Giuseppe Ragusa
LEZIONI DI STORIA DELLA MEDICINA VOLUME 2
LA MEDICINA DELL’ANTICA MESOPOTAMIA
LEZIONI DI STORIA DELLA MEDICINA Pubblicazione on-line ad argomento storico-medico Coordinatore editoriale: Giuseppe Ragusa
- La Medicina dell’antica Mesopotamia -
Lezioni del Corso di Storia della Medicina svolte dal dr. Giuseppe Ragusa presso l’Università della Terza Età di Mogliano Veneto (TV)
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© 2020
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INDICE CAPITOLO I – TRA STORIA E LEGGENDA 1. L’antica Mesopotamia [pag.4] 2. Cosmogonia e malattie [pag. 6] 3. Siamo figli delle stelle manipolati geneticamente? [pag. 14] 4. Appendice: Iconografia “aliena” [pag. 22]
CAPITOLO II- LA MEDICINA MESOPOTAMICA 1. Concetto di malattia [pag. 26] 2. Le fonti storiche [pag. 26] 3. Tecniche di divinazione [pag. 27] 4. La classe medica [pag. 28] 5. Le malattie [pag. 30] 6. Diagnosi e prognosi delle malattie [pag. 31] 7. Le terapie [pag. 32] 8. La Chirurgia [pag. 36] 9. La Odontoiatria [pag. 38] 10. La Ginecologia [pag. 38] 11. L’Oculistica [pag. 39] 12. L’Igiene [pag. 40] 13. La Magia [pag. 40]
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CAP. I – TRA STORIA E LEGGENDE 1 - L’ANTICA MESOPOTAMIA La Mesopotamia (cioè “in mezzo ai fiumi”, conosciuta anche come “mezzaluna fertile”) è quella regione che corrisponde pressappoco all'odierno Iraq. Essa era compresa tra i fiumi Tigri (1950 km) ed Eufrate (2760 km), che scendono dai monti del Tauro e corrono paralleli per unirsi vicino alla foce nel Golfo Persico. Entrambi i fiumi sono lunghi e ricchi di acqua e scorrono in una regione semidesertica o desertica:
hanno
perciò
una
grande
importanza per la vita delle popolazioni dell’area. La loro importanza storica è però più generale: in Mesopotamia sono state trovate le più antiche tracce di coltivazione intenzionale della terra – cioè dell’agricoltura – e qui si sono costituite, in conseguenza, le più antiche città e si sono formati, per quello che ne sappiamo, i più antichi Stati della storia. A differenza della civiltà Egizia che, nonostante le numerose influenze esterne dovute a conquiste e invasioni, riuscì a mantenere un’unità culturale costante per quasi cinquemila anni, quella della Mesopotamia, cresciuta intorno ai due principali fiumi, fu un insieme di razze e culture che succedettero le une alle altre (anche per un breve periodo), fino alla comparsa sulla scena della potenza persiana. Dal punto di vista cronologico, le civiltà furono, in ordine, i Sumeri, gli Accadi, i Babilonesi gli Assiri, e infine ancora i Babilonesi, il cui impero si concluse con la dominazione persiana (circa 3500 a.C.- 539 a.C., caduta di Babilonia ad opera dei Persiani). La molteplicità delle civiltà mesopotamiche non ha impedito che esse siano state tra le principali e più evolute civiltà umane, caratterizzate dall'utilizzo di una delle prime forme di scrittura, detta cuneiforme, cosiddetta perché si eseguiva con uno stilo, imprimendo sull'argilla particolari segni composti da brevi incisioni a forma piramidale e appuntita, che possono ricordare dei chiodini o dei cunei.
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[Scrittura cuneiforme]
Oltre ai cunei, venivano incise anche figure pittoriche: una tecnica consisteva nella creazione di un rullo di pietra minerale (in genere alabastro) che veniva inciso con figure e lettere e fatto scorrere su una tavoletta d’argilla. Nelle foto tre esemplari di sigilli:
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2 – COSMOGONIA E MALATTIE Da questo sovrapporsi ed intersecarsi di civiltà e culture ci si aspetterebbe che la religione abbia potuto subire dei cambiamenti o trasformazioni: in realtà ciò che risulta più affascinante della storia mesopotamica è che in tutto questo andirivieni di popoli e civiltà, l’unico filo conduttore costante è stata invece proprio la religione, rimasta immutata - con un minimo indispensabile di variabilità - per quattro millenni fino alla caduta dell’impero Babilonese. Per gli antichi popoli mesopotamici l’uomo si trova sulla Terra con il solo ed unico scopo di servire gli dèi, dai quali dipende la sua vita. La malattia è intesa un evento causato dalla divinità in conseguenza di colpe commesse dal malato, o di sortilegi o della semplice volontà di uno spirito negativo. La religione mesopotamica era politeista. I Sette supremi. Gli dèi erano costituiti in un’assemblea, presieduta da An, dio del cielo, composta dai Sette Supremi, di cui facevano parte i quattro principali dèi creatori che erano - oltre An - Enlil, Enki e Ninhursag; la seconda triade astrale era formata da Inanna, Utu e Nanna; infine la componevano 50 dèi minori, chiamati "grandi dei", o Igigi.
An, dio del Cielo, re degli dei e degli uomini
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Enlil, dio dell’aria e del vento
Enki, dio dell’acqua, con i fiumi Tigri e Eufrate che sgorgano dalle sue spalle. Ai suoi piedi la capra, suo animale simbolo.
Ninhursag/Ki, dea che simboleggiava la Terra e Madre di tutti gli uomini. La dea impastò l'argilla per plasmare sette copie di sé stessa da porre alla sua sinistra (donne) e sette, invece, alla sua destra (uomini). Enunciando una serie di incantesimi animò le immagini. Le donne sumere la invocavano durante il parto in quanto protettrice delle nascite.
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Dopo i quattro dèi creatori, i sette supremi erano rappresentati da una triade astrale: Inanna: è la più importante divinità femminile del pantheon mesopotamico Era la dea dell’amore, della bellezza e della fecondità (per questo motivo venne assimilata alla babilonese Isthar, alla greca Afrodite e alla romana Venere), ma allo stesso tempo era associata alla guerra e all’amore sessuale. La mitologia la descrive infine come guaritrice, donatrice di vita e compositrice di canzoni e poesie. Originariamente (3500 a.C.) Inanna veniva rappresentata come una sorta di grande-madre, una dea di fertilità della terra, coi fianchi molto larghi e i seni prosperosi, ad indicare la sua importanza come simbolo di vita e divinità della fecondità. Successivamente,
con
l’avanzare
di
nuove
ideologie
di
tipo
patriarcale, ella assunse il ruolo di dea sensuale e tentatrice d’uomini, acquisendo la duplice natura di divinità benevola e vendicatrice. Patrona di tutte le emozioni quali amore, gelosia, gioia, dolore, timidezza ed esibizionismo, fino alla passione, l’ambizione e la generosità, Inanna fu eternamente giovane, dinamica, fiera, sensuale e libera.
Shamash/Utu (dio del sole): il suo compito era quello di mantenere l’ordine morale.
Sin/Nanna, dio della luna. Aveva la barba fatta di lapislazzuli e cavalcava un toro alato. Veniva anche rappresentato come una falce di luna.
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Gli Igigi Rappresentano un gruppo di divinità “inferiori” al servizio degli Anunnaki. Si ribellarono perché costretti ad un lavoro duro e faticoso nelle miniere ad estrarre l’oro e costrinsero le divinità “superiori” a creare l’uomo.
Altre divinità connesse al mondo della medicina sono:
Gula (o Bau) era la dea della guarigione e della fertilità, sotto la cui protezione lavorava il medico. Nel periodo paleo-babilonese venne identificata con la dea guaritrice Ninsinna (quest'ultimo termine significa "Signora di Isin", poiché ella aveva i suoi templi, di cui uno chiamato "casa della vita", nell'antica città sumerica di Isin dove il medico doveva fare tirocinio) e con la dea dell'amore Inanna. Gli inni a questa dea la rappresentano come un medico che portava con sé piante medicinali, una borsa di pelle, un coltello e un bisturi; i testi letterari sumerici sottolineano che era in grado di curare persino gli storpi. Così il suo inno: "Io sono il medico, posso salvare la vita./ Io porto ogni erba, scaccio la malattia./ Io sono cinta della sacca contenente gli incantesimi che danno il vigore./ Io porto i testi che fanno stare bene/ Io do salute alla razza umana./ Le mie bende pulite leniscono le ferite./ Le mie morbide fasciature alleviano le sofferenze”. Ella rivolgeva i propri incantesimi alla malattia come se questa fosse un essere vivente.
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Scavi recenti hanno portato alla luce il complesso dei templi di Isin, dove sono state trovate le ossa di più di 30 cani: sia i testi sia le raffigurazioni iconografiche collegano il cane con Gula. Sono state trovate anche statuette di argilla raffiguranti parti del corpo umano, probabilmente alcuni dei rarissimi esemplari di ex voto scoperti in Mesopotamia.
Ninazu,
dio
degli
inferi
e
della
guarigione, protettore dei medici. Nell’icona lo si vede reggere nella mano dx il caduceo, che quindi non sarebbe una “invenzione” dei greci.
