Giuseppe Ragusa
LEZIONI DI STORIA DELLA MEDICINA VOLUME 4
LA MEDICINA NELL’ANTICA CIVILTA’ EBRAICA
LEZIONI DI STORIA DELLA MEDICINA Pubblicazione on-line ad argomento storico-medico Coordinatore editoriale: Giuseppe Ragusa
- La Medicina nell’antica civiltà ebraica -
Lezioni del Corso di Storia della Medicina svolte dal dr. Giuseppe Ragusa presso l’Università della Terza Età di Mogliano Veneto (TV)
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INDICE CAPITOLO I - LA STORIA DEGLI ANTICHI EBREI I. L’antico popolo ebraico [pag. 4]
CAPITOLO II - L’ANTICA MEDICINA EBRAICA I. Le fonti della medicina ebraica [pag. 7] II. Medicina teurgica [pag. 8] III. Organizzazione sanitaria [pag. 8] IV. Igiene e profilassi [pag. 9] V. Le leggi alimentari: Kasherut [pag. 11] CAPITOLO III - LE PATOLOGIE PIU’ DIFFUSE I. Peste e pestilenze [pag. 14] II. Tubercolosi polmonare [pag. 15] III. Le parassitosi intestinali [pag. 16] IV. L’«Enigma» Giobbe [pag. 16] V. La Tzaraath [pag. 17] Appendice: Il morbo di Hansen [pag. 20] CAPITOLO IV - LA MEDICINA BIBLICA “LAICA” – ANTICO TESTAMENTO I. La vita dei Patriarchi biblici [pag. 27] II. La circoncisione [pag. 28] III. Le dieci piaghe d’Egitto [pag. 33] IV. La manna [pag. 44] CAPITOLO V - LA MEDICINA BIBLICA “LAICA” – NUOVO TESTAMENTO I. I doni dei Re magi: Oro, incenso e mirra [pag. 49] II. La Crocifissione [pag. 51] III. La morte di Gesù Cristo [pag. 55] Appendice: La Sacra Sindone [pag. 56]
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CAP. I – LA STORIA DEGLI ANTICHI EBREI I. L’ANTICO POPOLO EBRAICO Il popolo ebraico appartiene alla famiglia linguistica dei Semiti. Nel XIII sec. a.C. era stanziato nell’antica Palestina (il nome significa "Terra dei Filistei", uno dei popoli che abitavano in quest'area), una regione compresa fra il Mediterraneo a ovest, il fiume Giordano e il deserto siriano a est, i monti del Tauro a nord e la penisola del Sinai a sud.
Si tratta di una terra poco fertile, che deve la sua fortuna al fatto di costituire un passaggio obbligato fra il mondo mesopotamico e quello egizio. Secondo il racconto della Bibbia gli Ebrei derivano da Abramo, un pastore della città mesopotamica di Ur, che con tutto il suo clan familiare si trasferì in Palestina per ordine del suo dio Jaweh. Abramo sarebbe stato il capostipite sia degli Arabi (tramite suo figlio Ismaele avuto dalla schiava Agar) sia degli Ebrei (tramite suo figlio Isacco avuto dalla moglie Sara). Successivamente una parte dei discendenti di Abramo sarebbe stata ridotta in schiavitù in Egitto. Secondo quanto accertato storicamente, gli Ebrei sarebbero invece i discendenti dei pastori seminomadi, abitanti in quell'area già dai tempi preistorici e divenuti stanziali dalla dominazione egizia che si ebbe in quella regione fra il 1500 e il 1200 a.C.
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Nel racconto biblico l'esodo dall'Egitto, la liberazione dalla schiavitù è affidata a Mosè, che porterà il popolo di Israele dall'Egitto verso la Terra promessa, la terra di Canaan. Durante l’esodo, Mosè riceve da Dio la rivelazione di un patto speciale: Jaweh è il dio di tutti, ma gli Ebrei sono il suo popolo eletto, quello preferito a tutti gli altri. Mosè, che aveva liberato il suo popolo dalla schiavitù in Egitto e lo aveva unito sotto una sola legge, non entrò nella terra di Canaan, nella Terra promessa, ma a conquistare la Palestina furono i suoi successori, che divisero quelle terre alle 12 tribù di Israele. Le tribù del Nord occuparono terre fertili e furono aperte ai contatti con tutti gli altri popoli dell'area mesopotamica, mentre le tribù del Sud occuparono terre più povere e furono poco aperte ai contatti con l'esterno e dunque non alterarono il loro patrimonio culturale tradizionale. La formazione del Regno di Israele a Nord e del Regno di Giuda a Sud è attestata intorno all'anno 1000 a.C. I due regni furono unificati da Saul (che regnò fra il 1020 e il 1000 a.C.): secondo il racconto biblico venne designato re per rispondere all'attacco portato alle tribù del Sud dai Filistei (una popolazione che intorno al 1200 a.C. si era stanziata nella regione costiera (all'incirca l'attuale striscia di Gaza). Il regno unificato venne rafforzato dal re Davide [nel riquadro a sin] che regnò dal 1000 al 960 a.C. Con lui Israele si trasformò in uno stato monarchico ereditario e raggiunse la sua massima espansione territoriale; a Davide si deve l'ampliamento della capitale Gerusalemme, città collocata in posizione strategica tra il Nord e il Sud, quasi a simboleggiarne l'unificazione.
Gli succedette il figlio Salomone [nel riquadro a dx] che regnò dal 960 al 930 a.C. Egli fu un re pacifico che si preoccupò di difendere i confini. A lui si deve la costruzione, nella parte alta di Gerusalemme, del tempio che divenne il simbolo e il centro spirituale dell'Ebraismo.
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Alla morte di Salomone si ricreò l'antica divisione fra il ricco Regno di Israele a Nord, con capitale Samaria, e il Regno di Giuda a Sud, con capitale Gerusalemme (più importante proprio per la presenza di Gerusalemme e del Tempio). E' in questo secondo regno che rimasero i progenitori degli ebrei contemporanei. Nel 586 a.C. la Giudea fu conquistata dai Babilonesi: Nabucodonosor II, re di Babilonia, distrusse il tempio di Salomone e deportò gran parte della popolazione ebrea. Nel 539 a.C. Ciro di Persia conquistò Babilonia, e sotto il suo regno tollerante gli ebrei poterono tornare alle terre da cui erano fuggiti. Nell'arco di 70 anni sia Gerusalemme che il suo Tempio vennero ricostruiti. Gli Ebrei però non riuscirono più a ricostruire uno stato unitario. Furono sudditi di più popoli: prima dei Persiani, poi di Alessandro Magno, infine dei Romani. Furono definitivamente dispersi nel 70 d.C. quando il futuro imperatore romano Tito distrusse per la seconda volta il tempio di Gerusalemme e deportò la popolazione.
[Il sacco di Gerusalemme raffigurato nel bassorilievo dell'Arco di Tito a Roma. Al centro è visibile la Menorah che era conservata all'interno del tempio] Ebbe così inizio la Diaspora (dispersione degli Ebrei nel mondo): da allora gli Ebrei furono un popolo senza Stato, che però riuscì a mantenere una fortissima identità nazionale su base religiosa.
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CAP. II – L’ANTICA MEDICINA EBRAICA La medicina ebraica antica comprende quella del periodo biblico (XIV/XIII-III sec. a.C.) e quella del periodo talmudico (II-IV/VI sec. d.C.).
I. LE FONTI DELLA MEDICINA EBRAICA Non ci sono pervenuti testi medici sistematici. Sappiamo da varie fonti ebraiche che esistette una letteratura medica in epoca biblica, come per esempio un catalogo di piante medicinali - con relative indicazioni terapeutiche - compilato da re Salomone e un non meglio identificato Trattato medico, ma non ne è giunta la minima traccia e molti studiosi dubitano dell’effettiva esistenza di tale letteratura. Quello che noi sappiamo dell’antica medicina ebraica proviene dai due testi fondamentali dell’ebraismo: 1. Il Tanàkh, che corrisponde all’'Antico Testamento della Bibbia cristiana, per cui spesso viene indicata comunemente anche come Bibbia ebraica. 2. Il Talmud (letteralmente «studio o insegnamento»), che è la raccolta di commenti e pareri alle norme etiche, giuridiche e rituali del popolo ebraico, tramandate oralmente dai rabbini tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C. Esso è composto di due parti: la prima è la Mishnah (che significa «ripetizione»), un antico codice di leggi ebraiche redatto intorno al 2°-5° secolo d.C., cui si è aggiunta in seguito, a titolo di commento e ampliamento, la Ghemarah. Esistono due Talmud: uno detto di Gerusalemme e l’altro – il Talmud per antonomasia, perché più vasto – di Babilonia, in quanto venne preparato nelle accademie di studi ebraici che fiorivano in quell’epoca nell’attuale Iraq. Il Talmud ha rappresentato per secoli e millenni la guida della vita ebraica: esso infatti interpreta la legge della Bibbia – che secondo la fede è stata data da Dio all’uomo, attraverso la rivelazione – e la inserisce direttamente dentro la vita di uomini e donne. Il Talmud in sostanza è un’immensa spiegazione e adattamento della Torah, cioè della legge biblica. Infatti, se quest’ultima viene chiamata Torah scritta, il Talmud è definito anche Torah orale (pur essendo un libro), in quanto trascrizione dell’interpretazione orale dei maestri. E’ bene precisare subito che né il Tanakh né il Talmud sono libri di medicina: in essi non troveremo dettagliate descrizioni di malattie o di terapie a sfondo scientifico e quanto descritto non va preso alla lettera ma interpretato. La malattia è quasi sempre descritta come una punizione di Dio verso l’uomo e anche la guarigione avviene più per mano divina che umana. Il Talmud comunque contiene nozioni mediche ignote sia alla medicina greco-romana che perfino a quella araba.
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II. MEDICINA TEURGICA L’antica medicina ebraica risente dell’influenza della cultura assiro-babilonese, dove la malattia rappresenta il castigo divino come conseguenza del peccato. Per il popolo di Israele la salute coincide con la benedizione di Dio per chi osserva la sua legge. La malattia è correlata al peccato, alla violazione del patto, dell’alleanza con Dio. Emblematici sono i seguenti passi: - “Sono io che do la morte e faccio vivere; io percuoto e io guarisco e nessuno può liberare dalla mia mano.” (Deuteronomio 32,39); - “Se tu darai ascolto alla voce del Signore tuo Dio e farai ciò che è retto ai suoi occhi, se tu presterai orecchio ai suoi ordini e osserverai tutte le sue leggi, io non ti infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitte agli egiziani, perché io sono il Signore, colui che ti guarisce!” (Esodo 15,26). - “Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire” (1Sam 2,6). Malattia e salute sono quindi attribuite al potere divino: è Dio che assegna, come punizione, la malattia; è a Lui che ci si deve rivolgere per essere guariti, e per questo è bandita ogni pratica magica. Di conseguenza, quando un ebreo si ammalava non ricorreva a nessuna forma di terapia razionale, ma si rivolgeva direttamente a Dio, accompagnando la sua invocazione con sacrifici propiziatori. Un ruolo molto importante nella cura del paziente è affidato alla preghiera, considerata necessaria affinché il malato possa ottenere una guarigione: infatti sia il malato, che i suoi familiari e perfino i suoi vicini devono pregare ed eventualmente digiunare.
[Un medico Ebreo con il tradizionale vestito] Il medico aveva comunque un suo ruolo in una società così rigidamente teocratica, in cui Dio è l’unica speranza di guarigione: egli era considerato lo strumento attraverso il quale Dio apportava la guarigione. Nei testi biblici e talmudici l'importanza e il ruolo del medico sono sottolineati dalla sua facoltà, nel prescrivere le cure da lui ritenute necessarie, di trasgredire la legge alimentare e perfino di violare il sabato: nonostante la profanazione del riposo del sabato fosse considerata il peccato più grave, tanto da meritare la pena capitale, in quel giorno era consentito loro di curare un malato grave o in pericolo di morte. Sono addirittura ammessi amuleti, ma solo se indispensabili per la guarigione.
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III. ORGANIZZAZIONE SANITARIA Contrariamente ad altre civiltà, nel mondo giudaico rimane estraneo il concetto del medico-sacerdote: ad essi spettava esclusivamente il compito di far rispettare le leggi sulle norme igieniche e profilattiche. La medicina, all'epoca, si poteva praticare senza avere il titolo di medico, così come portare questo titolo non impediva l'esercizio di un altro mestiere. L’insegnamento dell’arte medica avveniva nelle scuole di Talmud e alla fine del corso di studio, i rabbini potevano intraprendere tanto la professione rabbinica quanto quella di medico. Nel Talmud sono minuziosamente descritti differenti tipi di medici: - il rophé (il termine deriva da rapo, che significa calmare, placare, ma anche sapere): rappresentava il medico generico. - il rophéoumann: il medico qualificato assunto dalle autorità. Aveva competenze anche chirurgiche. - il rophémoumhé: il medico specialista.. - il rophénéeman: il medico di fiducia in servizio presso il tribunale, il quale non può essere condannato neanche se commette un errore professionale. In epoca talmudica i medici erano riuniti in una corporazione avente come simbolo il ramo di palma o il cespuglio di balsamo. A differenza dell’uso greco, il medico visitava i pazienti nelle loro residenze o in locali esclusivamente deputati a questa funzione e, sebbene non si possa parlare ancora di ospedali, alcune stanze nelle sinagoghe erano riservate a coloro che necessitavano di cure. Nel Talmud si ricorda inoltre l’obbligo da parte dei chirurghi di indossare speciali grembiuli durante la loro attività e si prescrive, per maggior pulizia, l’utilizzo di rivestimenti in marmo alle pareti dei locali in cui essi operano. Fra i compiti del medico vi era anche quello di compiere perizie legali o di accertare il grado di sopportazione fisica delle persone condannate a pene corporali. Per esercitare in casa, dovevano ottenere il beneplacito del vicinato e, in ogni caso, dovevano esigere una giusta ricompensa perché i medici che non si facevano pagare erano considerati di poco valore. Oltre ai medici, operavano altre figure sanitarie: - L’Askan-bi-devarim, quasi un omologo del medico biologo, che tralasciava la pratica per dedicarsi allo studio dell’anatomia e della fisiologia umana e animale. - Le Shiffrache (levatrici): il nome deriva dal termine scafar (pulire il bambino) e puah (bisbigliare parole alla partoriente per aiutarla, per infondere coraggio durante il parto); nell'epoca mishnaica la levatrice assume invece il nome di hakamache (saggia). Anche per le levatrici erano previste speciali deroghe in caso di parti nel giorno del riposo sacro. - I barbieri, che svolgevano la professione di infermieri: si occupavano delle medicazioni. - Importante anche la figura dei veterinari: erano salariati presso il tempio, con il compito di esaminare l'integrità degli animali offerti dai fedeli. Infine, non mancavano figure ambigue quali i ciarlatani e i guaritori, che approfittavano della situazione facendosi passare per medici. Essi sono chiamati nei testi sacri samardaki, che vuol dire buffoni.
