La Medicina dell'Antico Egitto

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Giuseppe Ragusa

LEZIONI DI STORIA DELLA MEDICINA VOLUME 3 

LA MEDICINA DELL’ANTICO EGITTO


LEZIONI DI STORIA DELLA MEDICINA Pubblicazione on-line ad argomento storico-medico Coordinatore editoriale e autore dei testi: Giuseppe Ragusa

Vol. 3 - La Medicina dell’Antico Egitto Lezioni del Corso di Storia della Medicina svolte dal dr. Giuseppe Ragusa presso l’Università delle Tre Età di Mogliano Veneto (TV)

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© 2020 [2]


INDICE  CAPITOLO I – CENNI DI STORIA DELL’ANTICO EGITTO - Il Nilo [pag. 5] - Le ipotesi dell’inizio della civiltà faraonica [pag. 7] - I tre regni egiziani [pag. 9]  CAPITOLO II – LA MEDICINA PRE-FARAONICA - Medicina empirica e magica [pag. 11] - Medicina sacerdotale [pag. 11] - Il mondo religioso della Medicina [pag. 13]  CAPITOLO III – LA MEDICINA AI TEMPI DEI FARAONI - L’organizzazione sanitaria [pag. 16] - Le scuole di Medicina [pag. 18] - La visita medica [pag. 20] - Medici famosi [pag. 20]  CAPITOLO IV – LA SCIENZA MEDICA NELL’ANTICO EGITTO - I Papiri [pag. 23] - L’Anatomia [pag. 24] - Epidemiologia ed Igiene [pag. 26]  CAPITOLO V – LE PATOLOGIE NELL’ANTICO EGITTO - Patologie legate all’ambiente [pag. 34] - La Chirurgia [pag. 41] - L’Ortopedia [pag. 46] - Ginecologia ed ostetricia [pag. 48] - La sessualità [pag. 56] - L’Oculistica [pag. 60] - L’Odontoiatria [pag. 61] - L’Otorinolaringoiatria [pag. 62] - Patologie di ordine internistico [pag. 62]  CAPITOLO VI – LE TERAPIE - Terapie farmacologiche di origine vegetale [pag. 69] - Terapie farmacologiche di origine animale e umana [pag. 72] - Terapie farmacologiche di origine minerale [pag. 73] - Terapie pro-age (anti-età) [pag. 73]

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 CAPITOLO VII – MEDICINA E MAGIA - Divinità e magia [pag. 74] - Gli amuleti [pag. 75] - Le formule magiche [pag. 77]  CAPITOLO VIII – STORIE (MEDICHE) NELL’ANTICO EGITTO - Akenathon e Nefertiti [pag. 78] - Tuthankamon [pag. 81] - Ramesse II [pag. 84] - La voce del sacerdote Nesyaumun [pag. 86] - Il suicidio di Cleopatra [pag. 87] - La mummia più giovane mai ritrovata [pag. 89]  CAPITOLO IX - LA MUMMIFICAZIONE - Il mito di Iside e Osiride [pag. 90] - Il concetto della morte [pag. 92] - Le nove parti dell’anima [pag. 92] - Il rito funebre [pag. 101] - Il viaggio nell’aldilà [pag. 106]

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CAP. I – CENNI DI STORIA DELL’ANTICO EGITTO

E’ eterno il fascino intenso e misterioso di questa civiltà, la quale è uno dei tre pilastri del mondo culturale e sociale dell’oriente assieme all'India dei Veda e alla Cina dell'I Ching, profondamente diversa e distaccata dalla nostra nella visione del mondo e dell’esistenza.

 Il Nilo

Secondo una celebre definizione di Erodoto l’Egitto è un “dono del Nilo”. Il Nilo è la linfa vitale dell'Egitto. Dalle sue sorgenti dal lago Vittoria in Uganda (o meglio dal suo immissario, il fiume Kagera, che nasce nella parte meridionale dell'altopiano del Burundi) scorre verso nord per oltre 6500 chilometri, per chiudere la sua corsa ramificandosi in un immenso delta (per un percorso di 160 chilometri e con un’estensione di 24.000 km² di superficie) che sfocia nel Mar Mediterraneo.

Come ci racconta Erodoto, una volta all'anno le piogge facevano ingrossare le sorgenti etiopi (Nilo azzurro) e di conseguenza il grande fiume aumentava la sua portata fino a inondare i campi: di conseguenza la valle del Nilo veniva sommersa dalle acque del fiume dal mese di giugno fino al mese di settembre lasciando una sostanza nerastra fertilizzante, il limo; da qui pare derivi

il nome antico

dell'Egitto Kemet, cioè Terra Nera. Il Nilo per gli egizi era una divinità, chiamata Hapi, rappresentata come un uomo con le mammelle femminili, ad indicarne la fertilità. La morfologia del Nilo la ritroviamo nella pianta egiziana più celebre, il loto (così riccamente presente nei templi e nei papiri egiziani): il fiume è lo stelo, il delta è il fiore.

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[Donna in ginocchio con fiore di loto - Tomba del dignitario Ptahmose, Dinastia XIX] I primi reperti egiziani conosciuti risalgono a circa 2 milioni e mezzo di anni fa, durante il Paleolitico (Età della Pietra): sono stati scoperti insediamenti di Australopitechi attorno ad entrambe le sponde del Nilo, dal Delta fino ad Assuan. Le terre africane erano allora rigogliose e ricche di vegetazione: recenti studi di climatologia hanno evidenziato che una serie di eventi contribuì nelle ere successive a modificare il campo magnetico terrestre, innescando un processo di desertificazione dal quale nacque il Sahara. La popolazione presente su quelle terre fu decimata ed i superstiti migrarono verso le zone fluviali fondendosi con le altre popolazioni che già vivevano in quelle aree. Vennero fondati piccoli villaggi, dove le popolazioni vivevano in capanne di fango, dedicandosi all'agricoltura, coltivando soprattutto cereali (farro, miglio e avena) e ortaggi, ed allevando bovini. In quest’ambito possiamo rilevare l’origine della civiltà egizia, ma è tuttavia impossibile rilevare nell'Egitto di allora caratteristiche proprie di un'area culturale omogenea. Vi erano delle differenze fra il Nord e il Sud dell’Egitto: infatti nella zona del delta del Nilo (Basso Egitto) la grande fertilità dei terreni consentiva di disporre di eccedenze di prodotti che alimentavano il commercio, anche per mare, con i popoli limitrofi; a sud (Alto Egitto) il terreno meno fertile costringeva invece le popolazioni a compiere delle razzie nelle zone circostanti.

Nel 3100 a. C. Narmer (che taluni identificano con il Faraone Menes), re dell’Alto Egitto, unificò il Basso e l’Alto Egitto in un solo regno, divenendo il primo faraone egiziano e dando inizio alla storia della civiltà egizia.

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La tavoletta (o paletta) di Narmer è una lastra votiva contenente alcune delle più antiche iscrizioni geroglifiche rinvenute: secondo alcuni rappresenterebbe l'unificazione dell'Alto Egitto e Basso Egitto effettuata da Narmer, Su un lato il re viene raffigurato con la corona bianca a bulbo dell'Alto Egitto, mentre afferra il nemico prima di ucciderlo; sulla dx il dio falco Horus regge una testa umana e sei fusti di papiro (il Basso Egitto sconfitto). Sull’altra faccia della tavoletta, Narmer indossa la corona rossa piatta del Basso Egitto ed è in processione. Sulla destra stanno dieci nemici decapitati. Al centro due animali fantastici intrecciano i colli in segno di unione. Sotto, un toro uccide un nemico,

[Tavoletta di Narmer]  Le ipotesi della nascita della civiltà faraonica L’alba della civiltà egizia resta tuttora misteriosa: una civiltà che si presentò alla storia improvvisamente del tutto formata: l'istituzione faraonica, una società perfettamente organizzata, i monumenti, la scrittura! Erodoto, che visitò il Paese nel 45 a.C., così scrisse: "Esistono in Egitto meraviglie che non si trovano in nessun altro luogo". Ma da dove si formò la civiltà egizia, così come noi la conosciamo, non lo sappiamo; gli Egizi stessi non conoscevano le loro origini. Gli antichi storici egiziani raccontano che, prima delle dinastie conosciute, l'Egitto fosse governato da misteriosi esseri semidivini in una imprecisata Età dell'Oro.

Riporto, ad esclusivo spirito di conoscenza/didattica ma non di dati oggettivi scientifici certi ed inconfutabili,

alcune

estreme

ipotesi che parrebbero addirittura supporre l’intervento di una civiltà extraterrestre.

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 Un primo contributo di archeo-medicina a questa ipotesi sarebbe la presenza nel Museo del Cairo di una Mummia risalente a circa 2000 anni fa, trovata in una piccola stanza della Piramide di Senusert II della

XII

dinastia,

dalla

morfologia

controversa, con fattezze “aliene”. L''iscrizione all''interno della tomba della mummia spiega che si tratta di un consigliere del re di nome Osirunet che significa “Inviato del cielo o delle stelle". Il corpo mummificato fu sepolto con grande

cura

e

rispetto,

ed

era

accompagnato da una serie di oggetti a tal

punto

strani

che

il

Museo

Archeologico non è stato finora capace di identificarli.  Un secondo contributo proviene dal tempio dedicato al dio Osiride ad Abydos, dove sono stati ritrovati dei disegni su delle travi del soffitto. In questi disegni si possono identificare un elicottero, un sottomarino, un aereo e un aliscafo.

 Un terzo contributo al dibattito sull’origine extraterrestre è questo affresco del 2400 a.C. contenuto nella tomba di Ptahhotep, Gran Visir al tempo del Faraone Ises, in cui alcuni studiosi vedrebbero raffigurata la figura di un alieno. La maggior parte degli scienziati ritiene però che possa essere un vaso con dei fiori sul bordo.

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 Degna di attenzione è la Teoria della correlazione con la costellazione di Orione. Alcuni studiosi pensano che le tre piramidi di Giza siano state costruite da un'antica civiltà avanzatissima che le volle allineare alle tre stelle centrali della Costellazione della Cintura di Orione, così come erano poste nel quadro astrale del 10.500 a.C.

 Nel Settembre 2013 nell’Oceano Atlantico, al largo delle Azzorre, a circa quaranta metri di profondità, è stata ritrovata una gigantesca piramide alta 60 metri, che si estende su una superficie di 8.000 metri quadrati. La struttura

risulta essere perfettamente

allineata con i quattro punti cardinali, come le Piramidi di Giza. Alcuni studiosi ipotizzano una correlazione tra la misteriosa Atlantide e la civiltà egizia.

 I tre regni egiziani Secondo l’opera “Aegyptiaca”, che è

una storia completa dell'Egitto antico, scritta dal sacerdote

Manetone (300 a.C. circa) basandosi su quanto si trovava nei Templi stessi, la storia dell'Egitto può essere suddivisa in tre grandi Regni intervallati da tre cosiddetti Periodi Intermedi nei quali il Paese attraversò momenti di crisi politica e sociale: - Antico Regno (3100 - 2195 a.C.) - Primo Periodo Intermedio (2195 - 2064 a.C.) - Medio Regno (2064 - 1783 a.C.) - Secondo Periodo Intermedio (1783 - 1543 a.C.) - Nuovo Regno (1543 - 1078 a.C.) - Terzo Periodo Intermedio (1078 - 525 a.C.) - Epoca tarda (525 - 332 a.C.)

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Nel 332 a.C. iniziò il regno dell’ultima dinastia egizia, quella dei Tolomei, che si concluse nel 30 a.C. con la conquista dell'Egitto da parte dei Romani, e con il suicidio della ultima regina egiziana, Cleopatra VII, la cui bellezza fisica è rimasta leggendaria.

[Cleopatra, frammento di bassorilievo I sec. a.C. (Parigi, Museo del Louvre)]

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CAP. II - LA MEDICINA PRE-FARAONICA

Non abbiamo dati certi su ciò che la Medicina egizia fosse nel periodo prefaraonico.  MEDICINA EMPIRICA E MAGICA La medicina egizia agli inizi fu empirica e magica a un tempo, come avviene in tutte le civiltà primitive: i medici-maghi operavano

osservando gli astri, i fenomeni

naturali o le visceri degli animali e utilizzavano le virtù delle piante e dei rimedî più semplici. Questo reperto a sinistra non è egiziano ma di un’altra civiltà contemporanea, quella mesopotamica: è verosimile che ve ne siano stati di simili in Egitto ma non ne sono trovati esemplari. Rappresenta il fegato di un animale con dei segni magici, che veniva utilizzato dagli aruspici per interpretare la volontà degli dei.

La terapia magica comprendeva formule, scongiuri, unghie e denti di animali, ossa e ceneri dei morti, e vari tipi di amuleti. Questo ad esempio è un amuleto magico prefaraonico, trovato negli scavi delle tombe di Naqada, assieme al corpo seppellito nella sabbia. Non si sa che cosa rappresenti con certezza, forse una divinità. (Le tombe di Naqada, periodo 4000-3000 a.C., sono costituite da semplici deposizioni in fossa nella sabbia con i morti non mummificati rivolti in posizione fetale verso nord, ovest o est.)  MEDICINA SACERDOTALE La naturale evoluzione dalla medicina magica è la medicina sacerdotale: i sacerdoti, custodi dei segreti della terra e del cielo, esercitavano la funzione d'intermediari ed interpreti fra il potere divino e la sofferenza umana, avocandosi anche l'esercizio di quello che ha costituito in tutti i tempi il massimo attributo della divinità: la facoltà di decidere della vita e della morte e quindi di provocare le malattie a titolo di punizione o di espiazione e di guarirle per dimostrare la benevolenza o il perdono. Con l’avvento dell’era faraonica, fu la colta casta sacerdotale (soprattutto i sacerdoti devoti al culto della dea Sekhmet) che si assunse il compito di provvedere agli aspetti igienici e medici della popolazione. I sacerdoti furono dunque i primi medici dell'Egitto e alle loro regole igieniche e dietetiche dovevano assoggettarsi tutti, compresi i Re. I sacerdoti erano detti Hem-nether (servitori del dio, in quanto mediavano con le divinità), ed erano coperti dalla caratteristica pelle di leopardo.

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Studi archeologici hanno appurato che i sacerdoti di Sekhmet, per interpretare la volontà degli dei, utilizzavano un vasto assortimento di droghe: mescolavano insieme varie sostanze allucinogene ed ottenevano un composto, chiamato didi, che faceva loro raggiungere uno stato di estasi che serviva loro a compiere “viaggi nell’Aldilà” e comunicare con gli Dei.

Anche nelle tombe reali sono stati trovati numerosi unguentari che dovevano contenere l’elisir per trasformarsi in dei. A destra ne vediamo un esemplare.

L’’attività medica si svolgeva all'interno dei templi dove questi sacerdoti-medici ricevevano gli ammalati, facevano una diagnosi e prescrivevano terapie.

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Le osservazioni sulle malattie, le terapie impiegate e l’eventuale avvenuta guarigione venivano scritte sulle colonne dei templi stessi, e successivamente trascritte nei cosiddetti Libri di Thot, i quali erano dei mitici libri, 42 in tutto, redatti dal dio egizio Thot e lasciati sulla Terra; in essi si sarebbero trovati tra l’altro anche i misteri dei cieli e le predizioni di eventi planetari futuri. Questi libri profetici venivano gelosamente nascosti dai sacerdoti in biblioteche segrete e non sono stati più ritrovati. Secondo alcune teorie sarebbero nascosti in una camera segreta situata al di sotto della Sfinge di Giza, ma le ricerche effettuate con le più moderne tecnologie, sia sotto che nell'area circostante il monumento, non hanno rilevato la presenza di cripte sotterranee. Secondo altre teorie si troverebbero all'interno di una scatola d'oro nascosto in un tempio segreto. In questi libri, che solo i sacerdoti potevano consultare, vi erano le regole scritte a cui i medici dovevano attenersi scrupolosamente, pena la loro stessa vita.  IL MONDO RELIGIOSO DELLA MEDICINA L’aspetto religioso nell’arte medica per gli antichi Egizi era molto importante, e lo dimostra il fatto che molte divinità vigilavano sull'esercizio della medicina.

 La divinità più importante era Thot, dio di Hermopolis, il dio della scienza, della scrittura, delle arti magiche e delle fasi lunari, messaggero degli dei. Nell’oltretomba assiste alla pesatura del cuore del defunto. Thot è rappresentato con un corpo umano con la testa di ibis, o talvolta come un babbuino. Thot era il dio protettore dei medici. Infatti il Papiro Ebers così cita all’inizio: “La loro guida è Thot, che fa in modo che i rotoli parlino da sé, compila i trattati e impartisce le nozioni ai saggi e ai medici affinché questi seguano il suo cammino”.

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 Un’altra divinità importante era Sekhmet, detta “la Possente”, sposa di Ptah, raffigurata in forma leonina. Era la dea della salute ma anche della guerra. Narra il mito che Ra, adirato con gli uomini che avevano cospirato contro di lui, inviò Sekhmet per ucciderli, ma poi – pentitosi del suo gesto – la volle fermare ubriacandola con della birra di colore rosso come il sangue. I sacerdoti di Sekhmet formavano una casta molto potente, ed erano spesso chiamati per la cura di patologie ossee, quali le fratture.

 Hathor, dea della gioia e della vita, era una delle dee che proteggeva le donne durante il parto. Veniva raffigurata come una donna con corna bovine e un disco solare; altre volte come una giovenca simbolo di fertilità.

 Iside, sorella e sposa di Osiride, era la dea della maternità e della fertilità: sono frequenti le rappresentazioni della dea mentre allatta il figlio Horus. Solitamente viene raffigurata come una donna vestita con una lunga tunica, che reca sul capo il simbolo del trono, oppure con le corna bovine tra le quali è racchiuso il sole. In forma alata è anche dipinta sui sarcofagi nell’atto di prendere l’anima tra le ali per condurla a nuova vita

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. ď ¨ Horus, il dio falco, figlio di Iside e Osiride, vendicatore della morte del padre nei confronti di Seth, il quale gli tolse un occhio durante lo scontro, occhio poi ritrovato da Thot e da questi purificato e riattaccato. Per questo Horus era protettore dei pazienti con malattie agli occhi. All’occhio di Horus (detto Udjat) la religione egizia attribuiva molti poteri magici, come ad esempio il potere di difendere dalle malattie, dal malocchio e dai

morsi di serpente, ed

addirittura anche il potere di riportare in vita un uomo. Nel rito della mummificazione, l'occhio di Horus veniva posto sopra l'incisione addominale da dove gli imbalsamatori estraevano gli organi interni.

Troveremo altre divinitĂ che intervengono durante il parto nel paragrafo dedicato alla ginecologia (da pag. 50 e segg.)

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CAP. III - LA MEDICINA AI TEMPI DEI FARAONI

Nei secoli delle dinastie faraoniche la medicina egizia conobbe il suo massimo fulgore. Così Omero scrisse nell’Odissea “L’Egizia: la terra datrice di biade là produce moltissimi farmaci, molto buoni, e misti coi quali molti mortali; e ognuno vi è medico, esperto al di sopra di tutti gli uomini” (IV, 219-232). I medici egizi godevano di molto prestigio: molti nobili venivano dall'estero per consultarli, oppure erano gli stessi medici, dietro autorizzazione o ordine del Faraone, a recarsi presso i potenti vicini per prestare la propria opera. Furono altamente considerati anche dopo che il loro Paese perse la propria indipendenza: Ciro, il re dei Persiani, voleva essere accompagnato nelle sue spedizioni militari da medici che avevano studiato nelle città egizie di Sais e di Eliopoli, ed anche a corte pretendeva che i suoi stessi medici provenissero prevalentemente dall’Egitto. Il termine egizio per medico è Sunu, dalla radice sun (“soffrire”) con il probabile significato di “Colui che cura chi soffre”. Il Sunu viene rappresentato con due semplici geroglifici, una freccia e un vaso: la freccia rappresenterebbe un arcaico bisturi con cui si interveniva sul paziente (per altri studiosi indicherebbe il fatto di andare al bersaglio, cioè di porre la diagnosi corretta), mentre il vaso conterrebbe il medicamento da somministrargli per la guarigione.

Oltre ai Sunu troviamo: - gli Uabu, i sacerdoti di Sekmet, che curavano le classi privilegiate; mediavano con le divinità e conoscevano un ampio assortimento di droghe. - i Sau, maghi guaritori, si contrapponevano ai poteri invisibili legati ai mali inspiegabili o contro i mali originati dagli animali che assalivano l’uomo, come lo scorpione. Per la cura si servivano di formule, incantesimi, amuleti e statue guaritrici.  L’ORGANIZZAZIONE SANITARIA Il mondo della sanità nell’Antico Egitto aveva un’organizzazione molto articolata, con una gerarchia ben definita. Vi era un vero e proprio Ministero della Sanità, al cui apice era il ruolo di "Medico Capo del Basso e dell’Alto Egitto”, ricoperto dal Medico personale del Faraone (Sunu n nesu), dal quale dipendevano tutti i medici. Tra i Medici del Palazzo, uno era il "supervisore" di tutti gli altri, compreso anche il medico personale della regina (Ur sunu n per hemet nesu, capo medico della casa della regina).

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Anche i sunu avevano delle gerarchie ben definite: c’era ur sunu (capo medico), kherep sunu (controllore dei medici), hery sunu (preposto ai medici), imy-r-sunu (sovrintendente dei medici), sehedj sunu (ispettore dei medici). Esistevano inoltre i titoli di “Soprastante alla case della salute”, che erano strutture tipo ospedaliere, nonché medici addetti a corpi sacerdotali, colonie agricole, villaggi operai. La professione medica non era di esclusiva pertinenza maschile: si conosce il nome di un medico donna, Pesheshet, la cui qualifica era Imy-r-sunut (sovrintendente dei medici donna); esercitò la sua attività di levatrice in una scuola medica a Sais, durante la quarta dinastia. Accanto ai medici operavano gli Ut, che non erano considerati terapeuti, assistevano in gran numero alla casta medica, anticipando la corporazione degli infermieri. L’istituzione medica disponeva per i medici otto ore di lavoro giornaliero, la licenza per malattia, un’assicurazione, la pensione. I medici in Egitto erano sotto controllo dello Stato. Se il paziente non guariva o moriva, lo Stato indagava la ragione e decideva se il metodo di cura impiegato dal medico era conforme alle regole. Se si scopriva che c'era stata qualche errore durante la cura, il medico veniva perseguito dal sistema giudiziario e se l’ammalato in questi casi moriva per colpa del medico, questi veniva condannato a morte.

