proporzione relativa delle fibre IIa e IIb può però essere influenzata da fattori ambientali, quali appunto l’allenamento. Nell’uomo, infatti, attraverso l’attività fisica regolare, indipendentemente dal contenuto di fibre del tipo I, che non può essere modificato perché geneticamente determinato, si può ottenere la conversione delle fibre IIb (insulino-resistenti) in fibre bianche IIa (insulino-sensibili) inducendo in questo modo una migliore performance e metabolica e fisica. Dal punto di vista teorico sarebbe utile stabilire il range d’intensità più vantaggioso e verificarlo in ogni soggetto attraverso la meto-

dica strumentale che ci viene offerta dalla calorimetria indiretta, che ben descrive le modalità di consumo energetico e di adattamento cardiorespiratorio allo sforzo. Livelli di lieve intensità (VO2max 25%-40%) utilizzano infatti come principale combustibile gli acidi grassi liberi plasmatici, mentre livelli elevati (> 70% VO2max) utilizzano prevalentemente i depositi di glicogeno, livelli intermedi di moderata intensità, invece, acidi grassi liberi in aggiunta alle fonti di glicogeno e anche dei trigliceridi intramuscolari. A quale grado d’intensità occorre quindi fare lavorare un soggetto che voglia perdere peso? Si potrebbe erroneamente pensare che un’attività vigorosa (80% del VO2max) dovrebbe essere quella più vantaggiosa comportando un notevole incremento della spesa energetica; in realtà un’attività fisica di questo tipo impone una performance massimale nell’arco di un periodo di tempo molto breve, pochi minuti, rispetto a 34 ore d’intensità moderata e periodi più lunghi per le attività di resistenza o per quelle di

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LA PIRAMIDE TOSCANA DELLA DIETA MENSILE / OCCASIONALE

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Sale da cucina: <6 g/die Acqua: 1,5-2 l/die

Dolci, carni rosse, formaggi stagionati, salumi

Vino: 1-2 bicchieri/die

Formaggi freschi, uova, carni bianche, pollame, pesce, patate, legumi

SETTIMANALE

Olio di oliva, latte e yogurt, pane, pasta, riso, polenta, cereali integrali, frutta, verdura

GIORNALIERA

Attività fisica per sviluppare la massa muscolare, da fare almeno 4 volte la settimana Andare in bicicletta/cyclette almeno 50 minuti ad una velocità di 20 km/h (20 pedalate/minuto), camminare di passo svelto almeno 60 minuti (senza superare una frequenza cardiaca di 120 battiti/minuto) Attività fisica giornaliera, da fare il più a lungo possibile Camminare con il cane, fare la strada più lunga, fare le scale ed evitare l’ascensore, andare a piedi al lavoro e a fare la spesa o altri servizi (ufficio, banca, ecc.), fare giardinaggio e piccoli lavori domestici, parcheggiare più lontano, camminare più a lungo durante la giornata

FIGURA 12 La piramide toscana della dieta

minore intensità. L’esercizio fisico intenso, in questa situazione, dipende interamente dal glicogeno e dal glucosio circolante come combustibile per i muscoli coinvolti, per cui la risposta di tutto l’organismo è dominata dalla necessità di produrre glucosio come combustibile e utilizzarlo alla velocità massima. Sebbene la maggior parte del substrato derivi dalla glicogenolisi, nella circolazione si verifica un aumento rapido e importante di glucosio di provenienza epatica che aumenta per tutta la durata dello sforzo. La soglia anaerobica viene superata in pochi minuti dall’inizio dell’attività con l’aumento progressivo di lattato che porta ad un rapido esaurimento muscolare. Per que-

sti motivi, in relazione al nostro obiettivo, l’attività fisica intensa viene sconsigliata, a meno che non la si impieghi per brevi momenti a scopo di potenziamento muscolare. Appare invece sicuramente più vantaggioso utilizzare livelli di lieve o al massimo moderata intensità che utilizzano maggiori proporzioni di grasso come substrati energetici. Da questo tipo di evidenze possiamo quindi estrarre alcuni concetti fondamentali che possiamo applicare nella nostra pratica clinica. Soprattutto nelle fasi iniziali di promozione della perdita del peso, i livelli lievi o moderati di intensità (da valutare ogni volta in relazione al grado di obesità ed alle comorbilità presenti) sembrano i

