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Patologie cerebrovascolari
Ictus ischemico in età giovanile I predittori del rischio di recidiva trombotica a lungo termine: Italian Project on Stroke in Young Adults (IPSYS) Pezzini, Mario Grassi, Alessandro Padovani et al., > Alessandro a nome degli investigatori dell’Italian Project on Stroke in Young Adults •
demenze
Malattia di Alzheimer Le potenzialità dell’immunoterapia
> Daniela Galimberti •
sclerosi multipla
Vaccinazione con Bacillo di Calmette-Guérin in soggetti con CIS Un trial clinico sugli effetti a lungo termine
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Ristori, Maria Chiara Buscarinu, Arianna Fornasiero, > Giovanni Vito Antonio Gerardo Ricigliano, Silvia Romano, Marco Salvetti •
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DEMENZE gli interventi non farmacologici sui sintomi comportamentali IPERURICEMIA quali effetti sul rischio cardiovascolare e renale DIABETE DI TIPO 2 le evidenze sul ruolo protettivo del consumo di caffè PSORIASI LIEVE-MODERATA progressi nel trattamento topico
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>s Antonio Toscano, Emanuele Barca, Mohammed Aguennouz, Anna Ciranni, Fiammetta Biasini, Olimpia Musumeci
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Profilassi dell’emicrania Principi generali e farmaci
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Periodico della M e P Edizioni Medico e Paziente srl Via Dezza, 45 - 20144 Milano Tel./Fax 024390952 info@medicoepaziente.it Direttore Responsabile Antonio Scarfoglio direttore commerciale Carla Tognoni carla.tognoni@medicoepaziente.it abbonamenti Per le informazioni sugli abbonamenti telefonare allo 024390952 redazione Anastasia Zahova segreteria di redazione Concetta Accarrino Hanno collaborato a questo numero: Alessandro Adami, Domenico Marco Bonifati, Paolo Bovi, Maria Chiara Buscarinu, Rocco Salvatore Calabrò, Anna Cavallini, Paolo Cerrato, Nicoletta Checcarelli, Alberto Chiti, Antonietta Coppola, Folco Claudi, Paolo Costa, Valeria De Giuli, Roberto De Simone, Maria Luisa DeLodovici, Massimo Del Sette, Elisabetta Del Zotto, Carlo Ferrarese, Paola Ferrazzi, Arianna Fornasiero, Daniela Galimberti, Massimo Gamba, Carlo Gandolfo, Giacomo Giacalone, Alessia Giossi, Mario Grassi, Licia Iacoviello, Corrado Lodigiani, Simona Marcheselli, Davide Massucco, Maurizio Melis, Giuseppe Micieli, Andrea Morotti, Rossella Musolino, Maurizio Paciaroni, Alessandro Padovani, Rosalba Patella, Alessandro Pezzini, Loris Poli, Dario Pruna, Maurizia Rasura, Vito Antonio Gerardo Ricigliano, Giovanni Ristori, Silvia Romano, Marco Salvetti, Maria Sessa, Giorgio Silvestrelli, Anna Maria Simone, Alessandra Spalloni, Lucia Tancredi, Antonella Toriello, Irene Volonghi, Arturo Zenorini, Andrea Zini
progetto grafico e impaginazione Elda Di Nanno Stampa Graphicscalve, Vilminore di Scalve (BG) Comitato scientifico Giuliano Avanzini, Milano Giorgio Bernardi, Roma Vincenzo Bonavita, Napoli Giancarlo Comi, Milano Ferdinando Cornelio, Milano Fabrizio De Falco, Napoli Paolo Livrea, Bari Mario Manfredi, Roma Corrado Messina, Messina Leandro Provinciali, Ancona Aldo Quattrone, Catanzaro Nicola Rizzuto, Verona Vito Toso, Vicenza
Comitato di redazione Giuliano Avanzini, Milano Alfredo Berardelli, Roma Giovanni Luigi Mancardi, Genova Roberto Sterzi, Milano Gioacchino Tedeschi, Napoli Giuseppe Vita, Messina
Sommario 8
Patologie cerebrovascolari
Ictus ischemico in età giovanile
I predittori del rischio di recidiva trombotica a lungo termine: Italian Project on Stroke in Young Adults (IPSYS)
Alessandro Pezzini, Mario Grassi, Alessandro Padovani et al., a nome degli investigatori dell’Italian Project on Stroke in Young Adults
18 demenze
Malattia di Alzheimer Le potenzialità dell’immunoterapia
Daniela Galimberti
21 speciale
epilessia
A cura di Antonietta Coppola, Roberto De Simone, Dario Pruna
1
26 sclerosi multipla
Vaccinazione con Bacillo di Calmette-Guérin in soggetti con CIS Un trial clinico sugli effetti a lungo termine
Giovanni Ristori, Maria Chiara Buscarinu, Arianna Fornasiero, Vito Antonio Gerardo Ricigliano, Silvia Romano, Marco Salvetti
32 epidemiologia
La globalizzazione delle demenze Come sta cambiando la diffusione di queste patologie
Folco Claudi
rubrich e
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news dalla letteratura news farmaci news dalle associazioni la neurologia italiana
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NEWS dalla letteratura M. Fiorio, C. Mariotti, M. Tinazzi et al.
Il cervelletto ha un ruolo fondamentale nell’autopercezione corporea: prima dimostrazione mediante test della mano di gomma in soggetti affetti da atassia cerebellare degenerativa ❱❱❱ Journal of Cognitive Neuroscience 2014; 26(4): 712-21 Nell’autopercezione del corpo, insieme ad alcune aree della corteccia cerebrale già identificate, ora è certo che anche il cervelletto svolge un ruolo fondamentale. Lo dimostra uno studio condotto all’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano in collaborazione con ricercatori dell’Università di Verona. Il team ha applicato l’esperimento della mano di gomma (rubber-hand illusion paradigm [RHI]) a 28 pazienti (9 donne; età media: 49,32 ±14,15 anni) affetti da atassia cerebellare neurodegenerativa, con interessamento selettivo del cervelletto e senza coinvolgimento dei sistemi motorio e sensoriale, e a 26 controlli sani abbinati per età. In breve, la procedura prevede il posizionamento su un tavolo, di fronte al soggetto in studio, di una riproduzione realistica e visibile di una mano a distanza fissa dalla mano reale, nascosta da un panno nero; si usano poi due pennelli per sfiorare (stroking) le due mani, in modo sia sincrono che asincrono. Di solito un individuo cade nell’illusione che la mano finta sia la propria solo quando la stimolazione è sincrona. L’autorappresentazione del corpo deriva infatti dall’integrazione di informazioni visive, tattili e propriocettive e, nell’RHI, il mismatch tra la visione della mano finta sfiorata e la percezione dello sfioramento, induce il soggetto a “riallineare” [drift] la posizione del proprio arto su quello artificiale. L’RHI permette di indagare due differenti aspetti dell’autopercezione corporea: la sensazione soggettiva (correlata alla corteccia premotoria ventrale, responsabile dell’illusione) e la propriocezione della posizione dell’arto (in cui sono interessati il lobulo parietale inferiore, l’insula posteriore destra e l’opercolo frontale, coinvolti nel fenomeno del drift). Nei pazienti con atassia cerebellare, si sono osservati una ridotta esperienza di illusione soggettiva, specie in caso di sfioramento sincrono, e al contrario un drift propriocettivo aumentato dopo stroking sia sincrono che asincrono. Ciò dimostra che
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i due meccanismi sottostanti all’illusione sono distinti e possono essere influenzati in modi diversi. Gli Autori pensano che la degenerazione cerebellare diminuisca direttamente la percezione della sincronia dei segnali sensoriali, indebolendo quell’integrazione multimodale operata dal circuito tra corteccia premotoria frontale e cervelletto che è necessaria per generare la sensazione illusoria di appartenenza corporea. In relazione al drift propriocettivo, invece, si ritiene sia attribuibile un ruolo indiretto e solo modulatorio ad altri circuiti che coinvolgono il cervelletto e regioni parietali.
J. O. Johnson, E. P. Pioro, E. Rogaeva et al.
Sclerosi laterale amiotrofica familiare: l’individuazione di mutazioni sul gene Matrin 3 conferma l’alterazione del processamento dell’RNA come principale meccanismo eziopatogenetico della degenerazione del motoneurone ❱❱❱ Nature Neuroscience 2014; 17(5): 664-6 Alcuni casi di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) familiare sono dovuti ad alterazioni della proteina Matrin 3 causate da mutazioni del corrispettivo gene codificante MATR3 (o Matrin 3) localizzato sul cromosoma 5. La scoperta è avvenuta analizzando il DNA di diverse famiglie con membri affetti dalla malattia e deriva da un vasto lavoro internazionale di gruppo che ha visto coinvolti in primo piano i ricercatori del consorzio ITALSGEN (costituito da 14 Centri ospedalieri e universitari italiani) sotto la supervisione di Adriano Chiò, dell’Ospedale Molinette e dell’Università di Torino, e Mario Sabatelli, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, in collaborazione con Bryan J. Traynor dell’NIH di Bethesda dove sono state eseguite le analisi genetiche. La scoperta del coinvolgimento di un nuovo gene nell’insorgenza della SLA è rilevante perché aiuta a comprendere i meccanismi attraverso i quali si scatena la malattia sia nelle forme genetiche (ossia familiari) sia in quelle sporadiche (dovute cioè a fattori di origine ambientale, e che costituiscono la maggior parte dei casi). In questo studio è sottolineata la rilevanza
NEWS del ruolo svolto da un processamento aberrante dell’RNA nella degenerazione del motoneurone. Matrin 3, infatti, è una proteina posta nella matrice del nucleo cellulare che si lega sia al DNA sia all’RNA messaggero (mRNA), stabilizzandolo, e permettendo così il trasporto di informazione genetica alla catena dei ribosomi (rRNA) nel citoplasma per la biosintesi proteica. In caso di alterazione di Matrin 3 tutto il meccanismo si altera, portando alla produzione di proteine incomplete, non funzionanti o dannose, fino all’ingolfamento e all’avvelenamento cellulare. Si pensa che la SLA sia causata proprio da un accumulo di proteine anomale nel motoneurone, anche se deve essere ancora chiarito l’esatto meccanismo dell’innesco del processo ai fini
dell’individuazione di bersagli terapeutici adeguati. L’attuale ricerca è stata effettuata su 108 casi familiari di SLA (di cui 32 italiani), sottoposti a sequenziamento dell’intero esoma (exome sequencing), cioè della parte di DNA che codifica per le proteine, al fine di identificare le mutazioni su MATR3. Come controprova di assenza di mutazioni in soggetti non affetti dalla malattia, lo stesso gene è stato analizzato in 5.190 individui sani, dei quali 1.242 italiani. A carico di MATR3 sono state riscontrate diverse mutazioni missense (sostituzioni di una singola base del DNA che determinano il cambiamento di un aminoacido con un altro) in grado di produrre proteine Matrin 3 con alterata funzionalità. Tra le varianti riscontrate: Thr622Ala, Pro154Ser,
L. Ciolli, F. Pescini, L. Pantoni et al.
Nuova luce sui modulatori fenotipici del CADASIL (arteriopatia cerebrale autosomica dominante con infarti subcorticali e leucoencefalopatia): a ridurre le performance funzionali sono soprattutto l’ipertensione e i disturbi della memoria ❱❱❱ European Journal of Neurology 2014; 21(1): 65-71 L’arteriopatia cerebrale autosomica dominante con infarti subcorticali e leucoencefalopatia (CADASIL) è una malattia ereditaria dei piccoli vasi caratterizzata da elevata variabilità di manifestazioni che può portare a disabilità e i cui modulatori fenotipici sono rimasti finora ignoti. A portare nuova luce sui meccanismi che regolano le modalità di presentazione di questa patologia è una ricerca, denominata MILES (MIcrovascular LEukoencefalopathy Study), effettuata congiuntamente dai Dipartimenti di Neuroscienze delle Università di Firenze, Padova, Siena e Genova. Scopo dello studio, osservazionale e multicentrico era valutare gli effetti dell’ipertensione e di altri fattori di rischio vascolari e studiare l’influsso delle performance di vari domini cognitivi (memoria, velocità psicomotoria, funzioni esecutive) sulle capacità funzionali in pazienti con CADASIL posti a confronto con soggetti di pari età affetti da sola leucoencefalopatia (ARL). L’èquipe ha valutato 51 pazienti affetti da CADASIL (età media 50,3±13,8 anni; 47,1 maschi) e 68 pazienti ARL (70,6±7,4 anni; 58,8 per cento maschi). Dopo correzione per età i pazienti con CADASIL, rispetto al gruppo ARL, hanno evidenziato in media valori più elevati di IMC, un maggiore numero di individui disabili (con valori inferiori in 2 o più item all’Instrumental Activities of Daily Living scale), peggiori performance funzionali valutate mediante la scala DAD (Disability Assessment for Dementia), mentre la frequenza di un pregresso ictus è apparsa simile nei due gruppi. Nessuna differenza tra i due tipi di pazienti anche in relazione al profilo cognitivo, ma a un’analisi di regressione lineare le performance funzionali sono risultate associate all’executive function index (P =0,028) nei pazienti ARL e principalmente al memory index nei pazienti CADASIL (P <0,003). In questi ultimi, l’ipertensione è risultata correlata sia al punteggio DAD sia alla disabilità. “Lo studio” commentano gli Autori “suggerisce quindi che l’ipertensione può contribuire al decadimento funzionale nei pazienti affetti da CADASIL. Un dato che sembra importante perché un rigido controllo dei fattori di rischio potrebbe prevenire o ritardare l’insorgenza della disabilità anche in pazienti affetti da una microangiopatia ereditaria”. Rilevante è anche l’altro dato, ossia che nei sogetti con CADASIL, su tre differenti domini cognitivi, solo la memoria è apparsa correlata a riduzione funzionale, al contrario di quanto osservato nei pazienti con ARL.
la neurologia italiana
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NEWS dalla letteratura Phe115Cys e Ser85Cys. Quest’ultima, in particolare, si è dimostrata specifica nel modificare l’affinità di Matrin 3 per TDP-43 (un’altra proteina che lega l’RNA ed è implicata nella SLA). La mancanza di un analogo effetto da parte delle altre sostituzioni – sottolineano gli Autori di questo lavoro– non preclude evidentemente la loro patogenicità che chiaramente si esplica tramite l’interruzione di altri processi cellulari con meccanismi differenti. A conferma di ciò, si è visto che il cambio Ser85Cys in Matrin 3 si associa a forme di sclerosi laterale amiotrofica lentamente progressive, mentre gli individui portatori della variante Phe115Cys vanno spesso incontro a exitus per insufficienza respiratoria entro 5 anni dall’insorgenza dei sintomi. I risultati di questa ricerca, che è stata finanziata
per la parte italiana da AriSLA (Agenzia di ricerca per la sclerosi laterale amiotrofica) nell’ambito del progetto Sardinials, si sono potuti ottenere solo attraverso la condivisione di informazioni relative a pazienti che si sono rivolti a diversi centri. I dati del sequenziamento dell’esoma dei casi familiari di sclerosi laterale amiotrofica, infatti, sono stati resi disponibili tramite un database pubblico; ciò ha permesso ad altri ricercatori in tutto il mondo di accedervi, rianalizzarli e combinarli con i propri dati, accelerando così il ritmo di scoperta dei geni coinvolti nella malattia. L’individuazione di tali geni, va ribadito, è fondamentale per capire i meccanismi molecolari su cui si fonda la patologia, presupposto necessario alla possibilità di trovare una terapia.
M. Pilleri, G. Levedianos, A. Antonini et al.
Il differente profilo circadiano della frequenza cardiaca rilevato mediante monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa distingue tra disturbi autonomici da atrofia multisistemica o malattia di Parkinson ❱❱❱ Parkinsonism and Related Disorders 2014; 20(2): 217-21 Una ricerca condotta presso l’IRCCS Ospedale San Camillo del Lido di Venezia dimostra che, attraverso un metodo diffuso per lo studio del profilo circadiano della frequenza cardiaca (HR) quale il monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa (ABPM), è possibile effettuare un’accurata diagnosi differenziale tra atrofia multisistemica (MSA) e malattia di Parkinson (PD). Queste patologie, infatti, accomunate dal coinvolgimento del sistema autonomo, possono presentare quadri clinici in parte sovrapponibili, la cui distinzione finora è stata effettuata con sistemi complessi - come il composite autonomic severity score (CASS), basato su una serie di test laboratoristici effettuati solo in centri specializzati. Gli studiosi del San Camillo sono ricorsi all’ABPM per approfondire alcuni dati di letteratura non conclusivi. Vari studi, infatti, avevano riportato una riduzione del fisiologico fenomeno notturno del dipping (riduzione dei valori pressori) nei pazienti PD e MSA, ma non erano riusciti a individuare pattern caratteristici in grado di discriminare le due patologie. Inoltre, il comportamento notturno dell’HR non era stato analizzato in modo esaustivo. Il team di studiosi ha dunque confrontato i profili dei ritmi circadiani di HR in 61 pazienti PD e in 19 soggetti MSA sottoponendoli ad ABPM per 24 ore. Sono stati riscontrati valori notturni di HR (nHR) superiori nei pazienti MSA (71,5 bpm ± 7,4) rispetto a quelli PD (63,8 bpm ± 9,6) così come un declino notturno di HR (ndHR) significativamente inferiore nell’MSA (7,3 per cento ± 8,2) rispetto al PD (14 per cento ± 7,5). All’analisi ROC (Receiver Operation Curve) la nHR ha evidenziato valori di sensibilità e specificità pari, rispettivamente, a 84,2 e 62,3 per cento mentre la ndHR si è attestata a 68 e 77 per cento. “In base ai nostri risultati” affermano gli Autori “nei pazienti MSA, rispetto ai pazienti PD, l’nHR e l’ndHR risultano aumentate. Inoltre questi due indici permettono di distinguere le due patologie con accettabile accuratezza”. Quanto ai motivi del differente comportamento notturno dell’HR nelle due patologie, i ricercatori ritengono siano da attribuire al diverso meccanismo patogenetico sottostante la disfunzione autonomica: nell’MSA il deficit è dovuto a degenerazione pregangliare mentre l’innervazione postgangliare cardiaca è preservata, al contrario nel PD si ha anche denervazione cardiaca simpatica postgangliare. In condizioni di squilibrio autonomico che favoriscono l’azione del simpatico, pertanto, l’effetto cronotropo può essere più rilevante nell’MSA rispetto al PD.
