NOTIZIARIO
R I V I S TA D E L L A F O N DA Z I O N E M E E T I N G P E R L’A M I C I Z I A F R A I P O P O L I
ANNO XXXIV
NOVEMBRE 2014
La speranza del cuore
EDITORIALE
Per stupirsi ancora “Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?”. Un verso del poeta Mario Luzi darà il titolo alla prossima edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli. Come il poeta, il Meeting vuole interpellare il cuore dell’uomo, scoprendo in esso l’esperienza di una mancanza che, con la sua forza travolgente, come l’acqua che fuoriesce da una diga che si rompe, lo inonda. Ma qual è l’origine di questa mancanza? Da dove viene? È un difetto o può essere una risorsa? Non affrontare queste domande produce un impoverimento della persona: la riduzione del desiderio, “l’incurante superficialità o la confusione senza speranza o la ripetizione compiacente di «verità» diventate vuote e trite”, come dice Hannah Arendt, l’indifferenza nei confronti degli altri, la paradossale solitudine dentro
SULLE TRACCE DI UOMINI CHE NON SI STANCANO DI CERCARE, INTRAPRENDERE ED INCONTRARE.
ad un mondo iper-tecnologico e sempre connesso, la sensazione di soffocare perché le circostanze e i fatti della vita diventano una prigione, una sorta di bunker da cui non si riesce ad uscire. L’arte, la musica, la poesia, espressioni cui il Meeting di quest’anno porrà particolare attenzione, rappresentano
da sempre la testimonianza di quella irriducibile mancanza che alberga nel cuore dell’uomo, ma al tempo stesso esprimono quel grido e quella scintilla di nostalgia capaci di suscitare il desiderio dell’eterno. Provocati e commossi di fronte alla mancanza che riconosciamo in noi e in tutti gli uomini, proveremo ad osservare i diversi campi del vivere (scienza, e biologia in particolare, diritto, filosofia, economia, politica), documentando come ogni riduzione dell’io, anche se inconsapevole, influenza la vita concreta e reale di tutti i giorni. Al tempo stesso ci metteremo sulle tracce di uomini che proprio a partire da qualcosa che manca alla loro vita non si stancano di cercare, intraprendere ed incontrare. Ma è ancora possibile per ciascuno di noi un imprevisto, un piccolo bagliore, in grado di fare riemergere un cuore vivo, capace di affezione e di amore, finalmente presente a se stesso e libero di fronte alla realtà? Dove incrociare lo sguardo di qualcuno che sappia ancora stupirsi e lasciarsi cambiare da ciò che accade? Solo accettando la sfida di questa possibilità vale ancora la pena realizzare il Meeting e parteciparvi.
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SOMMARIO w w w . m e e t i n g r i m i n i . o r g Ăˆ GIUNTO IL MOMENTO DI ABBANDONARE L’IDEA DI UN’EUROPA IMPAURITA E PIEGATA SU SE STESSA PER SUSCITARE E PROMUOVERE L’EUROPA PROTAGONISTA, PORTATRICE DI SCIENZA, DI ARTE, DI MUSICA, DI VALORI UMANI E ANCHE DI FEDE. [PAPA FRANCESCO]
EDITORIALE
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Per stupirsi ancora VERSO LE PERIFERIE
La benedizione di Papa Francesco Le periferie non sono lontane
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di Giorgio Napolitano
INCONTRI
Non arrenderti prima del miracolo 12 In copertina: Un’immagine della mostra “Explorers�
di Maria Acqua Simi
IN - MOSTRA 2014
Quel che ho visto in mostra
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di Erika Elleri
Un fascino per me
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di Luca Lodovico
SPETTACOLI 2014
Grazie al cielo c’è il Meeting
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di Otello Cenci
LIBRO MEETING
La potenza del desiderio Anno XXXIV - N. 4, Novembre 2014 Questo numero è stato chiuso il 27/11/2014
UN LUOGO D’INCONTRO
Dalla ďŹ ne del mondo
Proprietario/Editore: Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli Autorizzazione del Tribunale di Rimini n. 2008 del 2/11/82
di Erika Elleri
DIRETTORE RESPONSABILE: Alver Metalli COORDINAMENTO REDAZIONALE: Stefano Pichi Sermolli REDAZIONE: Vanni Casadei, Erika Elleri, Piergiorgio Gattei, Walter Gatti, Rosanna Menghi, Daniela Schettini FOTO: Roberto Masi, Angelo Tosi PROGETTO GRAFICO: Davide Cestari, Lucia Crimi VIDEOIMPAGINAZIONE: R&S&C - Modena STAMPA: Pazzini - Villa Verucchio - Rimini REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE: Via Flaminia, 18-20 - C.P. 106 - 47923 Rimini Tel 0541/78.31.00 Telefax 0541/78.64.22 email - meeting@meetingrimini.org www.meetingrimini.org
di Stefano Pichi Sermolli
PUBBLICITĂ€: Evidentia Communication (societĂ a direzione e coordinamento di Fondazione Meeting) Tel 0541/18.32.501 Fax 0541/78.64.22
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di Emilia Guarnieri
NOTIZIARIO
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Un Meeting di svolta, di ripartenza 34 VILLAGGIO RAGAZZI
Guardando il volto di un santo
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di Erika Elleri
APPROFONDIMENTI
Giovane, forte e libero
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di Rosanna Menghi
Community Meeting
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VERSO LE PERIFERIE
La benedizione di Papa Francesco In occasione della 35.ma edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli, il Santo Padre Francesco ha inviato al Vescovo Mons. Lambiasi, tramite il Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, il Messaggio che riportiamo di seguito. Eccellenza Reverendissima,
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n occasione del XXXV Meeting per l’amicizia tra i popoli, sono lieto di far giungere a Lei, agli organizzatori, ai volontari e a quanti vi parteciperanno il cordiale saluto e la benedizione di Sua Santità Papa Francesco, insieme col mio personale auspicio di ogni bene per questa importante iniziativa. Le periferie Il tema scelto per quest’anno – Verso le periferie del mondo e dell ’esistenza – riecheggia una costante sollecitudine del Santo Padre. Fin dal suo episcopato a Buenos Aires, Egli si rese conto che le “periferie” non sono soltanto luoghi, ma anche e soprattutto persone, come disse
nel Suo intervento durante le Congregazioni generali prima del Conclave: «la Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria» (9 marzo 2013). Perciò Papa Francesco ringrazia i responsabili del Meeting di avere accolto e diffuso il Suo invito a camminare in questa prospettiva. Una Chiesa “in uscita” è l’unica possibile secondo il Vangelo; lo dimostra la vita di Gesù, che andava di villaggio in villaggio an-
nunciando il Regno di Dio e mandava davanti a sé i suoi discepoli. Per questo il Padre lo aveva mandato nel mondo. Il destino non ci ha abbandonati Il destino non ha lasciato solo l’uomo è la seconda parte del tema del Meeting: un’espressione del servo di Dio Don Luigi Giussani che ci ricorda che il Signore non ci ha abbandonati a noi stessi, non si è dimenticato di noi. Nei tempi antichi ha scelto un uomo, Abramo, e lo ha messo in cammino verso la terra che gli aveva promesso. E nella pienezza dei tempi ha scelto una giovane donna, la Vergine Maria, per farsi carne e venire ad abitare in mezzo a noi. >
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Nazareth era davvero un villaggio insignificante, una “periferia” sul piano sia politico che religioso; ma proprio là Dio ha guardato, per portare a compimento il suo disegno di misericordia e di fedeltà. Il suo centro in Gesù Cristo Il cristiano non ha paura di decentrarsi, di andare verso le periferie, perché ha il suo centro in Gesù Cristo. Egli ci libera dalla paura; in sua compagnia possiamo avanzare sicuri in qualunque luogo, anche attraverso i momenti bui della vita, sapendo che, dovunque andiamo, sempre il Signore ci precede con la sua grazia, e la nostra gioia è condividere con gli altri la buona notizia che Lui è con noi. I discepoli di Gesù, dopo aver compiuto una missione, ritornarono entusiasti per i successi ottenuti. Ma Gesù disse loro: «Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20-21). Non siamo noi a salvare il mondo, è solo Dio che lo salva.
la Santa Messa di apertura dell’Anno della fede, 11 ottobre 2012). Papa Francesco invita a collaborare, anche con il Meeting per l’amicizia tra i popoli, a questo ritorno all’essenziale, che è il Vangelo di Gesù Cristo. «I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma “per attrazione”» (Evangelii gaudium,
14), cioè «attraverso una testimonianza personale, un racconto, un gesto, o la forma che lo stesso Spirito Santo può suscitare in una circostanza concreta» (ibid., 128). Due attenzioni particolari Il Santo Padre indica ai responsabili e ai partecipanti al Meeting due attenzioni particolari. Anzitutto, invita a non perdere mai il contatto con la realtà, anzi, ad essere amanti della realtà. Anche questo è parte della testimonianza cristiana: in presenza di una cultura
La Chiesa cresce per attrazione Gli uomini e le donne del nostro tempo corrono il grande rischio di vivere una tristezza individualista, isolata anche in mezzo a una quantità di beni di consumo, dai quali comunque tanti restano esclusi. Spesso prevalgono stili di vita che inducono a porre la propria speranza in sicurezze economiche o nel potere o nel successo puramente terreno. Anche i cristiani corrono questo rischio. «È evidente – afferma il Santo Padre – che in alcuni luoghi si è prodotta una “desertificazione” spirituale, frutto del progetto di società che vogliono costruirsi senza Dio» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 86). Ma questo non ci deve scoraggiare, come ci ricordava Benedetto XVI inaugurando l’Anno della fede: «Nel deserto si torna a scoprire il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso manifestati in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indichino la via verso la Terra promessa e così tengono viva la speranza» (Omelia nelLa benedizione di Papa Francesco durante l’Angelus.
