Storia di Taranto 2° Parte

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Taranto tra storia, leggende e tradizioni (seconda parte fino ad Archita incluso) (a cura di nonna Serena)


Dopo Fàlanto… Dopo la morte di Fàlanto, Taranto visse un periodo di pace dedicandosi a consolidare la propria posizione e stringendo patti di alleanza con i propri vicini, cioè: i Dauni, i Peugeti, i Messapi e gli Enotri. La Daunia comprendeva il territorio oggi noto come Capitanata e anticamente, insieme con la Peucezia e la Messapia, costituivano la Japigia.

Il popolo iapigio, secondo alcuni storici greci, discendeva da Iapige, il figlio di Dedalo,ed era di origine illirica.Quando sbarcò sulle coste del basso Adriatico, si unì agli abitanti del luogo, dividendosi in tre tribù, appunto i Dauni, i Peuceti ed i Messapi. La Peucezia è il territorio che, prima dell’arrivo dei Romani, occupava una parte della provincia di Bari.


La Messapia comprendeva tutta la penisola di Brindisi e, da Taranto, fino a Santa Maria di Leuca. I Messapi erano originari dell’Illiria e, poiché si stabilirono nella zona fra il mare Adriatico ed il mare Ionio, tutto fa pensare che il loro nome significhi” popolo tra due mari”.

Lo storico Strabone precisa che, dopo la conquista da parte dei Romani, i territori della Daunia e della Peucezia vennero chiamati “Apulia”, mentre le zone abitate dai Messapi presero il nome di Calabria (l’attuale Salento) e gli abitanti si chiamarono Salentini. Anche l’Enotria era una terra confinante con Taranto ed occupava un pezzo dell’attuale Puglia, della Basilicata e della parte settentrionale della Calabria.


Taranto, quindi, governata da un Poliarca che era a capo di una Repubblica, viveva un periodo di tranquillità e di prosperità, accogliendo anche molti forestieri. Ma avvenne che alcuni giovani nobili Sanniti, giunti a Taranto, attratti dalla fama della città, decisero di andare a caccia. Purtroppo, nonostante il divieto, entrarono nel podere privato del Poliarca e uccisero alcuni animali. Furono imprigionati per alcuni giorni, multati e rimandati a casa. Il De Vincentis, nella sua Storia di Taranto, racconta così Il motivo dello scoppio della guerra.

Tornati nella loro patria, il Sannio. ( regione che si estendeva dal Fortore al Tronto e dall’Appennino all’Adriatico), i giovani raccontarono la loro avventura, eccitando gli animi dei Sanniti che, senza pensarci troppo, dichiararono guerra a Taranto, alleandosi con il popolo dei Lucani. Era il 617 a.C. I Tarantini rimasero sorpresi per questa dichiarazione di guerra e pensarono bene di fortificarsi, per evitare essere attaccati senza difesa.


Inoltre la potenza militare di Taranto era grande e la sua armata navale superava quella di ogni altra nazione. Così nella sua rubrica “TARANTO, TARANTO MIA” sul Corriere del Giorno, Dino Primo descrive il il guerriero tarantino:

“era coraggioso, duro, di stampo

ovviamente spartano...” e continua “… Eliano riferisce che la cavalleria tarantina era celebre. C’erano i ferentarii che attaccavano da lontano, usavano dardi o arco. C’era il reparto, chiamato Tarentini, i cui componenti, si gettavano sul nemico e combattrevano da vicino come gli astati. I cavalieri coperti di corazze si chiamavano Leucaspidi, come i cavalieri vittoriosi nella guerra di Acaia ed erano celeberrimi lancieri tarantini che, armati di giavellotti, si difendevano con scudi rotondi e bianchi (Leukespes significa scudo lucente).


