taranto tra storia, leggende e tradizioni ( terza parte fino a Pirro) a cura di nonna Serena
TARANTO E LA GUERRA DEL PELOPONNESO
Nel 431 a.C. iniziò la lunga guerra del Peloponneso che vedeva in lotta Sparta contro Atene per assicurarsi l’egemonia politica ed economica sulla Grecia. Lo scrittore Giacinto Peluso nella sua Storia di Taranto racconta che Taranto, insieme con le altre colonie greche, si allineò alla politica di Sparta, pur decidendo di non entrare direttamente nel conflitto. Nel 415 a.C. quando gli Ateniesi, diretti in Sicilia, per attaccare Selinunte e Siracusa, chiesero a Taranto di fare entrare
nel suo porto la loro flotta per rifornirsi di viveri, i Tarantini rifiutarono, al contrario di Turii e Metaponto che, insieme con i Messapi, offrirono riparo ed armi all’esercito ateniese. Ma quando gli Spartani inviarono una flotta in aiuto delle due città siciliane, Taranto fu
pronta a fornire ampia ospitalità, pur continuando a rifiutare di partecipare direttamente alla guerra. Nonostante l’esercito ateniese fosse più numeroso di quello spartano, l’assedio di Siracusa si risolse con una vittoria da parte di Sparta e, da quel momento, le due più importanti città della Magna Grecia,Taranto e Siracusa strinsero un patto di alleanza che durò a lungo. Agli inizi del IV secolo a.C. a Siracusa governava Dionisio , detto il Tiranno che, organizzato un forte esercito, dichiarò guerra a tutte le
colonie greche che, ben presto, furono occupate. Solo i Lucani, prima alleati di Siracusa, temendo di diventare terra di conquista del Tiranno, si schierarono contro di lui, diventandone avversari. Così Taranto che, in tutto questo tempo, era rimasta fuori dalla guerra, e che per la sua potenza era temuta da Dionisio, nel 389 a.C. diventò sede dalla Lega italiota al posto di Crotone.
TARANTO DOPO ARCHITA Grazie all’opera di Archita, Taranto aveva raggiunto un notevole sviluppo sia dal punto di vista politico che da quello economico e commerciale. Però, come spesso accade, le enormi ricchezze accumulate causarono un decadimento nei costumi ed un desiderio smodato di eleganza e ricchezza. L’esercito tarantino che era stato sempre considerato insuperabile per potenza e strategie era diventato quasi inesistente. Archita aveva
fondato una serie di phrouria, cioè avamposti militari, per difendere la città ( si possono ancora visitare i resti di quello di Pezza Petrosa, nel comune di Villa Castelli), ma a poco servirono nelle guerre successive. Quando Archita andò in esilio, il Senato tarantino decise, dopo molte trattative, di nominare governatore della città Aristofilide, un comandante nato a Crotone, ma vissuto a Taranto fin da ragazzo.
TARANTO E GLI STRANIERI Aristofilide, essendo un militare abbastanza coraggioso, decise di risolvere definitivamente la vecchia rivalità con i Lucani che nel frattempo si erano alleati con gli Achei. Questi ultimi facevano parte di una antica popolazione greca che era stata costretta a limitare i propri confini nella zona settentrionale del Peloponneso ( l’Acaia appunto) e che odiavano Sparta. Aristofilide, anche se ambizioso, era cosciente del fatto che l’esercito tarantino non era più in grado di affrontare
quello numeroso e fortissimo dei Lucani e degli Achei, perciò propose al Senato di chiedere aiuto ad Archidamo III, re di Sparta, città amica da sempre di Taranto. Dino Primo, nella sua rubrica Taranto Taranto mia, sul Corriere del Giorno del maggio 1980 descrive con molta cura la figura di questo re spartano,- forte, potente, valoroso ed intelligente veramente amico di Taranto e della sua gente.Di
Archidamo gli storici dicono che vinceva nella battaglia “senza lacrime” e che era pronto ad accorrere in aiuto di chiunque-. Quindi questo eroe spartano accettò la proposta di Aristofilide, venne in Italia, vinse alcune battaglie contro gli Achei ed i Lucani, ma perse la vita combattendo eroicamente sotto le mura messapiche di Manduria( alcuni storici però dicono che morì a Metaponto). Era il 338 a.C. Dopo la morte di Archidamo le truppe si sbandarono, molti soldati furono uccisi, altri
fuggirono verso il Sannio dove fondarono nuove colonie. Intanto i Tarantini continuarono a combattere conquistando anche alcune colonie come Turio e Siride. Ma… a questo punto inizia a profilarsi l’ombra minacciosa di Roma. Questa, infatti, era in guerra contro i Sanniti e, temendo che Taranto volesse accorrere in aiuto degli antichi alleati, strinse un patto di alleanza con i Lucani per aiutarli a riconquistare le città perdute. L’intervento dei Romani convinse il Senato tarantino a chiedere nuovamente aiuto ad uno straniero.