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dominante che mette al primo posto l’apparenza, ciò che è superficiale e provvisorio, la sfida è scegliere e amare la realtà. Don Giussani lo ha lasciato in eredità come programma di vita, quando affermava: «L’unica condizione per essere sempre e veramente religiosi è vivere sempre intensamente il reale. La formula dell’itinerario al significato della realtà è quella di vivere il reale senza preclusioni, cioè senza rinnegare e dimenticare nulla. Non sarebbe infatti umano, cioè ragionevole, considerare l’esperienza limitatamente alla sua superficie, alla cresta della
sua onda, senza scendere nel profondo del suo moto» (Il senso religioso, p. 150). Inoltre, invita a tenere sempre lo sguardo fisso sull’essenziale. I problemi più gravi, infatti, sorgono quando il messaggio cristiano viene identificato con aspetti secondari che non esprimono il cuore dell’annuncio. In un mondo nel quale, dopo duemila anni, Gesù è tornato ad essere uno sconosciuto in tanti Paesi anche dell’Occidente, «conviene essere realisti e non dare per scontato che i nostri interlocutori conoscano lo sfondo completo di ciò che diciamo o che possano collegare il
nostro discorso con il nucleo essenziale del Vangelo che gli conferisce senso, bellezza e attrattiva» (Evangelii gaudium, 34) Comunicare la perenne novità del Cristianesimo Per questo, un mondo in così rapida trasformazione chiede ai cristiani di essere disponibili a cercare forme o modi per comunicare con un linguaggio comprensibile la perenne novità del Cristianesimo. Anche in questo occorre essere realisti. «Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada» (ibid., 46). Testimoniare che Dio non lascia soli i suoi Figli Sua Santità offre queste riflessioni come contributo alla settimana del Meeting, a tutti coloro che vi parteciperanno, in particolare ai responsabili, agli organizzatori e ai relatori che giungeranno dalle periferie del mondo e dell’esistenza per testimoniare che Dio Padre non lascia soli i suoi figli. Il Papa auspica che tanti possano rivivere l’esperienza dei primi discepoli di Gesù, i quali, incontrandolo sulla riva del Giordano, si sentirono domandare: «Che cosa cercate?». Possa questa domanda di Gesù accompagnare sempre il cammino di quanti visitano il Meeting per l’amicizia tra i popoli. Mentre chiede di pregare per Lui e per il Suo ministero, Papa Francesco invoca la materna protezione della Vergine Madre e di cuore invia a Vostra Eccellenza e all’intera comunità del Meeting la Benedizione Apostolica. Nel pregare Vostra Eccellenza di assicurare anche il mio personale augurio, profitto della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio dell’Eccellenza Vostra Rev.ma. dev.mo Pietro Card. Parolin A Sua Eccellenza Reverendissima Mons. FRANCESCO LAMBIASI Vescovo di Rimini
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Le periferie non sono lontane Il messaggio che il presidente Giorgio Napolitano ha inviato al Meeting scorso. di Giorgio Napolitano
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esidero rivolgere i miei saluti più cordiali a tutti i partecipanti alla xxxv edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli 2014. Il tema scelto per questa edizione “Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo” è di scottante attualità. Le drammatiche vicende irachene e siriane, le angosciose condizioni in cui versa la Striscia di Gaza per effetto del conflitto tra Hamas e Israele, la situazione estremamente critica della Libia, gli scontri armati in Ucraina e le tensioni nei rapporti con la Russia, i focolai di contrapposizione che si moltiplicano ovunque nel mondo e la connessa tragedia delle migrazioni di massa sono le manifestazioni più dolorose e acute
della complessità e della fragilità del quadro internazionale. E angoscioso è il dramma silenzioso di chi ancora oggi vede calpestati i propri diritti, di chi ha smarrito ogni speranza e di quanti vivono ancora in condizioni di indigenza e povertà e faticano a costruire un futuro di serenità per sé stessi e per le proprie famiglie. Le “periferie” non sono lontane, fanno anzi parte del nostro mondo e del nostro vissuto, e le tragedie che si verificano quotidianamente in molte parti del pianeta ci riguardano da vicino. Esse non possono e non devono consumarsi senza risvegliare la nostra coscienza e la nostra attenzione, senza suscitare il nostro coinvolgimento emotivo e morale. devono anzi essere forte
monito e stimolo ad agire per una coesione nuova della comunità internazionale e, in primis, per il consolidamento dell’Unione Europea intesa come baluardo di democrazia, libertà e giustizia. In questo contesto, dominante è la dimensione umana dei drammi che affliggono il mondo d’oggi. L’uomo non è d’altronde solo. è parte di una realtà in cui l’interazione con gli altri e il confronto con la diversità devono essere fonte di ispirazione e di ricchezza per il superamento di fatali contrasti. Con questo spirito, nella certezza che dai lavori dei prossimi giorni emergeranno indicazioni e riflessioni lungimiranti e valide, formulo i più fervidi auguri di successo per i lavori del Meeting, che seguirò con sempre viva attenzione.
Il presidente Giorgio Napolitano durante la sua visita al Meeting del 2011. NOVEMBRE 2014
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Non arrenderti prima del miracolo Come rispondere alla situazione attuale che vede l’emergere di nuovi gruppi estremisti in Nigeria, Somalia, Libia o Sahel, o l’avanzata dello Stato islamico in Siria e Iraq? Di cosa c’è bisogno oggi? di Maria Acqua Simi
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ice un antico proverbio arabo, caro sia ai cristiani sia ai musulmani: «Non arrenderti, rischieresti di farlo un’ora prima del miracolo». E mai come oggi, in tutto il nostro mondo martoriato dall’emergere di nuovi gruppi estremisti in Nigeria, Somalia, Libia o Sahel, dall’avanzata dello Stato islamico in Siria e Iraq (un fenomeno che interessa tristemente anche l’Europa, con centinaia di persone partite per combattere nell’ISIS) beh ecco… mai come oggi c’è bisogno di questo miracolo. Un miracolo che non piova dal cielo, improvviso come un fulmine. Ma un miracolo chiesto al cielo, che sia reso possibile dalla buona volontà di molti, a diversi livelli. Una soluzione serve in fretta, soprattutto per
quei milioni di cristiani perseguitati in tutto il globo. Allo scorso Meeting di Rimini lo hanno testimoniato in molti. A partire dal Custode di Terrasanta, padre PierBattista Pizzaballa, che ha aperto l’edizione appena passata del Meeting. E lo ha fatto dicendo che non sono le mere analisi politiche o sociali ad accompagnare un cammino di pacificazione. Piuttosto, "il potere del cuore". «Credo che sia un errore limitarsi a una professionale analisi politica, sociale e storica di quanto sta avvenendo senza uno sguardo religioso, redento, che aiuti a leggere e interpretare gli eventi senza tuttavia lasciarsene travolgere. I due ambiti sono necessari l’uno all’altro. Abbiamo bisogno di esperti che ci aiutino a comprendere i radicali
cambiamenti a cui stiamo assistendo dal punto di vista politico, economico e sociale. Ma abbiamo anche bisogno di uno sguardo alto, ampio, libero da paure e complessi». La crisi in Medio Oriente Una delle aree più colpite dalle persecuzioni è infatti quella mediorientale. Sono le storie raccontate nei bellissimi reportage proposti al Meeting dal giornalista e inviato di guerra Gian Micalessin. Il dramma di quelle terre lo ha evidenziato bene, ancora una volta, padre Pizzaballa nel suo intervento, quando spiegava: «Egitto, Israele e Palestina, Libia, e soprattutto Siria e Iraq sono al centro di un profondo cambiamento dalle ancora
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Un pezzo di legno non è solo un pezzo di legno
Fatti spingere dalla curiosità. Lasciati affascinare dall’esperienza. Comunica la tua passione. Svela la tua storia. Questo è il Made in Italy. Questo siamo noi. Grazie a tutti coloro che abbiamo incontrato durante il Meeting. FederlegnoArredo ti aspetta al Meeting 2015.
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INCONTRI
Da sinistra: Domenico Quirico, S. Ecc. Mons. Shlemon Warduni, Monica Maggioni, S. Ecc. Mons. Ignatius Kaigama e Paul Bhatti. stabilità che per quarant’anni aveva caratterizzato i rapporti (o non-rapporti) in questi Paesi è definitivamente conclusa, e nuovi equilibri che ancora non riusciamo a definire si stanno prospettando, fonte di preoccupazione per molti, soprattutto per la piccola comunità cristiana e le altre minoranze. Il Medio Oriente che abbiamo conosciuto nel ‘900, quello nato dalle rovine del vecchio impero ottomano, dalla fine dei diversi colonialismi e della nascita degli stati nazionali, è finito. Inizia un nuovo periodo, la cui direzione però non siamo ancora in grado di comprendere. Inizialmente quella che è stata battezzata “la primavera araba” ha suscitato tanto entusiasmo: le piazze fanno cadere i dittatori che da decenni dominano incontrastati; finalmente il popolo, e i giovani in particolare, diventano protagonisti della vita dei loro Paesi e fanno la storia. Tutti, senza distinzioni di appartenenze, par-
tecipano a questo momento importante. Questo processo, tuttavia, è stato in un certo modo “sequestrato” da movimenti e partiti religiosi che hanno stravolto la natura di questa primavera trasformandola in una vera e propria lotta di potere tra diverse componenti religiose e sociali del Medio Oriente, in particolare nella lotta tra sciiti e sunniti». E, ancora: «Molto più che in Europa, il Medio Oriente è sempre stato il crogiolo di differenze religiose. Ebraismo, cristianesimo e islam hanno il loro cuore e le loro radici in Medio Oriente. Ciascuna di queste fedi ha poi conosciuto divisioni e sviluppi interni vivacissimi: sunniti, sciiti, cristiani ortodossi, copti, siriaci e tantissime altre comunità sono sorte lungo i secoli, rendendo il Medio Oriente - unico nel suo genere in tutto il mondo - un luogo di convivenze. Va detto che le convivenze non sono mai state facili e le persecuzioni lungo i secoli
non sono mancate. Ma non si è mai assistito a una “pulizia religiosa” del tipo a cui assistiamo oggi». Tre testimoni autorevoli di tutto questo, presenti al Meeting, sono stati il giornalista de La Stampa Domenico Quirico, S. Ecc. Mons. Shlemon Warduni dall’Iraq e Mons. Abou Khazen, vescovo di Aleppo in Siria (in visita al Meeting). Tra Iraq e Siria, la situazione è tragica: milioni di sfollati, monasteri e chiese antichissime distrutte, manoscritti di oltre 1500 anni andati perduti o venduti per finanziare i traffici illeciti dell’ISIS (come ha testimoniato l’archeologo Giorgio Buccellati). Ma soprattutto, un’umanità dolorante, ferita, schiacciata. «Ad Aleppo l’unica cosa rimasta in piedi è l’università», ci ha raccontato camminando per la Fiera di Rimini mons. Abou Khazen. «Ma è un’università dove studiano sia cristiani sia musulmani. E questi giovani un giorno ricostruiranno la Siria, noi ne sia-
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INCONTRI
mo certi». Di ben altro tenore l’intervento di Quirico, rapito in Siria lo scorso anno e rilasciato solo dopo mesi dopo. Il giornalista ha inquadrato bene la sofferenza delle centinaia di migliaia di persone che hanno perso tutto. Lo ha fatto lanciando un duro j’accuse, contro i silenzi colpevoli di un Occidente troppo spesso impegnato a guardare altrove. «Allora dov’è la chiave? È nella straordinaria, orribile quotidianità del dolore. Il dolore senza sangue, il dolore come incontro quotidiano di 22 milioni di persone che vivono in Siria da quattro anni, 4 milioni sono fuggiti o vivono ai margini di questa tragedia. La quotidianità della sofferenza, l’incontro ogni minuto, ogni secondo della propria vita con il dolore, con la morte, con il sangue, con la ferocia: questa è la tragedia siriana. Allora riprendo una cosa che è scritta in fondo a questo salone: “Verso le periferie del mondo, il destino non ha lasciato solo l’uomo”. No! No, non è così, non è così, purtroppo! Il destino non lo so, ma noi, noi, l’Occidente, l’Europa, gli Stati Uniti, abbiamo lasciato solo l’uomo! Abbiamo lasciato solo quella vecchina, abbiamo lasciato soli gli altri 22 milioni di siriani, abbiamo lasciato soli
i cristiani dell’Iraq, abbiamo lasciato soli i cristiani nel Nord della Nigeria, abbiamo lasciato soli esattamente vent’anni fa i rwandesi del genocidio, i somali, abbiamo lasciato soli gli uomini che vivono nelle periferie del mondo. Questa è la nostra colpa!». In questo drammatico contesto la Chiesa continua ad operare per i civili, ormai allo stremo. Ne ha dato testimonianza al Meeting anche il padre gesuita Zihad Hilal, coordinatore dei centri per i bambini del Jesuit Refugee Service ad Homs, che ha denunciato anche il silenzio dei media sulla Siria. Un grido uguale a quello di Mons. Warduni, testimone della fuga e delle uccisioni di migliaia di cristiani, costretti ad abbandonare la piana di Ninive, in Iraq, “dove vivono da duemila anni”. Alla fine del suo intervento al Meeting, commosso, Warduni ha chiosato: «Tutti abbiate pietà di noi, seminate la pace e la moralità, l’amore per Dio e per il prossimo e questo salverà il mondo. Gridiamo a Gesù sulla croce: Dio nostro non ci lasciare! Gridiamo al Santo Padre e lo ringraziamo tantissimo per i suoi aiuti morali e materiali e diciamo in nome di tutti: non lasciarci Santità! A tutti i sinodi delle Chiese del mondo, a tutte
Padre Pierbattista Pizzaballa durante l’incontro “Il potere del cuore. Ricercatori di verità”.