Taranto, ben fortificata e preparata, non rispondeva agli attacchi dei nemici e questi, credendo che il suo silenzio fosse sinonimo di debolezza, decisero di dare l’assalto alla città, ma furono accolti da una pioggia di frecce e pietre e dovettero retrocedere, chiedendo l’intervento degli alleati lucani. Anche i Tarantini, assediati, si decisero a stringere alleanza con i Messapi che arrivarono velocemente e segretamente, permettendo così ai Tarantini di assalire i nemici facendone grande strage. Alcuni

riuscirono a fuggire e questo permise all’esercito di Taranto di occupare numerosi paesi del Sannio, allargando così i confini della città. Questa vittoria dei Tarantini convinse alcuni paesi che appartenevano ai Lucani, ma che si trovavano in territorio messapico, a porsi spontaneamente sotto la protezione di Taranto. Una di queste città era Tirea, sorta nei pressi di Latiano, che fu subito munita di un forte presidio sotto il comando di Attilio, un valoroso capitano.


I Lucani, naturalmente, cercarono di recuperare Tirea, affidando l’esercito ad Eliodoro, un valoroso comandante. Lo scontro fra Tarantini e Lucani fu molto violento, ma alla fine questi ultimi furono costretti alla fuga. La vittoria insuperbì i vincitori che iniziarono ad impossessarsi di altre località dei Lucani e la loro attenzione si posò soprattutto sulla ricca città di Cabrina ( oggi Carovigno). I soldati assalirono Cabrina di notte, la saccheggiarono e violarono anche i templi sacri e le vergini consacrate.

Il Senato tarantino, su denuncia dello stesso comandante Attilio, adottò dei provvedimenti rigorosi contro i colpevoli, le cui abitazioni furono segnate con il marchio d’infamia ed i cui nomi furono cancellati dall’elenco dei cittadini onorati. L’odio dei Lucani nei confronti di Taranto aumentò ancora di più, pertanto si affrettarono ad allestire un forte esercito per cercare di distruggerla.


Anche i Tarantini allestirono un’armata molto forte e partirono alla conquista delle città costiere lucane, cosa che riuscirono a fare, espugnando Turio, Siride e Metaponto. A questo punto ai Lucani non restò che firmare una tregua che durò a lungo. Per avere un maggior controllo sulle terre conquistate, Taranto fondò una nuova città che chiamò Eraclea ( oggi Policoro, dove si può visitare un ricco museo archeologico con i reperti rinvenuti durante alcuni scavi).

Verso la metà del VI secolo a.C., proprio in queste colonie si verificò una rivolta, a capo della quale c’era Cleandro, uno spartano che viveva a Turio, il quale approfittando delle discordie sorte tra gli abitanti, assalì Eraclea e la annientò, poi chiese aiuto ai Lucani, per difendersi dall’ira dei Tarantini.


La reazione di Taranto non si fece attendere; il suo esercito occupò le città rivoltose, sconfisse Cleandro e occupò tutta la Lucania. Intanto l’espansione e le vittorie di Taranto preoccupavano i Messapi che decisero di allearsi con i Peucezi ed attaccare la città all’improvviso, approfittando del fatto che i migliori guerrieri erano stati mandati in aiuto della Grecia che, nel 473 a.C., era stata invasa dai Medi. Anche i Tarantini pensarono bene di allearsi e lo fecero con gli abitanti

di Reggio ( questa è l’attuale Reggio Calabria ed era un’importante città della Magna Grecia. Attualmente a Reggio si possono ammirare le gigantesche statue dei Bronzi di Riace, risalenti al V secolo a.C e rinvenute nel 1972 durante un’immersione sottomarina nei pressi di Riace).

Lo scontro fu terribile, i due eserciti combatterono valorosamente, ma i Messapi riuscirono a sterminare i Tarantini ed i Reggini.


Lo storico greco Erodoto così parla di quella terribile battaglia:”…fu questa la più grande strage di Greci e Reggini che noi conosciamo, che dei Reggini morirono 3000 soldati e dei Tarantini non si poté nemmeno contare il numero”. I Tarantini ebbero paura che i Messapi, galvanizzati dal successo, decidessero di impadronirsi di Taranto, quelli, invece, temendo di restare intrappolati nella città, si allontanarono volontariamente.

I Tarantini per ricordare lo scampato pericolo stabilirono che, ogni anno, in quel giorno avrebbero digiunato. Lo scrittore Giovanni Giovine scrisse che quel giorno fu chiamato Nistia.In seguito ci fu la riscossa di Taranto che riuscì a ristabilire la propria supremazia sui popoli vicini. Nel 472 a.C., mentre a Taranto si contavano ancora i morti della guerra messapica, in Grecia, anch’essa oppressa dall’invasione dei Medi, si inaugurava la settantasettesima Olimpiade, a cui parteciparono anche degli atleti Tarantini.


