Quotidiano Meeting, lunedì 20 agosto 2018

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LUNEDÌ 20 AGOSTO 2018

IN PRIMO PIANO

11,30 CINQUE ANNI DI PONTIFICATO. ALLA SCOPERTA DEL PENSIERO DI BERGOGLIO

Partecipano: Massimo Borghesi, Rocco Buttiglione, Guzmàn Carriquiry, Austen Ivereigh. Introduce: Alejandro Bonet.

AUDITORIUM INTESA SANPAOLO A3

15,00 LA CHIESA IN UN CAMBIAMENTO D’EPOCA

Partecipano: Luis Antonio Gokim Tagle, Philip Jenkins. Introduce: Roberto Fontolan.

AUDITORIUM INTESA SANPAOLO A3

17,00 GIOBBE

Partecipano: Julián Carrón, Mario Melazzini, Salvatore Natoli. Introduce: Monica Maggioni.

AUDITORIUM INTESA SANPAOLO A3

19,00 LE INGIUSTIZIE E LA GIUSTIZIA

Interviene: Giovanni Legnini. Introduce: Roberto Fontolan.

AUDITORIUM INTESA SANPAOLO A3

Quotidiano

#1•ANNO 28

MEETING

«Solo Dio può riempire il cuore» IL MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO AL MEETING: POSSIAMO INCONTRARE COLUI CHE SALVA “Solo Dio, che ci ha fatti con un desiderio infinito, può riempire il cuore della sua presenza infinita; per questo si è fatto uomo: affinché gli uomini possano incontrare Colui che salva e compie il desiderio di giorni felici”. Papa Francesco ha inviato al Meeting un messaggio di saluto tramite il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, e il vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi. “Il titolo del Meeting – si legge tra l’altro nel testo - riprende un’espressione di don Giussani e fa riferimento a quella svolta cruciale avvenuta nella società intorno al Sessantotto, i cui effetti non si sono esauriti a cinquant’anni di distanza. (...) In quel contesto, a un giovane tutto preso dalla ricerca delle “forze che dominano la storia”, don Giussani disse così: «le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice». Con queste parole lo sfidava a verificare quali siano le forze che cambiano la storia, alzando l’asticella con cui misurare il suo tentativo rivoluzionario. Che ne è stato di tale tentativo? Che cosa è rimasto di quel desiderio di cambiare tutto? (...) Questo interrogativo riguarda anche noi cristiani”.

L’EX BR BONISOLI

Vengo disarmato Il desiderio di cambiare il mondo diventa cieca ideologia e la violenza il metodo per applicarla. Franco Bonisoli partecipa all’omicidio degli uomini della scorta di Aldo Moro. In carcere, l’attenzione del direttore inizia

ad incrinare le sue convinzioni e il successivo incontro con la figlia Agnese lo porta a diventare testimone della propria storia. Oggi sarà al Meeting: «totalmente disarmato». (A pagina 3)

Il miracolo di Ninive dopo il genocidio di Fernando De Haro Oggi al Meeting di Rimini verrà presentata la versione italiana di Ninive, il mio film sul genocidio dei cristiani nella pianura che circonda Mosul. Il documentario è stato registrato quando l’Isis controllava ancora la città. A pochi chilometri da dove filmavamo erano in atto i combattimenti e abbiamo avuto l’opportunità di visitare i luoghi che gli jihadisti avevano appena lasciato. In alcune case occupate c’era ancora il cibo dei combattenti. Alcune delle persone che ci hanno aiutato nel nostro lavoro ascoltavano i messaggi radio dell’autoproclamato esercito del nuovo califfato perché volevano

sapere se dovevano fuggire di nuovo. Il film ricostruisce lo svuotamento delle città cristiane come Qaraqosh, Teleskof o Batnaya quattro anni fa. Sono fuggite 120.000 prima dell’arrivo degli jihadisti. Non è stato ancora chiarito perché l’esercito iracheno e i Peshmerga (l’esercito curdo) non li hanno protetti. Era

semplicemente a causa della debolezza di coloro che avrebbero dovuto difendere la popolazione civile (in questo caso costituita da battezzati)? È una follia pensare, come sostengono alcuni, che ci fosse una sorta di accordo per la spartizione della Piana di Ninive, zona contesa tra sunniti, sciiti e curdi? (Segue a pagina 3) ▶

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Italiani, identità di un popolo. Incontri a cura di Violante

Lavoro: fare impresa fra musica e street food

Cura e salute: i descamisados dell’assistenza


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PRIMO PIANO

20 AGOSTO

Giobbe e Dio, rabbia d’amore IL GRIDO DELL’UOMO DI FRONTE AL MISTERO DELLA SOFFERENZA QUELLA DOMANDA DISPERATA NON È UN MALE DA CURARE di Maurizio Vitali

Una delle sale della mostra “C’è Qualcuno che ascolta il mio grido?” in Piazza A1

di Federica Capaccioni

«Io grido a Te, ma Tu non mi rispondi, insisto, ma Tu non mi dai retta. Sei diventato crudele con me e con la forza delle Tue mani mi perseguiti» (GB 30, 20-21). Un linguaggio ardito, un’accusa quasi blasfema. Sorprende scoprire che a pronunciarla nei confronti di Dio sia Giobbe, uno dei protagonisti dell’Antico Testamento. La mostra “C’è qualcuno che ascolta il mio grido?” permette di scoprire questa figura, che durante la sua vita si vedrà privata di tutto, pur essendo un uomo giusto. I visitatori si inoltrano all’interno della mostra e percorrono questo dramma in un allestimento soffocante, che però permette di immedesimarsi meglio con il dolore, il grido e le domande del protagonista. Infatti, un masso enorme, simbolo della sofferenza di Giobbe, gravita sulle teste dei visitatori fin dall’entrata. «Se ben si pesasse la mia angoscia (…) certo sarebbe più pesante della sabbia del mare! Per questo le mie parole sono

Davanti a un dolore che si fa nostro così avventate, perché le saette dell’Onnipotente mi stanno infitte!» (GB 6, 2-4). Giobbe pone un lamento rivolto ad un Tu, a differenza dell’uomo moderno che domanda senza chiedere una risposta. Sin dall’Illuminismo i filosofi ragionarono sul problema del male, prima inteso come calamità naturale, poi come malvagità umana. Il grido di ingiustizia e di sofferenza porterà al rinnegamento dell’esistenza di un dio per molti e alla difesa di un ragionamento per altri.

