Giuseppe Ragusa
LEZIONI DI STORIA DELLA MEDICINA VOLUME 5
L’ANTICA INDIA, L’AYURVEDA
INDICE CAP. I – L’AYURVEDA -
Introduzione al Corso accademico [p.4]
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Le differenze ideologiche [p.5]
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Cenni storici [p.5]
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L’antica Scuola di Ayurveda [p.9]
APPENDICE. LE PRINCIPALI DIVINITA’ DELL’INDUISMO -
Brahma [p. 12]
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Vishnu [p. 12]
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Shiva [p. 13]
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Ganesha [p. 14]
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Kalì [p. 15]
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Laksami [p. 15]
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Pravati [p. 16]
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Savarasta [p. 17]
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Devi, Dea Madre [p. 17]
CAP. II – PRAKRITI: LA COSTITUZIONE FISICA DEL CORPO UMANO -
La creazione del mondo e i cinque elementi [p.18]
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I Tre Dosha [p.20]
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Prakriti e Vikriti [p.21]
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Dosha-Test [p.23]
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Le costituzioni dell’uomo secondo i Dosha [p.25]
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I Guna [p.26]
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Quadro sinottico della costituzione dell’uomo secondo i Dosha [p.27]
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Prana, Tejas e Ojas [p.28]
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La costituzione della mente: i tre guna Sattva, Rajas e Tamas [p.29]
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I sette Chakra [p.30]
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I punti marma [p.32]
CAP. III – ALIMENTAZIONE E DIGESTIONE -
I sei sapori [p.33]
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Il processo di digestione [p.34]
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I Sapta Dathu, i tessuti corporei [p.35]
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Srota, i canali della circolazione [p.36]
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Alimentazione vata [p.38]
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Alimentazione pitta [p.39]
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Alimentazione kapha [p.39]
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Il digiuno [p.40]
CAP. IV – IL DINACHARYA -
Il Dinacharya [p.42]
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L’energia sessuale [p.51]
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CAP. V - LA MALATTIA -
Concetto di malattia [p.54]
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I sei stadi della malattia [p.55]
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La visita medica secondo l’Ayurveda [p.55]
CAP. VI - LE TERAPIE -
Purvakarma [p.59]
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Panchakarma [p.64]
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Esercizio fisico [p.66]
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Le piante medicinali [p.67]
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I Minerali [p.69]
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Le terapie di origine animale [p.69]
CAP. VII - SQUILIBRIO DEI DOSHA E PRINCIPI DI TERAPIA SPECIFICA - Squilibrio di Vata [p.72] - Squilibrio di Pitta [p.72] - Squilibrio di Kapha [p.73]
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CAP. I - L’AYURVEDA INTRODUZIONE AL CORSO ACCADEMICO Con il ciclo di lezioni di Storia della Medicina che affronteremo in questo e nel prossimo anno accademico ci apprestiamo a conoscere il mondo della Medicina nell’Oriente antico, cioè India, Tibet e Cina. Per meglio comprendere questo mondo, dobbiamo abbandonare la nostra visione “occidentale” della Medicina ed immergerci in una dimensione nuova, lontana dalla nostra cultura e dal nostro modo di pensare. La prima tappa sarà nell’antica India, culla di una delle scienze mediche più antiche del mondo, l’Ayurveda, la cui traduzione è Scienza della durata della vita, o della longevità, dai termini sanscriti Ayur (Durata della Vita o longevità) e Veda (Scienza o Conoscenza).
Nel Charaka Samhita , uno dei testi fondamentali dell'Ayurveda, troviamo la definizione dell'Ayurveda e della materia di cui tratta: "Si definisce Ayurveda la scienza che descrive gli stati della vita vantaggiosi e quelli sfavorevoli, insieme a ciò che è buono e ciò che è nocivo per la vita, che tratta della lunghezza della vita e della vita stessa. " (Charaka Samhita I, 41). L'Ayurveda si occupa di tutti gli aspetti del benessere, quello fisico, quello psichico e quello spirituale e si interessa di ciò che è normale tanto quanto di ciò che è anormale o patologico. Secondo l'Ayurveda la salute non è solo assenza di malattia ma è uno stato di continuo appagamento e di benessere, uno stato di felicità fisica, mentale e spirituale. Il concetto di equilibrio espresso dall'Ayurveda comporta non solo il perfetto funzionamento dei vari sistemi ed organi, della psiche e dello spirito, ma anche un rapporto di felice convivenza con tutte le creature, con i familiari, con gli amici, con il lavoro, con il clima e la cultura in cui viviamo, con i propri ideali, con le abitudini, con la verità, con il concetto che si ha di Dio, ecc. Generalmente si usa l'espressione "medicina ayurvedica" per indicare un metodo terapeutico naturale di cui gli aspetti più conosciuti sono la prescrizione di preparati a base di erbe e sostanze naturali, i massaggi, le varie terapie di purificazione e rilassamento.
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LE DIFFERENZE IDEOLOGICHE Prima di iniziare lo studio dell’Ayurveda, dobbiamo considerare in via generale le principali differenze di base tra essa e la medicina occidentale.
L’Ayurveda è una medicina millenaria, pressoché “invariata” nei suoi oltre 50 secoli di vita, al contrario di quella occidentale in costante evoluzione scientifica e che dedica ampio spazio alla tecnologia e ai suoi progressi. La moderna medicina ayurvedica poco si discosta da quella di 5000 anni fa.
La Medicina ayurvedica è una scienza olistica (dal greco òλoς, che sta per “totalità”). L'olismo in medicina rappresenta uno stato di salute “globale”, cioè l'armonia tra mente, corpo, ambiente e società. La ricerca della salute è orientata alla persona e non alla malattia, alla causa e non al sintomo, al sistema e non all'organo, al riequilibrio invece che alla cura, stimolando il naturale processo di autoguarigione del corpo. L'approccio di tipo olistico non è esclusivamente terapeutico, cioè non si limita a guarire: vi è anche una importante dimensione di prevenzione e un altrettanto importante componente di conservazione e miglioramento dello stato di salute. La Medicina occidentale opera invece una divisione tra malattie fisiche e mentali, riservando a queste ultime forme medici e terapie specifiche. Le varie discipline mediche sono considerate distinte e senza legami tra di loro.
L’Ayurveda fonda la sua filosofia sulla “unicità” di ogni individuo, il quale presenta una sua specifica costituzione e una sua eredità genetica, che - assieme allo stile di vita - lo predispongono a determinate malattie. La Medicina occidentale invece ritiene di non dover fare significative distinzioni fra gli individui (ritenuti tutti con uguale concetto anatomico e fisiologico) e di considerare solo l’organo malato: pertanto i suoi criteri di terapia sono sostanzialmente unificati per tutti i malati.
Infine l’Ayurveda utilizza medicamenti naturali (erbe, minerali) e rifiuta le medicine chimiche tipiche del mondo occidentale. CENNI STORICI L’Ayurveda nacque in India nel periodo vedico. Secondo la maggioranza degli studiosi, la civiltà vedica si sviluppò nel II e nel I millennio a.C., sebbene la tradizione indù proponga una data più remota, il VI millennio a.C.
I Rishi.
Nei primi capitoli della Charaka Samhita è narrata la storia dell'origine mitica dell'Ayurveda, scienza medica nata tra le alte cime dell’Himalaya. Secondo la leggenda, in un periodo indefinito di qualche migliaio di anni fa, in India, cinquantadue uomini saggi e santi, detti Rishi (“conoscitori della realtà”) lasciarono i loro villaggi per andare a vivere ai piedi della catena dell’Himalaya: lì si sarebbero dedicati alla meditazione spirituale e allo studio della natura. Grazie alla loro relazione con il mondo sia spirituale che fisico, erano in grado di capire la natura basilare dell’universo ed il ruolo dell’uomo in esso. Per approfondire i segreti della scienza della salute, i Rishi implorarono il dio supremo Brahma, creatore dell'universo, affinché li rivelasse, e quindi per loro tramite venissero trasmessi agli uomini,
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[La sacra Trimurti, la forma triplice dell'Essere supremo dell'induismo, che si manifesta nelle tre divinità di B ah ā il eato e , Vis ù il p ese vato e e Śhiva il dist utto e ]
Brahma ascoltò le loro suppliche ed inviò sulla Terra come suo messaggero il dio Indra [ ell’i
agi e], il
re guerriero indù dei cieli, signore della folgore e dio del temporale, delle piogge e della magia, dio conoscitore delle cure e delle malattie.
La leggenda
racconta che Indra avesse acquisito le sue conoscenze da Daksa Prajapati e dagli Asvin, i medici del cielo, che a loro volta avevano acquisito la loro saggezza direttamente da Brahma. Indra incontrò Bhardwaja, un asceta scelto dai saggi come il più puro di loro per ricevere il messaggio divino, al quale il dio rivelò i principi dell’Ayurveda che, se ben applicata e rispettata, avrebbe da quel momento consentito all’uomo di raggiungere la piena soddisfazione sia fisica che mentale e quindi la più completa felicità e longevità. Più verosimilmente i Rishi erano storicamente scienziati di varie culture, alcuni erano particolarmente esperti in vari aspetti della medicina, della chirurgia, della medicina erboristica, dell’effetto curativo di minerali e metalli, di esercizio fisico, di fisiologia, di anatomia umana e di psicologia.
I Veda.
Gli insegnamenti della divinità vennero tramandati oralmente di generazione in generazione per molti secoli, e solo circa nel 1500 a.C. si pervenne a una prima raccolta scritta di tali principi: nacquero così i Veda (dalla radice sanscrita vid, che significa "sapere" o "conoscenza"), un'antichissima raccolta in quattro libri sacri, scritti in versi, la più antica e completa documentazione del sapere che l’umanità conosca.
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Essi trattavano diversi argomenti come salute, astrologia, questioni spirituali, materie governative, argomenti militari, poesia ed etica. Sono scritti in sanscrito, una lingua “artificiale” appositamente creata unendo le quattro lingue più diffuse a quel tempo per farne la lingua sacra per eccellenza. I quattro Veda sono: o
Rigveda, “Veda (scienza) delle stanze laudative”, in 10 libri, contenenti 1017 inni, datato 1500-1200 a.C.;
o
Samaveda, “Veda delle melodie”, una raccolta di inni dedicati soprattutto agli dei Agni, Soma e Sindra
o
Yajurveda, “Veda delle formule sacrificali”, ovvero inni cantati durante le cerimonie liturgiche;
o
Atharvaveda, “Veda delle formule magiche”, datato tra il 1000 e l’800 a.C., una raccolta di formule magiche contro i demoni e le influenze negative. Nei testi del Atharvaveda sono contenute anche numerose nozioni di Anatomia e Fisiologia, teorie sullo sviluppo delle malattie, e terapie con erbe medicinali. E’ scritto in prosa ed in versi.
Gli argomenti medici presenti in quest’ultimo Veda (e in forma minore anche dagli altri tre) furono successivamente raccolti e rielaborati in libri chiamati Samhita, che sono considerati la base della medicina ayurvedica. I tre Samhita principali, comunemente chiamati con il nome di Brihatrayi, sono: 1- Charaka Samhita, il più antico dei tre testi (1500 a.C.), scritto da Agnivesa, autore di cui non si sa null’altro. E’ considerato il testo base dell’intera medicina ayurvedica: tratta della struttura anatomica e della fisiologia del corpo umano, dei vari agenti eziologici, dei segni e dei sintomi delle varie malattie, i metodi per esaminare il paziente, il trattamento farmacologico, le terapie di purificazione e la prognosi. Ampio spazio è dato alla prevenzione che comprende regimi quotidiani e stagionali, nozioni di dietetica e di comportamento; inoltre sono descritte terapie ringiovanenti e di prevenzione dell’invecchiamento che sono attualissime e tuttora oggetto di studio della scienza moderna. 2- Sushruta Samhita (1000 a.C.) è un testo di chirurgia ed ostetricia che tratta procedure chirurgiche come ad esempio trattare ferite (in quei tempi erano comuni quelle subito nelle numerose guerre), ascessi, ustioni.
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Sono riportate anche accurate descrizioni di strumenti chirurgici ed interventi di notevole complessità. La chirurgia prevedeva anche interventi difficili come il taglio cesareo (applicato con successo in Occidente solo negli ultimi 100 anni circa). 3- Ashtanga Hridaya Samhita (“Cuore delle otto membra”) scritta intorno al 7° secolo d.C., tratta dei principi generali dell’Ayurveda, della Chirurgia, delle malattie del naso, orecchie, gola e degli occhi, della Pediatria (cure pre- e postnatali del neonato e della madre), della tossicologia, delle malattie psichiche, delle pratiche di ringiovanimento (per ottenere una lunga longevità), degli afrodisiaci (per ottenere una maggiore vitalità e prestanza sessuale).
Dhanvantari.
Dhanvantari (anche Dhanwantari, Dhanvanthari) è considerato come il dio vedico della medicina ayurvedica. Egli sarebbe l’avatar1 di Vishnu. Nei Veda e nei Purana2 è indicato come il medico degli dei (deva). Dhanvantari storicamente fu uno dei primi medici indiani e uno dei primi chirurghi di tutto il mondo. Sulla base delle tradizioni vediche, è considerato come la sorgente dell’Ayurveda. Scoprì e perfezionò molte cure a base di erbe e rimedi naturali, utilizzando per esempio le proprietà antisettiche della curcuma e le proprietà conservanti del sale che egli inseriva tra i suoi rimedi. Essendo Dhanwantari un chirurgo molto abile per gli standard del suo tempo, si ritiene che sia il pioniere delle pratiche mediche moderne come la chirurgia plastica. Ovviamente i suoi metodi erano molto più crudi e dolorosi, utilizzati solo in casi di emergenza, come ad esempio sulle ferite delle vittime di guerra. I suoi interventi chirurgici venivano eseguiti senza anestesia, ma nonostante i suoi metodi truci, viene ricordato per i suoi successi nel campo medico ayurvedico. A ragione della sua brillante carriera medica, fu scelto dal sovrano come una delle Nove Gemme nel leggendario impero indiano di Vikramaditya. Secondo le tradizioni, insegnò i metodi e le procedure di chirurgia a Susrutha, il padre della chirurgia ayurvedica, autore della Susrutha Samhita. Secondo un antico manoscritto sanscrito, egli era un uomo particolarmente bello, con un volto tranquillo, e con quattro braccia: nelle mani tiene una pentola di amrita, il nettare dell'immortalità degli dei, la shankha, la conchiglia che emette il suono trascendentale dell'Universo, il jalauka, la sanguisuga (usata nella terapia depurativa del panchakarma per la purificazione del sangue), e una ruota, chakra, simbolo del ciclo nascita-morte.
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"incarnazione", di assunzione di un corpo fisico da parte di un dio (Avatar: "Colui che discende") Sono testi sacri indù redatti in lingua sanscrita, di carattere principalmente mitico e di culto religioso.
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Nell’induismo è pratica comune pregare con devozione Dhanvantari, cercando la sua benedizione per la buona salute di sé e dei propri cari.
Il Buddhismo.
Nel VI-V secolo a.C. la medicina ayurvedica conobbe anche l’influenza degli insegnamenti dell'asceta itinerante indiano Siddhārtha Gautama, che insegnava che seguire la «via di mezzo» permetteva alla mente e al corpo di sopravvivere nel lungo viaggio dell’esistenza, sino ad arrivare al Nirvana, uno stato trascendentale ove non esiste la sofferenza.
Diffusione dell’Ayurveda. L’Ayurveda ha avuto nel corso dei secoli una profonda influenza sulla medicina in Tibet, Cina, Prsia, Egitto, Grecia, Roma e Indonesia. Conobbe un periodo di crisi durante la colonizzazione inglese: nel 1833 la Compagnia delle Indie chiuse e bandì tutte le scuole di Ayurveda, che venne gradualmente rimossa e sostituita dalla medicina occidentale ortodossa e venne praticata solamente nelle zone rurali dove la medicina occidentale era troppo costosa o non disponibile. Con l’indipendenza dell’India riprese il suo consenso nella popolazione indiana, e attualmente almeno il 70% la pratica tuttora. L’ANTICA SCUOLA DI AYURVEDA L’Ayurveda comprende otto differenti discipline:
Kayachikitsa (medicina interna), Shalyachikitsa
(chirurgia e anatomia), Shalakyachikitsa (otorinolaringoiatria), Kaumarabhritya (pediatria), Bhutavidya (psichiatria), Agada tantra (tossicologia), Rasayana (scienza del ringiovanimento), Vajikarana (scienza della fertilità). Sin dall’origine della medicina ayurvedica, per la complessità della materia, la formazione del medico è sempre stata fondamentale. L’aspirante medico iniziava la sua formazione con lo studio dei principi ayurvedici e delle nozioni basilari di anatomia e fisiologia. I testi di medicina ayurvedica non utilizzavano un linguaggio scientifico, ma erano costituiti da una serie di sutra, aforismi spesso di significato oscuro, scritti in versi. Per la comprensione di questi sutra lo studente medico doveva affidarsi all’insegnamento di un maestro, detto guru, che gli avrebbe svelato la varie metafore allegoriche sì da portarlo alla conoscenza dell’arte medica. La scelta del maestro era fondamentale, perché da lui dipendeva la formazione del futuro medico.
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Il guru doveva essere innanzitutto un buon medico ed esperto conoscitore della materia, ma anche possedere considerevoli virtù morali, quali essere una persona onesta, pura, equilibrata, forte e perseverante, mai dedito all’ira e allo sconforto. La parola Guru letteralmente significa “pesante”, nel senso che la persona ha un “peso” spirituale; il Guru (chiamato Gurvi se è una donna) è il vero Maestro, cioè l’incarnazione vivente di un percorso verso l’illuminazione. Lui (o Lei) è un insieme di autorevolezza, sapienza e armonia interiore che va ben al di là della conoscenza nozionistica. Anche l’aspirante medico doveva avere notevoli doti personali: doveva essere intelligente, umile, nobile d’animo, generoso, gentile, determinato e perseverante negli studi, rispettoso e devoto nei confronti del proprio maestro. Il maestro sottoponeva l’allievo ad un periodo di prova di 6 mesi, durante i quali cercava di vagliare le doti del discente. Il corso di studi durava circa 7 anni: l’allievo doveva imparare a conoscere le varie branche mediche; lo studio della anatomia e della chirurgia era approfondito mediante la dissezione dei cadaveri. Spesso l’allievo doveva confrontarsi con altri allievi su argomenti di studio medico e migliorare così la propria preparazione. Il programma di preparazione ayurvedica prevedeva anche lo studio di varie discipline complementari indispensabili per la futura professione. L’Ayurveda esigeva il riconoscimento delle dieci arti indispensabili per la preparazione e la applicazione delle medicine. Innanzitutto il futuro medico doveva essere addestrato all’arte culinaria: l’alimentazione è infatti uno dei basilari principi dell’Ayurveda, e lo studente doveva essere in grado di preparare pietanze secondo le necessità terapeutiche di ogni singolo paziente. Doveva
impratichirsi
conoscenza proprietà
delle
erbe,
terapeutiche,
preparazione
anche
nella
delle
loro
della
loro
farmaceutica;
si
imparavano a distillare i vini medicinali, si studiavano i principi dell’orticoltura, si
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apprendevano le tecniche di estrazione, purificazione e trattamento dei minerali da usare come medicinali. Al termine del corso di studio, lo studente affrontava un esame finale molto impegnativo e approfondito che durava alcuni giorni. Se l’esito era positivo l’allievo veniva insignito del titolo di vayda (dal sanscrito: colui che sa, equivalente al termine di dottore).