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le nazioni chiediamo di cooperare insieme per seminare la pace, l’amore all’umanità e sradicare il male. Voi che ascoltate sosteneteci e il Signore vi benedica. Con questa fede viviamo e con essa seminiamo l’amicizia tra i popoli e saremo testimoni della libertà». Una situazione, quella delle persecuzioni in Medio Oriente, che chiede prese di posizioni chiare, come aveva ricordato padre Pizzaballa, solo pochi giorni prima: «È necessario che tutte le comunità religiose alzino la voce contro questo abominio. Il mondo islamico ha cominciato a reagire, finalmente, ma onestamente, dobbiamo dire che ci è sembrato assai timido nella denuncia. (…) Il dialogo interreligioso in questo momento non può prescindere da una denuncia comune e forte di quanto sta accadendo. Lo richiede la gravità del momento e la necessità di continuare a vivere e dialogare insieme». E infine: «Abbiamo bisogno di tutto in Medio Oriente: aiuti finanziari, militari, politici, mediazioni, sostegno… ma soprattutto di credere ancora che è possibile volersi bene. Le testimonianze ci dicono che, nonostante tutto, grazie ai piccoli, questa forza vive ancora».
INCONTRI
Un’immagine di rifugiati siriani. Asia e Africa Altri due testimoni coraggiosi dell’amore alla libertà, nonostante le persecuzioni, sono stati due grandi amici del Meeting di Rimini, il politico e medico pakistano Paul Bhatti e Mons. Ignatius Kaigama, Arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale nigeriana. Bhatti è fratello maggiore di Shahbaz, ucciso quando era ministro per le minoranze religiose in Pakistan, mentre si batteva contro un’ingiusta legge sulla blasfemia. La stessa legge per la quale da ormai quattro anni una giovane mamma cristiana, Asia Bibi, si trova incarcerata senza giusto processo ed ora è stata condannata alla pena di morte. Bhatti ha ricordato in maniera commovente il sacrificio di Shahbaz. «Io volevo che lui venisse via dal Pakistan, rischiava di essere ucciso. Eppure mi diceva: “Se voi mi portate via, mi viene bloccata quest’opportunità di difendere i cristiani del Pakistan e di esprimere la mia Fede: questa è la mia morte”. Questo mi ha commosso. Io sono stato
incapace di convincerlo, addirittura lui ha cercato di convincermi a tornare in Pakistan, perché avevano bisogno di me. Io ridendo: “Guarda, io sto ben qua, come puoi pensare di chiamare tuo fratello dal Paradiso all’Inferno”. E lui: “La strada per il Paradiso parte dal Pakistan”. Questa è la sua convinzione, questa è la sua fede, su questo lui non ha mai negoziato. Sapeva che con questo suo percorso rischiava la vita, ma lui, come le sue testimonianze spirituali dichiarano apertamente, era pronto per questo, era pronto a morire, però non era pronto a rinunciare a questa sua battaglia, a questa sua fede». La stessa fede che regge i cristiani che in Nigeria (e in Kenya, Somalia e nel Sahel) vengono perseguitati dai miliziani islamisti di Al Shabaab, uno dei gruppi legati dal Al Qaeda. Lo stesso gruppo che mesi fa ha rapito oltre 270 liceali obbligandole a convertirsi e che saccheggia e uccide sistematicamente dal 2007 in tutta l’area. Ha raccon-
tato Mons. Kaigama: «Comunque non ci sono solo cattive notizie. Ci sono degli sviluppi che comunque ci danno speranza. Per esempio i moderati fra i cristiani e musulmani stanno cercando di incontrarsi sempre più in modo tale da mettere a punto delle strategie per evitare che Boko Haram continui a distruggere la Nigeria. L’arcidiocesi di Jos, di cui io sono appunto responsabile, promuove iniziative di diverso carattere. C’è una scuola per esempio per giovani cristiani e musulmani che forma questi studenti alla cultura del dialogo e della pacificazione ed eroga una formazione di carattere professionale. Insegniamo a questi studenti a convivere per due anni, dopo di che, quando escono dalla scuola, diventano ambasciatori di pace essi stessi». Si riparte da qui. Si riparte dal “potere del cuore”. Un potere che è alla portata di tutti. Di ciascuno di noi.
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Quel che ho visto in mostra «Quest’anno mi sono sentita veramente un direttore d’orchestra», ha raccontato con un sorriso la responsabile delle mostre Alessandra Vitez. Un lavoro complesso che coinvolge curatori, professionisti e volontari e un luogo dove succedono fatti, incontri e si può fare un vero e proprio cammino umano di conoscenza. di Erika Elleri
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n anno intenso di lavoro, una condivisione continua con i curatori e poi… l’allestimento e il fiorire della mostra. Si può dire che ogni mostra sia una piccola periferia da andare a scoprire? Potresti raccontarci qual è stata la tua esperienza di scoperta di ogni mostra e che tipo di cammino ti ha fatto fare? Il lavoro sul contenuto di ogni mostra che si fa annualmente con i curatori si rivela sempre molto interessante, sia dal punto di vista della conoscenza, sia per il paragone continuo del percorso della mostra con il titolo del Meeting. Infatti, più volte emerge questa domanda: «Che contributo stiamo dando al Meeting quest’anno?». Al Meeting accade che la novità parta dalla provocazione di un tema, con cui ci vogliamo paragonare. Questo aiuta paradossalmente a fare un lavoro scientifico ancora più approfondito e nuovo. Per esempio, a fine Meeting Giorgio Buccellati e sua moglie Marylin (curatori della mostra archeologica) mi hanno confidato: «Mai avremmo pensato di scoprire tali particolari in quello che stiamo facendo da anni». Allora colpisce come due archeologi di fama mondiale scoprano qualcosa di nuovo dentro questo lavoro insieme. Persino
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l’allestimento viene coinvolto in questo vortice di provocazione. Ad esempio, alla mostra di Peguy c’era una zona buia ed è successo che un fornitore ci abbia detto: «Dobbiamo metterci una lampadina perché la mostra è troppo bella, non ci può essere questa citazione bellissima al buio». In quel cantiere è come se fosse evidente che tutto ha uno scopo e una strada e quindi chiunque si metta a costruire si sente provocato a fare questa strada. Proprio come nella costruzione di tante piccole cattedrali, perché è predominante lo scopo. È stato dunque il mio cammino di quest’anno. L’ho fatto insieme ad altri e non da sola, con i curatori, con chi mi ha aiutato in ufficio e con i ragazzi universitari. In nome della bellezza del lavoro che facevamo insieme sono stata disposta fino all’ultimo minuto a cambiare la virgola. Ecco, quest’anno mi sono sentita veramente un direttore d’orchestra, quello che deve far suonare tanti strumenti e fare in modo che siano accordati, che suonino nello stesso istante, perché possa venire fuori una sinfonia. Potresti farci un bilancio sulle mostre di quest’anno? Quali sono state le più seguite?
Le mostre sono sempre molto seguite e il sistema di prenotazione online ci ha aiutato a renderle più fruibili. Come ogni anno abbiamo una classifica delle mostre più visitate e quest’anno sono state Explorers, Peguy, la Siria e Tolstoj. In generale sono contenta del percorso fatto quest’anno, perché man mano che si visitava una mostra, si scopriva il senso di tanti temi messi insieme contemporaneamente. Si poteva passare dall’esplorazione dello spazio alle figure di Jannacci e Guareschi e non sentirli in contrapposizione, essendo dentro un unico percorso fatto in-
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corso a porsi delle domande, che spesso rischiano di essere considerate scontate. C’è chi è più avanti e chi è più indietro nel percorso, ma anche questo diventa una ricchezza imperdibile, l’uno per l’altro. Ad esempio, una sera, una ragazza che spiegava la mostra Explorers, in un dialogo tra le guide e i curatori, ha affermato «Ripeto continuamente le stesse frasi e anche se siamo solo al secondo giorno di Meeting sono già stufa di fare la guida. Mi colpisce invece l’entusiasmo di Ulisse. Come mai lui fa un’esperienza diversa dalla mia?». In questo dialogo Ulisse le ha risposto: «Il mio segreto? Ogni volta che faccio la visita guidata guardo la faccia di chi ho davanti, come si stupisce o si interroga rispetto a ciò che sta guardando. La domanda che il visitatore ha davanti a me mi fa guardare a quello che sto facendo in modo diverso. Quindi, dato che le persone che ho davanti sono sempre diverse, ogni visita è diversa». Lei ci ha provato ed è fiorita.
Il curatore John Waters mentre spiega la mostra "Generare bellezza. Nuovi inizi alle periferie del mondo". sieme. Vedo che quando i visitatori scoprono questo filo comune che lega tutto, non si vogliono perdere niente. Ad esempio il matematico Laurent Lafforgue ha affermato: «Sto visitando mostre, una diversa dall’altra, ma come fanno a stare insieme contemporaneamente? Ci dev’essere un filo che le lega. Mi rendo conto che ciò che unisce tutto sono questi volontari che danno le loro energie, immedesimandosi con quello che stanno facendo. Questo permette a chi viene da fuori di percepire un’unità di contenuti ed esperienza che colpisce».