Un velo in seguito, offusca la mente dei visitatori per simboleggiare i falsi amici che distorcono la realtà. Proprio come accade a Giobbe, poichè circonato da accaniti difensori della dottrina della retribuzione. Gli eventi drammatici sono segno di una colpevolezza; seguono un ragionamento astratto, e fanno fuori il rapporto con la realtà. Giobbe a questo punto si impegna a capire e usa la ragione per farlo. Si rivolge al tribunale terreno. Ma solo Dio può appagare la sua domanda. «Ha forse un padre la pioggia? O chi mette al mondo le gocce della rugiada?» (GB 38, 4-5.28). È in questo rapporto che Giobbe cambia, perché vede Dio presenza conreta del reale. Agli occhi dei visitatori si presenta una vita piena di angosce e ingiustizie. “Perché?”, si domanda ad ogni passo sempre più fortemente. Ma una risposta purtroppo non c’è e si è posti davanti allo stesso bivio di Giobbe: vivere la sofferenza dentro a un rapporto o lasciarsi schiacciare da essa? •

Quando accadono disgrazie, siamo abituati a reazioni come “si poteva evitare”, “qualcuno deve pagare”, “vogliamo giustizia”. Vedi da ultimo la tragedia del ponte Morandi a Genova. Si sono messi in campo anche degli psicologi, come è giusto che sia, perché lo shock da trauma non va preso sottogamba. Però quando qualche strizzacervelli spiega che “si tratta di proteggere le persone, che devono elaborare il lutto e far uscire dalla testa un ricordo così drammatico”, si sente puzzo di fregatura. C’è un pannello nella sezione “L’anti-Giobbe” che spiega dove sta la fregatura. Si riferisce all’incidente aereo di Barajas del 2008 che provocò la morte di 154 persone e vide lo Stato attivare all’uopo una brigata di psicologifunzionari. La fregatura sta nel censurare la struggente e disperata domanda di un perché, magari riducendola a patologia. Una mamma che ha visto due figli maciullati da calcestruzzo e tondini non accetterà simili nefandezze. Le domande di senso che costituiscono l’essere umano, “hanno mosso l’occidente dall’antichità e la risposta ad esse ha costruito la civiltà europea”. Un particolare, nella mostra, che invita al grido di Giobbe davanti alle immani tragedie come agli intimi dolori.


IN PRIMO PIANO

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«Ora la mia arma è l’ascolto» BONISOLI, EX BR OGGI AL MEETING: «UN INCONTRO HA ABBATTUTO L’IDEOLOGIA» di Leonardo Cavallo «Sono qui totalmente disarmato, anche del mio vecchio ruolo, per mettermi in ascolto degli altri». A dirlo è Franco Bonisoli, ex brigatista che ha partecipato all’omicidio degli uomini della scorta di Aldo Moro: Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Domenico Ricci e Oreste Leonardi. Durante gli anni di carcere si è dissociato dalla lotta armata e, una volta uscito, si è impegnato in un percorso di riconciliazione con i parenti delle vittime, fino a tenere una testimonianza davanti ai giovani che partecipavano alla veglia in preparazione del Sinodo voluto da papa Francesco. Si può definire “ex” un terrorista? «“Ex” perché lo sono stato, ma oggi sono un’altra cosa. C’è chi dice che esistono gli ex terroristi, ma non gli ex assassini. Non sono d’accordo: sei uno che in passato ha ucciso, ma non sei il crimine che hai commesso». A proposito del titolo del Meeting, quale forza la muoveva? «L’ideologia. Volevo cambiare il mondo. Prima di tutto volevo donare la mia vita per una causa». Donare? «Donarla per una causa astratta, per le future generazioni. Era la convinzione di spendersi generosamente per una cosa buona. Ero disposto a sacrificare la vita degli altri sull’altare dell’ideologia. Ero disposto a sacrificare anche la mia perché, seppur giovanissimo, ero convinto che sarei finito ammazzato oppure in galera. Per uccidere una persona devi prima reificarla, renderla solo un oggetto nella tua mente. Così elimini la tua umanità, quindi non potrai costruire un mondo migliore. Avevo una spin-

(Continua da pagina 1)

La regione che circondava Mosul era già, negli anni Settanta del secolo scorso, un luogo in cui veniva portata avanti un’intensa politica finalizzata a modificare la composizione demografica in favore dei sunniti. Quattro anni fa la città di Ninive erano molto attraente per un Kurdistan definitivamente, indipendente che mirava a estendere i suoi confini dalla vicina Erbil. Lo era anche e lo è tuttora per sunniti e sciiti. Proprio in questo mese di agosto il Consiglio della Provincia di Ninive ha affrontato il Governo federale che voleva insediare 450 famiglie di sunniti a sud e a est di Mosul. Un anno dopo la liberazione definitiva di Mosul, i cristiani stanno tornando nelle loro città d’origine. È un miracolo se si tiene conto della situazione in cui sono state lasciate. Erano autentiche città fantasma, come si può vedere nel documentario. Distrutte dai feroci combattimenti tra l’Isis da una parte e l’esercito iracheno e i Peshmer-

Franco Bonisoli: dalla lotta armata alla riconciliazione con i familiari delle vittime

ta esistenziale positiva, ma il metodo era quello sbagliato: la violenza. Ci appellavamo alla Resistenza e alle rivoluzioni russa e cinese perché c’era un vuoto. Eravamo inascoltati all’interno di una società bloccata, in cui, neppure all’interno delle famiglie, era possibile una discussione. Così ci siamo diretti verso l’uso della forza. Ma il metodo della violenza stravolge e nega i valori originali. Mentre lo portavamo avanti non ce ne eravamo accorti. Applicavamo delle teorie ben precise, perché avevamo visto che la via pacifica non poteva portare a comunismo. La coerenza tra parole e fatti era l’uso delle armi». Che cosa ha significato dissociarsi? «All’inizio vedevo la dissociazione degli altri come un tradimento. Ci fu la fase del pentitismo, in cui chi