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IV. IGIENE E PROFILASSI Nella cultura e nella medicina ebraica è molto importante il concetto di purezza e impurità: pulizia si correla con la buona salute, mentre sporcizia con la malattia. Numerose sono le prescrizioni igieniche con carattere religioso: il lavaggio delle mani, il cambio d’abito, le restrizioni dietetiche, la circoncisione. La medicina tradizionale ebraica deve essere considerata essenzialmente come una medicina preventiva: infatti delle 613 mitzvot, i precetti a cui un ebreo deve attenersi, 213 sono di natura igienica. Igiene e profilassi sono intesi come dogmi religiosi.
Igiene personale. Vi era l’obbligo, il mattino e la sera prima di coricarsi, di abluzioni per viso, mani e piedi; bisognava lavarsi le mani con acqua corrente prima di toccare cibo o dopo un salasso e così via. Il principio guida di questa concezione, che predilige la prevenzione della malattia al trattamento terapeutico, è ribadito anche nel Talmud quando si afferma: “La pulizia del corpo porta alla pulizia dello spirito”. Era anche obbligatorio lavarsi dopo aver manipolato i corpi dei defunti (Numeri 19:11-19).
Igiene delle abitazioni. Era obbligo tenere rigorosamente puliti non solo le singole case ma anche i centri abitati, per evitare l’insorgere di malattie dovute alla presenza di deiezioni o rifiuti di ogni genere. Vi erano leggi miranti alla protezione dei pozzi da varie forme di inquinamento tra cui i rifiuti umani, il divieto dello scavo dei pozzi vicino ai cimiteri, o di attingere acqua dalle pozzanghere. Dal punto di vista urbanistico, alcune norme riguardavano la progettazione dei centri abitati che dovevano sorgere secondo vari accorgimenti tra cui: tenere conto del terreno, delle condizioni climatiche locali e delle esigenze di vita che riguardavano la comunità e i suoi componenti. Ogni centro abitato doveva avere un bagno pubblico, e dovevano avere un medico. Era previsto il sotterramento degli escrementi lontano dagli alimenti (Deuteronomio 23:12-13).
Misure anti-contagio. Il legislatore biblico emise molti provvedimenti in termine di igiene in campo infettivo. Come primo punto, era prescritta la quarantena delle persone infette (Levitico,13:45-46): i malati contagiosi, o presunti tali, dovevano essere isolati visto che si sapeva che certe malattie si diffondevano per contatto diretto o mediato. Anche l’abitazione del presunto infetto doveva essere disinfettata, con tutto quello che conteneva (oggetti, indumenti), mediante l’affumicamento, bollitura e addirittura all’incenerimento della casa stessa. Subito dopo la fine del periodo di isolamento, il malato veniva sottoposto alla purificazione che consisteva in un “bagno salutare”. Il legislatore biblico adotta anche provvedimenti per contrastare il diffondersi di malattie infettive non solo mediante il contagio interumano, ma anche tramite oggetti e utensili. Rientra in queste misure cautelari anche l’obbligo della disinfezione delle armi dopo una battaglia. Importante era il controllo delle carovane in transito perché, in caso di epidemie, era fondamentale evitare gli assembramenti.
Prevenzione delle malattie sessuali. Vi era un rigido controllo della prostituzione, e alla circoscrizione delle malattie veneree. Quale curiosità, si può ricordare che i talmudisti sono stati sicuramente i primi e gli unici sino all’età moderna a procedere all’esame chimico delle macchie in caso
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di sospetto stupro: a tal fine utilizzavano sette reattivi il cui uso serviva a stabilire se le macchie fossero di sangue o di vernice rossa.
V. LE LEGGI ALIMENTARI: KASHERUT Sempre nel campo dell’igiene erano previste severe leggi relative alla alimentazione, che prendono il nome di Kasherut, e che sono tuttora in vigore. L’aggettivo kasher o kosher - che significa adatto, conforme, opportuno - indica quei cibi che si possono consumare appunto perché conformi alle regole; ciò che non è kasher è taref. La Kasherut è sostanzialmente fondata sulla Torah e sull’interpretazione che di essa i rabbini hanno fornito. Quando Dio creò l’uomo, lo concepì originariamente come un essere vegetariano, pur se sovrano di tutti gli animali: la carne entrò a far parte dei cibi concessi all’uomo solo dopo il Diluvio, con Noè. Le rigide leggi alimentari consentirono (e consentono) di eliminare dal consumo un elevato numero di animali in grado di provocare gravi malattie per infezione. Interessanti anche gli aspetti dietetici come la proibizione di consumare il sangue, il grasso e la carne di determinati animali (Levitico 7, 23-26: “Non mangerete alcun grasso né di bue, né di pecora né di capra…Non mangerete affatto sangue, né di uccelli né di animali domestici…Chiunque mangerà sangue di qualunque specie, sarà eliminato dal suo popolo”).
Distinzione tra animali permessi e proibiti.
Secondo la religione ebraica, gli animali possono essere classificati come puri o impuri (dal punto di vista alimentare), in base a precise regole. Recita così il Levitico: «Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: Riferite agli Israeliti. Questi sono gli animali che potrete mangiare fra tutte le bestie che sono sulla terra. Potrete mangiare d'ogni quadrupede che ha l'unghia bipartita, divisa da una fessura, e che rumina. Ma fra i ruminanti e gli animali che hanno l'unghia divisa, non mangerete i seguenti: il cammello, perché rumina, ma non ha l'unghia divisa, lo considererete immondo; l'ìrace, perché rumina, ma non ha l'unghia divisa, lo considererete immondo; la lepre, perché rumina, ma non ha l'unghia divisa, la considererete immonda; il porco, perché ha l'unghia bipartita da una fessura, ma non rumina, lo considererete immondo. Non mangerete la loro carne e non toccherete i loro cadaveri; li considererete immondi.» Sono quindi lecite le carni del bue o della mucca o del vitello, di alcuni ovini, dei caprini, degli antilopini (gazzella, camoscio etc.). Il cavallo, nonostante non sia un ruminante, ha uno zoccolo privo di fessure ed è quindi impuro.
Pe h il aiale dive tato il si olo dell’i pu o? I aiali, he si cibano di tutto, sono spesso visti come sporchi e sessualmente promiscui. Mangiare un animale significa in qualche modo assorbirne i poteri, le caratteristiche: ingerire la carne di maiale renderebbe quindi impuri, sporchi. Questo simbolo è diffuso i olte ultu e o ide tali: a gia e o e u po o spesso si o i o di spo izia e i go digia, e ua do si di e di u uo o si o po tato o e u po o , i si ife is e ad atteggiamenti decisamente negativi.
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I volatili sono quasi tutti leciti, salvo i rapaci (gufo e avvoltoio), proibiti probabilmente per il loro contatto con il sangue delle prede. Sono illeciti tutti quegli animali che strisciano o hanno contatto stretto con il suolo, come il topo, il serpente, le lucertole e gli insetti, tranne alcuni tipi di cavallette permessi in particolari zone. Sono vietati i roditori, gli anfibi (rane e rospi), i rettili e in genere gli animali che si nutrono di altri animali, vivi o già carogne. Anche per quanto riguarda le specie marine esistono delle limitazioni: è lecito consumare solo pesci dotati di squame e pinne e le cui squame siano facilmente rimovibili dalla pelle dell’animale. Questo esclude automaticamente crostacei, molluschi e frutti di mare (i molluschi erano riconosciuti come potenziali apportatori di infezioni alimentari), il pesce spada nonché tutti gli animali marini di forma inconsueta, come la coda di rospo o l’anguilla nonché i mammiferi marini come il delfino e la balena. Esclude anche lo storione, le cui squame sono difficili da togliere e di conseguenza le sue uova, ossia il caviale. Anche lo squalo è impuro, ma non perché non abbia squame, come si crede, ma perché queste sono minuscole e difficilissime da togliere. Le aringhe e le sardine, le cui squame crescono nel corso della vita, e il tonno, che perde le squame quando viene pescato, sono invece permessi dalla tradizione rabbinica. E’ anche permessa la bottarga realizzata con uova di pesci puri. Per accertarsi di consumare pesce kosher, si dovrebbe acquistarlo sempre con la pelle, in modo da poterne riconoscere con certezza le caratteristiche. Inoltre il pesce puro non dovrebbe essere stato a contatto con quello impuro. Ovviamente questo comporta una serie di difficoltà nell’acquisto e nel consumo di pesce non specificamente kosher, soprattutto se non intero ma già tranciato e porzionato, come nel caso del tonno.
Lo Shechitah (Macellazione rituale degli animali permessi). Colui che esercita il mestiere di macellaio rituale, lo Schochet, deve avere la competenza per farlo, deve cioè conoscere approfonditamente le regole ed essere dotato della licenza fornita dai rabbini. La
macellazione
ebraica
l’uccisione
prevede
dell'animale con un solo taglio alla gola eseguito con un coltello affilatissimo, in modo da provocarne l'immediata
morte
dell’animale
e
il
completo
dissanguamento. Il taglio deve essere netto, rapido, senza premere né perforare i vasi del collo. Prima dell'utilizzo la lama del coltello deve essere esaminata, poiché la minima intaccatura rende imperfetta l'operazione, con la conseguenza che la carne dell'animale non può più essere consumata, perché impura. Il taglio dei vasi del collo provoca un'emorragia che in pochi secondi uccide l'animale senza farlo soffrire, sicché si può evitare di stordirlo o di sottoporlo ad anestesia (vietata poiché lo stordimento provocherebbe sofferenza all'animale, mentre il trauma cranico o lo shock elettrico provocherebbe spasmi vescicolari cerebrali e un'imperfetta eliminazione del sangue).
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Dopo l'abbattimento la carne dell'animale viene esaminata da un esperto o un'altra persona a conoscenza delle leggi: questa operazione si chiama Bediqat (controllo) e rappresenta
il
primo
esame
anatomo-
patologico macroscopico che si ricordi nella letteratura veterinaria. L'ispezione consiste nella ricerca di una lesione,
perforazione
dello
stomaco
o
dell'esofago, o di un ascesso polmonare. Si ricercavano
inoltre
i
gangli
sospetti
(presenti negli animali tubercolotici), le eventuali fratture delle costole o delle membra non diagnosticate prima dell'abbattimento e prodotte al momento della legatura delle membra e del capovolgimento dell'animale, operazione necessaria per immobilizzarlo. Ci sono ben 70 categorie differenti di lesioni, malattie e anomalie che renderebbero la carne non kosher, cioè non commestibile. Dall’animale vengono rimosse anche le parti non considerate pure, come gli intestini ed i reni (organi del resto deputati alla produzione dei rifiuti corporei). Le carcasse dei mammiferi debbono essere “ripulite” da alcune vene, grandi arterie, alcuni grassi, nonché dai tendini e dal nervo sciatico, che non possono essere consumati.
[Eug
e Dela oix, Gia o
e lotta
o
l’A gelo. 1 61. Chiesa St-
Sulpice, Parigi] Il divieto di consumare tagli di carne con nervo sciatico risale al racconto di Giacobbe che, durante un combattimento, fu ferito proprio al nervo sciatico (sopra l’articolazione del femore) e reso zoppo, mentre il divieto riferito ad alcuni grassi risiede nel fatto che, anticamente, questi erano offerti al santuario di Gerusalemme. Ogni
animale
non
macellato
automaticamente impuro, illecito.
[13]
secondo
le
regole
è
CAP. III – LE MALATTIE NELLA BIBBIA
Una delle maggiori difficoltà che si incontrano leggendo la Bibbia è identificare correttamente la terminologia medica il più delle volte imprecisa e approssimativa da parte degli autori; unica eccezione è quella utilizzata dall’evangelista Luca, motivo per il quale si pensa fosse un medico. Altro problema è il diverso significato che determinati termini rivestivano al momento della compilazione di quei testi, rispetto ai nostri tempi moderni. Perdipiù nella Bibbia alcune malattie vengono spesso usate con significato traslato o simbolico, come ad esempio la cecità e la sordità, intese anche in senso spirituale. Infine non dimentichiamo che la Bibbia non è un libro di Medicina e per tale motivo ogni descrizione di tipo medico risulta quasi sempre vaga ed imprecisa. Mezzi diagnostici e terapeutici sono quasi sempre ignorati.
I. PESTE E PESTILENZE Con questi termini venivano genericamente indicate tutte le epidemie di un certo rilievo, ed è difficile affermare se si sia realmente trattato di peste come l’intendiamo oggi nelle sue forme bubbonica e polmonare, oppure di altre malattie infettive, quali il tifo, il vaiolo, le febbri. Per tale motivo mantengo il termine pestilenza nel suo senso più ampio e generico di malattia epidemica. Una delle prime pestilenze documentate (Libro di Samuele) è quella che colpì per sette mesi i Filistei colpevoli di aver rubato l’Arca dell’Alleanza, portandola nel tempio della loro divinità, Dagon.
[Nicolas Poussin: La peste di Ashdod, o i filistei sconvolti dalla peste. Museo del Louvre, Parigi. 1630-31]
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La punizione del dio d’Israele non tarda ad abbattersi su di loro: “Allora incominciò a pesare la mano del Signore sugli abitanti di Ashdod, li devastò e li colpì con bubboni, Ashdod e il suo territorio”. I Filistei interrogano allora i sacerdoti, che così consigliano: “Se intendete rimandare l’arca del Dio d’Israele, non rimandatela vuota, ma pagate un tributo in ammenda della vostra colpa. (…) Cinque bubboni d’oro e cinque topi d’oro, perché unico é stato il flagello per tutto il popolo e per i vostri capi. Fate dunque immagini dei vostri bubboni e immagini dei vostri topi che infestano la terra e datele in omaggio al Dio d’Israele”. E’ da notare che pur non potendo sapere che fossero proprio i topi a veicolare le pulci infettate dalla Yersina pestis responsabile della malattia, i Filistei avevano intuito che la loro presenza ne favoriva la diffusione.