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più efficaci in relazione al substrato energetico principalmente utilizzato. Questi sono anche i livelli d’intensità più facilmente realizzabili tenendo conto che si tratta spesso di soggetti che partono da bassi livelli di fitness e che necessitano comunque di un ricondizionamento fisico. Livelli d’intensità maggiori, più allenanti, volti ad un incremento della massa magra, possono essere applicati in seguito, una volta raggiunti livelli migliori di fitness. I soggetti obesi che vogliono perdere peso necessitano, quindi in primo luogo di incrementare il proprio livello di fitness per ottimizzare la risposta in termini di calo ponderale. Un intervento per la perdita di peso non può basarsi solo sulla restrizione calorica, ma deve essere sempre accompagnato da un congruo programma di incremento dell’attività fisica. L’esercizio fisico deve essere di tipo aerobico, deve avere una durata sufficientemente lunga (almeno 30’ continuativi, se non di più fino a 60’ in due sessioni), e deve essere svolto possibilmente tutti i giorni, al massimo a giorni alterni. È evidente che la metodologia della valutazione della calorimetria indiretta è sicuramente di tipo specialistico e non facilmente o capillarmente eseguibile nei diversi tipi di realtà assistenziale. Quali sono dunque gli elementi a disposizione del medico per dare suggerimenti pratici ai pazienti circa l’intensità dell’esercizio fisico da eseguire? Gli istruttori ed i preparatori atletici ricorrono generalmente alla classica formula per il calcolo della frequenza massima teorica per ciascun individuo: FCM = 220 - età del soggetto (in anni) e poi calcolano la frequenza cardiaca massima idonea allo sforzo aerobico teorico da praticare, che in genere è valutata intorno al 70%. Per una persona di 54 anni il calcolo sarà il seguente: 220 – 54 = 166; 70% di 166 = 116

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questa sarà la frequenza massima da non superare per svolgere uno sforzo aerobico. Questo metodo è estremamente semplice ma, non tiene conto, ad esempio, delle condizioni di allenamento del soggetto. Per ovviare al problema si può ricorrere ad una formula più articolata che tenga conto della frequenza cardiaca (FC) basale: FCM = [(220 – FC basale) x 70%] + FC basale Anche questo, però, non tiene conto del fatto che il valore di soglia aerobica per i soggetti soprappeso ed obesi è molto più basso del normale (anche fino al 40%), ed estremamente variabile da individuo ad individuo, pertanto quel valore di 70% dovrebbe essere sostituito nei soggetti soprappeso od obesi con un valore più basso, ma di quanto? Ne consegue che l’uso di calcoli teorici può indurre a valutazioni (per eccesso o per difetto) approssimative, e questo ci induce a sconsigliarne l’utilizzo in maniera indiscriminata. La soluzione pratica più semplice, economica, ma al tempo stesso sufficientemente accurata consiste nell’invitare il paziente ad eseguire uno sforzo fisico semplice, come ad esempio camminare o andare in bicicletta e di parlare al tempo stesso. Si inviterà poi il paziente ad aumentare la velocità del passo o della pedalata fino a che il lieve affanno che si produrrà non impedirà di parlare: questa è approssimativamente la soglia aerobica di quel singolo soggetto in quelle condizioni di sforzo. Basterà rallentare di poco l’intensità dello sforzo per consentirci di proseguire anche per molto tempo. Volendo parlare in maniera semplice, i pazienti che non fanno attività fisica sono in realtà pigri, ma al tempo stesso non vogliono ammettere di esserlo. Di fronte ai tentativi del terapeuta, che si trova in un certo modo davanti ad un “muro di gomma”, di comprendere le motivazioni della scarsa aderenza al program-