Circa trecentocinquanta volontari danno la loro disponibilità a coinvolgersi, durante il preMeeting e poi durante il Meeting, nell’avventura delle mostre e a prepararsi approfonditamente su tematiche specifiche. Com’è possibile questo e come è stato il rapporto coi ragazzi? Il rapporto coi ragazzi universitari è una delle cose più belle del mio lavoro. Per fare le guide alle mostre, i ragazzi si preparano durante l’anno in uno stretto rapporto coi curatori. Questo lavoro delle guide aiuta tutti coloro che stanno lavorando al per-
Ci racconteresti quello che hai visto quest’anno in mostra: aneddoti, incontri particolari, oppure racconti di guide, di curatori o di personaggi? Le mostre di per sé sono un punto di lavoro al Meeting. Ai visitatori chiediamo di immedesimarsi e di osservare, allargando la misura della propria ragione. Quando c’è questa disponibilità è un fiorire di racconti di esperienze. Ognuno, nel pezzo di strada in cui si trovava, era chiamato a fare un’esperienza. In particolare l’ho visto fra i ragazzi e soprattutto fra gli stranieri. Ad esempio una ragazza siriana, una guida alla mostra “Dal profondo del Tempo: all’origine della comunicazione e della comunità nell’antica Siria”, ad un certo punto ha sentito l’esigenza di andare a fondo della propria fede. In un dialogo telefonico con sua madre le ha detto: «Non conosco bene il Meeting, ma per quello che sto vedendo mi è nato il desiderio di approfondire la mia fede». Lo stesso è accadu-
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Un'immagine della mostra "Mondo Piccolo Roba Minima. Le periferie esistenziali in Giovannino Guareschi e Enzo Jannacci". to ai ragazzi del gruppo SWAP, guide alla mostra “EGITTO. Quando i valori prendono vita”. Tra loro c’è chi è cattolico e chi è musulmano, ma nessuno si è sentito a disagio per la propria diversità, anzi tutti hanno fatto esperienza che la loro diversità è un bene. Hanno intuito che il primo punto di verità anche per il loro Paese è quello di guardarsi tra loro come una ricchezza. Tornando a casa mi hanno confidato: «Ancor di più abbiamo il desiderio di conoscere meglio quello che siamo chiamati a vivere». È un punto di verità d’esperienza che mi dà conferma del bene del lavoro che facciamo insieme. Altri incontri particolari? Tra i personaggi che ho accompagnato in visita alle mostre non dimenticherò mai lo sguardo di padre Pierbattista Pizzaballa. Ha
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visitato alcune mostre prima dell’apertura del Meeting, il primo giorno. Aveva un’attenzione particolare, come se ogni parola che gli veniva detta avesse a che fare con lui. Capivi che aveva il desiderio di arrivare fino alla fine del percorso di ogni mostra, non solo per un problema di conoscenza, ma per una certezza di coscienza. Mi sono detta: «Se non guardo così come sta guardando lui mi perdo il meglio». Questo mi ha permesso di iniziare il Meeting in un modo più vero. Oppure il prelato dell’Opus Dei Echevarría Rodríguez Javier. Abbiamo visitato assieme ben sei mostre, ma il tempo era poco e quindi molto velocemente. Tuttavia, ha guardato tutto con molta attenzione e ogni volta che usciva da una mostra diceva: «Continuate così perché que-
sto è un bene per tutti». Ho incrociato anche Corrado Passera mentre visitava la mostra su Peguy e ad un certo punto ha detto al curatore «Mi raccomando si ricordi di mandarmi i testi, perché mi servono per fare economia». Pensa che lavoro interessante, se un uomo per fare economia ha bisogno di Peguy! Alcuni sono rimasti colpiti da come le guide all’interno delle mostre si sentissero veramente a casa. Ad esempio nella mostra di Peguy, dal momento che la visita guidata durava tanto, le guide ogni tanto si inventavano degli sketch per i visitatori. E alla fine questi uscivano commossi e con la domanda: «Ma è già finita?». Per me dunque lo scopo più grande è che l’io di queste persone possa venire a galla, che possa rinascere, commuoversi.
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Da alcuni anni insieme alle esposizioni del Meeting ci sono realtà come quelle degli “Uomini all’opera” e da quest’anno anche “Esperienze e percorsi”, con la presenza ad esempio degli Swap, il Majdan o Mondo Piccolo e Roba Minima… Che contributo danno al Meeting e com’è il rapporto con loro? Gli Uomini all’opera e le Esperienze e Percorsi sono una grande ricchezza. Anche se in
una forma diversa da una mostra, danno lo stesso contributo, ma soprattutto diventano esperienze di vita. Diventano dei luoghi, in cui è più immediato il raccontarsi dell’esperienza. Il rapporto con queste realtà è molto interessante. La cosa più bella è che incontri il cuore dell’uomo. Anche nell’esposizione su Jannacci e Guareschi i ragazzi incontravano questi personaggi con una potenza di do-
manda che è diventata la domanda di tutti. Quindi da Mondo piccolo e Roba Minima, al Majdan, alla mostra sull’Egitto è stato tutto un mettere a tema il cuore dell’uomo. Ad esempio entravi al Majdan e avevi l’impressione di entrare in un luogo periferico, poi improvvisamente ti ritrovavi al centro insieme a loro. Ma al centro di cosa? A centro del cuore dell’uomo.
Un'immagine della mostra "Storia di un'anima carnale. A cent'anni dalla morte di Charles Péguy".
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Un fascino per me Luca, studente di fisica a Bologna, è stato una delle guide della mostra scientifica più visitata al Meeting 2014, “Explorers”. Ma com’è nato il suo coinvolgimento, come è proseguito il lavoro e qual è stata la sua esperienza? Ce lo racconta in prima persona. di Luca Lodovico
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i chiamo Luca Lodovico, ho 25 anni e studio fisica applicata all’Università di Bologna. Vi racconto la mia esperienza legata alla mostra del Meeting 2014 intitolata “Explorers”, riguardante il tema dell’esplorazione e in particolare l’esplorazione dello spazio. La scelta di fare la guida alla mostra “Explorers” è nata quando un mio amico, studente di astrofisica, che aveva spiegato la mostra scientifica del Meeting 2012, ha proposto a me e ad altri ragazzi di ripetere quell’esperienza, collaborando con l’associazione Euresis per la scelta dei contenuti della mostra di quest’anno. Un lavoro intenso Ne è nato un gruppo di cinque persone e un lavoro di circa tre mesi che ha contribuito alla realizzazione di due pannelli, riguardanti le missioni su Giove e Saturno. Questo lavoro ha saputo innanzitutto affascinare me, che di solito trovo gli argomenti astronomici poco interessanti, grazie al confronto con gli altri quattro ragazzi di Bologna e col gruppo di Milano, di cui seguivamo le riunioni tenendoci in contatto via skype. Per farvi capire il clima e il desiderio che animavano in quei mesi il nostro piccolo gruppetto di Bologna, vi dico che, stanchi di conoscere quelli
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del gruppo di Milano, attraverso le foto profilo e i collegamenti (che ogni tanto saltavano!), abbiamo deciso di prendere parte di persona ad uno dei loro incontri, recandoci in giornata a Milano e tornando alle due di notte, nonostante il giorno dopo avessimo lezione al mattino. Grande curiosità La mia adesione era legata alla curiosità di una simile esperienza; in primis un desiderio mio di confronto con l’argomento trattato e, poi, una curiosità legata al cercare di trasmettere agli altri il fascino e l’entusiasmo che generalmente mi animano quando parlo di fisica e materie affini. Le fatiche dei mesi di lavoro hanno messo un po’ in crisi le motivazioni sopra, ma la settimana al Meeting ha ripagato appieno gli sforzi fatti. L’episodio più bello L’episodio più bello di tutta questa esperienza è successo il 28 agosto sera. Erano ormai le dieci e mezza, avevo già spiegato tre volte la mostra: una, come da programma, da 130 persone, più due occasionali, da una decina di persone ciascuna. Ad un certo punto mi si fa incontro una famiglia composta da madre, padre, figlia e nonni materni. La madre mi chiede se possono entrare cinque minuti
per visitare la mostra, dando una rapida occhiata ai pannelli, anche perché suo padre non è mai stato al Meeting e lei ci teneva a fargli vedere quanto più possibile. Io acconsento, li lascio andare, ma dopo un istante mi volto, li inseguo e, nonostante la stanchezza, gli propongo di fare una visita guidata rapidissima. I pannelli, infatti, non raccontavano la mostra, ma erano piuttosto un aiuto alla guida per tenere il filo del discorso e un piccolo approfondimento per i visitatori. Senza una guida avrebbero visto solo delle
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non aveva lasciato solo me in quei giorni. Mi stava facendo compagnia attraverso i personaggi e i contenuti della mostra che stavo spiegando e poi attraverso gli altri ragazzi della mostra, soprattutto i quattro di Bologna, con cui mi confrontavo quotidianamente, anche solo osservando come loro vivevano quelle ore di servizio al Meeting.
belle foto e qualche citazione interessante, ma non si sarebbero portati a casa niente. Gli racconto il cuore della mostra e, in dieci minuti, siamo fuori, tutti contentissimi, col volto raggiante. Ci salutiamo e quello che ho pensato immediatamente è stato cosa potesse averli cambiati così nel giro di dieci minuti. Mi sono detto tre cose: la bellezza della mostra, la possibilità di avere un rapporto più confidenziale, di dialogare faccia a faccia, e il semplice non averli lasciati soli, come recita il titolo del Meeting: “Verso
le periferie del mondo e dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo”. Perché non li ho lasciati soli? E lì ho capito che il mio non lasciarli soli, così come l’aver fatto due precedenti guide “extra” e l’attenzione che col passare dei giorni stavo avendo per quel luogo, nel senso proprio di tenerlo pulito, non nasceva dal mio carattere, che soprattutto a quell’ora della sera facilmente risulta scontroso e tendente al minimo sforzo, ma dal fatto che innanzitutto il destino
La mia frase preferita in mostra In effetti, la mia frase preferita della mostra è una citazione di Erwin Schrödinger che dice: «La domanda che ci assilla è di dove proveniamo e dove andiamo, tutto quello che possiamo osservare da noi stessi è ciò che ci circonda attualmente. È per questo che abbiamo l’ansia di scoprire su di esso tutto quanto possiamo. Questa è scienza, l’apprendere, il conoscere, questa è la vera sorgente di ogni impresa spirituale umana». La raccontavo sempre ai visitatori perché effettivamente per rispondere alle domande che ognuno ha, non occorre pensare a chissà cosa, occorre semplicemente guardare ciò che si ha davanti, cercare lì. Perché è lì quello che innanzitutto può ridestare il cuore: come è successo ai tre astronauti dell’Apollo 8, che nello svolgere la propria missione assistono ad un fatto così sorprendente, inatteso e inimmaginabile, che ritornano bambini, come si può sentire nel video proiettato in mostra e visibile su youtube. Proprio loro che erano addestrati per essere dei robot. “Mi hai fregato” Tornando all’episodio che vi ho descritto, il mattino dopo ne ho parlato con un paio di guide della mostra. Uno di questi lo rincontro qualche ora dopo e mi dice: “Mi hai fregato!”, “Perché?”, “Perché poco dopo quello che mi hai detto è venuto un gruppetto di persone e mi sono offerto di fargli da guida”. “E quindi?”, “È stato molto bello. Grazie!”