Anche nel Levitico (26,25) si parla della peste come castigo inflitto a Israele per avere infranto l’alleanza; altra pestilenza è quella descritta in Numeri (25-29) che uccise 24.000 figli di Israele a Peor. Un’epidemia di peste si abbatté nella Giudea nell’anno 44 a.C. (I Cronache, 21-24) Peste o sifilide? Gli studi di paleopatologia escludono che la sifilide sia comparsa nel Vecchio Mondo prima del 1495, mentre al contrario segni di questa malattia sono stati ritrovati nei resti degli antichi amerindi risalenti a prima della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492, il che fornirebbe la prova inconfutabile e definitiva che la sifilide fu contratta dai marinai che facevano ritorno dall’America e da loro poi diffusa in Europa.
II. TUBERCOLOSI POLMONARE Stando alla sintomatologia descritta, la natura di un’epidemia citata nel Levitico (26,16), la si può riconoscere nella tubercolosi polmonare: “Vi punirò con il tremore, la consunzione e la febbre che consumano gli occhi e tolgono il respiro.” Altro riferimento alla tubercolosi può essere quello presente nel Deuteronomio (28,22): “Il Signore ti colpirà con la consunzione, con la febbre, con il pallore.”
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III. LE PARASSITOSI INTESTINALI Nella storia biblica del popolo ebraico furono molto diffuse le parassitosi e le elmintiasi (malattie da vermi), praticamente inevitabili soprattutto nei lunghi periodi di difficoltà per le particolari condizioni climatiche, igieniche e ambientali, le peregrinazioni, le deportazioni ed altro. Gli elminti sono organismi parassiti che, insediandosi in genere
nell'intestino
dell'organismo
ospite,
causano
infestazioni prevalentemente di tipo gastro-intestinale. Le infestazioni possono avere origine in diversi modi; tra le cause più note e diffuse rientrano: il consumo di carni crude o poco cotte, il consumo di cibo o acqua contaminati dalle uova dei vermi intestinali, e il contatto con oggetti, rifiuti o feci contaminati. Nell’antichità le elmintiasi venivano curate con la corteccia di radice di melagrano, ma non vi sono accenni di questa terapia nella Bibbia. IV. L’«ENIGMA GIOBBE» La storia di Giobbe è ambientata nel paese di Uz, nella parte meridionale dell’attuale Giordania. All’inizio del libro, si racconta che Giobbe è un uomo molto ricco, possiede tanto bestiame, molti servi ed ha anche una famiglia numerosa. Satana parla con Dio e gli dice che Giobbe finge di praticare la sua fede ma solo per conservare i suoi beni materiali con il beneplacito divino.
[Léon Bonnat: Giobbe. 1880]
Dio permette che Satana metta alla prova Giobbe, con l'unico obbligo di non ucciderlo. Giobbe, nonostante i mali che lo travagliano per le prove che il demonio gli fa subire, sopporterà con rassegnazione la perdita dei suoi beni, dei suoi sette figli e tre figlie che moriranno nel crollo della casa di uno di loro; sopporterà anche le sofferenze dovute alla malattia ripugnante e dolorosa che lo ha colpito. Anche se non si può stabilire esattamente quale malattia fosse, la Bibbia ne descrive gli effetti: “Allontanatosi dalla presenza del Signore, Satana colpì Giobbe di un’ulcera maligna dai piedi sino alla cima del capo.” (Giobbe 2, 7-8). La Bibbia racconta che il corpo di Giobbe era coperta di bachi, la sua pelle di croste, inoltre il suo alito era nauseabondo, il dolore era incessante e la pelle annerita gli cadeva di dosso. Giobbe si grattava continuamente con un frammento di terracotta, seduto in mezzo alla cenere.
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Perché in mezzo alla cenere? Lo fece sia per un atto di umiltà (“Perciò mi ricredo e mi pento sulla polvere e sulla cenere (Giobbe 42,6)”, sia a scopo terapeutico: la cenere veniva infatti spesso impiegata per favorire la formazione di croste e la guarigione delle ferite, nonché come emostatico. Alla fine, come è noto, fa fede di Giobbe trionfa ed egli finisce con il recuperare la sua antica prosperità ed anche di più. L’ulcera maligna di Giobbe ha da sempre suscitato la curiosità di medici e studiosi. Potrebbe essere stata una forma lebbrosa, poiché l’uomo fu costretto ad abbandonare la città e a recarsi in un posto isolato: la malattia lo consuma, decompone il suo corpo sotto i suoi occhi, è ritenuta incurabile. Studiosi moderni ipotizzano che potrebbe invece trattarsi di Elefantiasi, una malattia dovuta al parassita Filaria, presente e ben noto all’epoca in Palestina, in Egitto e nel vicino Oriente. Nell’Elefantiasi i parassiti invadono i vasi linfatici provocando un’abnorme tumefazione agli arti, rugosità, ispessimento e iperpigmentazione della pelle, comparsa di ulcere e tubercoli superficiali.
Un’altra ipotesi attendibile è che si sia trattata di una leishmaniosi cutanea, una malattia da parassiti (leishmanie) contrassegnata dalla comparsa di ulcere e febbre.
V. LA TZARAATH Nella Bibbia, con il termine “Tzaraath” si indicava una vasta gamma di almeno 72 malattie dermatologiche, comprendenti la temutissima lebbra ma anche micosi, psoriasi, dermatosi, eczemi, tigna, scabbia, leucodermie e leucoplasie; persino le muffe sui vestiti e sulle pareti delle abitazioni potevano essere comprese in questa accezione. Queste affezioni cutanee, essendo visibili, erano considerate dagli antichi ebrei la stimmate di un peccato commesso, non una malattia come le altre, ma un terribile castigo inviato da Dio per colpire determinate persone che avevano commesso gravi peccati: ad esempio Maria, sorella di Mosè, divenne lebbrosa a seguito del suo peccato di mormorazione (Nm 12,1-10); Davide invoca la lebbra sulla casa di Joab come castigo per l'omicidio che questi ha commesso (2 Sam 3,29); in Dt. (28,25-27) la lebbra è elencata fra le maledizioni rivolte al popolo di Dio se non obbedisce alla sua voce. Nel Libro dell’Esodo uno dei segni che Dio permise a Mosè di compiere per dimostrare agli israeliti che era stato mandato da Dio riguardava la lebbra. Come gli era stato ordinato, Mosè infilò la mano nel lembo superiore della sua veste e, quando la tirò fuori, “la sua mano era colpita da lebbra come la neve”.
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La mano tornò “come il resto della sua carne” quando Mosè la rimise nel lembo superiore della veste e poi la tirò fuori di nuovo. Anche nel Nuovo Testamento, in Galilea, Gesù guarì un lebbroso descritto da Luca come “un uomo pieno di lebbra”. Gesù ordinò al lebbroso di non parlarne con nessuno e aggiunse: “Ma va e mostrati al sacerdote, e fa un’offerta per la tua purificazione, come ha prescritto Mosè, in testimonianza a loro”. Anche i Dodici Apostoli riceveranno da Cristo l’ordine e il potere di guarire dalla lebbra per mostrare, con questo segno, come il Regno di Dio fosse giunto.
Condizione del lebbroso.
Alla sofferenza per la malattia, il lebbroso univa anche il dolore e la vergogna per la colpevolizzazione, perché la lebbra lo dichiarava pubblicamente peccatore e colpito da Dio. Non era solo vittima della malattia, ma anche colpevole di essa! Anche la sua identità personale veniva espropriata dalla sua malattia: egli, dice il Levitico, "porterà le vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo!... Se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento" (Lv 13,45-46). Anche la sua casa poteva essere dichiarata impura e pertanto rasa al suolo.
L’accesso al Tempio era proibito e perciò non poteva rivolgersi a Dio, unica possibilità di guarigione. Il lebbroso incute paura: può contagiare gli altri e perciò è abbandonato dai familiari, evitato dalle altre persone, emarginato dalla società: la società lo espelle e lo costringe a vivere in luoghi distanti dai centri abitati. Normalmente viveva in grotte o capanne e il suo sostentamento era affidato alla carità di parenti o persone misericordiose che portavano cibo e vestiti in questi luoghi, restando però sempre fisicamente a distanza dai contagiati. Le relazioni con il lebbroso erano interdette ed egli era colpito in tutte le sfere relazionali: - la sfera fisica: il suo corpo piagato gli diviene estraneo ed egli può arrivare a non riconoscersi più; - la sfera familiare, affettiva e sessuale: estromesso dalla famiglia, ogni contatto con lui è tabù.
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- la sfera sociale: allontanato dalla società, dal lavoro, dalla partecipazione alla vita del villaggio e alle attività comuni. - la sfera psicologia e morale: è giudicato peccatore e colpevolizzato. - la sfera religiosa: è escluso dalla partecipazione alla vita religiosa comunitaria del popolo, cui potrà essere riammesso una volta che i sacerdoti ne abbiano constatato la guarigione. Quindi, poiché per la Bibbia la vita è relazione, il lebbroso, le cui relazioni sono compromesse o proibite, è un cadavere ambulante. Egli, dice il libro dei Numeri, è "come uno a cui suo padre ha sputato in faccia" (Nm 12,14).
Lebbra e medicina ebraica In caso di “lebbra”, l'esame dei malati non spettava al medico ma ai sacerdoti, ai quali però non veniva affidata una funzione terapeutica come invece accadeva con i sacerdoti dell'antiche civiltà, ma soltanto ispettiva/diagnostica del corpo del contagiato. Il sacerdote, dopo aver esaminato il malato, attraverso la visione diretta delle lesioni cutanee (nel Levitico è Dio stesso che spiega a Mose ed Aronne come diagnosticare la malattia, come valutare la fase della stessa, e come agire), e accertata la presenza dei segni della malattia, dichiarava “impuro” il lebbroso e quindi maledetto da Dio.
[Sacerdoti Ebrei] I sacerdoti sapevano quando la lebbra poteva raggiungere uno stadio in cui non era più contagiosa: quando il corpo del lebbroso fosse diventato completamente bianco, e non si vedesse carne viva, era segno che la malattia aveva fatto il suo corso e rimanevano solo le cicatrici. Allora il sacerdote poteva dichiarare pura la vittima, poiché la malattia non costituiva più un pericolo per nessuno.
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APPENDICE: IL MORBO DI HANSEN La lebbra è considerata una delle malattie più antiche al mondo, e nulla esclude che la “Tzaraath” comprenda quella che modernamente è intesa come Morbo di Hansen. La lebbra è una malattia infettiva cronica, originata da un micobatterio simile a quello della tubercolosi, che colpisce la pelle e il sistema nervoso periferico. Può essere trattata al giorno d’oggi con una semplicissima terapia domiciliare e, presa in tempo e con un adeguato trattamento farmacologico, viene facilmente sconfitta senza l’incorrere delle tristemente famose cicatrici deturpanti. Nonostante, però, l’introduzione da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) della cura farmacologica specifica nel 1982 e il notevole deflusso dei casi accertati di lebbra, lo stigma sociale ad essa legata è andato ancora aumentando, contrariamente all’attenzione dell’opinione pubblica e dei politici sull’argomento, che invece va scemando se non addirittura messa nel dimenticatoio o, peggio ancora, nell’indifferenza.
Il problema sociale. La lebbra cessa di essere una malattia contagiosa dopo solo due settimane di trattamento, e risulta essere contagiosa solo in caso di lebbra bacillifera (estremamente rara), in caso di mancanza di terapia, o in caso di estrema debolezza delle difese immunitarie del malato. Tutti questi elementi dimostrano come, se affrontata con il giusto approccio, la lebbra potrebbe essere una malattia estremamente facile da eliminare. Oggi la si può curare ma è stata a lungo un terribile flagello per l’umanità
Epidemiologia. L’OMS ha pubblicato all’inizio di settembre 2017 i dati sulla situazione della lebbra nel mondo, aggiornati al 31/12/2016. I dati provengono da 143 Paesi e sono da considerarsi incompleti perché, tra quelli che non hanno risposto, ve ne sono alcuni dove la lebbra è endemica. Africa: 19.384 malati- Americhe: 27.356 - Mediterraneo orientale: 2834 - Sud Est Asiatico 161.263 Pacifico occidentale: 3914 - Europa: 32. Come si evince dai dati, la malattia risulta altamente concentrata in alcune zone del mondo: India, Brasile e Indonesia sono gli Stati più colpiti, con il maggior numero di nuovi casi.
[In rosso le aree più interessate, i colori degradano verso le aree a minore incidenza.]
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Guardiamo adesso la situazione in Italia. L'Italia è il paese del Vecchio Continente in cui i casi dichiarati di lebbra sono i più numerosi. Fino ad un recente passato vi erano alcuni focolai endemici molto limitati, ma attualmente la maggior parte dei casi italiani è di importazione. Abbiamo poche notizie sulla attuale situazione della lebbra in Italia, non è noto il numero esatto dei malati in trattamento, sembra siano 300 circa. Ogni anno sono circa 15 i nuovi casi trattati, e riguardano italiani che hanno soggiornato all’estero in Paesi con lebbra endemica e/o migranti provenienti da tali Paesi, soprattutto America Latina (Brasile in particolare) e Africa (Senegal e Nigeria). Il Centro di riferimento nazionale per la lebbra è a Genova (Ospedale San Martino, Reparto di Dermatologia Sociale) In Italia l’ultimo lebbrosario è stato chiuso nel 2011: vale la pena sottolineare che fu chiuso a seguito di una indagine circa malasanità e finanziamenti sospetti ed esagerati e non per la scomparsa del morbo.
Eziopatogenesi. La Lebbra (o malattia di Hansen, dal nome dello scienziato norvegese che isolò, alla fine del 1800, il germe patogeno) è una malattia infettiva cronica causata dal Mycobacteriun leprae che colpisce la pelle ed i nervi periferici del corpo in vari modi e gradi, sino a procurare gravissime mutilazioni.