La coerenza tra parole e fatti era l’uso delle armi entrava nella lotta armata sapeva che avrebbe potuto lasciarsi una porta aperta per tornare indietro. Tanti non scelsero le armi solo per opportunismo e non per contrarietà. Per non perdere quello che avevano. Dissociarsi innanzitutto è un cambiamento nel comportamento. Mi sono sempre rifiutato di prova-

Il miracolo di Ninive dopo il genocidio ga dall’altra. I bombardamenti, necessari, degli americani, avevano danneggiato tutto. Le chiese erano state profanate, le tombe aperte e saccheggiate. In questo momento il 45% delle famiglie fuggite è tornato, il 35% delle case che sono state distrutte è già abitabile. Anche i lavori di recupero delle chiese stanno avanzando. Cos’ha reso possibile questo miracolo a Ninive? Certamente la fedeltà dei cristiani dell’Iraq alla loro vocazione. Non si può capire come mai delle persone che hanno sofferto così tanto molte di loro erano già fuggite due volte prima di lasciare Ninive - sono tornate al loro luogo di origine senza la consapevolezza che per loro essere lì è un modo per rispondere alla missione che Dio gli ha affidato. L’aiuto internazionale è stato d’altra parte decisivo. È stato essenzia-

le che nel 2016 il Segretario di Stato degli Stati Uniti dichiarasse che ciò che accadeva era tecnicamente un genocidio. Con Trump alla Casa Bianca, così vicino all’Arabia Saudita, quella dichiarazione non ci sarebbe stata. Ed è stato determinato anche il pronunciamento nella stessa direzione del Parlamento Europeo. Vergognosamente non c’è mai stata una dichiarazione simile da parte dell’Onu, che ha ceduto alle pressioni di Riad. Da ciò si deduce che la mobilitazione politica, a livello nazionale e internazionale, è molto importante quando si tratta di affrontare la persecuzione dei cristiani. Quelli iracheni hanno una fede da cui si può imparare, vescovi con senso della storia e laici capaci di muoversi in modo intelligente nell’infernale scacchiere iracheno. E poi chiaramente ci sono i soldi.

re a contattare le vittime con il solo scopo di far una buona impressione sul giudice, ma in galera sognavo di ricomporre un dialogo con loro. In carcere, invece che portare avanti un atteggiamento di chiusura totale, un direttore ha iniziato a prenderci in considerazione. Ricevere un’attenzione, per noi detenuti, ha significato molto. È stato importante anche il ruolo delle donne, che, per prime ,hanno detto basta all’uso di un linguaggio ideologizzato». Come è diventato realtà il sogno del dialogo con i parenti delle vittime? «Il cardine è stato l’incontro con Agnese Moro, che ha centrato il discorso sul presente: “dimmi chi sei ora”. Prima pensava che fossimo tutti dei mostri e che il dolore fosse solo il suo. È rimasta colpita che chiedessi dei permessi per andare al ricevimento professori. Abbiamo dato vita a degli incontri di riconciliazione in cui ci siamo detti cose indicibili e inascoltabili, ma ce le siamo dette e sentite. Finiti gli incontri mangiavamo e lavavamo i piatti insieme». Lei ha detto che ha cercato di trasformare il senso di colpa in senso di responsabilità. In che modo? «Devi decidere cosa fare: già che sei ancora in vita, o rimani a macerarti, oppure devi avere l’umiltà di metterti in gioco. Adesso testimonio la mia esperienza. I miei valori, a cominciare dal fatto che nessuno debba patire la fame o lo sfruttamento, sono ancora gli stessi, ma è cambiato il metodo». Oggi che strada percorrere? «Essere protagonisti, porsi tante domande e cercare le risposte. Le generazioni più adulte devono mettersi in ascolto delle più giovani». •

Il Governo di Baghdad ha appena stanziato fondi per la ricostruzione e i 7 milioni che sono già stati spesi provengono dalle donazioni di organizzazioni ecclesiali, specialmente cattoliche. Il patriarca Sako ha recentemente ricordato la necessità di disarmare le milizie confessionali, che condizioneranno sempre Ninive, e la convenienza a rafforzare l’esercito nazionale. Il cardinale di Baghdad non smette di insistere sul fatto che è necessario un progetto-Paese affinché l’Iraq esca fuori dal tunnel in cui è entrato con la guerra del 2003. Cosa farà il Governo che si formerà nei prossimi giorni, dopo la vittoria della coalizione guidata dal religioso sciita Muqtada al Sadr (un grande nemico degli Stati Uniti, lontano dall’Iran e determinato ad avvicinarsi ai sunniti), resta un’incognita. Ninive mostra come una circostanza così avversa come un genocidio possa essere l’occasione perché la fede cresca. Fernando De Haro



IN PRIMO PIANO

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«Cristo, l’inizio della storia nuova» IL SALUTO DEL PAPA: RAGIONEVOLE SPERARE IN UN MONDO MIGLIORE Pubblichiamo ampi stralci del messaggio di Papa Francesco al Meeting giunto tramite il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, e il vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi. Il testo integrale è sul sito www.meetingrimini.org. Anche quest’anno il Santo Padre Francesco desidera far pervenire un cordiale saluto agli organizzatori, ai volontari e ai partecipanti al XXXIX Meeting per l’amicizia fra i popoli, saluto al quale unisco il mio personale augurio per la buona riuscita dell’evento. Il titolo del Meeting, "Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice", riprende un’espressione di Don Giussani e fa riferimento a quella svolta cruciale avvenuta nella società intorno al Sessantotto, i cui effetti non si sono esauriti a cinquant’anni di distanza, tanto che Papa Francesco afferma che «oggi non viviamo un’epoca di cambiamento, quanto un cambiamento d’epoca». (...) In quel contesto, a un giovane tutto preso dalla ricerca delle “forze che dominano la storia”, Don Giussani disse così: «le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice». Con queste parole lo sfidava a verificare quali siano le forze che cambiano la storia, alzando l’asticella con cui misurare il suo tentativo rivoluzionario. Che ne è stato di tale tentativo? Che cosa è rimasto di quel desiderio di cambiare tutto? Non è questa la sede per un bilancio storico, ma possiamo riscontrare alcuni sintomi che emergono dalla situazione attuale dell’Occidente. Si torna a erigere muri, invece di costruire ponti. Si tende a essere chiusi, invece che aperti all’altro diverso da noi. Cresce l’indifferenza, piuttosto che il desiderio di prendere iniziativa per un cambiamento. Prevale un senso di paura sulla fiducia nel futuro. E ci domandiamo se, in questo mezzo secolo, il mondo sia diventato più abitabile. Questo interrogativo riguarda an-

