MEETING M E R C O L E D Ì
24 agosto 2016
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anno 26
PRIMO PIANO
11.15 STORIA E FUTURO DELLA RIFORMA COSTITUZIONALE
15.00
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MIGRANTI, LA SFIDA DELL’INCONTRO
DIVERSI COME DUE GOCCE D'ACQUA.
Partecipano: Maria Elena Boschi; Francesco Paolo Casavola; Sabino Cassese. Introduce Andrea Simoncini, docente di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Firenze.
Partecipano: Domenico Lucano; Romano Prodi; Naguib Sawiris; S. Ecc. Mons. Silvano Maria Tomasi. Introduce Giorgio Paolucci.
LAVORARE PER LA PACE IN MEDIORIENTE
SALONE B3
SALONE B3
AUDITORIUM B3
ARENA D3
Partecipano: Jàn Figel; Paolo Gentiloni; Firas Lutfi. In occasione dell’incontro intervento di saluto di Pasquale Valentini, Segretario di Stato della Repubblica di San Marino. Introduce Roberto Fontolan.
Dedicato a Renzo Marotta. Di e con Gioele Dix
Uniti dalla tradizione e dal martirio Legoyda e monsignor Pezzi approfondiscono lo storico incontro di Cuba tra papa Francesco e il patriarca Kirill Una saletta dell’aeroporto dell’Avana a Cuba ha ospitato, lo scorso 12 febbraio, l’inaspettato abbraccio di papa Francesco con il patriarca di Russia Kirill. Un dialogo tra le massime autorità della Chiesa cattolica e di quella ortodossa.
Non era mai accaduto dal 1054, anno dello scisma d’Oriente. «Non vogliamo fare una commemorazione – afferma Alberto Savorana, portavoce di Cl moderatore dell’incontro proposto ieri dal Meeting – ma andare
a fondo di questo fatto che ha cambiato la storia». Monsignor Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca, e Vladimir Legoyda, presidente del Dipartimento per i rapporti tra Chiesa società e mass media del Pa-
MonsignorPaolo Pezzi, arcivescovo di Mosca. «L’incontro genera il desiderio di condividere, crea ponti che siamo chiamati a costruire»
L’altro, la risorsa che fa la differenza Non è una buona estate per parlare di un tema come quello del Meeting. Con tutta l'Europa sotto shock di fronte agli attacchi del jihadismo, con la Francia e la Germania che vedono le elezioni alle porte, con un nazionalismo radicale in forte crescita, con la coalizione internazionale che sta finalmente avanzando in Siria e in Iraq, con l'avvicinamento dei vecchi im-
peri di Turchia e Russia, con un populismo crescente negli Stati Uniti e le elezioni presidenziali in cui Trump può arrivare alla Casa Bianca, con una riforma costituzionale italiana vicina, con un ordine internazionale che si è lasciato alle spalle il sistema di stati sovrani di Westfalia senza sapere dopo 400 anni verso quale direzione sta andando: non conveniva modificare il titolo? Il messaggio di papa Francesco al Meeting, con un giudizio storico molto forte sulla radice di quel che è accaduto nelle ultime settimane nel mondo, ha reso impossibile qualsiasi "fuga". «Di fronte alle minacce alla pace e alla sicurezza dei
popoli e delle nazioni, siamo chiamati a prendere coscienza che è innanzitutto un'insicurezza esistenziale che ci fa avere paura dell'altro, come se fosse un nostro antagonista», ha evidenziato Francesco. La chiave per capire il «cambiamento epocale», la violenza jihadista, la risposta balbettante dell'Europa, un populismo e un nazionalismo alimentati dalla globalizzazione, è «un'insicurezza esistenziale». Quel che fa la differenza al Meeting, forse in modo inconsapevole, è che il valore dell'altro, prima che essere teorizzato, (...) Fernando De Haro segue a pag. 7
