I diari di viaggio di Virginia Woolf

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42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA

DOMENICA 18 SETTEMBRE 2011

CULTURA*

Il Partenone che si infiamma al tramonto, le colline di Epidauro, la costa che ricorda le scogliere della Cornovaglia: mentre visita le meraviglie

della Grecia, all’inizio del Novecento, la scrittrice ripensa con nostalgia alla sua Inghilterra

E intanto impara il mestiere. Come racconta nei diari di viaggio che escono adesso in Italia

ta la Cornovaglia. Inaspettatamente le strade strette di Atene ci hanno fatto venire in mente St Ives. Tre ronzini tristi hanno tirato la nostra carrozza per tutte le venti miglia; abbiamo superato molti greggi di capre, molti muli da soma, molti carretti stracarichi di otri di vino. Ma c’erano solo due paesini, e nessun segno delle comodità della civiltà inglese.

VIRGINIA WOOLF

Q

uando leggo questo taccuino, come faccio a volte a Londra nelle calde serate domenicali, vengo colpita dalla sommarietà delle affermazioni che vi sono contenute — la trascuratezza delle descrizioni — la ripetizione degli aggettivi — e in poche parole lo considero un lavoro molto precipitoso, ma mi giustifico ricordando in quali circostanze è stato scritto. Dopo un’escursione di un giorno, o quando avevo una mezz’ora libera, o come diversivo a qualche tragedia greca — è stato scritto in momenti diversi, e in stati d’animo differenti, e sono certa che se mi fossi imposta qualunque altra condizione il diario non avrebbe mai visto la luce. Non l’ho forse portato in Cornovaglia a Pasqua, e non ho forse deciso di verificare se vi fosse qualcosa di utilizzabile — e non vi ho forse scritto persino il mio indirizzo? Perciò, ancora una volta, torno al vecchio metodo, affermando semplicemente di essere consapevole dei suoi difetti — la protesta della vanità. Ma era tutto così nitido e ordinato e greco; si nota una certa austerità nel paesaggio, nonostante tutta la sua grazia. Non riesco a trovare altre parole se non quelle che stasera mi occupano i pensieri, ed è particolarmente inutile ostinarsi su un’immagine così perfetta con aggettivi poco appropriati. Potrei dire di aver scritto questo a Corinto, e c’è una comitiva di donne lamentose che cantano sotto la mia finestra. Piangono forse la rovina del paese, o qualche dolore privato, oppure stanno semplicemente festeggiando il nuovo ristorante inaugurato stasera con i fuochi d’artificio? [...] C’è così tanto da cogliere ad Atene che non occorre tentarne alcuna descrizione. Camminando placidamente, dando un’occhiata qua e là con comodo, lentamente si compone un quadro compatto. Non cercherò di riprodurlo qui per intero; ma come una libera donna inglese affronterò senza fretta le avventure quotidiane, significative o irrilevanti che siano. E dopotutto, ogni passo si posa su una terra sacra. Si arriva ad Atene lungo la riva del mare, così che dal finestrino del treno si vedono in basso piccole baie dove si infrangono le onde chiare; e questa ansa tranquilla è Salamina, e là, sulla cima di quella scogliera di fronte, sedeva Serse (così si dice) duemila anni fa, in un pomeriggio di settembre come questo. Avrebbe potuto essere un tratto di costa della Cornovaglia, perché l’acqua era tersa e lucente come l’Atlantico nel pieno dell’estate, ma le colline erano montagne, e il luogo sembrava cesellato come una statua. [...]

L’Acropoli Quando è spuntato il giorno, siamo andati ciascuno alla propria finestra e abbiamo visto che dall’o-

Virginia Woolf Un tè sull’Acropoli scurità emergeva un enorme sperone roccioso, bruno e solcato dalle ombre, sul quale sorgevano due gruppi di colonne, uno bruno come la roccia, l’altro bianco e delicato. In verità, sul precipizio c’erano altre colonne, ma sapevamo che quelle scure erano il fior fiore del luogo, il Partenone. Quando ti avvicini, vedi che il Partenone è di gran lunga il più imponente di tutti i templi; e vedi anche che la superficie delle colonne è scheggiata e graffiata. I danni sono terribili, ma ciononostante il Partenone è ancora giovane e splendente. Le sue colonne si ergono come belle membra rotonde, arrossate per il vigore. Tuttavia, quando l’abbiamo visto per la prima volta, la luce era così violenta che siamo riusciti a stento a sollevare lo sguardo verso il fregio: anche a causa di tutto quel marmo disseminato ai nostri piedi — lastre di marmo, rocchi di marmo, schegge di marmo sembravano inviarci lampi di luce dal basso. [...] Abbiamo inoltre visitato l’Acropoli al tramonto. E quando si parla del “colore” del Partenone, ci si piega semplicemente alle esigenze della lingua; un pittore che usasse la propria arte per de-

scriverlo confesserebbe di avere gli stessi limiti. Il Tempio si accende di rosso; l’intero frontone occidentale pare infiammarsi, come per la prima volta, nel tramonto che gli sta di fronte: irradia luce e calore, mentre gli altri templi bruciano di un fulgore bianco. Nessun luogo appare più energico e vivo di questo palco di antiche pietre morte. [...]