che noi cristiani, che siamo passati attraverso la stagione del ‘68 e che ora siamo chiamati a riflettere, insieme a tanti altri protagonisti, e a domandarci: che cosa abbiamo imparato? Di che cosa possiamo fare tesoro? (...) Chi salverà oggi questo desiderio che abita, seppure confusamente, nel cuore dell’uomo? Solo qualcosa che sia all’altezza della sua brama infinita. Se infatti il desiderio non trova un oggetto adeguato, rimane bloccato e nessuna promessa, nessuna iniziativa potranno smuoverlo. Da questo punto di vista, «è perfettamente concepibile che l’età moderna, cominciata con un così eccezionale e promettente rigoglio di attività umana, termini nella più mortale e nella più sterile passività che la storia abbia mai conosciuto» (Hannah Arendt).

L'uomo salvato è il protagonista sulla scena del mondo

Solo Dio, che ci ha fatti con un desiderio infinito, può riempire il cuore della sua presenza infinita; per questo si è fatto uomo: affinché gli uomini possano incontrare Colui che salva e compie il desiderio di giorni felici, come ricorda un passo del Documento di Aparecida (29 giugno 2007). (...) Il Santo Padre, ringraziando per l’esposizione dedicata al grande Santuario mariano di Aparecida, offre tale passo come contributo all’approfondimento del tema del Meeting: «L’avvenimento di Cristo è [...] l’inizio di questo soggetto nuovo che nasce nella storia [...]: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus caritas est, 1). [...] La natura stessa del cristianesimo consiste, pertanto, nel riconoscere la presenza di Gesù e seguirlo. Questa fu la bella esperienza di quei primi discepoli che, incontrando Gesù, rimasero affascinati e pieni di stupore dinanzi alla figura straordinaria di chi parlava loro, dinanzi al modo in cui li trattava, dando risposte alla fame e sete di vita dei loro cuori. L’evangelista Giovanni ci ha raccontato, con forza icastica, l’impatto che la persona di Gesù produsse nei primi due discepoli, Giovanni e Andrea, che lo incontrarono. Tutto comincia con la domanda: “Che cer-

Papa Francesco

cate?” (Gv 1,38). Alla quale fece seguito l’invito a vivere un’esperienza: “Venite e vedrete” (Gv 1,39). Questa narrazione rimarrà nella storia come sintesi unica del metodo cristiano». Il Santo Padre augura che il Meeting di quest’anno sia occasione per approfondire o per accogliere l’invito del Signore Gesù: «Venite e vedrete». È questa la forza che, mentre libera l’uomo dalla schiavitù dei “falsi infiniti”, che promettono felicità senza poterla assicurare, lo rende protagonista nuovo sulla scena del mondo, chiamato a fare della storia il luogo dell’incontro dei figli di Dio col loro Padre e dei fratelli tra loro.

«LA VITA DELLE TRE B» Il vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi, ieri mattina ha celebrato in auditorium la Messa che ha aperto l'edizione 2019 del Meeting (nella foto). Nell'omelia Lambiasi ha commentato il brano evangelico dove

Gesù dice: «chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui». Ha osservato il vescovo: «la comunione con il corpo e il sangue di Cristo rende la vita secondo la legge delle "tre B": bella, buona e beata».

Il nunzio che abbatte i muri MONSIGNOR PIERRE: LA VERA RIVOLUZIONE È QUELLA DEL CUORE di Alberto Castagna «La vera rivoluzione è la rivoluzione del cuore». Con queste parole monsignor Christophe Pierre ha risposto all’esigenza di cambiamento del nostro tempo. Da poco nominato Nunzio apostolico negli Stati Uniti, dopo aver rappresentato la Santa Sede in Nuova Zelanda, Africa e Messico, ha accolto con gioia ed entusiasmo l’invito del Meeting, citando nel suo intervento i testi di Giussani, Savorana e Carròn. Obiettivo dell’incontro era approfondire la domanda centrale di questo Meeting: "quali sono le forze che muovono la storia e rendono l’uomo felice?" Sconfessando

le risposte di chiusura identitaria già in atto in molti paesi, Pierre ha sottolineato l’importanza di riprendere la risposta geniale, data nel ’69 da don Giussani, ad uno studente che voleva imporgli di seguire le forze che fanno la storia: «La forza che fa la storia è un uomo che ha posto la sua dimora tra di noi, Cristo». Anche oggi, come nel ’68, la velocità evolutiva della tecnologia e della comunicazione ha generato drastici e profondi cambiamenti nel tessuto sociale, a cui è conseguita una grande difficoltà nella trasmissione di valori e ideali. E «una società in cui le generazioni non sono più in

grado di comunicare tra loro è una società a rischio». Oggi gli uomini sono uniti dalla condivisione dello stesso desiderio, ma sono separati dalle differenze identitarie. Di fronte a questo scenario il Nunzio apostolico ha individuato due possibili atteggiamenti: la costruzione di muri, che porta l’uomo all’isolamento, e l’apertura nei confronti dell’altro, che lo porta all’incontro. In questa prospettiva ha messo in risalto l’importanza della Chiesa, nella sequela di Papa Francesco, per «testimoniare il messaggio di gioia e speranza nate dall’incontro con Gesù».