[Gerhard Henrik Armauer Hansen; a dx il Mycobacterium leprae] La lebbra è un raro esempio di malattia batterica che colpisce quasi esclusivamente l’uomo: gli unici altri animali che la possono contrarre sono gli scimpanzé, i cercocebi (genere di scimmia) e gli armadilli a nove fasce.
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Trasmissione La lebbra è una malattia considerata non molto infettiva. Il batterio si trasmette, via saliva e muco nasale di pazienti con la malattia in fase molto avanzata; può essere liberato nell'ambiente anche dalle lesioni cutanee dei pazienti infetti. In condizioni ideali, l'agente infettivo riesce a sopravvivere anche alcune settimane fuori dall'organismo umano. Il periodo di incubazione prima della comparsa dei sintomi varia dai 5 ai 20 anni.
Quadri clinici. All’inizio della malattia si ha la comparsa di malessere, debolezza, febbre irregolare, mal di testa, sangue dal naso, dolori articolari, piccole chiazze in cui la pelle è scolorita o arrossata. Questi sintomi premonitori possono perdurare per mesi ed essere seguiti da eruzioni cutanee periodiche. A questa prima fase ne subentra una seconda che può assumere diverse forme, le più comuni delle quali sono:
Lebbra tubercoloide In questa forma si osservano più frequentemente danni ai nervi delle braccia, delle gambe e del volto insieme talvolta a chiazze rossastre o violacee della pelle che possono confluire in placche più estese. Il malato ha gravi disturbi della sensibilità, con perdita di sensibilità tattile, dolorifica e termica.
Lebbra lepromatosa
Questa è la forma più grave di lebbra, nella quale oltre alle macchie si osservano ispessimenti della pelle (noduli sottocutanei), generalmente sul volto e sugli arti; vicino a questi noduli, la pelle diventa ispessita e rugosa. È frequente il coinvolgimento delle cavità nasali dove sono presenti dei noduli – detti placche o lepromi – che deturpano completamente il naso. L’infezione procede sino a causare la comparsa dei noduli sulla faccia, che si modifica a tal punto da essere definita facies leonina (in latino «volto da leone») [vedi immagini]
Dolori nevritici accompagnano l’invasione a causa dell’ispessimento di alcuni nervi; ne consegue una paralisi neuro-muscolare che colpisce gradatamente la faccia, le mani ed i piedi. I muscoli della faccia divengono contratti e distorti; la estroflessione delle palpebre inferiori impedisce di chiudere gli occhi; le labbra diventano flaccide e quello inferiore cade. Il senso tattile e il controllo dei muscoli vengono persi, le mani non possono stringere e si formano arti a forma di clava.
[22]
Analogamente avviene negli arti inferiori, per cui il malato presenterà gravi problemi di deambulazione. Possono anche essere coinvolti organi interni. Quando la lebbra raggiunge lo stadio più avanzato, le tumefazioni iniziali diventano purulente, si perdono i capelli e le sopracciglia, le unghie si allentano e cadono. Quindi le dita, gli arti, il naso o gli occhi del malato si consumano lentamente. Possono comparire terribili mutilazioni (come la perdita delle braccia e delle mani). E’ caratteristico l’odore nauseante dei malati: gli autori medioevali lo descrivevano come odore di caprone maschio, oggetto di repulsione per chiunque vi si avvicinasse. Nell’ultimo stadio della malattia compare una sete inestinguibile. Nei casi più gravi, sopravviene la morte, in media 8 anni dopo l’inizio dei sintomi. Vi presento adesso una serie di immagini di lesioni lebbrose, la cui visione può risultare inadatta alle persone sensibili.
[Forma lepromatosa in bambino]
[Lesioni diffuse in giovane donna]
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[Mutilazione alle dite della mano destra]
[Mutilazioni arti superiori ed inferiori]
[CecitĂ e lesioni agli arti]
Diagnosi. Per dire con certezza che il paziente ha la lebbra è importante ricorrere alla biopsia: si preleva una piccola parte della pelle oppure si esaminano le secrezioni nasali e al microscopio si ricerca la presenza del bacillo di Hansen.
[24]
Terapia. Soltanto nel 1945 furono scoperte le prime cure per la lebbra. La guarigione, se avviene, richiede tempi molto lunghi; è importante assumere diversi farmaci e a lungo (molti mesi, se non anni). La cura della lebbra si basa su una polichemioterapia specifica a base di dapsone, clofazimina e rifampicina.
Prima di chiudere questo argomento, desidero ricordare questi tre grandi personaggi, che nel secolo scorso hanno svolto una grande opera umanitaria a favore dei lebbrosi.
Raoul Follereau (1903-1977) è stato un giornalista,
filantropo
e
poeta
francese,
fondatore dell'Associazione Raoul Follereau che dal 1961 aiuta e difende i diritti dei lebbrosi in particolare nei paesi africani. Instancabile viaggiatore per tutto il mondo (ha
attraversato
l’equivalente
di
il
pianeta,
32
volte)
si ha
stima tenuto
numerosissime conferenze per sensibilizzare le persone alle necessità dei lebbrosi e degli emarginati e soprattutto incontrare loro e quanti li aiutavano (“La civiltà è il desiderio paziente, appassionato e ostinato di vedere sulla terra meno ingiustizie, meno dolori, meno sventure”).
Albert Schweitzer (1875-1965) fu medico, musicista, scrittore e filosofo. Nato a Kaysersberg, in Alsazia, nel 1875, dopo essersi laureato in medicina decise di lasciare il suo Paese per recarsi in una missione in Gabon, dove mancavano medici. A Lambaréné, fece costruire un ospedale dove curare e vaccinare la popolazione indigena e in seguito un lebbrosario. Là morì nel 1965, compianto da tutti i suoi pazienti che lo avevano soprannominato "Ogango", cioè "grande dottore bianco". Nel 1952 ricevette il Premio Nobel per la Pace grazie alle sue opere umanitarie in Africa. Di Albert Schweitzer ricordo questa bellissima frase: «L’unica cosa importante quando ce ne andremo, saranno le tracce d’amore che avremo lasciato».
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Madre Teresa di Calcutta (1910-1997), al secolo Anjezë Gonxhe Bojaxhiu, è stata una religiosa albanese poi naturalizzata indiana, di fede cattolica, fondatrice della congregazione religiosa delle Missionarie della carità. Negli anni ’50 Madre Teresa decise di dedicarsi anche alla piaga della lebbra, a quel tempo ancora largamente diffusa. Nel 1957, con l'aiuto di un medico, cominciò ad accogliere e assistere alcuni lebbrosi. Poco dopo realizzò delle cliniche mobili per contenere i focolai di infezione. Nel 1958 Madre Teresa aprì un centro per i malati di lebbra a Tigarah, in una zona degradata
nella
periferia
di
Calcutta.
Ricordando l'impegno di Gandhi per i lebbrosi, la suora volle dedicare alla sua memoria la struttura, che venne quindi chiamata Gandhiji's Prem Niwas ("Dono d'amore di Gandhi"). Andava ogni giorno a trovarli e curarli nelle loro misere baracche (slums) e nutriva la speranza di costruire per loro una città. Pochi anni dopo, nel 1961, il Governatore del Bengala decise di affidare alle Missionarie della Carità un terreno a circa 300 chilometri da Calcutta, presso il confine con il Bihar: qui Madre Teresa realizzò il villaggio di Shanti Nagar ("Città della pace"), dove i malati di lebbra potevano vivere e lavorare, coltivando i campi, allevando animali e svolgendo attività di artigianato. All'interno della città vi erano i negozi, i giardini, l'ufficio postale e le scuole. La presenza di volontari sani favoriva il recupero sociale dei malati, evitando forme di emarginazione. Sul suo impegno verso i lebbrosi, Madre Teresa spesso ripeteva: "Non ci sono lebbrosi, solo la lebbra, e si può curare”. Nel 1979 le fu assegnato il Premio Nobel per la pace. E’ stata canonizzata da Papa Francesco il 4 settembre 2016.
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CAP. IV – LA MEDICINA BIBLICA “LAICA” – ANTICO TESTAMENTO Con il titolo di Medicina biblica laica ho raccolto tutti quegli studi scientifici di eventi o costumi in qualche modo legati alla medicina, ma che non sono in alcun modo influenzati da interpretazioni di tipo religioso. In questo capitolo faremo alcune considerazioni attinenti all’Antico Testamento.
I. LA VITA DEI PATRIARCHI BIBLICI Il 4 agosto 1997 si spense ad Arles, in Francia, Jeanne Louise Calment: aveva 122 anni e 164 giorni, un'età che la rende ancora oggi l'essere umano più longevo di cui si abbia notizia documentata. Jeanne-Louise condusse sempre una vita molto attiva. A 85 anni iniziò a tirare di scherma e all'età di 100 anni continuava ancora ad andare in bicicletta. Nella Bibbia leggiamo che le prime dieci generazioni della storia umana vissero molto più a lungo, arrivando in alcuni casi a sfiorare i mille anni. Il libro biblico della Genesi (Genesi 5:5-27; 9:29) menziona sette uomini che vissero più di 900 anni, tutti nati prima del Diluvio. Si tratta di Adamo, Set, Enos, Chenan, Iared, Metusela (conosciuto anche come Matusalemme) e Noè. Matusalemme è stato in assoluto l’uomo più longevo: visse la bellezza di 969 anni. Nella Bibbia sono citate almeno altre 25 persone che raggiunsero età fuori del comune per i nostri giorni: alcune vissero 300, 400 o persino 700 anni e più (Genesi 5:28-31; 11:10-25). È verosimile? Nei tempi biblici vivevano davvero così a lungo? Ricercatori di più Istituti scientifici - analizzando i dati demografici di 41 paesi sparsi nel mondo ed esaminando i tassi di mortalità dei supercentenari (minimo 110 anni di età) vissuti negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Giappone e in Francia - hanno studiato fino a che punto i fattori biologici limitano l'aspettativa di vita. I risultati di questo complesso studio scientifico suggeriscono in modo netto che la durata della vita umana ha un limite naturale, e che allo stato attuale la probabilità che una persona viva più di 125 anni è estremamente molto bassa. L’uomo nasce, cresce, sviluppa la capacità di riprodursi, e tutti questi cambiamenti implicano la messa in moto di un processo che presenta un capolinea strutturale.
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Si ritiene che anche in futuro sarà molto improbabile trovare un rimedio a tutte le complesse problematiche legate alla della vecchiaia. Ma a cosa miriamo davvero? La medicina anti-invecchiamento deve essere più concentrata sul miglioramento della qualità della vita in tarda età, piuttosto che sulla ricerca di un improbabile elisir di eterna giovinezza. Che dire quindi dei racconti della Bibbia? Sono leggende? Un recente studio ipotizza che semplicemente fu compiuto un errore di trascrizione dai primi traduttori della Bibbia nel 3° secolo d.C. Questi ultimi, traducendo dall’aramaico al greco, si dimenticarono, infatti, di tener conto del sistema numerico dei Sumeri, completamente differente da quello utilizzato dai greci. Il risultato fu dunque quello di elaborare dei testi in cui tutti i dati relativi al trascorrere del tempo risultano falsati. Da questa ricerca, quindi, emerge che Matusalemme, il famoso “uomo più vecchio di tutti i tempi”, non morì a 969 anni, ma a 120 anni. Noè cominciò a costruire l’arca a 60 anni e non a 500. Sara, la moglie di Abramo, non generò Isacco in tardissima età, ma verosimilmente intorno ai 40 anni. Ma è solo un’ipotesi… Non è solo nella Bibbia che si parla di individui tanto longevi. Da tavolette cuneiformi ritrovate nella bassa Mesopotamia è emerso che alcuni re sumerici regnarono per millenni, se non addirittura per decine di millenni: En-me-en-lu-an-na, re di Bad-Tabira, prima del diluvio, avrebbe regnato per ben 43.200 anni (!?!). Per quanto riguarda gli italiani, secondo i dati ISTA del 2016, ci sono 17.630 ultracentenari, quelli di oltre 105 anni sono 1.112. Nessuno di loro nell'Ottocento: in pratica si sono estinte tutte le generazionii dal 1896 al 1903. Nel panorama della longevità, quasi il 90% delle persone, è composto da donne: al 1° gennaio le donne dai cento anni in su erano 14.719, gli uomini 2.911. La Liguria è la Regione più longeva:ha 50 ultracentenari ogni 100 mila residenti. Si calcola che nel 2050 in Italia gli ultracentenari saranno all’incirca 157.000.
II. LA CIRCONCISIONE E’ il taglio del prepuzio maschile, cioè di quella parte mucoso-cutanea del pene che copre il glande.
[28]
La circoncisione trova un posto di rilievo nella Bibbia: nel Libro della Genesi si descrive l’obbligo della circoncisione che Dio fece a Abramo, ai suoi familiari e agli schiavi, facendo di lui il primo individuo conosciuto a essersi sottoposto alla procedura (Il Brit milà, "patto della circoncisione"). Nello stesso capitolo ai discendenti di Abramo viene comandato di circoncidere i loro figli l'ottavo giorno di vita. Genesi, capitolo 17: Disse Dio ad Abramo: «Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra di voi ogni maschio. Vi lascerete circoncidere la carne del vostro membro e ciò sarà il segno dell'alleanza tra me e voi. Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra di voi ogni maschio di generazione in generazione, tanto quello nato in casa come quello comperato con denaro da qualunque straniero che non sia della tua stirpe. […] Il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà stata circoncisa la carne del membro, sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza». Molti studiosi ritengono che nell’antichità le infezioni dell’apparato
urinario
fossero
diffusissime,
quasi
endemiche, e - per prevenirle - si arrivò ad incorporare questa tecnica nelle pratiche religiose, onde facilitare l’igiene del pene nei climi caldi e sabbiosi. La sua applicazione ha origini molto remote ed era praticata da interi popoli semiti (anche dagli egizi e dagli etiopi). Presso quei popoli antichi pare sia consistita in un rito per consacrare la facoltà generativa e per poter trasmettere la vita. I molti amuleti trovati negli scavi documentano che la fecondità era ritenuta molto importante dai popoli antichi. E’ famosissimo il bassorilievo trovato nella piramide di Saqqara in Egitto, in cui è illustrata la tecnica. In quel popolo la circoncisione veniva eseguita all’età della prima pubertà. (Vedi anche il vol. 3° di questa Collana dedicato alla Storia della Medicina dell’Antico Egitto, pagg. 43-44)
[29]
[P ati a della i o isio e ell’a ti o Egitto, Pi a ide di “a
a a; in basso la riproduzione in disegno]
Il rito ebraico antico. La circoncisione veniva eseguita nell’ottavo giorno dalla nascita del maschio e consisteva nell’amputazione, mediante un coltello di pietra, del prepuzio infantile, attraverso un taglio circolare. Il padre (o, in caso di sua morte, la madre) compiva di persona la cerimonia. Il rito era accompagnato da una preghiera documentata dalla letteratura ebraica antica e che ancor oggi gli ebrei moderni recitano. La scienza medica ha scoperto che l’8° giorno è quello più adatto alla circoncisione; infatti normali quantità della vitamina K non sono presenti nel sangue che a partire dal 5°-7° giorno dopo la nascita; e un’altra sostanza coagulante (la protrombina) è presente il 3° giorno solo in quantità pari al 30% del
[30]
normale, mentre l’ottavo giorno è presente in quantità più elevata che in qualsiasi altro momento della vita del bambino (fino al 110% del normale). Nell’8° giorno dunque il pericolo di emorragie è basso.