Ecco quindi, nel 334 a.C. venire in aiuto di Taranto Alessandro I d’Epiro, detto il Molosso, zio di Alessandro Magno, il Macedone.Questo re epirota era molto ambizioso e desiderava imitare le imprese del nipote, perciò quando sbarcò sulle spiagge adriatiche e vide Brindisi, pensò subito di conquistarla, ma i Tarantini fecero sapere che non avevano nessuna intenzione di rompere l’amicizia con quella città.
Alessandro, perciò, si diresse verso Taranto dove fu accolto con simpatia, ma anche con prudenza, perché la prima cosa che il re fece fu quella far coniare monete d’oro e d’argento con il suo nome. Nel consiglio di guerra che seguì si decise di marciare su Turio per riconquistarla, cosa che avvenne. Ma il re cominciò a rimproverare ai Tarantini di non battersi adeguatamene mentre questi erano sempre più convinti che il Molosso volesse impadronirsi di Taranto.
Anche i Lucani avevano capito che Alessandro mirava ad impadronirsi di tutte le terre dell’ Italia meridionale, perciò chiamarono in aiuto i Bruzi, (un popolo che occupava quasi tutta l’odierna Calabria), che giunsero con una forte armata. Ci furono scontri violenti e sanguinosi, ma la vittoria arrise ad Alessandro ed ai Tarantini; furono occupate alcune città lucane ed il Molosso costrinse i Lucani a consegnargli come ostaggi, in previsione di
possibili insurrezioni, trecento giovani appartenenti alle migliori famiglie e li mandò in Epiro. Quindi, per aumentare maggiormente la sua potenza, iniziò una trattativa con i Romani, per stabilire contatti amichevoli e promesse di non intervento in caso di attacco da parte dei Lucani. A questo punto i rapporti con i Tarantini, già abbastanza tesi, si ruppero definitivamente ed anche i Romani lo abbandonarono, perché, per il momento non avevano alcuna intenzione di inimicarsi Taranto.
Ma, nonostante, fosse rimasto solo, Alessandro, ormai certo della sua potenza, volle continuare la sua guerra di conquista. I Lucani, però, gli tesero un’imboscata e lo uccisero mentre attraversava il fiume Acheronte ( probabilmente si tratta del fiume Agri, chiamato anticamente Acheros), nei pressi di Pandosia, una città lucana, oggi Anglona, frazione di Tursi. Così nel 330 a.C. morì Alessandro I il Molosso e la profezia sulla sua morte si avverò. Infatti l’oracolo
gli aveva consigliato di stare lontano da Pandosia e da un certo fiume. Il re pensò che si trattasse della città di Pandosia, in Epiro ed invece trovò la morte in un’altra località, lontana dalla sua terra, che aveva però lo stesso nome. Lo storico Tito Livio racconta:”..ed avendo raccolto i suoi dalla fuga, giunse al fiume, il quale mostrava qual fosse il cammino con le fresche ruine del ponte, che la furia delle acque aveva
menato via. Il qual fiume, passandolo la gente senza sapere il certo guado, un soldato stanco ed affamato, quasi rimbrottandolo e rimproverandogli il suo abominevole nome, disse:” Dirittamente sei chiamato Acheronte”. La qual parola, posciaché pervenne alle orecchie del re, incontamente lo fece ricordare del suo destino, e stare alquanto sospeso e dubbio, se si doveva mettere a passare…ed uscito arditamente dalle profondità delle acque, era giunto
nel guado sicuro, quando uno sbadito lucano lo passò dell’un canto all’altro con un dardo.” Certamente la morte di Alessandro il Molosso liberò i Tarantini dal timore di una sua azione vendicativa nei loro confronti, visto che avevano rotto il patto di alleanza stretto con lui, ma un’altra minaccia incombeva su Taranto, quella dei Romani. Questi, che stavano combattendo una dura guerra contro i Sanniti, avevano trovato un poderoso presidio a Paleopoli (nei pressi dell’odierna Napoli).