Epidauro Ci troviamo adesso nella terra delle rovine e dei resti preistorici; non vi sono statue né templi, perciò è d’obbligo un altro tipo di interesse. Oggi ad esempio abbiamo viaggiato per venti miglia (e io scrivo, stupidamente, affacciata su una strada in pieno schiamazzo serale) verso Epidauro. Il paese, quando penetri all’interno della spoglia linea costiera, è strano e bello. Ci sono lunghe strade rosse che attraversano campi rossi accidentati per via delle pietre, e coltivati a ulivi contorti, o a vigne nane; ci sono colline ininterrotte, ma nell’interno sono coperte da piccoli cespugli verdi, e gli avvallamenti tra cui oggi abbiamo viaggiato ci hanno ricordato ancora una vol-

Micene Le parole che ho affibbiato a Epidauro in modo affrettato e brutale sono particolarmente inadeguate, e quando penso a Micene, la mia prossima prova, potrei anche lasciare la pagina in bianco. Dove comincia questo posto — dove finisce — che cosa non raccoglie lungo il percorso? Non c’è mai stato un sito, credo, meno facile da trattare; viaggia attraverso tutte le cavità del cervello, risveglia strani ricordi e fantasie; preannuncia un futuro remoto; racconta nuovamente un passato remoto. [...] L’immaginazione ti fa continuamente credere, mentre cammini, che il posto sia affollato e raccolto; è vero invece che c’è poco da vedere e niente da ascoltare. Ma le pietre immense non devono essere ignorate, e i due leoni che sorvegliano l’ingresso ti ammettono ancora consapevolmente in qualcosa di augusto che si trova al di là. Tremo al pensiero di scrivere dei classici greci, perché potrebbe ricordare l’accenno superficiale di una guida turistica, ma avevo il gusto di Omero in bocca. In realtà, questo è il vantaggio di vedere le cose sul posto; le parole dei poeti cominciano a cantare e a incarnarsi. [...] Quando ripensi alla campagna inglese trovi molto di cui sorprenderti in quella greca. Dovremmo chiamare le colline di qui “luoghi d’interesse” e percorrere miglia e miglia per visitare ciò che vi è di pittoresco, poiché se da un lato abbiamo le nostre bellezze, dall’altro abbiamo anche vasti spazi uniformi. Ora, la Grecia è sempre in uno stato di fermento ed effervescenza; ogni viaggio che intraprendi pare condurti per luoghi di campagna belli, o maestosi o romantici. Non vi è quiete, ma un continuo curvare e fluire, come se la terra scorresse liquida e vivace come il mare. [...] Penso in particolare alla baia di Salamina come l’abbiamo vista questa sera dai finestrini del treno. Adesso la ferrovia corre su una sporgenza rocciosa lungo la scogliera, e si può guardare dall’alto una strada che costeggia la baia, e poi direttamente l’acqua. E questa sera la luna è sorta prima che il sole tramontasse, così si è avuto un insolito sposalizio tra due luci; il tenue argento della luna, e il colorito rubicondo del sole; e mentre la luna giaceva delicata e bianca sul mare, le acque scintillavano letteralmente, azzurre, pure e tenere, e vive sotto di lei. Così che l’intera baia era luminosa, e calda, come se fosse piena fino all’orlo di un qualche liquido vivo, proprio nel momento in cui diventava un’ombra. [...] Alle cinque del mattino ci siamo ritrovati davanti alla Locanda di Calcide in attesa della nostra carroz-

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IL MANOSCRITTO A sinistra, il manoscritto di alcuni diari di Virginia Woolf. Nella pagina accanto, al centro, la scrittrice in un disegno di Richard Kennedy

IL LIBRO Diari di viaggio. In Italia, Grecia e Turchia di Virginia Woolf (Mattioli 1885, 118 pagine, 17,90 euro) esce per la prima volta in Italia il 5 ottobre I diari sono stati scritti durante il tour che la scrittrice fece all’inizio del Novecento nel Mediterraneo, con i suoi fratelli. Poco dopo pubblicò il suo romanzo d’esordio