I medici preparavano essi stessi le loro ricette, erano quindi anche farmacisti, ma si procuravano la materia prima dei loro prodotti da una organizzazione farmaceutica gerarchicizzata con un Capo farmacista che coordinava i Conservatori dei farmaci.

Nell’immagine vediamo un unguentario, cioè un contenitore di farmaci: raffigura il dio Bes, nume protettore della casa e dei bambini.

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Le cure prestate dal medico erano pagate solitamente in natura, con delle spezie. Il suo reddito variava a seconda dell'ambiente in cui operava. Naturalmente se un medico operava all'interno del palazzo reale o nei templi, godeva dei privilegi adeguati al proprio rango e dato che in Egitto era in uso il sistema di sommare le varie cariche, molte volte un medico poteva anche essere un nobile oppure coprire un ruolo politicamente importante e guadagnare di conseguenza molto. Viceversa, se un medico era a disposizione di una cava o di una città operaia come Deir el-Medina, non godeva di nessun privilegio particolare e alcune volte era addirittura socialmente al di sotto di ispettori oppure di capi operai. Nel disegno in basso nell’angolo destro vediamo un medico mentre medica un operaio ferito.

In caso di guerra l'assistenza medica per i soldati era gratuita, pagata dallo Stato.  LE SCUOLE DI MEDICINA Il titolo di medico, così come si verificava per la maggior parte delle professioni, era ereditario. Come testimonia lo storico greco Diodoro Siculo (I sec. a.C.) la formazione avveniva inizialmente in famiglia, all’interno della quale la scienza medica si tramandava di generazione in generazione. Le conoscenze venivano poi perfezionate nelle Case della Vita (Per-ankh), situate vicino ai templi, dove si studiava su antichi papiri che i medici seguivano con scrupolo e rigore.

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Il medico che non rispettava la procedura e provocava la morte del malato poteva essere condannato a morte. Queste Case della Vita erano delle specie di biblioteche dove i giovani facevano esperienza con gli anziani, leggevano e ricopiavano gli antichi testi gelosamente custoditi dai medici-sacerdoti di Sekhmet: solitamente il medico trascorreva nelle scuole dei templi anni di duro addestramento. Le Case della Vita ritenute migliori erano quelle di Sais, Bubasti, Eliopoli e Abido. Alcune delle Case di vita erano specializzate in alcuni campi: a Sais, ad esempio, venivano impartite lezioni di ostetricia da insegnanti donne che venivano chiamate “divine madri” (qui vediamo la raffigurazione di un parto assistito da due divinità). Il medico generico doveva sapere di tutto e anche di veterinaria, trattata negli stessi libri di medicina, ma molti

aggiungevano

al

titolo

una

o

più

specializzazioni. I medici dell'antico Egitto erano molto numerosi, per questo motivo ognuno di loro si occupava quasi esclusivamente delle malattie che meglio conosceva. Nel V secolo a.C., quando la civiltà egizia vantava già un lungo passato, lo scrittore greco Erodoto intraprese un viaggio nel Paese osservando la gente e le sue usanze con occhio attento. Rimase ammirato dall’esistenza delle molte specializzazioni mediche, tanto che definì gli Egizi “il popolo dei sanissimi” grazie all’importante sistema sanitario che possedevano, ed all’esistenza di un medico per ogni infermità (prima segnalazione della specializzazione in campo medico): “La Medicina è suddivisa in Egitto in questa maniera: ogni medico cura una sola malattia, non numerose. Tutto è pieno di medici: gli uni sono medici per gli occhi, altri per la testa, per i denti, per l’addome, per le malattie di localizzazione incerta”. (Storie II,84). Non si trattava, comunque, di un fenomeno che fosse nato allora; i medici specialisti esistevano in Egitto già 2.000 anni prima che lo visitasse Erodoto. I vari specialisti erano: - Sunu-khet (medico dell’addome) - Sunu-irty (medico degli occhi) - Sunu-jbeh (dentista) - Neru pehuyt (guardiano dell’ano) - Specialista delle orecchie - Specialista della pelle - Specialista delle malattie urinarie - Competente dei fluidi interni - Specialista per le “malattie di origine sconosciuta”.

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 LA VISITA MEDICA L'esame clinico tipo, come possiamo ricostruirlo sulla base delle fonti a nostra disposizione, prevedeva un interrogatorio dettagliato del paziente, a cui seguiva un esame fisico generale, che teneva conto dello stato di coscienza, nonché della eventuale presenza

di

tremori,

dell'aspetto

e

dell'espressione del viso, del colore degli occhi e della pelle, dell'addome, di eventuali tumefazioni,; si esaminavano poi l'odore e il fiato del paziente, infine l'urina, le feci e l’espettorato. Un posto importante aveva a questo punto la palpazione, soprattutto del polso e dell'addome; la palpazione dei gonfiori delle articolazioni serviva per valutare le fratture. Seguivano le prove funzionali: per esempio, distendere le gambe. Il medico valutava quindi la temperatura e le alterazioni del polso, ed infine eseguiva la percussione. Quello che rilevavano nel malato i medici egizi lo trascrivevano in una scheda (una vera cartella clinica). Alla fine della visita il medico era pronto per emettere per scritto la diagnosi e la prognosi e per prescrivere la terapia. La prognosi, era molto pratica in quanto indicava solo tre possibilità: favorevole ("E' un male che curerò"), incerta ("E' un male che combatterò"), infausta ("E' un male che non curerò"). A parte alcune eccezioni, le malattie non avevano nomi propri, ma erano definite dalla ripetizione dei loro sintomi.  MEDICI FAMOSI Il primo medico dell'antico Egitto di cui si ha notizia è Iy Mry, vissuto circa nel 2700 a.C., il quale ricoprì la carica di "capo dei dentisti e dei medici". Fu anche scriba. Il titolo di medico compare nella sua tomba di Saqqara, una fra le più antiche d'Egitto (2667-2448 a.C.), che custodisce il sonno eterno del re Djoser. Mry venne seppellito assieme ai colleghi di rango inferiore Kem Mesew e Sekhem Ka; furono sepolti tutti insieme, pur non essendo parenti. Il sovrano concesse ai tre fedeli servitori un’onorevole sepoltura all'interno del recinto sacro, un privilegio riservato a pochi. Non sono state però trovate le loro mummie. Tra i geroglifici sulle pareti un occhio e un dente

appuntito

stanno

presenza di un dentista.

[20]

a

indicare

la


Nei dipinti sono raffigurate scene della vita quotidiana e dell´attività del dentista; in un dipinto si è trovata anche una maledizione per chi violi la tomba, che sarà divorato da un coccodrillo e un serpente. Il cimitero specializzato per i dentisti riflette lo stato sociale e la considerazione di questa categoria professionale nell´antico Egitto: queste persone erano tanto importanti perché avevano il permesso di toccare la bocca del Faraone.  Merit Ptah visse in Egitto durante l’Età del Bronzo (siamo nel 2.700 a.C. circa), dedicandosi principalmente alla fisica, ma sappiamo che fu anche ostetrica e medico. Nel suo nome c’è già il suo destino: Merit Ptah significa infatti amata da Ptah, cioè dal dio creatore della città di Menphi (la capitale dell'Antico Regno), divinità del sapere e della conoscenza. Di lei sappiamo pochissimo: la sua immagine può esser vista in una tomba nella necropoli vicino alla piramide di Saqqara, il suo è un profilo dallo sguardo intelligente, il volto giovane e fiero, con parrucca e occhi bistrati, come la maggior parte delle donne ritratte dagli artisti dell’Antico Egitto. Sulla sua tomba, il figlio, che fu un Sommo Sacerdote, la descrive come “il Sommo Medico” o “Medico Capo”. In pratica, Merit non era un semplice medico donna, ma una figura di riferimento in quel settore.  Il medico più famoso della storia dell’Antico Egitto è stato senza dubbio Imothep, nato verso la fine della II Dinastia, all’incirca nel 2700 a.C. Di rango nobile, il suo nome significa “colui che viene in pace”. Fu un genio versatile: fu poeta, astrologo ed architetto reale. A lui viene attribuita l’ideazione della tomba mastodontica del re Djoser, la piramide di Saqqara, a gradoni, ritenuta precursore delle successive piramidi a pareti lisce del complesso di Giza. Nel complesso funerario del faraone Djoser è stata ritrovata un’iscrizione, proprio sotto la sua statua, che specifica i titoli e le funzioni svolte da Imhotep: “Cancelliere reale del Basso Egitto, primo dopo il Re, amministratore del Gran Palazzo, signore ereditario, sommo sacerdote di Eliopoli, maestro dei costruttori, degli scultori e dei creatori di vasi di pietra.”

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In Egitto, Imhotep era conosciuto come un medico eccezionale e dalle straordinarie abilità curative. Fu una figura fondamentale per la medicina del tempo in quanto ritenuto autore di uno dei più antichi trattati medici ritrovati, noto come il papiro Edwin Smith, in cui sono raccolti e descritti ben 48 casi clinici. Il papiro Edwin Smith, con i relativi stralci riguardanti i traumi alla testa, ha animato vivacemente il dibattito medico: dall'anamnesi dei singoli casi trasparirebbe una conoscenza embrionale delle funzioni del liquido cefalorachidiano, al punto da poter ritenere Imhotep lo scopritore

dello

stesso,

per

quanto

non

venga

mai

citato

specificamente. A Imothep si deve lo studio di soluzioni antibatteriche per gli occhi e l’ideazione della tecnica della mummificazione. Imothep era visto come genio, sapiente ed per questo le sue raffigurazioni di tardo periodo, realizzate in vari metalli, lo vedono rappresentato come un uomo seduto che regge un papiro sulle ginocchia su cui compare l’iscrizione Imhotep, figlio di Ptah, Dio associato all’artigianato e alla creazione.

Nella sua stessa terra, due millenni dopo la sua morte, Imhotep veniva venerato come il Dio della medicina e della guarigione, e questo fu uno dei rari casi in cui un umano riuscì a conseguire un tale onore. I malati si recavano in pellegrinaggio ai suoi templi a Menfi e sull'isola di Philae. Nel periodo del Nuovo Regno Imhotep venne associato non solo al Dio Ptah, ma anche a Thot, dio della scrittura e della conoscenza.

[22]


CAP. IV - LA SCIENZA MEDICA NELL’ANTICO EGITTO  I PAPIRI Le fonti per la storia della medicina egiziana sono date da una serie di papiri medici, vere e proprie miniere di informazioni che passano da ricette e prescrizioni mediche o magiche e preghiere. Si pensa che questi papiri siano la raccolta delle iscrizioni che figuravano sulle pareti del santuario di Eliopoli che era forse anche un grande sanatorio. Il più completo e famoso è il papiro Ebers (così chiamato dal nome del suo primo possessore), del 1550 a.C. Contiene 877 commi che descrivono descrizioni e rimedi per moltissime malattie, dalla tosse ai problemi cardiaci, alla gastroenterologia e alla ginecologia.

Lungo ben 20 metri e 30 cm di larghezza e composto da oltre 100 pagine, è un libro con la compilazione di innumerevoli ricette, per la cura di molti sintomi di malattia, inquadrati per sede, diagnosi e prognosi ("Se troverai .... allora dirai..."). L'autore del papiro rimane tuttora sconosciuto. Altro papiro altrettanto famoso è il papiro Edwin Smith, lungo 5 metri, di contenuto principalmente chirurgico. Il Papiro Edwin Smith è del 1650 a.C. e rappresenta il più antico trattato di chirurgia giunto sino ai giorni nostri. Per la prima volta, in tutta la storia dell'Antico Oriente ed in generale in tutta la storia della medicina, ci troviamo di fronte ad un approccio moderno e prettamente scientifico alle malattie e ai traumi (soprattutto le ferite) nonchè alla cura del paziente.

[23]


La natura razionale e pratica del papiro è illustrata in 48 casi, che sono elencati in base alla posizione degli organi: l'analisi dei casi ha inizio dalla testa e procede in basso (nell'ordine della moderna esposizione anatomica) verso il collo, le braccia, torace e la spina dorsale (qui il trattato si interrompe bruscamente). Va puntualizzato che mancano le descrizioni di casi e di pazienti con traumi al di sotto dello sterno, mancanza dovuta sicuramente al fatto che il papiro non si è conservato perfettamente; la trattazione dei casi è affrontata scientificamente, con una particolare attenzione alla parte chirurgica (c/è il ricorso alla magia soltanto nei casi 8 e 9 dei 48 conservati). Il titolo di ogni caso esplicita la natura del trauma, ad esempio "Pratiche per una ferita profonda nella testa, che è penetrata fino all'osso ed ha spaccato il cranio". Per ogni caso si descrive minutamente il tipo e la profondità della lesione, l'esame del paziente, gli effetti dei traumi sugli organi, la diagnosi, la prognosi, e il trattamento. Sulla base dell'analisi delle condizioni del paziente, il chirurgo pronuncia poi la sua diagnosi, che include sempre uno dei tre verdetti: male che può essere discusso e curato (favorevole), male che può essere discusso e che si può tentare di curare (incerto), male che non può essere trattato perché assolutamente privo di speranza (sfavorevole). Quest'ultimo verdetto ricorre 14 volte. All’interno di questo papiro vi è anche il trattato “Il segreto del medico: conoscenza del cuore”. Altri papiri medici sono: 

 

 

il papiro di Rameusseuma (1900 a.C.) nel quale si descrivono ricette e formule magiche il papiro Kahoun (1850 a.C.) in cui sono elencate ricette di interesse ginecologico unite ad alcune informazioni di veterinaria e di aritmetica il papiro di Hearst (1550 a.C.) contiene circa 260 ricette elencate senza un ordine preciso; il papiro di Londra (1350 a.C.) con 61 ricette di ginecologia e oftalmologia, mischiate a formule magiche il papiro Chester Beatty VI (1300 a. C.) con 40 ricette per patologie di proctologia; il papiro di Brooklyn, che contiene trattati di ginecologia e pediatria, ricette riguardanti gli antidoti contro i veleni, ed un manuale di incantazione dei serpenti; il papiro Carlsberg VIII (1200 a.C.) con prescrizioni di oculistica e di ostetricia.

 L’ANATOMIA La conoscenza dell’anatomia dei medici egizi era piuttosto scarsa, e quel poco che ne sapevano non derivava, come ci si potrebbe aspettare, dalla pratica dell’imbalsamazione, in quanto il corpo del defunto era sacro e non era consentita la dissezione. Chi svolgeva l’imbalsamazione era un corpo di comuni lavoratori delle classi inferiori, necessario ma disprezzato, generalmente privo di cultura e di particolare interesse; non c'erano medici o studiosi predisposti a questa sorta di "autopsia".

[24]


I medici ricavavano le loro conoscenze dall’osservazione degli animali sacrificati o da quella dei feriti in guerra o sul lavoro. Cuore. Gli Egizi ritenevano il cuore (chiamato ib) il centro fisico, psichico e spirituale dell’organismo umano, luogo della volontà e delle emozioni, oltre che sede del peccato.

[Amuleti egizi raffiguranti il cuore]

Non solo gli uomini, ma anche gli dei possedevano un cuore. Nei templi, ogni mattina, era offerto all’immagine del dio il cuore inteso come ordine, stabilità; il dio realizzava così l’ordine del mondo nel suo cuore, nello stesso modo della dea Maat, che per mezzo del cuore poteva saggiare le condizioni del mondo. Il cuore aveva anche un profondo significato religioso: era considerato la sede dell'anima. Gli egizi credevano che nel Duat, ossia gli inferi così come erano intesi dalla religione egizia, il cuore di ogni defunto fosse soppesato (apostasia), nella Sala delle due Verità, o delle due Maat, sul piatto di una bilancia custodita da Anubi: sull'altro piatto stava la piuma di Maat. Il peso del cuore non doveva superare quello della piuma. Questo è il motivo per cui il muscolo cardiaco non veniva asportato dalla salma durante la mummificazione, a differenza di tutti gli altri organi. Se il cuore risultava dello stesso peso della piuma di Maat, o più leggero, significava che il trapassato aveva condotto una vita virtuosa e sarebbe perciò stato condotto nei campi Aaru, luogo di beatitudine, presso Osiride. Se invece pesava più della piuma, il cuore veniva divorato dal mostro Ammit e il suo possessore era condannato a rimanere in eterno nel Duat, senza speranza d'immortalità. Rivedremo meglio il tutto nel capitolo dedicato alla mummificazione.

[25]


Circolazione. Nel papiro Smith si legge “Ovunque metta le dita, un medico incontra sempre il cuore, perché i suoi vasi arrivano dappertutto. Il cuore è ciò che parla ai vasi di tutte le membra”: da questa frase si deduce che i medici egizi già ricollegassero il battito cardiaco a quello del polso. Secondo i medici egizi i vasi del cuore collegavano l’organo a tutti gli altri organi: erano detti metu, termine che indicava genericamente tutti i dotti (sistema circolatorio, linfatico, ureteri), ma anche tendini, muscoli e nervi. I metu erano adibiti al trasporto dei fluidi corporei dal cuore ai vari organi: aria alle membra, acqua ai polmoni, al fegato, alla milza e all’ano, sangue e muco al naso, ed ancora sangue alle tempie, sperma ai testicoli, urina alla vescica ed infine escrementi all’ano. Se uno di questi vasi si ostruiva si manifestava la malattia. Cervello. Nel papiro Smith compare per la prima volta nella lingua dell'uomo la parola "cervello", del quale vengono accuratamente descritte la forma, le circonvoluzioni e le meningi, ma la sua importanza non fu mai riconosciuta. Nonostante la cultura egizia riconoscesse il cuore e l'addome come sedi della conoscenza e dell'intelligenza, il chirurgo del papiro Smith osserva, per la prima volta, che le ferite al cervello hanno delle ripercussioni su altre parti del corpo, specialmente sugli arti inferiori: il cervello viene, dunque, considerato il centro di controllo dei movimenti del corpo. E’ strabiliante inoltre osservare il ruolo centrale nel controllo nervoso attribuito alla colonna vertebrale, la cui lesione era stata registrata dal papiro come capace di compromettere le funzioni motorie e sensoriali (anche se in nessun caso il chirurgo riconosce alcuna relazione tra il cervello e il midollo spinale). Erano progredite anche le cognizioni relative ad altri organi come lo stomaco, il fegato, la vescica e l'utero.

 EPIDEMIOLOGIA ED IGIENE La durata della vita media degli antichi Egizi era sui 35-40 anni; era elevata anche la mortalità infantile legata alle precarie condizioni igieniche del parto, in molti casi alla stessa immaturità fisica delle madri, al clima ed altri fattori non ben individuabili. Vista l’alta mortalità in giovane età, risultavano molto rare le neoplasie.

[Qui vedia o u fi o a ute i o di u a

u

ia e a dx l’i

[26]

agi e a ato i a pe

o e doveva p ese ta si ]


Nel 2014 un team di archeologi britannici ha annunciato la scoperta del più antico caso di cancro metastatico in un essere umano. La vittima era una donna aristocratica vissuta sull’isola di Elefantina, nel sud dell’Egitto. Al momento della morte avrebbe avuto tra i 30 e i 40 anni. Lo scheletro presenta lesioni dal cranio fino all’alluce del piede, sebbene ce ne siano un po’ di più dal bacino in su. Nell’immagine si visualizzano le lesioni metastatiche alla scapola destra e alla testa del femore.

 Per gli antichi Egizi era fondamentale l’igiene del corpo, che era considerato un luogo sacro, la “casa dell’anima immortale”, tanto che credevano nel proseguo della vita e della bellezza nell’aldilà. La pulizia del corpo era collegata anche alla purezza dello spirito, tanto che le abitazioni erano dotate di bagni e a corte esisteva la carica di “Capo della camera da bagno”, conferita ad un funzionario di massima fiducia, incaricato di controllare che il servizio igienico destinato al Faraone fosse organizzato in modo molto scrupoloso. Era abitudine il lavarsi bene il corpo ed in particolare il viso, la bocca e i denti al mattino, le mani prima e dopo i pasti. La pratica del bagno appare documentata già nel Periodo Tinita (3065-2086 a.C.). I bagni abitualmente venivano fatti nel Nilo o negli stagni: l'acqua veniva prima raccolta in grandi recipienti profondi e larghi e poi versata con delle brocche sulle mani e su altre parti del corpo. Esisteva anche una specie di doccia, costituita da un setaccio o un cesto, attraverso il quale veniva filtrata l'acqua. Non si hanno notizie dell'esistenza di bagni pubblici in Egitto.

Le persone benestanti avevano al loro servizio servi che versavano loro l'acqua sulle mani o su altre parti del corpo. Le classi agiate erano solite mantenere pulite le unghie dei piedi, che lavavano ogni giorno. Inoltre, tra la nobiltà era abitudine diffusa, sia per gli uomini sia per le donne, anche la manicure delle mani e dei piedi. Per tagliarsi le unghie e liberarsi dei calli, gli egizi ricorrevano a delle sottili strisce di metallo o ardesia.

[27]


ď ¨ La cosmesi era essenziale per l'igiene. Dato che non esisteva il sapone, per mantenere la pelle pulita e ammorbidire le zone da rasare, si usavano oli e unguenti. Gli oli, elaborati con grassi animali o vegetali, venivano sfregati sul corpo per contrastare l'odore della pelle. Il loro impiego era essenziale nella prevenzione degli effetti nocivi del sole o dei vento secco. Gli unguenti, tra l'altro, prevenivano l'insorgere dei dolori. Gli Egizi curavano l'igiene di bocca e denti che veniva effettuata ogni mattino con bicarbonato; anche i capelli erano lavati quotidianamente.

ď ¨ I sacerdoti avevano grande cura della loro igiene. Il tempio era un luogo sacro e, pertanto, essi dovevano togliersi le calzature prima di entrare per non introdurvi le impuritĂ del mondo esterno. Anche nelle cerimonie rituali si doveva procedere scalzi. Questa regola valeva anche per il sovrano e nella Tavoletta di Narmer, un uomo porta in una mano i sandali del re e nell'altra una piccola brocca con acqua. Aveva il titolo di "Sandalaio", una carica molto ambita nella corte faraonica.

[Tavoletta di Narmer, particolare del sandalaio] ď ¨ Il taglio rasato dei capelli degli antichi egizi era collegato alle numerose infestazioni dei pidocchi.