Il guru si rivolgeva in modo solenne al suo allievo per incamminarlo in una vita di castità, onestà e vegetarianismo. Lo ammoniva a dedicarsi nel corpo e nell’anima ai malati, che non avrebbe utilizzato alcun paziente a proprio beneficio, che si sarebbe vestito in modo modesto, che avrebbe evitato di darsi al bere, che avrebbe avuto autocontrollo e moderazione nelle parole, che sarebbe stato amabile e modesto in casa dell’infermo prestando massima attenzione al paziente, che non avrebbe diffuso dati sul paziente e la sua famiglia, che si sarebbe sforzato costantemente di migliorare le sue conoscenze e le sue abilità tecniche. L’ormai medico ayurvedico doveva infine pronunciare il suo giuramento (non dissimile da quello di Ippocrate): l’occupazione di medico non doveva essere concepita come un lavoro a scopo di lucro ma come una missione, e la ricompensa più grande doveva essere costituita dalla guarigione dell’uomo. Così recitava uno dei primi versetti del giuramento: “Meglio sopportare le conseguenze del veleno o l’ustione di un ferro rovente che chiedere denaro a un povero in cambio della cura”. Vi erano anche delle categorie di persone che andavano assolutamente curate gratuitamente: i guru, i bramini, i poveri e soprattutto gli amici.
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Brahma
APPENDICE: LE PRINCIPALI DIVINITA’ DELL’INDUISMO
Brahma, a capo del Pantheon induista, appartiene, insieme a Shiva e Vishnu, alla Trimurti, la triade delle divinità supreme: al dio si deve la creazione del mondo e delle sue creature. Brahma è raffigurato vestito di bianco o rosso o rosa, con quattro volti (catur-anana) con cui controlla tutto il cosmo e che rappresentano l'onniscienza. Ogni singolo volto recita un Veda, gli antichi testi sacri dell’Induismo che egli ha cantato con i Rishi: a est il Rigveda, a ovest il Samaveda, a nord l'Atharvaveda, a sud lo Yajurveda. Regge un contenitore che contiene l'acqua del fiume Gange, a significare che l'origine del cosmo risiede nelle acque; il rosario raccoglie le perle del tempo a ricordare che ogni esistenza venuta ad essere nell'universo materiale possiede il suo tempo; anche il tamburo a forma di clessidra (ḍamaru) sta a significare il trascorrere del tempo nel divenire.
Vishnu Vishnu, la seconda divinità del Trimurti, è una divinità con caratteristiche solari, benefiche, il dio che conserva e sostiene il creato. La sua natura celestiale è resa dal caratteristico colore della pelle azzurro intenso, che indica lo spazio etereo. Nelle rappresentazioni artistiche e devozionali dell'induismo Visnù indossa spesso una corona (kirīṭa mukuṭa, corona regale che lo individua come Cakravartin, "Signore dei mondi"); con le quattro braccia regge i suoi attributi: il disco o ruota (chakra) nel duplice significato di "ruota" solare o del carro celeste che trasporta la divinità solare e di "disco" inteso come arma da lancio e quindi con il significato di potere e protezione,; la mazza (gadā) l'arma con cui il dio uccise il demone Gadaa, simboleggia anche il potere del tempo che tutto distrugge; la conchiglia (śaṅka) è anch'essa un'arma in quanto soffiandoci dentro procura un suono che atterrisce i demoni e li fa fuggire, il fiore di loto (padma) simbolo della divinità solare.
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Shiva Shiva è la terza divinità della Trimurti, all'interno della quale è conosciuto sia come Distruttore che come Creatore: al dio infatti è affidata la distruzione del mondo al fine di ricrearlo, il tutto in un ciclo eterno senza inizio né fine che si realizza attraverso un susseguirsi incessante di eventi cosmici. Nell’iconografia del dio troviamo alcune sue specifiche caratteristiche: - Tra le sopracciglia possiede il terzo occhio, l'occhio della saggezza e dell'onniscienza in grado di vedere al di là della semplice manifestazione. Questo attributo è associato alla ghiandola pineale e alla dirompente e indomita energia di Shiva che distrugge il male ed i peccati. - Sulla fronte porta un crescente di luna, raffigurante la luna del quinto giorno (panchami). Esso si trova vicino al terzo occhio e indica che egli possiede sia il potere di procreazione, sia quello di distruzione. La luna è anche simbolo della misurazione del tempo; il crescente dunque simboleggia il controllo di Shiva sul tempo. - Sempre sulla fronte, ma anche in altre parti del corpo vi sono tre linee orizzontali di Vibhuti, che indica l'immortalità dell'anima. - Dalla sua testa sprizza uno zampillo d'acqua, che è il Gange, il più sacro di tutti i fiumi sacri. Shiva (consapevole che il Gange, nella sua potenza, avrebbe distrutto la Terra) permise solo ad una piccola parte del grande fiume di zampillare dalla sua testa, per attraversare la Terra e portare acqua purificatrice agli esseri umani. L'acqua che scorre è inoltre uno dei cinque elementi che compongono l'universo grossolano e da cui nasce la terra. Il fiume è anche simbolo di prosperità, uno degli aspetti creativi di Shiva. - I capelli arruffati (Juta Jata) identificano Shiva con il signore del vento (Vayu), che vive in forma sottile come respiro, presente in tutti gli esseri viventi. Shiva è dunque il respiro vitale di ogni creatura. - Attorno al collo vi è un cobra. Shiva ingoiò il terribile veleno Halahala (o Kala Kuta) per evitare che lo stesso contaminasse l'universo. Si dice che Parvati, per evitare che il marito si avvelenasse, gli legò un cobra attorno al collo; ciò trattenne il veleno nella sua gola, che divenne blu. Il cobra mortale rappresenta l'aspetto di vincitore della morte che Shiva conquistò in questo modo. - Ai polsi porta degli anelli di Rudraksha, che si ritiene abbiano proprietà mediche. - In una mano regge il Tridente a tre punte, detto Trishula, un simbolo che può avere varie interpretazioni: o le tre funzioni della Trimurti: creazione, preservazione e distruzione. Il tridente nella mano di Shiva indica che tutti e tre gli aspetti sono in suo controllo; o come arma, il tridente simboleggia lo strumento per punire i malvagi su tutti e tre i piani: spirituale, sottile e fisico/grossolano; o la supremazia di Shiva sul tempo: le tre punte rappresentano il suo controllo su passato, presente e futuro. Nell’altra mano tiene il tamburo (detto damaru), l'origine della parola universale ॐ, ovvero la fonte di tutte le lingue e di tutte le espressioni, nonché simbolo del suono stesso e quindi della creazione. Secondo
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alcune versioni del mito della creazione, Shiva crea i mondi eseguendo la danza cosmica (Tandava) e, nel corso di essa, suona il tamburo 14 volte creando gli alfabeti. - E’ vestito con una pelle di tigre, che simboleggia l'ego e la lussuria da lui uccisi. Shiva indossa la pelle di tigre (o, a seconda delle raffigurazioni, vi si siede sopra) per indicare la sua vittoria e lo stato di trascendenza verso qualunque tipo di potere o energia, in quanto egli è il Signore. A volte indossa una pelle di elefante: l'elefante in questo caso rappresenta l'orgoglio; Shiva, indossando la sua pelle, simboleggia il fatto che ha vinto e conquistato l'orgoglio. In altre immagini vediamo che indossa una pelle di cervo: il cervo rappresenta il moto frenetico e incessante della mente, e Shiva indossa la sua pelle per indicare che egli ha controllato perfettamente la mente. - Il suo corpo è cosparso di ceneri funerarie (bhasma), che simboleggiano – oltre alla purezza e la distruzione del falso – la filosofia della vita e della morte, indicando il fatto che nella morte vi sia la realtà ultima della vita.
Ganesha Presso la religione induista, Ganesha è una delle rappresentazioni di dio più conosciute e venerate. Figlio primogenito di Shiva e Parvati, viene raffigurato con una testa di elefante provvista di una sola zanna, ventre pronunciato e quattro braccia, mentre cavalca o viene servito da un topo, suo veicolo. Spesso è rappresentato seduto, con una gamba sollevata da terra e ripiegata sull'altra, nella posizione della Lalitasana. Il culto di Ganesha è molto diffuso, anche al di fuori dell'India. Ganesha rappresenta il perfetto equilibrio tra energia maschile (Shiva) e femminile (Shakti), ovvero tra forza e dolcezza, tra potenza e bellezza; simboleggia inoltre la capacità discriminativa che permette di distinguere la verità dall'illusione, il reale dall'irreale. In termini generali, Ganesha è una divinità molto amata ed invocata, poiché è il Signore del buon auspicio che dona prosperità e fortuna, ed il Distruttore degli ostacoli di ordine materiale o spirituale; per questa ragione se ne invoca la grazia prima di iniziare una qualunque attività, come ad esempio un viaggio, un esame, un colloquio di lavoro, un affare, una cerimonia, o un qualsiasi evento importante. È inoltre associato con il primo chakra, che rappresenta l'istinto di conservazione e sopravvivenza, la procreazione ed il benessere materiale. Ogni elemento del corpo di Ganesha ha una sua valenza ed un suo proprio significato:
la testa d'elefante indica fedeltà, intelligenza e potere discriminante; il fatto che abbia una sola zanna (e l'altra spezzata) indica la capacità di superare ogni dualismo; le larghe orecchie denotano saggezza, capacità di ascolto e di riflessione sulle verità spirituali;
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la proboscide ricurva sta ad indicare le potenzialità intellettive, che si manifestano nella facoltà di
discriminazione tra reale ed irreale;
e futuro) e ne attribuisce a Ganesha la padronanza;
assimilare qualsiasi esperienza con sereno distacco, senza scomporsi minimamente;
sulla fronte ha raffigurato il Tridente (simbolo di Shiva), che simboleggia il Tempo (passato, presente
il ventre obeso è tale poiché contiene infiniti universi, rappresenta inoltre l'equanimità, la capacità di
la gamba che poggia a terra e quella sollevata indicano l'atteggiamento che si dovrebbe assumere partecipando alla realtà materiale e a quella spirituale, ovvero la capacità di vivere nel mondo senza
essere del mondo; le quattro braccia rappresentano i quattro attributi interiori del corpo sottile, ovvero: mente, intelletto, ego, coscienza condizionata; in una mano brandisce un'ascia, simbolo della recisione di tutti i desideri, apportatori di sofferenza; nella seconda mano stringe un lazo, simbolo della forza che lega il devoto all'eterna beatitudine del Sé; la terza mano, rivolta al devoto, è in un atto di benedizione (abhaya); la quarta mano tiene un piatto di dolci, che simboleggia l’abbondanza.
Kalì Kalì è una divinità femminile, consorte di Shiva: è al tempo stesso dea benefica e terrifica, e spesso viene rappresentata, in quanto aggressiva e violenta, portatrice di morte e devastazione. Kali è rappresentata come un essere femminile di colore nero o blu scuro, con quattro braccia. In una mano ha una scimitarra, in un’altra una testa mozzata di fresco, grondante sangue (questo particolare rappresenta la celebre battaglia in cui sconfisse il demone Raktabija), la terza mano si apre a elargire benedizioni e la quarta regge un’altra arma, di solito una lancia o un tridente. Ha una collana fatta di teschi di Asura (demoni) e due teste di demoni come orecchini. La sua lingua è rosso sangue ed è esposta fino al mento. Il sangue sgocciola anche dalla lingua e sul corpo. Sovente è rappresentata in piedi sul corpo di Shiva, con un piede sul petto e l’altro sulla coscia. In alcune statue è nuda, tranne che per i suoi ornamenti.
Lakshmi, la “sposa perfetta”
Siede serena su un grande e roseo fiore di loto, simbolo di purezza e spiritualità, Lakshmi, consorte di Vishnu e madre di Kama, il dio dell’amore. Dotata di carnagione dorata, dolcissima femminilità e classica bellezza, ha quattro braccia e le sue mani sono ornate di gioielli: con una offre benedizioni, un’altra invece lascia sgorgare da una coppa monete d’oro e altri simboli di prosperità e abbondanza.
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Le altre due, infine, sorreggono ciascuna un altro fiore di loto. Spesso accanto a lei compaiono corsi d’acqua placida o elefanti, entrambi manifestazioni di impegno costante e di realizzazione materiale e spirituale. Considerata anche dea della ricchezza, è presente in forma di immagine o statuetta in moltissime case induiste.
Dolcezza,
protezione
e
maternità
sono
le
sue
caratteristiche, e nella tradizione la donna sposata dovrebbe ispirarsi a lei, serenamente intenta a dare sostegno, così come il marito dovrebbe cercare nella moglie un’idea di Lakshmi. Ed ecco allora che nell’iconografia abbondano anche le immagini di felicità coniugale di Lakshmi e Vishnu, spesso raffigurati insieme mentre sono affiancati, legati, abbracciati, con lei appoggiata sulle ginocchia di lui oppure intenta a massaggiargli i piedi.
Parvati
Parvati è detta anche “figlia della montagna”, in quanto i suoi genitori
sono
Himavat,
la
personificazione
delle
cime
dell'Himalaya. L’iconografia tradizionale la raffigura con due sole braccia, con il sinistro leggiadramente sollevato e il destro che tiene in mano un fiore di loto. Moglie di Shiva è madre di Ganesh e Skanda. Quasi sempre raffigurata assieme al marito, rappresenta un ideale femminile di delicatezza e benevolenza. È particolarmente venerata dalle donne sposate che pregandola chiedono salute e longevità per i loro mariti.
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Sarasvati Dea delle arti e della musica. Nelle raffigurazioni tradizionali, oltre al mala che le incornicia il collo e l’acqua che le scorre alle spalle o sotto i piedi, tiene tra due delle sue quattro braccia la vina, un’antica versione del sitar. Sarasvati rappresenta anche la parola, l’eloquenza, la sete di sapere, la conoscenza intellettuale, mentre come retaggio ed evoluzione della sua antica connessione con il fiume simboleggia anche l’acqua e, per estensione, la pulizia e la guarigione. Chiara, luminosa, associata a immagini come il cigno, il loto bianco e il colore bianco in genere, è però talmente virtuosa e spirituale che sessualità ed eros sembrano non appartenerle. Al punto che anche il suo rapporto con il dio Brahma è ambiguo: ne è sia figlia sia moglie. Ma non c’è niente di incestuoso, piuttosto la leggenda di una dea creata appositamente dal proprio sposo con una missione, quella di promuovere e proteggere la conoscenza, ma che in virtù delle stesse sembra un po’ distaccata dalla sessualità.
Devi, Dea Madre Devi, racchiude in sé moltissimi aspetti, che spaziano da quello quasi intimo di Ma, la madre amorevole a cui rivolgersi nel momento del bisogno, a quello cosmico di JaganMata, Madre dell’Universo, che sconfigge i demoni del Male, ed è dunque venerata in India con migliaia di nomi diversi e secondo modalità differenti, che spesso rispecchiano antichissime tradizioni locali. La Dea Madre come Madre Terra ha una iconografia significativa e suggestiva che comprende i grandi seni pieni di latte, gli organi genitali scoperti, i capelli splendidamente velati e un buon numero di braccialetti ai polsi. Il significato simbolico è piuttosto chiaro: questo è l’Essere che dona, alimenta, e copre il proprio nato sotto il suo ombrello protettivo. Come suggeriscono i suoi bracciali, emblema tradizionale dello stato civile, oltre ad essere una madre è anche una consorte: così, nella sua manifestazione materiale, non solo viene a rappresentare la maternità assoluta ma anche, includendo il ruolo di sposa, la femminilità assoluta.
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CAP. II – PRAKRITI: LA COSTITUZIONE FISICA DEL CORPO UMANO LA CREAZIONE DEL MONDO E I 5 ELEMENTI Secondo la dottrina indiana, il mondo e tutto quanto esso contiene (vivente e non) è costituito da 5 elementi fondamentali, in sanscrito chiamati Pancha Mahabhuta: Etere, Aria, Acqua, Fuoco e Terra, che si sono formati con la creazione della materia. Secondo la filosofia induista, il mondo, prima della creazione, esisteva come pura coscienza cosmica, detta Purusha, ed era immateriale. Questo Spirito assoluto, in tempi immemorabili, si manifestò attraverso il suono primordiale cosmico OM, che con le sue vibrazioni diede energia alla materia inerte primordiale e dando quindi origine alla creazione.
Da quella vibrazione apparve per primo l’elemento Etere (akasha), che rappresenta lo spazio in cui tutta la materia si muove. I movimenti sottili dell’etere crearono l’Aria (vaju). L’attrito tra etere e aria creò il Fuoco (tejas), il cui calore dissolse e liquefece alcuni elementi eterei che si trasformarono in liquidi, creando l’Acqua (apas); alcuni elementi al contrario si solidificarono e formarono l’elemento più pesante, la Terra (prithivi). Dall’elemento Terra sono stati creati tutti gli elementi organici (piante, semi, animali ed uomini) ed inorganici (minerali).
Secondo la filosofia Ayurvedica ognuno dei 5 elementi caratterizza l’Universo, detto anche Macrocosmo. L’Etere è lo spazio, la distanza tra ogni cosa.
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L’Aria è il dinamismo, la vitalità. Senza l’ossigeno in essa contenuta, non potrebbe esserci vita. L’Acqua rappresenta il mondo liquido (mari, fiumi, pioggia, nubi): essa trasporta le cose e nutre la vita ovunque. Il Fuoco è energia; il sole crea i cicli climatici sulla terra ed il suo calore è indispensabile alla vita. La Terra rappresenta lo stato solido della materia. Manifesta la stabilità, la fissità e la rigidità. Come l’universo anche l’uomo contiene tutti e cinque gli elementi: è pertanto un modello in miniatura dell'universo e quindi può essere definito un microcosmo. Nel corpo umano ci sono molti spazi che sono manifestazioni dell’Etere: ci sono, ad esempio, gli spazi nella bocca, nel naso, nel tratto gastrointestinale, nell’apparato respiratorio, nell’addome, nel torace, nei capillari, nei vasi linfatici, nei tessuti e nelle cellule. Lo spazio in movimento, cioè l’Aria, all’interno del corpo umano, si manifesta negli impulsi del sistema nervoso, nei più ampi movimenti dei muscoli, nelle pulsazioni del cuore, nell’espansione e contrazione dei polmoni e nei movimenti delle pareti dello stomaco e degli intestini. Il terzo elemento è il Fuoco: nel corpo umano la sorgente del Fuoco è il metabolismo, tutti i sistemi metabolici ed enzimatici sono controllati da questo elemento. Il Fuoco è presente nell’apparato digerente, negli occhi, controlla la temperatura del corpo, caratterizza l’intelligenza. L’Acqua è il quarto importante elemento nel corpo. Essa si manifesta nelle secrezioni dei succhi gastrici e delle ghiandole salivari, nelle membrane mucose, nel plasma. L’Acqua è assolutamente vitale per il funzionamento dei tessuti, degli organi e dei vari sistemi corporei. La Terra è il quinto ed ultimo elemento del cosmo presente nel microcosmo. La vita è possibile perché la Terra mantiene tutte le sostanze viventi e non viventi sulla sua solida superficie. Anche il corpo manifesta questa struttura di stato solido: ossa, cellule e tessuti sono strutture fisiche attraverso cui scorre il sangue e viene trasportato l’ossigeno.
NOTA. Nel VI secolo a.C. Anassimene di Mileto aveva introdotto nel pensiero greco la teoria dei quattro elementi fondamentali (aria, acqua, fuoco e terra) che costituiscono la realtà. Un secolo più tardi Empedocle diede corpo a questa teoria, sostenendo che la realtà che ci circonda, caratterizzata dalla mutevolezza, è composta da elementi immutabili, da lui nominati "radici". Ogni radice possiede una coppia di attributi: il fuoco è caldo e secco; l'acqua fredda e umida; la terra fredda e secca; l'aria calda e umida. I cinque sensi I cinque elementi si manifestano anche nel funzionamento dei cinque sensi dell’uomo. - L’Etere è l’elemento attraverso il quale viene trasmesso il suono, ed è quindi collegato alla funzione uditiva. L’orecchio, organo dell’udito, esprime l’azione attraverso l’organo della parola (gli organi della parola sono la lingua, la bocca, le corde vocali). - L’Aria è collegata al senso del tatto; l’organo sensoriale del tatto è la pelle. L’organo d’azione per il senso del tatto è la mano: la pelle della mano è particolarmente sensibile, e la mano è incaricata delle azioni del trattenere, del dare e del ricevere.