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la nuova versione del sito e n i l n o www.medicoepaziente.it cambia volto!
Il nuovo sito si presenta come una galassia, che ha come centro la figura del Medico di Medicina generale. www.medicoepaziente.it non è un portale generico, e nemmeno la versione elettronica della rivista, ma un aggregatore di contenuti, derivanti da una pluralità di fonti, che possano essere utili al Medico di Medicina generale nel suo lavoro quotidiano.
www.medicoepaziente.it
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Patologie cerebrovascolari
Ictus ischemico in età giovanile I predittori del rischio di recidiva trombotica a lungo termine: Italian Project on Stroke in Young Adults (IPSYS) Una recente analisi dei dati dell’IPSYS, studio multicentrico italiano sulla patologia ischemica cerebrale in soggetti di età compresa tra i 18 e i 45 anni, ha consentito di identificare alcuni predittori del rischio di ricorrenza ischemica età-specifici e di definire uno score (IPSYS score) per la stima di tale rischio nei singoli pazienti Alessandro Pezzini1, Mario Grassi2, Corrado Lodigiani3, Rosalba Patella4, Carlo Gandolfo5, Andrea Zini6, Maria Luisa DeLodovici7, Maurizio Paciaroni8, Massimo Del Sette9, Antonella Toriello10, Rossella Musolino11, Rocco Salvatore Calabrò12, Paolo Bovi13, Alessandro Adami14, Giorgio Silvestrelli15, Maria Sessa16, Anna Cavallini17, Simona Marcheselli18, Domenico Marco Bonifati19, Nicoletta Checcarelli20, Lucia Tancredi21, Alberto Chiti22, Elisabetta Del Zotto23, Alessandra Spalloni4, Alessia Giossi24, Irene Volonghi24, Paolo Costa1, Giacomo Giacalone16, Paola Ferrazzi3, Loris Poli1, Andrea Morotti1, Maurizia Rasura4, Anna Maria Simone6, Massimo Gamba25, Paolo Cerrato26, Giuseppe Micieli17, Maurizio Melis27, Davide Massucco5, Valeria De Giuli1, Licia Iacoviello28, Alessandro Padovani1, a nome degli investigatori dell’Italian Project on Stroke in Young Adults (IPSYS) 1. Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Clinica Neurologica, Università degli Studi di Brescia, Brescia ; 2. Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento, Unità di Statistica Medica e Genomica, Università di Pavia, Pavia; 3. Centro Trombosi, IRCCS Istituto Clinico Humanitas, Rozzano-Milano; 4. Stroke Unit, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma; 5. Dipartimento di Neuroscienze, Riabilitazione, Oftalmologia, Genetica e Scienze Materno-Infantili, Università di Genova, Genova; 6. Stroke Unit, Clinica Neurologica, Nuovo Ospedale Civile “S. Agostino Estense”, AUSL Modena; 7. Unità di Neurologia, Ospedale di Circolo, Università dell’Insubria, Varese; 8. Stroke Unit, Divisione di Medicina Cardiovascolare, Università di Perugia, Perugia; 9. Unità di Neurologia, Ospedale S. Andrea, La Spezia; 10. U.O.C. Neurologia, A.O Universitaria “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”, Salerno; 11. Dipartimento di Neuroscienze, Scienze Psichiatriche e Anestesiologiche, Clinica Neurologica, Università di Messina, Messina; 12. Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, Centro Neurolesi Bonino-Pulejo, Messina; 13. UO Neurologia, Azienda Ospedaliera-Universitaria Borgo Trento, Verona; 14. Stroke Center, Dipartimento di Neurologia, Ospedale Sacro Cuore Negrar, Verona; 15. Stroke Unit, U.O Neurologia, Azienda Ospedaliera “C. Poma”, Mantova; 16. Stroke Unit, U.O Neurologia, IRCCS Ospedale S. Raffaele, Milano; 17. Stroke Unit e Neurologia d’Urgenza, Fondazione Istituto “C. Mondino”, Pavia; 18. Neurologia d’Urgenza e Stroke Unit, IRCCS Istituto Clinico Humanitas, Rozzano-Milano; 19. Stroke Unit, U.O Neurologia, Ospedale “S. Chiara”, Trento; 20. U.O.C Neurologia, Ospedale Valduce, Como; 21. U.O Neurologia, Azienda Ospedaliera Ospedale Sant’Anna, Como; 22. Neurologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa; 23. U.O Recupero e Rieducazione Funzionale, IRCCS Fondazione Don Gnocchi, Milano; 24. U.O Neurologia, Istituto Clinico “S.Anna”, Brescia; 25. Stroke Unit, Neurologia Vascolare, Spedali Civili di Brescia, Brescia; 26. Dipartimento di Neuroscienze, Stroke Unit, Università di Torino, Torino; 27. Stroke Unit, Azienda Ospedaliera “G. Brotzu”, Cagliari; 28. Laboratorio di Epidemiologia Molecolare e Nutrizionale, Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione, IRCCS Istituto Neurologico Mediterraneo, NEUROMED, Pozzilli
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dati della letteratura relativi alla prognosi a lungo termine dei pazienti con ictus ischemico (IS) in età giovanile sono limitati. Gli studi disponibili sono, infatti, derivati per lo più da coorti di pazienti reclutate presso singoli centri, spesso costituite da un numero esiguo di soggetti, e appaiono caratterizzati da una estrema eterogeneità metodologica, il che rende difficile confrontarne i risultati. In particolare, non esistono dati consistenti riguardo a quali fattori siano in grado di influenzare il rischio di recidive trombotiche successive all’evento indice [1]. Gli obiettivi dello studio sono stati dunque, i seguenti: 1) identificare i predittori di ricorrenza
ischemica a lungo termine dopo un primo IS occorso in età giovanile e 2) definire uno strumento applicabile a ogni singolo paziente per la stima individuale di tale rischio.
Metodi w Soggetti e disegno dello studio
L’acronimo IPSYS identifica un network italiano di Centri neurologici italiani (riquadro sotto) con specifico interesse per lo studio dell’IS in età giovanile. Il protocollo dello studio prevede il reclutamento di soggetti colpiti da un primo
Centri e investigatori IPSYS Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali, Clinica Neurologica, Università degli Studi di Brescia, Brescia (Alessandro Pezzini, Paolo Costa, Andrea Morotti, Loris Poli, Valeria De Giuli, Alessandro Padovani); U.O di Recupero e Rieducazione Funzionale, IRCCS Fondazione Don Gnocchi, Milano (Elisabetta Del Zotto); U.O Neurologia, Istituto Clinico “S. Anna”, Brescia (Alessia Giossi, Irene Volonghi); Stroke Unit, Neurologia Vascolare, Spedali Civili di Brescia, Brescia (Massimo Gamba, Nicola Gilberti, Mauro Magoni); Centro Trombosi (Corrado Lodigiani, Paola Ferrazzi, Elena Banfi, Luca Librè, Lidia Luciana Rota) e Neurologia d’Urgenza e Stroke Unit (Simona Marcheselli), IRCCS Istituto Clinico Humanitas, Rozzano; Stroke Unit, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma (Alessandra Spalloni, Rosalba Patella, Maurizia Rasura); Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, Centro Neurolesi Bonino-Pulejo, Policlinico Universitario, Messina (Rocco Salvatore Calabrò, Placido Bramanti); Dipartimento di Neuroscienze, Scienze Psichiatriche e Anestesiologiche Clinica Neurologica, Università di Messina, Messina (Paolo La Spina, Rossella Musolino); Dipartimento di Neuroscienze, Riabilitazione, Oftalmologia, Genetica e Scienze Materno-Infantili, Università di Genova, Genova (Cinzia Finocchi, Maurizio Balestrino, Chiara Bruno, Davide Massucco, Carlo Gandolfo); Unità di Neurologia, Ospedale S. Andrea, La Spezia (Elisabetta Traverso, Elisa Giorli, Massimo Del Sette); Unità di Neurologia, Ospedale di Circolo, Università dell’Insubria, Varese (Maria Luisa DeLodovici, Elena Pinuccia Verrengia, Federico Carimati, Giorgio Bono); Stroke Unit, Clinica Neurologica, Nuovo Ospedale Civile “S. Agostino Estense”, AUSL Modena (Anna Maria Simone, Andrea Zini, Guido Bigliardi, Maria Luisa Dell’Acqua, Livio Picchetto, Roberta Pentore, Silvia Olivato, Paolo Frigio Nichelli); Stroke Center, Dipartimento di Neurologia, Ospedale Sacro Cuore Negrar, Verona (Alessandro Adami); U.O Neurologia, Azienda Ospedaliera-Universitaria Borgo Trento, Verona (Monica Carletti, Giampaolo Tomelleri, Paolo Bovi); Dipartimento di Neuroscienze, Stroke Unit, Università di Torino, Torino (Paolo Cerrato); Laboratorio di Epidemiologia Molecolare e Nutrizionale, Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione, IRCCS Istituto Neurologico Mediterraneo, NEUROMED, Pozzilli (Licia Iacoviello, Augusto Di Castelnuovo, Giovanni de Gaetano); Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento, Unità di Statistica Medica e Genomica, Università di Pavia, Pavia, (Mario Grassi); U.O.C. Neurologia, A.O Universitaria “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”, Salerno (Antonella Toriello, Nicola Pugliese); Stroke Unit, Divisione di Medicina Cardiovascolare, Università di Perugia, Perugia (Maurizio Paciaroni, Valeria Caso, Cataldo D’Amore, Giancarlo Agnelli); U.O.C Neurologia, Ospedale Valduce, Como (Nicoletta Checcarelli, Mario Guidotti); U.O Neurologia, Azienda Ospedaliera Ospedale Sant’Anna, Como (Lucia Tancredi, Marco Arnaboldi); Stroke Unit, U.O Neurologia, IRCCS Ospedale S. Raffaele, Milano (Maria Sessa, Giacomo Giacalone, Elisa Zanoli); Stroke Unit e Neurologia d’Urgenza, Fondazione Istituto “C. Mondino”, Pavia (Anna Cavallini, Alessandra Persico, Giuseppe Micieli); U.O Neurologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Pisa (Alberto Chiti, Giovanni Orlandi); Stroke Unit, Azienda Ospedaliera “G. Brotzu”, Cagliari (Piernicola Marchi, Maurizio Melis); Stroke Unit, U.O Neurologia, Azienda Ospedaliera “C. Poma”, Mantova (Giorgio Silvestrelli, Alessia Lanari, Alfonso Ciccone); Stroke Unit, U.O Neurologia, Ospedale “S. Chiara”, Trento (Marco Domenico Bonifati).
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Patologie cerebrovascolari
tabella 1 Caratteristiche cliniche e demografiche del gruppo di studio Variabili
Assenza di ricorrenza eventi vascolari (n =1.704)
Ricorrenza eventi vascolari (n =163)
HR (95 %CI)
P-value
36,7±7,1
37,1±7,1
1,01 (0,99-1,04)
0,21
Maschi (n, %)
869 (50,9)
83 (50,9)
0,98 (0,72-1,33)
0,89
Ipertensione (n, %)
382 (22,4)
45 (27,6)
1,34 (0,95-1,89)
0,09
62 (3,6)
9 (5,5)
1,66 (0,85-3,26)
0,14
Età (anni, media±DS)
Diabete mellito (n, %) Fumo (n, %)
632 (37,0)
76 (46,6)
1,40 (1,03-1,91)
0,03
Ipercolesterolemia (n, %)
417 (24,4)
46 (28,2)
1,18 (0,84-1,65)
0,35
1.000 (58,6)
114 (69,9)
1,23 (1,05-1,44)
0,011
1.221 (75,2)
112 (70,0)
1
-
MO
282 (17,3)
29 (18,1)
1,15 (0,76-1,73)
0,50
MA
120 (7,3)
19 (11,9)
1,70 (1,05-2,77)
0,03
Contraccettivi orali° (n, %)
284 (35,1)
23 (28,8)
1,25 (0,77-2,03)
0,38
Storia familiare di ictus (n, %)
434 (25,4)
60 (36,8)
1,65 (1,20-2,28)
0,002
Pervietà forame ovale (n, %)
516 (30,3)
48 (29,4)
1,00 (0,71-1,40)
0,10
Fibrillazione atriale (n, %)
32 (1,9)
3 (1,8)
1,06 (0,34-3,32)
0,92
Elevato consumo di alcolici (n, %)
145 (8,5)
12 (7,4)
0,89 (0,49-1,60)
0,69
1.260 (76,8)
119 (73,9)
0,89 (0,62-1,26)
0,50
Anticoagulanti orali
346 (21,1)
39 (24,2)
1,14 (0,79-1,63)
0,49
Antipertensivi
382 (22,4)
45 (27,6)
1,34 (0,95-1,89)
0,09
Statine
282 (16,5)
39 (23,9)
1,62 (1,13-2,33)
0,009
1 fattore di rischio maggiore o più di uno (n, %) Storia di emicrania* (n, %) Assente
Terapia dimissione (n, %) Antiaggreganti
Sospensione terapie (n, %)
172 (10,2)
28 (17,2)
1,51 (1,00-2,26)
0,049
47 (3,5)
18 (14,8)
3,40 (2,08-5,55)
<0,001
104 (29,1)
9 (23,0)
0,72 (0,37-1,14)
0,34
Antipertensivi
4 (1,0)
4 (8,8)
9,96 (3,69-26,93)
<0,001
Statine
23 (8,1)
2 (5,1)
0,96 (0,24-3,88)
0,96
Antiaggreganti Anticoagulanti orali
FVG1691A (n, %) GG
1.604 (96,0)
154 (95,0)
1
-
AG
66 (4,0)
8 (5,0)
0,83 (0,41-1,68)
0,60
AA
0
0 (0,0)
-
-
GG
1.597 (96,6)
153 (94,4)
1
-
AG
55 (33,2)
9 (5,6)
0,71 (0,36-1,39)
0,32
PTG20210A (n, %)
AA
1 (0,2)
0 (0,0)
-
-
Anticorpi anti-fosfolipidi (n, %)
98 (5,7)
22 (13,5)
2,74 (1,75-4,30)
<0,001
Note: HRs (95 % CI) e p-values ottenuti con modello univariato di Cox. MO, emicrania senz’aura; MA, emicrania con aura; *84 dati mancanti; °nei soggetti di sesso femminile (25 mancanti)
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tabella 2
Modello di analisi multivariata secondo Cox stratificato per categorie TOAST per l’identificazione di predittori di endpoint primario Endpoint Composito
Ischemia Cerebrale
HR (95% CI)
P-value
HR (95% CI)
P-value
Età
1,00 (0,97 - 1,02)
0,80
1,00 (0,97 - 1,02)
0,80
Genere (femmine)
0,88 (0,63 - 1,23)
0,48
0,87 (0,62 - 1,24)
0,46
Ipertensione
1,12 (0,75 - 1,67)
0,57
0,96 (0,63 - 1,48)
0,88
Diabete mellito
1,49 (0,71 - 3,12)
0,29
1,49 (0,68 - 3,26)
0,31
Fumo
1,34 (0,96 - 1,85)
0,08
1,23 (0,88 - 1,74)
0,21
Ipercolesterolemia
1,15 (0,79 - 1,66)
0,45
1,24 (0,85 - 1,81)
0,25
1
-
1
-
Storia di emicrania Assente MO
1,16 (0,76 - 1,78)
0,47
1,28 (0,83 - 1,97)
0,26
MA
2,02 (1,21 - 3,36)
0,007
1,98 (1,15 - 3,39)
0,012
FV G1691A
1,12 (0,53 - 2,36)
0,75
0,87 (0,37 - 2,04)
0,75
PT G20210A
1,15 (0,57 - 2,33)
0,68
1,27 (0,62 - 2,58)
0,50
Storia familiare di ictus
1,44 (1,02 - 2,04)
0,034
1,61 (1,13 - 2,30)
0,007
Pervietà forame ovale
0,65 (0,41 - 1,04)
0,08
0,67 (0,41 - 1,09)
0,11
Fibrillazione atriale
0,57 (0,17 - 1,92)
0,37
0,63 (0,18 - 2,11)
0,46
Elevato consumo alcolici
0,96 (0,52 - 1,76)
0,90
1,04 (0,56 - 1,90)
0,89
Sospensione terapie Antiaggreganti
2,92 (1,65 - 5,15)
<0,001
2,89 (1,60 - 5,20)
<0,001
Anticoagulanti orali
1,06 (0,50 - 2,27)
0,86
1,00 (0,45 - 2,25)
0,98
Antipertensivi
5,80 (1,58 - 21,25)
0,007
6,67 (1,79 - 24,83)
0,004
Statine
0,60 (0,13 - 2,62)
0,50
0,68 (0,15 - 3,00)
0,62
2,36 (1,45 - 3,82)
<0,001
2,40 (1,46 - 3,94)
<0,001
Anticorpi anti-fosfolipidi
Note: MO, emicrania senz’aura; MA, emicrania con aura
evento cerebrovascolare acuto di tipo ischemico, di razza caucasica, i quali soddisfino i seguenti criteri: 1) età compresa tra i 18 e 45 anni, 2) infarto cerebrale obiettivato mediante CT o MRI encefalo [2]. Per la specifica analisi oggetto dello studio sono stati considerati i dati derivanti da 22 centri, relativi a un periodo di reclutamento compreso tra il gennaio 2000 e il gennaio 2012 e un follow-up esteso fino a gennaio 2013. IS è stato definito come la perdita improvvisa di funzioni cerebrali globali o focali che persistano per più di 24 ore da probabile causa vascolare, con esclusione delle ischemie cerebrali dovute a trombosi dei seni venosi, vasospasmo conseguente a emorragia subaracnoidea, chirurgia cardiaca, o conseguenza immediata di traumi e cause iatrogene. Per tutti i soggetti sono stati sistematicamente rilevati i fattori di rischio vascolare tradizionali ed età-specifici ed è stata considerata l’aderenza alla terapia di prevenzione secondaria durante il follow-up.