[28]


Per motivi estetici gli antichi Egizi portavano parrucche pettinate a treccioline o riccioli minuti che ricoprivano la fronte e scendevano fino al collo (per gli uomini) o sopra le spalle (per le donne).  I medici egizi raccomandavano di svolgere una sana attività fisica, che doveva iniziare sin da ragazzi. L’attività fisica era parte della vita e della cultura quotidiana degli antichi Egizi, per alcuni era solo divertimento, per altri una vera professione. Anche i bambini non erano meno degli adulti e si dilettavano nella pratica della corsa, nella lotta, nel tiro alla fune e nei giochi con la palla. Le attività sportive erano divise in diverse discipline

e

erano

ben

organizzate

e

regolamentate, avevano un arbitro per il controllo del corretto svolgimento della gara e talvolta venivano indossate anche delle divise diverse per individuare le opposte fazioni. La lotta e il lancio del giavellotto erano i giochi più popolari. Gli sport venivano praticati sia in luoghi chiusi che all’aperto ed esistevano anche delle strutture ideate appositamente per lo svolgimento dei giochi stessi. Nessuno rimaneva immune al fascino della competizione, compresi i sovrani, i principi e i funzionari di stato, i quali erano desiderosi di partecipare alle gare sportive ben equipaggiati delle attrezzature necessarie. I vincitori dei concorsi sportivi venivano premiati con grandi collari speciali che coprivano spalle e petto, gli usekh. Nonostante tutto, se il vincitore del concorso veniva premiato per la sua superiorità, il perdente veniva onorato per il suo spirito sportivo.

[29]


ď ¨ Una grande importanza veniva data anche all’abbigliamento, in funzione soprattutto delle condizioni climatiche. La maggior parte dei tessuti ritrovati in Egitto era realizzata con la fibra di lino, ma non era l'unica fibra tessile utilizzata; oltre il lino utilizzavano la lana di pecora, i peli di capra, fibre di palma.

L'uomo comune si vestiva cingendo una cordicella di tessuto intorno ai lombi e poi si infilava sul davanti il tessuto triangolare centrale che veniva poi avvolto intorno ai fianchi. Per le classi piĂš agiate generalmente al perizoma si aggiungeva anche un'ampia camicia ed un mantello.

Le donne

indossavano delle tuniche pieghettate e avevano

spesso il seno scoperto.

Barcaioli, pescatori, lavandai, addetti alla pressatura del vino e raccoglitori di papiri e canne non indossavano indumenti, ma una semplice fascia.

[30]


Danzatrici e servitrici indossavano un abbigliamento molto succinto.

 L’alimentazione doveva essere completa e razionale. Le regole per una sana alimentazione erano piuttosto rigide (con la proibizione di mangiare carne di maiale e la testa di animali): colazione leggera al mattino, primo turno di lavoro, pasto leggero a mezzogiorno e breve riposo, secondo turno di lavoro, poi cena abbondante al tramonto, senza eccedere negli alcolici; in ogni caso la birra doveva essere preferita al vino. Le carni di tutti gli animali dovevano essere esaminate dai sacerdoti e quelle che non possedevano le qualità richieste per il sacrificio non potevano servire nemmeno all'alimentazione. Attraverso le scene affrescate sulle pareti delle tombe, si è potuto ricostruire le abitudini alimentari degli antichi Egizi. La principale attività economica dell’antico Egitto era la coltivazione dei cereali, favorita dalle annuali inondazioni del Nilo, per questo la base della cucina egizia era costituita dal pane e dalla birra. Sebbene nelle classi più agiate si consumasse una maggiore varietà e una maggiore quantità di cibi, per tutti vi erano pane e birra in quantità: pane e birra, poiché nell'antico Egitto non esisteva la moneta, ma solo il baratto, costituivano infatti la paga dei lavoratori.

[A sin. lavorazione del pane, a dx. pane egiziano trovato nelle tombe]

Si facevano diversi tipi di pane, usando come lievito (sconosciuto dagli antichi egiziani) l’avanzo della pasta del giorno precedente; il pane veniva cotto nei forni domestici o su lastre di pietra roventi.

[31]


La birra, fabbricata con pani d’orzo semicotti, imbevuti di liquore di datteri, lasciati poi a fermentare e successivamente filtrati attraverso un setaccio, era una birra non molto alcolica che veniva conservata in giare accuratamente tappate. Per variarne il sapore e aumentarne la gradazione alcolica si aggiungevano altri ingredienti. . Anche l’uva e l’olivo venivano coltivati, ma il vino era una bevanda molto meno diffusa della birra e l’olio d’oliva veniva scarsamente usato per il condimento e la frittura dei cibi; per questa si utilizzava di preferenza l’olio di bak (un olio tratto dalla noce di moringa), l’olio di sesamo e l’olio di lino. Altri condimenti per la cucina erano il sale e alcune erbe aromatiche, come il ginepro, l’anice, il coriandolo, il cumino, il prezzemolo e il finocchio, mentre il pepe non era conosciuto perché fu importato solo in epoca romana. Attività molto praticate nell’antico Egitto erano anche la caccia e la pesca: carne e pesce non mancavano quindi sulla tavola degli antichi egiziani. La pesca offriva diverse qualità di pesce. Il pesce era il cibo più comune

per

permettersi

chi

non

poteva

quotidianamente

la

carne. I pesci, dopo la pesca venivano

aperti,

puliti

dalle

interiora, appesi a seccare e infine posti sotto sale dentro grandi giare per la conservazione; il pesce fresco era di solito arrostito

o lessato.

Dalle uova dei muggini si ricavava anche una specie di bottarga. Bisogna ricordare che nella religione egizia molte divinità avevano l’aspetto di animali, i quali, nelle località dove veniva praticato il culto di quelle divinità, non potevano essere consumati come cibo.

Molto praticata era la caccia ai volatili che venivano consumati soprattutto delle famiglie dei ceti più bassi: si trattava soprattutto di piccioni, anatre, oche, gru e vari tipi di uccelli acquatici che venivano cucinati prevalentemente arrostendoli sul fuoco e infilzandoli sugli spiedi.

[32]


Si mangiava era anche la carne bovina, caprina

e

ovina, proveniente

dagli

allevamenti. Della carne bovina si utilizzavano anche il sangue

per

produrre

una

specie

di

sanguinaccio, il fegato, molto apprezzato, che poteva servire anche ad insaporire delle focacce e il grasso che serviva per cucinare. Gli antichi egiziani preferivano la carne lessata a quella arrostita. Con la carne lessata potevano infatti preparare gustosi pasticci. Altri animali allevati per l’alimentazione erano i conigli e i maiali. Una parte importante nell’alimentazione degli antichi egiziani, era costituita dalla frutta, la verdura e i legumi. Nei diffusissimi frutteti venivano coltivati cocomeri, meloni, fichi, palme da dattero. Molto apprezzata e raccolta era anche la frutta selvatica come le giuggiole, simili alle ciliegie, e le noci di palma dum, mentre negli orti, anch’essi molto diffusi, si coltivavano numerose varietà di verdure, tra le quali aglio, sedano, cetrioli, cipolle, porri; venivano coltivati in granda quantità ceci, fave e lenticchie, che erano elemento quotidiano dell’alimentazione degli antichi egiziani. L’eccesso di cibo nel corpo era ritenuto responsabile di molte malattie, per questo era ritenuta buona norma purgarsi per tre giorni consecutivi tutti i mesi; nei papiri vi sono numerose ricette per clisteri ed emetici, mentre mancano quelle per combattere la dissenteria, ritenuta un modo naturale di liberarsi della malattia.

Era

raccomandato

anche

un

adeguato numero di ore di sonno. Era considerata ottima consuetudine il dormire "dallo spuntar delle stelle fino all'alba".

Per dormire, usavano un

letto dotato di rete elastica, con materasso vegetale e coperte di lino.

[Letto di Me it

[33]

oglie dell’a hitetto Kha - Museo Egizio di Torino]


CAP. V – LE PATOLOGIE NELL’ANTICO EGITTO  PATOLOGIE LEGATE ALL’AMBIENTE Le patologie conosciute erano molteplici, la maggior parte legate all’ambiente in cui predominavano il Nilo e il deserto, e alle condizioni di vita, poiché il caldo, lo stare in piedi, il lavorare sotto il sole portava spesso dolori e malattie.

 Una patologia legata propriamente al clima era l’Emicrania provocata dall’eccessiva dilatazione di alcuni vasi sanguigni nella zona extra-cerebrale, dovuta al gran caldo e alla sabbia che rendeva difficile la vita di chi lavorava all’aperto.

Anche se la funzione del cervello era del tutto ignota, vi si fa riferimento principalmente in relazione a “un pungiglione nella testa” (emicrania), curato sovente con medicamenti a base di teste di pesce, o con l’apposizione di piccoli coccodrilli bendati sul capo.

 La Congiuntivite era una delle affezioni più comuni nell’Antico

Egitto,

legate

a

condizioni

ambientali

accecante, sabbia, vento).

[34]

(sole


Complicanza grave della congiuntivite è il Tracoma, una congiuntivite granulosa, che porta spesso alla cecità e che era talmente diffusa in quelle regioni da meritare l’appellativo di “oftalmia egiziana”.

Per prevenire o per curare le congiuntiviti si usavano soluzioni antibatteriche che venivano mescolate ai cosmetici degli occhi; le sostanze minerali curative utilizzate venivano ridotte in polvere, quindi mescolate con sostanze grasse e miele, ed erano così pronte per essere applicate sulle palpebre con un bastoncino dalla punta arrotondata. Anche la colorazione sulla rima degli occhi aveva azione di prevenzione.

L’invenzione di questa tecnica che univa estetica e medicina sarebbe da attribuire ad Imothep..

Alla sinistra un contenitore utilizzato per conservare le soluzioni antibatteriche per gli occhi; a dx le spatole per la loro applicazione.

[35]


Il trucco degli occhi – vista anche l’azione protettiva e terapeutica – non era un’abitudine prettamente femminile ma era

diffusa anche tra gli

uomini.

Quali erano le sostanze minerali utilizzate?

Durante il Regno Antico venivano utilizzati la Malachite verde del Sinai, detta Udkhu, un minerale del rame, simbolo di fertilità;

o i lapislazzuli, importati dall’Afghanistan, che davano una colorazione azzurra;

nel Medio Regno essi vennero sostituiti dal Khol, a base di Galena nera, un minerale del piombo di colore nero, il colore sacro agli Dei.

[36]


Anche meglio

l’Antimonio, il

suo

sale

o in

combinazione con lo zolfo (solfuro di antimonio o Stibnite) veniva usato sia come medicamento che per cosmesi sugli occhi. Dava anch’esso un colore nero.  Le varici sono una dilatazione patologica permanente di una vena. La loro frequenza nell’Antico Egitto era legata al caldo eccessivo che provoca vasodilatazione. La terapia consisteva nei massaggi.

 Erano diffuse anche le pneumoconiosi, malattie dei polmoni provocate dall'inalazione di polvere o di sabbia, tipica nell’Antco Egitto in chi lavorava nel deserto o nelle costruzioni delle piramidi.

Dal punto di vista anatomo-patologico, la polvere entra nei polmoni e non viene rimossa: in tal modo si crea uno stato infiammatorio cronico, il cui esito è la cicatrizzazione (fibrosi). Questa alterazione patologica impedisce la corretta espansione polmonare durante i movimenti respiratori e compromette gli scambi respiratori riducendo l'ossigenazione del sangue. Il peggioramento della situazione provoca gravi crisi respiratorie e può essere ad esito fatale. I medici egizi prescrivevano, a questo tipo di pazienti, solo dei rimedi naturali contro la tosse irritativa: vino e miele.  La Malaria era un’altra malattia “ambientale”, molto comune nel sud della Valle del Nilo. La malaria è una malattia provocata da parassiti protozoi del genere Plasmodium, i cui vettori sono zanzare del genere Anopheles. Erodoto ci dice che in alcuni luoghi dell'Egitto le zanzare erano così numerose che gli abitanti erano costretti a fare uso di reti da pesca per proteggersi dalle punture di tali insetti. Sono state trovate tracce della malattia in alcune mummie in cui è stata riscontrata una splenomegalia probabilmente causata dalla malaria; nel papiro Ebers si fa menzione di febbri e di splenomegalia.

[37]


Probabilmente fu l'effetto congiunto della malaria e di diverse anormalità nella struttura ossea a provocare la morte precoce del faraone Tutankhamon. Per sanare la febbre della malaria veniva utilizzato il fiore della camomilla, pianta sacra al dio Ra.

 L’acqua del Nilo, che naturalmente non era sottoposta ad alcun processo di purificazione, fu la causa primaria di dissenteria e di malattie parassitarie intestinali. Tra quest’ultime era molto diffusa la schistosomiasi (o bilharziosi), malattia parassitaria causata da Platelminti del genere Schistosoma. Dopo la malaria, le schistosomiasi nel loro complesso sono la seconda malattia tropicale a maggiore prevalenza nel mondo e tuttora sono causa di quasi 10.000 morti all'anno Il serbatoio di questi parassiti sono gli individui infestati cronicamente, ma anche i bovini. Gli ospiti intermedi sono molluschi.

[A sin: ciclo dello Schistosoma. A dx: coppia di schistosomi adulti; all’est e ità si ota o le ve tose o le uali i pa assiti si atta a o alle pa eti delle ve e dell’ospite] L'infestazione si acquisisce per via transcutanea attraverso il contatto con acque contaminate dalle feci o dalle urine degli individui parassitati; penetrati nel corpo umano, i microrganismi infettano il sistema vascolare del sistema gastrointestinale o genito-urinario della persona e possono provocare complicanze ad sito mortale.

[38]


Secondo alcuni la schistosomiasi sarebbe la misteriosa malattia Âaâ, ma nei papiri dov’è citata non viene fatto riferimento all’ematuria, principale sintomo di questa patologia, così diffusa da indurre le truppe napoleoniche che combatterono in Egitto a chiamarla “terra degli uomini mestruati”. I medici egizi contro le tutte le parassitosi da vermi prescrivevano l’assunzione di aglio. Nell’Antico Egitto, secondo quanto scritto da Erodoto,

questo

bulbo

era

una

delle

componenti principali della dieta di schiavi e di coloro che per vivere svolgevano lavori pesanti, mentre, per quanto concerne le proprietà

medicinali,

vi

sono

chiari

riferimenti alle sue proprietà curative nel Codice Ebers. Questo codice, datato 1550 a.C. riporta consigli puntuali sull’utilizzo dell’aglio come rimedio efficace contro i problemi circolatori, il mal di testa, le punture d’insetti e i parassiti. Una interessante curiosità: nella tomba del Faraone Tutankhamon furono ritrovate delle teste di aglio perfettamente conservate, a dimostrazione di quanto fosse ritenuto indispensabile per la vita quotidiana. In alternativa all’aglio, venivano somministrati estratti di assenzio con melograno: entrambi questi vegetali hanno proprietà vermifughe.  Nel deserto vi era il pericolo delle lesioni provocate dagli animali che rappresentavano una notevole insidia per l’antico popolo egiziano. A destra è raffigurato Ammit, il "mangiatore di morti", una creatura mostruosa con testa di coccodrillo, corpo di leone e zampe posteriori di ippopotamo, simbolo di tutti gli animali feroci presenti nel deserto, anche se erano considerati sacri. Nei riti funebri, Ammit assisteva al rito della psicostasia (pesatura del cuore) insieme agli Dei del Tribunale di Osiride. Se il cuore pesava più della Piuma di Maat, il defunto veniva dato in pasto ad Ammit e la sua anima condannata all'oblio (non poteva cioè proseguire il suo viaggio nell'Aldilà, riabbracciare i suoi cari e godere delle gioie della vita ultraterrena). In caso di morsicature da animali (non letali) leggiamo

nel papiro Hearts una ricetta per evitare

l’eventuale infezione: “il primo giorno applicazione di carne fresca, seguita nei giorni successivi da ocra rossa fresca, pianta ibsa, altro prodotto non identificato, grasso di toro, grasso. Cuocere e medicare con il preparato ottenuto”. - Anche i serpenti velenosi erano molto diffusi nel deserto. La cura consisteva nell’applicazione di cipolla sulla sede del morso, accompagnate da orazioni alle dee Iside e Mertseger.

[39]


Mertseger era la dea-cobra protettrice della necropoli di Tebe. Veniva raffigurata come donna dalla testa di cobra, sulla due piume; in alcune stele era invece un serpente dalla testa di donna, con una corona che cingeva il disco solare

Si credeva che Mertseger punisse gli operai che commettevano il sacrilegio di sottrarre qualcosa dalle tombe o dai cantieri, così come coloro che venivano meno a un giuramento, avvelenandoli con il suo morso. Ma era anche generosa nel perdonare chi le rivolgeva pentito e, in questo caso, lo sanava dal male fisico È il caso del disegnatore Neferabu, che sarebbe stato guarito dalla cecità dopo aver implorato Mertseger, come egli stesso ebbe modo di attestare sulle stele a lei dedicata.

Un altro metodo terapeutico contro i morsi dei serpenti era collegato al cosiddetto "Cippo di Horus" o 'Stele di Horus sui coccodrilli” La facciata di questa stele è caratterizzata dal bassorilievo del dio Horo, raffigurato come un bambino, in piedi sopra dei coccodrilli. Il capo è interamente rasato, e viene raffigurato con il tipico copricapo dei fanciulli. Nella mano destra, Horo impugna due serpenti, uno scorpione e un orice (una specie di antilope), nella mano sinistra invece impugna due serpenti, uno scorpione ed un leone. Ai due lati due esili colonne: la colonna destra presenta un capitello papiriforme, sopra il quale è presente un falco, mentre la colonna sinistra presenta un capitello lotiforme, adornato con due piume.

[40]


Questo genere di stele era utilizzato per proteggere gli antichi egizi dagli animali pericolosi come coccodrilli e serpenti. Veniva fatta scorrere dell'acqua sulla stele che veniva raccolta, per poi essere bevuta dalle persone intossicate. La persona si sarebbe identificata col bambino Horus, che aveva sofferto le stesse pene. Durante questo processo venivano recitati riti religiosi. Una delle formule recitava “Tu che mi difendi da tutti i leoni del deserto, tutti i coccodrilli del fiume, tutti gli insetti che pungono e gli scorpioni, tutti i rettili del deserto…” .

- Contro le pericolose e dolorose punture dello scorpione, si invocava la dea Serqet, la dea scorpione [a sin]. Il papiro di Brooklyn riporta un rimedio “un milione di volte eccellente”. Si trattava di ingerire, con vino o birra, la non meglio identificata erbascorpione (forse borragine), non prima, però, di aver leccato un’immagine della dea Serqet, disegnata sulla mano, un altro caso del potere della parola scritta.

Si

usavano

anche

amuleti

magici

che

raffiguravano gli scorpioni [a dx nella foto].

Contro le punture di insetti era molto usato un preparato a base di incenso, gomma, sale, escrementi di mosca, grasso di bue, ocra rossa e cera.

 LA CHIRURGIA Erodoto scriveva: "Ogni medico tratta solo una malattia: ci sono oculisti, otorini, dentisti, gastroenterologi e specialisti per determinate malattie interne". Questo elenco di specializzazioni non annovera nessun chirurgo; gli studi sulle mummie invece hanno evidenziato che i medici egizi erano in grado di condurre con successo interventi chirurgici di una certa importanza: tra gli interventi dell’epoca conosciamo le suture, l’estrazione di calcoli, la circoncisione, l’asportazione di tumori superficiali. La scarsità di reperti deriva dalla cattiva conservazione delle parti molli del corpo, poiché le sostanze utilizzate per l'imbalsamazione modificavano in maniera rilevante la pelle e i tessuti.

[41]


ď ¨ Lo strumentario. Fin dall'Antico Regno venivano utilizzati strumenti chirurgici abbastanza simili a quelli in uso nei nostri ospedali per operare i malati: numerosi sono gli strumenti chirurgici ritrovati o raffigurati, come pinze, forbici e coltelli. In un rilievo del tempio di Kom Ombo sono raffigurati alcuni di questi strumenti medici, tra i quali figurano forbici, seghe, sonde, coltelli, bende.

[42]


 La circoncisione A Saqqara, nella tomba di Ankhmahor Visir del Faraone Teti (Vi dinastia, 2345 a.C. è raffigurata una famosissima scena di circoncisione. La circoncisione, cioè la rimozione del prepuzio dei giovani maschi, era una pratica diffusa (ma non obbligatoria) in Egitto sin dal 3100 a.C., e, a quanto dice Erodoto (Storie, II, 38), un costume trasmesso dagli egizi ad altri: "E mentre gli altri popoli lasciano i genitali come natura li ha fatti, quelli che hanno imparato dagli egiziani si circoncidono". L'intervento chirurgico veniva praticata intorno ai quattordici anni, era eseguito non da medici ma da sacerdoti: ciò conferiva all'operazione un preciso significato religioso, legato probabilmente al passaggio all'età adulta.

La scena raffigura un ragazzo nudo, in piedi, tenuto fermo da un assistente, mentre il sacerdote seduto tiene il pene del ragazzo con la sinistra e con la destra gli taglia il prepuzio; al termine dell'operazione, sulla ferita viene spalmato dell'unguento per lenire il dolore e disinfettare. I geroglifici illustrano il dialogo: [lato sinistro]: il sacerdote accosciato per terra dice all'aiutante che tiene le braccia del paziente: "Tienilo, presto, non farlo cadere"; questi risponde: "Farò come tu vuoi". [lato destro]: il giovane paziente dice: "Strofinalo bene, affinché sia efficace". e il sacerdote risponde: "Farò una cosa indolore, piacevole". (Queste ultime frasi fanno pensare che l'oggetto nella mani

[43]


dell'operatore di destra avesse un'azione anestetica, alcuni sostengono si tratti invece di uno strumento tagliente e che il termine "strofinare" sia riferito all'operazione di affilatura).

 Le ferite Sebbene non siano state trovate cicatrici chirurgiche nelle mummie, nel Papiro Smith ci sono 13 riferimenti alla sutura di ferite. Questo indica che gli Egiziani sapevano fare vere e proprie suture delle ferite, usando filo di lino. Gli aghi erano con ogni probabilità di rame. Nel papiro le ferite descritte sono sempre molto profonde, (probabilmente si tratta di ferite da battaglia, il che presuppone una cultura medica guerriera all'interno della civiltà egizia). È proprio per quest'ultimo motivo che si ritiene che questo papiro sia servito come libro di testo riguardante i traumi risultati dalle battaglie militari. I chirurghi militari avevano una mano più pesante e chiudevano le ferite sia applicando punti di sutura sia bruciando i tessuti con il ferro rovente o con sostanze caustiche Le ferite venivano trattate, il primo giorno, con carne fresca, tenuta in situ mediante bende di cotone o di lino, e in seguito venivano medicate con grasso e miele, o miele e latte coagulato, o miele misto a mirra. Particolari qualità terapeutiche nella guarigione delle ferite si pensava contenesse il latte di una donna che aveva partorito un figlio maschio.