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- Il Fuoco, che si manifesta come luce, calore e colore, è collegato alla vista. L’occhio, organo della vista, a sua volta governa l’azione del camminare, e conferisce una direzione alla deambulazione: è quindi collegato ai piedi. - L’Acqua è collegata all’organo del gusto; senza acqua la lingua non può gustare. La lingua nella sua funzione è strettamente collegata all’azione dei genitali (pene e clitoride). Nell’Ayurveda la lingua nella bocca è la lingua superiore, mentre il pene e il clitoride sono considerati la lingua inferiore. La persona che controlla la lingua superiore, controlla naturalmente anche la lingua inferiore. - La Terra è collegata al senso dell’odorato ed il naso è l’organo sensoriale. Il naso nella sua funzione è collegato all’azione dell’ano, l’escrezione. Ad esempio, chi soffre di stipsi o di intestino impuro ha spesso l’alito pesante e un ridotto senso dell’olfatto. I TRE DOSHA Uno dei concetti più importanti dell'Ayurveda è quello dei Tridosha: Vata, Pitta e Kapha. I tre dosha determinano la costituzione individuale, e conseguentemente la loro conoscenza rivela l'origine delle malattie, i trattamenti, i metodi per mantenere la buona salute, la routine giornaliera e stagionale, le terapie di purificazione, le terapie di tonificazione, il massaggio, il tipo di esercizio fisico, la dieta, ecc. I dosha sono forze dinamiche presenti solamente nelle forme di vita animata (simile al concetto della chimica organica) ed il loro dinamismo è ciò che rende possibile la vita. Dosha significa “ciò che cambia”, perché essi si muovono costantemente in equilibrio dinamico tra di loro. Ogni dosha è formato dalla combinazione di due dei 5 elementi fondamentali: Vata (aria ed etere), Pitta (fuoco ed acqua) e Kapha (acqua e terra).
Vata. Nel corpo Vata è il movimento (il dinamismo della combinazione fra etere e aria), la forza cinetica. Esso regola tutte le forme di energia del corpo e della mente. Vata si manifesta negli esseri viventi con il movimento degli impulsi nervosi, del respiro, del sangue, del cibo, degli escrementi e del pensiero. E’ la forza predominante che controlla e regola gli altri due dosha: senza il suo contributo sarebbe impossibile ogni movimento. Pitta. E’ una forza creata dall’interazione dinamica di acqua e fuoco. Queste due forze apparentemente antagoniste rappresentano la trasformazione.
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Pitta governa il metabolismo del corpo (la digestione
degli
alimenti
da
parte
dell’intestino, la trasformazione del cibo in energia, la temperatura cutanea, l’azione degli ormoni, ecc.); stimola anche l’attività intellettiva. La sua sede è lo stomaco. Kapha.
Questa
energia
fornisce
il
sostegno della struttura del corpo e ne facilita le funzioni attraverso la lubrificazione dell’organismo intero. Si occupa dei fluidi del corpo, dal muco al sistema linfatico. Svolge inoltre un’azione regolatrice generale all’interno dell’organismo. A livello psicologico permette il funzionamento equilibrato e lucido delle facoltà intellettuali. La sua sede è nella parte superiore del corpo. Gli antichi trattati ayurvedici descrivono come la qualità e la quantità di queste tre sostanze fluttuino in maniera diversa nell'organismo secondo le fasi della vita, le stagioni, l'ora del giorno, la dieta e molti altri fattori. Per quel che riguarda le età, la prima fase della vita è legata all’attività di kapha, infatti l’anabolismo e la crescita fisica sono predominanti. La seconda fase della vita (età adulta) è legata a pitta, infatti il corpo è maturo e stabile, la terza parte della vita è dominata da vata, infatti inizia il processo di deterioramento del corpo. Anche
nelle
variazioni
stagionali
possiamo
ritrovare
l’alternanza dei dosha. Vata domina la stagione autunnale, da settembre a novembre, quando cadono le foglie e diminuisce la temperatura. Pitta domina al termine della primavera e nell’estate, periodi caratterizzati da un aumento di temperatura. Kapha domina all’inizio della primavera e nella stagione invernale, da dicembre a febbraio, caratterizzata da nuvole, neve e basse temperature, Delle variazioni che avvengono durante la giornata ne parleremo nel capitolo dedicato al Dincharya. I tre Dosha sono energie non visibili, né vi è alcuna prova scientifica della loro esistenza! PRAKRITI E VIKRITI Ogni individuo presenta una personale combinazione dei tre Dosha, che caratterizza la sua costituzione individuale detta Prakriti. Queste tre energie sono raramente in una condizione di perfetto equilibrio: la maggior parte degli individui presenta un misto di due dosha, con uno leggermente predominante rispetto all’altro. Il dosha dominante determina l’aspetto fisico dell’individuo e anche qualsiasi predisposizione a particolari condizioni e disturbi, nonché il modo di pensare ed esistere, ad esempio l’intensità sessuale, la tendenza ad essere felice o depresso, l’avere o meno una visione serena del mondo, e così via.
[21]
Le tipologie costituzionale legate alle combinazioni dei dosha possono essere varie. Esistono tre tipi puri e sette tipi misti: puro vata, o puro pitta o puro kapha, ma molte sono vata-pitta, vata-kapha o pitta-kapha (la qualità dominante viene citata per prima) o, più raramente, è presente un totale equilibrio di tutti e tre i dosha, vata-pitta-kapha. La Prakriti, che viene determinata al momento del concepimento e accompagna la persona per tutta la sua vita, può andare incontro ad una situazione di squilibrio, detta Vikriti (impurità) allorché uno o più dosha sono in eccesso o in difetto. Molti fattori influenzano i dosha come i vari periodi delle età, i cambiamenti climatici e stagionali, ii cambiamenti di dieta o di stile di vita. La Vikriti crea l’insorgere del disturbo o malattia.
NOTA. La teo ia degli ele e ti si t ova a he ell’A ti a G e ia, quando i filosofi presocratici (Talete, Anassimandro, A assi e e, VI se a.C. t ova o o egli ele e ti l’o igi e dell’uo o e della vita. Empedocle (V sec a.C.) li riassunse, trattandoli in modo sistematico. Ippo ate di Coo fu poi l’i iziato e dell’osse vazio e li i a oggettiva p op io att ave so l’i piego dei quattro elementi. Secondo la teoria umorale, concepita da Ippocrate, un eccesso o una deficienza di uno qualsiasi dei quattro fluidi corporei presenti in una persona, noti come umori, hanno un influsso diretto sul suo temperamento e sulla sua salute. I quattro umori base erano la bile nera, la bile gialla, il flegma ed il sangue. La terra corrispondeva alla bile nera che ha sede nella milza, il fuoco corrisponderebbe alla bile gialla (detta anche collera) che ha sede nel fegato, l'acqua alla flemma (o flegma) che ha sede nella testa, l'aria al sangue la cui sede è il cuore. Il buon funzionamento dell'organismo dipenderebbe dall'equilibrio degli elementi, mentre il prevalere dell'uno o dell'altro causerebbe la malattia. L'infinita possibilità che gli elementi hanno di combinarsi fra loro fu posta da Galeno (131-201) che teorizzò come l'eccesso di uno dei quattro umori definirebbe un carattere, un temperamento e insieme una costituzione fisica detta complessione: i dividuò ell’esse e u a o uatt o temperamenti principali (melanconico, collerico, flemmatico, sanguigno), ognuno dei quali presenta una personale predisposizione alle malattie. Controllo dei dosha. Le energie Vata, Pitta e Kapha percorrono tutto il corpo umano e mantengono la salute, ma, data la notevole reattività che li caratterizza, il corpo non può accumularli a lungo. L’organismo quindi li elimina regolarmente attraverso le proprie funzioni fisiologiche: l’eccesso di kapha viene eliminato con l’urina; il sudore convoglia fuori dall’organismo l’eccesso di pitta; con le feci viene eliminato l’eccesso di vata.
Prima di proseguire oltre nella spiegazione dei dosha, è opportuno che ognuno sappia quale sia il suo dosha dominante. Se si viene visitati da un medico ayurvedico, egli immediatamente individua la tipologia costituzionale. C’è comunque la possibilità di avere una diagnosi abbastanza precisa del tipo di dosha che ci contraddistingue, rispondendo a dei test specifici (più o meno complessi) preparati da Scuole Universitarie di Ayurveda. Propongo nelle due pagine seguenti uno dei più comuni, che dà un quadro abbastanza soddisfacente.
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A CHE DOSHA APPARTIENI? IL TEST. Vata, Pitta o Kapha? La valutazione della tipologia di costituzione va sicuramente fatta da un medico ayurvedico, ma con questo test moderno è possibile avere un quadro abbastanza preciso. Segnate le caratteristiche che vi descrivono maggiormente: siccome molti di noi sono una combinazione di dosha, spesso la risposta valida sarà più di una, in tal caso scegliete quelle che vi si addicono di più. 1 - Come descrivereste il vostro temperamento? a)
Vivace ed entusiasta per natura. Amate i cambiamenti
b) Propositivo ed intenso. Vi piace convincere c)
Tranquillo e rilassato. Vi piace aiutare gli altri
2 - Come descrivereste la vostra corporatura? a) Esile, irregolare, con ossa sporgenti b) Media, con ossatura armoniosa c) Robusta, con ossatura forte e solida 3 - Co ’è il vost o peso? a)
scarso o sottopeso
b) peso equilibrato e costante c)
peso consistente o sovrappeso; prendo peso facilmente e faccio fatica a perderlo
4 - Co ’è la vost a pelle? a) Secca, fredda, ruvida, sottile e scura, con mani e piedi freddi b) Ben idratata, calda, liscia, rosea, chiara con lentiggini e facilmente irritabile c) Spessa, morbida, fresca e liscia 5 - Quanto sudate? a) Quasi per nulla b) Abbondantemente c) Moderatamente e costantemente 6 - Come sono i vostri capelli? a) Secchi, sottili, scuri, ricci, fragili, crespi b) Diritti e sottili, chiari con tendenza ad ingrigirsi prematuramente. Predisposizione alla calvizie c) Folti, spessi e grassi 7 - La temperatura corporea a) Generalmente le mani e i piedi freddi; preferite i clima caldi. b) Ha sempre caldo, qualunque stagione sia: preferite gli ambienti più freschi c) Si adatta alla maggior parte delle temperature ma non amate le giornate fredde ed umide
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8 - Il vostro appetito è: a) Irregolare. Vi piace prendere dei piccoli bocconi di tanto in tanto per tutto il giorno b) Regolare. Vi piace mangiare a orari specifici, ma quando avete fame il vostro appetito è intenso e non riuscite a concentrarvi fino a quando non mettete del cibo sotto i denti c) Costante. Vi piace rilassarvi mentre mangiate e dedicare tempo ai vostri pasti 9 - La vostra sete è: a) Variabile. In genere preferite le bevande calde b) Regolare. Avete spesso sete e in genere preferite le bevande fresche c) Scarsa. Raramente avete sete 10 - Così considerate la vostra digestione e la motilità del vostro intestino: a) Irregolare. Spesso vi sentite gonfi, pieni di gas o costipati. Quando siete lontani da casa soffrite sempre di costipazione b) Regolare come un orologio. Avete un metabolismo veloce, evacuate ogni giorno ma potete soffrire di acidità di stomaco c) Indolente. Avete un metabolismo lento e soffrite di intestino pigro. 11 - Come descrivereste il vostro sonno? a) Disturbato. Avete il sonno leggero e spesso soffrite di insonnia b) Buono. Bastano meno di 8 ore per sentirsi riposato c) Profondo e lungo. Tendenza a svegliarsi molto lentamente al mattino 12 - Co ’è la vost a e e gia? a) Tocca livelli estremi che possono essere utilizzati molto rapidamente, lasciandovi esausti b) Costante ) Ci
ette u po’ per
ar urare
a poi resiste a lu go
13 – Come è la vostra memoria? a) Ri ordate giusto iò he vi serve per l’i
ediato
a di e ti ate tutto el giro di u a setti a a
b) Vi concedete molto tempo e vi ricordate ogni dettaglio c) Vi ci vuole una infinità di tempo per ricordare qualunque cosa, ma una volta che ci riuscite non la dimenticate più 14 – Se siete sotto stress a) diventate ansiosi e preoccupati b) Diventate aggressivi c) Vi chiudete in voi stessi e rifuggite la compagnia 15- Co ’è la vost a vita sessuale? a) Il vostro appetito sessuale è incostante ma vi eccitate facilmente; soffrite di scarsa fertilità b) Il vostro appetito sessuale è intenso e appassionato e la fertilità buona c) Il vostro appetito sessuale è normale, la resistenza buona e la fertilità ottima I vostri risultati Ora al olate il u ero di a ,
e
he avete totalizzato.
“e le vostre risposte so o prevale te e te a , i voi predo i a vata;
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orrispo de a pitta;
i di a kapha.
LE COSTITUZIONI DELL’UOMO SECONDO I DOSHA
Il tipo Vata ha un fisico sottile e leggero, è magro con pelle tendenzialmente secca, ruvida, capelli sottili e fragili, vene e tendini sporgenti, estremità fredde, occhi piccoli castani o neri, veloce nel mangiare lavorare e camminare, ha però scarsa resistenza alla fatica, tende alla stitichezza, è irrequieto, indeciso nelle scelte, ansioso con tendenza alle preoccupazioni, spendaccione, con scarsa capacità alla concentrazione, volubile con sonno leggero o insonne. Si entusiasma facilmente ma cambia frequentemente opinione, intuitivo, originale, non sta mai fermo e parla molto. Consigli: - Agli individui Vata è consigliabile un’attività creativa che non comporti l’assunzione di grosse responsabilità perché gli stati emotivi e di tensione possono causargli cattiva digestione, irritabilità e stanchezza: infatti per Vata la stanchezza gioca un ruolo fondamentale essendo una costituzione molto fragile con tendenza al facile disequilibrio anche se poi recupera molto rapidamente con un buon riposo ed una adeguata routine. - Data la secchezza della pelle, può trovare giovamento da massaggi con olio di sesamo, che hanno un effetto rilassante, - Dovrebbe assumere una dieta contenente i sapori acido, salato, dolce, consumare i pasti in un ambiente tranquillo, sereno in orari regolari e coricarsi presto la sera. - Dovrebbe proteggersi molto bene dalle basse temperature poiché il freddo è il vero nemico di Vata che sta bene in climi caldi e temperati. Il tipo Pitta ha una corporatura media con il tessuto muscolare ben rappresentato, colorito giallorossastro, occhi brillanti di colore verde o ramato, capelli biondi o ramati, tende precocemente alla calvizie e alla canizie, pelle morbida e delicata con nei e lentiggini. Soffre il clima caldo e suda molto poiché la sua temperatura corporea è elevata. Buona la digestione e ottimo appetito, predilige cibi e bevande freschi o freddi. Il sonno è regolare. Si pacifica con i sapori dolce, amaro, astringente. Presenta un carattere forte, deciso, egocentrico, facilmente irritabile e collerico, intelletto brillante e intuitivo. Ha buona intuizione e sa parlare in pubblico anche se spesso è pungente nei giudizi, è preciso e pignolo. Ama circondarsi di cose belle perché ha un grande senso estetico. Pitta equilibrato conferisce sicurezza, intraprendenza, allegria, mente acuta, buona digestione, carnagione luminosa, cordialità. Pitta squilibrato conferisce irascibilità ostilità cattiva digestione, ulcera peptica, collera eruzioni cutanee e infiammazioni della pelle, cute giallastra.
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Consigli: - Il dosha pitta deve evitare lo stress accompagnato da ira, collera, risentimento, problemi incalzanti, il clima troppo caldo e umido, l’eccessiva esposizione al sole estivo. Per questo agli individui Pitta si raccomanda di non esporsi a tensioni eccessive e di evitare situazioni conflittuali. - Evitare l’abuso di sostanze contenenti caffeina ed alcool, consumare succhi di frutta e bevande fresche che controbilancino il grande calore prodotto all’interno del corpo, limitando quindi l’esposizione al sole e gli ambienti surriscaldati. Consumare regolarmente ghee ha su Pitta un potere riequilibrante - Praticare yoga o tecniche rilassanti che riducono la tendenza all’irascibilità. Essendo il dosha Pitta collegato all’organo della vista si raccomanda di non assistere a spettacoli o situazioni violente caratterizzate da aggressività e collera. Le persone con caratteristiche Kapha hanno corporatura robusta, tessuti ben rappresentati, colorito chiaro bianco latteo, pelle morbida e grassa, denti forti e bianchi, sorriso luminoso, occhi grandi e chiari, capelli forti spessi e neri. L’appetito è moderato, prediligono cibi caldi e secchi; la digestione è lenta, l’evacuazione regolare con feci morbide. Il sonno è lungo e profondo, sono resistenti alla fatica. Sono lenti ad imparare hanno però ottima memoria. Hanno un carattere stabile e difficilmente s’alterano, sono generosi e inclini al perdono, possiedono un forte impulso sessuale e alla procreazione, Kapha è squilibrato dallo stress, dal suo senso d’insicurezza, dal senso di essere rifiutati, dall’eccessiva dipendenza, dall’eccesso di sonno, dal clima freddo, umido e nevoso, dall’eccesso di cibi dolci pesanti e grassi. Kapha squilibrato conferisce pigrizia, depressione, sonnolenza, inerzia mentale, pesantezza, ingordigia, possessività, obesità, indigestione, avversione al freddo-umido, ritenzione di liquidi, diabete. Consigli: Si raccomanda agli individui Kapha di condurre una vita dinamica e di svolgere attività fisica regolare poiché la sedentarietà aggrava Kapha. I GUNA Secondo l’Ayurveda tutta la materia presente nell’universo (sia organica che inorganica), tutte le sensazioni, le idee, i desideri e le stesse azioni possiedono particolari qualità o attributi dette Guna. Esistono 20 guna suddivisi in dieci coppie di una qualità e del suo contrario: freddo / caldo; morbido / duro; oleoso / secco; pesante / leggero; attaccaticcio / pulito; ottuso / acuto; spesso / sottile; ruvido / liscio; stabile / mobile; torbido / trasparente; solido / liquido. I Guna sono legati ai Dosha, ognuno dei quali è collegato ad alcuni guna specifici.
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QUADRO SINOTTICO DELLA COSTITUZIONE UMANA SECONDO IL DOSHA DOMINANTE PREDOMINANZA DI VATA - Corpo snello e scarso aumento di peso - Pelle ruvida e secca con tendenza a screpolarsi - Denti soggetti a carie - Occhi piccoli e spesso inespressivi - Assunzione veloce e irregolare di cibo - Memoria irregolare - Insonnia - Irrequietezza - Tendenza a rosicchiarsi le unghie - Carattere deciso - Capacità a guadagnare denaro velocemente e spenderlo altrettanto velocemente - Difficoltà a mantenere relazioni - Elevato impulso sessuale - Sogni di volare, correre, saltare PREDOMINANZA DI PITTA - Corpo nella media - Muscolatura e ossatura media - Pelle morbida, spesso con nei o lentiggini - Occhi piccoli - Capelli sottili, negli uomini tendenza alla calvizie - Buon appetito, ma senza tendenza ad ingrassare velocemente - Traspirazione abbondante, spesso eccessiva - Impulso sessuale moderato - Intelligenza viva, ma tendenza a dare giudizi e agli eccessi di rabbia - Apertura a nuove idee - Carattere deciso e qualità di leadership PREDOMINANZA DI KAPHA - Corporatura incline al grasso - Vene e muscolatura non prominenti - Ossatura pesante - Capelli e pelle spessi e grassi - Palpebre spesse e pesanti - Forte odore corporeo - Le tezza, goffaggi e e te de za all’i attività - Approccio al sesso senza fantasia - Tendenza a dormire troppo - Intelligenza media
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PRANA, TEJAS E OJAS Ad ogni dosha sono collegate delle essenze sottili, energie positive che promuovono la salute, la creatività, il benessere: esse prendono il nome di Prana, Tejas e Ojas. Il loro perfetto equilibrio, che si può mantenere con la dieta, l’esercizio fisico e uno stile di vita adeguato, contribuisce ad assicurarci una vita lunga e in buona salute.