Inizialmente fu il dio del cielo An a sostenere il ruolo di dio principale, ma poco alla volta venne, nell'immaginario collettivo, sostituito da Enlil, il dio dell'aria. Non si sa con certezza quale fu il processo che lo portò ad essere il dio più importante del pantheon sumerico, ma si suppone che il motivo possa essere la sua identificazione con "il soffio", il "principio" vitale che dà al mondo vita e lo mantiene in costante divenire. Gli dèi risiedevano in un non ben precisato luogo al di sopra della Montagna Cosmica, "nel luogo dove spunta il sole". Con l’avvento della civiltà babilonese nel XVII secolo a.C. a Babilonia durante il regno del sovrano Hammurabi, il ruolo di padre degli dèi fu preso da Marduk, figlio di Enki e di Ninhursag. Nell’iconografia è solitamente rappresentato in coppia al mostruoso drago-serpente Mushussu. Marduk era considerato creatore dell'universo e dell'ordine civile; era una
divinità
polioftalmica
(gli
erano
attribuiti
quattro
occhi),
determinava i destini degli uomini, guidava i re nelle cerimonie importanti, era misericordioso, possedeva facoltà magiche e presiedeva
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agli esorcismi. Il Mushussu è un ibrido mitologico: è un drago squamoso con zampe posteriori che ricordano gli artigli di un'aquila, zampe anteriori feline, un lungo collo, una testa cornuta con una cresta, una lingua simile a un serpente, e una lunga coda.
[Mushussu raffigurato sulla porta Ishtar ricostruita della città di Babilonia]
I demoni. Accanto alle divinità esistevano principalmente due tipi di demoni: - Spiriti di esseri umani defunti (Ekimmu). Erano spiriti di defunti che, invece di discendere nell'Ade, vagavano senza meta sulla Terra, incapaci di trovare riposo. Potevano tormentare i viventi se un corpo non era stato adeguatamente sepolto o se i parenti non avevano effettuato le adeguate offerte commemorative. Avevano la particolare potestà di giovare o nuocere agli uomini. In alcuni casi, uno spirito di un amico o di una persona cara poteva rivelarsi ostile dopo la morte; in altri casi, essi erano alcune volte amichevoli e altre no, senza alcuna giustificazione per le loro azioni.
[Gli Ekimmu]
- Spiriti sovrannaturali. Erano spiriti più simili agli dei, che non erano mai stati umani in alcuna fase della loro esistenza: anch’essi potevano essere amichevoli o ostili. Questi demoni vagavano in luoghi nascosti o remoti, come le tombe, le cime delle montagne e nell'ombra delle rovine. Uscivano di notte, entravano nelle case attraverso buchi o crepe e torturavano le loro vittime. Si riteneva che lo spirito entrasse nel corpo attraverso le orecchie e, infatti, i problemi alla testa erano considerati sintomi di questa condizione. Le conseguenze della "mano" di uno spirito colpivano principalmente la testa e il collo, procurando vertigini, febbre e altro ancora. Erano responsabili per qualsiasi cosa malvagia che accadesse, dai venti distruttivi e le febbri pestilenziali fino ai mal di testa, alle piccole liti, all'odio e alla gelosia. Tra i demoni più conosciuti:
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Lilith è un demone femminile notturno (spesso raffigurata come una civetta) associato al vento e alla tempesta. Porta con sé malattia, pestilenza e morte con un battito d’ali. E’ raffigurata nella forma di donna uccello, così come molte altre figure femminili a metà tra il mondo umano e quello demonico. Lilith possiede lunghi e folti capelli (simbolo di sensualità e fertilità) di colore rosso (la
lussuria
senza
controllo),
seni
formosi,
ali
multicolori, pube ben visibile, artigli di un rapace. E’ attorniata da civette, messaggeri notturni, e doma dei leoni. Severa e sensuale, impugna simbolici strumenti di giustizia con cui misurare la rettitudine dei mortali e determinarne il fato.
[Rilievo Burney, verosimile raffigurazione di Lilith (British Museum, Londra)]
Lilith era fonte di grande pericolo per i bambini di sesso maschile, che rapiva i bambini piccoli o ne succhia via il respiro; provocava le eiaculazioni notturne negli adolescenti per cibarsi della loro energia sessuale e del loro sperma. Nei loro letti, poi, generava demoni. Lilith era conosciuta anche nella cultura ebraica. Secondo gli ebrei, Lilith era la prima moglie di Adamo, nata non come Eva da una costola dell’uomo, ma creata da Dio anch’essa con la polvere e l'argilla: per questo Lilith si considerava alla pari dell'uomo.
[Filippino Lippi: Adamo assieme al figlio Seth e a Lilith con corpo di serpente attorcigliata all'albero della conoscenza del bene e del male. Cappella di Filippo Strozzi, Chiesa S. Maria Novella, Firenze. 1502] Quando Adamo cercò di sottometterla con la forza, poiché lei non voleva stendersi sotto di lui durante i rapporti sessuali, Lilith se ne andò via, oltre i confini dell’Eden, laddove dimoravano gli angeli caduti dopo la battaglia celeste condotta da Lucifero. Lilith lo trovò e lo scelse come compagno. Dalla loro unione nacquero altri demoni. Ovviamente Dio invitò Lilith a tornare da Adamo, ma lei non accettò e così tre angeli dovettero sterminare tutti i suoi figli. Proprio per questo si crede ancora oggi - anche in diverse credenze, non solo
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quella cristiana - che Lilith uccida i bambini nella culla per tormentare gli uomini. Questa sua vicenda la associò all’idea della donna adultera e lussuriosa. Le sue forme e la connotazione sensuale e sessuale la avvicinano all’antica dea Ishtar (Astarte o Inanna), divinità dell’amore e della guerra che spesso recava le sembianze di donna uccello.
Lamashtu era un demone femminile apportatrice di febbre, molto temuta da Babilonesi e Assiri. Nelle sue scorribande non risparmiava nessuno, né uomini, né animali, né abitazioni. Viene definita come figlia di Anu, da lui stesso cacciata sulla Terra a causa della sua insopportabile e disgustosa malvagità. La sua influenza nefasta viene descritta anche nei testi medici accadici: "Se un neonato al seno di sua madre trema di paura e non smette di piangere la figlia di Anu lo ha prescelto".
La sua descrizione nei testi è particolareggiata ed inquietante: presenta un volto pallido e la testa simile a quella di un leone, il corpo peloso, i denti e le orecchie di un asino ed il membro (?) di pantera. Ha testa di leone e denti asinini; urla e ruggisce come una fiera. Tiene serpenti nelle mani, mentre i suoi seni nudi sono costantemente morsi da un cane nero e da un maiale. Le zampe da uccello vantavano tremendi artigli. E’ a cavallo di un asinello. Questo terribile demone aggrediva le donne interrompendone la gravidanza o uccidendone i neonati, come riportano alcuni scongiuri: "attacca sette volte l'addome della partoriente ed uccide il bambino".
Quando prendeva i bambini, rosicchiava le loro ossa e
beveva il loro sangue
[Placca di bronzo, protettrice contro Lamashtu]
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Lamassu
era
il
compagno
di
Lamashtu, anche se talvolta viene rappresentato in forme femminili. A differenza della sua compagna, era un’entità benevola e protettiva. Spesso raffigurato con il corpo di toro o di leone e con la testa umana, veniva ingressi
posizionato dei
palazzi,
davanti affinché
agli lì
proteggesse.
Rabishu (o Rabisu). Sono spiriti malvagi vampiri o demoni che minacciano sempre l'ingresso delle case e si nascondono in angoli bui, in agguato per attaccare le persone. Si attaccavano al cuoio capelluto ed erano responsabili delle malattie della pelle. Si diceva che il sale marino puro potesse combatterli poiché il sale rappresenta la vita incorruttibile (il sale conserva e la vita è nata per la prima volta dal mare). Attaccano le anime appena arrivate agli Inferi.
Pazuzu, rappresentato con corpo ricoperto di scaglie e testa di uomo, ma con corna e con muso di leone o cane, zampe da rapace per piedi e zampe di leone per mani, due paia di ali e coda di scorpione. Ha generalmente un braccio rivolto verso il basso e l'altro verso l'alto in segno di aggressione. Inoltre, ha il pene eretto e con testa di serpente.
Era il più terribile di tutte le entità demoniache, avente il potere di spargere malattie pestilenziali con il suo solo alito.
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Questo demone poteva essere neutralizzato con incantesimi, che consentivano di allontanare anche gli altri demoni. Per questo motivo le donne usavano portare al collo un amuleto con l'effigie di Pazuzu quando erano in stato interessante. Altri demoni erano: Kubû, feto abortito che vaga alla ricerca di un altro asilo uterino; Akhazu ("colui che afferra") era responsabile dell'itterizia; Shulak, un demone in agguato nell'acqua sporca, infliggeva percosse; Lugal-urra, "il signore del tetto", era il demone dell'epilessia; Gallu: si diceva prendesse la forma di un toro e circolasse per le strade durante la notte.