In caso di emorragie: 1. era conosciuta l’arte di cauterizzare con ferri roventi le ferite in caso di vistosa emorragia;

2. veniva usata l’ematite: questo minerale favoriva la coagulazione delle ferite ed alleviava il dolore se veniva poggiata sulle ferite da guerra.

[44]


I medici egiziani erano in grado di distinguere tra ferite sterili e ferite infette. Per curare le ferite infette usavano una mistura di grasso di ibis, olio di abete e piselli schiacciati; viene anche descritto l'impiego di decotto di salice e di una soluzione di sali di rame e sodio, usata come astringente. Nel papiro Smith c’è un’accurata descrizione di una complicazione tetanica su una ferita alla testa. Questa scena

rappresenta il caso. Il

medico indossa un abito pulito di lino bianco e una parrucca, che rappresenta la dignità

del

suo

stato;

il

paziente,

probabilmente membro di una casata nobiliare, è sostenuto da una 'sedia di mattoni'. Il medico, segue le istruzioni prescritte

nel

rotolo,

tenuto

da

un

assistente. Così recita il papiro: “Se hai esaminato un uomo con una ferita aperta sulla testa, che penetra l'osso e perfora le suture del cranio, dovrai palpare la ferita, anche se egli freme in modo eccessivo. Gli farai sollevare il viso: se aprire la bocca è per lui doloroso, e il cuore batte debolmente; se osservi la saliva pendere dalle sue labbra senza cadere, mentre il sangue gli esce sia dalle narici che dalle orecchie; se soffre di rigidità del collo e non riesce a guardarsi né le due spalle né il petto…”(La descrizione ricalca fedelmente i sintomi del tetano cefalico: paralisi dei muscoli facciali e trisma) è un disturbo che combatterai, preparerai per lui qualcosa di caldo, fin quando si sentirà meglio, così che la sua bocca si aprirà. Se è pallido e spossato, lo farai star seduto tra due sostegni di mattoni, fascerai la ferita con grasso, miele e garza fin quando capirai che egli ha raggiunto uno stadio risolutivo. Se invece la carne di quell'uomo ha sviluppato la febbre, il suo viso è freddo e sudaticcio, i legamenti del collo sono tesi, la faccia è rossa e l'odore della cima della testa [calotta cranica] è come quello dell'urina delle pecore, e la bocca è bloccata, questo è un disturbo che non va curato”.

 Le ustioni In caso di ustioni i medici egizi applicavano un amalgama di miele ed urina umana, oppure le foglie di papiro o dell’aloe, oppure la galla delle noci. Una galla, conosciuta anche come cecidio, è una malformazione a carattere escrescente che si forma sulle foglie, sui rami, sul tronco e sulle radici dei vegetali ed è dovuta ad una parassitosi; è ricca di acido tannico, che ha un’azione dermoprotettiva e rigenerante della pelle.

[45]


[Galla di noce]

Il papiro di Ebers indicava per le ustioni l'applicazione di rane bollite. Infine, si è molto ipotizzato di interventi di trapanazione terapeutica dei cervello, ma occorre considerare che i Papiri non ne parlano e che, tra le migliaia di crani egizi recuperati negli scavi e le centinaia di mummie esaminate finora, non sì sono riscontrate tracce di interventi dei genere.

 L’ORTOPEDIA Gli antichi egizi sono stati i primi veri ortopedici della storia. L'intervento più classico era la riduzione delle fratture semplici (quelle complesse erano ritenute incurabili e di solito avevano esito mortale); si usavano stecche e le ferite venivano chiuse con punti. In molte mummie sono state ritrovate delle fratture guarite evidente segno di successo dopo una cura. Nel Museo Egizio del Cairo è conservata una protesi del primo dito del piede di una donna datato circa 3.000 anni. La protesi è fatta di legno e pelle, ed è assemblata in modo da potersi piegare: sia la forma sia i segni di usura suggeriscono che aiutasse davvero la sua padrona a camminare.

[46]


Ricostruita fedelmente e sperimentata su due volontari, la protesi ha assolto allo scopo di sostituire le dita mancanti permettendo ai pazienti di camminare.

Una “strana” protesi. Nell'agosto 1995 il professor C. Wilfred Griggs della Brigham Young University eseguì alcune radiografie sulle mummie conservate nel museo Rosacrociano di San José in California. Dalle radiografie emerse che la mummia del sacerdote Usermontu - risalente alla XXVI dinastia egizia (656-525 a.C.) – presentava una vite ortopedica in ferro, di circa 23 cm, all'interno del ginocchio sinistro.

Inizialmente Griggs credeva che il perno fosse inserito in tempi più moderni per ricollegare la gamba al resto del corpo, ma quando ottenne il permesso di esaminare direttamente il perno si rese conto che il perno era stato inserito sì dopo la morte dell'uomo, ma prima della sua sepoltura: ipotesi confermata da

[47]


ulteriori analisi. Il perno era tenuto in posizione da una resina organica, analoga al moderno cemento osseo. Si suppone che il sacerdote ebbe un grave incidente che portò alla perdita della gamba o alla sua amputazione, ma morì subito dopo. Quando venne mummificato per la vita eterna, venne riattaccata la gamba al corpo con una giuntura: in tal modo, coloro che eseguirono l'operazione assicurarono l'integrità del corpo, necessaria per l'antica vita ultraterrena egiziana.

 GINECOLOGIA ED OSTETRICIA Gli egiziani avevano notevoli conoscenze ginecologiche, ed una scuola di levatrici a Sais formava le professioniste della nascita. Il papiro di Kahum (1850 a.C.) è particolarmente ricco di nozioni di ginecologia; tratta anche di materie diverse come veterinaria ed aritmetica; parla anche del cancro, una malattia ”che divora i tessuti”.

 La fertilità Nell’antico Egitto, il matrimonio era solo un contratto, senza obblighi religiosi o giuridici, il cui scopo principale era quello della procreazione. Il ruolo fondamentale della donna egiziana era quello di essere madre e di avere molti figli, per cui la fecondità era una delle sue principali aspirazioni. La donna sterile poteva essere ripudiata, perciò le giovani portavano per precauzione amuleti per favorire la fertilità. Nel Papiro Chester Beatty VI troviamo scritto il cosiddetto Insegnamento di Ani: “Sposa una donna quando sei giovane, ti darà tuo figlio. Possa ella partorire per te fintanto che sei giovane, poiché è saggio prolificare. il suo onore (dell’uomo) è proporzionale ai suoi figli”. Le donne si sposavano in giovane età: in genere dall’età di 13-14 anni fino ai 40 e potevano arrivare ad avere anche 8 figli. I maschi invece si sposavano a 15 anni. Una credenza che va smentita è quella che gli egizi erano soliti fare matrimoni tra fratello e sorella, questo avveniva solo raramente per ragioni dinastiche nelle famiglie reali. Nei papiri sono descritti alcuni metodi per diagnosticare la fertilità di una donna. Cito quello descritto nel papiro Kahun: “Farai in modo che uno spicchio d’aglio inumidito rimanga per tutta la notte, fino all’alba, nella sua vagina. Se l’odore dell’aglio raggiungerà la sua bocca essa sarà in grado di partorire, in caso contrario, non partorirà mai”. Nel papiro Calsberg vengono descritti alcuni metodi per diagnosticare se una donna era incinta o meno. Test della germinazione: si disponevano due sacchi, uno di grano e uno d'orzo, che venivano annaffiati quotidianamente con l'urina della donna in esame. Se né il grano né l'orzo davano segni di germinazione, la diagnosi di gravidanza era negativa. Se germinava il grano, era prevista la nascita di un maschio; se germinava l'orzo, era più probabile una femmina.

[48]


Tutto ciò può apparire sorprendente, ma questa antichissima prova biologica la scienza medica ha continuato ad utilizzarla per secoli fino al 1700 d.C. E sembra incredibile a dirsi, ma secondo il National Institutes of Health statunitense, in seguito a studi scientifici, ha confermato la validità del metodo, tanto che teoricamente potrebbe essere utilizzato anche al giorno d’oggi. Il test aveva un’accuratezza del 70%: il successo del test sarebbe da imputare agli alti livelli di estrogeni, che potevano stimolare con facilità la crescita dei semi. Un altro metodo era il seguente: la donna forniva la prima urina della giornata. In due contenitori distinti si racchiudevano delle rane immerse in acqua del Nilo. Si aggiungeva in uno dei due contenitori l’urina: se la donna era incinta, il giorno dopo le rane immerse in questo contenitore depositavano dei lunghi filamenti argentati di uova. Anche se naturalmente non si conosceva assolutamente nulla di genetica, era precisa convinzione che fosse il marito il responsabile del sesso del nascituro. Lo conferma il detto: "La moglie è un campo fertile per suo marito". Per favorire la fecondità era uso tra le donne avere numerosi amuleti.

Tra questi ricordiamo ad esempio la cosiddetta Danzatrice di Brooklyn (dal nome della città del Museo dove è conservata), del IV millennio a.C. Questa statuetta femminile (trovata nel sito di Naqada) presenta delle gambe appena abbozzate, i fianchi marcati, i seni in evidenza e la figura sottile.

Le donne che desideravano la gravidanza usavano amuleti

raffiguranti la rana, animale che si riteneva

favorisse la fertilità. La

dea-rana

Heqet

era

sovraintendevano al parto.

[49]

una

delle

divinità

che


Era anche uso indossare delle cinture appoggiate sui fianchi con motivi d’oro a forma di cauri, piccole conchiglie lisce e luminose di colore bianco o giallo pallido, che hanno una forma simile alla vulva.

In Africa è tuttora comune l’uso dei cauri come amuleti che proteggono le donne dalle malattie, dall’infertilità e dagli spiriti maligni.

Le donne egizie si rivolgevano naturalmente alle divinità, chiedendo il loro aiuto e protezione. Si invocava Hathor, dea di fertilità, affinché proteggesse il focolare e favorisse una numerosa progenie. La sua immagine decorava spesso la parte superiore delle porte di appartamenti. Hathor era anche la principale divinità della sessualità nell'antico Egitto, e i greci la identificarono con Afrodite non appena vennero in contatto con la religione egizia.

Nel Medio Regno furono scolpite colonne (chiamate colonne hathoriche), il cui capitello ha l'aspetto di un volto umano con orecchie bovine, sormontato da una parrucca rigonfia, terminante con due riccioli, tipica di Hathor. Il fusto può avere la forma di un sistro, strumento musicale sacro alla dea. Venivano anche utilizzati amuleti di turchese, gemma simbolo di speranza e rinascita e associata a Hathor

[50]


Per la fecondità venivano invocati anche Tueret (o Tueris), la dea raffigurata con le fattezze di una femmina d'ippopotamo gravida, e Khnum, il dio vasaio, che aveva il compito di formare e proteggere il feto.

[A sin: la dea ippopotamo Tueret; a dx: il dio Khnum mentre forgia un bambino, con accanto la dea rana Heqet]

Un’altra dea invocata dalle donne che desideravano la gravidanza

era la dea gatto Bastet; nelle

rappresentazioni artistiche, non è insolito trovare piccoli gatti posizionati sotto le sedie su cui si trovano delle donne, in riferimento alla fertilità e alla sessualità femminile.

Un amuleto di Bastet attorniata da gattini era frequente fra le donne che desideravano una gravidanza: tanti cuccioli quanti i figli si sperava di avere.

[51]


Ancora, era invocata la dea Uerethekau, la dea che personificava i poteri soprannaturali. Il suo nome compare su particolari coltelli in avorio utilizzati come amuleti dalle donne incinte e partorienti.

Le giovani donne attendevano con impazienza i primi sintomi che dessero speranza di maternità. La gravidanza era vissuta dalla donna con grande senso di responsabilità: ella si preparava seguendo una determinata alimentazione, e si ungeva il ventre con olii per mantenere la pelle elastica.

 Il parto Moltissimi papiri del Nuovo Regno parlano della durata della gravidanza e del parto nei minimi dettagli. Quando iniziava il travaglio, la gestante si recava in un edificio detto "Mammisi" (luogo della nascita) annesso al tempio, in una stanza preparata in modo meticoloso e pulita, in quanto il sangue

versato

considerato

durante

profano

e

il

parto

era

sinonimo

di

sporcizia.

[Rovine del Mammisi di File]

La partoriente veniva assistita da donne esperte della sua stessa famiglia e da un'ostetrica, donne che impersonavano le dee Nefti, Heket, Tueret, Hathor e Iside. Gli uomini erano invece esclusi dall’evento. Nelle immagini seguenti le dee che “presiedevano” al parto: da sinistra Iside (dea della fecondità e della maternità), Nefti (protettrice delle partorienti), Heqet (la dea rana, facilitava la nascita ed era la protettrice della nuova vita), Hathor (la dea giovenca, dalle orecchie bovine, dea della gioia, dell'amore, della maternità e della bellezza).

[52]


Le difficoltĂ al parto non erano infrequenti, anche a causa della conformazione del bacino, alto e stretto, delle donne egiziane e le piccole dimensioni delle pelvi. Per favorirlo era considerato utile medicare il ventre con sale marino, farro e giunco femmina. La donna egiziana partoriva nuda, con il busto diritto, accovacciata su di una sedia forata da travaglio, detta meskhen, formata da quattro mattoni rituali chiamati le “quattro dameâ€? che proteggevano la madre ed il bambino; l'ostetrica si inginocchiava davanti pronta a prendere il bambino; non erano presenti medici e non venivano usati strumenti chirurgici a parte un coltello di ossidiana per tagliare il cordone ombelicale. Purtroppo c'era un alto rischio di mortalitĂ e per questo il parto veniva accompagnato da formule magiche, riti, ed invocazioni agli dei affinchĂŠ attenuassero i dolori del travaglio e allontanassero possibili complicazioni.

[53]


Durante pregava

il

travaglio,

il

dio

la

gestante

vasaio

Khnum,

considerato responsabile di aprire le labbra della vagina durante il parto, e fornire il primo respiro al bambino.

Alla nascita era compito della dea Meskhenet dare al bambino il Ka, la parte più importante dell’anima. A Meskhenet erano collegati i mattoni su cui le donne egizie si accovacciavano durante il parto: spesso infatti la dea era rappresentata da un mattone con testa umana, mentre in altre raffigurazione appare come una donna recante sul capo un utero di bovina. Subito dopo la nascita veniva messo il nome al bambino: il primo nome veniva chiamato “il nome della madre” e veniva dato dal padre con le parole e le grida pronunciate dalla madre prima della nascita, si riteneva infatti che ella partorisse insieme il bambino e il nome. Un secondo nome di “uso comune” poteva essere dato in un secondo momento. Dopo il parto, la placenta veniva conservata, perché ritenuta capace di curare le malattie del neonato; per favorirne l’espulsione si doveva far sedere la donna sopra un tampone imbevuto di segatura di abete e feccia. La placenta veniva trattata con grande rispetto e impiegata in rimedi che servivano per cauterizzare le piaghe profonde. Una volta nato, il bambino era circondato da cure, attenzione e amuleti, anche in ragione dell’alta mortalità infantile. Esistevano ricette per verificare se il neonato sarebbe sopravvissuto, come quella contenuta in uno dei papiri del Ramesseum: “Una pallina della sua placenta, con […] verrà posta nel latte e gli verrà data in un vaso. Se vomita tale composto, significa che morirà. Se lo ingoierà, significa che vivrà”. Il primo mese di vita del neonato era particolarmente critico. I medici cercavano di limitare i rischi raccomandando un'alimentazione a base di latte materno.

 Il puerperio Dopo il parto le donne egiziane sostavano 14 giorni in speciali padiglioni per “purificarsi”, al termine dei quali una cerimonia presso il Mammisi poneva termine al puerperio. Quando madre e figlio tornavano a casa, era il dio Bes che li avrebbe protetti. Bes è forse la più strana delle divinità dell'antico Egitto: un nano rappresentato in prospettiva frontale, con la faccia smisurata di un mascherone dai tratti ibridi scimmiesco-leonini e le gambe torte tra cui

[54]


pende una lunga coda d'animale. Bes è l'unica divinità rappresentata esclusivamente in prospettiva frontale. Bes, contrariamente a quanto possa far supporre il suo aspetto, è una divinità benigna legata al mondo domestico e familiare, proteggeva la casa e i bambini dagli animali nocivi. Il naturale ambito di azione del dio Bes ne diffuse l'immagine su un'ampia serie di oggetti della vita quotidiana degli antichi egizi: dai poggiatesta, da cui vegliava sul sonno degli inermi dormienti, agli oggetti da toilette.

L’allattamento durava tre-quattro anni, e questo probabilmente provocava danni al seno come suppurazione, ragadi e mastite, quest’ultima curata con calamina (silicato di zinco), bile di toro, escrementi di mosca e ocra. [Iside allatta Horus] Per aumentare la montata lattea della madre esistevano due metodi: 1. si massaggiava la colonna vertebrale dorsale della donna con lische di pesce persico del Nilo macinate e cotte nell’olio e aceto; 2. si applicavano sul al seno materno degli amuleti a forma di seno o con le sembianze della Dea Iside o della Dea Hathor. Amuleti e formule magiche erano comuni anche per proteggere la crescita del bambino e l’allattamento. Questa è una delle formule più comuni: “Che ogni dio protegga il tuo nome Ogni luogo ove ti troverai Ogni latte che berrai Ogni seno dove sarai preso Ogni ginocchio dove sarai seduto (…) Che ti tenga in salvo per loro Che ti calmi per loro, ogni dio ed ogni dea.” Il latte di donna era considerato bevanda divina ed usato in molti rimedi, per calmare la tosse con il miele, per prevenire e curare disturbi agli occhi e cardiaci, o per i neonati l’incontinenza urinaria. Sono stati ritrovati dei contenitori dotati di una speciale protezione magica per il latte materno: erano in genere statuine porta-bevande a forma della dea Thueris, con la mammella bucata, dalla quale usciva “l’acqua della vita”.

[55]


 La contraccezione Nel papiro di Kahoun troviamo una serie di norme per la diagnosi e la terapia dei disturbi ginecologici, di malattie veneree e dell’impotenza, oltre a vere e proprie tecniche di contraccezione. Tali pratiche dimostrano come gli Egizi conoscessero l’apporto del liquido seminale alla funzione riproduttiva. A prova di queste conoscenze vi è il fatto che i cammellieri del Sahara introducevano un sasso nell’utero delle cammelle per evitare che restassero gravide e rallentassero la marcia della carovana durante le lunghe traversate desertiche. Per le donne i contraccettivi erano tamponi impregnati di escrementi di coccodrillo commisti ad una sostanza mucillaginosa (azione da ostacolo meccanico), oppure veniva utilizzato un composto fatto di “succo di acacia, coloquintide e datteri, il tutto amalgamato con il miele”, con il quale si impregnava un tampone che si poneva in vagina. La medicina moderna ci insegna che la gomma di acacia, fermentando, produce acido lattico il quale è dotato di potere spermicida. Era conosciuto anche l’uso del profilattico. È certo che gli egiziani siano stati i primi a utilizzare vesciche e intestini animali ben oleati durante i loro rapporti sessuali. Inoltre adoperavano guaine in tessuto, che tuttavia sembra avessero soltanto uno scopo decorativo. Altre patologie ginecologiche. Oltre che ai problemi della gravidanza e del parto nei papiri si trovano rimedi per altre patologie femminili come la dismenorrea, curata con un impacco di trito di cipolle, malto e segatura di pino, oppure con suffumigi di escrementi umani.

 LA SESSUALITA’ Per gli Egizi il sesso era l’atto più naturale del mondo. Era un popolo pragmatico, realista e amante della vita.

Il dio della fertilità, Min, era raffigurato sempre con il pene eretto (“itifallico”). Durante il Nuovo Regno (1550-1078 a.C.) lo si ingraziava a ogni incoronazione per garantire vigore fisico e un erede maschio al nuovo Faraone.

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Le donne dell’epoca erano emancipate, potevano gestire eredità e divorziare, avevano garanzie, diritti e un sereno rapporto con l’eros. L’adulterio era punito severamente. Per le donne, fornicare significava perdere tutti i diritti patrimoniali acquisiti con il matrimonio e severe pene corporali. Ma anche l’adulterio maschile era punito: la moglie tradita poteva chiedere il divorzio e ottenere un indennizzo dal marito infedele, il quale, secondo lo storico Diodoro Siculo, rischiava addirittura l’evirazione.

[Nella foto, statuette egizie contenenti peni mummificati (VII sec. a.C.)]

Alcuni documenti testimoniano la sessualità nell’antico Egitto.

Il Papiro di Ani, redatto dallo scriba omonimo durante la XVIII dinastia, è una versione del Libro dei Morti. Al capitolo XXI vi è una raffigurazione in cui si vede Iside inginocchiata davanti a un uomo mummificato e ritto in piedi. Secondo alcune interpretazioni, la dea sta praticando una fellatio per riportare in vita il defunto.

Un

documento

eccezionale

è

il

cosiddetto “Papiro erotico di Torino”, conservato nel Museo Egizio di Torino, anche se gravemente danneggiato (Ricostruzione eseguita nel 1800 sui disegni originali). Risale al XII secolo a. C. e contiene dodici amorosi

vignette

raffiguranti

eterosessuali

e

giochi scene

grottesche a sfondo sessuale, ad alto contenuto erotico.

[57]


Gli antichi

egizi credevano ad un’attività sessuale anche oltre la morte.

Trascorrere la vita in allegria con donne, danze e musica era considerato un bisogno talmente importante ed essenziale da non poter essere negato neanche ai morti. Per questo si depositavano nelle tombe addirittura “concubine del defunto”, figurine femminili di terracotta, e si fornivano le mummie maschili di un pene finto e quelle femminili di due seni posticci. [Nella foto, u a osiddetta

o u i a del defu to 2000 a. C. it ovata a Te e.]

Non esisteva nessun tabù verso la nudità: spesso, nell’antico Egitto, le donne erano nude o indossavano abiti trasparenti.