Prana, collegata a Vata, è l’energia vitale che governa la respirazione, l’ossigenazione, la circolazione e tutte le funzioni motorie e sensoriali. Eccita inoltre Agni, il fuoco corporeo. Prana, che ha sede nella testa, regola tutte le attività cerebrali più elevate e controlla le funzioni della mente, della memoria, del pensiero e delle emozioni. Regola anche il funzionamento fisiologico del cuore, attraverso il quale questa energia sottile entra nel sangue, controllando così anche l’ossigenazione dei tessuti corporei (dhatu) e degli organi vitali.
Tejas, collegato a Pitta, è responsabile del metabolismo del corpo, e grazie all’energia del fuoco rende le persone intelligenti, brillanti e focose, il suo calore dà valore, coraggio e audacia.
Ojas, collegata a Kapha, si forma contemporaneamente ai dhatu, li pervade e ne è l'essenza sottile. Nei testi classici ojas viene descritto dopo i sette dhatu e per questo alcuni commentatori lo considerano come un ottavo tessuto. Genera e riserva la forza in generale e la capacità di riproduzione, permette di sostenere lo stress. E' la base del sistema immunitario, è la capacità di difendersi dagli agenti patogeni esterni. Dà tenacia, resistenza e forza per evitare le malattie. Ojas dà resistenza e stabilità al sistema nervoso ed è responsabile della lubrificazione dei canali nervosi (quando è scarso causa esaurimento nervoso). A livello emotivo Ojas è responsabile della compassione, dell’amore, della pace e della creatività. Le persone in cui Ojas è in equilibrio sono attraenti, hanno occhi luminosi e un sorriso spontaneo e rassicurante, sono ricche di energia spirituale e di potere.
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Nei testi classici si dice che la distruzione di ojas nel corpo porta a conseguenze gravi e può causare anche la morte dell'individuo. Il Charaka Samhita afferma che anche se i dosha nel corpo sono forti ed equilibrati, senza ojas il corpo morirebbe. Nessuna di queste tre energie è ferma, ma varia costantemente nelle nostre vite: è importante pertanto mantenerle in equilibrio che si può ottenere con la dieta, l’esercizio fisico e uno stile di vita adeguato, al fine di assicurarci una vita lunga e in buona salute. LA COSTITUZIONE DELLA MENTE: I TRE GUNA SATTVA, RAJAS E TAMAS Come il corpo, anche la mente presenta una propria costituzione: le tre qualità primarie (Guna) sono Sattva, Rajas e Tamas, ognuna collegata ad una delle divinità della Trimurti. La scienza dei tre guna, così come quella dei cinque elementi, è uno dei pilastri dell’Ayurveda e delle scienze vediche. I tre guna sono:
Sattva (collegato a Brahma) rappresenta la stabilità, armonia o virtù. Da Sattva provengono la chiarezza (in termini di coscienza) e la pace che ci permettono di percepire la verità. Anche se magari non lo raggiungeremo mai, è lo stato sattvico a cui tutti dovremmo aspirare.
Rajas (collegato a Vishnu) rappresenta la passionalità, il dinamismo e l’irrequietezza. Talvolta pronta a sbalzi di umori irrazionali sino alla violenza.
Tamas (collegato a Shiva) rappresenta la torpidità, l’ignoranza e l’inerzia. Rajas e Tamas sono fattori che causano le malattie, mentre l’effetto di Sattva è l’armonia. Rajas crea spreco di energia e Tamas porta al decadimento. Di solito, i due lavorano insieme. Una vita frenetica, l’ambizione smodata, la prevaricazione, la corsa per il successo a tutti i costi, il surmenage lavorativo, l’egocentrismo, il consumo di alimenti e sostanze stimolanti per sostenere questo modo di vivere sono tutte qualità Rajasiche. Alla fine portano all’esaurimento delle energie, alla chiusura in se stessi, all’attaccamento senso
del
eccessivo,
possesso
che
all’eccessivo sono
qualità
Tamasiche. In noi ci sono tutte e tre queste qualità, in gradi diversi. Come per la costituzione fisica (Dosha), ci sono sette possibilità (Sattva puro, Rajas puro, Tamas puro, Sattva-Rajas, SattvaTamas, Rajas-Tamas, Sattva-Rajas-Tamas). L’analisi del nostro stato, attraverso una valutazione personale ed una visita medica ayurvedica,
mostra le disarmonie e gli
eccessi della nostra natura mentale di base (Manas Prakruti) e dello stato attuale (Manas Vikruti): secondo l’Ayurveda, uno stile di vita armonico verso se stessi e gli altri, la preghiera, la meditazione, la recitazione
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dei mantra e l’onorare le divinità portano ad una mente Sattvica e riducono gli effetti negativi, sulla mente e sul corpo, delle altre due qualità mentali. I SETTE CHAKRA Chakra è una parola che viene dal sanscrito, e significa ruota, circolo, e disco solare. Il chakra è uno degli attributi di Vishnù: viene rappresentato come un disco che egli usualmente stringe in una delle mani. I chakra sono fondamentali nel nostro corpo poiché sono dei centri energici che collegano tra loro il corpo e il psiche: in essi scorre un’energia chiamata Kundalini che si muove dal chakra più basso a quello più alto attraverso canali energetici, denominati Nadi collegati alla spina dorsale. Il flusso di kundalini è regolato dallo yoga e dalla meditazione. A ogni chakra sono inoltre associati degli elementi particolari, come colori, suoni, pietre e così via. Quando i chakra sono aperti, l’energia può fluire liberamente, con effetti positivi sia per la mente che per il corpo, ma quando i chakra sono chiusi, l’energia non può più scorrere, formando un blocco che causa ripercussioni negative sia a livello fisico che a livello emotivo. Anche un sovraccarico di energia dato dai charka troppo aperti può essere causa di problemi fisici e mentali.
Da
considerare
inoltre
che,
essendo
collegati tra di loro, ogni alterazione di un chakra porterà un eccesso di energia in alcuni e una carenza in altri. L’obiettivo è quindi quello di cercare e mantenere un giusto equilibrio. Ogni chakra ha una sua peculiarità nel ripristino
dell’energia:
i
principi
fondamentali sono pratiche di meditazione con affermazioni di riequilibrio, lo yoga, l’aromaterapia
con
oli
essenziali,
la
cromoterapia, la massoterapia con gemme specifiche. Vedremo i sette chakra andando progressivamente dalla regione del perineo sino alla sommità del capo. 1. Il chakra della radice o Muladhara Il chakra della radice è raffigurato come un fior di loto con quattro petali di colore rosso. E’ situato alla base della colonna vertebrale, tra l'ano e gli organi genitali esterni nella zona del plesso coccigeo. Controlla diverse parti del corpo come il naso, il senso dell’olfatto, il sistema linfatico, il sistema osseo, la prostata e le estremità inferiori. Le principali conseguenze del cattivo funzionamento del chakra radice sono la timidezza, i sensi di colpa, il disagio, la paura ad affrontare la vita, la sfiducia, la distrazione, una grande dipendenza dai beni materiali, etc.
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Ogni loto che rappresenta un chakra ha anche un numero diverso di petali e un diverso colore e contiene diversi elementi, come un mantra, una lettera dell’alfabeto sanscrito sui petali o un simbolo con un particolare significato. 2. Il chakra splenico o Svadhisthana Il chakra splenico è raffigurato come un fior di loto con sei petali di colore arancio. E’ situato alla base dell'organo genitale, nella zona corrispondente al plesso sacrale; è relazionato con gli organi sessuali, il sistema riproduttore e il plesso lombare. Le conseguenze del cattivo funzionamento del chakra splenico sono le repressioni sessuali, la paura al godimento, il disprezzo del sesso e blocchi energetici che limitano l’espressione della propria personalità. 3. Il chakra del plesso solare o Manipura Il chakra del plesso solare è raffigurato come un fior di loto con dieci petali di colore giallo. E’ situato nel plesso solare (ovvero l’area addominale subito sotto il diaframma), e coinvolge diverse parti del corpo come la pelle, i muscoli, lo stomaco, il fegato, il pancreas, l’intestino crasso. Si associa anche agli occhi e alla vista. Il suo cattivo funzionamento provoca eccesso di peso nell’addome, dolori nel tratto lombare della colonna vertebrale, disturbi digestivi, meteorismo, bruciore di stomaco, disturbi del sonno; inoltre carenza di energia vitale, egocentrismo, insicurezza, ambizione smodata e mentalità competitiva, accessi di collera.
4. Il chakra del cuore o Anahata Il chakra del cuore è raffigurato come un fior di loto con dodici petali di colore verde. Si trova al centro della gabbia toracica e controlla il cuore, il sistema circolatorio, polmoni, plesso cardiaco e tutta la zona del petto. Le conseguenze del cattivo funzionamento del chakra del cuore sono l’incapacità di amare, le malattie respiratorie e cardiache, l’egoismo, la disconnessione e l’isolamento. 5. Il chakra della gola o Vishuddha Il chakra della gola è raffigurato come un fior di loto con sedici petali di colore azzurro. E’ situato alla base della gola e controlla collo, gola, mani e braccia. E’ collegata alla tiroide, al plesso bronchiale o cervicale. Un cattivo funzionamento di questo chakra può dare luogo a problemi di voce, gola, corde vocali, comunicazione, malfunzionamento della ghiandola tiroide e necessità di parlare molto, o al contrario paura di parlare per evitare problemi.
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6. Il chakra del terzo occhio o Ajna Questo chakra è raffigurato come un fior di loto con due petali di colore indaco. E’ situato al centro della fronte e si associa alle tempie, al plesso carotideo e ovviamente alla fronte. Il cattivo funzionamento di questo chakra causa allucinazioni, problemi psicologici, problemi alla vista, frequenti emicranie, stati di confusione mentale, debolezza visiva, mal d’orecchio, sinusiti e raffreddore cronico. 7. Il chakra della corona o Sahasrara Il chakra della corona è raffigurato come un fior di loto rovesciato con mille petali di color viola (mille è il risultato di 50x20, i cinquanta fonemi dell'alfabeto sanscrito ripetuti venti volte). E’ posto appena sopra la testa (non ha quindi una posizione “fisica”), e controlla la parte superiore della testa, il sistema nervoso e il cervello. Il cattivo funzionamento di questo chakra causa apatia, stanchezza mentale, vuoto e insoddisfazione, disturbi del sonno, emicrania. I chakra vengono rappresentati anche con dei fiori di loto visti dall’alto: proprio per questo possono prendere anche il nome di Padma, che significa appunto “loto”. I PUNTI MARMA Secondo la scienza dell’Ayurveda, nel corpo umano sono localizzati 107 punti marma, che sono centri energetici,
posti in corrispondenza di
determinati organi, muscoli, ossa o articolazioni in tutto il corpo, connessi alla circolazione del prana (l’energia vitale). La conoscenza di questi punti risale a circa 800 anni avanti Cristo, l’autore è Sushruta, riconosciuto come il padre della Chirurgia
indiana: la
conoscenza di questi punti anatomici sensibili veniva infatti applicata nel campo della chirurgia, in quanto una lesione in questi particolari punti può causare perfino la morte. In campo medico ayurvedico, in base al soggetto ed eventuali squilibri, vengono stimolati diversi punti marma: la stimolazione più semplice e diretta di questi punti può essere fatta attraverso la pressione con le dita, generalmente si utilizza il pollice per creare una profonda pressione che vada a stimolare l’energia in profondità nel punto specifico oppure una stimolazione più dolce con il dito medio per creare un senso di benessere generale.
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CAP. III – ALIMENTAZIONE E DIGESTIONE
Uno degli aspetti più importanti dell’Ayutveda è il riconoscimento che essa attribuisce al cibo, che viene considerato uno dei mezzi più importanti per il raggiungimento del benessere, sia fisico che psicologico. L’Ayurveda pone grande importanza nella corretta assunzione di cibi e bevande, ci raccomanda quale tipo di cibo assumere e quali evitare, persino quali combinazioni di cibo siano potenzialmente dannose, sempre tenendo conto della nostra costituzione fisica (prakriti). Non è solo rilevante quel che mangiamo, ma anche il modo come esso è stato cucinato: il cucinare deve essere sempre attuato con grande attenzione ed amore, perché grazie al cibo si dona salute, serenità e felicità (ruolo sacro del cuoco!). Infine è fondamentale anche come il cibo sia stato trasformato e assimilato nel nostro organismo grazie al fuoco digestivo (agni). Non è quindi vero per l’Ayurveda il detto per cui noi siamo “quello che mangiamo”, bensì siamo “quello che assimiliamo”. I SEI SAPORI Come il concetto di tridosha è importante per capire la costituzione degli individui e fare la diagnosi di una malattia, così la conoscenza dei rasa o sapori è necessaria per la prevenzione o il trattamento delle malattie. Secondo l’Ayurveda esistono 6 sapori: - dolce o madhura (grano, riso, zuccheri, latte, olio, carne, datteri, liquirizia, ecc.) - acido o amla (limone, yogurt, agrumi acerbi, rosa canina, tamarindo ecc.) - salato o lavana (i vari tipi di sale) - piccante o katu (peperoncino, pepe, zenzero, aglio, cipolla, ravanelli, ecc.) - amaro o tikta (cicoria, tarassaco, curcuma, radici amare, rabarbaro, ecc.) - astringente o kasaya (frutta dolce acerba, melograno, carciofi, legumi, sostanze che contengono tannino come il té, ecc.) L'ordine con cui sono stati elencati i sapori ha una sua ragione d'essere perché il primo sapore (dolce) è quello che dà maggiore forza al corpo e man mano che si va avanti con la lista, la forza che viene data al corpo dai sapori diminuisce. Così, il sapore astringente è quello che dà meno forza al corpo, mentre il dolce è quello che ne dà di più. Come i dosha anche i rasa sono costituiti dai cinque elementi ed entrambi in generale hanno la predominanza di due elementi composizioni: -
Dolce: terra + acqua
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-
Acido: fuoco + terra
-
Salato: acqua + fuoco
-
Piccante: aria + fuoco
-
Amaro: aria + etere
-
Astringente: aria + terra
Esiste una stretta relazione fra dosha e rasa. Una volta stabilito se si appartiene al genere Vata, Pitta o Kapha, o a un gruppo misto di questi, l’alimentazione ayurvedica andrà impostata in modo da equilibrare gli elementi della propria tipologia. Vata (aria + acqua) è aggravato dai sapori che contengono l’elemento aria ossia i sapori amaro, pungente e astringente, mentre è alleviato da quelli che non contengono l’elemento aria o etere ossia i sapori salato, aspro e dolce. Pitta (fuoco + acqua) è aggravato dai sapori che contengono l’elemento fuoco ossia i sapori aspro, pungente e salato, mentre è alleviato da quelli che non contengono l’elemento fuoco ossia i sapori amaro, astringente e dolce. Kapha (terra + acqua) è aggravato dai sapori che contengono l’elemento terra ossia i sapori dolce e aspro e dal sapore salato per la sua tendenza a favorire l’aumento di peso e l’umidità, mentre è alleviato da quelli che non contengono l’elemento terra ossia i sapori pungente e amaro e dal sapore astringente grazie all’elemento aria. Per mantenere il nostro corpo in salute, dovremmo comunque assumere tutti i giorni ognuno dei sei sapori. Solitamente questo non avviene, al contrario ci lasciamo guidare unicamente dai nostri gusti nella scelta del cibo. Così facendo finiamo per consumare solamente determinati alimenti che ci piacciono, escludendo altri: questo porta ad aggravare uno dei tre dosha e a creare degli squilibri. IL PROCESSO DI DIGESTIONE Tutti i processi di trasformazione del cibo in sostanze nutrienti e in materiali di rifiuto avvengono grazie al fuoco digestivo (Agni). Con tale termine si intende la secrezione e l'azione sul bolo alimentare dell'acido cloridrico, degli enzimi intestinali, dei sali biliari: secondo l'Ayurveda, nel corpo esistono tredici tipi di agni di cui il più importante è jatharagni che si trova nello stomaco e digerisce il cibo. Dopo essere stato digerito dall’jatharagni, il cibo si divide in due parti, la prima costituita dalle sostanze nutrienti (ahara rasa) che vanno a formare e nutrire i dhatu (tessuti corporei), la seconda che produce i mala (in sanscrito "ciò che deve andar via") cioè gli escreti (feci, urina, sudore ecc.). I mala sono anch'essi sono formati dai cinque elementi, e devono trovarsi nel corpo nella giusta quantità, né in eccesso né in carenza: per questa ragione l'eliminazione delle feci e delle urine non deve essere eccessiva come nella diarrea e nella poliuria, né troppo limitata come nella stitichezza e oliguria. La normale e regolare eliminazione delle sostanze di rifiuto è quindi molto importante per il mantenimento della buona
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salute perché l'accumulo o l'eccessiva diminuzione dei mala crea molte malattie e impurità negli organi, nei dhatu e nei dosha. I mala, pur essendo considerati sostanze di rifiuto, non sono esattamente rifiuti perché il corpo usa una parte delle sostanze in essi contenute per il suo sostentamento e nutrimento. Per capire meglio come i mala possano essere utili al corpo basti pensare all'antica pratica di riutilizzare la propria urina. L'urinoterapia, che viene citata nei testi ayurvedici, prevede di bere ogni mattina una tazza della propria urina raccolta a metà del flusso. Le sostanze nutrienti (sali minerali, enzimi, ormoni, ecc ancora presenti nell'urina - perché l’organismo non le ha ancora metabolizzate ed espulse), vengono rimesse in circolo e riutilizzate dal corpo. L'urina umana ha un naturale effetto lassativo e drenante che aiuta a disintossicare l'organismo, aiuta l'assorbimento dei nutrienti nell'intestino crasso e facilita l'eliminazione delle feci. L'urina viene usata anche per via esterna: massaggiandola sul corpo produce un grande beneficio per la pelle che viene nutrita, ammorbidita e resa splendente; è inoltre molto utile per prevenire e curare le scottature comprese le scottature solari; infine aiuta a rimarginare le ferite, soprattutto quando si infettano o si è in presenza di piaghe che fanno fatica a chiudersi. Inoltre, venendo assorbite attraverso l'epidermide, le sostanze nutrienti contenute nell'urina entrano nella circolazione sanguigna senza passare attraverso i succhi gastrici dello stomaco che tendono a distruggere in parte certe molecole, soprattutto quelle degli ormoni. Adottando questa pratica il corpo si ritrova già pronte per l'uso molte sostanze nutrienti che lui stesso ha prodotto senza bisogno di spendere energia per produrne altre ex novo. L'urinoterapia è quindi una terapia purificante e allo stesso tempo tonifica il corpo. Digestione alterata: l’Ama. L’indigestione si sviluppa in seguito ad un’alimentazione errata e a cattive abitudini di vita, definite col nome di “prajnaparadha” (in sanscrito “crimini contro la saggezza”). Se il processo della digestione non ha un funzionamento equilibrato, una parte del cibo non viene digerita, rimane nel corpo, e diventa tossica: questo cibo non digerito ricco di tossine prende nome di Ama. L’Ama si presenta in forma di materia scura, appiccicosa e maleodorante, si deposita prima nel tratto gastrointestinale e poi viene assorbito insieme alle sostanze nutrienti, penetrando in profondità nei tessuti, dove si accumula. A causa di questo accumulo, si squilibrano i dosha o si bloccano gli srota, i canali di circolazione. Secondo il luogo in cui ama si accumula, compaiono diverse malattie, per esempio, quando ama si deposita nei polmoni si crea congestione, tosse e asma; nelle articolazioni crea artrite; negli intestini crea diarrea o stitichezza. Secondo l'Ayurveda ama è una delle cause principali delle malattie. I SAPTA DATHU, I TESSUTI CORPOREI I Dhatu sono il fondamento dei tessuti corporei e sono (come i Dosha) anch’essi costituiti da tutti e cinque gli elementi. Secondo la medicina ayurvedica, i dhatu si formano secondo una progressione ordinata e specifica: è particolare il concetto che essi dipendono strattamente uno dall'altro in quanto il tessuto che si forma prima è la base e contiene il nutrimento per quello successivo.