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ma di intervento, il paziente si trincera dietro ad una fantomatica “mancanza di tempo”. Starà proprio all’abilità del terapeuta far prendere coscienza al paziente del proprio atteggiamento mentale, ma cosa ancor più difficile, a modificare il comportamento nella vita di tutti i giorni. L’obiettivo principale, infatti, risulta essere quello di promuovere stimoli adeguati che possano rendere abituale l’attività fisica in soggetti sedentari e contrastare invece quegli stimoli che possono competere con essa. L’ora adeguata, il luogo, le persone coinvolte, la possibilità dell’automonitoraggio, o la possibilità di una supervisione sembrano essere stimoli positivi così come, per cercare di ridurre la frequenza di stimoli negativi, risulta opportuno evitare che l’esercizio possa competere con l’attività lavorativa o impegni famigliari scegliendo quindi l’ora ed il luogo più opportuni. Dal momento inoltre che alcuni motivi di abbandono risultano dalla pratica non adeguata dell’esercizio fisico, è sicuramente importante fornire a ciascun soggetto, secondo le caratteristiche individuali, informazioni sulle modalità di un corretto svolgimento (riscaldamento, recupero, intensità, frequenza, durata), sui potenziali rischi e sulla loro prevenzione (presenza di patologie concomitanti, insorgenza di traumi) e sulla presenza di comportamenti avversi che possono condizionare la performance (fumo, alcool, malattia intercorrente). Riflessioni conclusive Come già detto, non esiste una sola “dieta mediterranea”, ma esiste un comune pattern dietetico “mediterraneo” che presenta queste caratteristiche17: - alto consumo di frutta e vegetali; - consumo di pane e altri cereali, patate, fagioli in proporzione all’entità dell’attività fisica svolta; - mandorle, noci e semi con moderazione,

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ma costantemente; olio extravergine di oliva di prima spremitura come principale e quasi esclusiva fonte di condimento; latte e prodotti caseari freschi; pesce e carni bianche consumati in maniera costante, mentre la carne rossa in piccole quantità; uova consumate da 1 a 3 volte a settimana; vino consumato in piccole quantità.

L’associazione di questo tipo di alimentazione ad una minor incidenza di mortalità è scientificamente provata2,5 e sicuramente attribuibile ad uno stile alimentare in cui la presenza di grassi saturi è molto ridotta18 rispetto ai reali consumi dovuti alla modificazione dei gusti e delle scelte alimentari del giorno d’oggi. L’utilizzazione in moderate quantità di alimenti “usuali”, caratteristici di ogni regione di appartenenza, come per esempio il vino o il caffè, sembrerebbe addirittura giocare un ruolo paradossalmente “protettivo”19-22 laddove le abitudini alimentari si scostano leggermente verso una alimentazione a maggior carico di grassi. Promuovere l’uso di oli vegetali (ricchi in grassi poli e monoinsaturi) e non grassi animali (ricchi di colesterolo e grassi saturi) consente, oltre che di prevenire la dislipidemia (colesterolo e trigliceridi alti) anche di modificare positivamente un profilo lipidico alterato. In particolare, l’acido oleico contenuto nell’olio di oliva, così come gli acidi del tipo omega-6 contenuti nell’olio di semi, contribuiscono a diminuire la concentrazione di colesterolo contenuto nelle lipoproteine LDL e VLDL (cosiddetto “colesterolo cattivo”) coinvolto nei processi di aterosclerosi, tendendo a far aumentare il colesterolo contenuto nelle lipoproteine HDL (“colesterolo buono”). I grassi del tipo omega-3 contenuti