Unico, vero tabù, come risulta dal capitolo 125 del Libro dei morti, era l’omosessualità. Ma al riguardo vi erano cattivi esempi anche ai massimi livelli: il faraone Pepi II (VI dinastia) pare fosse molto sensibile al fascino maschile e avesse una tresca con il suo generale Sisene. Khnumhotep e Niankhkhnum [nella figura] sono considerati da molti come la prima coppia omosessuale maschile documentata nella storia. Condividevano entrambi il titolo di "supervisore dei manicuristi" nel palazzo di re Niuserra durante la V dinastia egizia, e sono definiti "confidenti del re" nella loro tomba comune. La tomba di Khnumhotep (nome che significa "Khnum è soddisfatto") e Niankhkhnum ("Khnum ha vita") è l'unica tomba in cui due uomini siano raffigurati abbracciati e mano nella mano; inoltre, i geroglifici dei loro due nomi sono combinati, dando luogo ad un gioco di parole che potrebbe essere un riferimento alla loro relazione. Infatti, la parola egizia Hnm non è utilizzata solo nel nome del dio Khnum,

[58]


ma è anche un verbo che significa "unire", e pertanto la frase formata dall'unione dei due nomi può essere tradotta "uniti nella vita e uniti nella pace”.

 Terapie per l’impotenza maschile Il Papiro Ebers (1550 a.C.), alla prescrizione 633, riporta la ricetta di un unguento da applicare localmente sul pene per rinvigorirlo: gli ingredienti sono giusquiamo, salice, ginepro, acacia, giuggiolo, mirra, ocra gialla e rossa. Una pozione per la virilità era costituita da polvere di corno di rinoceronte e di radice di mandragora, mescolata con latte di capra e miele. Un altro “viagra” contro l’impotenza era una miscela di infuso di zafferano con infuso di radice e foglie di panace.

La

lattuga selvatica (Lactuca serriola), era considerata

pianta afrodisiaca, sacra al dio Min, La sua festa annuale era una delle più antiche e si svolgeva nel primo mese della stagione estiva.

[A sin: effige del dio Min con due dei suoi attributi principali: itifallismo e piante di lattuga stilizzate sopra una specie di altare collocato dietro alla divinità.

Parete

posteriore

della

seconda corte del Ramesseo di Tebe. A dx: affresco dal tempio egiziano di Abu Simbel. Il faraone Ramesse II dona al dio Min alcune foglie di lattuga]

 OCULISTICA L’oftalmologia era una branca ben conosciuta, con medici specialisti in materia, i Sunu-irty. Tra le stele tombali rinvenute in seguito agli scavi del 1920 in Egitto ve n’è una appartenente ad un tale di nome PepiAnkh-Or-Iri definito oculista, mago, astrologo e medico del ventre, sapiente e capace di dominare gli scorpioni. Thot era venerato quale dio protettore degli oculisti.

[59]


Ci sono pervenute statue i cui volti presentano

alterazioni

patologiche

a

livello degli occhi, come ad esempio il glaucoma all’occhio sinistro presente nel celeberrimo busto di Nefertiti [nella foto]; in più, nelle stele, nelle iscrizioni e negli affreschi funerari, troviamo la descrizione di casi particolari di patologie oculari e anche la rappresentazione di alcuni interventi. Ci sono pervenuti immagini di interventi agli occhi, ma non ci sono documenti egizi che ci parlino di interventi chirurgici agli occhi come l’asportazione delle cataratte: sappiamo però che nell’antico Egitto al “medico” che “operava” gli occhi veniva data una buona ricompensa se l’esito era positivo, altrimenti gli venivano tagliate le mani. A conferma che la chirurgia oculare fosse regolarmente praticata, sono stati rinvenuti veri e propri ferri chirurgici in ferro battuto, astucci in avorio per custodirli, pinze per la rimozione delle ciglia e diversi flaconi porta colliri. Abbiamo già visto in precedenza le patologie infiammatorie a carico delle congiuntiviti. Tra le ricette pervenuteci: - Per curare lo strabismo veniva applicato un unguento composto da cervello di tartaruga - Per la cura della cecità, veniva iniettato nell’orecchio del malato un miscuglio di miele, minio e liquido oculare di maiale. Il paziente, per far si che le cure fossero più efficaci, doveva ripetere per due volte una formula magica: “Ho eseguito le istruzioni e applicato l'unguento: il coccodrillo è debole”. Si riteneva infatti che il coccodrillo fosse uno degli animali responsabili del fenomeno dell'eclissi solare, in quanto rubava l'occhio del sole. Nell’operazione di mummificazione il bulbo oculare veniva rimosso e al suo posto nella cavità orbitaria venivano collocati cotone, cipolla e occhi artificiali. Solo in tardo periodo si usò inserire dei bulbi oculari in pietra.

 ODONTOIATRIA

Numerose erano le patologie dentarie da cui erano affetti gli antichi Egizi, e lo dimostra il cattivo stato della dentatura di quasi tutte le mummie. L'usura dentale, gli ascessi dentari e la piorrea furono tra le patologie più comuni durante l'era faraonica: ciò era legato alla dieta degli Egizi che era a base di alimenti contaminati da numerose particelle inorganiche come l'arenaria utilizzata per la macina del grano o il quarzo, il feldispato e la silice di cui si compongono gli attrezzi da lavoro, ma anche la stessa sabbia del deserto trasportata dal vento.

[60]


La carie agli inizi costituì un problema marginale. I reperti mettono in evidenza il progressivo aumento della carie, da un 3% in epoca predinastica fino a un 20% nelle epoche più recenti. L’ascesa di questa patologia è probabilmente da imputare ai cambiamenti nella alimentazione. Nel predinastico l’assenza di zuccheri e cibi cotti ostacolava l’insorgere della carie; con la dinastia Tolemaica una dieta più raffinata e tecniche di lavorazione degli alimenti più evolute stravolgono la situazione: con l'introduzione infatti di carboidrati che fermentando producono acidi e quindi placca, la carie diviene prevalente nella lista delle patologie più comuni.

A destra la radiografia della dentatura del Faraone Ramses II. Lo stato dentario risulta pessimo: si nota la riduzione di alcuni denti allo stato di radici e la presenza di lesioni periapicali, l'assenza degli incisivi e di alcuni canini, l'assenza di premolari e molari.

Non ci sono notizie certe per quanto riguarda l’estrazione dei denti. Igiene orale. L’igiene orale non era molto curata, comunque si arrivò allo sviluppo delle prime forme di spazzolino (un bastoncino di legno dalle estremità frastagliate) e a ben due diverse documentate ricette di dentifricio. Una, un po' meno fresca, era base di materiali abrasivi come polvere di zoccoli di bue, ceneri, pietra pomice e guscio d'uovo bruciato. La seconda formula, trovata scritta su un papiro del IV secolo d.C. (quando l'Egitto era sotto l'occupazione romana) comprendeva sale, menta, grani di pepe triturati e fiore di iris essiccato. Dai papiri ricaviamo alcune ricette: - Per la carie era indicata l’applicazione di erbe aromatiche come il comino, l’incenso e il succo di cipolle. Anche la birra veniva utilizzata, in quanto per gli antichi Egizi rallentava l’evoluzione della carie. - Il bicarbonato per sbiancare i denti. - Per la cura delle gengive si utilizzavano paste dentifrice a base di polvere di piombo e miele con cui strofinare denti e gengive. - Le otturazioni: La mummia di un giovane di Tebe (2000 a. C.) il cui cranio, analizzato mediante tomografia computerizzata, ha restituito alla storia il primo caso noto di trattamento dentale: una otturazione con pezzo di lino imbevuto di olio di cedro e succo di fico all'interno di una grossa carie nel vano tentativo di alleviare le sofferenze del giovane, deceduto per le gravi patologie nella sua bocca. Tra le ricette pervenuteci nel Papiro Ebers, una indicava il materiale per le otturazioni dentarie: era un impasto di farina di farro, ocra, miele, resina di terebinto. I medici egiziani furono pionieri anche nel campo delle ricostruzioni dentali, realizzando ponti e inserzioni attraverso fili metallici (spesso di oro) o utilizzando i denti di alcuni donatori. Tuttavia resta ancora incerto se queste pratiche fossero realizzate nella vita di un paziente o soltanto dopo la sua morte: gli egizi, infatti, usavano reintegrare i denti ai defunti e unirli tra loro con fili.

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Il primo dentista della storia vissuto in Egitto durante il regno di Zoser si chiamava Hesyra, ed era un ufficiale, un medico e uno scriba. Visse durante la III dinastia, servì il faraone Netjerykhet, e fu sepolto in una ricca mastaba a Saqqara. In un pannello di legno ritrovato a Saqqara (raro esempio della precisa scrittura di geroglifici su legno) si può vedere la figura di Hesyra in piedi, con uno scettro sekhem posto orizzontalmente a lato della mano destra; il suo braccio sinistro e diritto in avanti, e tiene una verga in verticale; nella sua mano sinistra si trova anche il suo equipaggiamento da scriba. In questo pannello sono indicati i titoli di Hesyra che sono: Vecchio di ked-hegel, Padre di Min, Capo di Mekhit, Capo scriba del re, Conosciuto dal re, Il più grande tra dieci del Basso Egitto, Hesyra. In un altro pannello, Hesyra, provvisto di una dettagliata parrucca, è rappresentato assiso su di un sedile di fronte alla Tavola delle offerte sulla quale sono posati alti pani.

 OTORINOLARINGOIATRIA Secondo gli antichi Egizi il naso portava l’aria al cuore e da qui ai polmoni, e attraverso le orecchie il dio Horus dava la vita.

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Tra le malattie dell’orecchio, nei papiri, è menzionata l’otite, il rimedio consigliato è l’applicazione di una pomata a base di meliloto e ladano (resina di Cystus creticus). L’apparato uditivo poteva subire attacchi anche da parte di demoni, la soluzione consisteva in fumigazioni con sterco di gatto, coccodrillo, rondine e corno di daino. L’uso di ingredienti ripugnanti serviva a spaventare o disgustare il demone che così se ne sarebbe andato. Il papiro Smith propone la risoluzione di una frattura del setto nasale: “Tu gli pulirai il naso con due tamponi di lino; tu metterai due (altri) tamponi di lino bagnati d’olio all’interno delle narici. Tu lo porrai al suo palo d’ormeggio fino a che il suo gonfiore sia sparito. Gli applicherai dei rotoli rigidi di lino, grazie ai quali il naso sarà tenuto fermo. Tu lo curerai con poi con grasso, miele e tamponi vegetali, fino a che stia bene.”

 PATOLOGIE DI ORDINE INTERNISTICO L’obesità si nota nei ritratti e nelle statue, soprattutto della gente più ricca, ma nella mentalità egizia l’obesità rientrava probabilmente nella simbologia dell’opulenza e dello status sociale di alcune persone, piuttosto che nelle patologie mediche da curare.

A sinistra vediamo raffigurata in un rilievo del tempio di Hatshepsut, l’immagine della regina Ity, regina di Punt, dai fianchi… “generosi”.

 Legata al benessere e quindi alla dieta ricca di grassi anche nell’Antico Egitto, soprattutto nelle classi più abbienti, era comune l’arteriosclerosi, cioè l’ispessimento e la calcificazione dei vasi arteriosi con ripercussione sugli organi irrorati, una delle cause principali di infarti del miocardio o ictus cerebrali. In un papiro gli studiosi hanno trovato un riferimento ad attacchi di angina pectoris: “Se esamini un uomo per malattia del cuore ed egli si lamenta di dolore al braccio e al petto…” 52 salme custodite al Museo Egizio del Cairo sono state sottoposte a TAC da una équipe egittostatunitense. Le analisi hanno rivelato che almeno metà dei corpi avevano le arterie intasate per aterosclerosi.

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Questa è la mummia della principessa Ahmose Meryet Amon ("Figlia della Luna, amata da Amon"), vissuta circa 3.500 anni fa e morta attorno ai 40 anni. Ahmose presentava delle gravi ostruzioni in cinque arterie principali, tra cui quelle che portano sangue al cuore e al cervello. Se avesse condotto una vita più morigerata avrebbe sicuramente posticipato la sua mummificazione. Anche molti Faraoni (Ramses II, Ramses III, Amenofi III) soffrivano di queste alterazioni vascolari.

 Il papiro Ebers suggerisce che gli antichi egiziani erano a conoscenza di una malattia caratterizzata dal passaggio di molta urina: "Se tu esamini un uomo per una malattia nella pancia, il cui corpo si raggrinza sempre più come per incantesimo, ma non la trovi questa malattia, allora devi dire: è un decadimento interno. Contro questo devi preparargli dei rimedi. La sete svanisce e il decadimento interno è espulso". Questa malattia metabolica è il diabete. Per la cura del diabete nei papiri sono descritti 15 ricette, perlopiù infusi, i cui ingredienti in varia proporzione sono quelli abituali della medicina egizia: gomma, resine, tritello di grano, frutti e radici di varie piante (alcune non identificate), coloquintide, miele, bacche di ginepro, chicchi d'uva, terebinto, ocra, orzo, semi di lino, ematite, verderame, birra dolce, olio, grasso animale, urina della stessa persona, sale del basso Egitto. Queste sostanze venivano bollite, quindi esposte una notte alla rugiada e bevute per 1-4 giorni.

Tra le infezioni a carattere endemico abbiamo questi reperti:

1. La Tubercolosi. Il reperto qui a sinistra riguarda un caso di spondilite tubercolare (nella medicina moderna viene definita Morbo di Pott, una forma di tubercolosi extrapolmonare). E’ dovuta alla localizzazione dei micobatteri (il bacillo di Koch), responsabili della malattia, nelle vertebre.

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2. La Poliomielite. La poliomielite è una grave malattia infettiva virale (poliovirus) a carico del sistema nervoso centrale che colpisce soprattutto i neuroni motori del midollo spinale. Il virus invade il sistema nervoso nel giro di poche ore, distruggendo le cellule neurali colpite e causando una paralisi che può diventare, nei casi più gravi, totale. In generale, la poliomielite ha effetti più devastanti sui muscoli delle gambe che su quelli della braccia: le gambe perdono tono muscolare e diventano flaccide, una condizione nota come paralisi flaccida Nella stele a dx è raffigurato il sacerdote Rensi con l'arto inferiore atrofizzato ed una malformazione il piede equino, tanto che doveva usare il bastone per camminare. 3. Il Vaiolo. E’ una malattia di origine virale ad alta mortalità (30% dei casi). Il virus del vaiolo è stato a contatto con le popolazioni umane da migliaia di anni, ma, dopo le massicce campagne di vaccinazioni in epoca moderna, in natura attualmente non esiste più. Le epidemie di vaiolo hanno sempre generato terrore tra le popolazioni, non solo per l’elevata mortalità ma anche perché i sopravvissuti rimanevano sfigurati a vita, ricoperti di cicatrici. Il contagio avveniva per contatto diretto tra le persone oppure tramite i liquidi corporali infetti o gli oggetti personali contaminati come abiti o lenzuola. Un comune veicolo di contagio erano la saliva o le escrezioni nasofaringee delle persone malate che mettevano a rischio chiunque fosse vicino. La forma più comune di vaiolo è quella causata dal virus Variola major che si manifesta con febbri elevate e con la comparsa di pustole ulceranti su tutto il corpo, altamente contagiose. In assenza di complicanze letali, nel giro di 3 o 4 settimane dalla comparsa dei sintomi, la maggior parte delle pustole si secca e comincia a staccarsi dalla pelle, lasciando su di essa una cicatrice profonda, nota come butteratura. La fase di contagio cessa con la caduta di tutte le crosticine. Di vaiolo si ammalò il Faraone Ramses V: nella sua mummia è possibile vedere alcuni segni del rush cutaneo vaioloso, diventando così una delle prime vittime della malattia di cui ci sia giunta notizia. 4. La Peste sembra sia la sesta piaga d’Egitto menzionata nella Bibbia: “ il Signore disse a Mosè e ad Aronne: procuratevi una manciata di fuliggine di fornace; Mosè la getterà in aria sotto gli occhi del Faraone. Essa diventerà un pulviscolo diffuso su tutto il paese d’Egitto e produrrà, sugli uomini e sulle bestie, un’ulcera con pustole, in tutto il paese d’Egitto”. I medici egizi attribuirono la causa della peste al vento, agli asini, alle mosche, alle oche, che altro non è che una primitiva interpretazione della malattia trasmessa da insetti vettori.

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Molti secoli dopo questa osservazione si rivelerà essere quella giusta, essendo causata da un batterio, la Yiersinia pestis, trasmesso all'uomo dai ratti, dagli scoiattoli e dalle pulci. In caso di peste i medici egizi consigliavano di bruciare bacche di ginepro all’aria aperta; oppure tenere chiuso l’occhio sinistro per evitare che potessero entrare i germi; o avere la massima igiene della persona, soprattutto dell’ombelico, considerato il punto di entrata dei germi.

5. La presenza di Lebbra non è ben documentata, forse la mancanza di reperti potrebbe essere dovuta al rifiuto di imbalsamare i lebbrosi, perché impuri.  L’atteggiamento degli egiziani verso il Nanismo e verso comunque l’accettazione e l’integrazione delle persone con disabilità fisiche era positivo. Per alcuni i bambini nati malformati erano rispettati, in quanto toccati dalla grazia divina. Seneb fu un ufficiale di alto rango con titoli sociali, religiosi ed onorari e sposò una donna normale con la quale ebbe tre figli. Era un dignitario di corte al servizio dei Faraoni Cheope e Gedefra. Era molto ricco: migliaia di capi di bestiame e venti palazzi. Seneb è raffigurato con la moglie e i figli in una scultura dipinta dalla sua tomba, che lo mostra seduto a gambe incrociate su un blocco di pietra con la moglie che lo abbraccia ed i suoi figli in piedi sotto di lui,

dove

le

gambe

di

una

persona

normale

sarebbero

ordinariamente state. Seneb è ritratto realisticamente con i tratti del viso e degli arti accorciati di un individuo con acondroplasia, una forma comune di nanismo.

[66]


CAP. VI – LE TERAPIE

Le ricette che ci sono pervenute indicano ingredienti quasi sempre di origine vegetale (è sfruttata quasi tutta la flora egizia) e di rado animale e minerale; vi è poi un certo numero di ingredienti che fungono da veicoli (birra, vino, miele, grassi animali, midollo, argilla). Molti termini riguardo ai componenti non sono stati ancora interpretati, I composti erano spesso complessi e arrivavano a contenere fino a 37 sostanze. Tutti gli ingredienti appaiono quasi sempre adatti allo scopo terapeutico prefisso, e comunque scelti secondo un criterio di scienza naturale. Le formule magiche rivolte a una divinità guaritrice venivano inserite nella cura per dare maggiore fiducia al paziente e per le malattie attribuite a cause extra-fisiche. Molti rimedi comportavano almeno un ingrediente raro e costoso, spesso importato dall'estero (in particolare da Biblo), e questo ci dice che la psicologia dei malato dell'antico Egitto era la medesima di oggi. Quando i medici consegnavano i farmaci raccomandavano sempre ai malati riposo, una dieta adeguata e norme di igiene che li avrebbero aiutati a guarire e a mantenere lo stato di salute.

 Modalità di somministrazione

I farmaci venivano somministrati sotto varie forme: quelli per via interna venivano ingeriti sotto forma di sciroppi, infusi, pillole, bevande, pappe; i farmaci ad uso esterno erano unguenti o creme ricoperte con bendaggi e fasce.

[Contenitore per farmaci]

Alcuni prodotti venivano applicati direttamente come cataplasma sulla parte del corpo interessata: la carne ed il latte sulle ferite, il miele e l’urina sulle scottature. Si usavano anche inalazioni e suffumigi. Era diffuso l’uso di supposte e di clisteri.

L’uso dei clisteri sembra sia stato ispirato dall'ibis che introduce il lungo becco aguzzo nel proprio retto, irrigandolo a scopo di pulizia. L'enteroclisma veniva effettuato con l'aiuto di un corno di avorio, impiegando come lavanda l’acqua tiepida mista a bile di bue, olii o sostanze medicamentose.

[67]


I. TERAPIE FARMACOLOGICHE DI ORIGINE VEGETALE

 I lassativi Le malattie venivano considerate risultato di misteriose influenze esterne che penetravano nel corpo attraverso gli orifizi naturali corrompendo gli "umori". Compito del medico egiziano era quindi quello di evacuare

questi

umori

corrotti,

facendoli

uscire

attraverso le normali vie di escrezione. Una delle ricette più usate era una pozione costituita da succo di datteri freschi, foglie di ricino, latte di sicomoro (una pianta sacra alla dea Nefti, simile al fico moderno [vedi immagine]) Altri vegetali usati con effetto lassativo erano la senna, il cumino e la valeriana.

 Gli antidolorifici/ipnotici Nella farmacopea egiziana sono citati numerose sostanze di origine vegetale ad azione antidolorifica, ma anche ad azione psicoattiva, ovvero capace di modificare lo stato psico-fisico di un soggetto (attenzione, percezione, umore, coscienza, comportamento ecc.). - L’oppio (Shepen), derivato dal papavero da oppio, importato da Cipro. La lavorazione avveniva così: quando cadevano i petali, l’involucro dei semi veniva raschiato con delicatezza, e ne usciva del lattice bianco che veniva fatto seccare e quindi lavorato riducendolo in polvere. Una ricetta riporta la cura per calmare il pianto continuo del bambino sofferente: “Semi di shepen ed escrementi di mosca sul muro. Creare una massa omogenea di questo preparato, filtrarlo, poi assumerlo

per

quattro giorni di seguito.

Il pianto cesserà

completamente”. I medici egizi usavano anche il laudano, amalgama di oppio, vino o soluzione alcolica, e sostanze aromatizzate (cannella, chiodi di garofano).

- Anche la Cannabis sativa (cioè la marijuana), detta Shenshenet, era molto usata per le sue proprietà psicoattive: veniva somministrata soprattutto per via orale o per inalazione, talvolta anche per via rettale e vaginale. Le raffigurazioni dell'antica dea egizia Seshat presentano in primo piano una foglia di cannabis posizionata al di sopra della sua testa. Lo stelo alla base della foglia di cannabis a 7 dita è collegato alla testa di Seshat, simboleggiando il legame tra l'uso della cannabis e l'espansione della coscienza attraverso l'unione tra la ghiandola pineale e la foglia della marijuana per mezzo dello stelo.

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Seshat era conosciuta come la dea della saggezza, della conoscenza e della scrittura, ed altro ancora. Il faraone Tuthmose III (1479-1425 a.C.) si riferiva a questa divinità come "la signora delle sette punte". Inoltre, sui testi dei sarcofagi (una raccolta di formule funerarie dipinte sulle pareti dei sarcofagi fabbricati all'epoca del Medio Regno dell'antico Egitto) viene esplicitamente rivelato il suo potere psicoattivo. Secondo la formula numero 10: "Seshat vi aprirà le porte del paradiso".