w Outcomes
Nella presente analisi sono stati inclusi tutti i pazienti che non fossero deceduti entro 30 giorni dall’esordio dei sintomi e che avessero un follow-up di almeno un anno (in assenza di recidive). È stato definito evento ricorrente qualunque evento trombotico arterioso fatale o non fatale [IS, TIA, infarto miocardico (MI) o altro evento trombotico arterioso] occorso nel follow-up. L’endpoint primario dello studio è stato definito come l’occorrenza di qualunque evento trombotico arterioso (IS, TIA, IM o altro evento trombotico arterioso), mentre l’endpoint secondario come qualunque evento trombotico 1) a livello cerebrale (IS o TIA), e 2) in altra sede (MI o altro evento trombotico arterioso).
w Analisi statistica
La durata del follow-up è stata calcolata in persone-mese usando il follow-up di ciascun paziente dalla valutazione la neurologia italiana
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Patologie cerebrovascolari
tabella 3 IPSYS score per il calcolo della probabilità di ricorrenza di eventi trombotici HR (p-value)
Coefficiente-ß
Score
Indice cumulativo dei fattori di rischio*
1,21 (0,020)
0,192
0,2
Storia di MA
1,87 (0,011)
0,626
0,6
Storia familiare di ictus
1,63 (0,003)
0,489
0,5
Anticorpi anti-fosfolipidi circolanti
2,39 (<0,001)
0,869
0,9
Interruzione terapia medica°
3,33 (<0,001)
1,202
1,2
Note: *valori compresi tra 0 e 0,8 (presenza/assenza di ipertensione arteriosa, diabete mellito, fumo di sigaretta o ipercolesterolemia); °farmaci antiaggreganti o antipertensivi
baseline fino all’evento ricorrente o alla più recente valutazione. Abbiamo calcolato un indice cumulativo (da 0 a 4) basato sul numero di fattori di rischio tradizionali (ipertensione, diabete mellito, fumo e ipercolesterolemia). L’identificazione dei predittori di ricorrenza ischemica è stata ottenuta mediante modello di analisi di Cox con calcolo degli Hazard Ratios (HRs) e dei corrispondenti intervalli di confidenza (CIs) al 95 per cento. Abbiamo quindi creato uno score specifico (IPSYS score) basato su tali predittori al fine di poter stimare il rischio di ricorrenza ischemica di ciascun soggetto, selezionando i fattori stessi mediante il metodo proposto da Tibshirani [3]. I coefficienti-β diversi da zero di ogni variabile predittiva sono stati usati per generare tale score ponderato. Per testare la validità predittiva dell’IPSYS score abbiamo utilizzato il metodo delle curve ROC (receiver operating characteristic), con calcolo dell’area sottesa dalla curva (AUC), e il metodo c statistic. L’IPSYS score è stato infine validato mediante cross-validation interna alla coorte, ripetuta per K =10 volte su sottogruppi distinti di numerosità pari a n =187 soggetti [4,5]. Tutte le analisi sono state condotte mediante software R (verisone 3.02, R Development Core Team, 2013).
Risultati La coorte IPSYS per questa analisi è risultata composta da 1.906 pazienti. Di questi, 1.867 sono stati seguiti in followup per un totale di 86.491 persone-mese. Il follow-up medio dei pazienti che non hanno avuto eventi ricorrenti è stato di 42,0 mesi [range inter-quartile (IQR), 54,0]. Sono stati registrati eventi ricorrenti in 163 pazienti (2,26/100 persone-anno; 86 IS, 8 MI, 67 TIA e 2 altri eventi trombotici arteriosi). L’intervallo medio tra l’evento indice e l’evento ricorrente è stato di 22,0 mesi (IQR, 27,0). Le caratteristiche di base del gruppo di studio sono riassunte nella Tabella 1. Il rischio cumulativo di eventi ricorrenti è risultato pari al 3,6 per cento (95 per cento CI, 2,9–4,6) a 1 anno, all’11,5 per cento (95 CI, 9,8–3,5) a 5 anni e al 14,7 per cento (95 CI, 12,2–17,9) a 10 anni, con sostanziali differenze a seconda dello specifico sottotipo ischemico (Figure 1 e 2).
w Selezione delle variabili per il modello predittivo di rischio
Nell’analisi multivariata sono stati individuati 5 fattori in grado di predire in modo indipendente il rischio di ricorrenza
FIGURA 1. RISCHIO CUMULATIVO (CON INTERVALLI DI CONFIDENZA AL 95%) DI ENDPOINT PRIMARIO (A), ISCHEMIA CEREBRALE (B) E INFARTO MIOCARDICO E/O ALTRO EVENTO TROMBOTICO ARTERIOSO (C)
A
No. soggetti 1867 1283
12
B
C
anni 770
414
anni 229
136
16
1867 1283
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770
414
anni 229
136
16
1867 1283
770
414
229 136
16
Un strumento in pi첫 per il Medico Il supplemento di Medico e Paziente, destinato a Medici di famiglia e Specialisti Algosflogos informa e aggiorna sulla gestione delle patologie osteo-articolari, sulla terapia del dolore e sulle malattie del metabolismo osseo
Patologie cerebrovascolari
FIGURA 2. RISCHIO CUMULATIVO DI ENDPOINT PRIMARIO STRATIFICATO PER SOTTOTIPO DI ICTUS SECONDO I CRITERI TOAST [modified Trial of Org 10172 in Acute Stroke Treatment]
bassa prevalenza (8 pazienti) ed è stata combinata con la variabile “interruzione della terapia”. Al fine di ottenere un valore per ogni parametro dell’IPSYS score, i coefficienti-β sono stati arrotondati al più vicino decimale (Tabella 3). La somma degli score di ciascuna variabile è stata utilizzata per stimare lo score totale, i cui valori sono risultati compresi tra 0 e 4.
w Analisi della performance del modello
L’IPSYS score è risultato uno strumento adeguato per la valutazione del rischio di recidiva a lungo termine. In particolare, i valori di AUC sono risultati pari a 0,62 (95 per cento CI, 0,53-0,71) a 1 anno, 0,67 (95 CI, 0,62-0,72) a 5 anni, 0,66 (95 CI, 0,59-0,73) a 10 anni [AUC da 0 a 5 anni, 0,66 (95 CI, 0,61-0,71)]. L’AUC media delle 10 cross-validazioni è risultata 0,65, suggerendo che l’errore derivante dalla validazione dello score sullo stesso camanni pione poteva essere pari all’1 per cento. Arteriopatia aterosclerotica dei grandi vasi Vasculopatia non aterosclerotica La Figura 3 contrappone il rischio stimaPatologia dei piccoli vasi to di ricorrenza di eventi trombotici a 1 e 5 Cardioembolia anni in pazienti con varie combinazioni di Altro Note: X2(df) = 8,9(4); p =0,063 predittori. Per ogni combinazione, il modello a 5 anni fornisce un rischio stimato in ogni momento del follow-up (endpoint primario; Tabella che è dalle 2 alle 3 volte maggiore rispetto che quello a 1 2): una storia familiare di primo grado per ictus (HR, 1,44; anno. Ad esempio, il rischio a 1 anno per un paziente con 95 per cento CI, 1,02-2,04), una storia personale di emicra- MA e aPL che sospende le terapie di prevenzione secondaria nia con aura (MA; HR, 2,02; 95 CI, 1,21-3,36), la presenza è di circa il 30 per cento mentre a 5 anni di circa il 70 per di anticorpi anti-fosfolipidi (aPLs) circolanti (HR, 2,36; 95 cento. CI, 1,45-3,82), la sospensione della terapia antiaggregante (HR, 2,92; 95 CI, 1,65-5,14) e della terapia antipertensiva Discussione (HR, 5,80; 95 CI, 1,58-21,25) durante il follow-up, mentre si è osservato un trend verso un effetto indipendente per il Approssimativamente il 10 per cento dei casi di IS si verifica fumo di sigaretta (HR, 1,34; 95 CI, 0,96-1,85). L’indice cu- in un’età ≤45 anni [1], con un preoccupante trend in aumenmulativo relativo ai fattori di rischio vascolari tradizionali è to negli ultimi anni [6] e conseguenze socio-economiche risultato altrettanto associato alla ricorrenza di eventi quando importanti in termini di disabilità e di anni di vita persi, il incluso nel modello in luogo dei singoli fattori (HR, 1,23; cui peso aumenta ulteriormente in caso di eventi ricorrenti. 95 CI, 1,04-1,45 per ogni aumento di 1 fattore di rischio). I nostri risultati indicano che i soggetti di età compresa tra i L’analisi dell’endpoint secondario “ischemia cerebrale” 18 e i 45 anni che sopravvivono ai primi 30 giorni dopo un ha dato risultati simili, mentre il basso numero di MI e al- IS sono esposti a un consistente rischio di ricorrenza e che tri eventi trombotici arteriosi non ha permesso di effettuare tale rischio è attribuibile, almeno parzialmente, a fattori di un’analisi multivariata separata. rischio modificabili. In particolare, la presenza di un rischio La tecnica “lasso” per la selezione delle variabili ha confer- cumulativo pari a circa il 15 per cento a 10 anni sottolinea la mato come predittori indipendenti di ricorrenza la familiarità necessità di appropriate terapie di prevenzione e l’importanper ictus, la presenza di MA, aPL, l’interruzione di terapia za di un approccio età-specifico. antiaggregante e antipertensiva e l’indice cumulativo. Molti degli studi condotti finora sulla prognosi a lungo termiL’IPSYS score è stato creato usando 5 delle 6 variabili sopra ne in soggetti giovani con pregresso IS non hanno permesso riportate. La sospensione della terapia antipertensiva non è di condurre un’analisi sovrapponibile a quella del presente stata inserita nello score come variabile separata per la sua studio, a causa del modesto numero di pazienti coinvolti. IP-
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di rischio vascolari tradizionali e uno spettro di cause che si avvicinano sempre di più a quello dei pazienti anziani. La differenza di età (<45 anni nel nostro studio, <50 anni nei registri finlandese e olandese) è pertanto la spiegazione più plausibile per la bassa prevalenza di fattori di rischio tradizionali nella nostra serie confrontata con le altre due, e potrebbe spiegare il differente e indipendente contributo di questi fattori nei confronti del rischio di ricorrenza. Questo potrebbe giustificare anche l’effetto di specifici fattori quali ad esempio, l’emicrania con aura [9], il cui effetto indipendente sulla ricorrenza ischemica non era stato finora riscontrato in studi longitudinali. A supporto della nostra osservazione è il recente riscontro di una maggiore prevalenza di questo sottotipo emicranico in soggetti giovani con IS e lesioni ischemiche silenti alla risonanza, nonché una maggiore tendenza a sviluppare eventi ricorrenti silenti in questi soggetti [10]. MD + + + + + Un altro importante risultato del nostro stuaPL + + + + dio, per il quale non esistono precedenti, è MA + + + l’osservazione che l’interruzione delle teFHs + + rapie di prevenzione secondaria prescritte CI + alla dimissione risulta essere correlata al Note: Profilo senza fattori di rischio: indice cumulativo, 0 (normoteso; non ipercolesterolemico; non fumatore; rischio di ricorrenza a lungo termine. Nonon diabetico); assenza di storia personale di emicrania con aura; assenza di storia familiare di ictus nei familiari di primo grado; assenza di anticorpi anti-fosfolipidi circolanti; non sospensione di terapia nostante i dati della letteratura in tal senso antiaggregante o antipertensiva nel follow-up. dimostrino in modo inequivocabile un auMD, interruzione della terapia medica (farmaci antiaggreganti o antipertensivi); aPL, mento del rischio di recidive, di invalidità anticorpi anti- fosfolipidi circolanti; MA, emicrania con aura; FHs, storia familiare di ictus nei familiari di primo grado; CI, indice cumulativo (almeno1 tra ipertensione arteriosa, diabete mellito, fumo di sigaretta, e di morte in soggetti che sospendano la ipercolesterolemia); -, assente; +, presente. terapia di prevenzione secondaria, in parRischio a 1 anno = 1 - 0.97exp(IPSYS score); rischio a 5 anni = 1 - 0.93exp(IPSYS score) ticolare antiaggregante piastrinica, dopo un evento indice, essi risultano viziati dalla SYS è il più ampio studio disponibile in letteratura condotto scarsa rappresentazione dei soggetti con ischemia cerebrale su pazienti con IS di età compresa tra i 18 e i 45 anni ed è in età giovanile nei trials di prevenzione secondaria condotti il primo a includere l’aderenza alla terapia di prevenzione negli ultimi 50 anni [11,12]. In altri termini, l’efficacia di secondaria nel modello di predizione del rischio di ricorren- queste terapie in età giovanile è stata scarsamente indagata za. In particolare, i due studi che hanno arruolato il maggior e non vi è virtualmente dimostrazione attraverso studi longinumero di soggetti con IS giovanile e con un follow-up este- tudinali che l’aderenza a lungo temine a queste terapie riduso, condotti rispettivamente in Finlandia [7] e in Olanda [8], ca il rischio di ricorrenza di eventi in questa fascia d’età. A hanno incluso un numero totale di pazienti con IS di età in- questo riguardo nè l’Helsinki Young Stroke Registry [7], nè feriore ai 45 anni pari a circa un terzo rispetto a quelli inclusi lo studio FUTURE [8] sono in grado di fornire informazioni nel nostro registro. Inoltre, quando si confrontano i risultati riguardo all’eventuale interruzione di tali terapie in corso di di questi studi si dovrebbero prendere in considerazione le follow-up, lasciando la questione irrisolta. differenze nei criteri di inclusione, nella definizione delle va- I nostri dati indicano inoltre, che parte del rischio a lungo terriabili e nelle misure di outcome, così come gli stili di vita mine di eventi trombotici arteriosi dopo l’evento indice siano e il background genetico della popolazione in studio, i quali attribuibili ad anticorpi anti-fosfolipidi. Questo dato non è possono potenzialmente contribuire a generare differenze sorprendente se si considera il noto effetto protrombotico di nei risultati. Evidenze epidemiologiche hanno chiaramente queste molecole ed è ancora più probabile se teniamo conto indicato come, anche nei pazienti con IS giovanile, al cresce- della controversia relativa all’approccio terapeutico più adere dell’età dei soggetti stessi si associ un accumulo di fattori guato in questi casi. FIGURA 3. RISCHIO DI RICORRENZA DI EVENTI ISCHEMICI IN SOGGETTI CON DIFFERENTI PROFILI DI RISCHIO A 1 ANNO VS 5 ANNI
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Patologie cerebrovascolari Lo score di rischio che abbiamo definito sulla base di questi fattori si configura infine, come un semplice algoritmo per la stima del rischio individuale a lungo termine in questa categoria di pazienti. Ciò può consentire di stratificare il rischio individuale e di mettere in atto strategie di prevenzione più efficaci. Inoltre, il calcolo individuale dell’IPSYS score può permettere una più efficace comunicazione di quale sia il rischio a lungo termine per ciascun soggetto. È verosimile che un paziente tenda a essere più aderente alla terapia e adotti cambiamenti del proprio stile di vita sapendo che il proprio rischio di ricorrenza a 5 anni è dell’ordine, ad esempio, del 70 per cento anziché del 30 per cento. In conclusione il nostro studio dimostra che nei pazienti con IS in età compresa tra i 18 e 45 anni, il rischio di ricorrenza di un evento trombotico arterioso si associa a fattori di rischio età-specifici il cui effetto è almeno in parte potenzialmente modificabile. Lo score di rischio che abbiamo sviluppato, ba-
sato sulla combinazione di questi fattori, si configura come uno strumento utile tanto in ambito clinico quanto in ambito di sanità pubblica per la stima del rischio individuale di recidiva. I nostri risultati, in particolare, enfatizzano l’importanza di estendere l’utilizzo di trattamenti per la prevenzione secondaria non solo in fase acuta e post-acuta di un ictus ischemico, ma anche a lungo termine. L’implementazione di strategie di trattamento appropriate e la modifica dello stile di vita in questa categoria di pazienti può avere un importante impatto riducendo il rischio di ricorrenza di eventi potenzialmente letali [13]. Fonti di finanziamento L’Italian Project on Stroke in Young Adults (IPSYS) è supportato dalla Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle Malattie Cardiovascolari (ALT).