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Grazie al cielo c’è il Meeting Cosa succede durante la preparazione di uno spettacolo e in particolare cos’è accaduto durante l’edizione del Meeting appena passata? Lo abbiamo chiesto al direttore artistico degli spettacoli. di Otello Cenci
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razie a Dio c’è ancora un posto dove ci si incontra, ci si confronta e si costruisce insieme mettendo a tema la vita e il suo significato. Che il Meeting non sia solo un festival è noto a tutti, che il Meeting non sia un convegno politico, chi ancora non l’aveva capito, l’ha afferrato con chiarezza quest’anno. Che il Meeting sia un evento che offre l’opportunità a persone di ogni provenienza, che spesso non si conoscono, con storie assolutamente differenti, di religione diversa, di razza diversa, di conoscersi e lavorare insieme a progetti che sono lo spunto per intendere qualcosa in più di se stessi e del mondo che ci circonda, lo scoprono le persone che lo visitano e ancor più quelle che hanno l’opportunità di collaborare alla costruzione dell’iniziativa. Un’eccezionale familiarità Dal mio punto di vista, che da sedici anni curo la direzione del programma artistico, posso testimoniare che durante la preparazione di uno spettacolo si crea un’ecce-
zionale familiarità con il gruppo di lavoro; intensità e verità di rapporto sicuramente provocata anche dai temi della manifestazione, così profondi e universali. Un esempio di questa immediatezza di rapporti è uno splendido pranzo fatto quest’estate con Frankie Gavin, storico leader del ‘Irlandesissimo’ gruppo Frankie and the Dannan. Ci eravamo conosciuti a Dublino, grazie al comune amico John Waters e ci siamo lasciati con l’intenzione di collaborare al più presto. Dopo una fitta corrispondenza per approfondire, definire, dettagliare, ci siamo incontrati la mattina del concerto per andare a pranzo insieme nel tourbillons della fiera. Il pranzo è stato breve, ma la conversazione, una di quelle che si riesce difficilmente ad avere anche con uno dei più cari amici di vecchia data. La libertà con cui si è stati in grado di parlare delle cose che stanno più a cuore, preoccupazioni, dubbi o desideri, è qualcosa di non abituale, ma nello stesso tempo di necessario, di indispensabile. Non si tratta ovviamente di avere uno spazio dove teo-
rizzare sui massimi sistemi, ma di un luogo seriamente umano dove potersi raccontare esperienze, e scoperte utili per vivere. Come disse un’amica coreografa israeliana, venendo per la prima volta al Meeting e partecipando a un incontro: «è bello perché qui la fede è qualcosa di pubblico e non solamente privato ed è trattata non in maniera astratta, ma documentata e confrontata con le proprie esperienze, in ambito artistico, professionale e privato. Io ho abbandonato la mia fede da piccola, ma vorrei riavvicinarla con questa modalità». Una possibilità d’incontro Questa possibilità d’incontro nasce da uomini che partendo da un’ipotesi di lettura della vita, sono interessati a verificarle nei fatti e confrontarla con altre persone. In questo modo spesso, quello che si pensava di dover spiegare, lo capiamo dagli altri. Mi è successo quest’anno in particolare in due casi: con lo spettacolo inaugurale “La Strada” e con lo spettacolo di teatro acrobatico “Una fame che ci vedo”. Le parole
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fico, per il coinvolgimento di Nairobi e di ragazzi provenienti dalle baraccopoli, anche a livello esistenziale. La lettura è stata molto interessante: «La periferia esistenziale è là dove manca il senso per cui impegnarsi tutti i giorni, l’anima che ti permette di riconoscere il valore delle cose, fare delle scelte, affrontare delle difficoltà, muoverti».
Una scena dello spettacolo "Una fame che ci vedo". con cui Francesca Fabbri Fellini ci ha introdotto al pluripremiato film, capolavoro di suo zio, e reso partecipi degli aneddoti personali ad esso legati, sono state per me una scoperta affascinante e l’opportunità di approfondire il significato di un’opera che ha poi illuminato il lavoro di tutta la settimana dell’evento. Lo stesso è avvenuto nella grande avventura vissuta con i ragazzi del Kenya e con Beppe Chirico, Francesco Cavalli, Marco Baldazzi e Padre Kizito. L’allestimento di questo spettacolo acrobatico è stato per tutte le persone coinvolte un’esperienza eccezionale, di quelle dove percepisci chiaramente che qualcosa in te è cambiato, hai fatto un passo, hai imparato qualcosa e ne sei grato. Pur lavorando per diverse settimane in stretta convivenza con tutto il gruppo, mi sono sorpreso ad ascoltare nelle interviste realizzate per il documentario di TV2000, dei giudizi molto meditati e lucidi sia sul percorso fatto insieme sia sull’apporto del nostro lavoro al tema centrale del Meeting. Tutti hanno ringraziato per l’opportunità ricevuta di collaborare al progetto e hanno spiegato il termine periferia, facilmente comprensibile a livello geogra-
Il cuore pulsante del Meeting Tutto ciò è il cuore pulsante della manifestazione e come si vede, nonostante i tempi siano molto cambiati dalla prima edizione di 35 anni fa, il Meeting conserva lo slancio ideale che lo ha fatto nascere. È sorprendente, in questo senso, andare a rileggere oggi il testo con cui si presentava il primo Meeting di Rimini nel 1980: «In troppe parti del mondo la dignità e la vita di milioni di uomini sono quotidianamente offese e calpestate. Questo dolore vogliamo assumere e condividere, prendendo su di noi la responsabilità di essere costruttori di pace. Occorre coraggio per riaffermare la speranza di fronte all’umiliazione e alla violenza, di fronte al dilagare della menzogna e della guerra. Il dolore di chi ha sofferto e continua a soffrire, non è appagato dalle parole di chi promette di individuare i colpevoli,
né di chi chiede la vendetta di un popolo contro un altro popolo. Questo dolore trova consolazione nella presenza di uomini che operano e vivono per costruire la pace nella verità. Perché “la verità”, come ha detto Giovanni Paolo II nell’omelia della Messa del 1° gennaio, è “forza della pace”: questa è la speranza che, anche col Meeting, vogliamo riproporre». Parole oggi più che mai attuali! La situazione di bisogno e di violenza in cui ci troviamo infatti, ci impone quotidianamente la scelta da dove ricominciare, su quale ipotesi costruire la nostra giornata e, di riflesso, che cosa può cambiare il mondo intero. A chi affidarsi per affrontare la realtà da uomini e non fuggirne? Questa personale sfida che coinvolge tutti gli uomini della terra, può essere condivisa al Meeting di Rimini. L’arte si pone all’interno del dialogo come linguaggio universale privilegiato in grado di comunicare con chiunque e di risvegliare la nostra vera natura, i nostri desideri più profondi. La bellezza è la traccia certa della presenza del vero che ci risveglia con la sua presenza e ci fa sospirare per la sua lontananza. Su queste orme ci mettiamo in cammino e al lavoro per preparare la prossima edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli.
Grande Festa - Band Frankie Gavin & De Dannan.
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La potenza del desiderio Un Meeting all’insegna dell’universalità che ha documentato come “il potere del cuore”, il desiderio di felicità e di verità che tutti gli uomini hanno in comune, può veramente mettere insieme e rendere amici uomini e popoli. L’introduzione al libro del Meeting 2014. di Emilia Guarnieri
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ileggendo gli interventi del Meeting 2014, che il libro necessariamente propone solo in parte e talora in forma ridotta, se ne coglie la drammatica attualità e la grande ricchezza culturale. Questo documenta come il Meeting di Rimini, proprio in quanto gesto di popolo, sia capace di ospitare e provocare riflessioni e contenuti utili per tutti e possa essere, anche al di là della settimana in cui si svolge, una risorsa.
Con interventi di BASSETTI, BORGHESI, BUCCELLATI, CARRIQUIRY COPPENS, ECHEVARRÍA, EPIDENDIO, FILONENKO KAIGAMA, MAGATTI, MARCHIONNE, PIZZABALLA SPADARO, TOMASI, VIOLANTE, WARDUNI
LE PERIFERIE DELL’UMANO a cura di Emanuela Belloni e Alberto Savorana
saggi
a cura di Emanuela Belloni e Alberto Savorana “Le periferie dell'umano” BUR Rizzoli Saggi pp. 408 - € 11,00
Le periferie non sono lontane Abbiamo toccato con mano quanto «le periferie non sono lontane, fanno parte del nostro mondo e del nostro vissuto, ci riguardano da vicino», come affermava il saluto inaugurale del presidente Napolitano. È emerso, pur se in forme e letture diverse, che periferia è tutto ciò che è oltre l’angustia di un proprio centro, così come è stato evidente che per “decentrarsi” occorre vivere l’esperienza di un centro. «Il cristiano non ha paura di decentrarsi, di andare verso le periferie», ci ha ricordato il Messaggio di Papa Francesco «perché ha il suo centro in Gesù Cristo». E la reciprocità tra periferia e centro è
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stata indicata in un’intervista da don Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, «Noi pensiamo che le periferie siano un’aggiunta, qualcosa che ci distrae. E invece questa è l’unica modalità con cui affrontando la vita, le circostanze, possiamo capire che cosa è Cristo. Senza questa verifica di Cristo in ogni periferia non possiamo capire che cosa è Lui».
Il libro Meeting 2014 Il libro propone il contributo di alcuni dei protagonisti del Meeting 2014 (accademici, personalità religiose, imprenditori, filosofi, medici, archeologi, scienziati e educatori), che dall’interno del loro lavoro hanno mostrato che la cultura nasce dall’incontro e dalla condivisione con l’altro, che ogni scoperta è l’avvenimento di una novità che si impone, che la ricerca pluridisciplinare accade in un rapporto tra persone. Questa esistenzialità dell’esperienza culturale ha reso possibile il dialogo tra testimonianza e riflessione rendendo evidente l’affermazione di don Giussani,
che «la cultura è coscienza critica e sistematica dell’esperienza». Il potere del cuore È stato un Meeting all’insegna dell’universalità, per la vastità di orizzonti geografici, religiosi, culturali ed esistenziali che ha abbracciato, che ha documentato come “il potere del cuore”, il desiderio di felicità e di verità che tutti gli uomini
LIBRO MEETING
hanno in comune, può veramente mettere insieme e rendere amici uomini e popoli. Di fronte alla tragedia dei massacri e delle guerre, di fronte ai drammi del dolore e della povertà, ma ancor di più in un mondo in cui ogni certezza relativa alla persona umana e ai suoi diritti non emerge più come un’evidenza cogente, cosa può ancora convincere, attrarre, se
non l’esperienza di un desiderio condiviso con gli altri uomini? Nelle pagine di questo libro, così come è accaduto al Meeting, riecheggia la potenza di questo desiderio, che traluce dall’interno di analisi, giudizi, ricerche, esperienze e riflessioni. Il tema del prossimo anno È anche la ricchezza di questi contributi
che ci hanno spinto a mettere a tema per il prossimo anno “il cuore”, domandandoci, con il grande poeta Luzi, «di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?» Termino ringraziando, come è d’obbligo, i curatori di questo libro, consapevole che la vastità dei contenuti proposti nel corso della settimana del Meeting rende il ringraziamento ancor più motivato.