ICCO Figlio di Nicolaide, Icco fu atleta di grande valore e medico ufficiale degli atleti che Taranto inviò a partecipare alle Olimpiadi del 472°.C. Fu il primo ad applicare la scienza medica all’educazione fisica ed a imporre a sé e agli altri una dieta alimentare rigorosa ed una vita sobria, specialmente prima delle gare sportive. Durante quelle Olimpiadi, Icco vinse il Pentathlon che consisteva in cinque gare: lo stadio, il disco, il giavellotto, il salto in alto e la lotta.

Secondo lo scrittore Vitruvio, a Taranto si usava onorare e festeggiare gli atleti vincitori, premiandoli nel Pritaneo, cioè il tribunale dove venivano ricevuti gli ambasciatori e dove si conservava il fuoco sacro della dea Vesta. Agli atleti si imponeva sulla testa una corona di rami d’ulivo e si offrivano ricchi doni. Pausania racconta che in onore di Icco , a Crotone, fu innalzata una statua nel tempio di Giunone Lacinia.


La dimostrazione del rispetto e dell’ammirazione che i Tarantini avevano per gli atleti olimpici erano le tombe a loro riservate. Nel Museo Nazionale di Taranto si può ammirare” la tomba dell’atleta” che consiste in un sarcofago con lo scheletro intero di un atleta, presumibilmente vincitore di quattro giochi olimpici nel Pentathlon e risalente al V secolo a.C. Ai lati della tomba si trovano tre delle quattro anfore che erano state offerte all’atleta come premio per le sue vittorie e che, probabilmente,

rappresentavano il suo corredo funerario. La tomba dell’atleta fu rinvenuta , durante alcuni lavori, in via Genova a Taranto, nel 1959 e portati nel Museo Nazionale, fondato nel 1887, che conserva preziosi reperti della Magna Grecia e manufatti fra cui gli Ori di Taranto.


Dopo un lungo periodo di guerre e di sterminio, i Tarantini ritennero necessario cambiare la forma di governo. Per circa trecento anni il potere era stato in mano agli aristocratici, ma, verso la prima metà del V secolo a.C. ci fu una rivoluzione istituzionale che trasformò la Repubblica aristocratica, in democratica , sul modello politico scelto da Atene. Uomini nuovi di grande valore contribuirono a risollevare le sorti di Taranto e a farla diventare la città più ricca e importante della Magna Grecia.

ARCHITA Tra i più illustri Tarantini di quel tempo si deve annoverare Archita, nato a Taranto nel 428 a.C. Fu scienziato, musicista, astronomo, stratega e come filosofo e matematico continuò la tradizione di Pitagora. Appassionato meccanico, inventò una vite adatta a spremere le olive nel frantoio e anche la spola per la tessitura.


Lo scrittore e critico latino Aulo Gallo scrisse che Archita aveva inventato una colomba di legno volante che eseguiva tutti i movimenti della colomba vera. Archita fu eletto supremo capo della Repubblica dal Senato di Taranto e, sebbene una legge vietasse la rielezione della stessa persona per più di un anno, i Tarantini lo rielessero per sette anni consecutivi. Durante il suo governo si costituì la Lega Italiota che, sotto la guida di Taranto, comprendeva altre città della Magna Grecia quali: Metaponto,

Thuri, Crotone, Sibari ed Eraclea, unite per difendersi dagli attacchi dei Lucani. Strabone, geografo e storico greco ricorda che, in quegli anni, Taranto estese la sua egemonia sia sullo Ionio che sull’Adriatico, diventando molto potente sia per terra che per mare. Ma tutti questi successi, i tanti onori ed una così grande potenza scatenarono l’invidia di molti, tanto che Archita fu costretto all’esilio e morì nel 347 a.C. durante un naufragio nei pressi di Mattinata.