triarcato di Mosca, sottolineano l’entità dell’avvenimento e della dichiarazione congiunta dei due capi delle Chiese cristiane a partire dal tema dell’incontro. «Il fatto più significativo – spiega Pezzi – è stato proprio il guardarsi negli occhi scoprendo di essere un bene per l’altro […]. L’incontro genera il desiderio di condividere, crea ponti che siamo chiamati a costruire». Legoyda aggiunge come il patriarca senta la vicinanza del Papa nel riconoscimento di un contesto comune dove «da cristiani bisogna capire dove stiamo andando. La prosperità dell’umanità si genera con la libertà del singolo che attraverso la propria libertà decide se creare rapporti o distruggerli». Affermare l’altro porta a concepirsi fratelli. I due relatori illuminano le ragioni di un rapporto tra cattolici e ortodossi rimaste all’oscuro per molti secoli. «Si è fratelli – sostiene Pezzi – per la nostra comune origine: la fede in Cristo. Questo non cancella gli ostacoli, ma afferma che un fratello è chi si spende per il bene dell’altro. Si capisce se seguiamo il Vangelo da come (...) Andrea Fornasieri segue a pag. 2
Volontari nelle «casbah» parigine pag. 3 Padre Firas Lutfi sacerdote ad Aleppo pag. 5 Il detenuto con le chiavi della cella pag. 7
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Cammino a ostacoli ma insieme Cattolici e ortodossi russi chiamati alla condivisione della tradizione e alla testimonianza unitaria a Cristo nell’oggi segue da pag. 1 (...) ci comportiamo, non se evitiamo le difficoltà». Un legame che tende all’unità col diverso, che permette di camminare insieme. Una relazione che Legoyda individua emblematicamente nella famiglia, traducibile in ortodosso con “piccola Chiesa”. «Un vincolo possibile solo ac-
YANA E MARIIA AMICIZIA OLTRE LA GUERRA
«Unire gli sforzi tra le due Chiese per rispondere alle sfide del mondo di oggi» Vladimir Legoyda, alto rappresentante del Patriarcato ortodosso di Mosca
cogliendosi vicendevolmente. Dove l’altro è un bene per me. Soltanto allora esisterà una famiglia, grande testimonianza per il mondo». Lo snodo finale converge sul compito a cui l’uomo cristiano è chiamato nel mondo. Esso porta alla luce un’ulteriore comunanza tra ortodossi e cattolici che non gioca con la linea del tempo su una tradizione condivisa, ma nel presente: testimoniare. Monsignor Pezzi indica la necessità di «unire gli sforzi per portare Cristo, per rispondere alle sfide del mondo contemporaneo. […]. È una sfida che
non ci può lasciare inerti, è una responsabilità comune». Questa posizione, di fronte alla crisi dell’uomo che affossa la sua umanità, è condivisa anche dal relatore ortodosso che si sofferma sul soggetto portatore della buona novella. «Il cristiano può cambiare il mondo nel momento in cui cambierà sé stesso. L’uomo potrà rinascere se lascerà che Cristo prenda dimora nel suo cuore. Allora impareremo a vivere in una società frazionata senza perdere la nostra fede, e, proprio grazie ad essa, a concep i re l ’ a l t ro c o m e u n a
ricchezza. Così porteremo il Suo sguardo nel mondo». Emerge con chiarezza il fatto che papa Francesco e il patriarca Kirill testimoniano come reale novità nel panorama moderno: accorgersi che l’altro è un bene. Questo è ciò che può attraversare le diversità dopo mille anni, attenzione alla storia, a condurre due autorità contrapposte ad abbracciarsi. «Non per mostrarci un quadro idilliaco – come afferma Pezzi -. Gli ostacoli non sono scomparsi, ma adesso si cammina insieme». Andrea Fornasieri
Separate da diecimila morti, sono amiche qui al Meeting. Mariia Sihova è una ragazza ucraina ortodossa; Yana Sharova, russa protestante. «Per me lei è in primo luogo mia amica - dice Mariia - non mi interessa di dov’è, ma chi è. Abbiamo chiesto di abitare insieme qui a Rimini perché la sua presenza è molto importante per me». Un anno dopo il loro primo incontro con alcuni amici, si ritrovano insieme agli esercizi spirituali a Kiev: «Avevo dei pensieri da condividere con qualcuno e lì vicino a me c’era Yana - continua Mariia - ho capito che lei era pronta ad ascoltarmi e abbiamo iniziato a parlare». «Quest’estate abbiamo fatto le vacanze insieme - dice Yana - e tutte le volte che vivevo qualcosa di importante avevo il desiderio di andarglielo a raccontare». Neppure per lei la nazionalità è un ostacolo, anzi: «Una cosa molto bella di Mariia è