[La dea Seshat]

Oltre alla sua azione allucinogena, altri geroglifici ci indicano altri impieghi della cannabis: rimedio per il glaucoma, uno degli ingredienti per la cura dei vermi, unguento lenitivo per il trattamento delle infiammazioni locali.

- L'elleboro era usato come vero e proprio anestetico, ma in maniera empirica e con dosaggi errati tanto che spesso il malato passava direttamente dalla narcosi alla morte.

- La mandragora (Mandragora officinarum) pianta sacra a Ra e Hathor, è caratterizzata da proprietà allucinogene. La radice ha una forma vagamente simile a quella umana, il che sin dall’antichità le ha procurato la fama di "pianta magica". Gli Egizi la utilizzavano come inducente il sonno, sia che venisse semplicemente posta la sua radice nella camera dove la persona dorme, sia che venisse mescolata al cibo, cotta nel vino. Un altro suo uso era quella di fungere sia da afrodisiaco, in senso di stimolante sessuale dopo l'ingestione, che da amuleto atto a portare buona sorte nelle faccende amorose. Era nota infine la sua capacità di "combattere" la sterilità: tanto è vero che addirittura anche nella Bibbia, allorché Rachele la prese, concepì Giuseppe da Giacobbe dopo 7 anni di matrimonio senza figli.

- Il giusquiamo, assai velenoso a dosi elevate, veniva ridotto in polvere e somministrato contro i dolori intestinali.

[69]


- Il fior di loto era considerato sacro per gli Egizi, un emblema di rinascita per la sua caratteristica di chiudere la propria corolla sprofondando nell'acqua la sera e di schiuderla riemergendo all'alba orientandola verso la luce del sole. Nella medicina, del loto veniva usato sia il fiore che la radice come sonnifero. Il fior di loto è legato al dio Nefertum, divinità della triade di Menfi, insieme ai genitori Ptah e Sekhmet. Era il dio dei profumi che aveva portato a Ra un fiore profumato per alleviarne le sofferenze, ma anche dio dell'immortalità in quanto il fior di loto emerso dal Caos iniziale rappresentava il simbolo della nascita e di rigenerazione. Nefertum è raffigurato con il fior di loto e due piume sopra la testa. - Simile al fior di loto, ma con i fiori di color azzurro è la ninfea azzurra (Nymphaea caerulea) una pianta che cresceva sul Nilo e che è ampiamente raffigurata nell’arte egizia. E’ una droga psicoattiva, ad attività narcotica, usata per fini per rituali, religiosi, spirituali, medicoterapeutici. Era usata anche con scopi afrodisiaci e come simbolo della sensualità: in questo contesto la ninfea è di frequente in associazione con la mandragora, avevano

in

una

quanto forte

entrambe

valenza

le

erotica:

piante più

precisamente le parti di queste piante che avevano tale proprietà erano i petali della ninfea azzurra e i frutti della mandragora.

[“ e a di ituale di u a. L’uo o a

alato è u

faraone (Semenkhara o Akhenaton), che è assistito dalla regina (Meritone o Nefertiti), che tiene in una mano due piante di

a d ago a e ell’altra un mazzo di

ninfee (Rilievo policromo del 1350 a.C. circa. Museo Egizio di Berlino)]

- Effetto sedativo contro il dolore delle emorroidi veniva dato dalle carrube essiccate e ridotte in polvere.

 Gli Antibiotici - Gli antichi Egizi facevano largo uso dell’aglio che, oltre ad essere un alimento, è anche una pianta medicinale.

[70]


E’ citato nel Codice Ebers, dove ne sono elencati ben ventidue impieghi terapeutici: antibiotico, diuretico, digestivo, antispastico, antitenia, ma anche come vegetale altamente energetico: lo storico greco Erodoto riferisce che ogni giorno agli schiavi che costruivano le piramidi venivano dati pane, uno spicchio di aglio, una cipolla e dei ravanelli per aumentarne il rendimento e la resistenza agli sforzi. Il ravanello contiene nel seme e nella radice una sostanza, la rafanina, dotata di potere antibiotico verso cocchi e coli, la cipolla l'allistatina e l'aglio l'allicina, sostanze attive contro numerosi agenti patogeni (dissenteria, febbre tifoide e colera). Bulbi di aglio furono trovati nella tomba di Tutankhamon. - E’ stupefacente leggere nei papiri che il pane ammuffito veniva prescritto in alcune formule per dare un’azione disinfettante. L’impiego di muffe per curare ferite infette anticipa di millenni la scoperta della penicillina da parte di Fleming.

 Altre sostanze - La maggiorana era una pianta sacra a Osiride. Veniva utilizzata come espettorante, o contro l’insonnia, per l’emicrania, la dismenorrea, per le forme reumatiche, per la diarrea. - La liquirizia è una sostanza aromatica estratta dalle radici della Glycyrrhiza glabra; ne sono stati trovati dei bastoncini nella tomba di Tutankhamon. Veniva prescritta per la cura delle tosse, per lenire i bruciori di stomaco, per curare le coliche renali e, come pomata, per medicare le ferite. - Il pepe nero era utilizzato per le sue molteplici azioni: sia in caso di costipazione che di diarrea, nel mal d'orecchio, nelle malattie di cuore, in caso di indigestione, punture d'insetto, insonnia, problemi epatici, ascessi orali. Una curiosità: Il naso del cadavere del Faraone Ramesse II venne riempito con piccoli grani di diametro pari a circa 3 mm, di origine vegetale (piper nigrum - una varietà di pepe), si suppone destinati a prevenire l'affondamento dei tessuti molli del naso dopo la mummificazione, ma non si esclude un’azione disinfettante.

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 La birra La birra (henqet) veniva largamente utilizzata nella farmacopea egiziana. Gli Egiziani facevano risalire l’invenzione della birra al dio Ra, il quale ne aveva fatto dono agli uomini. Vi erano tre tipi di birra: la zythum, birra chiara, la curmy di colorazione più scura, la sa, birra ad alta concentrazione, riservata all’esclusivo consumo del Faraone e per le cerimonie religiose. La birra veniva prodotta con un impasto di farina d’orzo o frumento, dolcificata con miele, datteri o spezie; quindi si impastavano dei pani, che venivano cotti solo in superficie, in quanto all’interno dovevano restare crudi così da fermentare in seguito. I pani semicotti venivano quindi immersi nel liquore di datteri e lasciati riposare; si filtrava infine il liquido ottenuto che veniva aromatizzato con il miele di datteri, la cannella, la salvia ed il rosmarino. Gli Egizi non usavano il luppolo né il caramello di zucchero, ma aggiungevano il miele per alzare la gradazione alcoolica, ottenendo lo schiadeh. Infine il liquido ottenuto veniva travasato e sigillato in vasi di terracotta chiusi. Tutto questo lavoro veniva svolto dalle donne, come testimoniano le numerose statuette che le raffigurano intente a macinare i chicchi o ad impastare. La birra veniva bevuta a tutte le età, anche dai bambini che venivano in tenera età abituati ad un moderato consumo della birra con un rito di iniziazione. La birra, oltre che come eccipiente di numerosi medicamenti, era usata come medicina nei disturbi intestinali, nelle infiammazioni e nelle ulcere delle gambe (l'azione disinfettante antibatterica era dovuta al lievito e al complesso vitaminico B in essa contenuto); per curare le ferite; veniva data alle puerpere per aumentare il latte; i lattanti venivano svezzati con una miscela a base di zythum,

acqua,

miele

d’orzo,

qualora

le

e

farina

madri

non

avessero avuto latte. Infine la birra era utilizzata anche nel processo di mummificazione: il corpo all’inizio di tale processo veniva lavato con la birra, evidente simbolo di purificazione per il carattere sacrale e per l’origine divina della bevanda. Protettrice

della

birra

era

la

dea

Hathor,

spesso

impersonata sotto forma della vacca Hanub, con l’emblema del disco solare fra le corna e con le mammelle che spargevano latte e birra.

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II. TERAPIE FARMACOLOGICHE DI ORIGINE ANIMALE E UMANA - Fegato, testicoli, cuore e cervello di alcuni animali erano utilizzati in varie preparazioni mediche. Si riteneva che ingerire carni di animali facesse assimilare al malato le proprietà positive tipiche dell'animale stesso. - Ecco alcuni esempi: suffumigi di escrementi umani per la dismenorrea; urina umana sulla pelle ustionata; urina di giovane vergine per le malattie dell’occhio; escrementi di mosche per il pianto dei bambini; bile di mucca, o di maiale, o di capra o di tartaruga per lenire i dolori agli occhi; topi cotti per calmare il pianto dei bambini per la prima dentizione. L’uso del topo usato come “farmaco” non era infrequente, come testimoniano ossa di roditore ritrovate nell’intestino di mummie di bambini. Ad esempio, una ricetta per calmare il dolore della prima dentizione: “Un topo cotto sia fatto mangiare sia al bambino che a sua madre. Le ossa del topo le vengono messe al collo in una stoffa di lino cui sono praticati sette nodi” (papiro di Berlino). - Un rimedio per la calvizie era il topo fritto nell’olio, con il quale poi si ungeva la testa calva. - Il papiro di Ebers indicava contro il dolore gastrico un decotto di latte, grasso d' oca e cumino.

III. TERAPIE FARMACOLOGICHE DI ORIGINE MINERALE Indossare monili o bracciali per gli antichi egizi non era solo un segno di ricchezza, ma anche di salute. Essi pensavano che anche i metalli, alcuni sacri alle divinità, potessero avere effetti positivi sul proprio benessere. Tra i minerali usati l’alabastro, l’ematite, la galena, i lapislazzuli, la malachite. Particolarmente usato il sale marino (natron) per le sue capacità antisettiche. - Il peridoto [a sin] potenziava la forza di ogni medicina se bevuta in calici scolpiti nella gemma.

IV. TERAPIE PRO AGE (ANTI-ETÀ) Nei papiri medici vi sono alcune ricette per combattere i mali dell’età. - Contro le rughe: impastare miele, natron rosso, sale marino, e ungere la pelle. - La capigliatura aveva un valore erotico-magico e veniva trattata con molta cura. L’imbiancamento dei capelli era contrastato ungendo la testa con placenta di gatta, o immergendo nell’olio di palma il sangue di un bue nero e con il composto ungere la testa. Una ricetta per la calvizie: “Una dose di grasso di leone; una dose di grasso di ippopotamo; una dose di grasso di coccodrillo; una dose di grasso di gatto; una dose di grasso di serpente; una dose di grasso di caprone. Amalgamare e ungere la testa calva”. Vi erano anche terapie di tipo magiche: per far perdere i capelli ad una rivale in amore si cuoceva una salamandra e una foglia di loto nel grasso.

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CAP. VII – MEDICINA E MAGIA

Tutte le fonti infatti evidenziano che, nonostante gli antichi egizi possedessero notevoli conoscenze scientifiche nel campo medico, l’arte medica era marcatamente influenzata da credenze religiose e pratiche magiche. Il Papiro di Ebers (1550 a.C.) affermava che la medicina ha effetto grazie alla magia così come la magia ha effetto grazie alla conoscenza medica. Il termine magia, che in occidente assume una valenza negativa, retaggio di secoli di demonizzazione fatta dal cristianesimo, nell’Antico Egitto era invece l’altra medaglia della religione e ad essa era strettamente legata e imprescindibile.

 DIVINITA’ E MAGIA Tre erano le principali divinità legate al mondo della magia e della salute ad essa connessa.

 La prima era Uret-hekau, la dea che personificava i poteri

soprannaturali: il suo nome significa "Grande nella magia" o "Grande Incantatrice". Divinità dalle caratteristiche protettive e rassicuranti, Uerethekau era sovente raffigurata su oggetti destinati ai corredi funerari, soprattutto su armi che permettessero al defunto di difendersi dai pericoli del mondo dei morti; il suo nome compare anche su particolari coltelli in avorio utilizzati come amuleti dalle donne incinte e partorienti.

[Rilievo di Uerethekau risalente al regno di Ramses II. Tempio di Luxor]

 La seconda divinità è il dio Heka, una delle prime e più importanti divinità dell’antico Egitto. Rappresenta la magia e la medicina. Nell’iconografia viene rappresentato in forma antropomorfa con delle braccia alzate sopra la testa.

Il geroglifico che rappresenta il suo nome è disegnato con un paio di braccia alzate, sormontate da una figura elicoidale che sembra raffigurare vagamente un paio di serpenti intrecciati. In alcuni papiri si racconta che

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Heka abbia combattuto e vinto due serpenti, e pertanto veniva spesso raffigurato come un uomo che strozza due serpenti intrecciati.

 La terza divinità era Sekmeth, venerata come dea della guerra, delle epidemie e delle guarigioni. Veniva rappresentata come leonessa o donna dalla testa di leonessa, vestita di rosso, colore del sangue. In quanto collegata al culto del sole, il suo capo era sempre sormontato dal disco solare il quale si fregiava dell'ureo; dal disco solare poteva sprigionare fiamme distruttive contro i suoi nemici. La ferocia, la violenza e l'ira distruttiva erano caratteristiche attribuite a questa temuta dea. Portava morte e distruzione all'umanità ma era anche la divinità protettrice dei medici, come citano i papiri medici Ebers ed Edwin Smith. I suoi sacerdoti, molto potenti, erano spesso chiamati, fra le altre, per la cura di patologie ossee, quali le fratture.

Fra i molti epiteti minacciosi e inquietanti della dea, quali Signora del terrore e Signora della strage, spiccava l'epiteto Signora della vita, riferimento al suo ruolo di dea delle guarigioni che ha il potere di porre fine anche alle grandi epidemie.



Nell'antico Egitto si credeva che le malattie fossero di origine sovrannaturale: erano gli dèi infuriati o i demoni maligni a causarle e perciò era necessario ricorrere anche alla magia per poterle curare. Tutto un mondo magico permeava la vita dell’uomo dell’antico Egitto: ogni suo atto e ogni sua parola potevano evocare interventi maligni che era necessario annullare con la recitazione delle formule della magia, amica benefica dell’essere umano, e con l’ausilio di amuleti che lo proteggevano con il loro potere miracoloso. Coloro che esercitavano la magia erano gli Hekau (maghi), che recitavano formule o facevano esorcismi, aiutandosi con amuleti magici. Non c’era una netta distinzione tra medici, maghi e sacerdoti, a volte le stesse persone ricoprivano più ruoli. La magia permetteva di comunicare con gli dei ed i defunti affinché questi potessero intervenire direttamente con la loro protezione nei processi di guarigione.

 GLI AMULETI Si conoscono più di 200 tipi di amuleti che riproducono immagini di dei, animali sacri e simboli divini.

[75]


 Simbolo magico per eccellenza era lo scarabeo, sacro simbolo di trasformazione e rinascita. Lo scarabeo era infatti collegato a Khepri, il dio del Sole nascente, che si supponeva creasse il Sole ogni giorno in modo analogo a quello con cui lo scarabeo crea la pallottola di sterco.

Lo scarabeo racchiude simboli solari (con le ali aperte è l'immagine del Sole nel suo duplice cammino, ascendente e discendente). Sulla mummia veniva messo uno scarabeo (generalmente di oro e argento per unire i simboli di sole-luna) all'altezza del cuore. Esso però non rappresenta il cuore fisico ma il cuore sottile, sede dell'intelligenza.

 L’Occhio di Horus (Udjat). E’ tra gli oggetti magici più comuni dell’antico Egitto: colui che lo indossava era difeso dalla malasorte. Era di solito d’oro ma anche di legno, ceramica, lapislazzuli (la pietra ritenuta più idonea), argento ed ematite. Poteva essere di due tipi, uno rivolto verso sinistra di colore nero che rappresentava la luna o Osiride e un altro rivolto verso destra di colore bianco che era associato al sole o Ra.

 Il pilastro Djed, rappresentazione stilizzata della colonna vertebrale di Osiride, indicava stabilità e fermezza. A dx del Djed vediamo l’Ankh (conosciuta anche come chiave della vita), che è un antico e sacro simbolo egizio che essenzialmente simboleggia la vita. Gli dèi sono spesso raffigurati con un ankh in mano, o portato al gomito, oppure sul petto. In funzione di geroglifico l'ankh, oltre che significare "vita", assume diverse sfumature, in base al contesto in cui è inserito, sebbene sempre con caratteri mistici e religiosi.

[76]


[In una raffigurazione parietale nel tempio di Abydos il faraone Sethi I è rappresentato in rilievo nell'atto di sollevare il pilastro Djed con l'aiuto della dea Iside]

 LE FORMULE MAGICHE Gli stessi medici, prima di iniziare a curare l'ammalato, accompagnavano i loro interventi con rituali e sacrifici, preghiere ed invocazioni, per ottenere un rimedio “più sicuro”. Nel papiro Ebers sono raccolte le orazioni da recitare prima di applicare un rimedio; per ogni organo o membro del corpo è riportata un'orazione diversa, altre orazioni venivano recitate quando si rimuoveva una fasciatura oppure si somministrava una medicina per bocca. Nel papiro Ebers si legge: “Efficace è il medicamento insieme con la magia, efficace e la magia insieme al medicamento”. Questa ad esempio una formula magica che il malato affetto da disturbi gastro-intestinali doveva recitare quando beveva la medicina: “Vieni, tu che estrai le cose maligne dal ventre e dalle membra. Colui che beve questa medicina sarà curato così come furono curati gli dei del cielo.”

[77]


CAP. VIII - STORIE (MEDICHE) DELL’ANTICO EGITTO  AKHENATON E NEFERTITI L’aspetto fisico del Faraone Akhenaton e della sua famiglia – così come raffigurato in statue e in rilievi - è oggetto di molte discussioni da parte degli egittologi su più aspetti.

 Sindrome di Marfan? E’ stata avanzata l’ipotesi che Akhenaton, la moglie Nefertiti e le loro figlie fossero affetti dalla Sindrome di Marfan, una malattia sistemica

ereditaria

del

tessuto

connettivo

caratterizzata

dall'associazione variabile di sintomi cardiovascolari, muscoloscheletrici, oculari e polmonari. La sindrome “regale” pare sia iniziata con il matrimonio di Amenhotep III, padre di Akhenaton, con una principessa Mitanni e si sia estinta, per estinzione della stirpe, con Tutankhamon e le figlie della coppia reale. Le alterazioni dello scheletro consistono nell’allungamento del cranio e del volto (dolicocefalia), corpo alto e arcuato, parte superiore del corpo corta rispetto a quella inferiore, costole e scapole

allungate;

bacino

largo;

cosce

grosse,

braccia

estremamente lunghe, dita lunghe (dita di ragno). Queste anomalie della configurazione ossea si manifestano in forma progressiva e le deformazioni diventano sempre più evidenti col crescere dell’età, così come sembra essere confermato dalle

immagini

progressiva

di

Akhenaton

trasformazione

del

e

dalla

suo

viso

durante i suoi 17 anni di regno. Non si conosce con certezza l’aspetto del cranio di Akhenaton, in quanto quasi sempre egli è rappresentato con una corona di forma stranamente allungata, ma questo fatto lascia ipotizzare

che

abbia

avuto

un

cranio

dolicocefalo o che abbia scelto queste corone per nascondere in qualche modo quello anch’esso dolicocefalo della moglie Nefertiti. E anche le forme dei crani di Nefertiti e delle loro giovanissime figlie sono simili a quelle dei genitori.

[78]


[La regina Nefertiti]

[Ricostruzione del capo (da adulta) di Merytaton, figlia di Akhenaton]

Ulteriori segni della malattia possono essere colti infine in due statue nelle quali i due sovrani sono rappresentati con un evidente difetto ad un occhio, quello sinistro nella bellissima testa di Nefertiti, e quello destro in una delle tante statue di Akhenaton, come se il realismo artistico del periodo abbia voluto immortalare la grave malattia agli occhi, glaucoma e/o cataratta, che quasi sicuramente colpì i sovrani.

 Akhenaton uomo o donna? L’aspetto fisico femmineo del faraone Akhenaton, ben documentato dalle sue molte statue (in un bassorilievo si vede un seno femminile nel profilo), ha suggerito ancora la possibilità che in realtà il faraone fosse una donna e che sia stata “trasformata”, per ragion di Stato, in un personaggio di sesso

[79]


maschile, travestimento favorito dalla giovane età del faraone al momento della sua nomina a coreggente (circa 12 anni). In tal caso la Sindrome di Marfan si sarebbe sovrapposta alle sue caratteristiche prettamente femminili e,

nell’ipotesi

di

ripetute

gravidanze,

alle

naturali

modificazioni del suo corpo. Questa

ipotesi

sembra

essere

avallata

dalla

particolarissima statua di Akhenaton, nella quale il sovrano è rappresentato completamente nudo e senza organi genitali

maschili,

ma

anche da varie altre statue e rappresentazioni nelle quali il sovrano è mostrato col seno particolarmente sviluppato e in atteggiamenti decisamente materni. Alcuni egittologi ritengono al riguardo che il sovrano abbia voluto rappresentare, col suo aspetto androgino, il fatto di essere padre e madre del suo popolo e, come dice il suo nome, Waenra, unico intermediario del dio Aton-Ra. La possibilità che Akhenaton fosse una donna giustificherebbe, almeno in parte, il suo aspetto fisico e i suoi atteggiamenti materni e renderebbe abbastanza comprensibile il livello paritario tra il re e la regina Nefertiti, la quale dovette godere di privilegi eccezionali, come se i due sovrani si siano divisi i compiti, dedicandosi Akhenaton per lo più alla religione e all’arte e Nefertiti alla vita pubblica e alla gestione amministrativa del regno.

 L’assassinio della coppia E’ molto probabile che entrambi i sovrani siano stati assassinati. Le mummie di Akhenaton e Nefertiti non sono state ancora individuate con certezza, ma è parere degli autori che esse siano rispettivamente le tanto discusse mummie contrassegnate dai numeri 61072

e

61070

trovate

nella

tomba

di

attribuita

a

Amenhotep II ad Ammara (KV 55). La

terza

mummia

è

stata

Smenkhkara, figlio o fratellastro di Akhenaton. Tutte e tre le mummie riportano delle deturpazioni al corpo da lesioni traumatiche: dagli esami è emerso che esse risalgono a prima della imbalsamazione, a riprova di un verosimile assassinio durante un colpo di Stato avvenuto durante il 17° anno di regno per cause politico/religiose (Akhenaton aveva introdotto il nuovo

[80]


culto monoteista adoratore del dio Aton, in conflitto con il potente clero tebano, che adorava il dio Amon).