[Schema della coagulazione: la vitamina K agisce come attivatore della protrombina e dei fattori VII, IX e X della coagulazione]
La circoncisione nel Nuovo Testamento La circoncisione di Gesù è un evento narrato dal Vangelo secondo Luca (2,21): otto giorni dopo la sua nascita Gesù venne circonciso secondo la prassi ebraica della Milah. In quell'occasione ricevette il nome di "Gesù" che deriva dalla lingua ebraica, in cui significa "salvezza" o "salvatore". Con la circoncisione Gesù entrò giuridicamente a far parte del popolo ebraico. [Circoncisione di Gesù – Mantegna]
La circoncisione nel tempo attuale. La circoncisione è una pratica ancora attuale e diffusa nel mondo: circa un terzo dei maschi di tutto il mondo è circonciso. Oltre che in Israele (dove la pressoché totalità della popolazione maschile è circoncisa), la procedura è diffusa nel mondo musulmano, negli Stati Uniti, in parte del sud-est asiatico e in Africa. È invece rara in Europa, in America Latina, in alcune zone del Sud Africa e in gran parte dell'Asia. Presso gli Ebrei moderni, il rituale stabilisce che la circoncisione deve essere eseguita, solitamente dopo una serata di studio, da un circoncisore specialista (il mohel) l'ottavo giorno della vita di un neonato (con alcune eccezioni nel caso di cattive condizioni di salute). Durante la cerimonia viene annunciato il nome del bambino.
[31]
Il rituale consiste nel compimento di tre atti, normalmente distinti: 1. milà propriamente detta, che consiste nella recisione del prepuzio, cioè della pelle che ricopre la sua punta; 2. peri'à, rivoltamento della mucosa sottostante; 3. metzitzà, succhiamento del sangue della ferita.
La circoncisione nel mondo islamico. Nel mondo islamico la circoncisione, anche se non è menzionata espressamente nel Corano (scritto all'inizio del VI secolo d.C.), è un aspetto essenziale della fede, perché praticata dallo stesso Maometto il quale aveva seguito la tradizione di Abramo, del quale il Profeta si proclamava successore. Un’altra motivazione sta nel concetto che un buon musulmano, quando si pone in atteggiamento di preghiera, deve essere puro: è per questo che si fanno le abluzioni, ma nel prepuzio maschile possono facilmente rimanere delle tracce di sporcizia, quindi questa pratica chirurgica, nella tradizione musulmana, è considerata necessaria. Tra i musulmani la circoncisione può essere effettuata da subito dopo la nascita fino a circa quindici anni, ma l'età più frequente è tra i sei e i sette anni.
[32]
Con quest’atto si sancisce il passaggio solenne del ragazzo dalla tappa dell'infanzia a quella dell’uomo, è l'atto che attesta che il giovane è pronto per la vita adulta, dimostra la capacità del ragazzo di sopportare il dolore e firma la sua appartenenza ad una comunità. La circoncisione è un rito circondato da un ricco cerimoniale degno del simbolismo dell'atto: può essere celebrata all'interno della famiglia o come evento comunitario. La
circoncisione
è
raccomandata,
ma
non
obbligatoria, in caso di conversione all'Islam.
La circoncisione in ambito medico La circoncisione può avere un'indicazione clinica nei casi di soggetti affetti da fimosi patologica e nei maschi suscettibili di balanopostite cronica e infezioni ricorrenti del tratto urinario. Secondo uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, la circoncisione riduce il rischio di contagio dall’HIV, dal Papillomavirus e Herpes. In ogni caso è bene ricordare che il metodo più sicuro per proteggersi dalle malattie veneree è il preservativo.
[A sin: quadro clinico di fimosi; gli altri disegni illustrano le fasi dell’i te ve to hi u gi o]
III. LE DIECI PIAGHE D’EGITTO Le piaghe d’Egitto furono un insieme di calamità che, secondo il racconto biblico (Libro dell’Esodo), si abbatterono per volontà divina sul Faraone e sugli Egizi a causa del loro rifiuto alla partenza degli Ebrei. L’ultima piaga (la morte dei primogeniti) vinse definitivamente la resistenza degli Egizi e gli Ebrei poterono partire per la Palestina. Questi prodigi suscitano grande curiosità da circa tre millenni e in molti hanno tentato di dare una spiegazione razionale a questo evento. Alla prima domanda se le piaghe d’Egitto siano un fatto storico no, abbiamo degli scritti contenuti nell’antico papiro egiziano di Ipuwer (compilato verso il tardo periodo della XII dinastia egizia, circa 1991-1803 a.C.) i quali presentano una corrispondenza estrema con la descrizione delle dieci piaghe d'Egitto descritte nel libro di Esodo (Shemot).
[33]
Esistono varie interpretazioni scientifiche (geologiche, naturalistiche e mediche) che cercano di spiegare quanto successo, senza che però esista la certezza assoluta di quanto supposto. Gli scienziati affermano che le piaghe possono essere attribuite a una serie di fenomeni naturali avviati da un disastro ambientale (eruzione vulcanica) avvenuto a centinaia di chilometri di distanza e che ha portato a cambiamenti climatici. Tutto sarebbe cominciato con due enormi esplosioni vulcaniche nel Mar Egeo, in corrispondenza dell’isola di Santorini.
[Aspetto attuale dell’isola di “a to i i] L’attuale isola di Santorini è in realtà l’antica Thira (o Thera) che si trova nel mare Egeo. È un piccolo arcipelago delle Cicladi Meridionali. Le isole che lo compongono formano un anello montagnoso che racchiude il mare in un’ampia baia ovale il cui diametro massimo è di 11 chilometri e quello minimo di 7. La maggiore delle isole, Thera o Santorini (75 chilometri quadrati), forma una mezzaluna aperta a ovest che abbraccia la baia per oltre 200°. La baia presenta un paesaggio sorprendente: essa è circondata da gigantesche pareti ocra, striate di bianco, chiazzate di nero a tratti, culminanti talvolta a 330 metri; al centro emergono isolotti nerastri, spogli, i Kaiménès o “isole bruciate”. L’arcipelago costituisce un bellissimo esempio di vulcano esploso e sventrato. La sua forma è direttamente
legata
all’esplosione
che
avvenne nel 1470 a.C. (gli ultimi dati danno l’eruzione intorno al 1600 a.C.) La camera magmatica si svuotò, 60 chilometri cubi
di
materiali
vennero
proiettati
nell’atmosfera ed essendo crollata la volta, il mare irruppe nella caldera così formata. Dell’antico vulcano che sorgeva al centro della
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baia attuale, è rimasta soltanto l’Isola di Thira, a forma di falce di luna, in pratica metà del cono vulcanico.
L’eruzione del vulcano avvenne in due fasi. La prima, avvenuta nel 1628 a.C., fu la più imponente eruzione avvenuta in Europa documentata in epoca storica e tra le più disastrose eruzioni vulcaniche accadute nella storia umana: enormi quantità di cenere vulcanica e di gas compressi surriscaldati raggiunse la stratosfera ad una velocità di 2000 km/h, con conseguenze rilevate dall'Africa alla Scandinavia, dal Golfo Persico a Gibilterra. Le ceneri furono sparse per molti chilometri (dai 30 a 35 Km simat oscurarono la
luce
solare
e
alterarono
le
condizioni
meteorologiche. Ancora oggi su Nea Kameni, un’isoletta satellite di Santorini formatasi proprio dopo l’eruzione, si possono vedere piccoli crateri e fumarole di zolfo: tutti gli studiosi sono concordi nel dire che Thira è attiva e che ciò che è avvenuto nel 1600 a.C. finirà inevitabilmente per ripetersi.
Si ipotizza che l’eruzione abbia causato uno sconvolgente effetto tsunami con onde alte probabilmente oltre i 60 metri, nelle coste di Creta, distante circa 110 km, e può avere duramente devastato gli insediamenti minoici costieri. Una più recente teoria ipotizza che molto del danno provocato ai siti minoici sia dovuto a un grande terremoto che precedette l'eruzione del vulcano. A riprova del coinvolgimento naturale dell’Egitto, gli scienziati hanno scoperto, durante gli scavi presso rovine egizie, della pomice, una roccia di colore rosa che si forma dalla lava vulcanica raffreddata, sebbene non esistano vulcani in Egitto. L'analisi delle rocce mostra che la pomice deriva dal vulcano di Santorini, offrendo così la prova fisica che la ricaduta della cenere dell'eruzione di Santorini raggiunse effettivamente le coste egiziane.
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La seconda eruzione avvenne dopo una pausa ipotizzata tra i 2 e 24 mesi. L’eruzione di Thira provocò in Egitto un brusco cambiamento climatico in termini di surriscaldamento. E gli scienziati ritengono che questo cambiamento nel clima diede l'avvio alla prima delle dieci piaghe. 1a piaga: Trasformazione delle acque del Nilo in sangue. Il Nilo, la più importante fonte di prosperità per la terra d’Egitto, era considerato una divinità (Hapi), proprio come lo stesso Faraone.
[Hapi, dio del Nilo]
Per dimostrare la Sua sovranità su ogni elemento naturale, e per togliere legittimità alle credenze pagane degli Egiziani, il Dio degli ebrei rese le acque del fiume rosse e maleodoranti, assimilate al sangue.
Di e il “ig o e: Da uesto fatto sap ai he io so o il “ig o e; e o, o il asto e he ho in mano io atto u olpo sulle a ue he so o el Nilo: esse si ute a o i sa gue. (Esodo 7,17). Dal punto di vista scientifico, si ipotizza che l'aumento della temperatura potrebbe aver causato la proliferazione di un'alga tossica nelle acque del grande fiume. L’alga sarebbe stata identificata nella Oscillatoria rubescens [nel riquadro], conosciuta come alga del sangue di Burgundi, presente già 3000 anni fa e ancora oggi causa di simili effetti. Quest’alga si moltiplica in maniera massiccia in acque calde lente con alti livelli di elementi nutritivi; quando muore, colora l'acqua di rosso. Potrebbe in alternativa esserci stata un’improvvisa
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e rapida proliferazione di microrganismi (quella che chiamiamo eutrofizzazione) a causa della quale il Nilo avrebbe assunto una colorazione rossastra, mentre miriadi di pesci uccisi dalle tossine di questi microrganismi galleggiavano nell’acqua emanando un terribile fetore. Altri organismi che potrebbero aver causato l’arrossamento delle acque potrebbero essere stati:
Noctiluca scintillans
Pfiesteria piscicida
Euglena rubida
In queste successive (e suggestive) immagini vediamo il fenomeno dell’arrossamento delle acque, rispettivamente nel mare di Azov, in Russia, nel 2012, e in quello di Sydney in Australia , nel 2016.
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In epoca moderna, questi processi di eutrofizzazione vengono causati da detersivi e fertilizzanti, che portano con sé grandi quantità di Azoto, Fosforo e Zolfo. La conseguenza è la produzione di mucillagini, colorazioni o torbidità delle acque, moria dei pesci per ridotta quantità di ossigeno. 2a piaga: Invasione delle rane. L'arrivo delle alghe tossiche e le stesse ceneri acide che avrebbero
contaminato
l’acqua
avrebbero
avviato
una
trasformazione tale da aver forzato le rane (che in condizioni di stress si moltiplicano e crescono più velocemente) a lasciare l'acqua in cui vivevano. Le rane, fuori dall’ambiente acqueo, morirono per disidratazione. L’invasione delle rane ha un significato legato alla religione egizia, cioè alla dea Heket, colei che, secondo gli egizi, donava lo spirito vitale agli esseri umani. Heket è rappresentata come una donna con la testa di rana. L’associazione delle rane (creature del Nilo) al concetto di fertilità e vita ben spiega il timore che gli Egizi ebbero per questa seconda piaga. 3a e 4a piaga: Invasione di zanzare, moschi e mosconi. La moria delle rane causò, a sua volta, la proliferazione incontrollata di zanzare, mosche e mosconi, non più soggetti alla forza regolativa dovuta ai loro predatori naturali. Secondo gli studiosi, non erano comuni mosche domestiche, ma mosche cavalline. È un dittero ematofago più grande della mosca domestica.
La punta del suo apparato buccale è dotata di lame minutissime che tagliano la pelle con un movimento a forbice, per permettere poi di inserire il resto della proboscide come uno stiletto e procedere alla suzione del sangue. La puntura di questo insetto lascia una ferita aperta che espone il corpo alle infezioni. Questo insetto è caratterizzato da una spiccata aggressività e voracità. La forza del suo apparato buccale e delle zampe gli consente di restare attaccato all'animale anche per diversi minuti, specie se posizionato in un punto particolarmente carnoso, ed è pressoché impossibile scacciarlo via.