l’amore per la sua Patria ed anch’io vorrei averne di più per la mia». «La cosa strana - dice Mariia - è che non c’è stato un periodo di amicizia senza fiducia: io l’ho vista, non la conoscevo e dopo cinque minuti mi sono subito fidata». Anche Yana, quando ripensa all’inizio della loro amicizia, esclama: «Non ho sbagliato a fidarmi: con lei riesco ad essere totalmente onesta». «C’è una parola italiana molto bella che descrive bene la nostra amicizia: Provvidenza. Mentre con altri un’amicizia così stretta è nata solo dopo anni, con lei invece tutto è successo nel giro di un mese. Per questo sono certa che c’è anche l’azione di Dio». Allo scoppio della guerra, due anni fa, Mariia aveva incominciato a parlare solo in ucraino, ma ora dice: «La lingua russa adesso è un bene per me, è un dono, perché aiuta la comunicazione tra noi e questa cosa mi dà felicità». Leonardo Cavallo
Dante, l’Ucraina e «quell’amicizia incredibile» La statuta di Dante e Beatrice al ristorante Bergamasco nel padiglione D5, opera di Adelfo Galli
Una statua del poeta e di Beatrice accanto al ristorante Bergamasco svela una storia che unisce Rimini a Kharkov Meeting di Rimini, #meeting16 o più semplicemente Meeting. Spesso, quando se ne parla, non si cita l’altra parte: “Per l’amicizia tra i popoli”. Ricordarlo è forse d’obbligo per questa edizione, visto il titolo, ma ciò che lo testimonia sono in realtà tanti esempi e tante storie che si possono incontrare per la fiera. Una di queste si cela senz’altro dietro la presenza della statua di Dante e Beatrice di fianco al ristorante Bergamasco, nel padiglione D5. A unirli è un’amicizia tra persone di popoli non diversi, diversissimi: Italia, Russia e Ucraina. La racconta Franco Nembrini, insegnante e fondatore del centro scolastico “La Traccia” di Calcinate e profondo conoscitore di Dante Alighieri. «Tutto è nato dal gemellaggio della scuola “La Traccia” con il ginnasio ortodosso “Cirillo e Metodio” di Kemerovo, nella Si-
beria occidentale», afferma. Qui, in occasione della messa in scena di “Delitto e castigo” con la compagnia teatrale della sua scuola, Nembrini conosce Aleksandr Filonenko, professore di filosofia della scienza e teologia all’Università di Kharkov in Ucraina e più volte ospite del Meeting. «Tra di noi è cresciuta un’amicizia profonda e quotidiana – continua - fiorita maggiormente nelle settimane a Rimini e che ha generato una serie di rapporti incredibili con l’Ucraina e le persone di Kharkov». In questa città, dove Filonenko invita Nembrini, il professore bergamasco conosce la realtà di Emmaus, una ong fondata nel 2011. «Ci occupiamo di progetti sociali, culturali ed educativi», spiega Lali Liparteliani, direttrice del centro. I ragazzi che ci lavorano, si occupano della riabilita-
zione di bambini invalidi e orfani, che nel mondo di tutti i giorni non hanno quasi nessuna speranza di sopravvivere. «La realizzazione del nostro centro – continua Lali - è stata possibile grazie all’aiuto di amici italiani». Sono gli amici di Franco, a
cui il professore ha fatto conoscere Emmaus durante i suoi numerosi incontri su Dante per l’Italia. E oggi? «Quando a Bergamo ho raccontato questa storia abbiamo avuto tre idee: ospitare i ragazzi ucraini e farli lavorare al Meeting. Devolvere il guadagno del ristorante Bergamasco a Emmaus. Portare a Rimini la statua di Dante – usata dal professore nel programma “Nel mezzo del cammin” su Tv2000 - che sogno di regalare all’Università di Karkhov». La statua rappresenta il poeta di fronte a Beatrice, «perché Dante è rapporto con Beatrice – continua Franco -; a dirla tutta, se dovessi dare un titolo a quest’opera sarebbe “Tu sei un bene per me”, perché lì si vede Dante travolto dall’incontro con Beatrice, da un tu, senza il quale non si può vivere». Alessandro Giuntini