  TUTANKHAMON Gli storici ritengono che il Faraone Smenkhkara abbia sposato da adolescente la seconda figlia di Akhenaton, Mekataton, e che dalla giovanissima principessa, morta durante il parto, sia nato il futuro faraone Tutankhamon. Secondo altri, era figlio di un incesto, nato, cioè, da una relazione tra il padre Akhenaton e la sorella. Nel 1300 a.C., all'epoca in cui visse il re, l'incesto era socialmente tollerato, perché non si conoscevano ancora le conseguenze di queste relazioni sulla salute dei nascituri. Tutankhamon è famoso non tanto per le sue imprese da Faraone (pressoché inesistenti vista la morte in giovane età), quanto per il ritrovamento della sua tomba intatta. Grazie

agli

accertamenti

eseguiti

mediante TAC, siamo in grado di avere numerose notizie cliniche del giovane faraone, morto ad appena 19 anni, forse poco dopo aver subito la frattura della gamba sinistra.

[Tac della mummia di Tutankhamon]

Dal complesso delle analisi strumentali e laboratoristiche eseguite è emerso che vi è una fragilità fisica di fondo per un sistema immunitario compromesso dall’incesto dei genitori.

L’esame del cranio rivela una abnorme allungamento posteriore (dolicocefalia), che confermerebbe la sua discendenza da Akhenaton. Inoltre: i denti sono sporgenti da cavallo; vi è un probabile difetto congenito del palato; le vertebre cervicali sono deformate, tali da far supporre che avesse grosse difficoltà a muovere il collo.

[81]


[Il volto della mummia di Tutankhamon e la ricostruzione del volto in 3D]

[82]


I

fianchi erano larghi e disallineati, quasi

femminili; il piede sinistro era equino con due metatarsi malformati e un dito mancante, il che lo obbligava a un'andatura zoppicante. Si sa che però guidava i carri da caccia.

A

riprova

della

sua

difficoltĂ

deambulatoria vi è il riscontro del ritrovamento nella sua tomba di ben 130 bastoni da passeggio integri o parziali, alcuni dei quali mostrano chiare tracce di usura.

[83]


Qui a destra la raffigurazione di Tutankamon, con un bastone su cui appoggiarsi, e di Akhesenamon, che dona al giovane faraone dei fior di loto e delle ninfee (piante che hanno azione farmacologica di tipo antalgico ed antiinfiammatorio).

 La Malaria Nel corpo di Tutankhamon è stata rilevata la presenza del parassita della malaria Plasmodium falciparum,

che

conferma che il giovane Faraone era affetto da malaria, anzi, che avesse contratto più volte la forma più grave di questa malattia, come suffragato anche dalla presenza nella tomba di piante con proprietà analgesiche e antipiretiche. Molti studiosi pensano che la morte di Tutankhamon sia avvenuta per complicazioni di un attacco di malaria cerebrale, in un fisico di per sé già compromesso.

 RAMESSES II

 Ramesses (o Ramses) II è stato il più grande di tutti i sovrani della storia dell’antico Egitto. Il suo regno fu lunghissimo, ben sessantasette anni, collocabili presumibilmente fra il 1279 e il 1212 a.C. Come molti altri Faraoni del Nuovo Regno, Ramesses II venne sepolto nella Valle dei Re, sulla riva occidentale del Nilo, di fronte all’antica città di Tebe. In seguito a continue profanazioni, il Sommo sacerdote decise di farla spostare: venne nascosta a Deir el-Bahari, dove rimase fino alla sua scoperta nel 1881 e trasportata al Museo del Cairo. Nel 1974 ci si accorse che la mummia si stava deteriorando ad un ritmo allarmante: venne quindi trasferita a Parigi in speciali laboratori perché potesse essere esaminata e venisse trovato un rimedio.

Di quel viaggio del 1974, le cronache del tempo raccontarono

che la mummia fu accolta all’aeroporto

militare di Parigi con tutti gli onori riservati ad un Capo di Stato con tanto di inno nazionale egiziano, parata militare e picchetto d’onore. Una curiosità. Per la legge francese ogni individuo che entra nel Paese, vivo o morto, deve possedere un documento di riconoscimento: venne così creato uno speciale passaporto per la mummia di Ramesses II, dove,

[84]


oltre la foto, venne indicato il suo nome, la sua data di nascita (1303 a.C.), la sua nazionalità egiziana, la sua professione (Re deceduto). La validità del documento era di 7 anni. La mummia rimase in Francia 7 mesi sotto la cura di ben 110 esperti che scoprirono che il deterioramento era dovuto ad un fungo identificato come Daedalea biennis fries che venne eliminato sottoponendo la mummia ad irradiazione con raggi gamma prodotti dal Cobalto-60. Con l’occasione il corpo fu anche sottoposto a nuovi studi, come radiografie, endoscopie, xerografie e cromodensitografie, i cui risultati permisero di conoscere lo stato di salute di Ramesses II negli ultimi anni di vita e non solo. Gli studi sulla mummia evidenziarono che Ramesses II era alto 185 cm (un’altezza considerevole per quei tempi), aveva l’incarnato leggermente olivastro, i capelli castani con ciocche rosse probabilmente tinte di henné, e che morì tra gli 85 e i 90 anni per il collasso di una generale situazione degenerativa dovuta a diverse infezioni.

Si identificarono alcune sue patologie: il Faraone aveva denti cariati e una forte parodontite (vedi foto a pag. 61) e forse fu proprio un’infezione provocata da un ascesso ai denti che gli fu fatale. La sua colonna vertebrale era afflitta da artrite reumatica anchilosante che, oltre ad immobilizzargli collo e mento, gli faceva assumere una postura ripiegata sul petto e lo costringeva ad un’andatura zoppicante tale da rendergli necessario l’uso del bastone. La quinta e la sesta vertebra cervicale risultarono fratturate, incidente che dovrebbe essere occorso in sede di imbalsamazione proprio nel forzare il movimento del collo durante le operazioni necessarie per rimuovere il cervello dalla scatola cranica. E’ stata riscontrata anche una forma avanzata di arteriosclerosi. Infine, dagli esami sulla sua mummia sono emersi gravi quadri di artrosi ai piedi (a dx la Rx).

[85]


Terminati i trattamenti in Francia, Ramesse II fu di nuovo avvolto nelle bende e il 10 maggio del 1977 ritornò nella sua terra dove finalmente trovò l’eterno riposo nella Sala delle Mummie al primo piano del Museo Egizio del Cairo.



 LA VOCE DEL SACERDOTE NESYAMUN La mummia di Nesyamun, sacerdote del tempio di Karnak a Tebe, si trova al Leeds City Museum, ed è una delle meglio conservate nel Regno Unito. Risale a circa 3000 anni fa: si pensa che a uccidere Nesyamun possa essere stata la puntura di un insetto avvenuta sulla lingua - che la mummia esibiva fuori dalla bocca - che suscitò una reazione allergica dagli esiti fatali. Nel 2016 David Howard, ricercatore esperto in linguistica e fonetica, la sottopose a TAC, che rivelò un apparato vocale praticamente intatto. Grazie alla maestria degli imbalsamatori, Nesyamun conservava gran parte degli organi che usiamo per parlare.

Attraverso un paziente lavoro di ricostruzione dell’apparato vocale con l'aiuto di stampanti 3D, e con l’uso di un sintetizzatore è stato possibile generare un suono simile alla voce del sacerdote: il suono però si limita a un breve lamento vocalico. L'assenza infatti del palato molle rende difficile produrre suoni più articolati di una singola vocale.

[86]


 IL SUICIDIO DI CLEOPATRA



Il suicidio di Cleopatra, ultima regina d’Egitto, è un evento storicamente accertato, avvenuto nel 30 a.C. Fatta prigioniera da Ottaviano, che aveva sconfitto Marco Antonio ad Anzio, Cleopatra, per non lasciare la gloria al suo nemico e non dover subire l’umiliazione di essere il trofeo di guerra, riuscì a suicidarsi nonostante la ferrea sorveglianza. Secondo Plutarco, Cleopatra, trentanovenne, si sarebbe data la morte lasciandosi mordere da un aspide, un serpente altamente velenoso che le sarebbe stato recapitato, nascosto in una cesta di fichi, mentre era prigioniera. Quando venne scoperta dai suoi carcerieri, Cleopatra giaceva nel letto con abiti regali, una delle due donne era già morta a terra e l’altra fece appena in tempo a posare la corona in capo alla padrona prima di irrigidirsi, cadere a terra e spirare.

[Achille Glisenti : La

o te di Cleopat a , 1879]

Ma su questa versione gli storici nutrono delle perplessità. Il primo dubbio nasce dal fatto che la specie di cui parla Plutarco, la viper aspis, non è autoctona dell’Egitto, dove è invece più facile imbattersi nella vipera lebentina. L’ipotesi più accreditata è che si trattasse della vipera echide carenato (Echis carinatus), velenosissimo esemplare abitante del deserto [nella foto]. La vipera echide carenato vive in alcune regioni del Medio Oriente e dell’Asia Centrale. Il veleno prodotto dai singoli esemplari varia in modo considerevole, così come varia la quantità iniettata per morso. Il tasso di mortalità a causa del loro morso è circa del 20%, la morte sopraggiunge dopo una lunga e dolorosa agonia.

[87]


Clinicamente nell’arco di pochi minuti dal morso, compare un gonfiore localizzato e si avverte dolore che in seguito si diffonde. Subito dopo appaiono emorragia e problemi di coagulazione, che possono portare allo shock ipovolemico. I sintomi più pericolosi dell’avvelenamento sono i problemi di coagulazione e le emorragie interne, che possono portare a insufficienza renale acuta. Quasi tutti i pazienti sviluppano una riduzione o la scomparsa di secrezione urinaria in un intervallo di tempo che va da poche ore a 6 giorni dopo il morso. Per sopravvivere, è necessario ricevere l’antidoto e sottoporsi a idratazione via endovena entro poche ore dal morso. Il veleno di questa specie, che possiede forti effetti anti-coagulanti, è utilizzato nella farmacopea moderna per produrre diversi farmaci. Secondo la ricercatrice inglese Joyce Tyldesley, Cleopatra non morì per il morso di serpente, ma si fece inoculare, forse mediante un coltello, il veleno estratto dal serpente, Un’altra ipotesi suggerisce che Cleopatra si sarebbe suicidata pungendosi con uno spillone intinto in un veleno aspecifico nascosto in un gioiello. Altri studiosi sostengono che Cleopatra si sia data la morte per mezzo di una pozione di droghe, tra cui l’oppio, sostanza della quale la regina faceva abitualmente uso. Questo metodo le avrebbe dato un’agonia più breve e meno traumatica rispetto a quella provocata dal veleno del serpente. Ma lo stesso Plutarco afferma che “la verità nessuno la saprà mai”, perché ogni versione del suicidio di Cleopatra è plausibile ma nessuna è certa.

[Ricostruzione computerizzata del volto di Cleopatra]

Gli archeologi ipotizzano che le spoglie della faraona giacerebbero a Taposiris Magna, un sito funerario a circa 30 chilometri da Alessandria d'Egitto, e che Cleopatra e Marco Antonio siano stati sepolti insieme in un’unica tomba.



[88]


 LA MUMMIA PIÙ GIOVANE MAI RITROVATA Un mini-sarcofago in legno di cedro, lungo 44 cm e databile al 600 a.C. - conservato al Fitzwilliam Museum di Cambridge (Gran Bretagna) dal 1907, dopo essere stato rinvenuto a Giza, in Egitto, lo stesso anno - contiene i resti del più giovane corpo dell'Antico Egitto consegnato all'aldilà: un feto di 18 settimane, sepolto con tutti gli onori dopo essere stato abortito. Gli archeologi in un primo tempo pensavano che la bara conservasse

gli organi di un

individuo adulto, secondo un'usanza diffusa ai tempi dei Faraoni.

[Il fagotto di bende e resina all'interno del sarcofago. A dx la radiografia] Al suo interno si nascondeva un piccolo fagotto scuro, che finora si pensava custodisse organi interni rimossi e preservati da un corpo durante il processo di imbalsamazione. Le tradizionali radiografie dell'involto non hanno rivelato granché, ma una microtomografia ai raggi X del pacchetto ha svelato il mistero. Avvolto da bende sigillate con la resina giace il corpicino di un feto dal genere non riconoscibile, con il contenuto del cranio collassato ma gli arti e le dita ben riconoscibili. Le braccia sono incrociate sopra al petto, un segno di attenzione che, insieme alla cura nelle decorazioni della bara, testimonia il rispetto per un lutto precoce. Non si notano vistose anomalie che possano aver portato all'interruzione di gravidanza. La scoperta dimostra la considerazione che nell'Antico Egitto si aveva per i bambini mai nati. Non è la prima mummia di feto rinvenuta, ma è la più giovane: anche nella tomba di Tutankhamon sono stati trovati due piccoli sarcofagi antropomorfi, dipinti in resina nera con bande dorate, contenenti le mummie di due piccoli feti, verosimilmente di sesso femminile, di 25 e 37 settimane di gestazione, I piccoli corpi erano lunghi rispettivamente 39,5 cm e poco meno di 30 cm.

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CAP IX - LA MUMMIFICAZIONE  IL MITO DI ISIDE E OSIRIDE Iside e Osiride nacquero da Ra che li generò come fratelli assieme a Seth, dio della guerra, e Nefti, dea dell’oltretomba. Iside è spesso raffigurata in forma di donna, talvolta alata. Osiride, invece, è rappresentato come un re mummificato e con la pelle di colore verde. La loro iconografia è profondamente legata al loro mito, una storia molto antica che si diffuse ampiamente in tutto l’Egitto.

Secondo il mito, Iside, sin da quando erano insieme nel ventre materno amava Osiride; i due, dopo la nascita privarono Ra del dominio sul cosmo e regnarono sull’Egitto, apportando agli uomini la conoscenza dell'agricoltura e delle pratiche religiose. Un giorno Osiride, ubriaco, ingravidò Nefti che era diventata la sposa di Seth; questi, saputolo, decise di uccidere il fratello. Assieme a sessantadue congiurati, costruì un sarcofago riccamente decorato in oro, argento e lapislazzuli e, durante una festa, proclamò che l'avrebbe regalato a chiunque fosse riuscito ad entrarci perfettamente. Mentre Osiride, incoraggiato da Seth, tentava di entrarvi, il fratello lo chiuse dentro e gettò il sarcofago nel Nilo, uccidendo il malcapitato all'interno. Iside, disperata per la morte del compagno, cominciò a cercarne il corpo. Dopo numerose peripezie riuscì a trovarlo nella reggia del re di Biblo e nasconderlo. Tentando di rianimarlo, la dea rimase fecondata e diede alla luce il dio Horo, allevato in gran segreto. Il corpo di Osiride fu sfortunatamente ritrovato da Seth che, furioso, lo fece a pezzi e ne sparse le parti in modo che non potessero più essere ricomposte. Ma Iside non si arrese: assieme alla sorella Nefti ricompose il cadavere e lo mummificò affinché potesse rinascere. In questo modo Osiride divenne re dell’oltretomba e vi regnò assieme ad Iside per l’eternità.

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Toccò al figlio della coppia vendicare l’uccisione del dio dei morti. Horo si scontrò violentemente con lo zio Seth e lo vinse. In quanto legittimo erede e trionfatore sul caos, egli divenne primo faraone.

La leggenda di Osiride morto e poi resuscitato ed anche la quotidiana vicenda del dio-sole che al tramonto è sopraffatto dalle tenebre ma il giorno dopo risorge trionfante rappresentavano per gli egizi la garanzia della fede nella sopravvivenza dell'anima dopo la morte.

 IL CONCETTO DELLA MORTE Nei tempi più antichi, una vera vita oltre la morte era considerata privilegio del Faraone e i sudditi speravano che l'immortalità del sovrano si riflettesse in qualche modo su di loro. Più tardi, alla fine dell'Antico Regno, la sopravvivenza diventò un diritto di tutti coloro che potevano disporre di una tomba e permettersi i riti funebri. La morte come fine di tutto non esiste nel pensiero dell'antico Egitto: poiché il mondo era stato creato dalla forza vitale dell'universo, lo spirito eterno, l’uomo doveva tornare all'ordine e all'armonia (Maat) quando il suo percorso terreno giungeva al termine. In effetti gli egizi non accettarono mai la morte né come scomparsa dell'Essere né come una seconda vita del tutto relegata in un altro mondo, lontana dalla vita terrena. Gli stessi riti funerari sono riti di risveglio alla vita celeste e non momenti di disperazione: l'anima continua a vivere nei pressi del corpo mortale, si riposa presso di lui, si nutre delle offerte portate dai vivi, perché il corpo divino del defunto continua a vivere in perenne comunicazione tra questo e l'altro mondo.

 LE NOVE PARTI DELL’ANIMA Secondo la religione dell’Antico Egitto, l’anima è suddivisa in 9 parti: 1. Ba. E’ la parte divina, totalmente spirituale, riconducibile alla personalità dell’anima di una persona. Poteva moltiplicarsi in relazione alla potenza del suo detentore. E’ l’essenza soggetta alla permanenza nei mondi spirituali. Il Ba usciva dal corpo del defunto e vi ritornava a mummificazione avvenuta.

[91]


2. Akh. E’ l’eterna energia cosmica. Spesso è raffigurato come un ibis piumato, e vola via dal corpo dopo la morte di un essere, salendo verso il cielo brillando come una stella.

3. Ka. Indica la forza vitale di ciascun individuo. Costituisce il temperamento e l’insieme delle qualità. Cresce con l’uomo e non lo abbandona mai, per questo, dopo la morte deve essere pregata e ricordata dai cari del defunto. Il Ka conduce nella vita terrena un’esistenza indipendente, è impalpabile e può superare ogni ostacolo fisico.

4. Jb. E’ il cuore, sede di tutte le emozioni. Si credeva che si formasse da una goccia di sangue dal cuore della madre del bambino, presa dalla concezione. Era molto importante perché conteneva i sentimenti e le intenzioni, e perciò dopo la morte veniva pesato dal dio Anubi e, se fosse stato più pesante di una piuma di maat, che rappresenta l’ordine e la verità, sarebbe stato dato in pasto a un mostro. Il cuore era pertanto la chiave dell’aldilà: senza di esso, la vita dopo la morte era impossibile, perciò era l’unico organo che durante l’imbalsamazione veniva lasciato al suo posto, mentre tutti gli altri venivano asportati e posizionati nei vasi canopi. [Amuleto in corniola, raffigurante il cuore]

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5. Ren. E’ il nome proprio dell’uomo, il quale, ricevendolo, acquista una sua ben determinata identità al suo destino. Gli egiziani credevano che la persona che riceveva il Ren dato alla loro nascita, sarebbero vissuti fino a quando questo nome fosse stato pronunciato. 6. Sekhem. E’ l'energia, la forza, la potenza e la luce di una persona defunta. Il Sekhem è l'insieme di tutte le energie che nascono dall'esistenza in unione delle parti spirituali e fisiche di un essere vivente. Il Sekhem, secondo alcuni perisce insieme al corpo fisico, per altri, dopo la morte, vive in eterno rimanendo unito al Ba. 7. L'Hekau è l'energia espressa con il "potere della magia". Gli uomini, giacché possiedono questa energia vitale che permette la loro esistenza, hanno la possibilità, per mezzo di questa, di dialogare e perfino di influire sul mondo divino. 8. Sekhu o Khat. E’ il corpo fisico di un essere, che prima o poi perisce e si decompone. 9. Sheut o Shujet (l’Ombra) è sempre presente in ogni persona. Gli antichi egiziani credevano che l’ombra riassumesse ciò che una persona rappresenta. Di colore nero, è una parte dell'anima molto simile al Ka, e per molti aspetti l'opposto di quest'ultimo. Mentre il Ka tenderebbe a conservare gli aspetti positivi dell'esistenza terrena, lo Sheut sarebbe invece l'emanazione formatasi dalla presenza di aspetti negativi. Generalmente l'ombra veniva considerata il doppio immateriale di ogni forma: essa costituiva il collegamento tra il corpo e gli elementi incorporei dell'individuo.

 L’IMBALSAMAZIONE L’egiziano antico credeva che la vita continuasse nell’aldilà, ma questo poteva avvenire solo se il corpo del morto non andasse in putrefazione e rimanesse intatto. Per rinascere nell’aldilà dove la gioventù era eterna, occorreva che la forza vitale e la forza spirituale si ricongiungessero al corpo; attraverso la conservazione delle spoglie mortali l'anima restava assieme al cadavere e il morto poteva entrare nel “regno dei beati”, il regno di Osiride, conducendo per l'eternità una vita di piaceri e di felicità. Ecco allora che vennero inventate tecniche raffinate di imbalsamazione e di conservazione dei cadaveri; il morto era posto nella sua tomba e circondato da oggetti che gli furono cari nella vita, oltre che da cibo per poter affrontare il viaggio nell'aldilà. In molte tombe sono state ritrovate navicelle in legno, simbolo del viaggio che deve essere intrapreso dopo la morte.

 Le antiche sepolture Nei

cimiteri

dell'epoca

predinastica,

costituiti da fosse poco profonde dove i defunti venivano deposti in posizione fetale, il

clima

molto

caldo

e

secco

faceva

[93]


essiccare naturalmente i corpi, molti dei quali, sepolti migliaia di anni fa, si sono conservati molto bene nella sabbia. Quando i corpi cominciarono ad essere deposti in tombe con coperture artificiali, inizialmente venivano avvolti in bende di lino e ricoperti di gesso compresso e levigato perché prendesse la forma del corpo sottostante; quando il gesso era asciutto, il guscio esterno veniva dipinto (spesso di verde, colore della rinascita) e al viso erano dati i lineamenti del defunto.

 Il rito della imbalsamazione Durante il Medio Regno la tecnica di mummificazione si affinò per raggiungere i suoi risultati definitivi nel Nuovo Regno. Sul procedimento di mummificazione abbiamo un’attendibile descrizione scritta da Erodoto. Quando un egizio moriva, iniziava una complessa ritualità funebre che doveva segnare al defunto la strada verso la luce per rivivere nell’aldilà. Dopo un breve periodo di lutto, la salma veniva portata nella “Casa della morte”, nei primi tempi una semplice tenda all'aperto, in seguito una costruzione di mattoni crudi, dove rimaneva per gli oltre 3 mesi previsti per la imbalsamazione. Il luogo in cui veniva celebrato il rituale di preparazione della mummia doveva trovarsi al di fuori della città. Gli imbalsamatori non erano chirurghi di professione, ma erano i sacerdoti di Ut, che avevano l’incarico di prendersi cura del defunto e di procedere al processo di imbalsamazione. Il loro lavoro, organizzato gerarchicamente, prevedeva che ognuno di essi eseguisse una parte specifica del rituale.