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5a piaga: Moria del bestiame. Oltre alla mosca cavallina, un altro insetto che sarebbe proliferato fu il Culicoides imicola, tuttora conosciuto come una minaccia verso gli animali da allevamento, perché vettore di due pericolosi e differenti virus: il Virus della lingua blu (BTV), su quasi tutti i ruminanti, e il Virus della Peste Equina (AHS), su cavalli, asini, ecc. Questo insetto, succhiando il sangue di bovini, caprini, ovini, equini, suini, volatili di cortile, ecc., è in grado di trasferire i suoi patogeni, facendo ammalare gravemente gli animali punti. La presenza di questi insetti sarebbe stata la causa della quinta piaga, la morìa del bestiame: la Bibbia narra che su cavalli, pecore, asini, buoi e cammelli cadde una grave pestilenza. Gli scienziati pensano che potrebbe trattarsi di un’infezione del Virus della lingua blu: i polmoni degli animali colpiti si riempiono di liquido e non sono più in grado di ricevere ossigeno, la lingua diventa blu e l’animale muore. 6a piaga: Comparsa di ulcere e pustole La Bibbia parla di ulcere e pustole che spuntarono su uomini e bestie. Due sono le ipotesi più accettate. La prima parla di ustioni causate dalle ceneri vulcaniche acide portate dal vento.
[Fotografia
dell’e uzio e
dell’Et a
s attata
dallo
spazio
dall’astronauta italiano Luca Parmitano dalla Stazione spaziale Internazionale] La seconda presuppone che anche la sesta piaga sia stata provocata da qualche batterio. Potrebbe essere stata una epidemia di carbonchio, che è una malattia infettiva contagiosa, ad andamento prevalentemente acuto o iperacuto, ad esito generalmente letale, sostenuta dal Bacillus anthracis. Questo batterio colpisce animali erbivori selvatici o domestici, quali pecore, bovini, cavalli, capre e suini ma può anche svilupparsi nell'uomo, per esposizione ad animali infetti, tessuti di animali infetti, inalazione di spore del batterio od ingestione di cibo contaminato. Il suo nome deriva dal greco ἄ θρα , che significa "carbone", dal colore nero delle lesioni cutanee (la forma cutanea è la più comune) che si sviluppano nelle vittime di questa infezione.
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Oltre alla forma cutanea, il carbonchio può manifestarsi nella forma respiratoria (sintomi: tosse, febbre, astenia) o gastroenterica (sintomi: diarrea, ematemesi), forme che, se non trattate, possono essere ad esito letale. L'antrace si trova in tutto il mondo. È più comune nei paesi in via di sviluppo o in paesi senza programmi di prevenzione veterinaria. Certe regioni del mondo hanno un'incidenza più alta di antrace tra gli animali: America Centrale e Meridionale, Europa dell'Est, Africa, Caraibi e Medio Oriente. La terapia è farmacologica, con la somministrazione di antibiotici, quali la ciprofloxacina e l'eritromicina; il protocollo di cura prevede la somministrazione di questi farmaci per sessanta giorni. Senza un opportuno trattamento antibiotico la malattia è mortale in circa il 20% dei casi. Esiste anche il vaccino contro l'antrace, ma il suo uso su larga scala non metterebbe al riparo da versioni geneticamente modificate dell'agente dell'infezione e potrebbe indurre pericolosi fenomeni di resistenza del batterio.
Le spore di antrace sono state un’arma batteriologica in atti di bioterrorismo: vanno naturalmente trattate in modo da poter essere inalate, vista l'alta mortalità di coloro che si sono ammalati della forma respiratoria.
Più volte, dopo l'11 settembre 2001 lettere con tracce di antrace furono recapitate a senatori del Partito democratico USA e alle redazioni di alcuni giornali del nuovo continente, con esiti infausti: morirono cinque persone e se ne ammalarono 17.
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7a piaga: La grandine
Le successive tre piaghe sarebbero direttamente collegate
all’eruzione
vulcanica
nell’isola
di
Santorini, che aveva scagliato nell'atmosfera miliardi di tonnellate di cenere vulcanica: la cenere si sarebbe scontrata con le normali perturbazioni atmosferiche sopra l'Egitto per produrre enormi tempeste di grandine.
8a piaga: Invasione delle cavallette
«…copriranno la faccia della terra, mangeranno ogni albero, riempiranno le case di tutto l'Egitto» Anche l’invasione delle locuste/cavallette si spiegherebbe con la ricaduta al suolo della cenere vulcanica: le conseguenti anomalie meteorologiche (aumento delle precipitazioni e dell'umidità) sono fattori che favoriscono la presenza anche massiccia di questi insetti. Le locuste divorarono tutte le piante che incontrarono nel loro cammino, causando carestia e morte.
9a piaga: Tenebre Le tenebre si spiegano con le enormi nubi di fumo e polvere che si formarono in seguito alla seconda eruzione vulcanica di Thira, e coprirono per mesi un’area che copriva tutta l’Europa mediterranea e una parte significativa del Nord Africa.
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Merita una considerazione come la mancanza di luce influenza i bioritmi degli esseri viventi. I bioritmi possono essere influenzati dalle variazioni cicliche di fattori ambientali chiamati “sincronizzatori”:
l’alternarsi
giorno/luce-notte/tenebre,
caldo/freddo,
latitudine/longitudine,
rappresentano per la maggior parte dei vegetali, degli animali e dell'uomo i più importanti sincronizzatori.
Noi umani abbiamo molti ritmi biologici: quelli giornalieri sono detti circadiani. L’orologio “circadiano” è sincronizzato sulle 24 ore e risponde a stimoli precisi luce/tenebre ed è quel complesso meccanismo che regola i nostri ritmi vitali quotidiani in completa sintonia con l’ambiente esterno: dalla circolazione sanguigna, al sistema cognitivo, al metabolismo, la memoria e persino l’umore. Ad esempio la pressione del sangue è più alta alla sera è più bassa di notte, per poi risalire dopo le 6 del mattino; la temperatura corporea si innalza la sera e si abbassa verso le 4:30; il battito del polso è il massimo di giorno ed il minimo di notte, e così via. L’ormone che regola questo orologio naturale è la melatonina, un ormone naturale secreto dall’epifisi, che presenta varie azioni, tra le quali quella della regolazione delle fasi di veglia e di sonno.
La secrezione di questo ormone viene regolata dalla luce: quando lo stimolo luminoso arriva alla retina viene trasmesso un segnale all'epifisi che ne riduce o ne inibisce la sua secrezione. Il buio, al contrario, ne stimola la produzione ed il rilascio.
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La melatonina ha quindi un picco nelle ore notturne e valori molto più bassi durante il giorno. Avere ritmi circadiani irregolari può aumentare il rischio di deficit cognitivo e/o depressione (soprattutto negli anziani) o sviluppare una maggiore incidenza di malattie cardiocircolatorie. 10a piaga: Morte dei primogeniti Solo la decima piaga non sarebbe conseguenza dell’eruzione di Thira, bensì delle tossine alimentari che avrebbero causato la morte dei primogeniti d'Egitto, compreso il figlio del Faraone.
Dopo le 9 piaghe in Egitto era rimasto ben poco da mangiare: la moria dei pesci e del bestiame nonché la distruzione dei campi dovute alla grandine e all’invasione delle locuste avevano di fatto esaurito le scorte di cibo. Inoltre i pochi animali sopravvissuti erano malati. Per conservare le poche scorte rimaste gli Egizi le avevano immagazzinate sottoterra, ma il grano, non conservato perfettamente, era stato contaminato dai funghi. Le micotossine che si formano sono in grado di distruggere il sistema immunitario di chi assume i cibi infetti e danneggiare irreversibilmente il midollo osseo, il fegato e i reni, e quindi di provocare la morte. Le micotossine si sarebbero formate sugli strati più superficiali del grano conservato nei sotterranei: se ingerite o inalate, possono provocare la morte nel giro di poche ore.
[Micotossine del grano]
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La morte dei primogeniti si spiegherebbe con un’antica usanza degli antichi egizi e dei popoli mediorientali in genere: quando si mangia, al figlio più grande va una porzione doppia di cibo ed è il primo ad essere servito, perché rappresenta il futuro della famiglia. Quindi i primogeniti mangiarono la parte di grano più superficiale e quindi contaminata e perciò morirono. Gli altri mangiarono il grano più in profondità e quindi non contaminato e non morirono. Gli ebrei sfuggirono all’intossicazione perché seguivano una dieta alimentare diversa.
IV. LA MANNA La manna è la sostanza che secondo la Bibbia fu miracolosamente inviata da Dio come cibo agli Israeliti durante le loro peregrinazioni nel deserto nel deserto, dopo l'uscita e la liberazione dalla schiavitù in Egitto; la manna iniziò a scendere dal cielo quando il popolo d'Israele si avvicinò al Monte Sinai per ricevere la Torah.
La sua etimologia deriva non da un nome, ma da una domanda piena di stupore: Mân Hu, (dall’ebraico: “cos’è?”), essendo stata questa la domanda che gli ebrei affamati si rivolsero nel veder cadere un cibo sconosciuto, miracolosamente mandato loro da Dio nel deserto.
La tradizione ebraica ha sviluppato una ricca interpretazione del dono della manna. I maestri rabbini ebrei dicono che essa è uno dei 10 oggetti creati da Dio nel crepuscolo della vigilia del sabato della creazione. Secondo questa tradizione, la manna era il pane dai quattro
angeli
Chayyot,
(in
ebraico
"esseri
viventi",
"creature"), inviata dal cielo. Gli angeli Chayyot - secondo la visione profetica di Ezechiele fanno parte del carro-trono di Dio, il Merkavah, (in ebraico significa "carro, biga"); ognuno di loro ha quattro o sei ali, due ai piedi, due all'altezza del torace e due che coprono il volto, le sembianze sono umane ma il loro volto è quello di un leone, un bue, un uomo e un’aquila. [Raffaello Sanzio: Visione di Ezechiele]
Questo il testo biblico (Esodo, 16, 14-18):
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«E, evaporato lo strato di rugiada, apparì sulla superficie del deserto qualcosa di sottile, di granuloso, fine come brina gelata in terra. A tal vista i figli d'Israele si chiesero l'un l'altro: «Che cos'è questo?» perché non sapevano che cosa fosse. E Mosè disse loro: «Questo è il pane che il Signore vi ha dato per cibo. Ecco ciò che ha prescritto in proposito il Signore: ne raccolga ognuno secondo le proprie necessità… ». Questo cibo era simile al seme del coriandolo [vedi foto], ma di colore bianco e dal gusto di pane al miele (Esodo 16,3). Nel libro dei Numeri è descritto che gli Israeliti la macinavano e impastavano facendone focacce, che poi venivano cotte e avevano il sapore di pasta all'olio. La manna scendeva tutti i giorni, eccetto il sabato: ogni israelita, la mattina, ne raccoglieva la misura necessaria per nutrirsi nel corso della giornata; se qualcuno ne raccoglieva di più essa marciva. Solo il venerdì era consentito una doppia misura perché doveva servire per il sabato, giorno di riposo.
[Antonio Tempesta (1555–1630): Gathering of the Manna - Alyce Morrissey Gallery]
Gli Israeliti consumarono manna per 40 anni, Alcuni passi della Bibbia narrano che, fintantoché non raggiunsero Canaan, gli
Israeliti
durante
il
mangiarono soggiorno
solo nel
manna deserto,
nonostante la disponibilità di latte e carne dal bestiame col quale viaggiavano e vari riferimenti a provviste di farina e olio. Consideriamo adesso due ipotesi su cosa possa essere stata effettivamente la manna, a prescindere dal lato religioso. Alcuni biblisti pensano che il termine manna derivi dal termine egiziano mennu, che significa "cibo", e che possa essere identificato con delle resine degli alberi di tamerice (particolarmente la Tamarix gallica) un tempo abbastanza estesi in tutto il Sinai meridionale. La resina di quest’albero è simile a cera, si fonde al sole, è dolce ed aromatica (come il miele) e ha un colore giallo sporco, alquanto simile alle descrizioni bibliche della manna. Tuttavia, tale resina è composta principalmente da zucchero, quindi pare improbabile che abbia fornito un'alimentazione sufficiente ad una popolazione per sopravvivere lunghi periodi di tempo, e sarebbe stato molto difficile impastarla per farne delle focacce.
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Un‘altra ipotesi si fonda sull’idea che il nome Man potrebbe essere una parola imparentata col termine arabo man, che significa pidocchio delle piante e man hu quindi significherebbe "questo è un pidocchio della pianta". Il pidocchio andrebbe identificato con alcune cocciniglie, in particolare, la "cocciniglia della manna tamerice" (Trabutina mannipara), che vive nelle tamerici e che produce una secrezione cristallizzata.
Nell'ambiente di un deserto, la secrezione si asciuga rapidamente a causa dell'evaporazione del suo contenuto acquoso, diventando un solido appiccicoso che poi assume un colore biancastro, giallastro o marrone; la melata di tale forma è considerata una leccornia nel Medio Oriente ed è un'ottima fonte di carboidrati.
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La manna è anche una sostanza “moderna” dei nostri giorni. Essa si estrae incidendo verticalmente la corteccia di un albero, l’orniello (Fraxinus ornus): si può iniziare ad incidere l’albero verso il decimo anno di età della pianta. Il succo che ne fuoriesce si rapprende all’aria in pezzi bianco-gialli, la cui composizione è una mescolanza di acqua, acidi organici, zuccheri, manite e sostanze mucillaginose. Oggi, la produzione di manna estratta dalla linfa del frassino da manna (Fraxinus ornus) è tradizionalmente svolta in Sicilia (nella zona del Parco delle Madonie, situato nella Sicilia settentrionale) dagli agricoltori siciliani e la maggior parte viene inviata all'estero. La manna è usata in molti prodotti (dolci, torte, ma anche profumi).
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I medici raccomandano spesso manna al posto dello zucchero tradizionale (o sostituti chimici), soprattutto per i pazienti che hanno problemi di diabete, perché contiene bassi livelli di glucosio e sostanze naturali.