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La sequenza di formazione dei 7 dhatu è la seguente: 1. Plasma (Rasa): contiene le sostanze nutritive del cibo digerito e nutre tutti i tessuti, gli organi ed i sistemi del corpo. 2. Sangue (Rakta): governa l’ossigenazione in tutti i tessuti e organi vitali e mantiene la vita. 3. Muscolo (Mamsa): copre i delicati organi vitali, esegue i movimenti delle giunture e mantiene la forza fisica del corpo. 4. Grasso (Meda): grasso; mantiene la lubrificazione e l’oleosità di tutti i tessuti corporei. 5. Osso (Asthi): sostiene la struttura corporea. 6. Midollo e nervi (Majja): riempie gli spazi ossei e trasporta gli impulsi motori e sensoriali. 7. Tessuti riproduttivi (Shukra e Artav): contengono gli elementi di tutti i tessuti e sono responsabili della funzione riproduttiva.
SROTA, I CANALI DELLA CIRCOLAZIONE Gli antichi trattati di Ayurveda chiamano srota ogni cavità del corpo attraverso la quale viene trasportata materia o intelligenza. I vasi sanguigni e linfatici, il cuore, gli intestini, le cellule, i microtubuli all'interno delle cellule ecc. tutti questi sono srota. Come ogni altra cosa, anche gli srota sono fatti dei cinque elementi, ma lo spazio (akasha), è l'elemento predominante nella formazione degli srota. Gli srota sono canali del corpo visibili o invisibili, in essi vengono trasportati i dosha, i dhatu, i mala, il cibo, ahara rasa (sostanze nutrienti), i fluidi corporei, gli impulsi nervosi, i vari oggetti di conoscenza acquisiti dai sensi. La loro funzione e proprietà principale è quella di trasportare vari materiali da una parte all'altra del corpo.
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Secondo Charaka, mantenere gli srota sani e liberi da ostruzioni è la chiave della buona salute. Gli srota vengono ostruiti principalmente dall'accumulo di ama , ama è prodotto dalla cattiva digestione del cibo e si accumula in certi luoghi del corpo bloccando gli srota e creando situazioni patologiche. Per evitare il blocco degli srota è necessario mantenere la forza del fuoco digestivo, eliminare per tempo gli escreti, soddisfare gli stimoli naturali e fare esercizio fisico. Una delle cose più semplici da fare per ristabilire il corretto funzionamento degli srota è il digiuno. Durante il digiuno l'apparato digerente riposa e nello stesso tempo viene stimolato agni, il fuoco della digestione: poiché non c'è nessun cibo da digerire, agni brucia lentamente le tossine accumulate negli srota.
ALIMENTAZIONE VATA Le capacità digestive e metaboliche delle persone di costituzione vata sono irregolari e l’appetito e la digestione sono variabili a causa di un fuoco digestivo basso; essi soffrono il freddo e perciò hanno bisogno di consumare pasti caldi e stare al caldo. Le persone di costituzione vata dovrebbero evitare eccessi di sostanze amare, pungenti ed astringenti che aumentano l’aria corporea ed hanno la tendenza a provocare formazioni di gas interni; le sostanze aventi sapori dolci, aspri e salati sono benefiche per questi individui. Cereali. I più adatti sono grano, riso (eccellente il riso basmati), quinoa, avena, seitan (derivato dal glutine di grano). Legumi. Per la maggior parte non sono tollerati eccetto tur dal (lenticchie indiane), fagioli neri, piselli freschi, lenticchie nere e rosse. Vegetali. Si può scegliere tra asparagi, carciofi, carote, spinaci, zucca, zucchini, cetrioli, bietole, fagiolini, ravanelli, rape, crescione, olive. Tollerati: cipolla cotta, patate dolci. Devono invece essere evitati vegetali dal gusto pungente come cipolla e aglio, peperoni, funghi, pomodori, cavoli, melanzane. Frutta. È adatta tutta la frutta dolce tra cui banane, ciliege, albicocche, kiwi, arance, limoni, pompelmi, prugne, fragole, fichi, uva, ananas, datteri, cocco, avocado, mango, papaia. Tutti i tipi di noci sono adatti ma con uso moderato. Sono sconsigliati frutta secca, mele aspri, frutti astringenti come il melograno. Latticini. Il latte e il ghe (o burro chiarificato, è il burro privato dell'acqua e della componente proteica, con un contenuto di acidi grassi saturi del 48% circa) sono eccellenti. Sono indicati il latte di soia, yogurt fresco, formaggi leggeri, lassi (bevanda indiana a base di yogurt). I gelati devono essere consumati moderatamente ed evitati i prodotti caseari secchi e acidi. Oli. Il migliore è l’olio di sesamo. In piccole quantità sono tollerati l’olio di oliva, di girasole, di soia, di mandorle e di arachidi. Spezie. Tutte le spezie sono indicate, in particolare spezie riscaldanti e pungenti come assafetida, coriandolo, curcuma, anice, cumino, cannella, pepe di cayenna, semi di fieno greco, chiodi di garofano, zenzero, tamarindo, semi di senape, noce moscata e tra le erbe aromatiche origano, basilico, timo, rosmarino, salvia, santoreggia.
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Dolcificanti. Sono adatti il miele, il malto d’orzo e di riso, il fruttosio, lo zucchero grezzo, lo sciroppo d’acero, la melassa. ALIMENTAZIONE PITTA Le persone di costituzione pitta sono calde, leggermente oleose, fluide: sono adatti gusti dolci, amari ed astringenti, in quanto non contengono l’elemento fuoco, mentre dovrebbero evitare sostanze aspre, salate e pungenti che aggravano il fuoco corporeo. Cereali: possono assumere riso bianco, grano, avena e miglio. Evitare granoturco e riso integrale. Legumi: Indicati mung dal (fagioli indiani verdi), lenticchie rosse, ceci azuki, fagioli rossi. Evitare urad dal (fagiolo indiano nero) e piselli verdi secchi. Verdure: si può scegliere fra asparagi, cetrioli, barbabietole, cavolfiori, cavoli, spinaci, lattuga. Da evitare melanzane, patate, pomodori. Frutta: Sono indicati tutti i frutti dolci come banane, mele dolci, ananas dolci, fragole, melograni, uva matura, frutti rinfrescanti come l’anguria. Cocco fresco o secco in piccole quantità; da evitare mandorle, noci, anacardi. Evitare frutta aspra, agrumi, papaia, mango. Oli: consentiti in piccole quantità olio d’arachidi, di girasole e di cocco. Da evitare olio di mais, di mandorle, di cartamo e di sesamo. Latticini: il ghi è ottimo. Sono consigliati latte di mucca, latte di capra, di soia, yogurt fresco. Spezie: sono consigliate spezie dolci che hanno un sapore amaro e rinfrescante come i semi di coriandolo, cumino, finocchio, zafferano, menta e curcuma in quantità moderate. Da evitare spezie piccanti e pungenti come chiodi di garofano, pepe di cayenna, zenzero secco, semi di fieno greco. Dolcificanti: sono consigliati i concentrati di frutta, sciroppo di malto, evitando miele, zucchero bianco, sciroppo d’acero e melassa. ALIMENTAZIONE KAPHA Gli individui kapha dovrebbero evitare cibi aventi gusti dolci, aspri e salati perché aumentano l’acqua corporea. Dovrebbero invece scegliere cibi dai gusti pungenti, amari ed astringenti. Cereali: sono indicati miglio, orzo, avena, granoturco. Evitare frumento e riso nuovo (riso conservato per più di sei mesi è considerato vecchio). Legumi: sono consigliati tutti i legumi in genere, tra questi lenticchie rosse, mung dal. Tur dal, canna dal sono ben tollerati. Evitare tofu e altri prodotti della soia. Verdure: è indicata la maggior parte delle verdure crude o cotte, barbabietole, carote, ravanelli, cavoli, cavolfiori, cavolini di Bruxelles, mais appena colto, germogli di bambù, melanzane, cipolle. Evitare patate, pomodori, cetrioli, zucchini e zucca. Sono invece adatte verdure a foglia. Prodotti caseari: indicati prodotti caseari leggeri come il latte di capra di soia che sono di più facile digestione. Da evitare formaggio, burro, latte freddo, gelati. Sebbene il latte aggravi kapha, se consumato caldo e con l’aggiunta di spezie (zenzero in polvere o cardamomo) è benefico.
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Frutta: si possono consumare in piccole quantità mele, melograni, papaia e mango. La frutta secca come mandorle, anacardi, noci può essere consumata con molta moderazione. Evitare frutta pesante e nutriente come banane, uva, datteri, arance. Anche l’ananas e l’anguria aggravano kapha. Oli: sono consentiti in piccole quantità olio di girasole e di mais. Evitare tutti gli altri oli. Dolcificanti: è ottimo il miele vecchio di sei mesi in quanto quello nuovo aggrava kapha. Evitare tutti gli altri dolcificanti. Spezie: sono indicate per la costituzione kapha quasi tutte le spezie piccanti e pungenti. Sono ben tollerati il pepe di cayenna, il peperoncino rosso e il pepe nero. Sono anche ottimi per questa costituzione zenzero, curcuma, aglio, senape.
IL DIGIUNO Il digiuno è un processo efficace per bruciare le impurità accumulate e le tossine (ama), causa della maggior parte delle malattie. I classici ayurvedici delineano il digiuno come Upavasa, definendolo come astinenza dalle quattro azioni mediante cui si assume cibo: masticare, leccare, deglutire e bere; va eseguito in forma sistematica e sotto controllo medico. E’ necessario specificare che non è una pratica adatta a tutti poiché potrebbe essere difficile da sostenere per alcune costituzioni (tipo di dosha), l’età, la capacità di digestione (agni), il livello di tossine. In Ayurveda, sono riconosciute quattro tipologie diverse di digiuno: 1. Una dieta basata sul consumo di frutta, verdure e succhi di frutta; 2. Il secondo tipo prevede l’assunzione di pasti leggeri come il kitchadi ovvero il riso molto cotto o il riso kanji; 3. La terza tipologia prevede l’eliminazione di tutti i cibi solidi ma permette di bere molti liquidi come acque o tisane; 4. Il quarto tipo prevede l’astensione sia dal cibo che dall’acqua. Per ottenere beneficio dalla terapia del digiuno, questa pratica dovrebbe essere eseguita un giorno alla settimana. Generalmente, il lunedì è il giorno della settimana prescelto per il digiuno, sia perché abitualmente il giorno precedente si è mangiato di più; il lunedì è scelto generalmente anche per motivi astrologici e simbolici: il lunedì è il giorno dedicato a Shiva, Dio della pratica ascetica, motivo per cui sarebbe più che motivato condurre questa pratica di austerità in questo giorno. Controindicazioni durante il digiuno.
Applicare olio sul corpo e sul cuoio capelluto.
Dormire di giorno.
Camminare per lunghe distanze.
Abbellire se stessi.
Indulgere in attività sessuali.
Fumare e consumare bevande alcoliche.
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Festeggiare prima e dopo il digiuno.
Il digiuno ayurvedico per Vata, Pitta e Kapha. Il Vata generalmente ha una costituzione magra e il suo corpo non accetta bene il digiuno: può portargli debolezza. Proprio per questa motivazione, è possibile aggiungere delle spezie riscaldanti al cibo così come l’avocado e la banana nella propria dieta digiunante. Pitta e Kapha sono dotati di una costituzione più grande e più energia nonché tendenza ad ingrassare. Senza dubbio, quindi, potranno trarre beneficio dal digiuno che non dovrà durare, però, più di due giorni. Pitta, per alleviare l’astinenza da cibo, potrà provare il succo di lime addizionato ad acqua di cocco e foglie di coriandolo mentre Kapha potrà integrare con spezie riscaldanti, evitando oli e amidi.
[Prahlad Jani, il Santone che sarebbe sopravvissuto oltre 70 anni senza bere o mangiare]
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CAP. IV – IL DINACHARYA IL DINACHARYA La scienza vedica dell’Ayurveda sostiene che una adeguata condotta quotidiana riguardo a risveglio, evacuazione, igiene, meditazione, studio, lavoro, pasti e sonno sono la garanzia per uno stato di salute che metta l’essere umano in condizione di realizzare gli obiettivi dell’esistenza. L’Ayurveda parte dal concetto che il corpo umano non è adatto a svolgere qualsiasi attività in qualsiasi momento ma deve espletare le sue funzioni in sintonia con la natura e con i suoi ritmi: questa sintonia avviene in base ad un orologio biologico. Agire contro queste regole è causa di malattie. L’orologio ayurvedico è detto anche doshico in quanto divide la giornata in tre periodi in base all’influenza dei dosha; i passaggi da un periodo all’altro sono graduali. Si inizia con un ciclo dominato da Kapha al quale fa seguito un ciclo Pitta ed infine un ciclo Vata. Queste tre fasi si avvicendano dall’alba al tramonto ed ancora, nello stesso ordine, dal tramonto all’alba. L’Ayurveda divide il giorno in due periodi cronologici: il Dinacharya e il Ratricharya. Il termine Dinacharya (termine sanscrito composto da din, che significa giorno e acharya comunione) indica, per l’Ayurveda, il tempo intercorrente tra l’alba ed il tramonto, il periodo del giorno in cui l’attività deve essere massima sia riguardo la propria attività lavorativa, fisica ed intellettuale, sia volta all’assunzione del cibo ed alla promozione attiva della propria salute, mentre per Ratricharya si intende il tempo dedicato alla notte.
Il sistema di autopurificazione prevede delle semplici norme da eseguire ogni giorno, secondo questo ordine progressivo: (1)
Ci si alza dal letto nel periodo del giorno denominato
Brahmamuhurta, cioè prima dell’alba, intorno alle 5 – 6 del mattino. Così facendo, ci si armonizza con l’energia solare: prima dell’alba infatti, domina Vata e si può dunque trarre vantaggio dalle sue caratteristiche di leggerezza, fresco, allegria, movimento, qualità che portano naturalmente all’eliminazione dei prodotti di scarto ed alla purificazione. Rimanendo a letto più a lungo e svegliandosi quindi in un periodo dominato da Kapha, ci si sentirà più pesanti, più lenti e paradossalmente più stanchi, con la sensazione di non aver riposato bene. Una volta aperti gli occhi, sedendosi sul letto, si fa una breve meditazione (anche non più di un minuto) ringraziando Visnu, la divinità della conservazione, per la notte
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trascorsa e la possibilità di poter vivere un nuovo giorno. Nell’iconografia la divinità presenta 4 braccia: in una mano tiene il fiore del loto, simbolo di gentilezza. Infatti durante il giorno è necessario munirsi per prima cosa della gentilezza; purtroppo senza la forza la gentilezza non ha senso, perciò Visnu nella seconda mano tiene un’arma; nella terza mano ha una conchiglia, simbolo del suono, della parola e della conoscenza, che fornisce la discriminazione per l’uso della forza e della gentilezza. Senza azione poi, non sarebbe possibile l’applicazione di queste tre, perciò nella quarta mano ha una ruota, simbolo dell’attività incessante, del movimento e dell’esercizio fisico. Come Vishnu, che è l’operatore dell’universo, ci accingiamo ad operare nel mondo in questo nuovo giorno. Si guarda anche il palmo della propria mano destra, per assicurarsi che la giornata sia produttiva e favorevole. Guardando la propria mano infatti si ricorda che 3 dee risiedono in essa. Si crede che Parvati risieda alla base della mano, Saraswati al centro del palmo e Lakshmi, nella parte superiore e sulle punte delle dita. Perciò è importante non offendere mai, con le nostre mani, queste dee, che sono donatrici di tutto ciò che è favorevole alla vita: l’abbondanza, la prosperità, la creazione, il sapere, la salute e l’evoluzione.
[Da sin: Parvati, Saraswati, Lakshmi, in basso Devi]
Infine, sempre con la mano dx, bisognerà toccare prima per terra e poi la fronte, segno di devozione e ringraziamento alla Dea Madre, Devi.
(2) Una volta svegli, il primo passaggio della routine è quello di concludere la digestione della sera precedente. Per facilitare questa prima fase, il suggerimento è quello di bere un tazza di acqua tiepida oppure calda con del succo di limone appena spremuto. Questa semplice pratica stimola i riflessi gastrointestinali che faciliteranno lo svuotamento della vescica e dell’intestino, consentendo di eliminare le impurità accumulate nel tratto digestivo. Fino alle 7 del mattino
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è più facile evacuare in modo corretto gli intestini, poiché l’energia dominante in questo momento è vata, che favorisce il movimento peristaltico. pesantezza
Successivamente e
scarsa
predomina
mobilità
negli
kapha
intestini,
che per
causa questo
l’evacuazione sarà più difficile. Prestare particolare attenzione all’urina e alle feci. L’urina dev’essere chiara e del colore della birra, le feci di color marrone chiaro e della consistenza di una banana matura. Se l’urina è torbida e manda cattivo odore, oppure se le feci contengono materiale alimentare non digerito, hanno un odore particolarmente sgradevole e sono accompagnate da meteorismo abbondante, vuol dire che il livello di ama è elevato. Per impedire all’ama di radicarsi profondamente nell’organismo, non mangiate nulla e bevete soltanto un infuso leggero, soprattutto di polvere di zenzero, finché l’aspetto delle feci e dell’urina non migliora. E’ sempre buona norma non introdurre altro cibo nell’organismo allorchè mostra segni di cattiva digestione. Ci si dedica quindi per almeno un’ora e mezza alla cura del corpo.
(3)
Dopo
aver
espletato
le
funzioni
corporali, il primo passo è la pulizia della lingua che specchio
l’Ayurveda delle
dell’organismo,
definisce
condizioni in
lo
generali
particolare
quelle
dell’intestino. Se la lingua presenta una patina vuol dire che l’apparato digerente è coperto da un velo di ama. Inoltre con una lingua sporca non è possibile avere il corretto gusto dei cibi. La lingua va raschiata ogni giorno con l’apposito raschietto (dhauti) costituito con materiali diversi (legno, rame, argento), passato sulla superficie stessa almeno 7-8 volte, da dietro in avanti, lentamente.
(4) Si sciacqua bene la bocca e si passa alla pulizia dei denti. Si prende un ramoscello di piante medicinali (quali ad esempio il neem), masticato fino ad ottenere una sorta di pennello dalle setole rigide e ci si lava i denti cominciando da quelli inferiori spostandosi successivamente verso quelli superiori. Con il ramoscello si riescono a pulire anche gli interstizi (nel mondo occidentale si usa il filo interdentale). Va usata una pasta dentifricia dal gusto piccante, amaro e astringente (per le qualità antibiotiche di questi sapori), ad esempio una mistura di polvere di catechu, salgemma, pepe nero, canfora, curcuma e nem in uguali proporzioni, con l’aggiunta di miele e chiodi di garofano; si attinge questo composto con un dito e lo si passa con il polpastrello sulle gengive (massaggiandole) e su ogni dente. Questa tecnica rinforza le gengive ed evita il sanguinamento.