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Volontari nelle «casbah» di Parigi Laici e consacrati, che vivono nelle periferie francesi dove si parla soprattutto l’arabo e sono accolti a fatica: «Siamo come il pepe: ce n’è poco, ma profuma». La storia di Jean-François Morin e dell’associazione Le Rocher Oasis des Cités «Sei come il pepe nel cous cous. Ce n’è poco, ma profuma». A dirlo è una bella mamma (e ottima cuoca!) musulmana a uno dei volontari di Le Rocher, l’associazione diretta da Jean-François Morin, nata dalla comunità Emmanuel, che opera nelle periferie “sensibili” francesi. E rende bene quale sia il lavoro di questi laici, o consacrati - a volte intere famiglie - che decidono di andare a vivere in quartieri dove si parla arabo prima che francese. Dove distanze ridicole sembrano abissali. Tra il quartiere di Bondy e Parigi, ad esempio, passano 10 chilometri, eppure la stragrande maggioranza degli abitanti non è stata nella capitale neppure in gita. L’altro è percepito come un pericolo. Sarà per questo che una delle attività dei volontari di Le Rocher, è accompagnare le persone fuori dal
quartiere, magari per lavoro, o semplicemente per una vacanza oltre i soliti confini. Come per quella donna di 50 anni di Marsiglia che va a trovare alcuni volontari amici a 15 km dalla sua città e torna entusiasta come una bimba. «Sono stata accolta meglio che nella mia tribù!», racconta al ritorno. Il pepe nel cous cous profuma anche tra le strade di queste periferie, dove Morin e i suoi amici fanno giocare i bimbi con palloni e corde da saltare. Sembra niente, ma se non ci fossero loro questi bambini non potrebbero nemmeno uscire di casa, pena il rischio di esser rapiti da delinquenti con scuse e mezzucci vigliacchi. Morin, al Meeting per raccontare la sua storia, insieme a quella di Padre Pepe, non nasconde le enormi difficoltà che lui e i suoi amici devono
Rosanna Pelosi, radici e accento beneventani, da sei anni insegna italiano nelle scuole di Molenbeek, il quartiere di Bruxelles a fortissima presenza magrebina, dove abitavano i giovani terroristi autori degli attentati al metro e all’aeroporto, lo scorso 22 marzo. Ha alunni di tante nazionalità, in maggioranza sono musulmani. Insegna la sua materia, non fa propaganda religiosa, non applica una teoria del dialogo con l’islam. Semplicemente vive, con il proprio volto, nella realtà in cui si trova e guardando in faccia colleghi e alunni. E’ una presenza. Nello spazio caffè della mostra sui Migranti, ha raccontato alcuni degli incontri più emblematici. FEDE - Quello con Souad, compagna di alloggio nei primi tempi. «Una sera a cena – ha raccontato Rosanna - ho fatto istintivamente il segno della croce, e subito le ho chiesto di scusarmi se non avevo tenuto conto che lei non era cristiana. Lei invece è stata felice di sapermi credente e praticante e di essere richiamata alla preghiera. Quell’anno ramadan e quaresima iniziarono lo stesso giorno, e facemmo, quasi in sincrono, lei il suo digiuno e io qualche sacrificio per il tempo liturgico». Stima e ri-
Padre Pepe, Monica Poletto e Jean François Morin
affrontare ogni giorno, tra delinquenza e muri di ostilità. «A Grenoble ci abbiamo messo un anno a farci accettare. Un bianco che arriva in questi luoghi non è ben visto». Le cose iniziano a cambiare
«quando si accorgono che non chiediamo assolutamente niente in cambio». Il segreto è «vivere con loro e non per loro». Se c’è una festa si fa festa, se c’è un problema si affronta insieme. «Se uno mi chiede
Prof cristiana, alunni islamici Incontrarsi a Molenbeek chiamo alla fede le fanno essere amiche. EDUCAZIONE- Raouf è un collega che insegna religione islamica. Preoccupato della deriva estremistica cui sono esposti i giovani. «Conveniamo in pieno – dice Rosanna – che non la religione, ma l’as-
«CAFFÈ CON» Gli appuntamenti di oggi al «Caffè con» presso la mostra sui migranti. Alle 14,15 “Seydou, l’immigrato che costruisce l’integrazione”, con l’ivoriano Seydou Konate, presidente di Ballafon. Alle 18,15 “Io, medico tra i profughi a Lampedusa” con Pietro Bartolo, medico a Lampedusa.