Bibliografia 1. Leys D, Debette S. Epidemiology of ischemic stroke in young adults. In, Pezzini A, Padovani A, eds. Cerebral ischemia in young adults: pathogenic and clinical perspectives. Nova Science Publishers, NY, 2009; 1-24. 2. Pezzini A, Grassi M, Lodigiani C, et al, on behalf of the Italian Project on Stroke in Young Adults (IPSYS) Investigators. Predictors of migraine subtypes in young adults with ischemic stroke. The Italian Project on Stroke in Young Adults (IPSYS). Stroke. 2011; 42: 17-21. 3. Tibshirani R. The lasso method for variable selection in the Cox model. Stat Med. 1997; 16: 385-395 4. Hastie T, Tibshirani RFJ. The elements of statistical learning. New York, NY: Springer; 2001. 5. Harrell FE, Lee KL, Mark DB. Multivariable prognostic models: issues in developing models, evaluating assumptions and adequacy, and measuring and reducing errors. Stat Med. 1996; 15: 361-387. 6. Kissela BM, Khoury JC, Alwell K, et al. Age at stroke. Temporal trends in stroke incidence in a large, biracial population. Neurology. 2012; 79: 1781-1787. 7. Putaala J, Haapaniemi E, Metso AJ, et al. Recurrent of ischemic events in young adults after first-ever ischemic stroke. Ann Neurol. 2010; 68: 661-671. 8. Rutten-Jacobs LCA, Maaijwee NAM, Arntz RM, et al. Long-term risk of recurrent vascular events after young stroke: the FUTURE study. Ann Neurol. 2013; 74: 592-601. 9. Bousser MG, Welch KMA. Relation between migraine and stroke. Lancet Neurol. 2005; 4: 533–42. 10. Gioia LC, Tollard E, Dubuc V, et al. Silent ischemic lesions in young adults with first stroke are associated with recurrent stroke. Neurology. 2012; 79: 1208-1214. 11. Hong KS, Yegiaian S, Lee M, Lee J, Saver JL. Declining stroke and vascular event recurrence rates in secondary prevention trials over the past 50 years and consequences for current trial design. Circulation. 2011; 123: 2111-2119. 12. Naess H, Waje-Andreassen U, Thomassen L, Nyland H, Myhr KM. Do all young ischemic stroke patients need long-term secondary preventive medication? Neurology. 2005; 65: 609-611. 13. Pezzini A, Grassi M, Lodigiani C et al, on behalf of the Italian Project on Stroke in Young Adults (IPSYS) Investigators. Circulation 2014; 129: 1668-1676.
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6
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demenze
Malattia di Alzheimer Le potenzialità dell’immunoterapia I farmaci in corso di sperimentazione mirano a interferire con i processi patologici che avvengono nel cervello durante lo sviluppo e la progressione dell’Alzheimer. Tra gli approcci più promettenti e studiati vi sono la vaccinazione con la proteina amiloide e l’immunizzazione passiva
Daniela Galimberti Fondazione Ca’ Granda, IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Università di Milano, Milano
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a malattia di Alzheimer (MA) è la più comune causa di demenza nella popolazione anziana dei Paesi occidentali, essendo stata diagnosticata in sede autoptica nel 50-60 per cento dei casi di decadimento cognitivo a esordio tardivo. La patologia interessa maggiormente le donne in tutte le fasce d’età; la prevalenza nella popolazione femminile è tre volte più alta rispetto a quella maschile. L’incidenza è simile in tutto il mondo ed è stimata in 3 nuovi casi su 100.000 nella popolazione con età inferiore a 60 anni, e 125/100.000 nella fascia d’età “over 60”. La prevalenza è circa 300/100.000 tra 60 e 69 anni, 3.200/100.000 nella fascia 70–79 e 10.800/100.000 nei soggetti oltre gli 80 anni. L’età è il fattore di rischio più importante, seguito dal sesso (la malattia è più frequente nelle donne, con un rapporto di circa 2:1 con gli uomini) e dalla presenza di fattori di danno vascolare (eventi ischemici, colesterolo, aterosclerosi). A oggi, il trattamento della MA è di tipo “sintomatico”. I farmaci mirano principalmente ad aumentare i livelli di acetilcolina, dimostrati essere diminuti in corso di malattia (Bartus et al., 1982). Gli inibitori dell’acetilcolinesterasi (AChEIs) inibiscono l’enzima che metabolizza l’acetilcolina, aumentando l’azione di questo neurotrasmettitore. Attualmente sono tre i composti disponibili: donepezil, rivastigmina e galantamina. Il donepezil viene somministrato inizialmente al dosaggio di 5 mg/die e poi aumentato fino alla dose piena di 10 mg/die, ed è stato approvato per il trattamento della MA lieve-moderata nel 1996. Gli effetti collaterali, transitori e legati all’inizio della terapia, includono nausea, vomito, diarrea, disturbi del sonno, bradicardia. La rivastigmina, oltre a un effetto di tipo AChEI, è anche in grado di inibire l’enzima butirrilcolinesterasi. La somministrazione inizia con una dose di 3 mg/die che viene aumen-
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tata gradualmente a 6-12 mg/die. Oltre alla formulazione orale, esiste un cerotto transdermico, che non ha gli effetti collaterali sul sistema gastroenterico legati all’inizio della terapia. La galantamina viene somministrata alla dose di 16-24 mg/2 volte al giorno e ha sostanzialmente gli stessi effetti collaterali dei due composti menzionati in precedenza. Diversi studi e metanalisi dimostrano che questi composti hanno la stessa efficacia e gli stessi effetti collaterali. L’efficacia in termini di stabilizzazione del quadro cognitivo dura circa 12 mesi. Un farmaco sintomatico approvato per le forme severe di malattia è la memantina, un antagonista non competitivo del recettore dell’N-metil-aspartato. La dose è di 10-20 mg/die, e gli effetti collaterali includono vertigini, confusione e mal di testa.
L’immunoterapia nella malattia di Alzheimer I farmaci descritti agiscono sui sintomi, ma non sulle cause della malattia, che continua, sebbene più lentamente, a progredire. I nuovi farmaci, a oggi in corso di sperimentazione sull’uomo, mirano invece a interferire con i processi patologici che avvengono nel cervello durante lo sviluppo e la progressione della malattia. La maggior parte dei nuovi composti in studio è stata selezionata per interferire con la deposizione di una proteina chiave nello sviluppo della malattia di Alzheimer: la proteina beta amiloide, che insieme alla proteina tau rappresenta la principale proteina patologica ritrovata in cervelli da pazienti con malattia di Alzheimer. Tra gli approcci più promettenti e studiati vi sono la vaccinazione con la proteina amiloide e l’immunizzazione passiva.
tabella 1 Nuovi criteri diagnostici che includono l’utilizzo dei biomarcatori AD probabile: criterio A (core) + uno dei criteri B, C, D, E (supportivi) A. Presenza di deficit cognitivo con le seguenti caratteristiche: Graduale e progressivo deficit della memoria riportato dal paziente o dai parenti, con una durata di almeno 6 mesi Evidenza oggettiva (dai test neuropsicologici) di deficit della memoria episodica l Il deficit di memoria può essere isolato o associato ad altri deficit cognitivi l l
B. Presenza di atrofia del lobo mesiale temporale: l
Diminuzione di volume di: ippocampi, corteccia entorinale, amigdala alla risonanza magnetica nucleare
C. Biomarcatori liquorali alterati: l
Livelli diminuiti di proteina amiloide, livelli aumentati di proteina tau o fosfotau
D. Pattern PET caratterizzato da: l l
Metabolismo glucidico ridotto nelle regioni temporo-parietali bilateralmente Altro tracciante che dimostri la deposizione di amiloide (es. Pittsburgh compound)
E. Presenza di una mutazione autosomica dominante (nei geni APP, PSEN1 o PSEN2)
w Gli studi sui vaccini
Il concetto di immunoterapia nelle patologie neurodegenerative venne introdotto da Schenk et al. (1999), che sperimentarono, in un modello murino di MA, l’utilizzo del peptide beta amiloide [1-42] per indurre la produzione di anticorpi che rimuovessero la proteina dal cervello. L’analisi patologica dimostrò la rimozione della proteina a livello ippocampale; alla luce di questo risultato eclatante, nel 2001 venne avviata la prima sperimentazione sull’uomo. Lo studio clinico di fase II, randomizzato in doppio cieco contro placebo, comprendeva 300 pazienti e prevedeva l’infusione dell’antigene beta amiloide [1-42] una volta al mese. Dopo pochi mesi lo studio venne però sospeso a causa del verificarsi di 18 casi di meningoencefalite. I pazienti che avevano effettuato 2-3 tre infusioni vennero seguiti nel tempo e alcuni arrivarono all’analisi autoptica, che dimostrò un’effettiva rimozione della proteina amiloide. Anni dopo, venne sviluppata una seconda generazione di vaccini. I nuovi composti consistevano in frammenti più corti di proteina amiloide, modificati in modo tale da sviluppare una risposta anticorpale senza attivare gli altri componenti del sistema immunitario ed evitare così lo sviluppo di effetti collaterali fatali. Il primo di questi, denominato CAD106 (Novartis), è stato analizzato in uno studio di fase I, che ne ha dimostrato la sicurezza e tollerabilità, ed è attualmente in corso una sperimentazione di fase II che mira a identificare la dose efficace. Altri vaccini in fase di sviluppo includono: ACI-24 (AC Immune), Affitope AD-02 (GlaxoSmithKline Biologicals), Affitope-AD-03 (GlaxoSmithKline Biologicals); ACC-001 (vanutide cridificar; Pfizer); UB-311 (United Biomedical); V-950 (Merck) (per dettagli si veda la review di Ghezzi et al., 2013 e Galimberti et al., 2013).
w L’immunizzazione passiva
Un altro approccio sviluppato in parallelo alla vaccinazione
è l’immunizzazione passiva, cioè la somministrazione di anticorpi umanizzati contro la proteina amiloide prodotti nell’animale. Il primo anticorpo analizzato è stato il bapineuzumab (Wyeth and Elan). Studi di fase I e II avevano dimostrato che il farmaco è sicuro e ben tollerato, ma studi successivi di fase III non hanno raggiunto i risultati clinici desiderati (Salloway et al., 2014), e la sperimentazione è attualmente sospesa. Un altro anticorpo molto studiato è il solanezumab (LY2062430; Ely Lilly; Moreth et al., 2013). Dopo uno studio di fase II che ha dimostrato che il farmaco non ha provocato eventi avversi ed è ben tollerato, sono stati avviati due studi di fase III (EXPEDITION 1 e 2) su pazienti in fase lieve-moderata. L’obiettivo primario consisteva nella valutazione clinico-cognitiva con scale neuropsicologiche, e i risultati sono stati negativi (Doody et al., 2014). Sottoanalisi effettuate in seguito hanno dimostrato che in realtà c’era stato un effetto positivo sui pazienti in fase iniziale di malattia, per cui studi futuri mireranno specificamente a pazienti in fase lieve. Un terzo anticorpo in corso di sperimentazione (fase III) è il gantenerumab (Hoffman-LaRoche). Tutti questi anticorpi non hanno mai dato casi di eventi avversi gravi, salvo in pochi casi, microemorragie ed edema vasogenico (talvolta documentati alla risonanza, ma non sintomatici). D’altra parte i costi di produzione sono decisamente maggiori rispetto alla vaccinazione, e sarebbe difficile un utilizzo su larga scala. Anticorpi naturali contro la proteina amiloide sono stati isolati anche dalle immunoglobuline umane (IVIg: intravenous immunoglobulins) ottenute da plasma di donatori sani. Alla luce di questa evidenza, negli Stati Uniti è stato effettuato uno studio clinico di fase I su 8 pazienti trattati con IVIg (Gammagard S/D Immune Globulin Intravenous Human), donati dalla Baxter Healthcare Corporation. Su sette pazienti che erano arrivati al termine dello studio (6 mesi) si era osservata una stabilizzazione del declino cognitivo, e in sei la neurologia italiana
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demenze pazienti, addirittura un miglioramento. Questa evidenza ha portato allo sviluppo di una sperimentazione di fase II, che ha dato buoni risultati in termini di tollerabilità e sicurezza, ma non ha permesso di valutare l’efficacia (Dodel et al., 2013).
Considerazioni conclusive In conclusione, nonostante risultati molti buoni nel modello animale dei nuovi farmaci in grado di modificare il decorso di malattia, nell’uomo a oggi non si è ancora arrivati a risultati promettenti. La ragione è verosimilmente che l’intervento farmacologico è troppo tardivo; in pratica quando i sintomi compaiono il danno è pressoché fatto: la maggior parte delle cellule del cervello sono morte e qualsiasi tipo di trattamento non è in grado di risolvere la situazione. Per questo motivo, gli sforzi della comunità scientifica operante nel settore delle demenze sono sempre più volti a identificare gli stadi iniziali della malattia, al fine di poter intraprendere precocemente strategie terapeutiche/riabilitative preventive e rallentare la progressione del deterioramento cognitivo. Questo ha portato, negli ultimi anni, alla definizione di una nuova entità nosografica: il Mild Cognitive Impairment (MCI). Potendo l’MCI essere spesso misconosciuto nelle fasi iniziali, una diagnosi precoce e accurata permetterebbe di intervenire tempestivamente sulle cause, avviare queste nuove specifiche terapie che agiscono sulle cause della malattia, nonché sul lungo periodo organizzare al meglio la vita del malato e dei suoi familiari. Per questa finalità, sono stati sviluppati nel corso degli scorsi anni, dei marcatori biologici altamente sensibili e specifici per la diagnosi differenziale tra la malattia di Alzheimer e le altre demenze neurodegenerative. Per un utilizzo nella routine clinica, i biomarcatori devono avere una sensibilità e specificità dell’85 per cento, essere facilmente determinabili e replicati in studi indipendenti. A
oggi, disponiamo di quattro marcatori che soddisfano questi requisiti: l’analisi dei livelli delle proteine amiloide, tau e tau fosforilata nel liquido cefalorachidiano (aumento di tau e diminuzione dei livelli di amiloide), l’imaging strutturale (MRI) e funzionale (FDG-PET, SPECT) e la presenza di mutazioni autosomiche dominanti (nel gene che codifica per il precursore della proteina amiloide e nelle preseniline 1 e 2). Questi biomarcatori sono stati recentemente proposti come ausilio per anticipare la diagnosi in una fase definita “prodromica”, in cui si osservano già le alterazioni nei livelli di proteine liquorali o all’imaging anche se non si è ancora in presenza di sintomi conclamati e non vi è ancora un impatto funzionale nelle attività della vita quotidiana (Dubois et al., 2007; Dubois et al., 2010; Tabella 1). Oltre che a fini diagnostici, questi biomarcatori verranno utilizzati negli studi farmacologici per selezionare una popolazione che abbia con certezza una patologia di tipo amiloide nel cervello e che sia ad alto rischio di sviluppare sintomi conclamati in un tempo breve. Inoltre, i biomarcatori potrebbero essere utilizzati come marcatori surrogati di efficacia dei composti “diseasemodifying”, in particolare di quelli che dovrebbero rimuovere la proteina amiloide dal cervello. In conclusione, in uno scenario caratterizzato da una richiesta in forte aumento che per certi aspetti avanza istanze nuove perché provenienti da soggetti relativamente giovani e molto spesso ancora attivamente inseriti nel sociale, è di estrema importanza raffinare gli strumenti diagnostici avvalendosi del supporto fornito da tecnologie innovative al fine di effettuare una diagnosi precoce e mirata. Risulta quindi importante identificare precocemente i soggetti più a rischio di sviluppare la MA al fine di intraprendere percorsi terapeutici nelle prime fasi della malattia, quando il danno è ancora recuperabile e la comparsa della malattia in forma conclamata può essere notevolmente ritardata nel tempo.
Bibliografia 1. Bartus RT, Dean RL 3rd, Beer B, Lippa AS. The cholinergic hypothesis of geriatric memory dysfunction. Science 1982; 217: 408–14. 2. Dodel R, Rominger A, Bartenstein P et al. Intravenous immunoglobulin for treatment of mild-to-moderate Alzheimer’s disease: a phase 2, randomised, double-blind, placebo-controlled, dose-finding trial. Lancet Neurol 2013; 12(3): 233-43. 3. Doody RS, Thomas RG, Farlow M et al. Phase 3 trials of solanezumab for mild-to-moderate Alzheimer’s disease. N Engl J Med 2014; 370(4): 311-21. 4. Dubois B, Feldman HH, Jacova C et al. Research criteria for the diagnosis of Alzheimer’s disease: revising the NINCDS-ADRDA criteria. Lancet Neurol 2007; 6(8): 734-46. 5. Dubois B, Feldman HH, Jacova C et al. Revising the definition of Alzheimer’s disease: a new lexicon. Lancet Neurol 2010; 9(11): 1118-27. 6. Galimberti D, Ghezzi L, Scarpini E. Immunotherapy against amyloid pathology in Alzheimer’s disease. J Neurol Sci 2013; 333(1-2): 50-4. 7. Ghezzi L, Scarpini E, Galimberti D. Disease-modifying drugs in Alzheimer’s disease. Drug Des Devel Ther 2013; 7: 1471-8. 8. Moreth J, Mavoungou C, Schindowski K. Passive anti-amyloid immunotherapy in Alzheimer’s disease: What are the most promising targets? Immun Ageing 2013; 10(1): 18. 9. Salloway S, Sperling R, Fox NC, et al. Two phase 3 trials of bapineuzumab in mild-to-moderate Alzheimer’s disease. N Engl J Med 2014; 370(4): 322-33. 10. Schenk D, Barbour R, Dunn W et al. Immunization with amyloid- beta attenuates Alzheimer-disease-like pathology in the PDAPP mouse. Nature 1999; 400: 173-7.