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[Nota. Il Catechu è un estratto da diverse specie di acacia, ma soprattutto dalla acacia catechu, ottenuto facendo bollire il legno nell'acqua e facendo evaporare la miscela risultante. Rinfresca l’alito. Il neem derivata dalle foglie di neem (Azadirachta indica). Potente antibatterico e antivirale. La polvere (per uso topico) può essere utilizzata per combattere l’acne o per gli sciacqui gengivali in caso di gengivite e carie. Il suo olio è uno straordinario rimedio efficace per ogni genere di disturbo gastrico o intestinale. Ha anche azione sedative e calmante in caso di stress o nervosismo.] I denti vanno puliti sempre dopo ogni pasto.
[A sin un venditore di bastoncini di Neem, a dx l’est e ità del asto e
asti ata.]
(5) Si passa quindi alla pulizia del cavo orale, praticando dei gargarismi con olio di sesamo, puro o diluito con un po’ d’acqua tiepida; è possibile aggiungere un po’ di sale oppure un pizzico di curcuma. Agitarlo energeticamente nella bocca prima di sputarlo. Questa pratica permette di mantenere libero il soffio vitale Prana-Udana, un’energia presente nella faringe e nel laringe, dove controlla le corde vocali e l’assimilazione dell’aria.
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Mantenere l’olio in bocca rafforza i denti e le gengive, dona luminosità al viso e previene la secchezza della gola e delle labbra. Inoltre previene le carie e i disturbi dei denti.
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(6) Il passo successivo è la pulizia del viso. Si prende dell’olio di sesamo tiepido e lo si applica su tutto il viso: poi si mette sul viso un asciugamano caldo e bagnato che aprirà i pori. Si termina con un semplice lavaggio con acqua tiepida. (7) E’ giunto il momento di dedicarsi alla pulizia degli occhi. In India sin dal lontano periodo Vedico (I-II millennio a.C.) la cura degli occhi è sempre stato un argomento molto importante. Vi sono vari metodi. - Detergere gli occhi con acqua tiepida tenuta in bocca per qualche secondo per assorbirne la saliva, che è benefica per gli occhi - Dopo averli lavati con acqua fredda, si applica sulla rima della palpebra inferiore una pasta compatta alle erbe di colore nero: una volta applicata, gli occhi vanno tenuti chiusi per alcuni istanti. - Un altro metodo è raccogliere dell’acqua fredda nell’incavo della mano, che verrà appoggiato nella regione perioculare, e lasciarla riposare per pochi minuti. Una volta alla settimana usare colliri ayurvedici, costituiti da decotti di Triphala (una combinazione di tre erbe medicinali): dopo aver applicato alcune gocce di questo prodotto, si massaggiano dolcemente gli occhi con il palmo delle mani, permettendo ai principi attivi di penetrare in profondità, veicolati dal calore. Questo prodotto previene vari disturbi della vista e migliora la qualità della visione.
(8) Pulizia del naso: l’Ayurveda suggerisce di versare una goccia di olio di sesamo in ogni narice, aiutandosi con la punta del mignolo. In alternativa si può eseguire lo Jala Neti. Allo scopo viene usato un apposito strumento, una piccola ampolla (con beccuccio) detta Lota, riempita con acqua tiepida nella quale è stato disciolto un pizzico di sale. Quando si introduce il beccuccio nella narice destra si deve inclinare la testa verso il lato sinistro, così l’acqua uscirà dalla narice sinistra; viceversa per l’altra narice. L’acqua passa da una narice all’altra in modo semplice e naturale rimuovendo dai condotti nasali muco, polvere ed ogni altra impurità. Quando le narici saranno asciutte, massaggiarne l’interno con olio adatto (come quello di sesamo puro).
Questa purificazione è molto indicata nella prevenzione del raffreddore e delle sinusiti: in tal caso si consiglia di instillare nella narici alcune gocce di Anu taila, un particolare olio ayurvedico. (9) Anche per la cura delle orecchie è previsto l’uso di un olio tiepido: una volta la settimana o anche ogni due settimane massaggiate l’interno delle orecchie con il mignolo unto con olio di sesamo o oliva.
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(10) Dopo aver curato la pulizia delle varie parti del volto, si prosegue con un auto-massaggio (abhyanga) con olio dalla posizione seduta. Scaldare sempre l’olio per favorire il suo potere curativo. L’auto-massaggio lubrifica tutte le parti del corpo per farle funzionare al meglio. Si inizia trattando tutta la testa (in particolare la sommità del capo) e piano piano si scende al viso e al collo, e successivamente a tutte le parti del corpo. Nell’antico testo Charaka Samhitā si legge: “Se una persona pratica regolarmente il massaggio d’olio, il suo corpo non risente di ingiurie o del lavoro più duro. La sua struttura fisica diventa forte, flessibile ed attraente. Mediante questa
pratica
il
processo
dell’invecchiamento
è
rallentato.” (C.S. 5, 88-89)
Il massaggio alla testa con olio, shirobhyangam, previene il mal di testa e tutte le malattie della testa e del cranio, rafforza il cervello, rafforza i capelli e il cranio, gli organi di senso. Dà luminosità al viso e favorisce un riposo corretto e completo, infine fa fiorire la gioia e la felicità. Sia al mattino che alla sera, massaggiare anche solo la testa e i piedi equivale ad aver massaggiato tutto il corpo, poiché l’olio penetra e circola in tutto l’organismo attraverso queste due porte speciali. Pada Abhyanga. Nei testi antichi della Ayurveda, viene data molta enfasi ai piedi, i quali sono la base del corpo, il punto di contatto con la Madre Terra. Nella tradizione indiana, i piedi rappresentano la manifestazione della vita umana: il Divino che si fa uomo. Ecco perché, di un Santo o di un Maestro di vita, si venerano i suoi piedi e i suoi sandali. Nella pianta del piede, vengono localizzati alcuni dei Marma più importanti, i quali hanno un collegamento con i Dosha. Nella regione del tallone è localizzato il marma principale di riflesso di Vata; al centro della pianta del piede è localizzato il marma di riflesso di Pitta ed infine alla base delle dita il marma di riflesso di Kapha. Massaggiare il piede ed in particolar modo la pianta del piede, è utile per creare un flusso armonico in tutto il corpo e stimolare l'attività dei vari organi: al mattino è un ottimo stimolante, per caricare ed aumentare le energie.
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Che oli usare. Per la bocca e per tutto il corpo si può usare l’olio di sesamo. Per il corpo in alternativa a seconda del vostro dosha predominante potete usare: per pitta olio di semi di girasole o olio di cocco, per kapha olio di semi di girasole o olio di semi di senape. Per vata sempre olio di semi di sesamo. Ovviamente tutti vanno riscaldati prima di essere applicati. Il massaggio fatto ogni giorno ritarda l’invecchiamento, allevia lo sforzo e l’eccesso di vata, migliora la visione, nutre i tessuti del corpo, prolunga la vita, induce buon sonno e migliora il tono della pelle e la carnagione. Ricordarsi che ogni tipo di massaggio è controindicato in caso di stato febbrile o nei primi due giorni delle mestruazioni, ma anche quando ci si trova in preda di emozioni forti, quali l’ira, un forte stato ansioso, un dolore persistente.
(11) Si attende quindi per almeno 30 minuti per permettere l’assorbimento dell’olio. Si procede successivamente al lavaggio di tutto il corpo e, per gli uomini, alla rasatura. Il lavaggio va eseguito con acqua calda (evitando, però, l’eccesso di calore soprattutto sulla testa) per eliminare l’olio in eccesso rimasto sulla pelle dopo il massaggio e per rimuovere le tossine che ora sono affiorate in superficie. Non è consigliato l’uso di saponi o detergenti che rischiano di essere troppo aggressivi per la pelle: al loro posto si consiglia l’uso di miscele di polveri a base di legumi polverizzati miscelati ad erbe. Si può utilizzare anche la sola farina di ceci che lascia la pelle morbida e pulita.
(12) Dopo la pulizia del corpo ed essersi vestiti con abiti puliti e profumati è bene praticare degli esercizi di yoga, asanas (posizioni) e pranayama (respirazione) e fare meditazione. Si può in alternativa anche svolgere una modesta attività fisica, ad esempio una breve passeggiata. Charaka Samitha sostiene: “L’esercizio fisico dà leggerezza, efficienza, stabilità, resistenza alla fatica, elimina i dosha disturbati dal corpo (specialmente Kapha) e rafforza la digestione.” (C.S. 7, 31-32)
(13) A questo punto (e comunque prima delle 8!) si può fare colazione, se indicato, in base alle proprie necessità e costituzione; la colazione non dovrà essere basata esclusivamente sul sapore dolce. Ci si lava le mani prima e dopo ogni pasto, mentre solo dopo il pasto è indicato lavare denti e lingua.
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(14) Ci si può quindi recarsi a svolgere la propria attività lavorativa.
(15) È preferibile pranzare presto attorno a mezzogiorno, in quanto il potere di Pitta è al suo apice sia nell’ambiente esterno che in quello interno, e quindi il nostro potere digestivo è al suo massimo grado in quel momento della giornata.
Rituale ayurvedico del pasto L’Ayurveda ha stabilito sin dalle sue origini millenarie delle regole che aiutano le persone ad avere una digestione la più sana possibile. - Prima di iniziare il pasto procurate del cibo ad un altro essere vivente. La tradizione indiana prevede una quintuplice offerta: al fuoco sacro, ad una mucca, ad un corvo, ad un cane e ad un altro essere umano: un bambino, un mendicante o chiunque altro al di fuori della propria famiglia. Tale offerta costituisce un ringraziamento concreto alla Natura per avervi donato in sacrificio alcuni suoi figli per il vostro nutrimento. Il pranzo deve essere il pasto principale della giornata. La quantità del cibo deve essere modica. Si consigliano di solito due pugni di cibo a pasto di cui il 50% composto da cibo solido, il 25% da cibo liquido e il restante 25%
vuoto
affinché il prana vitale possa circolare e agevolare la digestione. Il pranzo dovrebbe essere completo e contenere tutti i sei sapori. Nei pasti di solito non si mescolano cibi cotti e crudi. Non bere durante i pasti, ma solo nel corso della giornata. Importantissimo è anche come si mangia; bisognerebbe farlo, infatti, in un’atmosfera serena e rilassata, in modo confortevole e dedicandosi completamente al cibo. L’atteggiamento mentale durante i pasti è infatti determinante per un corretto processo digestivo: mangiare arrabbiati, o in preda a forti emozioni, causa una difficile digestione. Non mangiate stando in piedi o camminando. Se possibile rivolgersi ad est, dove sorge il Sole, fonte di calore per la Terra. Iniziate ogni pasto con qualcosa di leggermente speziato per stimolare la digestione. Per esempio mescolate qualche grammo di zenzero fresco grattugiato, del succo di limone appena spremuto e un pizzico di sale. Masticate il cibo con cura. Non bisogna mangiare né troppo velocemente né troppo lentamente
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Astenersi dal consumo di alcool. Quando i testi ayurvedici furono codificati, l’alcool era l’unica bevanda stimolante e intossicante disponibile. L’alcool è sconsigliato perché è nocivo per il corpo e la mente. Nella medicina ayurvedica moderna, si consiglia anche l’astensione da caffè e da bevande anche analcoliche (limonata, aranciata, ecc.) soprattutto se gassate Alla fine del pasto, ringraziate chi ha creato il vostro pasto. L’Ayurveda raccomanda che bisogna permettere solo a chi ci ama di cucinare per noi. Le donne mestruate non dovrebbero cucinare perché stanno affrontando un processo di purificazione. Dopo mangiato è consigliato rimanere tranquillamente seduti per cinque minuti; una breve passeggiata, poi, è utile per favorire la digestione, tanto che gli antichi testi dell’Āyurveda raccomandano di fare 100 passi dopo i pasti. Evitare di dormire dopo pranzo; bambini, anziani e persone malate fanno eccezione a questa regola. Astenetevi dal sesso o dall’esercizio fisico entro un’ora dal pasto, Se avete mangiato troppo, o se vi sentite deboli, sdraiatevi sul lato sinistro per pochi minuti senza addormentarvi, in modo da assicurare il corretto funzionamento della narice destra per mantenere ben caldo il fuoco digestivo.
Si può fumare ma solo tabacco ayurvedico (fatto da erbe medicinali) e solo dopo i pasti: il fumo terapeutico stimola l’attività del cervello.
(16) La cena dovrebbe essere più leggera del pranzo. È bene cenare presto, non dopo le 19.30, e sarebbe sano scegliere cibi digeribili come verdure e riso, evitando possibilmente tutti i cibi con qualità pesanti che, aumentando Kapha, potrebbero compromettere la serenità digestiva e quindi il sonno.
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Se possibile l’ideale sarebbe poter effettuare una breve passeggiata dopo cena, come consigliato per il dopo-pranzo, per aiutare la digestione e per prepararsi ad una serata tranquilla. Di sera, è vivamente sconsigliato intraprendere attività impegnative. L’abitudine di andare a letto sempre alla stessa ora favorirà il sonno: in sintonia con il ciclo Kapha è opportuno andare a dormire abbastanza presto, non dopo le 22.00, quando i ritmi del corpo si placano naturalmente ed il sonno è buono, profondo e rigenerante; se si aspetta troppo a prendere sonno si entra nel ciclo Pitta e ci sarà di nuovo il desiderio di essere attivi. Un buon massaggio ai piedi con olio di sesamo caldo rilassa e concilia il sonno. Può essere consentita l’attività sessuale, ma sempre entro le 22. L’ENERGIA SESSUALE. Lo stato di benessere ayurvedico si dimostra anche nella moderazione della sfera sessuale, Il sesso sfrenato eccessivo o perverso inquina la mente, indebolisce le difese e quindi sfocia nelle malattie. Ai tempi in cui l’Ayurveda fu scritta, l’attività sessuale era intesa come una pratica esclusivamente maschile, e le donne erano ritenute passive e prive di una loro pulsione sessuale. L’ammonimento ad astenersi da comportamenti sessuali scorretti faceva riferimento alla necessità di attività
monogama
osservanza
ed
poteva
eterosessuale, provocare
ansia,
la
cui
non
paura
ed
inquietudine, cause di possibili malattie. Pratiche che erano ritenute uno “spreco” della sessualità (omosessualità, masturbazione, sesso orale e anale), in quanto non mettevano in grado di concepire bambini, erano vietate nell’antica India. Secondo l’antica dottrina ayurvedica lo scopo primario della relazione sessuale tra uomo e donna doveva essere concepire bambini sani, il piacere sessuale era secondario. Poiché la costituzione ed il carattere di un individuo vengono
determinati
al
momento
del
concepimento, sia l’uomo che la donna devono curare la loro buona salute affinché lo sperma e l’ovulo siano pressoché perfetti.
[51]
Entrambi i partner devono essere puliti e desiderosi di compiere insieme l’atto sessuale. La donna non deve mai compiere l’atto sessuale durante il ciclo mestruale, la gravidanza e nel periodo post-partum. Dopo l’atto si consiglia di fare un bagno fresco e di bere bevande fresche. Sulla frequenza dei rapporti l’Ayurveda prescrive delle regole in base alle stagioni: durante l’inverno non vi sono limitazioni, in primavera e in autunno ogni 4 giorni, in estate solo ogni 15 giorni. La medicina ayurvedica prevede anche l’utilizzo di sostanze naturali afrodisiache, i vajikarana, il cui uso è controindicato nelle persone inferiori ai 16 anni e superiori ai 70. Tra gli afrodisiaci più comuni ricordiamo: - Erba kapikacchu (Mucuna pruriens). E’ la più grande fonte naturale di L-Dopa, il percursore naturale e diretto di dopamina, il che produce miglioramento di umore, di sessualità e coordinamento. Viene assunta assieme al latte e stimola la sessualità specie maschile. E’ utilizzata la pianta per fare una particolare marmellata, ma anche i suoi semi (a forma di fagiolo) possono essere utilizzati o cotti o ridotti in polvere.
- Assafetida: nota anche come concime o sterco del diavolo, gomma puzzolente, finocchio fetido, botanicamente
è conosciuta come
Ferula Foetida. Il suo nome deriva dallo sgradevole odore delle sue radici. Una volta cotta conferisce ai preparati un aroma simile a quello dell'aglio. Come afrodisiaco, l’Ayurveda la utilizza in polvere, ricavata dalla resina della radice della pianta: la sua azione si traduce in un aumento del piacere sessuale.
- Un antichissimo rimedio non solo della medicina ayurvedica ma anche di quella tibetana proviene dal regno minerale, ed è lo Shilaijt, un rimedio naturale che si forma sulle rocce himalayane e su altre catene montuose: è una resina che trasuda dalle rocce, formando, assieme a materiale vegetale, un humus.
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Si pensa che la scoperta di questo prezioso rimedio avvenne osservando le migrazioni di scimmie bianche nei mesi estivi. Questi animali erano soliti masticare questa sostanza bianca proveniente dalle rocce: gli abitanti dei villaggi vicini attribuivano a questa sostanza la longevità, la salute e la forza delle scimmie. Iniziarono a consumarla
loro
stessi
e
riscontrarono
un
aumento della forza e un innalzamento della vita media degli abitanti del villaggio. Lo shilaijt viene utilizzato anche come afrodisiaco, in quanto accresce l’energia sessuale. Altri afrodisiaci dell’Ayurveda. -
Afrodisiaci che accrescono il piacere sessuale: zafferano, chiodi di garofano, l’aglio, il pepe
-
Afrodisiaci che prolungano il piacere sessuale e contrastano l’eiaculazione precoce: il sandalo, la noce moscata, la valeriana.
Nota. Erroneamente alcuni associano l’Ayurveda al Kamasutra, ma le due pratiche hanno in comune esclusivamente la loro origine indiana e la lingua (sanscrito) in cui sono scritti. Al pensiero di Tantra o Kamasutra, in Occidente si associa quasi esclusivamente l’atto sessuale, esclusivamente come insieme di tecniche per aumentare il piacere. In realtà solo una piccola parte del Kamasutra – testo indiano risalente al IV secolo a.C. – è dedicata alle posizioni sessuali: il trattato parla anche di politica ed economia e, soprattutto, l’atto sessuale è considerato come un’unione divina.