senza della fede, il vuoto interiore di questi ragazzi di seconda o terza generazione che non hanno mai messo piede in una moschea, li rende più facilmente catturabili dalla follia fondamentalista». Convengono, i due prof, che la fede è ben altro dal fondamentalismo pseudo religioso. RAGIONE - Il dialogo è sul fatto che una proposta religiosa deve sottoporsi al vaglio dell’esperienza e della ragione. Un ragazzo si presentò con una sfilza di precetti sulla donna, il primo dei quali era il divieto di guidare l’auto. Rosanna racconta che il professor Raouf chiese a lui e a tutti i compagni: «Cadi malamente, ti ferisci, devi andare al pronto soccorso, in casa c’è solo la mamma, l’auto è in garage. Che si deve fare?». Tutti d’accordo: «La mamma prende l’auto e mi porta al pronto soccorso». Omar è un alunno che un giorno, per
di trovargli un lavoro gli dico di no: troviamolo insieme!» Ma chi glielo fa fare? «Preghiamo ogni giorno, altrimenti non sarebbe possibile. Testimoniamo loro che c’è qualcuno di più grande». Dopo che a Lione è stata annullata la “Festa della Luce”, a seguito degli attentati dell’anno scorso, i volontari di Tolone si sono messi a vendere tra i musulmani dei lumini in segno di solidarietà. Un piccolo segno per sentirsi parte di un popolo. Il gran muftì di Croazia, l’altro ieri, parlando della situazione dei musulmani in Francia aveva denunciato proprio questo: la difficoltà di sentirsi cittadini francesi di primo livello. L’attività dei volontari di Le Rocher sembra poca cosa, eppure profuma. Come il pepe nel cous cous. Alessandro Caprio
un’ora e mezza, sottopone la prof Pelosi a un fuoco di fila di domande: su di me, la Madonna, l’Incarnazione. «Io ci sto – racconta Rosanna – Ho anch’io le mie domande sull’islam. A Omar piace molto la mia risposta sul perché Dio ci ha creati: “Per amore, e per manifestare così la sua gloria”. Ne fui felice, Ma subito pensai: non basta che conveniamo su delle definizioni, anche se religiose. Lui aveva le sue risposte, infatti, tutte belle perfettamente inquadrate: come è tipico dell’inquadramento ideologico. Scoppiasse un conflitto, non esiterebbe a sbudellarmi. Occorre invece un’amicizia, cioè una fede giocata come esperienza nel rapporto tra un tu e un io». PARIGI - Dove l’Isis ha fatto più morti in Europa c’è chi dà l’anima e le forze per accogliere i profughi: nel 19° arrondissement, banlieu, cioè periferia estrema. È una suora camerunense di 66 anni, Marie Jo. Tanti parlano di gestione, lei di umanità, accoglienza. Caterina Vaglio Tessitore, 40 anni in meno, a Parigi per il dottorato, per l’incontro con lei ora si divide tra università e centro di accoglienza. Maurizio Vitali
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PERSONAGGI
Se questo jihadista è un uomo Padre Firas Lutfi è un francescano che vive ad Aleppo sotto le bombe: «Non esiste il cattivo ma l’infelice. Dobbiamo essere misericordiosi come Dio lo è con noi. Resto perché non posso allontanarmi dalla possibilità di fare del bene» Una città teatro di guerra da cinque anni, senza acqua né elettricità. Aleppo, stretta nella morsa dei combattimenti tra milizie del dittatore siriano alAssad, Esercito siriano libero, islamisti, curdi e russi. È qui che tra bombe, missili e cecchini svolge la propria missione padre Firas Lutfi, francescano della Custodia di Terrasanta, che oggi alle 17 in B3 sarà tra i relatori dell’incontro “Sperare contro ogni speranza: lavorare per la pace in Medioriente”. Com’è possibile guardare un jihadista come un bene per sé? Innanzitutto è un essere umano. Non esiste il cattivo ma esiste l’infelice, cioè la persona che ha sbagliato scelte ma rimane fatta a immagine e somiglianza di Dio. Egli ci dice: «Siate misericordiosi come misericordioso è il Padre vostro». Per farlo devo vedere come è misericordioso con me il Signore: Egli mi ha amato, mi ha accolto così come
sono a prescindere dal fatto che non riuscirò mai a ricambiarLo nella misura stessa con cui mi ha amato. Quale esperienza fa del titolo del Meeting? Ad Aleppo c’è tanto bene da raccontare. Sono germogli di bene la presenza della Chiesa accanto ai poveri, la distribuzione degli alimenti, la ricostruzione e tante iniziative di carità, sia materiali sia spirituali. Questa estate siamo riusciti a organizzare un campo estivo per 350 ragazzini, che hanno potuto cantare, ballare e nuotare in una piccola piscina. Più diamo più riceviamo una pace nell’anima, una compensazione divina. Qual è la più grande tentazione di chi è rimasto? Abbandonare il Paese, mentre noi li vogliamo aiutare a restare. È un bene per tutta la Chiesa che noi rimaniamo, perché da due millenni siamo i discendenti della comunità apostolica.