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Epilessia focale
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Efficacia e sicurezza del trattamento in add-on con eslicarbazepina acetato A cura di Antonietta Coppola Centro per le epilessie Dipartimento di Neuroscienze, Scienze riproduttive e odontostomatologiche Università Federico II di Napoli
L’
eslicarbazepina acetato (ESL) è un farmaco antiepilettico (AED) approvato nel 2009 dall’EMA come trattamento aggiuntivo per i pazienti adulti con epilessia focale, con o senza secondaria generalizzazione. Questa molecola ha il vantaggio di legare preferenzialmente i canali del sodio voltaggio dipendenti (VGSCs) nei neuroni che scaricano rapidamente. Inoltre l’eslicarbazepina, che costituisce il 95% del suo metabolita attivo, ha un’affinità di legame per VGSC a riposo da 5 a 15 volte inferiore rispetto ad altri AEDs. Queste due proprietà si traducono in un’attività inibitoria selettiva sui neuroni epilettici. Nel lavoro qui presentato (Gil-Nagel A et al. Epilepsia 2013; 54(1): 98-107) vengono discussi i dati di efficacia e sicurezza estrapolati da tre studi clinici di fase III, multicentrici, randomizzati, in doppio cieco, controllati con placebo: studio BIA 2093-301, 2093-302 e 2093-303. Dopo un periodo iniziale di titolazione di 3 settimane, l’ESL è stata somministrata in un’unica dose giornaliera per 12 settimane (2093-301 e 2093-302 prevedevano tre gruppi a differenti dosi: 400, 800 e 1.200 mg/die; lo studio 2093-303 solo due dosi: 800 e 1.200 mg/die). I pazienti reclutati erano adulti con le seguenti caratteristiche: crisi parziali semplici o complesse, con o senza generalizzazione secondaria nei 12 mesi
precedenti lo screening; trattamento con 1-3 AEDs concomitanti a posologia stabile per almeno 2 mesi prima dell’inizio dello studio; almeno 4 crisi focali nelle 8 settimane precedenti lo screening; intervallo libero da crisi inferiore a 21 giorni. Sono stati esclusi i pazienti che assumevano felbamato (per motivi di sicurezza), oxcarbazepina (stesso metabolita attivo) e i pazienti con storia di eventi avversi alla carbamazepina e alla oxcarbazepina. Come variabili di efficacia sono state utilizzate la frequenza delle crisi durante le 12 settimane di mantenimento e il tasso di risposta (50% della riduzione della frequenza delle crisi). I dati sono stati analizzati statisticamente mediante analisi della covarianza (ANCOVA) confrontando con placebo. I dati di sicurezza includevano gli eventi avversi (AEs) classificati come lieve, moderato o grave, i dati clinici di laboratorio, i segni vitali, il peso corporeo e l’elettrocardiogramma. Sono stati raccolti i dati riguardanti 1.049 pazienti, in maggioranza di razza caucasica, che assumevano uno o due AEDs (1-3 nello studio BIA-2093-302), di cui i più comuni erano carbamazepina (55%), acido valproico (19%) e lamotrigina (18%).
Risultati dello studio La riduzione della frequenza delle crisi durante il periodo di mantenimento è
risultata significativamente maggiore per i gruppi trattati con ESL al dosaggio di 800 mg e di 1.200 mg/die (p <0,0001) rispetto al placebo. L’efficacia dell’ESL era simile nonostante i pazienti stessero assumendo contemporaneamente carbamazepina, lamotrigina o acido valproico. La percentuale di pazienti responder è stata significativamente superiore nei gruppi trattati con 800 mg/die (36%) e 1.200 mg/die (44%) rispetto al placebo (22%). Non sono state riscontrate differenze riguardanti il sesso, durata della malattia, età dei pazienti alla diagnosi, regione geografica di appartenenza, numero di AEDs concomitanti, o tipo di crisi registrate alla visita di base. I dati non sono stati sufficienti per i pazienti anziani, il cui numero non ha permesso di raggiungere significatività statistica. L’incidenza totale di eventi avversi correlati al trattamento (TEAEs) aumentava con l’aumento della dose di ESL (Tabella 1). Non è stato osservato un andamento dose dipendente per gli eventi avversi gravi (SAEs), che hanno avuto la stessa incidenza nei diversi gruppi. La maggior parte degli effetti collaterali riscontrati è stata di tipo lieve o moderato ed era rappresentata da vertigini, sonnolenza e cefalea. La differenza dei TEAEs tra i gruppi trattati con ESL e il gruppo placebo è stata riscontrata soltanto nelle prime 6 settimane di titolazione. L’incidenza dei
TEAEs aumentava all’aumentare della interazione farmacologica. L’ESL, come riscontrati solo ai dosaggi più alti di 800 dose di inizio trattamento: 35-45% per il dimostrato da questa review, sembra e 1.200 mg/die. Come prevedibile, l’ingruppo che iniziava a 400 mg, 51% per il rispondere a queste esigenze. Infatti, i cidenza di TEAEs era maggiore durante gruppo che iniziava a 600 mg e 73-78% dati raccolti dai tre studi hanno dimole prime settimane di titolazione e nei per il gruppo che iniziava a 800 mg. Il gruppi che iniziavano con un dosaggio strato che il trattamento aggiuntivo in numero di AEDs concomitanti sembrava più elevato. La percentuale di pazienti monosomministrazione di ESL alla dose non avere ulteriori effetti sull’incidenza di che a causa di un TEAE ha interrotto il di 800 mg/die e 1.200 mg/die in pazienti TEAEs. È importante tuttavia segnalare trattamento restava basso: circa il 14%, con epilessia focale farmacoresistente, una maggiore incidenza di diplopia, diche è inferiore rispetto a quello riportato è efficace e ben tollerato. La frequenza in letteratura per la oxcarbazepina (12-67 delle crisi è, infatti, risultata significasturbo della coordinazione e vertigini nei %). Inoltre la sospensione del trattamenpazienti che assumevano carbamazepina tivamente ridotta con ESL 800 mg/die come farmaco concomitante. (p <0,0001) e 1.200 mg/die (p <0,0001) to a causa di eventi avversi è risultata Nessuna analisi di laboratorio ha riporrispetto al placebo. L’efficacia non è stata dose dipendente (5% nel placebo vs 19% influenzata dal sesso, regione geografica, nel gruppo 1.200 mg/die). Lo studio ha tato parametri significativamente diverdurata dell’epilessia, età alla prima diadimostrato che i parametri di farmacosi nel gruppo trattato con ESL rispetto al placebo. Solo 4 pazienti hanno avuto gnosi, tipo di crisi, numero e tipo di AEDs cinetica erano proporzionali alla dose e iponatriemia (Na <125 mM). Tutti questi concomitanti. rappresentavano i livelli terapeutici di pazienti assumevano carbamazepina ad Inoltre, la ESL è risultata anche ben tolesposizione. La lieve riduzione della conun dosaggio >1.000 mg/die e avevano lerata: i TEAEs sono risultati lievi o mocentrazione ematica di lamotrigina e carun valore sodico <135 mM prima del derati e dose dipendenti, essendo stati bamazepina quando somministrati con trattamento con ESL. La ESL 1.200 mg/die può esTabella 1. Incidenza e gravità dei TEAEs concentrazione plasmatisere spiegata dai comuni Risultati combinati degli studi 301 +302 +303 meccanismi di metabolizca media di eslicarbazepiPlacebo ESL 800 mg ESL 1.200 mg na alla fine del periodo di zazione di queste sostan(n =289) (n =284) (n =280) mantenimento era di 2,1 ze (induzione del CYP3A4 (1,9-2,4) g/ml dopo 400 Totale pazienti per la carbamazepina e 46,4 62,7 67,5 con TEAEs (%) mg ESL, 5,1 (4,5-5,6) g/ induzione dell’uridina di Lievi 19,4 25,4 20,0 ml dopo 800 mg ESL e 8,1 fosfatasi glucurunosilModerati 22,5 28,9 36,1 (7,3-8,9) g/ml dopo 1.200 transferasi per la lamo4,5 8,5 11,4 mg. Una modesta ridu- Gravi trigina). In conclusione 7,3 21,1 28,9 si evince che la ESL è un zione dei livelli di carba- Capogiri (%) 4,5 11,6 11,8 trattamento efficace, ben mazepina e lamotrigina è Lievi 2,1 7,4 12,9 tollerato, di facile utilizzo stata riscontrata quando Moderati (monosomministrazione associate a ESL 1.200 mg/ Gravi 0,7 2,1 4,3 giornaliera e basse intedie. Sonnolenza (%) 9,3 13,0 15,0 razioni farmacocinetiche) Lievi 6,2 7,7 6,8 per pazienti con epilessia Considerazioni Moderati 2,4 4,2 6,8 focale farmacoresistente. conclusive Gravi 0,7 1,1 1,4 Dato che la dose di 800 Cefalea (%) 8,7 10,2 13,6 mg/die ha fatto registraNonostante la disponiLievi 4,2 4,6 6,8 bilità di numerosi AEDs, re meno sospensioni del 4,2 4,6 6,1 molti pazienti restano Moderati trattamento a causa di 0,3 1,1 0,7 farmacoresistenti. La far- Gravi TEAEs e meno interazioni farmacocinetiche rispetto macoresistenza compor- Nausea (%) 2,1 7,4 10,0 al dosaggio di 1.200 mg/ ta da un lato, la continua Lievi 1,0 2,8 3,2 die, essa rappresenta una richiesta di nuovi AEDs, Moderati 1,0 3,9 5,7 soluzione posologica ottidall’altro la necessità di Gravi 0 0,7 1,1 AEDs con un buon profimale per un trattamento Fonte: modificata da Gil-Nagel A et al. Epilepsia 2013; 54(1): 98-107 efficace e ben tollerato. lo di tollerabilitá e bassa
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Terapia con zonisamide Management e monitoraggio dei pazienti nella pratica clinica: lo studio OZONE A cura di Roberto De Simone Centro Epilessia, Ospedale S. Eugenio, Roma
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ella sfida al trattamento dell’epilessia farmacoresistente nuovi AEDs continuano a essere sviluppati e introdotti nella pratica clinica. A scopo regolatorio, i trials controllati e randomizzati (RCTs) sono considerati “gold standard” nel determinare efficacia e sicurezza dei farmaci. Tuttavia per molti motivi i RCTs non sempre misurano la reale efficacia e tollerabilità di questi farmaci: in primo luogo i regimi di trattamento che vengono utilizzati non riflettono la realtà della pratica quotidiana. Ad esempio, la titolazione è generalmente troppo veloce e rigida, i dosaggi che devono essere raggiunti sono spesso troppo alti e la possibilità di aggiustamento della dose per questo tipo di farmaci e per eventuali co-medicazioni è troppo limitata; in secondo luogo, i pazienti sottoposti ai RCTs sono specificamente selezionati e la maggioranza di essi ha un’epilessia refrattaria. L’epilessia è una malattia cronica e complessa, che richiede un trattamento a lungo termine che necessita di essere adattato su base individuale al fine di assicurare che ogni paziente possa ricevere un antiepilettico a una dose efficace e ben tollerata. Studi osservazionali che includono popolazioni eterogenee, regimi terapeutici flessibili nel dosaggio e trattamenti individualizzati sono necessari per completare i dati provenienti dai RCTs
già realizzati. La zonisamide (ZNS) possiede multipli meccanismi d’azione includenti il blocco dei canali voltaggio dipendenti del sodio e i canali T-type del calcio, come anche una facilitazione della neurotrasmissione GABAergica. 4 trials clinici a doppio cieco randomizzati effettuati tra il 1993 e il 2005, hanno dimostrato la sua efficacia e tollerabilità in confronto con placebo con schema dose dipendente. Su queste basi il farmaco è stato approvato in Europa nel 2005 per il trattamento in add-on dell’epilessia nei pazienti adulti con crisi focali con o senza generalizzazione secondaria. Nello studio OZONE (Dupont S et al. Epileptic disord 2013; 15(3): 1-11) ci si è proposti di effettuare uno studio osservazionale, longitudinale, naturalistico sull’uso della ZNS nella pratica clinica quotidiana in Francia, per ciò che riguarda il trattamento in add-on dell’epilessia focale. Per questo sono stati selezionati pazienti con trattamento a base di ZNS iniziato da almeno tre mesi prima dello studio; i dati sono stati raccolti in occasione di una prima visita di inclusione, e di un successivo controllo, effettuato a 3-6 mesi di distanza. Un totale di 473 pazienti sono stati dichiarati eligibili. Di questi, 376 pazienti sono andati a formare la protocol population, comprendente coloro che avevano potuto effettuare entrambe le visite e completare quindi
lo studio. ZNS è stata iniziata a un dosaggio di 50 e 25 mg rispettivamente nel 61% e nel 31,8% dei casi. All’inizio della terapia 292 (68,2%) dei pazienti erano stati trattati senza successo con almeno due AEDs, e 158 (36,9%) ne stavano assumendo quattro. La dose media di mantenimento giornaliera è stata di 300 mg di ZNS. La response rate, definita dai pazienti con decremento di un numero di crisi pari o superiore al 50%, e la proporzione dei pazienti seizure free sono state rispettivamente del 61,9% e del 31,1% alla prima visita, e rispettivanente del 65,9% e del 25,6% in occasione della seconda. La proporzione di pazienti seizure free è apparsa più alta per coloro che presentavano un’epilessia focale con secondaria generalizzazione, o che ricevevano una duplice terapia. L’effetto collaterale più comune è stata la sonnolenza, in 22 pazienti (5,1%); in ogni caso gli eventi avversi tendevano a comparire all’inizio del trattamento e non è stato evidenziato un effetto dose correlato. Da quanto osservato, emerge che anche nella pratica clinica quotidiana la ZNS risulta efficace in add-on nel migliorare il controllo delle crisi e la qualità di vita, ed è generalmente ben tollerata. ZNS è rimborsata in Italia sia nell’indicazione add-on sia in monoterapia.
S p e c i a l e e p i l e ss i a
Encefalopatia epilettica farmacoresistente Rufinamide si conferma un’opzione di terapia efficace e ben tollerata A cura di Dario Pruna Unità di Epilettologia, Dipartimento di Neurologia pediatrica e psichiatria Azienda Ospedaliera Universitaria di Cagliari
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a rufinamide (RFN) è un nuovo farmaco antiepilettico, un triazolo derivato che sem bra agire sui canali del sodio, indicato come terapia aggiuntiva nel trattamento di crisi epilettiche associate a sindrome di LennoxGastaut (LGS) in pazienti di età pari o superiore a 4 anni. LGS è un’encefalopatia epilettica farmacoresistente con crisi polimorfe (toniche, tonicocloniche, atoniche, spasmi, crisi focali, assenze) estremamente disabilitanti. L’EMA ne ha approvato l’immissione in commercio nell’UE dal 2007, in Italia è commercializzato dal 2009. Uno dei lavori principali degli ultimi anni sull’uso della RFN nelle encefalopatie epilettiche è quello sudcoreano di Shin Hye Kim e coll, “Rufinamide as an adjuvant treatment in children with Lennox-Gastaut syndrome”, pubblicato su Seizure, nel 2012. È uno studio osservazionale in aperto che ha valutato l’efficacia di RFN in add-on in 128 pazienti con LGS (85 maschi e 43 femmine) in un range di età compresa tra 2 e 20 anni. I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi: criptogenetico e sintomatico. Il gruppo sintomatico è poi stato suddiviso in “malformazioni dello sviluppo corticale”, “encefalopatie distruttive”, “malattie metaboliche” e “a eziologia sconosciuta” Lo studio è
costituito da una fase di baseline di un mese in cui è stata valutata la frequenza delle crisi seguita da 4 settimane di titration e 12 settimane di mantenimento (dose iniziale di 10 mg/kg/die; dosaggio target di 20-40 mg/kg/die). Lo studio valutava l’efficacia della RFN nel determinare una condizione di seizure free, una riduzione delle crisi del 75%, del 50-75%, o <50% e/o peggioramento delle crisi. 112/128 partecipanti (87,5%) hanno presentato una riduzione delle crisi del 31,7%. I pazienti seizure free erano il 7,8%, quelli con riduzione delle crisi >75% il 18%, quelli con riduzione 50-75% il 10,2%. Le crisi che hanno mostrato una migliore risposta alla RFN sono state quelle generalizzate convulsive (toniche e tonico-cloniche) e quelle atoniche (drop attacks), che hanno il maggiore impatto sulla qualità di vita. Questo dato del 31,7% è concorde con il 32,7% dello studio controllato, randomizzato e in doppio cieco di Glauser (Rufinamide for generalized seizures associated with Lennox-Gastaut syndrome, Neurology 2008) ed è inferiore al 41% dello studio in aperto di Kluger (Adjunctive rufinamide in Lennox-Gastaut syndrome: a longterm, open-label extension study, Acta Neurol Scand 2010). Non sono state evidenziate differenze significative di efficacia di RFN a seconda dell’eziologia
della LGS anche se il responder rate nei pazienti con malformazione cerebrale è stato del 42,9% rispetto al 29,6% dei criptogenetici. L’efficacia della RFN nelle displasie corticali è confermata dal recentissimo lavoro di Cusmai (Rufinamide for the treatment of refractory epilepsy secondary to neuronal migration disorders, Epilepsy Research 2014). Nello studio di Shin Hye Kim il 39,1% dei pazienti non ha avuto modifiche della frequenza delle crisi e il 16,4% ha mostrato invece un aumento della frequenza delle crisi. Eventi avversi sono stati riportati nel 32,8% dei casi, e i più comuni sono stati astenia, riduzione dell’appetito, sonnolenza, rash cutaneo, iperattività, cattiva qualità del sonno e vomito, tutti di entità lieve o moderata e simili a quelli già riportati in altri lavori. Il 16,4% dei pazienti ha avuto un peggioramento di frequenza e intensità delle crisi, un dato lievemente più elevato rispetto ad altri lavori. Nonostante alcuni bias come il fatto di essere uno studio non in doppio cieco e non controllato con placebo e senza un’estensione a lungo termine per valutare il mantenimento di efficacia del farmaco nel tempo, questo lavoro conferma efficacia e tollerabilità della RFN nei pazienti con un’encefalopatia epilettica farmacoresistente e disabilitante come la LGS.