Questo presidio ostacolava l’espansione di Roma verso il Sud d’Italia, cosa che preoccupava molto i Tarantini, i quali si decisero a preparare un esercito per andare in aiuto degli amici Sanniti, sotto assedio. Grazie, però, al tradimento di alcuni soldati sanniti, i Romani riuscirono ad occupare Paleopoli e a sbaragliare l’esercito sannita che fu costretto a chiedere la pace. Il Senato di Taranto appresa la notizia, decise di fare una dichiarazione di inimicizia nei confronti di Roma e di mandare
l’esercito in aiuto dei Sanniti sfuggiti al nemico. Intanto i Lucani strinsero un’alleanza con i Romani e ripresero i loro attacchi contro le città della Magna Grecia. Taranto, coinvolta in queste battaglie, non conobbe che sconfitte mentre Roma continuava la sua marcia di espansione verso il Sud, arrivando ad occupare Lucera ed i territori dell’Apulia, controllati da Taranto. Ancora una volta i Tarantini chiesero aiuto a Sparta che affidò a Cleonimo l’impresa di aiutare i Tarantini a contrastare i Romani.
Cleonimo figlio di Cleomene, re di Sparta, accettò volentieri l’incarico di aiutare Taranto, si fece consegnare le monete che gli ambasciatori tarantini avevano portato, quindi ingaggiò dei mercenari ed acquistò delle navi da guerra, poi nel 303 a.C. salpò verso Taranto dove fu accolto con grande entusiasmo. Qui furono assoldati altri mercenari e ben presto Cleonimo si trovò a capo di un esercito di trentamila soldati e padrone di una grande disponibilità di denaro.
I Lucani, allora, si affrettarono a chiedere la pace e così altri popoli vicini, solo Metaponto fece resistenza, ma poi dovette cedere davanti ad un esercito così imponente. Ma Cleonimo non si accontentò della resa e pretese un grosso tributo che i Metapontini si rifiutarono di pagare. A questo punto il re spartano si proclamò tiranno della città e ordinò il prelievo forzato del denaro mentre i suoi soldati compirono soprusi e violenze di ogni genere. Poi, convinto di aver fiaccato la
resistenza dei cittadini, partì per conquistare altri territori sull’Adriatico, quindi andò a Corcira, ( l’odierna Corfù), presidio strategico del mare Mediterraneo ma i Tarantini ed i Lucani, approfittando della sua lontananza decisero di non riconoscerlo più come loro capo. Lo Spartano, infuriato tornò immediatamente in Italia e attaccò Tropea, dove fece schiavi tutti i cittadini, quindi conquistò Turio. I popoli vicini, stanchi dei suoi soprusi si coalizzarono contro di lui ed anche i Romani si
decisero a dargli battaglia inviandogli contro il console Marco Emilio. Cleonimo pensò bene di rifugiarsi a Taranto, ma alcuni cittadini decisero di liberarsi per sempre di lui. Il De Vincentis, nella sua Storia di Taranto, racconta che furono pagati due sicari, tali Peucestio e Caio Cassio che lo avvelenarono. Scoperto il delitto, il Senato tarantino, condannò al patibolio gli assassini. Dopo la morte di Cleonimo, ci fu un brevissimo periodo di pace, poi i Lucani ripresero i loro attacchi contro Taranto.
I Tarantini, non avendo comandanti in grado di affrontare dal soli una guerra, chiesero aiuto ad un altro straniero: Agatocle, tiranno di Siracusa. Costui, da figlio di un vasaio di Reggio, era diventato,con un colpo di stato, capo assoluto di Siracusa. Era un soldato coraggioso e crudele che aveva l’ambizione di formare uno Stato con tutte le città occidentali di origine greca
per potersi così opporsi all’espansione di Cartagine, città sempre più potente. Nel 300 a.C. accorse in aiuto dei Tarantini, respingendo gli attacchi dei Lucani e dei Bruzi, quindi si affrettò a correre in aiuto di Corcira, attaccata dai Macedoni, perché questa città apparteneva alla figlia Lanassa, sposa di Pirro, re dell’Epiro. Al termine di questa guerra volle tornare a Taranto e continuare la lotta contro Cartagine, ma la morte lo colse nel 289 a.C
Il IV secolo a.C. vide arrivare a Taranto molti comandanti stranieri: Archedamo, Alessandro il Molosso, Cleonimo, Agatocle, questo perché i Tarantini non avevano più la capacità di organizzare da soli un forte esercito e non c’erano uomini capaci di guidarli nelle guerre. La ricchezza raggiunta con la posizione strategica che occupava nel Mediterraneo, i ricchi scambi di merci con i paesi amici avevano reso Taranto meno bellicosa o come scrisse poi Orazio, qualche tempo dopo
in una epistola ed in una satira” imbelle Tarentum” e” molle Tarentum”, frasi che furono interpretate dai nemici come dispregiative, ma che in realtà, visto l’amore che il poeta aveva per Taranto potevano semplicemente dire” leggera e amante della pace”. Taranto, in realtà si era assicurata una certa potenza economica e poteva dedicarsi maggiormente ad abbellire la città ed a svilupparsi culturalmente, come dimostrano i personaggi vissuti in quegli anni: Aristosseno e Rintone.