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CAP. V – LA MALATTIA CONCETTO DI MALATTIA La visione ayurvedica dello stato di salute (cioè la Prakriti) è essenzialmente legata al concetto di equilibrio: si è sani se i dosha (Vata-Pitta-Kapha) sono in equilibrio; quando il Fuoco gastrico (Agni) è in condizione ottimale; quando i tre prodotti di rifiuto, i mala (urina, feci, sudore) sono prodotti a livelli normali ed eliminati, e non vi è accumulo di ama, si è sani quando corpo, mente e coscienza fluiscono in armonia come una cosa sola. Quando uno di questi elementi al contrario, non funziona, l’organismo si ammala: questa alterazione dello stato di salute in Ayurveda viene chiamata Vikriti, una parola che significa “deviazione dalla natura”. Le cause della malattia. Perché ci si ammala? Vi sono numerose teorie. La teoria più seguita è quella che le cause delle malattie possano essere suddivise in tre grandi categorie: 1. Alterazione dei sensi (Asatmyendriyarta samyoga). I cinque sensi rappresentano il nostro collegamento con il mondo esterno ed il loro uso deve avere una qualità equilibrata, né troppo blando né troppo forte. Esempi negativi: guardare oggetti troppo luminosi o tenerli troppo vicini agli occhi, ascoltare rumori troppo forti e violenti, sentire odori fetidi e nauseabondi, gustare alimenti troppo caldi o troppo freddi o di sapore molto diversi dalle proprie abitudini, o entrare in contatto con superfici molto ruvide, o sporche, oppure troppo calde o troppo fredde, e così via. 2. Trasgressioni volontarie o uso sbagliato della
propria
volontà
(Prajnapadha,
letteralmente “fallimento dell’intelligenza”): indica il ritornare volontariamente a compere azioni o ad assumere sostanze che sappiamo essere negative per il nostro corpo e la nostra mente. Esempio illuminante l’alcolizzato che continua a bere. Parimenti, l’Ayurveda ritiene dannosi alcuni comportamenti, quali reprimere stimoli naturali quali tossire, sbadigliare, starnutire, emettere aria intestinale, defecare o urinare (questi stimoli vanno soddisfatti al momento e non vanno posticipati), o avere un’eccessiva attività sessuale; o avere arroganza, avidità, invidia, o mancanza di rispetto verso le persone anziane o le Autorità; o ancora usare un linguaggio scorretto, litigioso, menzognero. 3. Naturale processo di invecchiamento (kala-parinama): consiste nel non accettare o rispettare il normale processo
[54]
di invecchiamento del fisico e della mente. Quindi è da evitare di stare svegli fino a tardi, o dormire in ore inconsuete, o fare sesso il mattino, e così via. 4. Vi sono però anche delle cause che non provengono dal disequilibrio dei dosha. La medicina ayurvedica le spiega con la teoria dell’incarnazione o Legge del Karma, secondo la quale ogni essere vivente sconta il risultato delle azioni compiute nella vita precedente. Una differente corrente dell’Ayurveda non riconosce le categorie sopra citate e ritiene che ci sia un’unica causa, la debolezza del fuoco digestivo, legata ad abitudini alimentari scorrette o ad associazione errata dei vari alimenti, lo stato di stress, ecc. I SEI STADI DELLA MALATTIA Gli antichi testi ayurvedici descrivono il processo della malattia in sei distinti stadi di evoluzione (sata kriyakala, la scala dei sei gradini). Le prime tre non sono visibili, mentre nelle successive tre fasi inizia la comparsa dei sintomi. Ogni stadio rappresenta una perdita di equilibrio consequenziale al precedente. La malattia non compare improvvisamente, ma si crea con anni di squilibrio e inosservanza. 1. II primo stadio della malattia è chiamato accumulo (sancaya) e comincia quando è presente uno squilibrio nei dosha. I dosha cominciano ad accumularsi nelle loro tipiche sedi: vata nel colon, nelle ossa e nelle cavità pelviche; pitta nell’ileo, nel fegato e nel sangue; kapha nello stomaco, nel torace e nelle secrezioni. I disturbi sono vaghi. 2. II secondo stadio, aggravamento (prakopa) è il segno che il dosha comincia ad uscir fuori dalla sua naturale sede. Si assiste ad un acuirsi dei sintomi. 3. Il terzo stadio, diffusione (prasara) è l'eccesso di dosha, che non riesce più a essere contenuto nella sua sede; a questo punto fuoriesce e, attraverso il sangue, si irradia nei vari tessuti (dathu). Durante questo stadio possono comparire una serie di sintomi in varie parti del corpo e in momenti diversi. 4. Il quarto stadio è conosciuto come trasferimento (shana samsraya). Questo è lo stadio in cui il dosha squilibrato si localizza in un luogo specifico e comincia a provocare sintomi più evidenti. 5. II quinto stadio è la manifestazione (vyakti), in cui il dosha in eccesso si è ormai localizzato e si può identificare come malattia specifica. 6. L'ultimo stadio è chiamato disgregazione (bheda) perché la malattia si manifesta in tutta la sua virulenza e intacca la salute dell'individuo. I medici moderni occidentali riescono a capire il tipo di malattia in quello che è considerato il quarto stadio ayurvedico; questo riduce di molto le possibilità di cogliere la malattia agli inizi. Il vantaggio della medicina ayurvedica è quindi evidente: si riesce a cogliere la malattia sin dalle sue prime manifestazioni evitando così che si possa aggravare ed iniziando il prima possibile una cura, in modo da aumentare notevolmente la possibilità di guarigione. LA VISITA MEDICA SECONDO L’AYURVEDA Lo scopo della visita ayurvedica è quello di definire la costituzione psicofisica del paziente (Prakriti), il suo stato ideale di salute, la natura dello squilibrio presente (Vikriti), al fine di costruire una sequenza logica fisiopatologica (Samprapti) su cui basare l’intervento terapeutico.
[55]
Un medico ayurvedico ricorre ad otto diversi metodi (ashtavida pariksha) per verificare nel modo più corretto possibile lo stato di salute del suo paziente. Il primo approccio che il medico ha con il paziente è visivo. Da uno sguardo generale, il medico ayurvedico esperto riconosce il tipo di dosha dominante del paziente. La pelle è il primo rivelatore del grado di salute: se questa si presenta liscia e luminosa significa che il paziente non ha gravi squilibri e che quindi non è in atto alcuna malattia di grave entità; se invece la pelle si presenta con macchie o di colore troppo pallido o troppo rosso, questo segno indica che qualche malattia si annida già nell’organismo del paziente. Il medico passerà quindi subito dopo all’esame del polso radiale (in sanscrito Nadi Vijana), che indica lo scorrimento del prana, e quindi dell’energia vitale, nel corpo dell’individuo. Il polso non dovrebbe essere sentito dopo uno sforzo, dei massaggi, aver mangiato, aver fatto il bagno o compiuto l’atto sessuale. Tecnica: il medico appoggia il dito indice a circa 1,5 cm dalla piega del polso a livello dell’osso radiale, con il dito medio e l’anulare vicini. L’indice controlla vata (l’aria corporea), il medio pitta (il fuoco), l’anulare kapha (l’acqua). Il dito mignolo serve a verificare la possibile presenza di spiriti maligni.
Il battito del vata è leggermente irregolare e debole, scivola come un serpente, e proprio per questa sua caratteristica viene chiamato “polso del serpente”. Con una pressione superficiale del dito indice sul polso destro il medico controlla l’attività dell’intestino crasso; quando viene esercitata una pressione più decisa e profonda, può essere percepita l’attività dei polmoni. Il dito indice che poggia superficialmente sul polso sinistro del paziente intercetta invece l’attività dell’intestino tenue, mentre il cuore è intercettato dalla pressione profonda.
Il battito del pitta è forte, regolare, rimbalza sotto le dita come il salto di una rana, e viene perciò chiamato “polso della rana”. Il dito medio che poggia sul polso destro può scoprire lo stato della cistifellea con un tocco superficiale, e del fegato con pressione più profonda. Con la pressione superficiale del dito medio sul polso sinistro, viene osservata l’attività dello stomaco, mentre la pressione profonda rivela lo stato della milza.
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Il battito del kapha è pieno, forte ed il suo movimento assomiglia al fluttuare di un cigno, perciò viene chiamato “polso del cigno”. Sul polso destro l’anulare percepisce il pericardio quando viene applicato superficialmente, mentre con un tocco profondo viene percepita l’armoniosa relazione di vata-pitta-kapha. Sul polso sinistro, l’anulare applicato superficialmente rivela la condizione della vescica, mentre la pressione profonda controlla il funzionamento dei reni. Se uno qualsiasi di questi battiti sembra anormale, il medico ayurveda riceve il suo primo segnale sul genere di situazione che egli è chiamato a curare. Il medico provvede quindi all’anamnesi, cioè
all’indagine
conoscitiva sui precedenti fisiologici e patologici, individuali e familiari, di un paziente, finalizzata alla diagnosi. - anamnesi familiare. Sono domande sui genitori e i nonni: il loro stato attuale di salute, le malattie che hanno avuto; se sono morti, a che età e per quale motivo. Ricordiamo che per l’Ayurveda e più in generale in India il credo della reincarnazione e del karma3 è assai radicato. Quindi ogni persona, oltre alla eredità genetica, ha un proprio Karma, cioè l’eredità cumulativa delle sue vite precedenti. - anamnesi personale. Sono una serie di domande finalizzate alla conoscenza dello stato di salute del paziente. Ha disturbi cronici? Ha mai subito gravi traumi? Segue una alimentazione confacente al proprio dosha? Fuma? Beve alcool? Il suo stile di vita (stress, lavoro)? Quale il suo comportamento sociale e di relazione? La sua attività sessuale? Ha comportamenti sessuali scorretti (ad esempio una relazione con altre donne)? Al termine di tutti i suddetti passaggi, il medico passerà a porre domande specifiche riguardanti il disturbo riferito. - L’esame fisico inizia quindi con l’ispezione: il medico analizza lo stato della pelle ed esamina le cosiddette nove porte del corpo (occhi, orecchie, narici, bocca, gola, ano, pene e vulva) e le loro secrezioni. Particolare
importanza
viene
data
all’ispezione della superficie della lingua: guardando
le
differenti
colorazioni
e/o
impronte di particolari aree, il medico ayurvedico
riceve
informazioni
sull’andamento del processo digestivo, e conseguentemente sullo stato funzionale degli organi interni. 3
Termine che, nella religione e filosofia indiana, indica il frutto delle azioni compiute da ogni vivente, che influisce sia sulla diversità della rinascita nella vita susseguente.
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Quando vata è in condizioni di squilibrio, la lingua si presenta asciutta, ruvida, screpolata, con piccoli taglietti; quando è alterato pitta la lingua sarà di colore rosso intenso con piccoli tagli o ulcere; la lingua è bianca, spessa e viscosa quando ad essere in squilibrio kapha. La palpazione inizia con la valutazione tattile dello stato termico della cute. Il corpo di una persona con malattie di tipo vata sarà freddo e ruvido, quello con malattie di tipo pitta si presenterà caldo, quello con alterazioni kapha sarà freddo ed untuoso. Il medico procede quindi al controllo delle secrezioni. Nei tempi antichi era prassi assaggiare i secreti del malato, ma questa pratica è stata fortunatamente abbandonata. Esame delle urine (taila bindu pariksha). Va fatto raccogliendo l’urina al mattino dopo l’emissione del primo mitto urinario. La si lascia riposare in un recipiente di vetro basso lontano da fonti di calore. Da un’altezza di 5-7 cm si lasci cadere una goccia di olio di sesamo.
Se la goccia galleggia e ondeggia sull’urina simile al movimento del serpente, vi è eccesso di vata; se si divide in piccole bolle, è elevato pitta; se rimane compatta, quasi isolata dall’urina, vi è eccesso di kapha. Anche osservando solo il colore dell’urina, il medico ayurvedico può aiutarsi nella diagnosi dello squilibrio dei dosha: un colore scuro-brunastro indica un disordine vata, uno scuro-giallastro uno squilibrio pitta; se le urine si presentano torbide e biancastre è presente un disordine kapha. Esame delle feci. Rivela lo stato di Agni e del processo digestivo. Se la digestione del cibo e l’assorbimento delle sostanze nutritive saranno normali, e quindi non è presente ama, le feci si presenteranno compatte e galleggeranno nell’acqua; se invece si presentano di consistenza e colore anomalo, ciò presuppone la presenza di ama e quindi il processo di inizio della malattia. Alla fine della visita, il medico porrà una sua diagnosi, ed instaurerà una terapia.
[58]
CAP. VI - LE TERAPIE NELLA MEDICINA AYURVEDICA Il passo successivo alla visita e alla diagnosi è di definire una cura adeguata, il cui scopo non è di sopprimere gli effetti della malattia, come avviene nella medicina occidentale, ma è piuttosto quello di riportare in armonia gli aspetti del corpo in stato di squilibrio, eliminando in tal maniera le cause della malattia. La medicina ayurvedica offre grande spazio alle procedure di purificazione del corpo, che vengono divise in due grandi gruppi, il primo di preparazione al secondo. Le due terapie sono rispettivamente il Purvakarma e il Panchakarma.
I.
PURVAKARMA
E’ costituito da una o più tecniche aventi la funzione di eliminare i Dosha in eccesso, ripulire l’organismo dalle tossine ma anche e aprire gli Srota, ovvero i canali circolatori. La pulizia degli Srota, inoltre, permette di offrire maggior nutrimento ai tessuti (anche quelli più in profondità) ed eliminare i prodotti di scarto per evitarne l'accumulo. Queste terapie permettono di proseguire con il trattamento di Panchakarma in condizioni ottimali. Le terapie realizzate in questa fase sono le seguenti:
Panchana, l’assunzione di cibi particolari che permettono l 'incremento della qualità degli enzimi. Un esempio concreto sono le tisane ayurvediche. Snehana, le tecniche di oleazione del corpo con unguenti e oli di diversa origine e qualità. Dhara e Vasti, l’applicazione di oli medicati sul capo, nel naso, sugli occhi e nelle orecchie. Svedana, l' induzione del corpo alla sudorazione tramite calore secco e umido.
Il Purvakarma dovrebbe protrarsi per circa 7 giorni.
PANCHANA Questa terapia si basa principalmente sugli infusi (tisane): attraverso una loro assunzione regolare si introducono
l’acqua (che è il primo elemento
purificante per l'organismo) e i vari principi attivi in essa disciolti, i quali facilitano e aiutano il corpo nelle sue
normali
funzioni:
depurativa,
detossicante,
diuretica, digestiva. La tisana ayurvedica giusta si sceglie in base al dosha dominante. Farò alcuni esempi. Soggetto Vata: il soggetto Vata, cioè “aria”, è spesso una persona dalla figura esile, la pelle secca e di carattere principalmente nervoso, agitato, ansioso e irrequieto. Questo soggetto ha bisogno di un infuso che gli doni calma e tranquillità, quindi fatto di erbe come la malva, la valeriana, l’iperico, la camomilla e il tiglio.
[59]
- Soggetto Pitta: una persona Pitta, cioè “fuoco”, è un soggetto impaziente, che perde facilmente la calma o si arrabbia spesso ed ha un eccessivo appetito. Perciò dovrà scegliere erbe rinfrescanti, toniche e stimolanti come anice, liquirizia, menta, sambuco, rosa canina e malva. - Soggetto Kapha: il soggetto Kapha è una persona pigra, lenta, apatica, insicura che spesso soffre di cattiva digestione e problemi a tutto l’apparato digerente spesso legati ad un’alimentazione non corretta. Un infuso Kapha è composto da erbe e spezie drenanti, depurative e toniche come lo zenzero, l’aneto, il rosmarino, l’issopo, il finocchio, tarassaco e carciofo. Queste erbe officinali stimolano anche il metabolismo.
SNEHANA Snehana è la terapia dell’oliare, ungere, lubrificare e carezzare il corpo.
Il flusso di vitalità amorevole che si riversa dall'operatore al paziente, unito al flusso di sostanze oleose, aiuta il corpo, la mente e lo spirito a ritrovare lo stato di equilibrio e di benessere.
Per la bocca e per tutto il corpo si può usare l’olio di sesamo. Per il corpo in alternativa a seconda del vostro dosha predominante potete usare: per pitta olio di semi di girasole o olio di cocco, per kapha olio di semi di girasole o olio di semi di senape. Per vata sempre olio di semi di sesamo. Ovviamente tutti vanno riscaldati prima di essere applicati. L’olio più utilizzato è l’olio di sesamo (detto anche l’oro dell’Ayurveda), ma sono anche utilizzati l’olio di mandorle dolci, di germe di grano, di girasole, di oliva. A volte è utilizzato un grasso di origine animale: il ghe, il burro chiarificato L’olio va sempre riscaldato (39-41 °C) in modo da essere più caldo della pelle. Il massaggio ha lo scopo di diffondere l’energia in tutto il corpo e di aumentare le difese immunitarie dell’organismo: in tal modo esso ha un’azione preventiva contro le malattie e di ringiovanimento dell’individuo. Il massaggio riveste anche un ruolo importante anche nei rapporti sessuali, come preparazione al piacere erotico. Vi sono più tipi di Snehana: a) Snehana karma E’ il vero e proprio massaggio terapeutico, dolce e circolare, in tutto il corpo, che ha lo scopo di favorire l’assorbimento degli oli medicati. Dopo il massaggio l’olio dovrà restare applicato al corpo per un tempo compreso tra 15 e 35 minuti, quindi il paziente dovrà fare un bagno di vapore alle erbe per 2040 minuti. b) Udhara Abhyanga E’ un
massaggio
solo
all’addome, un’area
molto
importante perché in essa troviamo la maggior parte degli organi più importanti del nostro corpo. Nell’addome
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risiede il “secondo cervello” e tante patologie legate ai disturbi emotivi vengono somatizzate proprio nella pancia. Il massaggio all’addome con olio medicato caldo migliora il funzionamento degli organi interni, favorisce la peristalsi, previene i dolori mestruali e il gonfiore. c) Garshana Abhyanga E’ un tipo di massaggio eseguito sul corpo con guanti di seta grezza, seguito da un trattamento con olio alle erbe. Generalmente, prevede che vengano realizzate frizioni vigorose
con
movimenti
alternati
e
lunghi
in
corrispondenza di gambe e braccia, e massaggi con movimenti circolari
in corrispondenza di articolazioni
(spalle, polsi e ginocchia). La
frizione
(garshana)
con
i
guanti
aumenta
la
circolazione, aumenta il drenaggio dei liquidi, pulisce la pelle e stimola la rimozione delle tossine accumulate. Regola in particolar modo Kapha e Vata.
DHARA Sono terapie con flussi di oli. a) Shirodhara Per questo tipo di terapia la persona è distesa su uno speciale lettino in legno (droni).
Un vaso pieno di olio medicamentoso e caldo (o altre sostanze erbalizzate) con un forellino alla base è sospeso sulla testa della persona: da esso quindi scende un sottile flusso di olio sulla fronte tra le sopracciglia. L’olio viene quindi spalmato delicatamente sui capelli per 30-40 minuti. Questa pratica è molto efficace nella cura dell’insonnia, dell’emicrania, dell’epilessia e dell’amnesia.
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b) Karnapurana E’ un trattamento specifico per le orecchie con instillazione di olio medicato caldo. Migliora l’udito, allevia gli acufeni. E’ usato per dolori e tensioni di collo e testa e rigidità della mandibola.
VASTI Sono trattamenti consistenti in bagni con olio caldo (abitualmente di sesamo). All’olio si possono aggiungere degli oli essenziali specifici, in relazione allo squilibrio da trattare. Questo tipo di trattamento viene sempre eseguito dopo il massaggio ayurvedico. Tecnica: dopo aver fatto un impasto con la farina di ceci e di grano duro, si crea, con la pasta, una sorta di cerchio con un bordo alto facendolo aderire perfettamente alla zona di trattamento. A preparazione conclusa, si verserà l'olio caldo fino a riempire la sacca.
L'olio viene lasciato per circa 20 minuti cambiandolo di tanto in tanto affinché la temperatura rimanga costantemente calda.
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SWEDANA Una delle metodiche ayurvediche più adottate per purificare il corpo è da sempre stato lo Swedana, il bagno di vapore. Lo scopo principale della Swedana è quello di dilatare gli srota o canali del corpo che sono tra l’altro la via di trasporto delle tossine e degli ama: quando i canali si dilatano in modo naturale si produce sudore, e quindi si eliminano le tossine. Prima procedere con la Swedana viene praticato un massaggio specifico su tutto il corpo, della durata di circa 1 ora. Subito dopo il massaggio, la persona verrà sdraiata sul lettino e le si appoggerà sopra al corpo una cupola di tessuto che lascerà scoperto il collo e il viso. La cupola verrà saturata di vapore per permettere una sauna totale del corpo. Il bagno di vapore può anche essere arricchito con l’aggiunta di oli essenziali e si conclude con un massaggio rilassante. A differenza del classico bagno di vapore, la testa non viene sottoposta, né all’azione del calore, né al vapore. Secondo l’Ayurveda infatti la testa dovrebbe essere sempre mantenuta fresca.
Altri tipi di massaggi sono:
UDVARTANA
L’Udvartana è una tecnica particolare di massaggio nella quale la pelle di tutto il corpo viene strofinata con polveri di erbe diverse, producendo calore e energia.
Il massaggio udvartana, diversamente da quello con gli oli, è molto energico e le polveri che vengono usate vengono precedentemente ben riscaldate. L’Udvartana è il trattamento ayurvedico di elezione per riequilibrare il dosha Kapha (le cui qualità sono freddo, umido, statico, untuoso, lento).