Monsignor Christophe Pierre



PERSONAGGI

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Italiani, identità di un popolo RADICI E APERTURA: QUATTRO INCONTRI CURATI DA LUCIANO VIOLANTE di Oreste Malatesta

“Essere Italiani” è un ciclo di quattro incontri, curato da Luciano Violante mosso dalla preoccupazione di affermare un’identità positiva presente nella tradizione del popolo italiano; un’identità, che, per usare le parole del Meeting di due anni fa, considera l’altro come risorsa. Le radici di questa identità aperta e tollerante derivano da una molteplicità di modi di sentirsi italiani, che è stata sempre presente nella storia del Paese. Violante è preoccupato per l’affermarsi, in Europa e segnatamente in Italia, di nazionalismi che esprimono un’idea di identità estranea alla tradizione culturale del popolo italiano. Il nazionalismo espresso anche da alcune forze politiche considera l’altro come avversario, come un pericolo per l’identità della comunità e per la sua stessa esistenza. In questo senso gli atteggiamenti di suprematismo e di razzismo - che, in alcuni casi, non si limitano a espressioni verbali ma si manifestano con ingiustificate violenze nei confronti degli immigrati - sono una errata rappresentazione dell’identità nazionale. Con gli incontri programmati, Vio-

Luciano Violante

lante ha proposto l’esempio di persone che hanno esercitato in forma responsabile e creativa il loro impegno, affermando nella comunità nazionale una cultura finalizzata alla valorizzazione, e non all’esclusione, dell’altro. Particolarmente significative, per Violante, sono apparse in questo senso le esperienze raccontate da Diego Piacentini, che è il commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale del Governo

italiano, che ha introdotto nella PA la rivoluzione digitale già sperimentata in molte aziende private. Anche nel campo della creatività artistica e sociale, dove, per esempio, l’attore Gabriele Lavia e lo stilista Brunello Cucinelli sono espressione di una genialità propria del popolo italiano, che valorizza tutto e tutti. Essi esprimono un modo di essere cittadini attivi e responsabili, che hanno risposto affermando il loro ingegno dialogando e lavorando con tutti, senza escludere o emarginare nessuno. Violante ha voluto condividere questa preoccupazione con il popolo del Meeting, con il quale si incontra volentieri proprio perché rappresenta un soggetto sui generis, educato a dibattere liberamente: negli incontri si dialoga tra persone che vengono da esperienze diverse, si costruiscono concetti e si fa formazione. L’ex presidente della Camera dei deputati viene volentieri in questo luogo perché ha visto, negli organizzatori del Meeting, un serio impegno educativo che favorisce la ricerca della verità, senza pregiudizi, insieme a quelle persone che hanno modi di concepire e di affrontare la vita in modo diverso.

Questa curiosità e questo interesse nell’indagare la realtà per cogliere la verità non sono stati solo tratti caratteristici della sua professione di magistrato prima, e di politico poi, ma una esigenza sempre viva nella sua persona. «Il desiderio di incontrare l’altro e di costruire insieme nelle differenze» (dal messaggio del presidente Mattarella al Meeting) ben si attagliano alla persona di Luciano Violante e spiegano il motivo della sua simpatia verso ciò che ogni estate accade a Rimini.

La vera cultura considera l’altro una risorsa


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INCONTRI

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Fare impresa fra musica e street food B1: LA PIAZZA DEL LAVORO

Dialogo fra volontari in Mesharea talk

di Benedetta Parenti

Una delle grandi novità di quest’anno ha aperto ieri i battenti al pubblico: la MeshArea Intesa Sanpaolo. Divanetti comodi al centro, stand tutti intorno e un palco sul retro, senza dimenticare un simpatico camioncino adibito a street food al lato. Inizia così a prendere forma una piazza vera e propria per un dialogo continuo, che abbia come focus il lavoro e le sue varie implicazioni. Il momento talk è introdotto da Massimo Ferlini, presidente di Formaper, a seguire brevi interventi di quindici minuti di professori universitari e imprenditori, con possibilità di domande alla fine di ogni intervento. Si parla di fondi europei, corsi di formazione e nuove tecnologie per favorire il dialogo fra dipendenti e imprese. «È il mio primo Meeting confessa sorridendo Gianmarco Guerrini, mentre si accomoda con sua figlia sui diva-

netti - e sono molto grato che mi abbiano invitato, sono sempre stato affascinato da questo luogo per una serie di ideali che condivido». Guerrini, Ceo di Gefar Services, ha sviluppato soluzioni innovative, quali piattaforme e app, per favorire il dialogo fra dipendenti e aziende. È convinto che sia il benessere del lavoratore a incrementare la produttività: «Lo ha detto anche il Papa agli operai dell’Ilva: “il vero imprenditore conosce i suoi lavoratori”». Sua figlia Margherita, diciannove anni, incalza: «comunicare con le app è normale per i giovani di oggi. È un’idea semplice: dove stai bene e ti senti ascoltato, lavori meglio». Mentre padre e figlia continuano a dialogare sul divanetto, gli stand iniziano a popolarsi: Cisl, Caf, Nestlè, Miur, Fondimpresa, Formatemp, Alamo, Seip e quello della regione. Allo stand della Galdus, una ragazza organizza su una

scrivania le varie offerte di lavoro a loro pervenute, poco più in là troneggia il banchetto Afol, dove gratuitamente si può ricevere un aiuto su come scrivere un curriculum. «Privato e pubblico si stringono qui la mano per la prima volta, così da avvicinare le domande con le richieste di lavoro. È importante guidare i giovani verso la ricerca di una professione adeguata alle loro esigenze», spiega soddisfatta Tiziana Montella, responsabile per la comunicazione. La sera stessa il loro presidente, Diego Montrone, è il protagonista di una conferenza “spettacolare”, dove, attraverso la musica, illustra come guidare un gruppo di lavoro: «Grazie alla mia professione di direttore d’orchestra mi sono accorto delle qualità di un vero leader. Le sue indicazioni devono essere precise e coerenti ma, al contempo, deve rendere chiaro il punto di arrivo, così da lasciare

un certo spazio alla creatività del singolo», spiega Montrone mentre sorseggia un caffè nel suo stand. Nel frattempo, poco più in là, nello stand patronato Sias, un lavoratore ucraino chiede di essere aiutato a calcolare quanto ha maturato di pensione. Roberto Milaneschi, uno dei responsabili, commenta: «i giovani non sanno leggere le informazioni previdenziali. Tutto questo è assurdo in un’era digitalizzata, ma è così. È il primo anno che ci troviamo fuori dai padiglioni della Cdo, speriamo che questa nuova MeshArea sia l’occasione per incontrare più persone possibile». Da questa prima giornata, già si vede una piazza, forse addirittura un mercato, certamente un punto di incontro che “matcha” diversi bisogni e necessità, su due poli così scottanti come trovare lavoro e fare impresa.