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Sclerosi multipla
Vaccinazione con Bacillo di Calmette-Guérin in soggetti con CIS Un trial clinico sugli effetti a lungo termine La vaccinazione con BCG sembra avere effetti benefici precoci e probabilmente un’azione a lungo termine nei soggetti con CIS. L’azione positiva del vaccino si evidenzia attraverso la riduzione dell’attività di malattia alla RM e del numero di nuove lesioni T1 ipointense
Giovanni Ristori, Maria Chiara Buscarinu, Arianna Fornasiero, Vito Antonio Gerardo Ricigliano, Silvia Romano, Marco Salvetti Centro Neurologico Terapie Sperimentali (CENTERS), AO S. Andrea, Dipartimento di Neuroscienze, Salute mentale e Organi di senso (NESMOS), Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
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a maggioranza dei casi di sclerosi multipla (SM) esordisce con un primo attacco demielinizzante (usualmente definito sindrome clinicamente isolata o CIS) generalmente reversibile. Approssimativamente la metà dei casi converte a SM clinicamente definita (CDMS) entro due anni dalla diagnosi e presenta, dunque, un rischio di disabilità, mentre circa il 10 per cento dei pazienti CIS rimane libero da nuovi episodi neurologici anche in presenza di lesioni alla RM dell’encefalo, compatibili con SM (1-4). Relativamente alla probabilità di conversione a CDMS, una serie di lavori ha documentato gli effetti benefici dell’interferone beta e del glatiramer acetato nei pazien-
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ti con CIS (5-8). In termini di disabilità, invece, recenti studi mostrano che il ritardo nella somministrazione di interferone beta fino a due anni dalla diagnosi non si ripercuote sulla progressione della malattia nel lungo termine (9-11). In un precedente studio pilota condotto dal nostro gruppo, la vaccinazione con Bacillo di Calmette-Guérin (BCG) si è dimostrata sicura e potenzialmente efficace nel ridurre l’attività di risonanza in pazienti con SM recidivante remittente (12). Ulteriori dati ottenuti sulla stessa coorte di pazienti hanno mostrato come la vaccinazione con BCG possa diminuire il rischio di sviluppare lesioni ipointense in T1 (black holes) in un periodo di osservazione di 24 mesi, sug-
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gerendo pertanto, potenziali effetti benefici a lungo termine del vaccino (13). Sebbene il preciso meccanismo alla base degli effetti osservati dopo la somministrazione del BCG rimanga largamente sconosciuto, esistono molteplici evidenze empiriche, in altre malattie a patogenesi immunologica (in particolare, diabete tipo 1 e asma), che mostrano come un approccio adiuvante eserciti effetti immunomodulatori favorevoli (14-17). Considerando le evidenze sopra descritte e il fatto che la terapia adiuvante è economica, sicura e maneggevole, abbiamo considerato una strategia appropriata la vaccinazione con BCG per i pazienti con CIS.
METODI Sono stati reclutati, tra gennaio 2003 e giugno 2006, pazienti con primo episodio clinico compatibile con SM afferenti a 4 Centri italiani di riferimento per tale patologia: Centro Neurologico Terapie Sperimentali, Ospedale S. Andrea; NESMOS Dipartimento di Neurologia e Psichiatria “Sapienza” Università di Roma; Fondazione Don Carlo Gnocchi IRCCS, Milano; Dipartimento
tabella 1 Caratteristiche demografiche e cliniche della popolazione CIS al baseline
Età (anni) Sesso (maschio/femmina) EDSS score Mediana (IQR*) Tempo dopo il primo evento demielinizzante (giorni)
BCG n=33
Placebo n=40
p**
32,2 ±8,4
31,6 ±8,2
0,77
12/21
18/22
0,24
1,04 ±0,64
1,06 ±0,74
0,91
1,00 (1,00-1,50)
1,00 (1,00-1,50)
53,09 ±16,40
54,23±20,44
Media (IQR)
55 (50-58)
50 (30-70)
Esordio multifocale
16 (48,5%)
18 (45%)
ON
7 (21,2%)
5 (12,5%)
BC
4 (12,1%)
6 (15%)
SC
6 (18,2%)
11 (27,5%)
Uso di steroidi al primo evento demielinizzante
25 (75,8%)
30 (75%)
0,94
Lesioni Gd-positive
0,73 ±1,92
1,00±1,97
0,18
0,00 (0-0,50)
0,00 (0-1,75)
(0-10)
(0-11)
8/33
15/40
0,21
19,48 ±23,58
15,58 ±17,22
0,68
10 (5-26)
10 (4-22,50)
(2-100)
(2-90)
Mediana (IQR) Range Numero di scansioni attive Lesioni iperintense in T2 Mediana (IQR) Range Lesioni ipointense in T1
2,48 ±5,24
2,25 ±2,72
Mediana (IQR)
1 (0-2)
1 (0-4)
Range
(0-24)
(0-10)
0,79 0,64
0,29
Note: CIS, sindrome clinicamente isolata ; BCG, Bacillo di Calmette-Guerin; EDSS, Expanded Disability Status Score; IQR, range interquartile; ON, neurite ottica; BC, sindrome troncale-cerebellare; SC, interessamento midollare; *IQR = Q1 – Q3; **Test di Fisher. T-test e Mann-Whitney U test per variabili continue categoriche.
di Scienze Neurologiche, Università Federico II, Napoli (codice studio NCT00202410, database ClinicalTrial. gov). Sono arruolati soggetti con CIS, quadro di RM al basale compatibile con SM (almeno due lesioni iperintense in T2 clinicamente silenti), età compresa tra i 18 e 50 anni, nessun trattamento steroideo nei 2 mesi precedenti l’inclusione nello studio e nessuna diseasemodifying therapy (DMT). La presenza di malattie sistemiche o sospetto di tubercolosi (basato sulla reazione all’intradermoreazione di Mantoux o sull’Rx del torace), gravidanza (le donne potenzialmente fertili hanno acconsentito a utilizzare metodi contraccettivi) e allattamento sono stati considerati criteri di esclusione.
Lo studio si è articolato in tre fasi. Nella prima, in doppio cieco e a gruppi paralleli, della durata di 6 mesi, i soggetti arruolati sono stati randomizzati per ricevere BCG o placebo, e sono stati sottoposti a follow-up neuroradiologico (RM con gadolinio mensili), al fine di valutare l’effetto terapeutico del BCG rispetto al placebo. Nella seconda fase, sempre in doppio cieco, i pazienti, indipendentemente dal gruppo di appartenenza, sono stati sottoposti a terapia con IFN-b1-a e seguiti per ulteriori 12 mesi. La terza fase dello studio ha rappresentato una fase di estensione non in cieco tesa a monitorare l’andamento dei pazienti nei due gruppi nel tempo (follow-up fino a 60 mesi). In questa fase, dal diciottesimo mese in poi, i pazienti
hanno assunto la DMT ritenuta più opportuna dal neurologo curante. I partecipanti sono stati sottoposti a esame clinico, valutazione della disabilità mediante EDSS (18), esami di laboratorio ed esami addizionali per escludere condizioni che mimano la SM, ECG, Rx torace e RM encefalo con mezzo di contrasto (mdc). Inoltre, è stata preventivamente eseguita l’intradermoreazione di Mantoux (iniezione intradermica di 5 UI di PPD) al fine di escludere i soggetti iperergici. Dopo aver ottenuto il consenso informato, i soggetti sono stati randomizzati (rapporto 1:1) per ricevere la vaccinazione con BCG (0,1 mg/ml; Pasteur) o placebo (soluzione fisiologica); la somministrazione è stata effettuata entro 90 giorni dall’esordio
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Sclerosi multipla
tabella 2
Attività di malattia alla RM e lesioni ipointense in T1 a sei mesi dalla vaccinazione o nel gruppo placebo
Numero
BCG n = 33
Placebo n = 40
p*
18 (54,5%)
10 (25,0%)
0,02
1
1(3,0%)
8 (20,0%)
2
6 (18,2%)
4 (10,0%)
3
1(3,0%)
4 (10,0%)
≥4
7 (21,2%)
14 (35,0%)
M ± SD
3,09 ±5,40
6,62 ±11,84
Totale delle lesioni Gd-positive 0
0,04
Nuove e allargate lesioni iperintense in T2 0
14 (42,4%)
10 (25,0%)
1
7 (21,2%)
6 (15,0%)
2
2 (6,1%)
7 (17,5%)
3
0,19
3 (9,1%)
2 (5,0%)
≥4
7 (21,2%)
15 (37,5%)
M ± SD
3,21±5,40
7,67±12,66
0,06
29 (87,9%)
26 (65,0%)
0,02
≥1
4 (12,1%)
14 (35,0%)
M ± SD
0,18 ±0,58
0,90±1,93
Nuove lesioni ipointense in T1 0
0,02
Note: BCG, Bacillo di Calmette-Guerin; *Test di Fisher e Mann-Whitney U test per variabili categoriche e continue.
del primo evento clinico. I soggetti sono stati sottoposti a controlli clinici seriati (mensilmente, in coincidenza con il controllo di RM, nei primi 6 mesi; ogni 3 mesi nella seconda fase dello studio dal 6° al 18° mese; ogni 6 mesi durante la terza fase dello studio, per 60 mesi) per valutare eventuali ricadute o qualsiasi evento avverso. Durante i 6 mesi successivi al vaccino o al placebo, i pazienti sono stati sottoposti mensilmente a RM encefalo con mdc. Altri due controlli di RM sono stati condotti a 12 e 18 mesi dopo il vaccino o placebo. L’endpoint primario è stato il confronto dell’attività di malattia tra i due gruppi di pazienti utilizzando il numero delle lesioni captanti gadolinio (nuove e persistenti) durante i primi sei mesi. Gli endpoint secondari hanno incluso altri parametri di RM (numero medio di lesioni iperintense in T2 nuove o di volume aumentato e numero medio di nuove lesioni ipointense in T1 durante
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i primi 6 mesi; numero medio di lesioni captanti gadolinio, di lesioni iperintense in T2 nuove e di volume aumentato, nonché nuove lesioni ipointense in T1 a 12 e 18 mesi; variazione media nel numero complessivo di lesioni ipointense in T1 dal baseline ai mesi 6, 12 e 18), il numero medio delle ricadute a 6 e 18 mesi, gli endpoint clinici valutati durante i 60 mesi di follow-up (tra cui la probabilità cumulativa di conversione a CDMS, il numero medio di ricadute, la valutazione della progressione della disabilità all’EDSS, il numero di pazienti liberi da DMT), nonché la valutazione degli eventuali effetti avversi.
RISULTATI Complessivamente 100 pazienti con CIS sono stati presi in considerazione per l’eleggibilità; 82 sono stati considerati eleggibili e sono stati randomizzati a ricevere il vaccino o il placebo.
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Nove soggetti hanno ritirato il consenso prima di ricevere il trattamento; dei restanti, 33 sono stati assegnati al gruppo vaccino e 40 a quello placebo: tutti i soggetti hanno completato la fase che prevedeva l’indagine RM mensile, tranne nel caso di 1 soggetto vaccinato e 1 soggetto placebo che non hanno effettuato le ultime indagini; tutti i soggetti hanno completato il follow-up con IFN-b-1a intramuscolo (tuttavia, 4 individui su 40 nel braccio del placebo non hanno effettuato la RM prevista a 12 e 18 mesi) e l’estensione in aperto dello studio a 60 mesi. È importante sottolineare come le caratteristiche demografiche, cliniche e di RM fossero comparabili tra i 2 gruppi al basale: nessuno dei confronti eseguiti ha dimostrato significative differenze (p >0,18 in tutti i casi). Nel gruppo placebo si è notata una tendenza a un quadro di risonanza più attivo e a un maggiore coinvolgimento del midollo spinale (Tabella 1). Misure di outcome L’attività della malattia nel gruppo trattato è stata inferiore durante i 6 mesi di follow-up (Tabella 2, Figura 1). Per l’endpoint primario, il numero medio cumulativo di lesioni captanti gadolinio è risultato essere inferiore nel braccio BCG (3,09 ±5,40) rispetto al braccio placebo (6,62 ±11,84), malgrado un’ampia variabilità in entrambi i gruppi in esame. Il RR calcolato è stato pari a 0,541 (95 per cento CI 0,308-0,956; p =0,03), corretto per le variabili al basale. Il 45,5 per cento dei soggetti vaccinati contro il 75 per cento dei soggetti trattati con placebo ha sviluppato una o più nuove lesioni captanti il gadolinio e ha, così, soddisfatto i criteri di disseminazione temporale per la diagnosi di SM (p =0,02). La differenza di rischio è stata del 29,5 per cento (95 per cento CI 7,9 -51,2 per cento) e il numero necessario da trattare (NNT) è risultato essere pari a 3,39. Il gruppo BCG ha avuto anche un numero medio complessivo inferiore in termini di lesioni iperintense in T2 nuove e di volume aumentato (RR =0,364, 95 per cento CI
0,207-0,639; p =0,001) e ipointense in T1 di nuova insorgenza (RR =0,149, 95 per cento CI 0,046-0,416; p =0,001) durante i 6 mesi di follow-up (Tabella 2). Nessun evento avverso si è verificato dopo 6 mesi, tranne che per reazioni locali all’inoculazione in 3 soggetti vaccinati. Il numero di recidive è stato di 5/40 (12,5 per cento) nel braccio placebo contro 2/33 (6,06 per cento) nel braccio BCG (differenza di rischio 6,44 per cento, 95 per cento CI 6,65-19,53 per cento, p =non significativo). Non sono state osservate differenze in termini di attività in RM tra il gruppo BCG e il placebo, mentre il numero medio di nuove lesioni T1-ipointense è risultato essere più elevato nel gruppo placebo a 18 mesi (0,20±0,56 vs 0,00±0,00; p =0,04). Allo stesso punto di tempo, l’analisi categorica ha mostrato una percentuale maggiore di pazienti con almeno 1 nuova lesione T1-ipointensa nel gruppo placebo (12,5 vs 0 per cento, p =0,03). La variazione media del numero totale di lesioni T1-ipointense dal basale a 6, 12, e 18 mesi non ha mostrato praticamente nessun accumulo in soggetti CIS vaccinati, rispetto a un aumento del carico in quelli trattati con placebo: -0,09 ±0,72 contro 0,75 ±1,81 (p =0,01); 0,00 ±0,83 contro 0,88 ±2,21 (p =0,08) e -0,21 ±1,03 contro 1,00 ±2,49 (p =0,02) per ciascuno dei tre punti di tempo (Figura 2A). Dopo 18 mesi, il numero cumulativo di recidive era pari a 25/40 (62,5 per cento) nel gruppo placebo contro 10/33 (30,3 per cento) nel braccio BCG (differenza di rischio 32,2 per cento, 95 per cento CI 10,5-53,9 per cento, p =0,01). Durante il follow-up a 5 anni, abbiamo osservato una significativa differenza tra braccio BCG + DMT e braccio placebo + DMT nella comparsa del secondo evento demielinizzante (conversione in CDMS). Alla fine del follow-up, più della metà dei soggetti vaccinati è rimasta libera da recidiva (19/33; 57,6 per cento), rispetto a 12/40 (30 per cento) nel braccio placebo, con una differenza percentuale del 27,6 per cento (p =0,018). Il log-rank test ha mostrato
FIGURA 1. NUMERO CUMULATIVO MEDIO DI LESIONI CAPTANTI GADOLINIO
una differente probabilità cumulativa di CDMS nei 2 gruppi (p =0,02, Figura 2B). Il modello di regressione di Cox, corretto per i dati al baseline, ha mostrato che la probabilità cumulativa a 5 anni di CDMS era più bassa nel braccio BCG + DMT (hazard ratio=0,52, 95 per cento CI 0,27-0,99, p <0,05 ). Il tempo medio libero da recidiva è stato di 42,94 ±21,99 mesi nel gruppo BCG vs 32,45 ±23,29 nel gruppo placebo (p <0,05). Durante il follow-up a 5 anni, la maggior parte dei pazienti è rimasta in terapia con IFN-b (56/73) o è passata a una diversa DMT (6/73). In un sottogruppo di soggetti con decorso “benigno” (nessuna disabilità e stabilità in RM), il neurologo ha deciso di interrompere IFN-b e ha lasciato il paziente libero da qualsiasi DMT. Il modello di regressione logistica ha mostrato che i soggetti privi di DMT sono stati più frequenti nel gruppo dei vaccinati rispetto a quello dei non vaccinati (8/33 vs 3/40; odds ratio =0,20, 95 per cento CI 0,040,93, p=0,04, tenuto conto della correzione per le caratteristiche al basale). Alla fine del follow-up, l’EDSS medio, così come il tasso medio di recidive, sono rimasti bassi in entrambi i bracci dello studio: 1,45 ±0,88 (range 0-3,5)
e 1,52 ±2,34 nel gruppo BCG +DMT contro 1,40 ±0,79 (range 0-3,5) e 1,60 ±1,94 nel gruppo placebo +DMT. Nessun evento avverso maggiore è stato registrato durante il trial clinico. Durante il follow-up, la frequenza e la natura degli eventi avversi sono rimaste nei limiti del profilo farmacologico stabilito per ciascuna DMT che i pazienti hanno assunto, senza differenze tra gli individui vaccinati e i non vaccinati.