Vorrei infine riportare una tradizione tipica pugliese riguardante una sostanza liquida trasparente chiamata la Santa Manna, proveniente dalla tomba di San Nicola di Bari. La tradizione
asserisce che il profumo di questo
liquido (venduto ai pellegrini quale "Manna di San Nicola") protegga dal male. Il liquido fuoriesce dalla tomba del Santo nella cripta della Basilica di Bari [nella foto], ma non è chiaro se venga emesso dal corpo nella tomba o dal marmo della tomba stessa; poiché la città di Bari è un porto e la tomba si trova sotto il livello del mare, esistono diverse spiegazioni del fluido di manna, tra cui il trasferimento di acqua marina nella tomba per azione capillare. Dopo il prelievo (che avviene ogni 9 maggio) la manna viene mescolata con acqua benedetta e versata dentro delle bottiglie di vetro dipinte artisticamente con il volto di San Nicola o
con
scene dei miracoli, operati dal santo vescovo. Ogni barese conserva in casa con devozione, una bottiglia della manna, mentre ogni pellegrino a ricordo della visita a Bari e alla Basilica porta a casa una bottiglia.
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CAP. V – LA MEDICINA BIBLICA “LAICA” – NUOVO TESTAMENTO
I. I DONI DEI RE MAGI: ORO, INCENSO E MIRRA Oro, incenso e mirra sono i tre doni dei Re Magi al Bambino Gesù. Sono tre doni dal significato simbolico (oro per la regalità del Bambino nato; incenso a ricordare la sua divinità; mirra, sostanza usata per la mummificazione, per parlarci del sacrificio e della morte dell’uomo Gesù), ma sono anche tre sostanze che possono avere un’azione medicamentosa, e come tali alcuni studiosi li hanno interpretati.
[Giotto – Adorazione dei Magi – Cappella degli Scrovegni, Padova. 1303-1305] L’incenso Conosciuto soprattutto per il suo uso durante le cerimonie religiose e funebri, viene estratto dalla Boswellia, pianta dell'antica medicina ayurvedica. Si tratta di una gomma-oleo-resina naturale, composta al 5-9% di olio essenziale, 65-85% di resina alcool solubile e il rimanente è gomma idrosolubile. La gomma è ottenuta raschiando il tronco e/o facendo dei profondi tagli longitudinali di 4-8 cm con un particolare scalpello chiamato Mengaff. Esposto all’aria, il succo lattiginoso solidifica sotto forma di lacrime globulari grandi quanto una noce, di colore giallo pallido o ambrato; queste vengono raccolte quattordici giorni dopo. La consistenza desiderata della gomma viene ottenuta 3 mesi dopo. Avvenuta l’estrazione, gli alberi vengono lasciati riposare per 5-6 anni.
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Diverse ricerche hanno confermato la presenza in questa resina di numerose sostanze chimiche dotate di attività antinfiammatoria. Nella medicina ayurvedica l’incenso è comunemente utilizzato per il trattamento di ferite o patologie infiammatorie. La Boswellia si utilizza ormai da molti anni, ottenendo buoni benefici, nei pazienti con colite ulcerosa, Crohn o altre malattie croniche a carico dei bronchi come delle articolazioni. È ben tollerata e consente anche di ridurre il consumo di farmaci. In Cina l’incenso veniva usato per trattare la lebbra.
La mirra
Tra i doni dei Magi è forse la sostanza più misteriosa, molti neppure sanno cosa sia. La parola mirra è probabilmente ricavata dall’assiro murru. L’araba murr corrisponde all’ebraico môr del Nuovo Testamento (Matteo 2:11). Nella Grecia classica venivano usate parole myrra e smyrna, mentre nel latino si usano le parole murra o myrrha. L’uso
della
nell’Antico
mirra Egitto,
era
già
conosciuto
verosimilmente
nelle
pratiche di imbalsamazione: nell’immagine a lato – che si trova nel Tempio funerario di Hatshepsut - si nota un gruppo di servitori con rami di mirra. La Mirra è una gommaresina che cola dalla corteccia di un arbusto, la Commiphora Myrrha,
che prolifica in Somalia, Etiopia,
nella penisola arabica, Mesopotamia e India (le stesse zone dove è d’altronde presente anche la Boswellia). La resina al contatto dell'aria si rapprende in forma di grani tondeggianti. Nell’antichità, oltre che per aromatizzare e conservare le mummie, la mirra era anche famosa per le sue proprietà antisettiche e antibatteriche. La mirra viene utilizzata come rimedio contro le affezioni delle vie respiratorie, tipica della penisola arabica e viene facilmente venduta nei mercati
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Alcune sostanze chimiche, presenti in questa resina, presentano un’azione sui recettori per gli oppioidi, hanno quindi una funzione analgesica. Studi clinici hanno riscontrato anche capacità antinfiammatorie e antisettiche, che si rivelano particolarmente utili nella cura di gengiviti, afte, peridontopatie e nella terapia di ferite e ulcerazioni cutanee. In Arabia Saudita la mirra viene ancora oggi utilizzata per la cura e la protezione del piede diabetico.
Inoltre mirra e incenso sono stati utilizzati fin dall'antichità come rimedi curativi anche insieme. Il «Balsamo di Gerusalemme», composto da queste due resine, presente sin dal 1719 nella farmacia del monastero di San Salvatore, nella città vecchia di Gerusalemme. Per la sua attività antinfiammatoria è entrato a far parte di molte recenti farmacopee.
L’oro Se si fosse trattato veramente del prezioso metallo potremmo limitarci a dire che l'oro ha avuto un posto di rilievo nella recente storia della medicina per la terapia di fondo dell'artrite reumatoide. Alcuni studiosi pensano che poteva trattarsi della preziosissima polvere di Curcuma, color oro appunto, proveniente sempre dall’Oriente, pregiata sia in cucina, sia nella medicina. Oggi sappiamo che la Curcuma è preziosa perché contiene sostanze antiossidanti particolarmente attive contro i fenomeni infiammatori cronici e nelle varie tappe della trasformazione cancerosa delle cellule. Usata nella pratica clinica su pazienti affetti da psoriasi e da infiammazioni croniche intestinali o reumatiche, la Curcuma suscita sempre maggior interesse tra i ricercatori perché si è visto che può migliorare la risposta di alcuni tumori ai farmaci chemioterapici.
II. LA CROCIFISSIONE Un evento carico di significato per la religione cristiana è la morte per crocifissione di Gesù Cristo, narrata nei Vangeli e avvenuta nel 33 d.C., durante la dominazione romana in Palestina. Presso le civiltà antiche la crocifissione era molto praticata: il primo documento che vi fa riferimento si trova nella letteratura sumerica; a Roma questo supplizio apparve intorno al 200 a.C. La crocifissione è una atroce modalità di esecuzione della pena di morte: si trattava di una vera e propria tortura ed era talmente terribile e umiliante che non poteva essere comminata a un cittadino romano; veniva riservata pertanto agli schiavi, ai sovversivi e dagli stranieri e, normalmente, veniva preceduta
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dalla flagellazione, che rendeva questo rito ancora più straziante per il condannato. Cicerone le definì "il supplizio più crudele e il più tetro". Con la crocifissione si voleva provocare una morte lenta, dolorosa e terrificante, esemplare per chi ne era testimone. Poteva durare delle ore o anche dei giorni. Lo svolgimento della crocifissione secondo il procedimento romano era il seguente: dapprima avveniva la condanna legale; il condannato stesso quindi portava sulle spalle la trave trasversale (patibulum, da qui la parola "patibolo) nel luogo fissato (per lo più fuori le mura cittadine), dove si trovava un palo (detto stauros o stipes), fermamente fissato, in verticale, al terreno. Tra la condanna
e
l’esecuzione,
o
più
spesso
sul
luogo
dell'esecuzione il condannato veniva spogliato e flagellato dai tortores, che operavano in coppia.
[Cimabue: Flagellazione 1280-1285 Frick Collection di New York]
Denudato e legato ad un palo o ad una colonna era colpito con strumenti diversi a seconda della condizione sociale: per gli schiavi era previsto il flagrum o flagellum formato da 2 o 3 strisce di cuoio o corda (lora) intrecciate con schegge di legno, od ossicini di pecora o delle strisce di cuoio aventi all'estremità piccole sfere di metallo. La flagellazione poteva essere o una punizione esemplare fine a se stessa e seguita dalla liberazione, o una condanna mortale: in tale caso, produceva lacerazioni così profonde da mettere allo scoperto le ossa.
[Ricostruzione di flagello ai tempi dei romani]
Se veniva inflitta come preambolo alla crocifissione, il numero di colpi doveva essere limitato probabilmente a una ventina perché la vittima non doveva morire prima di finire in croce. Dopo la flagellazione, il condannato veniva poi rivestito e condotto al supplizio. L’esecuzione avveniva in un luogo diverso da quello della condanna, Un cartello (titulus) appeso al collo o portato da un banditore, aveva la funzione d'informare la popolazione sulle sue generalità, sul delitto e sulla sentenza. La crocifissione non sempre era legata a una struttura a croce: a volte poteva essere un singolo palo, a volte una struttura a V rovesciata, ma quella più eseguita era quella con la croce. La croce “classica” consisteva di due pali, uno orizzontale e l'altro verticale, che normalmente si trovava già sul luogo delle crocifissioni, saldamente piantato per terra. Il condannato si avviava al luogo dell'esecuzione portando sulle sue spalle il palo orizzontale: il patibulum era legato alle braccia del condannato, che, se fosse caduto durante il tragitto, avrebbe rischiato di colpire il suolo con la faccia.
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Una volta arrivato sul luogo scelto per il supplizio, il condannato veniva appeso alla croce per le braccia con chiodi, anelli di ferro o corde, come pure i piedi, che talvolta però venivano legati al legno o lasciati liberi. Sopra la testa si poneva il titulus. Il palo verticale era in genere fornito di una sporgenza, detta pegma, su cui sedeva a cavalcioni la vittima. Non è attestato in origine un sostegno per i piedi (suppedaneo), che siamo soliti trovare nelle raffigurazioni della crocifissione di Cristo. Il condannato, legato alla trave trasversale, veniva innalzato insieme a questa e fissato sul palo verticale. Bevande drogate (mirra e vino) e la posca (miscela d'acqua e aceto) servivano a dissetare, tamponare emorragie, far riprendere i sensi, aiutare a resistere alla sofferenza, mantenere sveglio il crocifisso perché confessasse le sue colpe. La morte subentrava lentamente e tra sofferenze indicibili. La posizione del corpo del crocifisso teneva la cassa toracica in una posizione fissa, che rendeva estremamente difficoltosa e dolorosa la respirazione. Nella posizione della crocifissione lo sterno viene tirato verso l’alto dagli arti sollevati sulla croce. Gli organi interni toracici (polmoni, cuore, pericardio e grossi vasi) vengono anch’essi distesi verso l’alto. Questa eccessiva distensione provoca un’alterazione della dinamica di tutto il torace ed un abnorme aumento della pressione intratoracica. In un tempo relativamente breve (alcune ore) si forma un esteso versamento siero-emorragico all’interno del pericardio, che supera progressivamente la capacità elastica del pericardio stesso. Questo è il quadro drammatico del tamponamento pericardico, che consiste nel fatto che il versamento intrapericardico produce una compressione del cuore, le cui cavità (atri e ventricoli) perdono rapidamente la loro capacità di diastole e sistole, sino all’arresto funzionale dell’organo.
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La morte interviene per asfissia o per collasso cardio-circolatorio; talvolta la morte interviene a seguito della combinazione di tutti e due gli aspetti. L’asfissia insorgeva per sfinimento del condannato: egli per respirare doveva fare leva sulle gambe, ma quando, per la stanchezza, o per il freddo, o per il dissanguamento, non riusciva più a reggersi sulle gambe, restava penzoloni sulle braccia, con conseguente impossibilità a respirare. Raramente la morte veniva accelerata; se ciò accadeva era per motivi d'ordine pubblico, per interventi d'amici del condannato, per usanze locali. Si provocava la morte in due modi: col colpo di lancia al cuore o col crurifragium, cioè la rottura delle gambe, che
privava
il
condannato
d'ogni
punto
d'appoggio con conseguente soffocamento per l'iperestensione della cassa toracica.
[La ferita al costato destro del crocifisso con naturale fuoriuscita di liquido proveniente dal versamento pericardico] La vigilanza presso la croce era severa per impedire interventi di parenti o amici; l'incarico di sorveglianza era affidato ai soldati e durava sino alla consegna del cadavere o alla sua decomposizione. In Occidente, all'inizio del IV secolo, l'Imperatore Costantino il Grande vietò ai tribunali pubblici di condannare alla crocifissione, ma questa pratica durò molto più a lungo in Oriente e in altri Paesi; al riguardo vi sono racconti dettagliati di crocifissioni ancora nel IX secolo.
III. LA MORTE DI GESÙ CRISTO La morte di Gesù, sopraggiunta in poco più di tre ore – come narrano i tre Vangeli sinottici – induce a pensare che il meccanismo fisiopatologico che in genere portava i crocifissi all’exitus, sia stato diverso.
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L’analisi delle 24 ore precedenti, dalla cattura alla morte, rende plausibile un evento cardiaco fatale. Luca, l’evangelista medico, ci parla della ematoidrosi «in preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra» (Luca 22,44) – raro fenomeno indotto da una forte reazione adrenergica, ma possibile in un uomo solo e atterrito che nel Getsemani attende l’arresto e conosce il suo sacrificio finale. Allo stress emotivo si sovrappone quello fisico: i numerosi spostamenti che lo videro prima dai sacerdoti Anna e Caifa, poi tradotto al Sinedrio, al Pretorio, ed ancora al palazzo di Erode Antipa. Insonne, senza cibo ed acqua, trascinato tra insulti e percosse, sino alla feroce flagellazione ed alla coronazione di spine che peggiorerà la già abbondante perdita di sangue. Disidratato, prostrato da fatica e da emorragie traumatiche, percorre circa un chilometro per raggiungere la sommità del Golgota sotto il peso del patibulum. L’esecuzione prevede che Egli sia nudo, e quindi lo strappo della
tunica
incollata
alle
piaghe
formatesi
provocano ulteriore dolore e perdita di sangue. Dei tre diversi tipi di croci utilizzate dai Romani, quasi certamente Gesù viene inchiodato su una croce immissa o capitata, quella più nota e consolidata dalla iconografia pittorica.