iNCONTRI

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La scienza e il mistero del dolore

I LIMITI DELLA MEDICINA di Davide Grammatica

Giancarlo Rastelli, cardiochirurgo e scienziato, diceva che la prima carità che l’ammalato deve avere dal medico è quella della scienza. Alla Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota, dove lavorava, ora c’è Andrea Mariani, professore di chirurgia ginecologica e primo a parlare all’incontro “Carità e scienza. Il mistero della relazione di cura”. Le idee sono chiare: carità e scienza vanno di pari passo, perché la semplice carità non cura, accompagna, e la scienza, d’altra parte, rischia di diventare uno strumento che allontana dal fine ultimo del lavoro di un medico, il paziente. «Se il bisogno non è al centro e non guida la clinica, ovvero la cura, la ricerca e l’educazione, allora è molto facile finire per vedere solo delle “budella”, non più una persona», dice Mariani: «e questo si può evitare solo allenando la generosità (poco fedele, e che si

stanca facilmente) propria del cuore dell’uomo». Facendosi aiutare e riprendere dagli amici che si hanno accanto, perché «è ciò a cui apparteniamo che ci dà uno sguardo diverso sul malato». La relazione medico/paziente si è molto evoluta negli anni: «un passo fondamentale è stato certo l’entrata in vigore del “consenso informato”», dice Roberto Bernabei, presidente di Italialongeva: «ma la questione è ancora abbastanza contorta. Se da un lato, infatti, la libertà di informazione del paziente è un diritto, dall’altro la cruda verità, per esempio davanti a un malato terminale, rischia di spegnere quella speranza che è anch’essa un diritto». La speranza è «qualcosa che non si può rubare», continua Mariella Enoc, presidente dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù: «perché il male è qualcosa che, in un modo o nell’altro, va vinto, prendendo con-

Studenti delle Marche in viaggio nella MeshArea di Davide Amata

Da oggi a venerdì cinque classi di studenti marchigiani seguiranno gli incontri della MeshArea. «Sono in cerca di punti di riferimento sottolinea Loretta Bravi, assessore regionale all’istruzione, alla formazione e al lavoro - la regione Marche da vent’anni è presente al Meeting. La ricchezza degli incontri della MeshArea è un dono per i ragazzi, e hanno l’opportunità di partecipare. Verranno cinque pullman fino a venerdì, ci saranno istituti tecnici superiori e licei. La nostra vita è fatta di testimonianze, incontri e accompagnamento. Giovedì la regione Marche con la presenza del pianista Giovanni Allevi e di studenti di Arquata

del Tronto proporrà un incontro sulla ricostruzione post sisma». La MeshArea è un luogo di opportunità per affrontare la ricerca del lavoro. «L’istruzione e il lavoro sono unite dalla formazione. Vanno svecchiate le politiche del lavoro ed è necessario investire sulla persona». Le Marche ospitano un importante patrimonio artistico, la sua valorizzazione può contribuire all’occupazione? «Può contribuire molto, è un patrimonio immenso. Le pievi, le opere di Crivelli e di Lotto sono preziose presenze nei piccoli borghi. Bisogna investire sulle scuole di restauro e sui giovani, è da riscoprire il tema della bottega».

Rose Busingye, responsabile Meeting Point di Kampala

La speranza è qualcosa che non si può rubare sapevolezza che la malattia è solo una soglia». Una convinzione che nasce non solo dall’esperienza di lavoro ma anche dalla testimonianza del Papa in visita ai pazienti della «comunità».

Francesco, ricorda la Enoc, alla domanda «perché i bambini soffrono?» rispose: «non lo so. So solo che il Signore ha permesso che suo Figlio andasse in croce». Il mistero del dolore è qualcosa a cui doversi approcciare in silenzio. Le parole, molto spesso, sono solo parole che corrono. E tutto questo si può capire solo se prima si ha consapevolezza «di cos’è l’io, di cos’è l’uomo e a chi appartiene», dice Rose Busingye, direttrice del Meeting Point International: «sono libera, nella sofferenza e nel dolore, appartenendo a facce che hanno un nome e un cognome, avendo legami».

MESHAREA GLI EVENTI IN UN’APP Per seguire gli eventi in calendario nella Mesharea, è online un’applicazione per smartphone, attraverso la quale sarà sempre possibile avere sotto mano gli appuntamenti con tutti gli orari. L’app è disponibile sia sull’Apple store (dispositivi Ios) sia su Play store (Android).

«Genova riparte così» I PROGETTI DEL PRESIDENTE DEL PORTO di Lucio Bergamaschi

Sono ancora negli occhi e nel cuore di tutto il mondo le immagini del viadotto Morandi crollato con il suo carico di morte e di dolore: 43 vittime accertate, decine di feriti, quasi mille genovesi senza casa. Ma davanti a ogni dolore, anche il più grande e irreparabile, l’uomo cerca di ripartire, di ricominciare. «Se la Procura dissequestra l’area, nel giro di un mese riattiviamo la linea ferroviaria in uscita dal porto», dice sereno ma deciso Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità portuale di Genova, la più alta autorità del primo scalo italiano che movimenta ogni anno oltre 16 milioni di tonnellate di merci pari a 1,6 milioni di container e occupa con l’indotto 30.000 addetti.

«In quello che è il porto centrale per la Pianura Padana», aggiunge Signorini, abbiamo due grandi bacini: quello di Voltri e quello di Sampierdarena. Lì non utilizzavano il ponte Morandi, ma due autostrade: l’A26 e l’A7 che vanno a Milano». Il problema è il traffico di collegamento. «Un camion, per esempio, dopo aver scaricato a Voltri, andava a prendere un altro carico o un container vuoto a Sampierdarena, utilizzando il ponte Morandi. E non erano pochi, parliamo di 1500 camion al giorno, nei due sensi, che usavano la struttura». Questo traffico oggi si riversa sulla mobilità urbana, ma non è sostenibile con la ripresa di fine agosto e settembre. I soccorritori sono ancora all’opera sul sito ma i genovesi si sono già rimboccati le ma-

niche: «Abbiamo individuato», prosegue Signorini, «tre soluzioni per garantire la movimentazione delle merci tra i due bacini che ora non sono comunicanti dopo il crollo del ponte: la prima è un by pass nella zona di Voltri all’interno delle aree Ilva, la cosiddetta “strada del Papa” perché utilizzata da Papa Francesco quando venne a visitare lo stabilimento. La seconda è organizzativa: chiediamo agli operatori portuali di aumentare la percentuale di lavorazioni eseguite di notte, in modo da distribuire il traffico dei tir sulle 24 ore. La terza è il potenziamento della ferrovia, che è possibile fare in tempi brevi , appena verranno sgombrate le macerie del ponte che oggi impediscono il transito dal porto alla Pianura Padana».