DISCUSSIONE La vaccinazione con BCG sembra avere effetti benefici precoci e, probabilmente, un’azione a lungo termine nelle persone con CIS, avvalorando, così, le precedenti osservazioni fatte nei pazienti con SM (12,13). Rispetto al placebo, il BCG ha diminuito in modo significativo l’attività di malattia alla RM e il numero di nuove lesioni T1 ipointense durante il primo semestre. Inoltre, il BCG può presentare effetti a lungo termine: le persone trattate infatti, hanno avuto un numero inferiore di lesioni T1-ipointense, un numero cumulativo di recidive inferiore dopo 18 mesi e hanno inoltre, mostrato una riduzione del rischio di conversione a CDMS a
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FIGURA 2. VARIAZIONE MEDIA DEL NUMERO DI LESIONI T1-IPOINTENSE (A) E PROBABILITÀ CUMULATIVA DI SM CLINICAMENTE DEFINITA (B)
5 anni. L’esatto meccanismo attraverso cui il BCG possa agire nella neuroinfiammazione non è ancora chiaro. Una serie di pathways pleiotropici possono contribuire a spiegare la sua azione nella SM: la competizione antigenica e la “diversione” del traffico di cellule T autoreattive (21,22); l’azione immunomodulante di effettori che sono di solito associati con pathways proinfiammatori (15,23,24); lo sviluppo di cellule regolatorie che sono attivate da terapia adiuvante (25) e altri prodotti microbici (26), o da esposizione a parassiti (27), fornendo così supporto all’idea (la cosiddetta “ipotesi dell’igiene”) secondo la quale negli ultimi decenni le abitudini e gli stili di vita occidentali abbiano facilitato lo sviluppo di disturbi del sistema immunitario (28). Problematiche generali sulla vaccinazione con BCG nella SM riguardano l’uso limitato e la eventuale disponibilità del vaccino nei Paesi sviluppati, nonché la verosimile necessità di eseguire una reazione di Mantoux prima di iniziare il trattamento in future terapie. Problematiche specifiche relative a
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questo trial includono un parziale squilibrio tra i due bracci in termini di ritiro del consenso (8 in BCG vs 1 in gruppo placebo) e caratteristiche dei soggetti al basale (non significativa prevalenza di scansioni RM attive e sindromi midollari nel gruppo placebo). Le potenziali limitazioni della fase open label dello studio rientrano tra i limiti propri degli studi di questo tipo quali estensione a lungo termine e in particolare assenza di valutazione in cieco. Questo limita l’interpretazione dei dati di follow-up a 60 mesi, in particolare per quelli riguardanti i soggetti non trattati con DMT. Pur tenendo presente tutto ciò, e anche se il confronto eseguito tra i due gruppi deve essere preso con cautela, data la peculiarità del nostro studio e i diversi protocolli di ciascun trial, è sicuramente degno di nota che la riduzione assoluta del rischio di CDMS nel nostro studio non sia inferiore rispetto a quella riportata con IFN-b o glatiramer acetato (5-9). È interessante che le curve di probabilità di sviluppo di CDMS (Figura 2B) mostrano una più netta separazione tra i due bracci dello studio dopo i 10
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mesi, allorquando tutti i pazienti hanno ricevuto DMT. Ciò può essere dovuto al basso tasso di conversione globale nel corso dei primi mesi, ma un effetto additivo del vaccino con la DMT non si può escludere, come è anche suggerito dalla differenza significativa tra i due bracci dello studio in termini di numero cumulativo di recidive a 18 mesi. Gli effetti di lunga durata della vaccinazione BCG sembrano, dunque, importanti (29,30), e se ne dovrà tenere conto se e quando verranno avviati studi di fase 3. Infatti, la corretta dose e la frequenza di somministrazione del BCG restano da determinare. Vaccinazioni ripetute possono essere un’opzione (come recentemente riportato per i pazienti con diabete mellito insulinodipendente [31]). Tuttavia, considerando la durata degli effetti favorevoli nella SM, potrebbe essere attuato un programma di vaccinazione con il minor numero possibile di somministrazioni; questo approccio metterebbe al riparo da eventuali danni conseguenti a vaccinazioni troppo frequenti (reazioni iperergiche e danno tissutale correlato
a cellule T helper 17 [32]). Globalmente considerati, i nostri risultati pongono indicazione a un futuro studio di fase 3 in persone con CIS, che possa prendere in considerazione ulte-
riori misure di outcome (tra cui l’atrofia misurata sul volume cerebrale globale o sulla sostanza grigia) volti a verificare un potenziale effetto neuroprotettivo di questa vaccinazione.
Inoltre, quanto descritto nel presente lavoro dimostra la fattibilità e l’eventuale beneficio di approcci sicuri, economici e pratici da intraprendere subito dopo il primo episodio demielinizzante.
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La globalizzazione delle demenze Come sta cambiando la diffusione di queste patologie Un fenomeno globale: dai Paesi più sviluppati, che per primi hanno evidenziato e studiato il problema, le demenze riguarderanno sempre di più anche i Paesi in via di sviluppo. L’Alzheimer’s Disease International in un nuovo documento aggiorna le stime sulla diffusione della malattia di Alzheimer e delle altre demenze a cura di Folco
L
Claudi
a conferma della diffusione mondiale delle demenze viene da un nuovo rapporto di Alzheimer’s Disease international (ADI), che riporta preoccupanti proiezioni epidemiologiche che si estendono fino al 2050. Già nel 2009, ADI pubblicò il primo rapporto globale sulle demenze, con proiezioni d’incidenza e di prevalenza al 2050, sulla base della revisione sistematica di 154 studi clinici internazionali e delle stime demografiche delle Nazioni Unite. Nel documento, si stimava che il numero di persone affette da demenza avrebbe raggiunto i 36 milioni, per poi raddoppiare ogni 20 anni, arrivando a 66 milioni nel 2030 e a 115 milioni nel 2050 (Figura 1). Ora si aggiungono alcuni studi e metanalisi che riguardano in particolare l’Asia e l’Africa. Questo aggiornamento sottolinea come a essere rilevanti non siano solo i numeri assoluti, ma anche i dati di distribuzione geografica del problema della demenza: secondo il rapporto, la per-
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centuale di malati che vivono nei Paesi in via di sviluppo, dove la consapevolezza del problema è limitata e i sistemi sanitari non sono presumibilmente adeguati ad affrontare questi numeri, è destinata ad aumentare notevolmente, dall’attuale 28 per cento, al 50 per cento circa nel 2030 fino al 96 per cento nel 2050.
Che cosa è cambiato L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno evidente in tutto il mondo, specialmente nei Paesi più industrializzati. Il numero dei pazienti affetti da demenze è destinato ad aumentare, anche rimanendo fissa la prevalenza specifica per età. I dati mostrano tuttavia che quest’ultimo parametro è soggetto ad alcune oscillazioni: tende a diminuire nei Paesi più sviluppati, mentre in Cina ha subito un incremento significativo, dal 4,98 per cento al 6,99 per cento, probabilmente per il peggioramento delle condizioni di salute e per il conseguen-
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te aumento dei fattori di rischio cardiovascolare. L’altra regione in cui questo parametro si è modificato è l’Africa sub-Sahariana, dove la prevalenza è salita dall’intervallo 2,07-4 per cento al 4,76 per cento. E proprio dal gigante asiatico, così come dai Paesi dell’Africa sub-Sahariana, provengono i nuovi dati statistici di prevalenza che hanno modificato in parte le proiezioni del 2009, rendendole ancora più drammatiche. Le previsioni al 2050 per l’area dell’Asia orientale parlano ora di 33,61 milioni di soggetti con demenza, con un incremento del 49 per cento rispetto alla precedente stima di 22,54 milioni, mentre per l’Africa sub-Sahariana le stime sono di poco più di 5 milioni di persone affette, contro i 2,14 milioni previsti nel 2009, con un incremento del 136 per cento. Complessivamente quindi, il numero di soggetti affetti da demenza nel 2013 è stato stimato in 44,35 milioni, raggiungerà i 75,62 milioni nel 2030 e i 135 milioni nel 2050, con incrementi rispetto agli stessi parametri valutati nel 2009, rispettivamente, del 15 per cento e del 17 per cento (Figura 1).
La nuova istantanea della demenza nel mondo Le conclusioni dello studio riassumono sinteticamente i trend epidemiologici che sono emersi dalla revisione sistematica degli studi attualmente disponibili.
w 1. Le demenze, compresa la malattia di Alzheimer, si confermano come una delle più grandi sfide per la sanità globale pubblica per la nostra generazione. I nuovi dati dimostrano che l’impatto dell’epidemia di demenza è stato finora sottostimato, in particolare nell’Asia Orientale e nelle regioni dell’Africa sub-Sahariana. w 2. Si tratta di una epidemia globale, sebbene i casi siano concentranti in modo drammatico nei Paesi più ricchi e con età media più avanzata, il 60 per cento delle persone con demenza vive in Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, dove l’accesso ai servizi sociali
e sanitari è certamente molto limitato. w 3 Nei prossimi decenni, il carico globale delle demenze si sposterà inesorabilmente verso i Paesi più poveri, in particolare nelle nazioni in via di rapido sviluppo che fanno parte del G20, ma non del G8. w 4. Le future dimensioni dell’epidemia potranno essere mitigate mediante azioni volte a migliorare la salute della popolazione; la priorità va a misure per ridurre il fumo, la sedentarietà, l’obesità, l’ipertensione e il diabete. Secondo le stime più ottimistiche, il 10 per cento dell’incidenza potrebbe essere evitato con queste misure. w 5. L’agenzia di rating Standard & Poor ha definito l’invecchiamento della popolazione mondiale come la più grande minaccia alla sostenibilità dei debiti sovrani. Tra le malattie croniche, la demenza rappresenta di gran lunga il più importante singolo contributo alla disabilità tra le persone anziane. L’attuale costo globale delle demenze (dati 2010) è stimato in 604 miliardi di dol-
lari, pari a circa l’1 per cento del prodotto interno lordo mondiale. In futuro, i costi potranno crescere proporzionalmente al numero di pazienti affetti. w 6. La ricerca deve rappresentare una priorità globale se si vuole migliorare la qualità e la diffusione delle cure: l’obiettivo è individuare trattamenti in grado di modificare il corso della malattia e migliori opzioni di prevenzione. w 7. Gli investimenti nella ricerca devono essere bilanciati da iniziative per migliorare l’accesso alle opzioni tera-
persone con demenza (milioni)
FIGURA 1. CONFRONTO TRA LE STIME SULLA DIFFUSIONE DELLE DEMENZE NEL PERIODO 2013-2050
* **
Note: * dati aggiornati, presentati nell’ultimo documento ADI; **dati originali Fonte: Policy Brief Heads of Government. The Global Impact of Dementia 2013-2050; Alzheimer’s Disease International, 2013
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Epidemiologia
Il piano nazionale per le demenze “Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel settore delle demenze”: questo è il titolo per esteso del Piano nazionale, il più importante documento programmatico per affrontare il problema delle demenze, elaborato dal Ministero della Salute è già inviato nel 2011 alla Conferenza unificata delle Regioni. Il percorso di elaborazione è ripreso nel settembre del 2013, arenandosi sulle richieste di approfondimento e modifica delle diverse regioni. Nel testo originale, venivano individuati 10 punti focali, così sintetizzabili: 1. Interventi e misure di politica sanitaria: elaborazione di una mappa aggiornata dell’offerta sanitaria esistente; promozione di interventi mirati alla creazione di una rete assistenziale regionale integrata; ridefinizione dei criteri di accreditamento e certificazione di qualità delle strutture per la gestione integrata delle demenze. 2. Ottimizzazione dei percorsi diagnostico-terapeutici e riqualificazione dei processi socio-assistenziali: garanzia di diagnosi precoce, presa in carico tempestiva e continuità assistenziale attraverso una rete integrata tra MMG, UVA/UVD, ADI, Ospedale Irccs, Centri di riabilitazione, RSA. 3. Creazione di una rete integrata per le demenze: integrazione dei servizi con i MMG, tramite la realizzazione di reti dedicate sulla base di una specifica programmazione regionale, coinvolgimento attivo e consapevole dei familiari e dei caregiver informali; formazione continua delle figure professionali coinvolte. 4. Sviluppo di Linee d’indirizzo clinico e promozione della ricerca scientifica: elaborazione, implementazione e diffusione di Linee d’indirizzo diagnostico-terapeutico per la pratica clinica e i percorsi assistenziali con il coinvolgimento delle Società scientifiche. 5. Programma di sviluppo e implementazione delle Linee d’indirizzo: analisi della qualità assistenziale a livello regionale e locale, definizione di indicatori di appropriatezza diagnostico-terapeutica. 6. Carta dei servizi: elaborazione e diffusione di una carta dei servizi, in conformità con i principi di qualità e appropriatezza; informazione e sensibilizzazione sociale. 7. Rete di supporto per i caregiver: salvaguardia dei diritti dei pazienti e dei loro familiari; potenziamento dei percorsi di formazione ed educazione rivolti ai caregiver. 8. Formazione degli operatori e dei carer informali: attivazione prioritaria, nell’ambito dell’attività di ECM regionali, di percorsi di formazione/aggiornamento di tutte le figure professionali coinvolte; coinvolgimento delle società scientifiche nella formazione continua dei professionisti sanitari. 9. Monitoraggio e verifica delle attività: sviluppo e implementazione di sistemi di monitoraggio delle attività basati su indicatori misurabili; attivazione di una sorveglianza epidemiologica. 10. Coordinamento permanente per le demenze: istituzione presso il Ministero della Salute di un Comitato nazionale per le demenze; istituzione in ogni singola Regione e Provincia autonoma di un analogo Comitato per le demenze per il coordinamento e la verifica delle attività locali.
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peutiche attuali supportate dalle evidenze, tra queste: diagnosi tempestiva, gestione del caso in corso di malattia; supporto, educazione e addestramento per i cargiver, ottimizzazione delle condizioni di salute; inibitori dell’aceticolinesterasi; stimolazione cognitiva; interventi non farmacologici per i disturbi del comportamento. w 8. Dall’epidemia di HIV, è possibile trarre alcune lezioni. La prima è che nuovi ed efficaci trattamenti possono essere utilizzati su larga scala solo in presenza di sistemi di diagnosi e di cura ben stabiliti. In secondo luogo, l’accesso affidabile a nuove tecnologie diagnostiche e terapie farmacologiche dovrà essere esteso rapidamente ai mercati dei Paesi a basso e medio reddito, dove vive la maggior parte delle persone, che ne potrebbero beneficiare. Infine, i Paesi coinvolti in studi clinici globali dovrebbero anche poter beneficiare dei trattamenti resi disponibili a costi calmierati con standard di cura adeguati. w 9. ADI e OMS nel loro rapporto congiunto Dementia: a public health priority si appellarono ai governi per rendere la demenza una priorità pubblica e sanitaria. Come parte di questo processo, tutti i governi dovrebbero iniziare dibattiti nazionali sul finanziamento e l’erogazione delle cure a lungo termine. La maggior parte dei Paesi è drammaticamente impreparata ad affrontare un’epidemia di demenza, e solo 13 Paesi hanno finanziato e cercato d’implementare un piano nazionale. Senza un piano, il rischio è che questi sistemi sanitari non riescano ad affrontare l’incremento nei numeri, rimanendo a operare in condizioni di crisi. w 10. Alla vigilia del G8 Dementia Summit di Londra, non solo i Paesi del G8, ma tutte le nazioni si sono impegnate a sostenere le ricerche sulla demenza e una collaborazione che coinvolge tutti i settori governativi, dell’industria e della società civile. C’è una necessità di un piano d’azione globale che coinvolga governi, industria e organizzazioni no-profit: la collaborazione sarà essenziale.
Piano nazionale in ritardo, ma fase cruciale per la diagnosi precoce Ma qual è la situazione della cura e dell’assistenza sanitaria delle demenze nel nostro Paese? Abbiamo fatto il punto con Carlo Ferrarese, professore ordinario di Neurologia presso l’Università di MilanoBicocca, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale San Gerardo di Monza e segretario della Società Italiana di Neurologia (SIN).