3- SIAMO FIGLI DELLE STELLE MANIPOLATI GENETICAMENTE? Lo studio della cosmogonia delle civiltà mesopotamiche è importante nella Storia della Medicina di questi popoli non solo perché vediamo il binomio divinità (o demone)/malattie assai stretto, ma anche perché – secondo alcune interpretazioni – potremmo trovarci di fronte al primo caso conosciuto di manipolazione genetica umana! Ripercorriamone la storia. Nel 1840, durante uno scavo della biblica città di Ninive, un team guidato da Austen Henry Layard scoprì le rovine dell’antica biblioteca assira di Assurbanipal. Una delle più importanti scoperte fatte durante lo scavo è stata una serie di tavolette cuneiformi chiamate Enûma Eliš, meglio conosciuta come “Le sette tavole della creazione”. Da anni fa molto discutere l’interpretazione che di queste tavole ha fatto lo scrittore serbo Zecharia Sitchin (19102010) [nella foto]: egli era un esperto di civiltà sumera, tanto da essere uno dei pochi studiosi in grado di poter decifrare le iscrizioni scritte nei caratteri cosiddetti "cuneiformi" che ricoprono bassorilievi e le tavolette di argilla ritrovate in tutto il Medio Oriente. Sitchin tradusse i testi sumerici e nei suoi libri evidenziò le somiglianze tra i miti religiosi sumeri, greci e cristiani. La sua visione è semplice ma sconvolgente: i testi sacri dei popoli antichi non sono una creazione fantastica, ma una confusa memoria di fatti realmente avvenuti! Nel 1976 Sitchin pubblicò una sua personale ed originale teoria (che però è priva di riscontri e non suffragata da alcuna base scientifica), che racconterebbero la storia di un gruppo di dèi chiamati Anunnaki scesi dal cielo sulla Terra dove avrebbero creato (attraverso un processo di manipolazione genetica) la razza umana, che avrebbe pertanto nel proprio DNA una parte del corredo genetico di questi esseri extraterrestri. Io riporto questa teoria non per una convinzione personale ma solo per completezza didattica.
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Secondo l’interpretazione data da Sitchin a queste tavole, gli Anunnaki proverrebbero da Nibiru (nei testi sumeri e in quelli babilonesi: Marduk), un pianeta nascosto del nostro sistema solare che ha un’orbita ellittica simile a quella delle comete, e che transita tra Marte e Giove ogni 3.600 anni.
Sitchin afferma anche che tra Marte e Giove si sarebbe trovato anticamente un pianeta che i Sumeri chiamavano Tiamat, che sarebbe stato dapprima colpito da una delle 7 lune di Nibiru, spezzandosi in due. Una di queste due porzioni sarebbe poi diventata la Terra e sarebbe stata spinta nell'attuale posizione da un altro impatto con una luna di Nibiru. In seguito l'altra metĂ , colpita da Nibiru stesso, avrebbe dato vita alla fascia degli asteroidi. I restanti detriti dell'impatto avrebbero dato origine alle comete. La collisione tra Tiamat e Nibiru spiegherebbe, secondo Sitchin, la disposizione delle terre emerse. La presenza di un grande oceano che occupa metĂ del globo terrestre (l'Oceano Pacifico) sarebbe, secondo lo studioso, spiegata dal fatto che l'acqua del pianeta Tiamat si sarebbe concentrata in massima parte nella voragine dovuta alla collisione. Secondo Sitchin, su Nibiru abitava una razza tecnologicamente avanzata e simile a quella umana: questi esseri erano chiamati Anunnaki dalla mitologia sumera.
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Gli Anunnaki (termine che tradotto letteralmente significa “Coloro che dal cielo sono scesi sulla Terra”) erano raffigurati con un aspetto simile al nostro, ma erano giganti (la statura superava i 3 metri) ed erano intellettualmente molto evoluti. Anche la Bibbia li menzionerebbe con il nome di Nephilim o Elohim: l’interpretazione è molto controversa, secondo una delle interpretazioni essi sarebbero degli angeli decaduti, o comunque degli esseri giganti che ebbero rapporti sessuali con le donne terrestri, ritenute molto belle, e avrebbero riprodotto altri esseri. Secondo Sitchin gli Anunnaki sarebbero arrivati sulla Terra 450.000 anni fa in cerca di oro perché questo metallo era indispensabile per creare una sorta di effetto serra sul loro pianeta: polverizzato e diffuso nell’atmosfera avrebbe rallentato il processo di progressivo raffreddamento che Nibiru stava subendo.
[Tavoletta sumerica: in alto a dx alcuni hanno visto l’i
agi e di u
dis o vola te, suffraga do l’ipotesi
dell’origi e extraterrestre degli Anunnaki]
Esiste un antico sigillo cilindrico sumero, che si ritiene abbia circa 4.500 anni, e che sembra raffigurare il nostro Sole insieme a dodici pianeti all’interno del nostro Sistema Solare: chiamato VA/243, è un sigillo accadico del III millennio a.C., oggi conservato al Vorderasiatische Abteilung del Museo di Stato di Berlino.
Osservando con attenzione il sigillo, si nota, oltre alle tre figure (il dio Anu, assiso sul trono, e altri due non identificati), una stella circondata da undici piccoli cerchi di varie dimensioni. Secondo Zecharia Sitchin, la stella rappresenta il Sole mentre gli undici tondi sono i nove pianeti classici, la nostra Luna, e il misterioso Pianeta X, conosciuto con il nome di Nibiru.
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[1. Urano, 2. Saturno, 3. Giove, 4. Nibiru, 5. Marte, 6.Mercurio, 7.Plutone, 8. Luna, 9. Terra, 10. Venere, 11. Nettuno. 12. Sole.] Il disegno della stella rappresenterebbe il sistema solare com’era poco dopo la sua formazione, prima che la catastrofe cosmica dello scontro tra Nibiru e Tiamat ne modificasse la configurazione. Sitchin descrive il sigillo come “una vera e propria lezione di astronomia, sostenuta dal principale dio sumero Anu, agli uomini e ai suoi scribi”. Ai nostri giorni, gli astronomi - sulla base di apparenti discrepanze nell'orbita di Nettuno - non escludono che possa effettivamente esistere un altro pianeta del sistema solare, detto Pianeta X (o Pianeta 9), un pianeta ipotetico al di là di Nettuno e di Plutone, quest’ultimo negli anni scorsi declassato a pianeta nano. La X non va intesa come dieci in numeri romani, bensì come incognita. Prima di andare oltre nella narrazione, riflettiamo su questa cronologia: 1. VA/243: sigillo accadico del III millennio a.C. 2. Rivoluzione copernicana: 1543 3. Scoperta Urano: Sir William Herschel nel 1781 4. Scoperta di Nettuno: John Couch Adams nel 1846 5. Scoperta di Plutone: Clyde Tombaugh nel 1930 6. Scoperta (teorica) pianeta nove (o X): Mike Brown, 2015 Come è possibile che gli antichi Sumeri conoscessero il nostro sistema solare completo nel 3 ° millennio a.C.? Non solo, ma come hanno fatto a sapere le loro dimensioni approssimative? Dove i Sumeri hanno ottenuto questa conoscenza? Secondo la teoria di Sitchin, circa 450.000 anni fa, quando Nibiru giunse nel punto della sua orbita più vicino alla Terra, gli Anunnaki scesero sul nostro pianeta in gruppi di 50 (fino a raggiungere il numero complessivo di 600, per un totale finale dunque di 12 gruppi) e costruirono la loro prima base a E.din, un avamposto situato all’estremo Sud della Mesopotamia e il cui nome significherebbe “casa del mondo lontano” o “casa lontano da casa”.
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Il comandante dell’intera spedizione era Anu, il Sovrano assoluto che risiedeva su Nibiru. La direzione operativa venne affidata in un primo tempo a uno dei suoi due figli, Enki, cui si affiancò e poi lo sostituì, il fratello Enlil. Questo passaggio di comando avvenne quando Enki assunse il controllo delle operazioni di scavo nelle miniere d’oro situate nel Sud dell’Africa, nel territorio che corrisponderebbe all’attuale Zimbabwe. Ad adempiere ai lavori di estrazione del prezioso metallo erano deputati gli Igigi, divinità di classe inferiore. 150.000 anni dopo il loro arrivo sulla terra, gli Igigi, stanchi di continuare il loro gravoso lavoro, si ribellarono contro la loro situazione, e fecero capire, anche con lotte e minacce contro lo stesso Enki, che era il momento di creare altri esseri che facessero il loro lavoro.
[La ribellione degli Igigi. Tavoletta sumerica]
Grazie alle capacità scientifiche degli Anunnaki anche in campo genetico, Enki decise quindi di manipolare una razza di ominidi presente sulla Terra (verosimilmente gli Homo erectus) per creare una nuova razza adatta allo scopo. Il suo progetto fu realizzato in collaborazione con Ninhursagm, la sua sposa. Come descritto ampiamente e con dovizia di particolari dalle tavolette sumero-accadiche, furono eseguiti diversi esperimenti prima di raggiungere il successo: sono descritti almeno sette tentativi andati male (aborti, mostruosità, menomazioni e mutazioni). Infine, una loro scienziata biologa chiamata Nin-Mah impiantò il 40% del loro DNA nell'Homo Erectus, ed il risultato di questa manipolazione fu l'Homo Sapiens: la nuova creatura fu chiamata Lulu, cioè “il mescolato, il misto”, il prodotto di una commistione di patrimoni genetica; i nuovi esseri usciti dai laboratori genetici furono detti Adamos, cioè "uomini servi", una razza di lavoratori resistenti, e intelligenti quel tanto che bastava perché comprendessero le necessità e gli ordini dei loro creatori/padroni.