[Renato Guttuso: Crocifissione - Galleria Nazionale d’A te Mode a. Ro a. 1 41]
La lucidità e la coerenza delle parole pronunciate da Gesù in croce, e riportate nei sinottici «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Luca 23, 34), ed il grido: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato!» (Marco 15, 33) lasciano supporre un evento fatale acuto, piuttosto che un graduale obnubilamento premorte indotto dall’acidosi respiratoria e dal collasso ortostatico indotto dal sequestro periferico di sangue. L’ipotesi più probabile è quindi che un vasospasmo coronarico possa aver determinato un infarto miocardico; la rottura di cuore con conseguente emopericardio, quale complicanza dell’infarto stesso, sarebbe poi testimoniato dal doppio fiotto di sangue ed acqua che fuoriesce dal costato colpito dalla lancia del centurione «uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua». (Giovanni 19, 34). Il meccanismo fisiopatogenetico della occlusione coronarica acuta potrebbe essere determinato anche da una embolizzazione di vegetazioni trombotiche provenienti dai traumatismi interni ed esterni ed altresì aggravata da una ischemia miocardica secondaria indotta dalla progressiva anemizzazione. Lo stupore di Pilato sarebbe pertanto da riferire alla relativa rapidità del decesso, inusuale in questo supplizio che proprio nella sofferenza prolungata della insufficienza respiratoria esprimeva la sua atrocità.
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APPENDICE: LA SACRA SINDONE. La reliquia cristiana più famosa del mondo - ed insieme, uno dei grandi misteri della religione cristiana è indubbiamente la Sacra Sindone, custodita nel Duomo di Torino.
È un lenzuolo funerario di lino su cui si può scorgere l’immagine di un uomo, torturato e crocefisso. I tratti e i segni di questa figura sono compatibili con quelli descritti nei Vangeli riguardanti la Passione di Gesù, di conseguenza i fedeli e anche alcuni esperti sostengono che quel lenzuolo sia stato usato per avvolgere il corpo di Gesù nel sepolcro dopo la sua crocifissione, e che l’immagine stessa del Cristo sia rimasta miracolosamente impressa nel telo.
Il Vaticano non ha mai assunto una posizione ufficiale in proposito, anche se molti Papi si sono raccolti in preghiera davanti ad essa, in occasione delle varie “Ostensioni”.
La prima testimonianza della Sindone è del Medioevo: nell’anno 1353 il cavaliere Goffredo di Charny [a si . l’i
agi e to
ale] e sua moglie
Giovanna di Vergy annunciarono a Lirey, in Francia, di essere in possesso del telo che aveva avvolto il corpo di Cristo nel sepolcro. Non è noto come i due coniugi l’abbiano ottenuta. Margherita di Charny, discendente di Goffredo, vendette nel 1453 il telo ai duchi di Savoia, e la Sindone è rimasta di proprietà della famiglia Savoia sino al 1983, anno in cui morì Umberto II di Savoia, ultimo re d'Italia: nel suo testamento egli lascerà la Sindone in eredità al Papa. Per alcuni studiosi la Sindone è una fabbricazione risalente al Medioevo, è un
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finto sudario approntato da un qualche falsario in una data compresa fra la metà del Duecento e la metà del Trecento, altri studi invece proverebbero che il lenzuolo potrebbe essere autentico e risalirebbe approssimativamente proprio ai tempi di Gesù.
Non è questa la sede per portare argomentazioni sull’autenticità o meno della Sindone, che tralaltro è stata sempre messa in discussione e mai provata. La Medicina, ed in tal caso, la branca della Medicina legale viene coinvolta per definire quei particolari antropologici della figura umana, e la verifica di quelle lesioni che possano o no comprovare che il corpo avvolto nel lenzuolo appartenga effettivamente a quello di un uomo torturato e crocifisso. Ogni studio deve naturalmente implicare il distacco dei ricercatori da eventuali implicazioni teologiche, e le conclusioni devono essere esclusivamente scientifiche.
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L’immagine. La Sindone è un lenzuolo color giallo ocra di 4,41m per 1,13 m, tagliato su uno dei lati lunghi, e riproduce una doppia immagine (frontale e posteriore) di un uomo adulto nudo, con la barba e i capelli lunghi, della statura tra i 175 e i 185 cm, che ha subìto varie torture. L'immagine è poco visibile a occhio nudo e può essere percepita solo a una certa distanza (1-2 metri), mentre avvicinandosi ad essa sembra scomparire.
Nel 1898 un avvocato torinese, Secondo Pia, fotografò il telo e scoprì che l'immagine si presenta come se fosse un negativo fotografico, ed è necessario invertirla a sua volta, al negativo, per vedere le normali fattezze del corpo.
[Secondo Pia - Museo della Sindone, Torino]
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Ad oggi la scienza non è ancora in grado di spiegare come si sia formata l’immagine. Una prima immediata considerazione: l'immagine non sembra riprodurre la figura di un uomo avvolto nel lenzuolo, appare invece essere la proiezione verticale della figura umana: le proporzioni del corpo sono infatti quelle che si osservano guardando una persona direttamente, mentre l'immagine ottenuta stendendo un lenzuolo a contatto col corpo dovrebbe apparire distorta, ad esempio il viso dovrebbe apparire molto più largo.
Un secondo aspetto riguarda la composizione dei materiali del disegno. La figura non è composta da pigmenti pittorici, come acquarello o tempera, né risulta la presenza dei classici collanti utilizzati normalmente per aggregare il colore al supporto tessile. L’immagine appare invece generata come in seguito da una reazione chimica, che ha interessato solo il sottile rivestimento superficiale delle fibre del lenzuolo.
Le
macchie
di
sangue
sono
autentiche ed hanno impregnato il tessuto, trapassandolo da parte a parte. Per alcuni studiosi il corpo dell’uomo avvolto dalla Sindone doveva essere tutto ricoperto da un sottile strato di sudore e di sangue che diede origine all’impronta straordinariamente perfetta del suo corpo. Parte del ferro contenuto nell’emoglobina dei globuli rossi dovette rimanere inglobato nelle trame del tessuto, perché l’elaboratore elettronico ha rivelato la presenza di microtracce di ferro (uno dei componenti dell’emoglobina) su tutta l’impronta del corpo; il che sta a dimostrare la presenza di sudore di sangue su tutta la sua superficie. Mancano inoltre i segni di putrefazione cadaverica in corrispondenza degli orifizi, che si manifestano dopo circa 40 ore dalla morte. Di conseguenza, l’immagine non dipende dai gas di putrefazione e il cadavere non è rimasto nel lenzuolo per più di due giorni. La postura del corpo. La figura impressa corrisponde a quella di un corpo crocifisso irrigidito dal rigor mortis con lieve flessione del capo sul torace e delle ginocchia.
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Il volto. L'espressione del viso è asimmetrica; la persona raffigurata sul lenzuolo ha patito immani sofferenze ed è per questo che i tratti del suo viso dopo la morte si sono contratti in modo irregolare.
[Ricostruzione del volto impresso sul telo]
La fronte è lacerata dalle spine. Sulla testa dell’uomo della Sindone non hanno messo una corona di spine, ma un vero e proprio casco di spine. I capelli della parte sinistra del volto sono inzuppate di sangue. L'osso nasale è stato fratturato da un forte colpo di bastone ricevuto dal lato sinistro che ha gonfiato una guancia e un occhio, e sempre da questo lato è fratturato lo zigomo. Le labbra sono gonfie per i pugni ricevuti. Il mento è nettamente definito, soprattutto sul lato sinistro, mentre sul lato destro è presente una macchia di sangue o una profonda ferita.
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Altre lesioni. Sulla Sindone si vedono circa 120 segni distribuiti lungo il corpo che sarebbero stati causati dal flagrum, il flagello romano. E’ possibile capire in che modo fu flagellato: fu messo in posizione retta per ricevere il flagello da due uomini, uno da una parte e l’altro dall’altra. La spalla destra risulta di 15 gradi più bassa di quella sinistra, ed è presente una vasta escoriazione. Questo significa che un grosso trauma lussò il braccio destro e danneggiò il plesso brachiale. La lesione potrebbe essere stata provocata dal patibulum, che pesava dai 35 ai 60 chili, e (secondo i racconti dei Vangeli) potrebbe essere stata prodotta durante una delle cadute di Gesù sulla via del Calvario, tanto che egli non poté più reggere il carico e fu chiamato in suo aiuto Simone di Cirene.
Anche del colpo di lancia nel fianco destro inferto dal soldato romano per comprovare la morte dell’uomo crocifisso troviamo chiarissime
tracce
nel
telo
sindonico. E’ una ferita della lunghezza di 4,5 cm e della larghezza di 1,5 cm, con il tipico aspetto di ferita da punta e taglio e localizzata nel quinto spazio intercostale.
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Particolare del polso e delle mani. Non c'è
accordo
tra
gli
studiosi
sulla
posizione precisa della ferita provocata dai chiodi; secondo alcuni sarebbe nello spazio
tra
ulna
e
radio
appena
retrostante il polso, secondo altri tra le ossa del carpo, in corrispondenza del passaggio del nervo mediano.
Nell’impronta posteriore dei piedi si vede l’intera pianta del piede dx con il foro di uscita del chiodo, mentre il sinistro appare più sollevato. Il piede dx poggiava sul legno della croce, mentre il sinistro era sopra il collo del piede dx e furono inchiodati insieme in questa posizione con un unico chiodo.
Ricostruzione del volto senza lesioni. Esperti della Nasa nel 1988 hanno creato un identikit del viso dell’uomo della Sindone come doveva apparire in vita, privo di lacerazioni contusioni e ferite. La somiglianza con il Gesù che conosciamo dall’iconografia cristiana è sorprendente.
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Altrettanto suggestivo è l’identikit dell’uomo della Sindone da giovane.
Infine, è stato possibile determinare il gruppo sanguigno, e cioè il gruppo AB.
Leonardo da Vinci e il mistero della Sindone. O l’immagine riprodotta dalla Sindone è frutto di un evento miracoloso, non spiegabile scientificamente, che trova fondamento solo all’interno del dogma religioso, oppure si tratta di un falso realizzato con l’aiuto di qualche tecnica chimico-fotografica a noi rimasta sconosciuta. Il maggiore indiziato, come geniale artefice dell’opera, è senza alcun dubbio Leonardo da Vinci (1452-1519). Sulla Sindone è estremamente interessante la tesi di Lillian Schwartz, docente alla “School of Visual Arts” di New York, che attraverso la raffigurazione grafica, ha supposto che quel viso, con barba e capelli lunghi, sia il volto di Leonardo da Vinci e che quel telo sia un esperimento del maestro per mettere a punto tecniche “pre-fotografiche”. Vi erano stretti legami fra Leonardo, i Savoia e il Papa stesso: Giuliano de’ Medici, per cui Leonardo lavorava, era sposato con Filiberta di Savoia, ed era anche il fratello di Papa Leone X. E’ probabile, quindi, che – su commissione del Papa - Leonardo abbia accettato la sfida, apparentemente impossibile, di realizzare un “sudario di Cristo”. Verosimilmente il luogo della realizzazione fu il Castello di Fontanellato dove era stata allestita una primitiva “camera obscura”, ovvero una stanza nella quale l’unica luce disponibile passava attraverso un foro nella parete,
dove
era
stata
collocata
una
rudimentale lente di ingrandimento. In questo modo si potevano vedere, riflesse sulla parete opposta, le immagini capovolte di quanto accadeva all’esterno di quel muro. Leonardo, nel frattempo, aveva già mostrato un preciso interesse per le leggi ottiche in generale, ed per il meccanismo di proiezione che sta alla base della camera oscura in particolare.
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Se quindi Leonardo avesse messo a punto un processo chimico in grado di fissare in qualche modo la luce su un supporto tessile, come ad esempio il lino, sarebbe stato perfettamente in grado di realizzare il misterioso telo. Se questa fosse la soluzione dell’enigma, non solo avremmo di fronte la prima fotografia scattata nella storia dell’umanità, ma quasi sicuramente avremmo anche un soggetto eccezionale che compare al suo interno: Leonardo medesimo. E’ noto infatti come il maestro toscano amasse comparire, nelle proprie opere, celato sotto forme diverse, ed in questo caso la somiglianza fra il volto di Leonardo e quella dell’uomo della sindone sarebbe troppo forte per non pensare che sia stato lui stesso, per la prima volta nella storia, a voler essere immortalato in un’immagine di tipo fotografico.
Giotto, artista falsario? Ad aggiungere nuovi oggetti di discussione, infine, è stato il pittore e restauratore veneto, Luciano Buso, che il 6 giugno 2011 ha affermato che il lenzuolo è dipinto e che è visibile la firma di Giotto (con la data 1315).
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Secondo Buso, la Sindone attuale non è altro che una copia realizzata dal pittore Giotto nell'anno 1315. Buso ha rilevato, riprodotta cripticamente sul volto e sulle mani incrociate del Cristo, la scritta «Giotto 15», che starebbe per Giotto 1315 (anno in cui la Sindone sarebbe stata dipinta).
[La firma di Giotto che sarebbe celata nella Sacra Sindone]
A confutazione di tale tesi, gli studi scientifici hanno dimostrato che la Sindone non è un dipinto in quanto non presenta traccia di pigmenti e coloranti, e che inoltre l’immagine corporea è assente al di sotto delle macchie di sangue (e dunque si è formata successivamente ad esse). Il falsario-artista avrebbe anche dovuto entrare in possesso di un telo fabbricato nel I secolo (perché la Sindone è stata fabbricata in quel periodo come ha dimostrato Mechthild Flury-Lemberg), avrebbe dovuto conoscere la fotografia (inventata nel XIX secolo), e l’olografia (realizzata nel XX secolo). Avrebbe dovuto saper distinguere tra circolazione venosa e arteriosa (studiata per la prima volta nel 1593), nonché essere in grado di macchiare il lenzuolo in alcuni punti con sangue uscito durante la vita ed in altri con sangue post-mortale. Infine, ammessa la conoscenza di tutte queste nozioni scientifiche, il falsario-artista avrebbe dovuto avere la capacità ed i mezzi per produrre l’oggetto. I fisici dell’ENEA di Frascati hanno recentemente spiegato che l’immagine è «praticamente impossibile da replicare oggi e a maggior ragione nel Medioevo o in tempi più remoti, in modo tale da escludere che si tratti di un dipinto, o di colorazione ottenuta tramite bassorilievo scaldato o trattato con pigmenti o polvere ferrosa». Il falsario medioevale per realizzare quello che c’è sulla Sindone, avrebbe dovuto possedere «una fonte di luce laser avente le dimensioni di un intero palazzo», inesistente ancora oggi.
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