PERSONAGGI

20 AGOSTO

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I «descamisados» dell’assistenza

L’ESPERIENZA DI ANT, ONLUS CHE OFFRE CURE DOMICILIARI GRATUITE AI MALATI DI CANCRO «UNA SOCIETÀ DEVE ASSICURARE A TUTTI DI AFFRONTARE CON DIGNITÀ LA FINE DELLA VITA» di Alessandro Speri Tutto nasce all’ospedale Sant’Orsola di Bologna nel 1978, e dall’allora responsabile del reparto di oncologia, Franco Pannuti. Lo specialista si occupa di ricerca, ma capisce che esiste qualcosa che viene sottovalutato nell’approccio alla cura dei tumori. Decide quindi di organizzare l’assistenza domiciliare dei pazienti. Ma quello che oggi è considerato normale, al limite dell’ovvio, nel 1978 era una pazzia: «professore, lei è fuori di testa!», esclamavano in ospedale. Ma è il destino riservato a chi anticipa i tempi e prende spunto dall’esperienza per migliorare il proprio lavoro. Oggi l’Ant (Associazione nazionale tumori) è una realtà che da Bologna è cresciuta e si è diffusa a macchia d’olio sul territorio nazionale assistendo gratuitamente, a domicilio, circa 10.000 pazienti malati di cancro, con uno staff di 350 professionisti (medici, infermieri, psicologi) che coinvolge 2.500 persone tra volontari e personale sanitario. L’Italia può vantare un sistema sanitario pubblico che mediamente garantisce un buon livello di assistenza ma con profonde differenze territoriali. «Tuttavia non possiamo avere un sistema pubblico riservato a po-

Raffaella Pannuti, presidente della fondazione Ant

chi», dice lapidaria la figlia del dottor Pannuti, Raffaella, oggi presidente della fondazione, intervenuta ieri alle 19 all’incontro sulle cure palliative all’Arena Meeting Salute C3. Le sue parole si riferiscono alle situazioni di assistenza di cui il terzo settore ha iniziato a farsi carico, in particolare con l’assistenza per i malati di tumore, e sulle quali le Regioni si sono spesso ritirate per ragioni di bilancio: sono costi che non si possono permettere.

Qual è il segreto del successo del modello messo a punto da Ant? «Portare a casa del malato un’assistenza socio-sanitaria completa e tutte le cure mediche idonee mediante un supporto globale e gratuito, sia per il paziente, sia per la sua famiglia. Un approccio integrale con il paziente al centro». Che cos’è l’eubiosia che ispira la vostra attività? «La “buona vita”. Un termine coniato da mio padre. I pazienti malati

di tumore che lui andava a curare a casa non chiedevano mai di morire. Magari all’inizio, perché soffrivano e vedevano i familiari disperati. E ha intuito che una grande alleata della sofferenza è la solitudine. Che quando il problema fosse stato affrontato in maniera corretta nessuno avrebbe chiesto di morire. Si è reso conto che non volevano la dolce morte, ma una buona vita, una vita degna». Un’ostinazione radicale a tenere in vita non può essere considerata accanimento terapeutico? «Dobbiamo cambiare approccio. Una società si deve fare carico di accompagnare una persona nei percorsi finali della vita. Noi non dobbiamo tenere le persone in vita per forza, ma assicurare a ognuno momenti di dignità anche in queste fasi, dove, purtroppo, le persone sono lasciate sole. Una società, uno stato, si può rendere responsabile eticamente o della buona vita o dell’eutanasia». Voi chiamate alcuni vostri operatori “medici senza camice”. Perché? «Vogliamo che il medico sia vissuto il più possibile positivamente dal paziente, come un famigliare. E quando non ci sono ragioni igieniche tassative, preferiamo il nostro personale senza camice».


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VITA MEETING

20 AGOSTO

Se l’economia è circolare

IDEE PER UN AMBIENTE SOSTENIBILE di Luca Pontremolesi Amore incondizionato per il creato e per la vita in ogni angolo del Meeting. Passeggiando per la fiera si apprezza la natura che nutre, scalda e protegge. Merito anche dell’architettura dei padiglioni che con massiccio impiego di materiali lignei, fontane su piscine e grandi vetrate, valorizzano l’incontro con un feng shui - antica arte cinese ausiliaria dell’architettura - rivisitato ma efficace, che, per definizione, riavvicina l’uomo ai flussi naturali. Ma l’estetica non è tutto. Il Meeting, in collaborazione con Conai (Consorzio nazionale imballaggi), ha sposato un modello organizzativo sostenibile per abbassare il proprio impatto ambientale. Come? Ad esempio con una raccolta differenziata quasi maniacale, una logistica raffinata ed efficiente e una piattaforma ecologica integrata nella fiera. La chiamano “economia circolare”. Abbiamo preso molto e siamo creditori verso il pianeta. «Si viaggia verso un cambiamento di paradigma - spie-

ga Luca Brivio direttore della comunicazione di Conai - se prima, banalmente, venivano consumate le risorse e si smaltivano i rifiuti in discarica, ora si cerca di ricorrere il meno possibile all’utilizzo di materie prime naturali e si sfruttano proprio i rifiuti, detti “materie prime seconde”. Qui troviamo la circolarità, che diventa punto di riferimento per la crescita e si basa sull’uso più efficiente possibile di materie prime e “materie prime seconde”». Il gruppo Eni, su questo tema, ha creato un laboratorio aperto a tutti, che conduce i partecipanti a una presa di coscienza e a un apprendimento pragmatico ad alto tasso d’innovazione sull’ economia circolare, dove l’inesperienza dei bambini è una risorsa più che un vincolo. Eni nel 2013 ha creato il Green Data Center di Ferrera Erbognone, in provincia di Pavia, un edificio che raggruppa un insieme di elaboratori con grande potenza di calcolo, al primo posto al mondo sul parametro dell’ efficienza energetica. L’esperienza proposta ha come