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Tutto questo sarebbe avvenuto circa 300.000 anni fa a nord dello Zimbabwe e, a quanto si sa, è proprio intorno a quell’epoca e in quella parte dell’Africa Orientale che i paleoantropologi farebbero risalire la comparsa dell’Homo sapiens.
[Gli Adamos davanti a Enki, seduto sul trono]
[Gli A u
aki, o l’Al ero della vita
(simbolo del DNA?)]
Questa operazione genetica spiegherebbe il così detto "anello mancante" nella evoluzione dell’uomo moderno: il salto evolutivo dell’Homo Sapiens rispetto all’Homo Erectus, sarebbe un salto troppo veloce rispetto alle leggi dell’evoluzione della specie. Trascorsero migliaia di anni terrestri durante il quale furono creati un numero elevato di ibridi, maschi e femmine, che portavano una particolare capigliatura nera. Sotto la guida degli Anunnaki, secondo l'interpretazione che Sitchin dà dei testi sumerici, gli uomini avrebbero fondato la civiltà in Mesopotamia, in Egitto e in India. Concludendo la teoria di Sitchin, la testimonianza dell’arrivo di questi esseri esiste e ci viene fornita dai Sumeri mentre non esiste alcuna documentazione di ritorno di costoro al Pianeta d’origine, il che lascia pensare allo studioso che questi rimasero e vivono ancora oggi fra noi terrestri in forme diverse, non visibili secondo il nostro metro, ma sicuramente capaci di influenzare le nostre civiltà secondo i loro scopi.
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[Statuine di Babilonesi. Il re è rappresentato in forma di gigantismo]
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APPENDICE: ICONOGRAFIA “ALIENA” 1. La pigna Nelle incisioni o i rilievi in cui sono rappresentati gli Anunnaki osserviamo degli elementi che hanno dato adito a discussioni. Nell’immagine a sinistra vediamo il dio Enki stringere in mano una pigna: secondo
molti
indicherebbe
studiosi
la
la
ghiandola
pigna pineale
(epifisi), quella che molti identificano nel terzo
occhio:
in
essa
sarebbero
depositate la maggior parte delle abilità psichiche, come la chiaroveggenza, la visione a distanza o la telepatia. Gli Anunnaki
sapevano
come
stimolare
questa ghiandola ad estrarre tutto il suo potenziale.
2. La borsetta misteriosa degli dèi Gli Anunnaki sono spesso raffigurati con una borsetta in mano. Secondo Sitchin e altri autori, sarebbe il contenitore in cui gli Anunnaki avevano depositato la cosiddetta "Acqua della vita", qualcosa come una banca di geni da usare nei loro esperimenti di genetica.
Quello che ha dato molto da pensare che la stessa borsetta la troviamo anche in raffigurazioni appartenenti ad altre civiltà, ad esempio in quella dei Maya o in quella degli Olmechi in America centrale.
[22]
3. La croce Il pianeta Nibiru, nella scrittura sumerica, è simboleggiato da una croce, che vediamo appesa al collo di molti Anunnaki, a testimonianza della loro origine.
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4. L’atomica
In un rilievo notiamo l’immagine di quello ordigno
che
potrebbe
nucleare
essere e
un
accanto
l’esplosione a fungo) di una bomba atomica. Domanda: i Sumeri conoscevano la energia nucleare?
5. Gli “orologi” spaziali In più raffigurazioni troviamo al polso degli Anunnaki degli oggetti che secondo
molti
studiosi
sarebbero
orologi spaziali.
6. L’uomo rettile della Mesopotamia Nel sito archeologico di Al Ubaid, nell’area mesopotamica, sono state ritrovati numerosi manufatti presumeri che risalgono a circa 7 mila anni fa, molti dei quali rappresentano enigmatici umanoidi con chiari lineamenti rettili.
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Come per i Sumeri, anche l'origine del popolo Ubaidiano è sconosciuta. Essi vivevano in grandi insediamenti costituiti di case di mattoni di fango, sviluppando l'architettura, l'agricoltura e l'allevamento del bestiame. Lo scavo ha portato alla luce diverse figurine maschili e femminili in diverse posture e nella maggior parte dei casi sembra che indossino una sorta di casco e che abbiano un qualche tipo di imbottitura sulle spalle. Altre figurine reggono una sorta di scettro, forse un simbolo regale e di potere. Il fatto piÚ curioso è che i lineamenti dei volti delle statuine hanno sembianze rettili, con lunghe teste, occhi a mandorla e il naso molto simile a quello delle lucertole. Tra le statuine piÚ strane ci sono alcune figurine femminili che reggono in braccio un lattante con le sembianze di una lucertola. Cosa o chi esse rappresentino esattamente è del tutto ignoto ai ricercatori. Secondo alcuni archeologi, le posture, come quella che rappresenta l'allattamento al seno femminile, non suggeriscono che si tratti di oggetti rituali.
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CAPITOLO II – LA MEDICINA MESOPOTAMICA 1. IL CONCETTO DI MALATTIA La malattia era considerata un evento sovrannaturale determinato da una punizione divina nei confronti dell’uomo, il quale aveva commesso una colpa o un peccato (adulterio, incesto, sacrilegio ecc.) che aveva fatto adirare la divinità: per questo motivo veniva chiamata shêrtu, che significa anche peccato, impurità morale, ira divina e castigo. La malattia poteva essere causata anche da un sortilegio (filtro magico o formula malefica) di cui il malato era stato vittima. Infine poteva anche essere dovuta alla natura malefica di qualche demone vagante e sempre in cerca di una preda. I testi medici parlano frequentemente della "mano" di uno spirito o anche di "presa" e "tocco" da parte di esso: ciò significa che una persona poteva essere perseguitata dagli spiriti dei morti di cui non ci si era presi cura in modo adeguato, per esempio di coloro che erano annegati o bruciati. I Babilonesi seguivano un sistema nosologico, basato sull’associazione tra configurazioni di sintomi localizzati a livello di diversi organi ai nomi degli dèi responsabili di provocarli. Conferivano quindi alle malattie i nomi degli dei: al capezzale del malato il medico proferiva l’invocazione “mano di” Ishtar, o Shamash o Ea, ecc. per denunciare una determinata presenza occulta nel corpo di un malato. Altre malattie venivano identificate con nomi specifici: l’epilessia veniva chiamata bennu (termine che indica sintomi convulsivi dato che si trova associato anche con manifestazioni febbrili ricorrenti, caratteristiche verosimilmente di infezioni malariche). Se alla fine dell’anamnesi da parte del medico, veniva scartata l’eventualità della possessione da parte di forze occulte, le cause a cui ci si rivolgeva erano il freddo, il secco, le polveri sollevate dai venti o i miasmi esalati dalle paludi.
2. LE FONTI DELLE SCIENZE MEDICHE Alle prime dinastie di Ur (2563-2387 a.C. circa) e Lagash (2494-2342 a.C. circa) si fanno risalire i più antichi testi medici e le prime farmacopee, contenenti informazioni su preparati di origine essenzialmente vegetale.
[Alcune steli provenienti dalla Biblioteca di Asurbanipal] Quel che noi sappiamo della medicina mesopotamica, lo troviamo nelle circa mille tavolette cuneiformi ad argomento medico ritrovate dagli archeologi: di esse 660 provengono dalla biblioteca di Asurbanipal (sono conservate al British Museum) e circa 420 provenienti da diversi siti, tra cui la casa privata di un medico pratico di Assur nell’età neoassira.
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I rinvenimenti coprono un’area molto vasta che comprende anche l’Elam e l’Anatolia, sintomo di una esportazione di quella che era la tradizione medica mesopotamica. Parlando invece di datazione, questo genere di documentazione copre un arco temporale assai esteso: difatti le ricette più antiche risalgono addirittura al XXI secolo a.C., mentre le più recenti sono fatte risalire al III secolo a.C.. La maggior parte delle tavolette riportano prescrizioni, mentre alcune contengono riferimenti incrociati e sembrano organizzate in “trattati”. Il più esteso di questi trattati consiste di 40 tavolette, datate intorno al 1600 a.C., che sono state tradotte e pubblicate in epoca moderna con il titolo di Trattato accadico di prognosi e diagnosi mediche. Il trattato è organizzato secondo un ordine che procede dalla testa ai piedi, con sottosezioni dedicate ai disturbi convulsivi, alla ginecologia e alla pediatria. Nonostante la traduzione riecheggi in qualche modo una sorta di formulario magico, in realtà le descrizioni rivelano una spiccata capacità di osservazione e propongono solitamente soluzioni astute dei problemi descritti. Quasi tutte le malattie che ci aspettiamo di trovare sono presenti nel trattato e la maggior parte dei trattamenti descritti nei testi sono sensati e razionali. Non esistono però rappresentazioni figurative né studi di materiale scheletrico.