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nel pesce contribuiscono invece a diminuire i trigliceridi e la capacità di aggregazione delle piastrine (ossia il rischio di trombosi), risultando protettivi nei confronti delle malattie cardiovascolari. Particolare attenzione invece è da rivolgere agli acidi grassi di tipo “trans” (oli vegetali idrogenati) che tendono invece ad innalzare il livello di colesterolo nel sangue, favorendo inoltre l’aumento del “colesterolo cattivo” rispetto al “colesterolo buono”. In conclusione, la dieta di tipo mediterraneo, modificata nel tempo sulla base delle risultanze scientifiche, è un vero “salva vita” che ha un criterio di evidenza di grado A, secondo i principi della Medicina Basata sulle Evidenze, ed il miglior sistema per rappresentarla continua ad essere quello della piramide alimentare, che, come abbiamo detto, è uno strumento educativo in continua evoluzione. Bibliografia 1. U.S.D.A. MyPyramid.gov. http://www.mypyramid.gov 2. Tande L et al. The association between blood lipids and the Food Guide Pyramid: findings from the Third National Health and Nutrition Examination Survey. Preventive Medicine 38 (2004) 452-7. 3. Harvard School of Public Health. http://www.hsph.harvard.edu 4. Oldways Preservation and Exchange Trust 19992004. http://www.oldwayspt.org 5. Sacks FM, Katan M. Randomized clinical trials on the effects of dietary fat and carbohydrate on plasma lipoproteins and cardiovascular disease. Am J Med. 113 Suppl 9B:13S-24S, 2002. 6. Esposito K et al. Effect of a mediterranean-style diet on endothelial dysfunction and markers of vascular inflammation in the metabolic syndrome: a randomized trial. JAMA 292(12): 1440-6, 2004. 7. Fung TT et al. Dietary patterns and the risk of coronary heart disease in women. Arch Intern Med

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161(15):1857-62, 2001. 8. Liu S, et al. Whole-grain consumption and risk of coronary heart disease: Results from the Nurses’ Health Study. Am J Clin Nutr. 1999;Sep;70(3):412-9. 9. Rotella CM. Il ruolo dell’Educazione Terapeutica nel trattamento dell’Obesità e del Diabete Mellito. Ed SEE Firenze, 2005. 10. Dietary Guidelines for Americans 2005 www.health.gov/dietaryguidelines 11. Mozaffarian D et al. Cardiac Benefits of Fish Consumption May Depend on the Type of Fish Meal Consumed: The Cardiovascular Health Study. Circulation 107(10): 1372 – 7, 2003. 12. Solfrizzi V et al. Dietary intake of unsaturated fatty acids and age-related cognitive decline: A 8.5-year follow-up of the Italian Longitudinal Study on Aging. Neurobiol Aging. Oct 24, 2005. 13. SINU. www.sinu.it 14. Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana. Istituto Nazionale di Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione. http://inn.ingrm.it 15. PAS. http://www.piramidealimentare.it 16. Rotella CM, Ciani S, Cremasco F, Castellani W, Cresci B, a cura della Fondazione Amici della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Università di Firenze, Presidente Prof. Giulio Masotti. 2007. 17. American Heart Association. www.americanheart.org 18. Summers L et al. Substituting dietary saturated fat with polyunsaturated fat changes abdominal fat distribution and improves insulin sensitivity. Diabetologia 45: 369-77, 2002. 19. Renaud S, de Lorgeril M. Wine, alcohol, platelets and the French paradox for coronary heart disease. Lancet 1992;339:1523-6. 20. Szmitko PE, Verma S. Antiatherogenic potential of red wine: clinician update. Am J Physiol Heart Circ Physiol 288(5):H2023-30, 2005. 21. Napoli R, et al. Red wine consumption improves insulin resistance but not endothelial function in type 2 diabetic patients. Metabolism. 54(3): 306-13, 2005. 22. Demosthenes B. Panagiotakos, et al. The J-Shaped Effect of Coffee Consumption on the Risk of Developing Acute Coronary Syndromes: The CARDIO2000 Case-Control Study J. Nutr. 2003 133: 3228-32.

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Postfazione

Il 29 luglio 1953, veniva fondata da un illustre comitato, presieduto da Orio Vergani, la Accademia Italiana della Cucina, con lo scopo di tutelare le tradizioni della cucina italiana, promuovere e favorire tutte quelle iniziative che, dirette alla ricerca storica ed alla sua divulgazione, possono contribuire a valorizzare la cucina nazionale in Italia e all’estero anche come espressione di costume, di civiltà e di scienza. A distanza di più di mezzo secolo, l’Accademia continua nella sua missione, portando ovunque, nel mondo, questo messaggio di Italianità, nella salvaguardia della tradizione e nella promozione di uno stile di vita corretto. Da sempre, il cibo ha rappresentato anche un metodo di cura, una ars medendi naturale, basata sulla conoscenza empirica e sull’utilizzo delle proprietà degli alimenti: come giustamente mettono in evidenza gli Autori di questo volume, dìaita non aveva inizialmente un valore negativo, ma indicava uno stile di vita corretto, in cui alimentazio-