Prof. Ferrarese, nel nostro Paese si parla da alcuni anni di un Piano nazionale per le demenze che però non ha ancora visto la luce. A che punto è l’iter di approvazione di questo importante documento? Nell’ambito del recente congresso nazionale della SINDEM, che si è tenuto a Firenze nel mese di marzo, una sessione era proprio dedicata al Piano nazionale per le demenze; a questa sessione hanno partecipato rappresentanti sia del Ministero della Salute che dell’Istituto superiore di Sanità, per illustrare lo stato di avanzamento dei lavori, nei quali sono coinvolti anche specialisti neurologi in qualità di consulenti tecnici. Per rispondere alla domanda, purtroppo il Piano nazionale non è ancora stato approvato perché nel confronto con le Regioni sono emerse posizioni divergenti; tutto deve quindi ripartire con un maggiore coinvolgimento delle stesse Regioni. Le varie Regioni hanno realtà diverse e si cerca di uniformare tali realtà. È un peccato
che ci sia stato questo ritardo perché altre nazioni hanno già avviato i loro piani nazionali. Può riassumere brevemente quali sono le aree di priorità di questo Piano nazionale? Non essendo ancora approvato è prematuro rispondere: può essere che nel confronto con le Regioni l’accento possa essere posto sull’aspetto preventivo, piuttosto che su quello diagnostico o ancora sulla presa in cura del paziente, e così via. Ritengo che in ogni caso il Piano nazionale dovrebbe prevedere, a 360 gradi, tutti gli aspetti che riguardano le demenze: le strategie preventive, le Linee guida diagnostiche per la diagnosi precoce, la presa in carico dei pazienti, e quindi la definizione delle strutture più idonee per seguire i pazienti dalle fasi iniziali a quelle più avanzate. Ma qual è l’obiettivo generale? In che modo il nuovo Piano nazionale dovrebbe consentire di
superare il modello organizzativo che vige attualmente? Attualmente il modello organizzativo è quello delle Unità di Valutazione Alzheimer (UVA), attive ormai da vent’anni, che sono state create proprio in concomitanza con l’avvio del progetto CRONOS, il più ampio studio clinico-epidemiologico mai realizzato in Europa sulla malattia di Alzheimer, che prevedeva la somministrazione dei farmaci anticolinesterasici per le demenze. Le UVA sono strutture che hanno fatto fare effettivamente un grande passo in avanti per la presa in carico dei pazienti, però evidentemente sono passati tanti anni e sarebbe necessario aprire una fase nuova. In conclusione, le UVA non verrebbero superate ma integrate, per esempio tramite l’istituzione di UVA di diverso livello, alcune in grado di fare accertamenti più approfonditi rispetto ad altre, distribuite sulle varie realtà territoriali. Proprio su questi aspetti pratici si è ancora un po’ indietro... E che cosa possiamo dire dell’aumento di prevalenza della malattia in Italia? Il rapporto di Alzheimer’s Disease International (ADI) prevede che nell’ambito del G8, cioè dei Paesi più industrializzati, l’aumento di prevalenza sarà legato all’invecchiamento della popolazione, quindi senza sostanziali variazioni per quanto riguarda l’incidenza specifica legata all’età. È quanto risulta anche a lei? Per quanto riguarda il nostro Paese non ci sono grosse novità nelle previsioni rispetto a quanto stimato alcuni anni fa: attualmente
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Epidemiologia
la prevalenza è di circa un milione di soggetti affetti da demenza, che diventeranno due milioni nel 2050. Nei Paesi industrializzati l’incidenza e la prevalenza sono così alte perché l’età media è elevata, mentre nei Paesi in via di sviluppo l’età media è destinata ad aumentare con un tasso più elevato negli anni a venire. Nei Paesi sviluppati tuttavia i valori d’incidenza e di prevalenza potrebbero essere modificati per esempio con la riduzione dei fattori di rischio vascolare e il miglioramento delle condizioni di salute legato alla prevenzione e terapia di malattie croniche, all’alimentazione e a più corretti stili di vita. Lo stesso rapporto parla di una possibilità d’intervento solo del 10 per cento sulla prevalenza, lei è d’accordo con questa valutazione? Sì perché, come dicevo, intervenire sui fattori di rischio aiuterebbe, ma essi sono solo una parte del problema; molto importanti sono anche la predisposizione genetica, che è ovviamente indipendente dagli aspetti ambientali, e poi naturalmente l’età avanzata, che è il fattore di rischio principale per l’insorgenza della demenza. Si parla molto anche di diagnosi precoce: ma quanto può incidere sul decorso della malattia? Il dato fondamentale è che attualmente sono disponibili strumenti per fare una diagnosi precoce o addirittura preclinica, in quella fase che viene chiamata mild cognitive impairment, o declino cognitivo lieve, nella quale sono presenti deficit di memoria e altri deficit neuropsicologici, documentabili con adeguati test, che non configurano ancora un quadro di demenza; se a questa diagnosi basata su esami neuropsicologici vengono associati altri esami, che mirano a svelare
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il processo biologico sottostante, potremmo parlare di malattia di Alzheimer in fase preclinica o prodromica, cioè prima che si sia manifestata clinicamente la demenza. Tra questi esami vi sono tecniche di imaging, quali la risonanza magnetica, che permette di dimostrare precocemente aree di atrofia cerebrale, e la PET. Quest’ultima si può fare con due diversi tipi di traccianti: il primo è il fluorodeossiglucosio, che consente di valutare il metabolismo cerebrale, ed è attualmente disponibile in clinica, mentre sono allo studio e tra breve saranno disponibili traccianti che permettono di documentare il deposito a livello cerebrale della proteina beta-amiloide, che è coinvolta nel processo neurodegenerativo, ed è quindi un segnale ancora più specifico della malattia di Alzheimer. Oltre a tali esami di neuroimaging, è già possibile effettuare un prelievo liquorale che consente di dosare il livello di proteina tau, liberata quando muoiono i neuroni, e della proteina beta amiloide stessa, che, essendo depositata nel cervello, diminuisce nel liquor dei malati di Alzheimer. Tutti questi test, soprattutto se combinati tra loro, possiedono una sufficiente sensibilità e specificità per poter dimostrare che un soggetto che ha un declino cognitivo lieve, verosimilmente svilupperà una demenza, in quanto ha in atto il processo patologico della malattia di Alzheimer. Individuare con buon anticipo i soggetti che possono essere colpiti dall’Alzheimer è di enorme importanza per prendere in carico il paziente fin dalle prime fasi. Senza dimenticare che questi esami sono utili anche per una diagnosi differenziale rispetto ad altre forme di demenza. In questo ambito come si stanno muovendo le società scientifiche? SINDEM e l’Associazione Italiana di
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Psicogeriatria (AIP) hanno discusso e recentemente approvato un documento comune che contiene le Linee guida e le raccomandazioni per una diagnosi precoce di malattia di Alzheimer. Tale documento contiene le indicazioni per utilizzare i marcatori prima elencati, con ricadute prevedibili per i piani sanitari, per la rimborsabilità, per la presa in carico di tali pazienti. E una volta che è stata posta una diagnosi precoce o preclinica, com’è possibile intervenire? Al momento attuale, non vi è un’immediata ricaduta terapeutica, nel senso che non sono state ancora approvate terapie in grado di arrestare la progressione della malattia. Però a questo riguardo vi sono diverse strategie terapeutiche in fase avanzata di sperimentazione. Siamo in un momento cruciale: è importante mettere a punto Linee guida per la diagnosi precoce proprio perché si stanno affacciando delle terapie che potrebbero in qualche modo modificare il decorso della malattia, solo se attuate in una fase precoce. Esse vanno a contrastare i meccanismi patogenetici della demenza, bloccando l’accumulo della proteina beta amiloide, inibendone la produzione o rimuovendola con anticorpi. Diversi trial effettuati in pazienti già affetti da demenza non si sono rivelati efficaci, probabilmente perché attuati in una fase di malattia troppo avanzata: la demenza corrisponde infatti alla condizione in cui il cervello ha già perso una notevole percentuale di neuroni; per questo motivo l’obiettivo è attualmente quello di intervenire in una fase molto precoce, cioè prima che si sviluppi la demenza. Se i nuovi trial in fase prodromica o preclinica avranno successo, come tutti auspichiamo, lo scenario al 2050 potrebbe davvero cambiare.
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NEWS farmaci Italian Migrain Project
Un’alleanza per migliorare l’accesso alle cure e la qualità di vita dei pazienti cefalalgici
è
stato presentato lo scorso 26 febbraio a Roma nell’ambito di un convegno interamente dedicato alla patologia, il primo Social Manifesto in Italia per i diritti della persona con cefalea, a difesa degli oltre sei milioni di persone che ne soffrono. Il Manifesto è una vera e propria alleanza (Alleanza contro le Cefalee) tra medici, pazienti, società scientifiche (riquadro), farmacisti, uniti tutti insieme con l’intento di lottare per il riconoscimento della cefalea primaria cronica come malattia sociale. Essa rappresenta la settima causa mondiale di disabilità e, in Italia l’impatto economico è dell’ordine di 3,5 miliardi di euro in termini di costi diretti e indiretti. Un problema sanitario oneroso per il quale, come è stato anche sottolineato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è necessario rimuovere barriere di ordine clinico, sociale e politico-economico. Non va poi trascurata la componente riguardante la fascia pediatrica: la cefalea colpisce circa il 25 per cento della popolazione pediatrica in età scolare, con significative ripercussioni sul rendimento scolastico e sulla comprensione di comportamenti anomali del bambino da parte dei genitori.
Gli obiettivi del Manifesto Oltre al riconoscimento legislativo della cefalea primaria cronica come malattia sociale, esistono molteplici questioni irrisolte nell’ambito della gestione del paziente con cefalea, che il documento si propone di portare all’attenzione delle Istituzioni e delle Società scientifiche e di pazienti interessate. Tra gli obiettivi del documento rientrano infatti la messa a punto di un sistema di cure più efficiente e modulabile sulle necessità del singolo paziente, differenziato per livelli di
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gravità, un’adeguata informazione e un corretto orientamento all’interno dei servizi sanitari per favorire la necessaria continuità terapeutica, una maggiore preparazione degli operatori sanitari, la costante applicazione degli standard assistenziali che emergono dalle Linee guida e dalle norme di buona pratica clinica su tutto il territorio nazionale. Un problema pressante e in costante crescita è rappresentato dall’utilizzo improrpio (e per lungo tempo) dei farmaci da parte dei pazienti, per lo più donne. La conseguenza è oltre a un accumulo del rischio di tossicità o dipendenza, l’aumento del rischio di cronicizzazione del disturbo. “Per questo è fondamentale” ha sottolineato all’incontro romano Giorgio Bono, presidente della Società italiana per lo studio delle cefalee “arrivare a una chiara definizione legislativa della malattia come patologia sociale, offrendo a ogni paziente un percorso
I firmatari del
Social Manifesto ❱ Alleanza cefalalgici ❱ Associazione italiana per la lotta contro le cefalee ❱ Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee ❱ Federdolore ❱ Federfarma ❱ Lega italiana cefalalgici ❱ Società italiana per lo studio delle cefalee con il patrocinio dell’Associazione di Iniziativa Parlamentare per la Salute e la Prevenzione nell’ambito dell’Italian Migrain Project, e con il contributo non condizionato di Allergan
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di informazione e cura personalizzato e consentendo l’accesso agli interventi terapeutici più innovativi - farmacologici e non – che oggi, in un’Italia a macchia di leopardo, non sono assicurati allo stesso modo in tutte le regioni”. E qui emerge l’altra questione, familiare peraltro a diverse condizioni cliniche, cioè la disparità di trattamento dei pazienti nelle regioni italiane. Ne deriva un forte senso di incapacità e disorientamento dei malati che si sentono poco o per nulla assistiti. È prioritario che vi sia dunque un sistema di centri di riferimento che prenda in carico il malato e ne studi il percorso terapeutico, per far sì che possa essere seguito anche sul territorio da parte del Medico di Medicina generale. Il sistema di cure offerto dovrebbe essere articolato su crescenti livelli di complessità nel rispetto dell’appropriatezza prescrittiva e gestionale, in tutte le regioni. Solo in questo modo infatti è possibile rendere concreto il sostegno al paziente. Un importante ruolo nell’Alleanza è attribuito alla farmacia, un riferimento per il paziente sul territorio. La farmacia è uno “sportello” di consulenza perché gli antidolorifici sono tra i farmaci da banco più venduti ed è importante che siano utilizzati in modo appropriato. La farmacia è un presidio integrato nella rete delle strutture sanitarie e come tale può, se necessario, indirizzare i pazienti ai centri specialistici presenti sul territorio, abbreviando i tempi del ricorso alla terapia più adeguata. L’Alleanza contro le Cefalee si propone come una risposta coordinata e per questo, si auspica, più efficace per rispondere alle istanze sanitarie generate da una patologia troppo spesso sottodiagnosticata e sottotrattata che, anche per questa ragione, è causa di disabilità e grave compromissione della qualità di vita.
farmaci NEWS Iniziative
SM secondaria progressiva Uno studio di fase 2 testa l’effetto della simvastatina ad alte dosi
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na terapia efficace e ben tollerata per i pazienti affetti da sclerosi multipla secondaria progressiva (SMSP) rappresenta una sfida per la comunità neurologica internazionale. Non disponiamo infatti di farmaci per questa forma, altamente disabilitante della malattia. Ecco perché merita una segnalazione questo studio, pubblicato on line, lo scorso marzo su Lancet (Chataway J et al.) secondo cui, il trattamento con simvastatina (SMV) ad alte dosi comporta un significativo rallentamento dell’atrofia cerebrale. 140 pazienti SMSP (1865 anni) sono stati randomizzati a ricevere SMV 80 mg/die (n =70) oppure placebo (n =70). Il tasso annualizzato medio di atrofia è risultato significativamente inferiore nel gruppo SMV (0,288 per cento per anno) rispetto al gruppo placebo (0,584 per cento). La differenza aggiustata nel tasso di atrofia tra i due gruppi è risultata -0,254 per cento per anno, con una riduzione del 43 per cento del tasso annualizzato. Il farmaco è risultato ben tollerato e non si sono notate differenze tra i gruppi in relazione al numero di soggetti colpiti da eventi gravi. I risultati ottenuti pongono le basi per avviare dunque, una sperimentazione clinica di fase 3.
Disturbi del sonno
Una linea di integratori a base di melatonina a misura di paziente
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a melatonina è una molecola prodotta dalla ghiandola pineale in grado di percepire l’alternanza dei ritmi dell’ambiente esterno (per esempio luce/ buio) e comunicarlo all’organismo. La sua produzione viene infatti stimolata dall’assenza della luce, quindi alla sera, per poi avere un picco massimo durante la notte. La corretta sintesi endogena di melatonina contribuisce in questo modo a un sonno fisiologico e adeguato alle esigenze della persona. Vi sono però, alcune condizioni come invecchiamento, stress, jet lag, esposizione ai campi elettromagnetici, assunzione di farmaci come FANS e beta-bloccanti, che possono influire negativamente sulla sua secrezione notturna, provocando un’alterazione dei ritmi circadiani. Il risultato è un riflesso negativo sulla qualità del sonno, con difficoltà nell’addormentamento e/o fastidiosi risvegli notturni. Per questo Nathura ha sviluppato Armonia®, una linea di integratori alimentari a base di melatonina che contribuisce a regolarizzare il ritmo del sonno. Armonia® è disponibile in tre diverse formulazioni. Armonia® Retard, a rilascio controllato, utile in caso di sonno disturbato e risvegli notturni. Armonia® Fast, a rilascio immediato, contribuisce alla riduzione del tempo richiesto per prendere sonno e ad alleviare gli effetti del jet lag. Disponibile in compresse e nel nuovo formato in gocce pratico e comodo per anziani e bambini, e personalizzabile nel dosaggio. E infine Armonia® Oro, la nuova formulazione oromucosale ad assorbimento rapido, in compresse sublinguali, per favorire l’addormentamento e il riaddormentamento. La melatonina contenuta in questa linea di integratori è certificata: un’esclusiva certificazione di prodotto ne garantisce un grado di purezza non inferiore al 99,9 per cento (Certiquality - Documento Tecnico n° 60 - certificato n° P1390). I prodotti Armonia® sono disponibili in farmacia.
Il laboratorio multidisciplinare per i malati di Parkinson In occasione della Giornata mondiale del Parkinson (11 aprile) è stato presentato un innovativo progetto educativo, nato per migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti dalla malattia. Parkinson Lab 360° è promosso da Azione Parkinson di Catania, città da cui è partito il progetto, con il patrocinio di Parkinson Italia e con il contributo incondizionato di AbbVie. Dal 31 marzo al 4 aprile, un gruppo di 6 persone con Parkinson in fase avanzata, con i rispettivi 6 caregivers, hanno preso parte a un programma di attività motorie, educazionali e di socializzazione in cui la riabilitazione ha un ruolo fondamentale. Questa esperienza pilota propone un approccio riabilitativo multiplo, vicino alla vita quotidiana del paziente, e serve a meglio definire un percorso educativo e rieducativo per la gestione dei disturbi del movimento, che possa essere usato in maniera diffusa da tutte le persone che convivono con la malattia. Un’équipe multidisciplinare ha affiancato e assistito h24 i 12 partecipanti con un programma composto da oltre 30 ore di attività in 5 giorni, con sessioni di educazione, stretching, rieducazione posturale, attività in palestra, choral singing, dance therapy, piscina e attività di socializzazione. L’esperienza maturata nel corso del progetto Parkinson Lab 360° servirà anche per realizzare una guida per i pazienti e per le loro famiglie, con consigli utili per affrontare e gestire la malattia.
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NEWS dalle associazioni Associazione Italiana Parkinsoniani
Una carta dei diritti per i malati di Parkinson
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na patologia che colpisce nel suo complesso ben 230mila soggetti nel nostro Paese, un numero destinato ad aumentare nel prossimo futuro, con conseguenze invalidanti sul piano sociale, sanitario ed economico. Stiamo par-
lando della malattia di Parkinson (MP) e delle sindromi a essa correlate, cui è stato dedicato un incontro a Roma, lo scorso 8 maggio. “Parkinson un’emergenza sociale sottovalutata”, questo il titolo dell’evento, è stato promosso
I 5 diritti dei malati ART. 1 Diritto all’accesso Ogni persona affetta da malattia di Parkinson deve avere diritto, nel minor tempo possibile, a una diagnosi accurata, all’impostazione della terapia più appropriata, a follow-up adeguati per tutto l’arco della vita presso Centri o Reti specializzate. ART. 2 Diritto al rispetto di standard di qualità Interventi e programmi di sostegno sociale e socio-sanitario dedicati ai malati di Parkinson dovranno essere orientati anche a sostenere i caregiver e le famiglie, per favorirne la migliore qualità di vita possibile. ART. 3 Diritto all’informazione Ogni persona affetta da malattia di Parkinson deve avere diritto a ricevere informazioni complete sulla malattia, sul
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decorso e su tutti i trattamenti disponibili nelle diverse fasi della malattia al fine di favorire il coinvolgimento attivo e consapevole del paziente e, per quanto di competenza, anche dei familiari e dei caregiver, nell’adozione di decisioni che riguardano la gestione della malattia. ART. 4 Diritto alla formazione Bisogna favorire e incentivare la formazione e la sensibilizzazione agli specifici problemi della malattia di Parkinson del personale sanitario e dei servizi sociali, oltre che degli amministratori di Enti locali e dei componenti di tutti gli organi di decentramento. ART. 5 Diritto all’innovazione Deve essere garantita e incentivata la ricerca scientifica, in particolare per le malattie neurodegenerative, con impegno della collettività in tal senso.
dall’Associazione Italiana Parkinsoniani (AIP), con il contributo non condizionato di AbbVie. Un fenomeno in continua evoluzione, quello della MP, che è aggravato dal significativo impatto sulla qualità di vita dei pazienti: nel 30-50 per cento dei casi si sviluppano movimenti involontari già dopo 2-5 anni di trattamento, mentre dopo 10 anni il 68 per cento presenta instabilità posturale e il 46 demenza. Inoltre, la MP è responsabile del ritiro dal lavoro nel 27-70 per cento dei casi e di perdita dell’impiego in media a meno di 10 anni dall’esordio della malattia. È facile dedurre come, oltre a minacciare la salute della collettività, la MP gravi pesantemente anche sulla spesa pubblica: la patologia comporta significativi costi medici diretti e indiretti legati alla perdita di produttività dei pazienti e dei familiari che prestano assistenza. Oltre a tracciare i contorni della seconda malattia degenerativa più diffusa in Italia, l’incontro è stata l’occasione per presentare la prima Carta dei diritti del Parkinsoniano, un documento realizzato da AIP in collaborazione con alcuni specialisti per individuare una serie di soluzioni utili a limitare il disagio derivante dalla patologia e far fronte a questa emergenza sanitaria.
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