Dopo le guerre, Taranto oltre a subire una profonda rivoluzione istituzionale si trasformò anche urbanisticamente, costruendo una nuova cinta difensiva e ampliando la sua area abitativa. La città si estendeva,come scrive Giacinto Peluso nella sua Storia di Taranto, dall’attuale Città Vecchia, dove si trovava l’Acropoli, cioè il centro abitato, all’Agorà che occupava il terreno della moderna piazza Garibaldi, fino

alla Necropoli che, dall’odierna via Leonida arrivava fino alle mura di cinta, oltre le quali c’era una zona paludosa, bonificata da poco e che conserva ancora i nomi di Salina grande e Salina piccola. I tarantini onoravano molti Dei ed eroi greci ai quali dedicarono alcuni templi, di questi, però, restano pochi reperti, sempre nella Città Vecchia . Sotto il Duomo dedicato a San Cataldo pare che ci fosse il tempio di Ercole, mentre quello della dea Afrodite dovrebbe trovarsi sotto la chiesa di Sant’Agostino.


Ma, certamente, il tempio più antico della Magna Grecia è il tempio dorico dedicato al dio del mare, Poseidone. I resti di questo monumento, le due colonne doriche e parte del basamento, si possono ammirare in Piazza Castello. . Verso la fine del 1800, fu il professor Luigi Viola a studiarne i resti ed attribuire il tempio a Poseidone e solo nel 1973, con l’abbattimento

della chiesa della SS:Trinità, le colonne vennero portate alla luce. I sette anni di governo di Archita segnarono il periodo di maggior sviluppo di Taranto che si attestò come la maggiore delle colonie greche in Italia. Inoltre il suo porto, così ampio e sicuro, richiamava le navi degli altri paesi, quindi divenne il centro del commercio marittimo più importante. Con Taranto commerciavano Corinto, la Sicilia, le città della Grecia, dell’’Epiro e dell’ Africa.


La ricchezza della città proveniva dai campi ben coltivati, dal clima mite, dall’industria della ceramica e dei tessuti e soprattutto da quella della porpora. Questa sostanza veniva usata per colorare i tessuti ed era il risultato della lavorazione di alcuni succhi estratti dalle murici, (comunemente chiamati coccioli) molluschi che abbondavano sia nel mar Grande che nel mar Piccolo di Taranto. l succhi che se ne ricavavano( non propriamente profumatissimi) variavano dal turchino al rosso chiaro, ma il più

pregiato era senz’altro il rosso-violetto con cui si tingevano le toghe dei senatori romani ed i manti dei re. Secondo una leggenda la porpora fu scoperta da un pastore che pascolava il suo gregge nei pressi del fiume Galeso. Il suo cane, annusando le cose che rinveniva in riva al fiume, trovò alcune conchiglie e si mise a sgranocchiarle. Giunta la sera, il pastore si accorse che il muso del cane era tutto rosso. Pensando che fosse sangue, l’uomo cercò di pulirlo, senza riuscirci.


Appurato che la bestia non aveva alcuna ferita, il pastore cercò di scoprire da dove venisse quel colore e, dopo diversi tentativi, capì che proveniva dalle conchiglie. Perciò provò a tingere le lane del suo gregge con una mistura di sua composizione e…l’effetto fu splendido. In seguito l’industria si appropriò della scoperta e ben presto la porpora di Taranto divenne più preziosa di quella di Tiro. Altro prodotto importante per l’economia di Taranto fu il bisso.

Questo è un filamento setoso e lucente che secernano alcuni molluschi come il mitilo e la pinna nobilis per fissarsi al fondo marino. I Tarantini seppero trarre profitto da questa seta, perché dalla sua tessitura si ricavava una stoffa morbida e delicata, molto rara e costosa che veniva adoperata dalle nobili e ricche signore per confezionare le tarantinide abiti lunghi e morbidissimi.


Tra il IV ed il II secolo a.C. una delle attività piÚ importanti di Taranto fu la lavorazione dei metalli preziosi, in particolare dell’oro. Alcuni oggetti sono stati recuperati soprattutto nelle necropoli, sia di Taranto che di città vicine e rappresentano certamente il corredo funerario di uomini e donne nobili. Le corone sono a foglie di alloro e di edera, in argento o in bronzo dorato. Gli orecchini e gli anelli rinvenuti sono numerosi e tutti in oro. Molti di questi gioielli sono esposti nella sala degli Ori del

Museo Nazionale di Taranto.


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