za, mentre la pioggia cadeva a dirotto. Persino così siamo riusciti a vedere le barche, trasportate dalla corrente, e i grandi piroscafi che vi scivolavano accanto. Con il sole sarebbe stato bello; in mezzo alla fanghiglia era tutto indefinito e poco accogliente come un sogno. [...] C’era una nebbiolina scozzese abbastanza cupa. Abbiamo rifocillato i cavalli in una locanda lungo la strada, che abbiamo quindi potuto esaminare con interesse. Era un fienile, con un muro che lo divideva in due stanze. Una era la stalla, l’altra la camera da letto sala da pranzo salotto ecc. di marito e moglie e figli. Abbiamo sbirciato attraverso l’inferriata, e abbiamo visto la donna in un angolo, intenta a filare la rocca; era seduta su una stuoia. Accanto a lei, i bambini giocavano; c’era un buco nel camino, e un mucchietto di cenere sul pavimento, e su alcune assi pane e cipolle. Ecco l’Inghilterra del XIV secolo; era buio e probabilmente c’era puzza: negli angoli baluginavano pentole di stagno e piatti. Un uomo che pareva un servo ci ha portato pane e acqua. Ma abbiamo proseguito oltre, e alle due in punto ci siamo ritrovati all’ingresso di un paese — forse il primo che abbiamo incontrato. C’erano delle catapecchie ammassate in una vallata, e in mezzo si ergeva una casa bianca squadrata. La presenza di persiane e terrazze indicava che eravamo giunti alla meta; così siamo scesi e ci siamo ritrovati in un salotto inglese. I salotti inglesi, è vero, in genere sono arredati in modo più sontuoso; ci sono tappeti sui

Tremo a scrivere dei classici In un pomeriggio frivolo perché potrebbe sembrare qui ad Atene pensi alle lande dello Yorkshire, profumi una guida turistica, ma avevo il gusto di Omero in bocca che soffiano dalla brughiera pavimenti, e molte sedie. Questa stanza faceva pensare che le finestre fossero perennemente aperte, e dato che i suoi proprietari vivevano all’aria aperta, non c’era bisogno di tanti orpelli, ma solo che la casa fosse fresca e semplice. Eppure, per quanto aperto e sgangherato, il posto aveva l’effetto di farti sentire come se fossi finalmente arrivato nel luogo in cui si svolgeva la vita, dopo aver lambito per lungo tempo un esterno fittizio. Qui la gente viveva, non si limitava a stare. E questa impressione rimane; per la prima volta la Grecia diventa davvero un luogo umano articolato, casalingo e familiare, invece di una splendida superficie. Abbiamo camminato lungo un viottolo che avrebbe potuto trovarsi in Inghilterra — perché aveva una siepe, ed era fangoso, per andare a vedere un accampamento di pastori valacchi. [...] Ci siamo diretti verso la costa, a circa cinque miglia di distanza. I contadini stavano lavorando pacifici nei campi, e mentre passavamo ci hanno augurato buona giornata. La costa è molto ripida, e gri-

gia, come le scogliere della Cornovaglia; le rocce grigie macchiate di licheni gialli spiccano nell’acqua assolutamente cristallina. E all’orizzonte si vedono i delicati profili delle isole. [...] Non sorprende, se dovessi mettere per iscritto tutte le circostanze del caso; di certo non è colpa della Grecia — il fatto che esclamiamo tutti: «Ah, se fossimo in Inghilterra!». È un po’ strano come la nostalgia aumenti e che cosa desideri; si nutre di nomi, e la semplice parola Devon diventa più bella di una poesia; da un’umida strada londinese, trae immagini migliori di qualunque visione della Grecia, con la luce dei lampioni deformata sul marciapiede. E sei righe di descrizione —Era una notte d’inverno e le stelle si levavano soprai campi spogli — susciteranno lacrime,lo giuro. Eppure non siamo patriottici; in verità è divertente leggere i giornali e scoprire quanto poco ci si possa interessare a tutto ciò che continua a friggere e ribollire nella nostra isola. [...] Il Timesperde la sua

imponenza: è il giornalino privato di una piccola colonia di isolani, il cui schiamazzo è efficacemente confinato nella loro prigione. Ma non è la gente che bramiamo; è il luogo. Conserva la sua magia, con tale forza che pare inviare scosse attraverso l’acqua. In un pomeriggio frivolo, qui ad Atene — poiché la strada tagliata in colori netti e lavata nell’aria luminosa — ha una certa leggerezza — pensi alle lande desolate dello Yorkshire; profumi freschi che soffiano dalla brughiera, case di pietra, una luce o due nella valle. O pensi a una grande piazza londinese, dove sono state appena accese le lampade, e tutte le finestre si stagliano rosse, pronte per una serata virtuosa. Oppure pensi ai chiari mattini d’autunno, con il sentiero di foglie bruciate nel vento, una pagina nuova sulla scrivania, e un fuoco vivace nel caminetto. Ci sono molte immagini; emergono, una dopo l’altra, finché devi smettere di pensare, perché prima devi percorrere molte leghe di questo oriente inospitale. L’Inghilterra ha un riverbero di tutto ciò che è pulito e sano, e serio; inoltre, è un luogo semplice, pieno di bellezze nuove. Ah, sì, torneremo a casa e le scopriremo tutte; non esistono bellezze simili da nessun’altra parte. Traduzione Francesca Cosi e Alessandra Repossi © 2011 Mattioli 1885 Spa © RIPRODUZIONE RISERVATA

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