Anubi (durante le cerimonie era rappresentato da un sacerdote) era il direttore dei misteri e mummificatore e protagonista delle cerimonie. Come primo passo, il morto veniva deterso e purificato con acqua salata, simbolo del Nun, oceano rigeneratore primigenio; ai suoi piedi venivano poste due Ankh, le croci ansate simbolo di vita e di resurrezione.

[94]


Erodoto descrive tre diversi sistemi di mummificazione, che avevano prezzi diversi. 1. Il più economico serviva per imbalsamare i poveri; si limitava la mummificazione alla immersione del corpo in un bagno bollente di acqua e natron (composto essenzialmente di cloruro di sodio con un’alta percentuale, 17%, di bicarbonato di sodio), un sale naturale che si trovava in abbondanza nel letto di un lago prosciugato nel Delta occidentale. Quindi, dopo essiccazione con aria calda ventilata, avveniva l’avvolgimento in stuoie di juta. Il corpo del defunto veniva poi denudato e seppellito nella sabbia infuocata del deserto. Passato un periodo di novanta giorni, il corpo era integralmente essiccato, non più soggetto alla decomposizione; veniva riesumato, ripulito e strettamente fasciato con bende di fibra vegetale, con le ginocchia ripiegate a forza sullo sterno. Infine il corpo veniva riconsegnato ai familiari, lo si collocava entro un rudimentale cassone di legno e lo si interrava. 2. Il secondo metodo, mediamente costoso, consisteva nell’iniettare siringhe di olio di cedro asiatico che si introducevano attraverso l’orifizio anale (evitandone il reflusso) finché

si riempiva il ventre del

cadavere. Poi si metteva il corpo nel natron per 40 giorni. Trascorso tale periodo, mediante compressione sull’addome, si estraevano le visceri, liquefatte per reazione chimica dell’olio che era così forte da portare via con sé tutte le interiora e gli intestini macerati, cosicché alla fine non rimanevano che la pelle e le ossa. Alla fine, dopo un lavaggio, si avvolgeva il corpo nelle bende e lo si riconsegnava ai parenti senza ulteriori lavorazioni. 3. Il terzo metodo era il più costoso ed elaborato ed era riservato ai Faraoni e ai ricchi dignitari. La tecnica di imbalsamazione era molto complessa. Iniziava con la rimozione dal corpo degli organi interni, la cui presenza avrebbe potuto accelerare il processo di putrefazione. Dopo aver depilato il cadavere, per prima cosa il sacerdote (detto Taricheuta) introduceva un uncino attraverso le narici, rompeva l'osso etmoide, e per questa via nasale rimuoveva il cervello dalla scatola cranica.

[Uncini utilizzati dai sacerdoti per asportazione del cervello] Si passava quindi all’estrazione dei visceri. Il sacerdote tracciava con un pennello una linea nel fianco sinistro del corpo, e vi praticava un'incisione con una pietra etiopica tagliente: questa pietra poteva

[95]


essere ossidiana, presente sulle rive del Nilo (corso superiore), un vetro vulcanico usato soprattutto per costruire lame, punte di frecce e raschietti.

Attraverso l’incisione addominale, l’operatore estraeva l’intestino, lo stomaco,

ed il fegato; quindi

apriva il diaframma dal basso, tagliava i bronchi e la trachea per liberare i polmoni, la stessa cosa faceva con i grossi vasi mediastinici e l'aorta; poi svuotava la cavità toracica, utilizzando verosimilmente un coltello con la lama ad uncino: ne sono stati trovati, di bronzo, lunghi come una mano di media grandezza, con la punta tagliente e piegata su un lato, ed il resto della lama ottuso, mentre l'impugnatura dello strumento finisce a scalpello, tale che poteva essere usato anche per raschiare. E’ un bisturi estremamente adeguato per questo tipo di operazione.

[Bisturi dell’Antico Egitto, usati per imbalsamazione]

Lo stomaco, i polmoni, il fegato e l'intestino venivano dapprima lavati con sostanze aromatiche e quindi messi in quattro vasi, fatti di calcite, chiamati "Canopi", raffiguranti altrettante divinità, i Figli di Horus, che avevano il compito di proteggere gli organi dalla decomposizione. I quattro Canopi avevano coperchi differenti: Qebehsenuf a testa di falco, proteggeva gli intestini ed era connesso alla dea Selkit e con l'ovest; Hapy a testa di babbuino, proteggeva i polmoni ed era connesso

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con la dea Neftis e con il nord; Duamutef, a testa di sciacallo, proteggeva lo stomaco ed era connesso alla dea Neith e all'est; Amset a testa umana, proteggeva il fegato ed era connesso con la dea Iside e con il Sud.

I vasi canopi venivano conservati in una cassa che, durante il corteo funebre, era trainata da una slitta; poi venivano riposti nelle piramidi assieme al corpo. Mentre i visceri venivano lavati e conservati, il cuore, che serviva al defunto per essere giudicato, veniva ricollocato nel corpo svuotato. Dopo essere stato “svuotato�, il corpo del defunto veniva lavato con vino di palme e con aromi in polvere; il ventre veniva riempito di mirra pura tritata, di cassia e di altre sostanze. Lo scopo era quello di preservare il cadavere dai fenomeni autolitici post–mortem (distruzione enzimatica) e dalla putrefazione (distruzione dei tessuti ad opera dei batteri). Si procedeva quindi alla disidratazione del corpo, che veniva coperto completamente dal natron immergendolo per circa 40 giorni: il sale assorbiva i liquidi del corpo che alla fine diventava

un

solido

guscio

non

piĂš

soggetto

alla

decomposizione. La fase successiva vedeva il Taricheuta eseguire un nuovo

[97]


lavaggio del corpo, che veniva quindi riconsegnato ad altri sacerdoti, i Colchity: costoro avevano il compito di ricomporre il cadavere - che

dopo un simile trattamento chimico, appariva piuttosto

malconcio - e di avvolgerlo nelle sacre bende. Il corpo veniva lavato e massaggiato con profumi, vino, olio di palma, grassi, resine e miele e cosparso di incenso, per togliere ogni odore sgradevole alla salma. Le sostanze utilizzate per profumare il cadavere venivano conservate in vasi di alabastro. Nel recipiente era indicato il tipo di olio contenuto, poichÊ ciascuna parte del corpo richiedeva l'impiego di un unguento specifico. Il cranio veniva riempito con resina, olio di cedro, grasso di bue e olio di cannella. La salma veniva abbellita con vari cosmetici: si tingevano mani, piedi e i capelli con l'henna (in egiziano: puker), un pigmento fulvo-brunastro. Le altri parti del corpo non coperte dalle bende venivano dipinte con l'ocra, rossa per gli uomini e gialla per le donne. I sacerdoti ponevano infine due sfere di cristallo nei globi oculari (gli occhi artificiali dovevano assomigliare il piÚ possibile a quelli veri), e chiudevano l'incisione praticata sul fianco con una placca, con su dipinto l’occhio di Horus.

Le braccia erano ripiegate sul petto oppure con le mani congiunte sul pube, in posizione estesa.

A questo punto il cadavere era pronto per essere bendato. Dai papiri apprendiamo che occorrevano diciassette giorni soltanto per la fasciatura.

[98]


Per bendare il corpo gli Egizi si servivano di bende: erano di lino quelle per i Faraoni, i loro familiari e gli alti dignitari e venivano

tessute

appositamente.

Il

bendaggio procedeva alternando le bende in senso parallelo oppure incrociato. Il bendaggio era particolarmente ricercato, e si

componevano

complicati

disegni

geometrici a forma di quadrati o poliedri. A volte, sulle bende venivano scritte formule rituali. Il sacerdote, che recitava preghiere mentre procedeva nel bendaggio, cominciava col bendare ciascun dito singolarmente, poi le membra, la testa e, infine, tutto il corpo. Le braccia erano poste ai lati del corpo, con gli avambracci incrociati sul petto o sull'addome. Per assicurare al defunto la futura resurrezione, fra gli strati di bende venivano posti amuleti di diverse forme, veri e propri gioielli, destinati a proteggere il defunto dai pericoli che lo avrebbero potuto insidiare nell'altro mondo. Un amuleto era lo scarabeo che si poneva sul cuore; posteriormente recava inciso un capitolo del libro dei Morti, che faceva riferimento al giudizio dell'anima. Con questo il defunto si raccomandava al suo cuore che non lo contraddicesse

e

non

gli

mentisse

davanti agli dei. Terminata l'operazione della bendatura, il sacerdote versava ancora resina sulle bende e poneva una maschera sulla testa del defunto con un ritratto idealizzato: doveva servire al riconoscimento del defunto nell'aldilĂ . Le maschere dei meno abbienti era fatta di cartapesta dipinta, ossia di papiro e lino mescolati a gesso.

[Maschera funeraria di Psusenne I, XXI Dinastia (1075-945 a.C.), Museo Egizio del Cairo] I Faraoni, rappresentati con l'aspetto del dio Osiride, sovrano del regno dei morti, portavano sulla testa un'acconciatura a raggi con il dio-cobra Udyat, il serpente loro protettore, nella parte frontale. Le braccia erano ripiegate sul petto e una mano stringeva lo scettro reale, mentre l'altra impugnava una frusta.

[99]


Le maschere dei faraoni erano costituite d'oro, argento e lapislazzuli (secondo il mito, infatti, la carne degli dei era d'oro, i loro capelli di lapislazzuli e le loro ossa d'argento, materiale molto raro in Egitto). Il cadavere veniva quindi riconsegnato alla famiglia che nel frattempo aveva fatto costruire il sarcofago in legno di sicomoro o di gelso; per le famiglie piĂš benestanti veniva impiegato anche il legno di tasso, un

tipo

di

legname

considerato

incorruttibile, verniciato con resine e inciso

con

geroglifici.

Il

corpo

imbalsamato veniva adagiato dentro un sarcofago antropomorfo, collocato a sua volta all'interno di un altro sarcofago (nel caso dei Faraoni, venivano usati piĂš sarcofagi), Trascorso il tempo di permanenza presso la famiglia, il corpo veniva riconsegnato ai Colchity per il seppellimento nel monumento di famiglia.

ďƒ¨ IL RITO FUNEBRE La mummia, dentro la cassa e con un baldacchino sovrastante che rappresentava il cielo e le stelle, veniva portata su una slitta trainata da buoi verso la tomba.

La seguiva una processione funebre recante cibi e bevande, mobili e oggetti personali per arredare le camere funerarie, mentre i familiari del defunto assieme alle prefiche (donne pagate per piangere)

[100]


emettevano lamenti funebri. Maggiore era il numero delle prefiche ad un funerale, più alta era la posizione sociale del defunto. Le prefiche dovevano agitare le braccia, gettarsi della polvere sui capelli e versare le lacrime.

[Il trasporto degli oggetti]

[Le prefiche]

All'entrata della tomba il corpo veniva purificato con acqua e incenso. Successivamente iniziava il rito dell’apertura degli occhi e della bocca, che ridava ad una persona morta le facoltà di un vivente, permettendo alla mummia di mangiare, di bere e di camminare. Gli antichi Egizi temevano di morire fuori dal proprio Paese, perché sapevano che sul loro cadavere non sarebbe stato compiuto questo rito, mettendo in pericolo la loro vita nell’aldilà.

[101]


In questo papiro vediamo nel papiro che la cassa veniva sollevata verticalmente e sostenuta da un sacerdote che indossa la maschera di Anubi. Dietro la moglie e la figlia addolorate, i sacerdoti spargono acqua purificata ed uno di loro tocca gentilmente, con un'ascia da falegname in miniatura, i punti corrispondenti agli occhi, al naso, alle labbra, alle orecchie, alle mani e ai piedi come per sollevare il legno e permettere ai sensi di funzionare. La frase rituale era "La mia bocca è aperta! La mia bocca è spaccata da Shu con quella lancia di metallo che usava per aprire la bocca degli dei. Io sono il Potente. Siederò accanto a colei che sta nel grande respiro del cielo" (Libro dei Morti, Formula 23). L’erede del defunto, in veste di sacerdote, aspergeva il corpo con profumi e incenso. Il sarcofago e il corredo erano calati nella camera sotterranea, ogni cosa veniva sigillata.

L’apertura della bocca si praticava sulla statua del defunto, ma sappiamo che nelle nebbie del periodo arcaico la procedura del risveglio dei morti non era eseguita soltanto sulla statua, ma anche direttamente sulla salma dell’estinto. Sembrano utensili da scultore: coltelli, scalpelli, piccoli vasi di selce o pietra calcarea. Soltanto uno di essi ha una forma strana, unica. Gli antichi egizi lo chiamavano peseshkaf. È una sbarra piatta con una lama a coda di rondine. La sua funzione rimane oscura. Il significato del nome deriva dalla radice egizia pssh che significa tagliare

in

due.

E

sulle

raffigurazioni

geroglifiche appare sempre vicino alla bocca della mummia o della statua del morto.

[102]


Questi strumenti necessari all’apertura della bocca sono giunti sino a noi, trovati in alcune tombe. Erano disposti sulla superficie di palette rettangolari oppure ovali, provviste di opportune incavature. Nel sarcofago, presso ogni mummia, ce n’erano due. La cassa veniva poi collocata in una camera sepolcrale e intorno si collocavano gli oggetti funebri: per il viaggio e la permanenza nell' aldilà si procuravano tutti gli oggetti che avevano utilizzato nella vita terrena, mobili, alimenti e gioielli, e altro.

[Camera sepolcrale della tomba della Valle dei Re, la KV 23 – Ay]

Venivano collocate nella tomba alcune piccole statuette chiamate ushabti, fatte di lapislazzuli (ma anche di legno o pietra), affinché fungessero da sostituti per il defunto. La declamazione rituale dell'iscrizione conferiva vita alle statuette che così avrebbero lavorato al posto del defunto. In alcune tombe sono stati ritrovati addirittura centinaia di ushabti; in particolare nelle tombe dei faraoni il numero degli ushabti era molto elevato. Erano persino realizzati veri e propri modellini di cucine e statuette rappresentanti servitori in atto di preparare cibi di vario tipo. Inoltre, nella tomba venivano poste copie in pietra o legno del corpo del defunto, come sostituti nel caso in cui la mummia fosse andata distrutta, e si erigevano tombe estremamente complesse per proteggere il cadavere e quanto lo circondava. Le speranze ultime erano riposte nella pietas del visitatore: particolari iscrizioni elencavano liste di provviste e invitavano eventuali visitatori a lasciare oblazioni nella tomba o, per lo meno, a dedicare del cibo al defunto solo verbalmente, pronunciando un’apposita formula d’offerta. Tali immagini e liste di cibi sopperivano a eventuali mancanze, grazie al loro incredibile potenziale magico in grado di sostituire efficacemente l’attività o la cosa reale che rappresentavano: la sola presenza delle raffigurazioni o il solo pronunciare il nome dei cibi bastava a evocarne l’essenza per il soddisfacimento del defunto.

[103]


Se il defunto era un Faraone o un alto dignitario la tomba era contenuta all’interno di una piramide mentre se era un artigiano oppure un coltivatore di terre veniva sepolto in tombe normali; solo gli schiavi venivano sepolti in una buca sotto la terra.

L’entrata della tomba veniva infine sigillata con pietre e fango. Nelle colline occidentali di Luxor si imprimeva nello stucco un'impronta ovale, con Anubi sdraiato su nove prigionieri legati, e spesso si inserivano tra le pietre coni di terracotta con i nomi e i titoli dei defunti. Ma perché scelsero la forma piramidale per costruire una tomba? Gli egiziani pensavano che la piramide rappresentasse i raggi solari nella pietra, quei raggi che nei rilievi e nei dipinti si irradiano a cono sugli abitanti dell'Egitto: da questa idea si creò una struttura sulla quale questi raggi potessero scivolare formando una piramide di luce e unendo umano e divino. La piramide era anche il simbolo del monticello iniziale da cui si generò il mondo sorgendo dal caos acquatico; inoltre esprime in pura forma geometrica, cioè intellettualistica, la concezione di un faraoneDio separato dagli altri uomini, ma responsabile di mediare tra questi e la divinità. L'imbalsamazione è stata praticata dagli egizi fino a circa il 700 d.C. e, secondo le stime di alcuni storici, in totale sarebbero stati imbalsamati circa 730 milioni di corpi, molti dei quali si trovano ancora in buono stato di conservazione e si possono osservare in molti musei d'archeologia e di storia antica. Anche

gli

animali,

dell’egiziano

antico

fedeli e

compagni

tante

volte

personificazioni di diverse divinità, ricevano cure premurose dopo la morte. Gatti, cani, coccodrilli, scimmie e persino piccoli insetti erano imbalsamati, messi in sarcofagi e seppelliti in necropoli a loro riservati. Il gatto,

in

particolare,

era

considerato

l’animale sacro, perché teneva lontano i topi dai granai.

[104]


IL VIAGGIO NELL’ALDILÀ Dopo la mummificazione del corpo l’anima del defunto iniziava il cammino che l’avrebbe condotta davanti al Tribunale di Osiride. A partire dal Medio Regno nella tomba del defunto venivano collocate delle carte dell’ “al di là” che indicavano il percorso da seguire, in modo che l’anima non corresse il rischio di perdersi tra le tenebre. Il “Libro delle Due Vie” indicava i pericoli che l’anima incontrava nel suo viaggio, mentre il “Libro dei Morti” offriva formule e riti magici che, associati agli incantesimi e agli amuleti, le avrebbero permesso di respingere ogni forza ostile e di permetterle un viaggio sicuro nell’aldilà. Iside affidava l’anima del morto ad Anubi perché la confortasse e la guidasse: i due si avviavano verso i confini del mondo, precisamente verso una delle quattro colonne che sostenevano il mondo. Da quel momento iniziavano le prove sui cammini dell’Occidente. Per passare le quattro frontiere del cielo il viaggiatore doveva convincere i guardiani a lasciargli via libera: grazie ai riti funebri egli godeva dei poteri magici in forza dei quali era in grado di superare gli ostacoli.

Gli antichi Egizi credevano che esistesse nell’aldilà un mondo sotterraneo che essi chiamavano Duat, popolato da esseri sinistri e pieno di luoghi oscuri e profondi, con strade che si perdevano nella tenebra, su incroci che portavano al nulla; due erano le vere strade, una per via d'acqua, una per via di terra e separate da un fiume di fuoco. Questa terra brulicava di esseri mostruosi che si scagliavano sui viandanti. Inizialmente l’anima incontrava dei demoni dalla testa di coccodrillo, dei serpenti, il dio Apophis e i demoni Am-au Hai e Hass, che cercavano di divorarla o di morderla. Doveva poi attraversare ed abbeverarsi in un fiume dall’acqua ribollente, quindi giungeva nelle paludi dove dei babbuini giganteschi, nel più assoluto silenzio, gettavano delle reti per catturare i demoni e le anime smarrite. E poi ancora, serpenti con grandi e affilati coltelli, draghi che sputavano fuoco, rettili affamati

[105]


a cinque teste che sputavano continuamente dalla terra, lamenti e urla strazianti di ombre vaganti, larve umane senza testa e nemici di Osiride. Una volta superati degli altissimi monti, Anubi e il Ka del defunto dovevano attraversare con una barca il fiume degli inferi. Per essere traghettato il postulante doveva dimostrare la sua conoscenza, i suoi poteri; se egli conosceva i Nomi segreti delle cose, Oken, il traghettatore delle anime dei defunti col battello di Khnum, metteva la barca a sua disposizione: "Passa - egli dice - perché tu hai la conoscenza", e si ridisponeva alla sua eterna attesa di un altro viandante da esaminare.

Arrivati agli estremi del regno, per uscirne bisognava valicare sette porte, e poi per entrare nella sala di Osiride bisognava passare per dieci piloni. Dopo l’ultimo pilone l’anima entrava nella grande sala di giustizia di Osiride, la "sala delle due verità", la divina e l'umana, e contemplare l'assemblea dei suoi fratelli che l’avevano preceduto, perché solo la comunità può formare l'Occhio Completo capace di fissare la Divinità.

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Al centro della sala si innalzava una piramide a gradoni che l’anima doveva scalare. Al colmo della piramide c’erano i quattro sommi giudici: Shu e Tefnut (aria e fuoco), Geb e Nut (terra e cielo). L’anima del defunto veniva giudicata da quarantadue demoni, uno per ogni distretto dell’Egitto (qui ne vediamo alcuni nella parte alta del papiro), che interrogano il defunto, accusandolo di vari crimini, che egli nega di avere commesso. Tutti ascoltano la confessione del viandante che assicura loro di non essersi macchiato delle settanta orribili colpe; nascondere le proprie responsabilità equivarrebbe ad ingannare sé stesso e condannarsi quindi a peggior castigo: “Io vengo presso di voi, grande Tribunale che è in cielo, in terra e nella necropoli... Salve a te che presiedi agli Occidentali ... io vengo a te ed il mio cuore porta la verità. Non c'è colpa nel mio corpo...” Il defunto viene quindi accompagnato dal dio Anubi (che nella mano sinistra regge l'ankh, il simbolo della vita) alla pesatura del suo cuore (psicostasìa). Su un piatto della grande bilancia è il suo cuore; sull'altro la piuma di Maat. Anubi controlla il peso. Colui che non supera la prova (il cuore è più pesante della Verità) viene dato in pasto ad Ammit, il "mangiatore di morti", una belva feroce con testa di coccodrillo, corpo di leone e zampe posteriori di ippopotamo: il defunto verrà condannato alla seconda morte da cui non esiste ritorno, non potrà quindi partecipare alla vita dell’oltretomba. Se invece egli supera la prova, il dio Thot scriverà su una tavoletta che egli è sincero di voce e che può proseguire. Il defunto, guidato da Ra, avanza verso Osiride che siede sotto il baldacchino regale con le sue pietose salvatrici, Iside e Neftis. Osiride è il giudice inflessibile che consentirà al Ka del defunto, dopo essersi purificato nel Lago del loto, di migrare nel regno celeste dei campi di Yaru, dove il grano cresce altissimo e l'esistenza è una versione festosa della vita sulla Terra.

Come pagamento per l'aldilà e per la sua benevola protezione, Osiride chiedeva che i morti svolgessero mansioni per lui, ad esempio lavorare i campi di grano. Anche questo compito, tuttavia, poteva essere evitato ponendo gli ushbati nelle tombe.

[107]


“Io sono apparso in questo giorno nel mio reale aspetto di spirito vivente. Ciò che desidero di cuore è vivere in questa terra per l’eternità.”

[108]


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