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Dalla fine del mondo Si chiama Enrica, ha 27, è di Urbino ed ora abita in Argentina. Cosa l’ha spinta a venire a lavorare al Meeting e cosa le è rimasto nel cuore di quella settimana? Ce lo racconta in prima persona. di Erika Elleri
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osa ti ha spinto a venire a lavorare al Meeting e ad affrontare un viaggio così lungo? Sono due le ragioni principali. La prima è che era un anno che non vedevo i miei genitori e che non tornavo in Italia, perciò all’inizio dell’anno ho programmato quando tornare. Il criterio che ho usato per decidere il periodo di licenza da chiedere al lavoro (perché comunque ho avuto la fortuna che al lavoro mi abbiamo permesso di
assentarmi ad agosto, cosa non ovvia in Argentina, perché si è in pieno inverno, in pieno periodo lavorativo) sono state le date del Meeting. Non solo perché era un’occasione per vedere tanti amici in un solo posto (e non dover correre su e giù per l’Italia per vedere tutti), ma perché sono cresciuta con il Meeting. Ci vado da quando sono nata e in ventisette anni me lo sono persa una sola volta, perché ero in Argentina in scambio universitario e non potevo per-
Le volontarie del settore Interviste all’Ufficio stampa. Enrica è la seconda a partire da destra.
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dermi le lezioni. Ho fatto la volontaria da quando avevo sedici anni, così per me andare al Meeting significa andarci a lavorare, perché mi sento molto più partecipe e me lo godo molto di più. Il secondo motivo è che avevo i giorni contati per fare tutto quello che volevo fare una volta arrivata in Italia. Volevo sfruttare a pieno ogni singolo giorno e soprattutto volevo stare tutto il tempo possibile con una mia amica, testimone di nozze.
UN LUOGO D’INCONTRO
Enrica e alcuni volontari alla Sala Stampa Meeting. Quando ho iniziato a programmare il viaggio, le ho chiesto come avremmo potuto fare per vederci e stare insieme più di un giorno (perché vivendo all’estero tutte e due, negli ultimi anni i nostri incontri si sono limitati sempre a poco meno di 24 ore ogni sei mesi) e lei mi ha detto: “Io lavoro al Meeting, se vuoi vieni a lavorare con me!”. E così è stato. Come ti ha interpellato il titolo dell’edizione di quest’anno, incentrato sulle periferie? Mi sono sentita provocata prima di tutto perché vivo proprio alle periferie del mondo! È proprio vero che l’Argentina si trova alla fine del mondo, cosiccome ha detto il Papa. Siamo veramente lontani dai “grandi centri di potere”, come gli USA e l’Europa. Questa lontanza la si nota spesso dal fatto che tante cose
di qua non escono sulla stampa internazionale e sento che in fondo, in fondo all’Occidente non interessa molto quello che succede qui e a volte mi dà sconforto questo essere lontani da tutti. La realtà economica in cui ci troviamo, poi, non è delle più propizie. Però, nonostante questa situazione – che per qualsiasi occidentale è inconcepibile (inflazione al 40%, cinque tipi diversi di cambio per una sola moneta, criminalità etc) – posso dire che è vero che il “Destino non ha lasciato solo l’uomo”, così come recita la seconda parte del titolo del Meeting 2014. Lo dico per la compagnia di amici che mi sono trovata qua e per la speranza che si respira. Speranza che mi è stata riconfermata da Padre Charly e dai suoi compagni e di cui il Papa è un costante testimone.
Inoltre al Meeting ho avuto la possibilità di ascoltare ed incontrare persone che vivono in realtà ben più difficili – come per esempio i cristiani perseguitati in Medio Oriente – e mi hanno aiutato a ridimensionare le difficoltà dell’Argentina e a rendermi conto della fortuna di avere compagni di cammino. Cos’hai visto e cos’è accaduto durante questo Meeting? Ci racconteresti degli aneddoti, degli incontri particolari, dei dialoghi? Sono successe varie cose al Meeting, è veramente difficile farne un riassunto. Lavoravo all’Ufficio Interviste della Sala Stampa e con altre tre ragazze ci occupavamo di mettere in contatto i giornalisti delle diverse testate con le personalità distaccate che tenevano gli incontri. Il più delle volte il nostro lavoro consi-
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UN LUOGO D’INCONTRO
steva in parlare con le hostess/steward di queste personalità e aiutarli a trovare uno spazio nelle loro agende per poter rilasciare interviste ai giornalisti. La prima cosa – in ordine temporale – che mi ha colpito è che di fronte alla più volte sottolineata assenza di Renzi i giornalisti si siano come divisi in due grandi gruppi: chi ha deciso di basare il proprio lavoro di tutta la settimana sulla presunta “perdita di potere politico di CL” e chi invece ne ha approfittato per capire davvero che cosa fosse il Meeting. Alcuni giornalisti, che vengono al Meeting da anni, ci hanno rivelato che non erano mai andati in giro per mostre o per i padiglioni, ma che ciò che avevano sempre fatto era andare ai grandi incontri, intervistare la personalità di spicco, montare il servizio, mandarlo al giornale e ricominciare il giorno dopo con la stessa routine. Quest’anno, invece, si sono lasciati sfidare da ciò che gli dicevamo noi e cioè che il Meeting è molto di più del politico che viene a tenere un incontro, e per esempio alcuni hanno accettato il nostro invito ad andare a vedere delle mostre assieme. Ne sono rimasti molto contenti e con molti di loro si è creata, durante la settimana, quella simpatia per cui era venerdì sera, bisognava salutarsi e darsi appuntamento all’anno prossimo, avevamo finito di cenare insieme, ma nessuno se ne voleva andare e si voleva rimanere lì a bere Moscato e a parlare della vita. Un’altra cosa che mi è successa è stata conoscere Padre Charly Olivero, uno dei curas villeros delle villas di Buenos Aires. Sentire il suo incontro e vedere il video che aveva preparato, mi ha fatto pensare: “Ma viviamo davvero nella stessa città?! Ma cosa mi sto perdendo!”. Mi ha colpito molto la testimonianza di questi giovani preti che lasciano tutto per vivere nelle villas (e che allegria che trasmettevano gli occhi di Padre Charly!) e mi ha spalancato gli occhi su una realtà che ho
a pochi km da casa mia, ma che faccio di tutto per evitare. L’ultima cosa che vorrei sottolineare è che nuovamente – così come tutti gli anni – sono rimasta stupita dagli altri volontari. Uno dei ragazzi con cui siamo diventati piu amici è stato uno steward che dovevamo chiamare in continuazione perché era lo steward di una persona che volevano intervistare tutti. L’abbiamo veramente fatto impazzire perché lo chiamavamo anche cinque volte al giorno! Nonostante la nostra “pesantez-
La Sala Conferenze Stampa del Meeting.
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za”, siamo diventate sue amiche, perché ormai, invece di aspettare la nostra telefonata, veniva direttamente a trovarci tutti i giorni per sapere di cosa avevamo bisogno e così, tra un’intervista e un’altra, è nata un’amicizia. Alla fine della settimana ci ha raccontato che è ingegniere aerospaziale, che anche lui vive e lavora all’estero, e che aveva chiesto una settimana di ferie per lavorare come volontario al Meeting. Ecco, di storie così è pieno il Meeting e secondo me è una delle sue ricchezze.
UN LUOGO D’INCONTRO
Come sei tornata in Argentina? Ero partita con vari desideri, uno dei quali era poter offrire il mio lavoro volontario al Meeting per la ricostruzione del mio Paese, l’Italia. Stando all’estero e leggendo i giornali italiani, mi viene spesso una grande tristezza per il momento storico che si trova ad affrontare l’Italia e mi chiedo sempre che cosa possa fare io, da così lontano, per migliorare la situazione. Una volta al Meeting mi sono accorta che lavorare una settimana gratis nel mio Pa-
ese è stata un’opportunità di contribuire, in qualche modo, alla sua “ricostruzione”, attraverso la testimonianza che si può stare al mondo in un modo diverso e questo contribuisce alla costruzione di una nuova società. Inoltre, di ritorno in Argentina ho notato in me un doppio cambiamento. Il primo l’ho notato nel lavoro. Durante il Meeting avevo chiaro che lavoravo gratuitamente, nel senso che non mi aspettavo un riconoscimento da nessuno, ma che lavoravo per aiutare
a costruire la gloria di Cristo in questo mondo. Ritornando in ufficio, mi sono accorta che – nonostante io sia pagata – posso avere la stessa coscienza facendo quello che devo fare. La seconda novità è che voglio mantenere la stessa apertura che si viveva al Meeting, soprattutto nei confronti di persone che possono pensarla in modo diverso. Ho sperimentato nuovamente che l’altro è un bene e non un ostacolo ai miei progetti personali ed è una cosa che mi voglio portare dietro tutto l’anno.
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UN LUOGO D’INCONTRO
Un Meeting di svolta, di ripartenza Eugenio Andreatta, giornalista e responsabile dal 2008 del settore Comunicati Stampa al Meeting ci racconta quello che ha vissuto quest’anno. Un luogo, per lui, che «ha saputo guardare realmente fuori dal proprio orizzonte e che ha messo in gioco la sua identità con simpatia e dialogo autentico». di Stefano Pichi Sermolli
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ual è stato il motivo per cui ti sei coinvolto inizialmente come volontario ai comunicati?
Di comunicati stampa mi occupo tutto l’anno perché di mestiere faccio il giornalista. Nel 2006 mi è venuto in mente di inserire l’e-mail del Meeting nella mia mailing list, pensando che alcune cose che scrivevo potessero interessare. Dopo qualche settimana mi chiama Emma Neri, allora responsabile dell’ufficio stampa, chiedendomi: «Visto che scrivi comunicati da mattina a sera, perché non vieni a farli anche al Meeting?» Ne ho parlato con alcuni amici e ho pensato che avrebbe potuto essere un’esperienza interessante.