3. TECNICHE DI DIVINAZIONE
I Sumeri furono i primi a praticare l’Aruspicina, l’arte di prevedere il futuro dall’esame dei visceri degli animali sacrificati agli dei; anche i loro successori, Assiri e Babilonesi, usarono questa tecnica divinatoria. L’arte aruspicina avveniva nei templi, in uno spazio sacro dove era raffigurata la volta celeste, suddivisa in 16 settori, ognuno dei quali costituiva la sede di una divinità diversa. L’aruspice dapprima scriveva i suoi quesiti su di una tavoletta d'argilla, in cui chiedeva agli dèi di scrivere la risposta sul fegato di un animale; quindi il suo assistente sgozzava l’animale scelto per il sacrificio (abitualmente una pecora o un vitello). L’aruspice osservava i visceri, la loggia epatica (il "palazzo
del
fegato"),
asportava
l'organo
e
l'ispezionava accuratamente: la superficie, i lobi, le vie biliari, la colecisti, le arterie, le vene superficiali. L’aruspice studiava i segni particolari come cicatrici o altre anomalie, e confrontava l'organo con un modello d'argilla per capire a quale settore del cielo corrispondesse. Identificata la divinità che aveva mandato quel segno sotto forma di patologia, cercava di capirne il significato per intervenire. L’immagine qui a lato mostra il celeberrimo modello in argilla di fegato di pecora (Babilonia, metà del I millennio a.C.), conservato al British Museum di Londra.
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Il modello porta i nomi delle varie parti dell'organo e il loro significato nell'interpretazione dei presagi. Le parti sono contrassegnate con "destra" e "sinistra", dove destra è generalmente favorevole e "sinistra" sfavorevole. Con l'aiuto di questo modello, il veggente poteva scoprire cosa veniva predetto dal fegato dell’animale sacrificato. Il razionale di questa pratica era in sostanza questo: il dio si identifica con l'anima dell’animale sacrificato, ed è i possibile leggere le sue intenzioni nel fegato dell'animale, essendo quest'organo così ricco di sangue da costituire il centro della vita e dell'anima. Altri metodi di divinazione erano:
Lecanomanzia: l'indovino versava olio nell'acqua, l’interpretazione variava "se l'olio diventa scuro a destra/sinistra" o "se si scioglie verso destra/sinistra".
Libanomanzia: divinazione per mezzo del fumo proveniente da un incensiere, "se il fumo, quando lo disperdi, sale verso destra ma non verso sinistra" oppure "se il fumo, quando lo disperdi, sale verso sinistra ma non verso destra".
Cromatomanzia. Si basava sul colore dell'oggetto in esame: il colore della formica che varca la soglia di una casa, o quello di un'eclissi di Luna, il colore della gola di una persona malata o quello di un cane che urina addosso a qualcuno. Le diagnosi mediche seguivano lo stesso principio, poiché i sintomi osservati sul lato destro o su quello sinistro erano rispettivamente meno gravi o più gravi: "Se l'orecchio destro di un uomo è macchiato, la malattia è grave ma guarirà, mentre se a essere macchiato è l'orecchio sinistro egli è in pericolo".
4. LA CLASSE MEDICA Sin dal periodo delle prime dinastie sumeriche, l’esercizio della medicina fu sempre di natura teocratica ed era affidato a tre gruppi di medici/sacerdoti: - Il Baru: era un medico-indovino, che esercitava la divinazione ed era incaricato dell'interrogatorio rituale: si occupava di diagnosticare la natura del disturbo, e in particolare se l’origine fosse dovuta a qualche trasgressione o peccato da parte del paziente. - L’Ashipu
(esorcista): è una figura che si
colloca a metà strada tra magia e medicina. Alle incombenze più strettamente magiche, come il recitare incantesimi contro spiriti e forze demoniache e la partecipazione al culto sacramentale e ai rituali del tempio, l’Ashipu univa l’esercizio dell’arte medica, praticata attraverso l’osservazione e la disamina dei sintomi del paziente, tanto in prima persona, quanto attraverso la ricostruzione della sua “storia clinica”. Osservando i segni, e in base alla sua pratica empirica, era in grado di riconoscere la vera natura della malattia e ne formulava la prognosi: il paziente guarirà (iballut) o morirà (imât).
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La vita o la morte: ciò lo rendeva, agli occhi del popolo assiro-babilonese, l'autorità sanitaria suprema. Alla corte reale, l’esorcista occupava un posto di assoluto rilievo, era annoverato tra i notabili del regno e incaricato del compito di consigliere personale del sovrano e di precettore del principe ereditario. La formazione dell’Ashipu prevedeva un alto livello di specializzazione. Oltre a formulare diagnosi e prognosi, l’Ashipu era anche un terapeuta: egli prescriveva esorcismi al posto oppure assieme alle cure mediche. Già nei più antichi testi sumerici, databili intorno al 2500 a.C., sono state trovate brevi descrizioni di rituali, praticati anche attraverso l'uso di formule magiche, contro la puntura dello scorpione e il morso del serpente, oppure contro le coliche, o per facilitare i parti. Anche la cura dell’impotenza rientrava nel campo della magia - L’Asu (guaritore): era il medico vero e proprio, colui che trattava il paziente; praticava la medicina empirica e somministrava i farmaci. Egli sceglieva le piante, curava gli ascessi, fasciava le ferite; con se aveva una borsa con gli strumenti, era pagato per le sue prestazioni chirurgiche e che era responsabile personalmente dei risultati. - A queste figure mediche si affiancava il Gallubu, chirurgo barbiere di casta inferiore che incarna la figura del barbiere medioevale europeo: il Gallupu effettuava semplici operazioni chirurgiche, come le estrazioni di denti, il drenaggio di ascessi, le flebotomie per i salassi. Il lavoro del medico e quello dell'esorcista erano complementari: se un metodo non era efficace ci si rivolgeva all'altro; in una lettera assira, per esempio, è richiesta la presenza di "un esorcista e un medico perché eseguano insieme il rituale". Tra le due professioni non vi erano contrasti né competizione, anzi ai molti trattamenti con i farmaci seguivano rituali magici. Il medico non trattava i casi senza speranza, quelli in cui l'esorcista prevedeva che "il paziente sarebbe morto". I sacerdoti-medici erano incaricati anche di eseguire “operazioni” chirurgiche, quali ad esempio una delle primissime chirurgie estetiche per il naso aquilino, considerato un requisito di fascino: l’intervento consisteva in un innesto osseo. Le scuole. Per diventare medici bisognava studiare nelle scuole annesse ai templi. Nel XVIII secolo a.C., il secolo di Hammurabi, a Nippur fiorisce un’importante scuola medica sotto gli auspici di una dea della salute, Gula. Molti medici provenienti da questa scuola divennero famosi e ricchissimi, e venivano anche chiamati a consulto dai Paesi vicini. Il simbolo della medicina era il caducèo, portato dal dio Ningischdiza, Signore dei Medici, identico a quello dei Greci. Secondo la leggenda sumera, il serpente attorcigliato al bastone aveva mangiato la pianta del vivere eterno, perdendo immediatamente la pelle e riacquistando il suo aspetto giovanile. Il serpente era quindi simbolo di rigenerazione e di guarigione da ogni male.
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5. LE MALATTIE I Sumeri ritenevano che la sede dell'intelletto fosse nel cuore, che la sede essenziale della vita risiedesse nel sangue e che l'organo centrale della circolazione fosse il fegato, Nei testi pervenutici non esiste alcun sistema di classificazione delle malattie, ma solo un lungo elenco: febbri, peste (mutanu), epilessia (bennu), malattie della pelle, dei denti, degli occhi, delle orecchie, del cuore, ittero e reumatismo, il morbillo, il colera, la dissenteria, l'epatite infettiva e la lebbra; vi sono anche descrizioni accurate di malattie come tubercolosi, gastrite, le emorroidi, i calcoli biliari, il colpo apoplettico, l’otite, malattie dell’apparato urinario. Molto frequenti erano anche le malattie trasmesse da insetti, che infuriavano durante i mesi della caldissima estate. Le stesse mosche dominavano dovunque, passeggiando indisturbate nelle narici, sulle labbra, sui cibi e sulle stoviglie, e provocando affezioni intestinali e oculari. L'aspetto di mosca del demone Nergal [nel riquadro] dio delle pestilenze, deporrebbe per il fatto che già a quel tempo si aveva nozione che alcune malattie sono trasmesse dagli insetti. Un gruppo molto ampio di malattie era quello che includeva le indisposizioni provocate dal "calore del sole", soprattutto le febbri. Anche le malattie veneree erano molto comuni, grazie all’elevata diffusione di rapporti sessuali di ogni tipo: perciò conseguenze come la blenorragia erano ben note e portarono alla creazione e all’uso di cateteri di bronzo, detti “upu”, letteralmente “chiave”. Nei testi si presta inoltre attenzione al "grande dolore" (malinconia). Alcuni incantesimi danno un'idea di come venisse immaginata la malattia da scacciare: questi componimenti sono, di fatto, delle poesie e molti di essi sono presenti nelle moderne antologie di letteratura mesopotamica.
La difterite, malattia che colpisce soprattutto il tratto respiratorio, era così descritta: "Forte è la sua presa. Come un leone essa ha afferrato l'ugola, come un lupo ha afferrato la gola. Ha afferrato la morbida [guancia], la lingua. Si è insediato nella trachea. Vattene, o difterite!"