PINDA Trattamento di applicazione del calore sul corpo tramite sacchettini di cotone (Pinda) contenenti un mix di oli essenziali o polveri erbali. Favorisce la stimolazione della circolazione sanguigna e del sistema
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linfatico, il rilassamento dei muscoli e del sistema nervoso, la eliminazione delle tossine. Equilibra in particolar modo Kapha e Vata.
II. PANCHAKARMA Pilastro centrale della terapia è il Panchakarma, letteralmente significa cinque azioni, un trattamento di purificazione e disintossicazione del corpo attraverso le seguenti pratiche:
-
Vamana:
purificazione
dell'apparato
digestivo
attraverso l'induzione del vomito - Virechana: purificazione dell'apparato digestivo attraverso l'induzione della purga - Nasya: purificazione della testa e delle vie respiratorie attraverso l'insufflazione nasale di sostanze medicate - Vasti: purificazione dell'apparato digestivo attraverso la somministrazione di clistere - Raktamoksha: purificazione del sistema circolatorio attraverso sistemi di ricircolo del sangue. Panchakarma significa “cinque azioni”. Si tratta di cinque trattamenti di “pulizia” profonda quelle che, secondo l’Ayurveda, ogni persona, dovrebbe compiere, almeno una volta all’anno, per disintossicare in maniera profonda il corpo eliminando gli accumuli di tossine. Il Panchakarma restituisce il normale stato di energia e salute, riequilibra e rafforza il funzionamento dei sistemi corporei, soprattutto i sistemi nervoso, endocrino, metabolico, immunitario. Viene usato per le persone sane allo scopo di eliminare le scorie che si formano a seguito dei normali processi metabolici anche in condizioni di salute, dieta e stile di vita adeguati. Si usa inoltre per curare malattie specifiche e poiché elimina definitivamente le tossine e lo squilibrio dei dosha che sono la causa delle malattie, in certi casi si possono trattare con successo malattie considerate difficilmente curabili o incurabili. Secondo la millenaria tradizione vedica, il Panchakarma durava ben 45 giorni.
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Questa tecnica stimola i tre dosha nelle loro sedi principali (lo stomaco per kapha, l’intestino tenue per pitta, l’intestino crasso per vata) in modo da ottenere in modo più celere l’eliminazione delle sostanze di scarto. Vi è una fase preparatoria (purva karma) nella quale il paziente inizia ad assumere dosi crescenti di sostanze untuose come il burro chiarificato, esegue massaggi, e pratica saune per favorire la sudorazione: in tal modo le tossine si riversano negli srota e sono pronte ad essere eliminate. La prima fase terapeutica è:
Vamana (vomito terapeutico). Agisce sul dosha kapha. La pianta che viene abitualmente utilizzata è la Madana (nome scientifico: Randia dumetorm), che viene miscelata con liquirizia, calamo e miele. L’effetto emetico compare dopo pochi minuti. La ripresa dell’alimentazione sarà graduale e leggera. Vamana è controindicata nei bambini, negli anziani debilitati, a chi soffre di disturbi gastrici.
Trascorsi almeno tre giorni dalla terapia emetica si passa alla fase successiva:
Virechana (purga terapeutica). Si elimina l’eccesso di pitta e kapha. La pianta che viene abitualmente usata è la Tvirt [nome scientifico: Ipomea turphetum]; la pianta è molto diffusa nel continente indiano. La purga viene assunta dopo 4-6 ore dal sorgere del sole, e l’effetto si manifesta dopo pochi minuti. Viene eliminato per primo il materiale fecale liquido, poi il muco e infine una sostanza biliare dal caratteristico colore giallastro (identificato nel pitta in eccesso). Dopo il trattamento il paziente deve osservare un periodo di riposo e una dieta leggera. Solo dopo 9 giorni potrà affrontare la fase successiva del trattamento:
Basti (clistere terapeutico): con questa procedura si immette direttamente nel colon una mistura di oli e decotti vegetali onde favorire l’eliminazione di vata. Il colon è l’organo principale che assorbe i nutrimenti ed è connesso agli altri organi e tessuti, così pulendo e tonificando il colon l’intero sistema viene ringiovanito e curato. Va somministrato dopo circa 4-6 ore dall’assunzione dell’ultimo pasto, preferibilmente la mattina presto o la sera. Si utilizza un decotto denominato dashmula (le dieci radici), mescolato a brodo o un particolare vino medicinale, olio di sesamo, miele e salgemma. La quantità del composto non deve superare il mezzo litro e deve essere riscaldata a vapore (mai a fuoco diretto!); non deve contenere grumi.
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Dopo avere immesso il beccuccio del clistere nell’ano, si fa scorrere il liquido che deve rimanere in situ almeno mezz’ora. Dopo il Basti, il paziente deve riposare, può bere acqua tiepida; la dieta successiva sarà molto leggera, ricca di verdure.
Nasya (purificazione del naso). Il naso ha l’importante compito di immettere nel nostro organismo, con l’inspirazione, il prana, cioè il soffio vitale
del
cosmo,
e
di
emettere
attraverso l’espirazione le tossine e le impurità del nostro organismo. Questa terapia di purificazione consiste nella somministrazione per via nasale di oli e polveri medicate,
o liquidi per
istillazione o in forma di polvere o per inalazione di fumi.
Rakta-moksha (salasso). Può essere fatto con flebotomia
o
mediante l’applicazione di sanguisughe. Il salasso va fatto subito prima dell’inverno e la quantità totale non deve superare i 300 cc di sangue.
III. ESERCIZIO FISICO Oltre all’attività fisica di base (camminare, ecc.) l’Ayurveda consiglia in modo particolare la pratica dello Yoga. Lo scopo principale non è (come in Occidente con l’aerobica, il jogging, ecc.) di raggiungere una buona forma fisica e di mantenerla, quanto piuttosto di equilibrare i centri di energia del corpo, e di portare il corpo, la mente e lo spirito in armonia.
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IV. LE PIANTE MEDICINALI Nei testi antichi (quali il Charaka Samhita) sono citate oltre 600 piante medicinali. Secondo l’Ayurveda non c’è nulla in natura che non possa essere utilizzato come rimedio, purché se ne conoscano profondamente le proprietà e se ne faccia un uso appropriato. Non troveremo prodotti di origine animale: secondo l’Ayurveda l’atto di uccidere qualsiasi forma di vita animale (quindi anche l’uomo) è ritenuto un crimine che causerà sofferenza al Karma dell’uccisore. Per tale motivo le cure mediche ayurvediche sono sempre vegetariane. La
medicina
ayurvedica
attribuisce
un’enorme
importanza al modo con cui le piante vengono coltivate, raccolte e preparate. Prescrive che il terreno
di
coltivazione
sia
lontano
da
luoghi
considerati impuri, quali cimiteri, macelli, luoghi frequentati da grandi folle (come i templi); il terreno inoltre
non
deve
presentare
buchi,
fenditure,
formicai, e preferibilmente dovrebbe essere situato nelle vicinanze di un corso d’acqua. Le piante devono essere colte nella stagione giusta da persone esperte nel taglio degli arbusti, in modo da non deturpare la pianta e non farla soffrire (secondo l’Ayurveda anche i vegetali provano sentimenti e sensazioni come il dolore). Ogni farmaco vegetale ayurvedico deve essere associato ad un eccipiente per favorirne un più rapido assorbimento: quello più utilizzato è il miele, utilizzati anche i succhi di frutta, il burro, lo zucchero non raffinato, il brodo. E’ impossibile elencare tutte le piante ayurvediche, citerò solo le più usate.
Triphala (“i tre frutti”): è una combinazione di tre piante medicinali:
- Amla, (o Amalaki, o Uva spina indiana, o Ribes indiano). Nome scientifico: Emblica officinalis. Presente in molti culti e leggende della religione Indù, l'Emblica è esaltata come simbolo di longevità, concessa al genere umano dagli dei. Ha la proprietà di regolare il dosha pitta. La parte di pianta dotata di proprietà medicinali è rappresentata dal frutto, ricchissimo di vitamina C, flavonoidi, e polifenoli (sostanze quindi con proprietà antiossidante, e quindi antinvecchiamento). L'Emblica è indicata per varie problematiche a carico dell'apparato respiratorio, come tosse con catarro, bronchite, asma, malattie da raffreddamento e influenzali, per difficoltà gastrointestinali quali dispepsia, acidità e bruciore di stomaco, gastrite e ulcera, inappetenza, infiammazioni intestinali, stipsi, emorroidi. L'Emblica è utilizzata anche in ambito cosmetico come rinforzante e tonico dei capelli, sotto forma di polvere impastata con acqua fino a ottenere un impacco che, applicato sui capelli e sulla cute, li nutre e li rinforza stimolandone la crescita e ritardandone la caduta. In
campo
dermatologico
si
attribuiscono
all'Emblica
proprietà
antinvecchiamento cutaneo e schiarenti delle macchie cutanee.
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Haritaki. Nome scientifico: Terminalia chebula. Presenta azione regolatrice sui dosha, soprattutto vata E’ considera la pianta più sacra della regione himalayana. Viene raffigurata tra le mani del Buddha della Medicina, ed è anche la pianta sacra del Dio Shiva. L”Haritaki, all’interno del Triphala, è la pianta a maggiore potere lassativo; perciò gli individui che soffrono di stipsi ostinata possono assumerlo sia da solo che in quantità notevoli. Presenta anche un’azione antispastica.
Bibithaki. Nome scientifico: Terminalia belerica. Regola in particolare il dosha kapha. Il suo frutto ancora acerbo ha proprietà lassative, consumato dopo l’essiccazione è un ottimo antidiarroico.
Aloe vera. Nome scientifico: Aloe barbadensis Dalle foglie della pianta si estrae un succo denso, che contiene numerosissimi immunostimolanti,
principi
attivi
antinfiammatorie
dalle
proprietà
(specialmente
nelle
forme cutanee, quali scottature o ferite), depurative, nutrienti, remineralizzanti. Le molteplici virtù sembrano essere il frutto di un'azione sinergica di questi composti, che la rendono a tutti gli effetti, "pianta dell'immortalità" e "regina di tutti i rimedi".
Moringa. Nome scientifico: Moringa Oleifera. E’ conosciuta anche con il nome di “albero del rafano” che deve questo suo appellativo al forte odore di rafano sprigionato dalle radici. Gli alberi del genere Moringa sono conosciuti da tempo come alberi dei miracoli, o alberi della vita, la pianta che non muore mai e di lei non si butta via niente. Tutte le parti dell’albero sono commestibili, dalle radici alle foglie, quindi fondamentale per prevenire malattie e malnutrizione.
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In questa immagine in basso le proprietà della pianta, conosciute dalla medicina ayurvedica da migliaia di anni.
V. I MINERALI La terapia con minerali è più tarda, fu introdotta in India solo 2000 anni fa. Il minerale, prima di essere usato, va sottoposto a speciali tecniche di purificazione: dopo essere stato ridotto in sottili lastre, viene scaldato a temperature molto elevate e poi immerso nell’urina di vacca o nella farina di riso o nell’olio di sesamo o nel latte. Subisce quindi ulteriori trasformazioni chimiche che lo riduce a piccolissime particelle (bhasma). Il bhasma mischiato al miele, viene assunto per via sublinguale. I minerali più usati sono il mercurio, la mica, il ferro, l’argento il rame; molto usato l’oro che neutralizza gli effetti dei veleni ed aumenta la potenza sessuale.
VI. TERAPIE DI ORIGINE ANIMALE Come già detto prima, per l’induismo è vietato uccidere gli esseri viventi anche per scopo terapeutico, e quindi non esistono terapie di origine animale, con qualche eccezione che però non comporta il sacrificio dell’animale. Nella religione Indù vengono venerati molti animali ma ce ne è uno che raggiunge la massima sacralità: la Gau mata o “madre mucca” o mucca sacra. Portata in processione, decorata durante le feste, ne è vietata la macellazione. A differenza di molte altre specie animali, la mucca non rappresenta solo una divinità ma simboleggia la protezione, la prosperità, la maternità.
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Un re di nome Vena era così malvagio che il saggio dovette ucciderlo. Siccome era senza eredi, i saggi gli strizzarono il polso destro e nacque Prithu. Anni dopo ci fu una grande carestia e il re Prithu armato di arco e frecce costrinse la terra a nutrire il suo popolo. La terra prese le sembianze della vacca e lo implorò di risparmiarla, in cambio del latte con cui poteva sfamare tutto il suo popolo. E da allora la vacca si munge, ma non si uccide.
Con il passare dei secoli, in particolare nei primi secoli d.C., la mucca assunse un ulteriore significato: rappresentava il regalo più adatto per i Brahmani (capi religiosi) e iniziò a prendere piede la credenza che uccidere una mucca equivalesse all’uccisione del sacerdote
La mucca in India è considerata l’incarnazione terrena di Kamadhenu (chiamata anche Surabhi). È la dea di tutte le mucche e viene spesso raffigurata con la testa femminile, il seno, le ali di aquila e la coda del pavone.
Altre volte viene raffigurata con un corpo contenente altre divinità e ciascuna parte del corpo simboleggia le sacralità induiste: le gambe sono le sacre scritture Veda, le corna rappresentano la trinità trimurti Brahma, Vishnu e Shiva, gli occhi sono gli dei Sole e Luna, le spalle rappresentano Agni e Vayu, rispettivamente dio del fuoco e dio del vento, gli stinchi rappresentano l’Himalaya.
Nella farmacopea indiana vi sono delle sostanze che derivano dalla vacca:
Burro chiarificato o ghee (pronuncia ghi). Il burro chiarificato è totalmente differente dal burro di uso comune: si tratta di un grasso puro, per cui a differenza del burro normale sono state eliminate due componenti importanti: la caseina e l’acqua. Questa lavorazione ne permette la conservazione a lungo termine. Si presenta come un prodotto molto morbido.
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Il burro chiarificato è una vera e propria medicina. Nei paesi orientali si dice che più è vecchio, più è in grado di curare malattie anche importanti. Negli antichi testi dei Rishi si legge: “Shastham dhismrutimedhagnibalau shukrachakshusham”, cioè che può essere adoperato in oltre cento modi se lo si usa correttamente. Secondo l’Ayurveda, il ghee è un potente Rasayana (che promuove la longevità) in grado di agire sul midollo e sul tessuto nervoso; aiuta a disintossicare l’organismo e a migliorare il nutrimento del sangue; per uso esterno si usa per guarire le ferite (meglio se insieme alla curcuma), per le infiammazioni, i problemi alle articolazioni. Viene prescritto anche nei disturbi dell’infertilità, nei problemi mentali-emozionali e del sistema nervoso. Viene anche sfruttato come veicolo per l’assunzione di rimedi naturali
Sin dall’antichità in India si dice che tutto ciò che proviene dalla vacca è sacro, compresi l’urina e lo sterco. Dell’urinoterapia con la propria urina ho già parlato a pag. 35. L’urina di mucca (go mūtra) è considerata
dagli induisti -
concentrati soprattutto ad Agra, nello Stato dell’Uttar Pradesh - un rimedio contro ogni tipo di malattia, dal diabete all'artrite, passando per l'asma e il cancro. L’urina di mucca viene utilizzata anche come disinfettante negli uffici pubblici al posto dei prodotti industriali chimici che vengono comunemente utilizzati per le pulizie. Nelle zone rurali una mistura di sterco e acqua è passata sui pavimenti come insetticida e disinfettante; lo sterco di mucca è raccolto in piccoli pani circolari essiccato ed utilizzato come combustibile; all’urina sono attribuite virtù mediche e viene data da bere alle puerpere. Alcuni rituali di purificazione includono il bagnarsi con urina di mucca e, secondo il rituale indù il mezzo più efficace di purificazione è l’assunzione del panchagavya “le cinque mucche” che contiene i cinque prodotti puri che la vacca fornisce: latte, burro chiarificato ghi, cagliata (una sorta di yogurt), sterco e urina di mucca.
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CAP. VII. SQUILIBRIO DEI DOSHA E PRINCIPI DI TERAPIA SPECIFICA La salute è vista come l’equilibrio trai Dosha, mentre la malattia e considerata come uno squilibrio degli stessi; in questo caso l’Ayurveda ristabilisce l’equilibrio rafforzando il Dosha carente e regolando il Dosha in eccesso. L’Ayurveda classifica 80 malattie di tipo vata, 40 di tipo pitta e solo 20 di tipo kapha. SQUILIBRIO DI VATA Le principali malattie di tipo vata sono la maggior parte dei disturbi nervosi, mal di testa, insonnia, paralisi, epilessia, stipsi, artrite, osteoporosi, demenze tipo morbo di Alzheimer. L’eccesso di vata può provocare peso, soffrire di dolori penetranti o spasmi, rigidità, intorpidimento, “scricchiolio” delle articolazioni, pelle secca, disidratazione, gusto astringente in bocca, colorazione scura della pelle e dei prodotti di scarto escreti dal corpo, vertigini, insonnia. Una carenza di vata può far sentire pigri e indolenti; in modo più estremo, si può soffrire di confusione, delirio e perdita di coscienza. Dal punto di vista mentale, poiché i tipi vata hanno un naturale impeto creativo, un eccesso di vata può rendere sempre più impauriti, ansiosi, nervosi, solitari e depressi. Una carenza di vata può invece creare mancanza di entusiasmo o desiderio di esprimersi. La natura leggera, eccentrica e stravagante di questo dosha sta a significare che i tipi vata devono guardarsi da situazioni, luoghi e persone che li facciano sentire insicuri e spaventati. Vata è riequilibrato dal riposo, dalla regolarità, dal calore e dal massaggio con olio caldo. SQUILIBRIO DI PITTA Le malattie di tipo pitta comprendono gli stati febbrili, gli stati infiammatori, i disturbi a fegato e colecisti, le ulcere, le malattie della pelle Un incremento di pitta può provocare un’avversione al calore, un sapore amaro o acido in bocca, diarrea, colorazioni giallastre, verdi o rosse a livello di occhi, pelle e prodotti di scarto escreti dal corpo. Si può soffrire di acidità di stomaco, pressione alta, febbre, eruzioni cutanee, vampate e svenimenti. Una carenza di pitta vede un aumento dei segnali riconducibili a vata e kapha, cattiva digestione, pallore e senso di freddo. Gli squilibri di pitta tendono ad aumentare all’inizio della pubertà e a proseguire negli anni seguenti, sfociando in acne, irregolarità mestruali e ormonali, iperacidità, problemi cardiaci e infiammazioni. A livello emozionale, uno squilibrio di pitta si manifesta sotto forma di collera, frustrazione e irritazione, spesso il risultato di emozioni represse. I soggetti sono pronti a giudicare gli altri ma sommessamente
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sono molto severi nei confronti di se stessi. Essendo estremamente competitivi sono spesso tormentati dalla gelosia. Per equilibrare la natura “intensa” di pitta, è da ricercare il fresco, la tranquillità, la calma, pacatezza, compassione e moderazione, evitando spezie e alcool. SQUILIBRIO DI KAPHA Le malattie di tipo kapha comprendono le malattie dell’apparato respiratorio (sinusite, asma, bronchite, ecc.), le infiammazioni ghiandolari, i disturbi renali, i tumori. Le problematiche kapha, come tosse e otiti, spesso si manifestano durante l’infanzia, nel periodo di crescita I segnali che indicano un eccesso di kapha sono muco e salivazione troppo abbondanti con spurgo di muco appiccicoso (flemma), tosse grassa, prurito, infreddolimento, pesantezza, ristagno, congestione, tumori, cisti, dolori lievi ma persistenti, edema, digestione lenta, eccessivo desiderio di dormire, sapore dolce e salato in bocca, feci bianche e solide. Un eccesso di kapha provoca problemi cardiaci, diabete, colesterolo alto o sovrappeso. Una carenza di kapha darà luogo a un incremento di segnali vata, ad esempio giunture scricchiolanti, secchezza, vertigini e perdita di peso. Dal punto di vista mentale, gli individui kapha possono essere avide e possessive. Per riequilibrare kapha è necessario il caldo, il piccante, l’attività e l’esercizio fisico.
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