Il laboratorio della “rotonda Eni” nella Hall Sud

slogan “Immagina, programma, trasforma” e consente a chiunque abbia un po’ di fantasia di cercare soluzioni innovative, razionalizzarle con l’aiuto di tecnici all’interno di un programma e quindi rivoluzionare lo stato dell’arte con nuovi algoritmi più efficaci. Leonardo De Cosmo, presidente dell’associazione Discienza, è uno dei responsabili dell’organizzazione della “rotonda” di Eni. Il laboratorio ha come protagonisti i bambini. In cosa i piccoli sono più brillanti dei grandi? «La loro dote principale è la creatività. I bambini fanno cose che non verrebbero mai in mente a nessuno, sono entusiasti e pieni di idee, magari anche completamente sbagliate, ma le portano avanti con in-

genuità e dedizione, e per questo sono geniali». Che cosa l’ha convinta a partecipare come relatore al Meeting? «Qui si impara sempre qualcosa. La sfida è trovare attività formative a misura di bambino che rompano la barriera iniziale con la tecnologia e i dispositivi elettronici, permettendo a tutti di essere makers, amanti del bricolage 2.0. Gli stand della “rotonda Eni” nella Hall Sud, in parte strutturati ad hoc per il Meeting, con l’aiuto di oggetti fisici particolari, si rivelano accattivanti per i ragazzi e servono a risvegliare nelle nuove generazioni la manualità che, purtroppo sta gradualmente sparendo. Noi dobbiamo innovare e trovare attività sempre nuove per incuriosire i ragazzi »


SPETTACOLI

20 AGOSTO

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Da Kabul con stupore

SUL PALCOSCENICO LA FUGA DI UN UFFICIALE AFGANO

Il regista Alex Ruzzi

di Roberta Zanon

Vento esotico da terre lontane, vite diverse che poi si uniscono. È “L’ultimo lenzuolo bianco” lo spettacolo tratto dall’omonimo libro autobiografico di Farhad Bitani, in scena questa sera alle ore 21.30 presso il Teatro Ermete Novelli di Rimini. La storia narra di un ex-capitano dell’esercito afgano che supera le barriere culturali aprendosi all’Occidente. Dall’Afghanistan all’Italia, dalla famiglia e gli amici di infanzia ai nuovi incontri che cambieranno per sempre la vita di questo giovane ragazzo. Una storia di dialogo, culture diverse, Oriente e Occidente, Islam e Cristianesimo. Il progetto teatrale vede alla regia Alex Ruzzi e sul palco giovani attori, che dopo il sold out di debutto del 4 maggio, nel varesotto, sono pronti ad esibirsi anche al Meeting di Rimini.

«Ho cercato di dare lo stesso taglio del libro, così da seguire il percorso di vita di Farhad, perché la sua storia è di per sé un romanzo», racconta Ruzzi. In che modo il messaggio dello spettacolo si lega con il tema del Meeting? «È un cammino che ha origine nell’intimo del cuore, non è una ragione estrinseca ma è la scoperta della presenza che si trova dentro al proprio cuore. È evidente come la forza cha ha mosso questa persona sia una forza che ha mosso innanzitutto il suo cuore». Cosa rimane allo spettatore? «La capacità di comprendere che quella narrata è una realtà di un’altra provenienza, di un’altra religione, di una persona che ha avuto e ha trovato la sua vera strada verso il suo islamismo, proprio a contatto con i cristiani. La capacità di voler conoscere, di voler capire la diversità per poterla abbracciare e diventarne parte insieme». Il prossimo obiettivo è la realizzazione di un film, come si è arrivati all’idea del cinema? «Il messaggio dell’opera è un messaggio universale. Dopo il teatro, il cinema è il secondo contatto più

INTERNATIONAL MEETING

The white sheet Immigration is a lot more stressful than it sounds. No one would want to leave their home and travel miles for safety and happiness. Always wondering if this new land will be accepting. It would feel like you have escaped from guns and fire but are you going to survive people’s harsh opinions and point of views? Or is it the other way around? Will you be able to survive from your own harsh and violent thoughts in a land where people have an entirely different view on life? Story of Farhad Bitani in Teatro Novelli, on Moday, August

20th at 9:30 pm. Directed by Alex Ruzi. The last white sheet is the story of son of an Afghan general, born in a land ravaged by war and in the iron grip of the Soviet Union. Being born in Kabul to a military family, to the commotion of Afghanistan in the 80s, a man of fundamentalism, ,where the name of God and religion is misused to shed blood and inflict pain, he was reborn. This is the story of a rebirth. The revival of thoughts and ideas. When he set foot on this new world he was introduced to a totally different view on life. A story that tells us even in the most difficult circumstances, the heart always finds its way toward the light. Rosie Shiraz

diretto per il pubblico. Lascia un impatto e una traccia molto forte nelle persone. Quello che abbiamo in mente è un progetto ambizioso, una collaborazione internazionale tra più paesi. Lo scopo è un messaggio universale che deve coinvolgere e raggiungere più persone possibili». Libro, teatro e film: è un ciclo completo? «Tutta la storia è stata guidata da un unico filo che è la “provvidenza”. È stata una ricerca di segnali, un continuo seguire di indicazioni. Tutti questi passi non sono stati

programmati a livello strategico, ma sono frutto dell’accogliere la proposta che noi, sia cristiani che musulmani, chiamiamo la “volontà di Dio”».

LA “SCARPETTA” DI CLAUDEL

Un cammino che ha origine nell’intimo del cuore

Ieri sera il ponte di Tiberio ha fatto da cornice allo spettacolo inaugurale del Meeting “Attraverso il mare del desiderio”, tratto da “La scarpetta di raso” di Paul Claudel. Sotto la regia di Otello Cenci, hanno calcato il palcoscenico, tra gli altri, Maurizio Donadoni, Benedetta Dimaggio e Massimo Nicolini.


Anche in spagnolo e portoghese

libreria Jaca Book Rimini

PAD. C2




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