I processi gastrointestinali a volte erano raffigurati come quelli che avvenivano nei recipienti in cui si faceva fermentare la birra; a proposito della costipazione, per esempio, si affermava: "Gli intestini sono malati, ricoperti come in una cassa. Come acqua in un fiume essi non sanno dove andare, come acqua in un
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pozzo non hanno modo di fluire. Sono ricoperti come un tino per la fermentazione, cibo e acqua non possono entrarvi". I testi riguardanti la vita quotidiana testimoniano la frequenza di malattie ai piedi, che erano contratte anche solamente camminando nell'acqua sporca, proibita. Si diceva che un re fosse morto per il "morso di una calzatura". Una particolare attenzione alle epidemie che infestavano il paese. Numerosi testi dimostrano che le pestilenze devastavano le città, purtroppo ci è impossibile identificarle; l'epidemia più frequente, spesso menzionata nei testi letterari con il nome di'u, potrebbe essere stata la malaria. Le epidemie nelle metafore erano rappresentate come un dio che "mangia" il paese ‒ e generalmente erano attribuite a Nergal‒ oppure si credeva che la popolazione fosse stata "toccata" da qualche demone maligno. I popoli mesopotamici conoscevano (e temevano) il contagio ed adoperavano l’isolamento. Alcune lettere provenienti dalla città di Mari recano le istruzioni per isolare una donna malata che viveva in un harem: "Nessuno beva dalla sua tazza, nessuno si sieda dove si è seduta; nessuno usi il suo letto". Un'altra donna era tenuta rinchiusa in una stanza perché si riteneva fosse meglio che morisse soltanto lei piuttosto che tutte le altre. In caso di epidemie, oltre la preghiera e i sacrifici, l'unica cosa da fare in questi casi era afferrare un piede della divinità; forse in questo modo la "mano del dio sarebbe giunta a riposare" e a questo sarebbe seguita la purificazione della città.
6- DIAGNOSI E PROGNOSI DELLE MALATTIE Come avveniva le diagnosi della malattia? La prima cosa che doveva fare il medico era stabilire quale era, tra gli dèi o tra i circa 6000 demoni, quello che causava il problema. Il medico interrogava il paziente per sapere se nel corso della sua vita e nella storia della sua famiglia fosse stato commesso qualche crimine che potesse essere stata l’origine della malattia/espiazione. Anche in caso di evidenti cause naturali, quali le ferite e i colpi di sole, il morso di un serpente o la puntura di uno scorpione, il malato si chiedeva immediatamente "perché questo sta accadendo a me?" e cercava una spiegazione a livello metafisico che lo conduceva, come Giobbe nella Bibbia, a considerazioni di tipo religioso. Al di là di una causa naturale, quindi, ve n'era comunque un'altra legata all'intervento di un'autorità superiore. Ecco perché anche le anche le cause naturali potevano essere curati con la magia. Un corpo estraneo nell'occhio era rimosso tramite un incantesimo che recitava "Cadi come una stella, crolla come il fuoco, prima che il coltello di selce e il bisturi di Gula ti infastidiscano": ciò significa che s'iniziava con un trattamento magico per poi procedere a un trattamento chirurgico. Inoltre se una malattia si protraeva o si aggravava non era più percepita come naturale, ma si trasformava in soprannaturale e il mago doveva fare il suo ingresso. I medici mesopotamici avevano a disposizione dei testi con descrizioni ed indicazioni ben precise:
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“Il malato di tubercolosi tossisce frequentemente, il suo sputo è denso e talvolta contiene sangue, la respirazione dà il suono come di un flauto. La sua carne è fredda, ma i suoi piedi sono caldi, egli suda molto e il cuore è molto inquieto.” Altro esempio: "Quando il corpo di un uomo è giallo e la sua faccia è gialla e lui stesso soffre di dimagramento, il nome della malattia è itterizia". Si prestava attenzione al colore delle urine soltanto nel caso di malattie strettamente urinarie. Prognosi. Alcune malattie non potevano essere curate. Nei patti o nei giuramenti le formule delle maledizioni stabilivano che il trasgressore dovesse affrontare "una ferita che non termina mai", inflitta da Gula, la dea della guarigione, o una grave malattia della pelle (come la lebbra), mandata dal dio Luna Sin, o l'idropsia ("l'acqua che non termina mai"), che era la punizione del dio Marduk. A volte questi anatemi erano seguiti dalla maledizione "Possa egli vagare per il deserto come un asino selvaggio" e questa metafora suggerisce una forma di isolamento sociale.
7. LE TERAPIE La cura consisteva nell’invocare e ingraziare le divinità tramite preghiere, esorcismi, offerte e sacrifici per ritirare la loro influenza nociva o liberarlo dal demonio che era in agguato, e permettere così la cura dell'uomo infermo. Le pratiche dovevano essere incentrate sul rito espiatorio e su una certa forma di empirismo primitivo. Spesso la malattia veniva considerata come un qualcosa d’impuro da cui ci si doveva liberare tramite un lavaggio e per cui erano prescritti abluzioni o bagni in determinati luoghi sacri o con rituali codificati. Assieme al sacrificio spesso venivano associate piante od erbe medicamentose, dettate anch’esse dall’uso empirico. Dalle tavolette di argilla arrivate ai giorni nostri sono stati estrapolati i nomi di 250 piante medicinali, 120 di minerali e altre sostanze di uso terapeutico, anche di origine animale. Le terapie farmacologiche erano finalizzate alla cura dei sintomi della malattia e non per scopi magici o per tenere sotto controllo qualche spirito. E’ verosimile che venissero fatte anche delle offerte alla divinità o allo spirito ritenuti responsabili della malattia, ma di queste pratiche religiose non si trova traccia nei testi medici.
Tipi di sostanze
La maggior parte delle sostanze medicinali erano piante e i testi terapeutici ne forniscono spesso lunghi elenchi. Tra i medicamenti più noti figurano: alloro, aloe, anice, cassia, olio di ricino, mirra, mirto, melograno, olivo, papavero, senape. La cannabis era utilizzata nella depressione psichica e nelle nevralgie.
[Dio Enli con fiori di papavero]
Molto diffusa era anche l'Atropa belladonna, che nei millenni successivi troverà larga diffusione nel resto del mondo.
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In caso di polmonite ricorrevano all'applicazione locale di cataplasmi di semi di lino. Tra i farmaci di origine minerale figuravano l'argilla, l'allume, il rame, la magnetite, il sale e il salnitro. I medici utilizzavano lo zolfo contro la scabbia. Le sostanze di derivazione animale erano invece piuttosto rare, ma quando erano impiegate comparivano nelle ricette in misura maggiore rispetto alle altre. Tra i medicinali tratti dal regno minerale risultano citati il latte, le scaglie di serpente e di tartaruga. Viene citato l’uso del fegato crudo in un caso di emeralopia notturna (sinlurmâ), affezione attribuibile a una carenza di vitamina A, possibile conseguenza della prevalenza, nella dieta di quell'epoca, della componente cerealicola.
Preparazione dei farmaci. Una volta diagnosticata la malattia, il medico preparava da sé il farmaco. Infatti la presenza di farmacie, nel senso moderno del temine, pare improbabile soprattutto per la conservazione dei preparati. Inoltre la preparazione del medicamento avveniva al momento in cui il medico aveva visitato l’ammalato e stabilito la diagnosi. Esistevano però delle drogherie, luoghi di immagazzinamento delle riserve degli ingredienti necessari per la preparazione dei medicamenti: è accertata a Nippur la presenza di una drogheria gestita a livello centralizzato. La letteratura ci restituisce un testo inventariale, interpretabile anche come una manuale su come immagazzinare gli ingredienti. In esso, viene esplicitata con dovizia di particolari la precisa collocazione dei diversi prodotti su scaffali di legno, oltre ad indicare lo specifico recipiente specifico adatto per ciascuno. In particolare, le drogherie servivano per assicurare una giacenza minima di prodotti rari o importati da terre lontane, di difficile approvvigionamento. Fondamentale per l’efficacia del rimedio era la presenza di tutti i componenti, per la sinergia del loro effetto, altrimenti compromessa. L’azione terapeutica del medicinale era ritenuta influenzabile anche da alcuni fattori esterni: alcuni giorni erano ritenuti propizi o nefasti per lo svolgimento dell’attività medica, oltre all’influenza celeste della dea Gula [ ell’i
agi e], nella sua manifestazione astrale nella
“Stella della capra”. La preparazione dei farmaci comprendeva un numero molto variabile di operazioni. Di solito, una ricetta era composta da svariati ingredienti, che potevano raggiungere anche il numero di 20 o più. Si sottolineava l'importanza del loro effetto sinergico, sottolineando che l'assenza anche di un solo componente avrebbe potuto rendere inefficace il rimedio. A volte il medicamento era preparato in maniera diversa, a seconda che si fosse in estate o in inverno. La raccolta degli ingredienti vegetali, che le ricette raccomandano di usare freschi, doveva essere effettuata, negli orti o nella steppa, poco prima dell'uso. A volte erano date le istruzioni, con un leggero alone di magia, su dove e su come cogliere una particolare pianta.