ARISTOSSENO Vissuto a Taranto verso la fine del IV secolo a.C., Aristosseno era figlio di Mnesia, detto lo Spintaro (allievo di Socrate), che lo avviò alla filosofia ed alla musica. Fu allievo dei principali artefici della cultura del suo tempo, fra cui Aristotele ed insegnò musica nella sua scuola. Il De Vincentis scrive che” divenne così celebre per la severità della sua filosofia e la dolcezza della sua musica che chiunque a que’ dì errasse nel parlare o nell’armonia delle note
udivasi intuonare all’orecchio il popolare adagio Tu Aristoxenum non audisti” Scrisse molte opere delle quali sono rimaste i tre volumi di ” De elementis harmonicis” Alla morte di Aristotele, Aristosseno aspirava alla direzione della sua scuola ma restò deluso e preferì andare a diffondere la musica nel Peloponneso, dove morì.
RINTONE Rintone nacque a Taranto nel 323 a.C. anche se qualche storico fa risalire la sua nascita a Siracusa. A Taranto, comunque visse e scrisse le sue opere. Fu l’inventore della tragicommedia, in seguito chiamata fabula rhinthonica, conosciuta anche a Roma che consisteva in una parodia dei miti tragici. Delle sue numerose opere rimangono nove titoli e alcuni frammenti, scritti tutti nel dialetto dorico di Taranto. Morì nel 285 a.C.
TARANTO CONTRO ROMA Intorno al 300 a.C. Taranto strinse un trattato di non belligeranza con Roma, la quale si impegnava a non oltrepassare con le proprie navi il capo Lacinio (oggi Capo Colonna, nei pressi di Crotone). Nel 282 a.C, però i Romani furono costretti ad inviare una flotta di dieci navi per aiutare la città di Thurii (nei pressi di Sibari), assediata dai Lucani e dai Bruzi e per questo motivo dovettero
oltrepassare capo Lacinio ed ormeggiare le navi al largo di Taranto, proprio nei pressi delle isole Cheradi.Questa mancanza di rispetto degli impegni presi infuriò i Tarantini che ebbero il sospetto di un tentativo di attacco alla città . Questi, proprio in quel giorno erano impegnati nei festeggiamenti in onore di Dioniso, (il dio Bacco dei Romani) il dio della Vegetazione, della vite e quindi del vino, per cui erano molto euforici
ed eccitati dalle abbondanti libagioni. Quando le sentinelle videro dieci navi triremi dei Romani avvicinarsi al porto di Taranto, senza chiedere alcuna spiegazione, pensarono bene di mandare la loro flotta per fermarle, cosa che fecero, affondandone anche quattro e catturandone una, mentre le altre cinque si davano alla fuga. Non contenta del successo ottenuto, Taranto mandò
delle truppe verso Thurii, occupandola e sopraffacendo il presidio romano che fu costretto ad abbandonare la città. Naturalmente Roma non poteva tollerare un simile affronto, ma non intendeva ancora entrare in guerra con Taranto, perciò mandò una delegazione guidata dall’ambasciatore Lucio Postumio per chiedere la restituzione della nave e dei prigionieri, ma anche il ripristino del presidio romano di Thurii.
Il Senato tarantino chiese tempo per decidere e riunì il popolo nell’Anfiteatro della città, ma la plebe, ormai esultante per la vittoria ottenuta sulla flotta romana, cominciò ad offendere gli ambasciatori ed a inneggiare alla guerra. Quando Lucio Postumio replicò con durezza agli insulti dei Tarantini, un certo Filonide, soprannominato, Kotylè per la bassa statura e d il corpo tozzo, gettò, fra gli schiamazzi degli amici, un recipiente pieno di rifiuti ed escrementi sull’ambasciatore romano.
Indignato fortemente per questo gesto offensivo, pare che Lucio Postumio abbia esclamato questa frase minacciosa:” Per lavare questa macchia spargerete una gran quantità di sangue e verserete molte lacrime.” Ma il Senato romano esitava ancora a dichiarare guerra a Taranto sia perché la temeva, sia perché Roma era impegnata a combattere su altri fronti. Decise, perciò, di mandare il console Quinto Emilio Barbula a fare una dimostrazione militare proprio
sotto le mura della città per ottenere almeno delle scuse, ma neanche questa volta i Tarantini cedettero. Ci furono dei contrasti fra i pacifisti ed i guerrafondai ed alla fine questi prevalsero. Taranto ormai doveva prepararsi alla guerra che i Romani dichiararono nel 281 a.C. Poiché , però, i tarantini non avevano più un forte esercito, decisero di chiedere l’aiuto di Pirro, re dell’Epiro.