ne e attività fisica giocavano il ruolo fondamentale. Per molti secoli, Medicina e Alimentazione hanno percorso le stesse vie, per poi separarsi, sviluppando percorsi diversi: oggi, le loro strade tornano a congiungersi, nel tentativo programmatico di perseguire lo stesso obiettivo, che è quello della salute, intesa come benessere psico-fisico globale, in cui trova spazio anche la cultura della tavola. Questo studio congiunto, in cui Storia e Scienza si armonizzano perfettamente, rappresenta un contributo importante nella ricostruzione di questi percorsi e nella individuazione dei diversi ruoli. Consuetudine mediterranea ed esperienza regionale, nella diversificazione storica e geografica, incontrano le evidenze della scienza, i risultati della ricerca, i dati dell’oggettività, rivalutando la tradizione mediterranea come espressione alimentare in un percorso di qualità.

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In questo contesto, il ruolo dell’Accademia è anche quello di favorire questo tipo di riflessione, inserendo la propria voce in un dibattito che è sempre più attuale, pur affondando le proprie radici nel passato e trovando in esso le ragioni della propria esistenza. La accessibilità di questi contenuti anche al grande pubblico, grazie al linguaggio semplice e facilmente comprensibile degli Autori, costituisce un valore aggiunto, che si somma

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alla splendida iconografia: un plauso particolare, quindi, anche a chi ha sostenuto questa pubblicazione ed alla Casa Editrice Mattioli 1885, che ha saputo lavorare con grande professionalità.

Dr. Emanuele Guerra, Accademia Italiana della Cucina, Delegato Firenze Pitti

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Crediti fotografici Tacuinum Sanitatis, Mercante di vino © Archivi Alinari, Firenze Anonimo, Uomo che cattura delle api © The British Library Board. All rights reserved Vincenzo Campi, La Fruttivendola © Archivi Alinari, Firenze Giuseppe Arcimboldo, Il Cuoco © The Bridgeman Art Library / Archivi Alinari, Firenze Tacuinum Sanitatis, Pesca alle lamprede © Archivi Alinari, Firenze Tacuinum Sanitatis, La raccolta delle fave © Bibliothèque Nationale de France Tacuinum Sanitatis, La raccolta delle olive nere © Archivi Alinari, Firenze Tacuinum Sanitatis, La raccolta delle castagne © Archivi Alinari, Firenze Tacuinum Sanitatis, La raccolta delle castagne © Bibliothèque Nationale de France Adriaen Jansz. van Ostade, La Pescivendola © The Bridgeman Art Library / Archivi Alinari, Firenze Bartolome Esteban Murillo, La piccola venditrice di frutta © The Bridgeman Art Library / Archivi Alinari, Firenze Annibale Carracci, Vende formaggio parmigiano © Biblioteca Casanatense, Roma – Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Ubuchasym de Baldach, Vinum vetus oriferum © Biblioteca Casanatense, Roma – Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Job Berckheyde, Il panettiere © The Bridgeman Art Library / Archivi Alinari, Firenze Johan Zoffany, Una bancarella fiorentina di frutta © Tate, London 2007 Annibale Carracci, Il Mangiafagioli © Galleria Colonna, Roma Maître François, Mercanti di grano e di vino © Museum Meermanno-Westreenianum, Den Haag Habits & commerce des Indiens du quartier d'Urabx © Biblioteca Casanatense, Roma - Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Laddove non sia risultato possibile contattarli, l’Editore, depositando quest’opera, è pronto a corrispondere quanto spetta agli aventi causa, come disposto dall’articolo 105 della Legge n° 633 (22 Aprile 1941) della Repubblica Italiana.


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Finito di stampare a Fidenza (PR) nel mese di Novembre 2007 presso Mattioli 1885 spa

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