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La scelta degli ingredienti era determinata tra l'altro da connotazioni molto specifiche (per es., "una melagrana di un ramo che cresce a nord"), ai procedimenti (come la ripetizione di gesti, la raccolta notturna o l'esposizione dell'ingrediente a un'influenza astrale). Il dosaggio degli ingredienti, quando è riportato, è indicato secondo misure che a volte sono piuttosto vaghe (come il pugno), mentre in altri casi sono precise (conformi alle usuali misure di peso e volume), talvolta con la menzione dell'impiego di una bilancia per la pesatura. Di solito, le operazioni iniziavano con l'essiccazione e la tostatura degli ingredienti, che poi venivano pestati, tritati o macinati, passati al setaccio e pressati. Si mescolavano, quindi, i diversi componenti e si aggiungeva un eccipiente (vini, grassi, olii, miele, cera e latte). A questo punto la preparazione veniva impastata o lavorata, oppure anche riscaldata o cotta, bollita o messa in forno; talvolta la ricetta specificava il tipo di recipiente da utilizzare, per esempio la pentola diqaru o il tamgussu, un contenitore in bronzo. Alla fine si faceva raffreddare il preparato, lasciandolo riposare tutta la notte per poi filtrarlo e travasarlo. La pozione poteva anche essere lasciata tutta la notte "sotto le stelle" e sottoposta all'influenza magica emanata da quei divini corpi celesti, in particolare, da quelle della dea Gula. A questo punto, il farmaco era pronto per essere somministrato.
Somministrazione dei farmaci.
La somministrazione dei preparati assumeva diverse forme: - per via orale: la forma preferita era la pozione, ma poteva trattarsi anche di una pillola o addirittura di un rimedio da leccare, con il farmaco immerso nella birra o nel vino, spesso a stomaco vuoto; - per via rettale, con l'introduzione di supposte (che venivano chiamate "ghianda" o "dito"), o con l'impiego di clisteri, per i quali è talvolta menzionata una "pelle per clisteri"; - via vaginale, tramite tamponi; - via uretrale, iniettando o insufflando attraverso il meato uretrale, operazione per la quale era talvolta menzionato un tubo di bronzo; - il tampone poteva essere introdotto anche in altri orifizi, come il naso, per bloccare un’emorragia, o le orecchie; - potevano essere eseguite frizioni fatte con linimenti e l'uso di borse di pelle riempite con materiale magico (a volte chiamato "cataplasma"): erano ritenute cure magiche ed erano spesso accompagnate da incantesimi; - a livello topico esterno, numerose sono le creme, le lozioni, le pomate da spalmare, delle quali alcune specificamente oculari, le fasciature e i cataplasmi da applicare e le polveri da spargere. Sono documentate le gocce oculari o auricolari da instillare, i suffumigi e le inalazioni, nonché le insufflazioni. Per fare i suffumigi era spesso bruciato incenso di ginepro sulle braci ardenti ricavate da piante speciali. Di seguito riporto il contenuto della tavoletta di Ur, interessante perché riporta indicazioni precise per il farmacista, circa la preparazione dei medicamenti, e per il malato, circa le modalità d’uso. Impacchi: o Polverizzare i rami della pianta spina e semi del duashbur, versare la birra diluita sopra, strofinare con olio vegetale e fissare la pasta sopra il punto malato come un impiastro.
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o Polverizzare fango di fiume, XXX con acqua, strofinare con petrolio greggio, e fissare come un impiastro. o Polverizzare le radici dell’albero di XXX e bitume secco di fiume, versare della birra sopra, strofinare con olio, fissare come un impiastro. Rimedi interni: o Versare la birra forte sulla resina della pianta di XXX; sciogliere sul fuoco, mescolare questo liquido in olio di bitume di fiume, dare a bere all’ammalato. o Polverizzare due semplici, dissolverli nella birra, affinché il malato li possa bere. Rimedi vari: o Setacciate e lavorare insieme: guscio di tartaruga, naga germogliata e senape; lavare il punto malato con birra di qualità e acqua calda; fregare ogni singolo punto con la miscela impastata; dopo il lavaggio, strofinare con olio vegetale e ricoprire con polvere di abete. I medici mesopotamici avevano già qualche idea della cronobiologia, in quanto le applicazioni di questi medicamenti avvenivano non in un'ora qualsiasi del giorno, a caso, ma in ore ben prestabilite, per lo più dettate dagli astri. Anche fattori esterni erano considerati come influenti sull'azione terapeutica: certi giorni erano considerati propizi e altri nefasti per l'attività medica, per cui in questi ultimi il medico doveva evitare d'intervenire sul malato. Infine, alcune lettere di corte documentano l'uso di far assaggiare ai servitori un
preparato
somministrarlo
prima ai
di loro
signori o al re, allo scopo di assicurarsi che non fosse tossico.
8. CHIRURGIA La chirurgia era generalmente limitata al trattamento delle ferite e delle fratture, ma venivano operati anche i calcoli e gli ascessi. Alcune tavolette descrivono delle procedure chirurgiche utilizzate dall’asû, come l’incisione del torace di un paziente per drenare il pus da una pleura. Sembra che una delle pratiche più diffuse fosse quella della trapanazione cranica, effettuata sia dagli assiri che dai babilonesi. E’ certo che sapessero operare la cataratta, da come si deduce da alcuni paragrafi del codice di Hammurabi. A Ninive sono stati reperiti alcuni bisturi di bronzo, seghe, trapani.
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[Strumentario chirurgico babilonese]
Trattamento delle ferite. Si basava sull’uso di tre tecniche fondamentali, descritte nel più antico documento medico conosciuto e datato intorno al 2100 a.C.: lavare la ferita, bendare e preparare impiastri medicamentosi. Per quanto riguarda la preparazione degli impiastri, l’asû si basava su conoscenze tramandate e sull’esperienza diretta che permetteva di capire, per esempio, che riscaldando alcune resine vegetali o grassi animali con alcali (in questo caso di ricava il sapone che può evitare l’infezione batterica) si ottengono prodotti dotati di effetti benefici. L’impiastro poteva essere anche a base di olio di sesamo, che, come ben sa la medicina moderna, è un agente antibatterico. Mala praxis. Tra i contributi della cultura civile mesopotamica troviamo, nel cosiddetto Codice di Hammurabi, la prima discussione legale sull’imputabilità dei medici che praticano la chirurgia. Di fatto, il chirurgo è ritenuto responsabile per gli errori e gli insuccessi. Il Codice di Hammurabi è una compilazione di 282 leggi e di norme amministrative raccolta dal re babilonese Hammurabi, intagliata in un blocco di diorite, alto 2,5 metri per 1.90 metri di base, collocato nel tempio di Sippar. Tra le Leggi vi sono 13 articoli, che regolano l'attività dei medici, dei quali stabilisce addirittura gli onorari e le ammende.
[Codice Hammurabi. Louvre, Parigi]
I decreti di Hammurabi fissavano l’ammontare degli onorari medici in caso di riuscita e ordinavano punizioni severissime in caso di insuccesso. Si affermava fra l’altro che “nel caso in cui un medico, che abbia intrapreso con l’ausilio
di
un
coltello
di
bronzo
un’operazione grave, abbia guarito il suo paziente, oppure essendo riuscita l’operazione della cataratta, abbia salvato l’occhio del paziente, avrà diritto a 10 monete d’argento”.
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Oppure: “Se un medico riduce un osso rotto di un uomo, o cura i suoi intestini malati, il paziente dovrà dargli 5 sicli d'argento (Art. 221). Si trattava di onorari principeschi per quel tempo. Vi si affermava pure, e questo è il terribile rovescio della medaglia che “Se un medico opera un signore per una grave ferita con un coltello di bronzo e ne determina la morte; se apre un ascesso (nell'occhio) di un uomo con un coltello di bronzo e distrugge l'occhio dell'uomo, gli si dovranno tagliare le dita. “ (Art. 218) Dato che il codice riconduce l’imputabilità all’uso del coltello, si ritiene che gli errori o i fallimenti di natura non chirurgica nella cura delle malattie non fossero penalmente perseguiti. In base alla Codice di Hammurabi l’entità del compenso per il successo o della pena per l’errore dipendono dallo status del paziente: così, se il chirurgo opera e guarisce una persona di alto lignaggio, il paziente deve pagarlo 10 monete d’argento; invece per l’operazione e guarigione di uno schiavo egli riceverà solo 2 monete. Allo stesso tempo se la persona di altro lignaggio muore come conseguenza dell’intervento chirurgico il medico può essere condannato all’amputazione della mano, ma se a morire è uno schiavo, deve solo pagare il costo per rimpiazzarlo.
9. ODONTOIATRIA Come per altre civiltà anche lontanissime, l'odontoiatria era molto praticata anche in Mesopotamia, anzi, le tavolette di Assurbanipal che trattano di questa disciplina possono essere considerate il più antico trattato di Odontoiatria di cui si sia a conoscenza. I medici mesopotamici credevano che la carie dentale fosse provocata dai vermi: se una persona soffriva di mal di denti, era evocato un incantesimo che raccontava, in un linguaggio poetico, come la causa del suo male fosse un verme che cercava il suo cibo nelle gengive. Il mago-esorcista afferrava il verme per la coda e lo estraeva, affinché facesse ritorno agli dèi. Del verme dei denti ne hanno parlato le tradizioni indiane, cinesi, giapponesi, egiziane, greche, Ancora nel 1300, il famoso chirurgo francese Guy de Chauliac riteneva che le carie dentarie fossero provocate dai vermi. Un esempio di questa persistenza del mito, la troviamo in questo dente d’avorio francese, del 1780, dove da un lato è rappresentato il dolore provocato dalla carie, rappresentato dall’inferno, e dall’altro il verme che si nutre del dente. Contro il mal di denti esistevano numerosi medicamenti, come la mandragora, la senape, il papavero e la cannabis. I semi di giusquiamo venivano applicati alla gengiva dolente e fissati con mastice di gomma. La cura delle carie avveniva mediante piombatura del dente malato.