Cosa ti ha fatto tornare negli anni seguenti? A Rimini ho incontrato Francesco Bosi, responsabile dei Comunicati Stampa fin dal 1980, un tipo schivo, di poche parole, che non si metteva mai al centro della scena, in compenso però attentissimo alle persone che lavoravano con lui. Il rapporto con Francesco durante il Meeting 2007 per me fu molto importante. Mi faceva seguire incontri di carattere economico - materia a me completamente estranea - dandomi fiducia, che io ricambiavo con comunicati
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dal sapore vagamente goliardico. Lui ridacchiava, ma correggeva il minimo necessario. All’inizio del 2008 fece sapere agli amici del Meeting che per motivi di salute non sarebbe stato presente all’edizione successiva. Morì poche settimane dopo, in seguito a una malattia dal decorso rapidissimo. Penso che la cosa che mi ha fatto tornare al Meeting è avere incontrato Francesco e altre persone come lui, che vivono la fede con un’umanità così grande. Cos’hai visto e cos’è accaduto durante questo Meeting? Oltre a coordinare i comunicati devo correggerli, per cui durante il giorno non posso allontanarmi molto dall’ufficio e non mi è possibile partecipare a incontri o vedere mostre. Quindi da un lato vedo ben poco, dall’altro non mi perdo nulla, perché non c’è incontro di cui non abbia notizia. L’intensità dei vari incontri mi giunge arricchita, come valore aggiunto, dalla serietà e dall’immedesimazione dei miei “inviati”. E quindi da questo particolare punto di osservazione cos’hai percepito? Un Meeting di svolta, di ripartenza. Tutti i Meeting sono ricchissimi di incontri, spunti e suggerimenti. Io però quest’anno ho percepito un Meeting secondo il cuore
I volontari dei Comunicati Stampa del Meeting. di don Carrón, un Meeting che ha saputo guardare realmente fuori dal proprio orizzonte, non ha veicolato “valori” nobili ma tendenzialmente un po’ ingessati, ma ha messo in gioco la sua identità con simpatia e dialogo autentico, come invita a fare don Julián indicandoci l’esempio di papa Francesco. Le periferie in questo senso non
UN LUOGO D’INCONTRO
sono state solo il tema ma un metodo: penso a incontri come quelli con Pizzaballa e Spadaro o alla presentazione della “Vita di don Giussani”. E nel vostro ufficio cosa hai visto? Ho visto le facce degli amici che hanno lavorato con me. L’anno scorso abbiamo cre-
ato un gruppo su Facebook, qualche volta ci troviamo anche durante l’anno, andiamo a vedere delle mostre, a visitare città d’arte. Subito dopo il Meeting di quest’anno Antonio scriveva: «È sempre un piacere lavorare ai comunicati e ogni anno c’è un’ulteriore stretta ai bulloni della nostra amicizia». E Maria Grazia aggiungeva: «Mi mancherete nei
prossimi giorni… mi state già mancando ora, che sono ancora qui. Ma questa mancanza dice che c’è un bene. Bene che in questi giorni abbiamo avuto tutti sotto gli occhi. Per questo sono contenta di sentire questa mancanza. Ha i vostri occhi. Le nostre battute tra un comunicato e l’altro, la vostra intelligenza e il nostro stupore».
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UN LUOGO D’INCONTRO
Hai fatto incontri particolari che ti hanno colpito quest’anno? Ci sarebbero tante cose da dire. Ci sono persone che ti colpiscono sempre. Citandone una sola per tutte, sono sempre colpito dall’umanità e dalla capacità di valorizzare di Rosanna, che lavora in ufficio stampa da quando è nato il Meeting. Un’altra cosa che mi colpisce sempre è che nel nostro ufficio ci sono persone di molte età e professioni - pochi i giornalisti - ma tutti si mettono ugualmente in gioco. Da una parte i giovani, che con la loro freschezza e stupore ci aiutano a guardare con occhi nuovi quello che accade, penso a Concetta che ha raccontato l’anno scorso la sua esperienza al Notiziario Meeting. D’altra parte mi stupisce ancora di più vedere che i vecchi del mestiere, gente con un curriculum professionale di riguardo, lasciano spazio ad altri meno esperti di loro, riservando a se stessi gli incontri più marginali o sulla carta meno accattivanti. Oppure vedere con quale delicatezza affiancano come “tutor” i ragazzi più giovani. Ci racconteresti alcuni dialoghi o momenti privilegiati? Un momento privilegiato è la riunione del mattino, dove ci si dividono i compiti della giornata. A me ha fatto capire molte cose, è sempre un momento fondamentale per “allargare la mente”. Chiedere alle persone com’è andata il giorno prima, cos’è successo di significativo, favorire un giudizio su quello che è capitato, leggere qualche riga dei comunicati del giorno precedente, richiamare servizi del Quotidiano o del TgMeeting aiuta a capire il contesto del Meeting, cosa fondamentale. Ad esempio accorgerti che di quel singolo incontro non ti occupi solo tu ma altri prima o assieme e a te (ad esempio il Sussidiario, il sito internet del Meeting, i social media) serve a recuperare maggiore respiro su quello che si scrive. Mi piace poi pensare al lavoro dei Comunicati Stampa come a una scuola. Per questo negli ultimi due
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Eugenio Andreatta ai Comunicati Stampa anni alle riunioni del mattino abbiamo invitato amici come Giuseppe Frangi, Enrico Castelli, Marco Bardazzi e Luca Gino Castellin, chiedendo cosa significa per loro raccontare il Meeting. E con i ragazzi dei comunicati? Per dire degli altri incontri e momenti privilegiati bisognerebbe fare i nomi di tutti, da Giovanna e Maria Grazia che il primo giorno hanno portato dei vasi di fiori per abbellire l’ufficio, a Marcello, persona di competenza straordinaria che racconta il Meeting fin dalla prima edizione con una discrezione impareggiabile, o il “non credente” - dice lui - Carlo, che però è un punto di riferimento per tutti noi, o Alfredo, il bancario più creativo d’Italia, o Daniela, la nostra inviata di guerra (gli incontri di Micalessin sono riservati a lei) che ci vizia ogni giorno con le specialità di Forlì. Ma davvero bisognerebbe parlare di ciascuno.
Un bel gruppo di lavoro… Noi a volte come responsabili di un settore ragioniamo in modo astratto pensando che dobbiamo aiutare le persone che lavorano con noi a “motivarsi” rispetto al lavoro, invece si tratta solo di dare spazio a ciò che già vivono. Insomma dobbiamo applicare anche noi il principio di sussidiarietà! C’è un episodio che ricordi in particolare in questi anni? Ricordo un momento del Meeting 2011 in cui eravamo in 7-8 contemporaneamente ai pc, tutti assorti a digitare nella nostra stanza, mi è venuto in mente che in quel momento il nostro ufficio non era poi così diverso dall’aula di un monastero altomedievale in cui gli amanuensi copiano in silenzio i testi della Sacra Scrittura, dei Padri o degli autori pagani... in fondo il Meeting è questo, un posto in cui si costruisce e si tramanda una civiltà, come ci disse papa Wojtyla.
VILLAGGIO RAGAZZI
Guardando il volto di un santo La mostra su san Giovanni Bosco al Villaggio Ragazzi del Meeting è stata sorprendente e ha attirato un grande pubblico di bambini, ragazzi e adulti. Per saperne di più abbiamo intervistato una delle curatrici della mostra, Miriam Grandi. di Erika Elleri
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ual è stato il motivo per cui ti sei coinvolta inizialmente? Ci racconteresti qual è stato il percorso che ha portato alla sua realizzazione? Tutto è partito da una proposta. Di Giovanni Bosco io sapevo ben poco, conoscevo certo la sua fama di santo ed educatore, ma della sua persona quasi nulla. Questo fino a qualche mese fa. Poi, un amico mi ha proposto di approfondire la vita di Giovanni Bosco. Così, insieme ad alcuni amici, abbiamo iniziato a conoscere il Santo, non solo leggendo le sue parole e quanto scritto su di lui, ma anche recandoci nei luoghi che hanno segnato la sua vita: a casa sua, ai Becchi, tra le colline astigiane, e poi a Valdocco, in quella che è di-
ventata la sua casa, il primo oratorio stabile, in cui per anni vivrà circondato da centinaia e centinaia di bambini e ragazzi provenienti da tutta Italia. Approfondendo la vita di quest’uomo, un’evidenza ci ha sorpresi tutti: la sua attualità con il tema del Meeting di Rimini 2014, “Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo”. In occasione del bicentenario dalla nascita del Santo, abbiamo scoperto in Giovanni Bosco un testimone innamorato di Gesù che ha speso tutta la sua vita abitando le periferie, non solo quelle geografiche (torinesi) ma soprattutto quelle esistenziali, stando con i carcerati, gli orfani, coinvolgendosi con i ragazzi che incontrava per le strade. E da qui l’idea: perché non proporlo al Meeting?
Cos’è accaduto in mostra e cosa ha colpito maggiormente te e i visitatori? Sono passate a vedere la mostra su don Bosco più di 6000 persone in sei giorni. Molti bambini, ragazzi, genitori, sacerdoti, suore, salesiani, educatori, politici e personalità di diverse professioni. E poi, la cosa più sorprendente: anche un gruppo di carcerati. Gli incontri e i fatti accaduti nella settimana sono davvero tanti e ci testimoniano l’attualità del carisma e dell’esperienza di Giovanni Bosco. Abbiamo fatto esperienza di quello che ha affermato Papa Francesco nel messaggio rivolto al Meeting, cioè di come «chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile», in grado di “attrarre” e affascinare tutti.
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Tra i fatti che ci hanno più colpito ci sono sicuramente lo stupore e la commozione dei visitatori di fronte al racconto dei semplici episodi della vita del Santo. A tutti noi volontari che facevamo da guida ai gruppi, raccontando i fatti, come ci avevano colpito e che cosa ci hanno fatto intravvedere per la nostra vita, è capitato di vedere gente con gli occhi sgranati, stupiti e contenti. Chi ci stava di fronte si sentiva compreso dentro quel “sentirsi amati”. In molti ci siamo sorpresi a chiederci, magari di fronte ai bambini più vivaci, come si sarebbe comportato don Bosco con loro e subito ci si trovava a guardarli in modo diverso, come “un dono più grande”. Un’insegnante che aveva messo uno dei più scalmanati nelle prime file ci ha ringraziato per come abbiamo “preferito” quel bambino, coinvolgendolo nella spiegazione. Una suora salesiana, dopo aver visto la mostra, ha saputo dalla guida che i pannelli erano solo una parte e che c’era anche “la vita dell’Oratorio”, come all’oratorio di Valdocco, con giochi, canti, balli. Allora si è voluta fermare per vedere cosa facevamo. Alla fine mi ha detto: «Ho visto la vita di san Giovanni raccontata dai pannelli prendere vita tra di voi. Ho “respirato” don Bosco». Un sacerdote salesiano ha detto: «Sembra di essere agli inizi, come a Valdocco». Carmen, maestra a Madrid, dopo aver spiegato la mostra ai carcerati, ha commentato: «Facendo il giro per il gruppo dei carcerati ho capito di più come da sempre la Chiesa li ha avuti nel cuore. Don Bosco fino alla fine è andato a confessare in carcere perché quello che gli stava a cuore “è la salvezza di tutte le anime, non importa chi sono e cosa hanno fatto. Tutti possono sperimentare il perdono che Gesù ha portato nel mondo”». Attraverso l’esperienza che abbiamo fatto, abbiamo potuto “guardare il volto di un santo” scoprendo che “il Destino non ha lasciato solo l’uomo”, non ha lasciato soli noi.
di Giovanni, gli occhi di chi mi guardava iniziavano a commuoversi, c’è chi è scoppiato letteralmente in lacrime. Questo è avvenuto tutte le volte che ho spiegato la mostra, con adulti, con ragazzi, con l’ospite del Meeting, con lo steward, con la suora salesiana, o con il prete. Mi è nata subito questa domanda: Che cosa sta succedendo? Chi sta smuovendo così le corde del cuore tanto da commuoverlo? Uno degli incontri che mi ha stupito di più
è stato quello con due ospiti del Meeting: un medico chirurgo venuto per intervenire in un dibattito in fiera e sua moglie. Si sono avvicinati alla mostra, la moglie voleva vederla, da sempre affascinata da Giovanni Bosco, per i racconti che ne faceva il papà salesiano, così si è fatta accompagnare dal marito che si è presentato con l’Ipad in mano. Ho iniziato a raccontare della vita di Giovanni Bosco, del suo fascino, di come, facendo la mostra, abbia scoperto un
Hai fatto incontri particolari, ci racconteresti alcuni dialoghi e momenti con personaggi o persone del pubblico? Ciò che mi ha colpito è stato lo sguardo delle persone che avevo davanti. Man mano che raccontavo gli episodi della vita Una guida spiega la mostra su don Bosco a bambini e ragazzi.