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Anche le protesi dentarie raggiunsero una certa perfezione.
10. GINECOLOGIA Sono prevenute alcune tavolette riguardanti le donne incinte e i loro bambini. Per proteggere le donne incinte si appendevano sul loro corpo diverse pietre e in particolare una nota come "Pietra del parto". Non abbiamo notizie dirette sul parto, ma ci sono pervenute formule magiche che lo accompagnavano. Fertilità. Erodoto riferisce che almeno una volta, nella loro giovinezza, le donne mesopotamiche dovevano prestarsi alla prostituzione sacra nel tempio di Ishtar ed accettare di avere rapporti sessuali con qualunque estraneo avessero scelto.
[Statuetta di una coppia di uomo e donna rinvenuta nel tempio di Ishta, a Nippur] Era ritenuta una devozione richiesta da Ishtar, e si credeva che la fecondità dipendesse in larga misura da questo sacrificio sessuale. Era tollerato anche l'amore omosessuale ed erano piuttosto diffuse anche le pratiche contraccettive. La sterilità era considerata una vera disgrazia e se la moglie era sterile, il marito poteva prendere una seconda consorte.
[Ishtar, dea della fertilità e della prostituzione sacra]
Nel Codice di Hammurabi vi sono alcuni articoli che concernono l’aborto. Art. 209. Qualora un uomo colpisca una donna libera per nascita in modo che ella perda il figlio senza partorirlo, egli pagherà dieci shekels per la perdita di lei. Art. 210. Qualora la donna muoia, la figlia di lui sarà messa a morte. Art. 211. Qualora una donna della classe libera perda suo figlio per un colpo, egli pagherà cinque shekels in denaro. Art. 212. Qualora questa donna muoia, egli pagherà mezza mina. Art. 213. Qualora colpisca la cameriera servente di un uomo, ed ella perda il figlio, egli pagherà due shekels in denaro. Art. 214. Qualora questa cameriera servente muoia, pagherà un terzo di mina.
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11. OCULISTICA Più che dati clinici o terapie specifiche, vi faccio vedere delle figure antropomorfiche - realizzate in alabastro bianco e nero dal corpo trapezoidale e grandi occhi che, nonostante abbiano più di 5000 anni, presentano un aspetto moderno.
Sono gli “idoli oculari” della Mesopotamia: le loro dimensioni variano dai 3 ai 6 cm di altezza. Furono ritrovate in Siria, nella città preistorica di Tell Brak, nell’alta valle del Khabur, dove sorgeva un tempio detto “Tempio degli occhi”, costruito fra il 3200 e il 3500 a.C. Tra le terapie citate, un corpo estraneo nell'occhio era rimosso tramite un incantesimo (iniziale) che recitava: "Cadi come una stella, crolla come il fuoco, prima che il coltello di selce e il bisturi di Gula ti infastidiscano" Nel Codice di Hammurabi sono previste queste pene in campo oculistico: Art. 215 - Qualora un medico faccia un'ampia incisione con un coltello operatorio e lo curi, o qualora egli apra un tumore (sopra l'occhio) con un coltello operatorio, e salvi l'occhio, riceverà dieci shekels in denaro. Art. 216 - Qualora il paziente sia un uomo liberato, egli riceve cinque shekels. Art. 217 - Qualora egli sia lo schiavo di qualcuno, il suo padrone darà al medico due shekels. Art. 218 - Qualora un medico faccia una grande incisione con il coltello operatorio, e lo uccida, o apra un tumore con il coltello operatorio, e tagli l'occhio, gli saranno tagliate le mani.
12. IGIENE A differenza degli Egizi i popoli mesopotamici risultano arretrati per quel che concerne l’igiene, dal momento che solo le mani venivano lavate prima dei pasti, mentre lavare viso e corpo era legato alle festività. Il lavaggio, veniva effettuata semplicemente con acqua, o con olio, oppure con un principio attivo detergente, la soda (NAGA), ottenuta dalle ceneri alcaline di una pianta saponaria come la Salsola kali. In diversi siti, soprattutto nei palazzi, sono stati ritrovati impianti sanitari, soprattutto in strutture palatine: la stanza da bagno del palazzo di Mari, per esempio, comprende due vasche da bagno di ceramica, installate su un pavimento lastricato e a tenuta stagna, dotate di un sistema di evacuazione delle acque utilizzate.
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Per quanto riguarda l'igiene dentaria è verosimile che l'usanza rituale di masticare delle piante purificatrici rifletta una pratica quotidiana. I capelli, paragonati talvolta a una lattuga che cresce presso l'acqua, erano lavati, unti con olio e poi pettinati con un pettine d'osso, d'avorio o di un metallo prezioso. I testi medici, attraverso le diverse prescrizioni contro la canizie, l'eccessiva sottigliezza o una caduta anormale, danno testimonianza indiretta dell'importanza attribuita alla capigliatura. Portare una parrucca poteva costituire un motivo di fascino in più, il cui scopo era forse non soltanto di natura estetica, ma anche preventiva per evitare, mediante la rasatura del cuoio capelluto e l'unzione della testa, la presenza di parassiti.
13. LA MAGIA La maggior parte delle persone tentava di prevenire la possessione demoniaca con scongiuri, talismani, amuleti e altre pratiche magiche, ma una volta che una persona cadeva sotto l'influenza dei demoni, l’unico rimedio era l'esorcismo. L'esorcista era un sacerdote/medico che faceva da intermediario tra le vittime e il divino, e aveva molti rimedi per combattere gli spiriti maligni. Pozioni magiche. Preparate direttamente dall’esorcista, erano composte da animali, piante o minerali ognuno dotato di vari poteri. Alcuni dei materiali usati erano il ferro meteoritico, il tamerice, la canna, la farina e il pelo di animali. Si riteneva che corvi e falchi possedessero poteri soprannaturali, mentre i gufi erano associati ai demoni e agli spiriti maligni. L'acqua simboleggiava la presenza del dio dell'acqua, Enlil, così spesso l’esorcista la aspergeva sulla vittima per rappresentare la liberazione della vittima dall'influenza del demone. Anche la saliva era ritenuta molto potente contro i demoni. Incantesimi. Certe parole, sillabe e formule erano una parte importante del processo di liberazione dal demone. Gli stregoni-sacerdoti avevano gran cura nel pronunciare correttamente le parole e nel recitare specifiche formule. Lo stregone-sacerdote pronunciava il nome del demone o della strega che si pensava stesse tormentando la vittima (una strega in questo contesto era la persona attraverso la quale il demone sceglieva di manifestarsi). In seguito, ordinava al demone di smettere di attaccare la vittima e di andarsene. Infine, invocava il potere degli dei o di altre entità divine. Molti incantesimi finivano con la frase "Per il Cielo, che tu sia esorcizzato! Per la Terra, che tu sia esorcizzato!". Altri invocavano il nome di divinità come il dio dell'acqua, Enki, o gli dei del fuoco Gibil e Nusku. A volte, si usava pelare una cipolla che simboleggiava l'eliminazione del potere maligno da una strega.
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Rituale. Vi spiego - come esempio - l’esorcismo in caso di malattia causata dalla demone Lamashtu. Si eseguiva un rituale diviso in tre parti e si recitavano tredici scongiuri. Gli incantesimi erano pronunciati dal sacerdote officiante sopra le singole membra del bambino seguendo un determinato schema. Si ordinava alla demone di volare via come un uccello del cielo, di andarsene come un asino selvatico di montagna; di ritirarsi nel deserto a prendere cervi e stambecchi al posto dei bambini; le si augurava di calzare sandali; che le venisse dato un otre per dissetarsi; che fosse portata al di là del mare e dei fiumi e ivi legata. Nella formula esorcistica, il sacerdote invocava gli Dei della vita affinchÊ il dio An, impietosito da tutte le lamentele della dea Aruru, protettrice delle nascite e dei bambini, desse ordine che la demone fosse portata via e "intrappolata" nei "luoghi marini". L’immagine della demone veniva ricavata dall'argilla, le si ponevano accanto gli arnesi sacrificali, un incensiere con dentro una spada, dodici pani, varie vivande, acqua di fonte e un'immagine di un cane nero. Per tre giorni questo piccolo altare doveva rimanere vicino al capo del malato. La sera del terzo giorno la statuetta veniva portata fuori dal luogo dove risiedeva il malcapitato e spaccata con la spada. Quindi la si seppelliva nell'angolo di un muro circondandola con della pasta di farina. Altra variante per concludere la cerimonia consisteva nel porre l'immagine della demone all'interno di una piccola navicella, costruita dallo stesso sacerdote, insieme all'immagine di due cani bianchi e due neri; il tutto era poi affidato alle acque di un fiume che scorresse verso Occidente. Il bimbo ammalato veniva unto con un particolare miscuglio tra i cui ingredienti troviamo burro, terra tolta dalle porte dei templi, diverse erbe, grassi di varia origine e della pece. Il suo letto veniva circondato con farina o con un impasto da essa ricavato. Per evitare che questa terribile demone compisse le sue opere distruttive venivano impiegati alcuni particolari oggetti che fungevano da vere propri amuleti, preservando coloro che ne avessero fatto costante uso.
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