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amico per la mia vita, perché traccia una strada alla felicità possibile per tutti noi. L’Ipad è sparito subito, i due si sono sempre più avvicinati a me e così il loro steward. Io dovevo gridare per farmi sentire perché più avanti c’era un’altra guida con il microfono e poco lontano la banda dei ragazzi suonava. Farsi sentire è stata un’impresa, ma la loro disponibilità cresceva sempre più, il medico ad un certo punto mi si è messo proprio a fianco, perché non
voleva perdersi neanche una parola di quel che raccontavo. Data la situazione, pensavo di riassumere un po’, invece mi hanno chiesto di raccontare proprio tutto. Lo steward, che inizialmente aveva una faccia impassibile, è scoppiato a piangere. Alla fine della mostra mi hanno abbracciato, dicendomi: «Pensavamo di venire qua e scoprire un po’ di più della vita di questo grande Santo e invece torniamo a casa con
in mente e nel cuore i tuoi occhi, sono la cosa più preziosa di questa ora passata insieme». Questi giorni sono stati una possibilità per me e per chi avevo di fronte di conversione del cuore, perché ciò che può smuoverlo è solo una vita, non un ricordo per quanto bello, ma la possibilità oggi di vivere la stessa esperienza di pienezza che ha vissuto Giovanni Bosco. Questo è quello che è accaduto al Meeting.
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APPROFONDIMENTI
Giovane, forte e libero Ma chi era beato Alberto Marvelli, così caro alla città di Rimini, a cui è stata intitolata una scuola e una piazza e qual è la sua eredità oggi? Di questo ed altro ci racconta la professoressa Rosanna Menghi, grande conoscitrice di agiografia. di Rosanna Menghi
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Giovane forte e libero”. Così Giovanni Paolo II a Loreto, il 5 settembre 2004, presentò Alberto Marvelli nel proclamarlo beato davanti ai numerosissimi fedeli raccolti nella spianata di Montorso; nell’agosto immediatamente precedente, il Meeting gli aveva dedicato una mostra dal titolo: “Vivere salendo” a cura del prof. Bruno Biotti e di Mons. Fausto Lanfranchi, autore di diverse pubblicazioni ed articoli sull’amico che, nell’estate del ’44, gli aveva salvato la vita, rischiando la propria, nascondendolo perché non fosse fucilato dai tedeschi come renitente alla leva. “Vivere salendo” è un’espressione che Alberto scrive nel Diario in data 1936, alla vigilia del suo diciottesimo compleanno, e la eredita, se così si può dire, da Piergiorgio Frassati, morto nel 1925 in fama di santità, che dichiara di voler seguire e imitare. Tante iniziative in diocesi e la mostra del Meeting Nel decennale della beatificazione, la chiesa riminese ricorda Marvelli con una serie di iniziative che si susseguiranno nell’arco di un intero anno, fino al 5 ottobre 2015; fra di esse proprio la mostra del Meeting, itinerante per l’occasione e già molto visitata sia durante il Festival Francescano che dagli studenti, nell’esposizione presso la sala dell’Arengo, nonché dai turisti ne-
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gli stabilimenti balneari e dai fedeli nelle diverse parrocchie che l’hanno ospitata fino ad ora; e ancora manifestazioni sportive, corsi d’aggiornamento per insegnanti, spettacoli, un docufilm realizzato per l’occasione, conferenze, un’esposizione a cura di un gruppo di pittori riminesi, numerose nuove pubblicazioni, celebrazioni religiose e, addirittura l’indulgenza plenaria. Il programma, imbastito dalla dott. ssa Elisabetta Casadei e dal suo staff di volontari, è consultabile al sito www.diocesi.rimini.it Ma chi è “questo” Alberto Marvelli a cui è stata intitolata una scuola media di Rimini e, addirittura, la famosissima ex Piazza Tripoli? La vita Nasce a Ferrara il 21 marzo 1918 e nel ’30, con la famiglia, si trasferisce a Rimini dove comincia a frequentare l’oratorio dei Salesiani prima e l’Azione Cattolica poi. È fra le mura domestiche che il dna della sua vocazione cristiana trova fondamento; in particolare la mamma lo educa alla carità: quando la cena nel piatto è scarsa, dice ai bambini: “È passato Gesù”, perché quel che manca è andato a chi ha bussato alla porta per mendicare qualcosa da mangiare. Compagno di Federico Fellini al Liceo Classico Giulio Cesare (definito dal maestro “dolce, biondo, esemplare” in un’inter-
vista del 1970), nel ’41 si laurea a Bologna in Ingegneria Meccanica dopo aver aderito con entusiasmo alla FUCI. Lavora per diversi mesi alla FIAT di Torino prima di essere chiamato al servizio militare che svolge a Trieste e successivamente a
APPROFONDIMENTI
della chiesa di Maria Ausiliatrice, retta dai Salesiani, dove Alberto era stato catechista, animatore della liturgia, compagno di giochi e di studi di tanti ragazzi che avevano imparato ad andare a Messa solo perché dopo, con lui, avrebbero fatto colazione tutti insieme, avrebbero scherzato e avrebbero giocato a pallone. Muore fra le braccia della madre Maria, affranta e incredula: aveva già perduto un figlio di tre anni, Giorgio, sempre in un incidente stradale, sempre sul lungomare. Il giorno del funerale viene dichiarato il lutto cittadino; la città si ferma, le saracinesche dei negozi restano abbassate. Anche gli avversari politici, quelli che non vanno mai in chiesa, sono lì, a trasportare la bara in spalla fino al cimitero. Il corpo del beato, incorrotto, è oggi custodito nella chiesa di Sant’Agostino, in Via Cairoli, dove, nel giugno del ’90, si recò a pregare il prof. Tito Malfatti, affetto da spondilosi, con un dolore all’anca e alla schiena talmente forte da dover interrompere la professione di medico specialista in otorinolaringoiatria; tornò a casa guarito: fu il miracolo che i postulatori attendevano.
Treviso. Dopo la guerra e dopo essere stato per due anni assessore alla ricostruzione, su invito di Benigno Zaccagnini, nel ’46 scende apertamente in politica ed è candidato a sindaco dalla Democrazia Cristiana per l’elezione della prima amministrazione
comunale post bellica. Alla vigilia delle elezioni, il 5 ottobre 1946, viene investito da un camion militare alleato mentre si reca, con l’immancabile bicicletta, a tenere l’ultimo comizio a San Giuliano a Mare. L’incidente avviene proprio in prossimità
Una persona fuori dal comune In realtà Alberto era ritenuto già una persona fuori dal comune quando era in vita: lo additavano ammirati coloro che lo vedevano quasi immobile alla Messa, in ginocchio davanti al crocifisso e al Santissimo: “Io lo guardo e Lui mi parla”; lo stimavano gli amici di scuola e gli stessi professori. In particolare la sua insegnante di Letteratura e Storia dell’Arte, Maria Massani, personaggio di spicco dell’ambiente cattolico di quegli anni, che fondò, fra l’altro, il Movimento dei Laureati cattolici di cui Alberto era presidente, scriverà la prima biografia, raccoglierà una miriade di testimonianze per il processo canonico e metterà ordine nel Diario, un’opera fondamentale per avvicinarsi alla spiritualità di un ragazzo che, fin da giovanissimo, si rivol-
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APPROFONDIMENTI
ge a Dio dichiarandogli il proprio amore e ringraziandolo per il cielo, la montagna che tanto amava (“Se non amassi Dio, credo che arriverei ad amarlo in montagna”), per ogni singola persona incontrata anche solo di sfuggita. “La vita è movimento”, era solito affermare Alberto, ed in effetti si può davvero dire che i suoi ventott’anni li ha vissuti alla grande, senza misura, con un entusiasmo instancabile e la rara capacità di cercare sempre il senso ultimo, oltre le apparenze. Come quando, innamorato di Marilena Aldè, figlia di amici di famiglia, conosciuta da bambina, non smette di attendere una risposta, un sì che non arriverà mai: quell’assenza, anziché fermarlo, lo inchioda all’essenziale, lo pungola a una domanda continua sulla strada da percorrere. Nell’ultima lettera si legge: “Scrivimi pure quando credi, quello che senti, con tutta sincerità e lealtà; sono forte abbastanza per non scoraggiarmi, ho pazienza sufficiente in caso per attendere ancora! Amo troppo il Signore per ribellarmi o piangere su quella che evidentemente sarebbe la sua volontà, ed infine amo te tanto, che desidero solo la
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APPROFONDIMENTI tua felicità, a costo anche di miei sacrifici e rinunce. Tuo Alberto”. Un binomio amore-felicità che va ben oltre l’ambito affettivo e si estende come criterio di giudizio, ad ogni brandello di realtà. Troppo lunga è la lista del bene compiuto, dell’amore donato, della dedizione fin nelle più piccole scelte quotidiane. Già come studente e capofamiglia, dopo la morte del padre, poi come responsabile di gruppi giovanili, il suo stile è inconfondibile e il desiderio è chiaro e sintetizzabile in un’espressione che lui stesso dichiara: “Una meta mi
sono prefisso di raggiungere, oggi, ad ogni costo, con l’aiuto di Dio. Meta alta, sublime, radiosa, preziosa, desiderata da tempo, ma finora mai attuata. Essere santo”. È soprattutto nel terribile tempo della guerra e della ricostruzione, dopo gli interminabili 10 mesi di bombardamenti, che questa umanità potentemente si manifesta, quando un pezzo di pane o un materasso, trovati chissà come e consegnati a chi neppure si conosce, valgono più dell’oro e portano speranza a chi ha perduto tutto. Alberto, servo inutile, fra gli sfollati di Vergiano e di San Marino,
accanto ai cadaveri e ai sopravvissuti estratti dalle macerie, non smette di incoraggiare e sostenere, non si arrende al disastro, cerca, inventa, scopre mille modi per essere d’aiuto. Attento ai bisogni concreti, dona quel che urgentemente serve, anche le scarpe che porta ai piedi tornando a casa, un giorno, con un paio di vecchi zoccoli di legno, ma offrendo al contempo, e soprattutto, se stesso. Disdegna l’assistenzialismo moralistico che si crogiola nel compiacimento; apre un varco fra il presente e l’eterno, perché quell’eterno, per lui, ha il nome più caro: Gesù.
Un’immagine della mostra “Vivere salendo” allestita al Meeting del 2004.
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