Padre Firas Lutfi, francescano della Custodia di Terrasanta, parlerà alle 17 in B3
Sentiamo la vocazione di rimanere lì con musulmani ed ebrei. Che cosa la spinge a tornare ad Aleppo? Non che cosa, ma Chi. Come diceva san Paolo «la carità di Cristo ci spinge» e io non me la sento di stare altrove. Un francescano non può scappare dalla possibilità di fare del bene agli altri. Con l’aiuto del Signore
posso custodire il mio piccolo gregge con tutti i mezzi. Come si può fondare il dialogo con i musulmani? Il dialogo è indispensabile e la condizione perché avvenga è mantenere un’identità forte di chi sono io e di chi è l’altro. Siamo tutti esseri umani e sia io sia l’altro dobbiamo accoglierci nella diversità e rispettarla. Io
devo cambiare qualcosa per accogliere l’altro e l’altro deve cambiare qualcosa per accogliere me, ma senza rinunciare all’essenziale, che è l’identità. Come fa ad avere questa fede? Ho toccato la presenza del Signore, sono stato amato fino in fondo e adesso sento la spinta a fare altrettanto, per essere strumento di misericordia. Sono qui anche per portare il grido della Siria. Se qualcuno può fare qualcosa, bisogna che lo faccia subito. «Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio». Come possiamo fare qualcosa per voi? Anzitutto non chiudere il cuore: una volta che uno sa diventa responsabile. La prima cosa è la preghiera e poi perseverare nei gesti di solidarietà. Una coppia di sposi ha rinunciato a viaggio e regali per aiutare i cristiani che soffrono. Leonardo Cavallo
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INCONTRI
La tecnologia che aiuta la medicina Mauro Ferrari riflette sulle frontiere della ricerca: i confini tra discipline tendono a scomparire ma non siamo in una fase nuova del rapporto tra uomo e natura È uno dei fondatori della nano/micro-tecnologia biomedicale, in particolare nelle sue applicazioni per la somministrazione di farmaci, il trapianto di cellule, bioreattori impiantabili e altre innovative modalità terapeutiche. Mauro Ferrari è partito da Padova, dove trent'anni fa si è laureato in matematica, per approdare prima in California, dove si è laureato in ingegneria meccanica a Berkeley, e poi in Ohio per frequentare la scuola di medicina presso l'Ohio State University;
infine in Texas, dove vive e dove è presidente e ceo dello Houston Methodist Research Institute, direttore dell'Institute of Academic Medicine del Methodist Hospital System ed executive vice president del Methodist Hospital System (Tmhs), oltre che presidente della The Alliance for NanoHealth. Nelle nanotecnologie stanno forse cadendo le tradizionali distinzioni tra scienza e tecnologia? Guardando alla storia degli svi-
Mauro Ferrari, a destra, saluta Mario Melazzini
luppi scientifici dell'umanità, noi vediamo come le cose più importanti cambiano nell'interfaccia; quindi è ragionevole, quando la conoscenza aumenta in modo esponenziale come adesso, pensare che queste frontiere debbano essere più fluide. Personalmente non vedo una vera utilità nei confini tra le discipline, li trovo addirittura controproducenti e confido che scompaiano. Questo vale anche per la differenza tra scienza e tecnologia; non conosco il confine che le separa, ma
mi è lampante il confine tra ciò che è utile e ciò che è solo fine a se stesso. Le tecnologie moderne portano all'estremo benefici e rischi. Vale anche per le nanotecnologie? Il mondo delle nanotecnologie non ha delle grandi divisioni disciplinari, e da questo nasce la sua possibilità di beneficio; ma anche dei potenziali rischi. Io amo le cose utili e vedo che le nanotecnologie sono sempre più necessarie in molte situazioni. Chiaramente, conside-
rando la riduzione delle frontiere, bisogna dire che non sono solo le nanotecnologie ma è l'insieme a dare il risultato. Oggi abbiamo speranze molto forti di sconfiggere una parte consistente di metastasi, causa di morte dei molti malati di cancro, e questo è certamente un beneficio. E per quanto riguarda i rischi ambientali e di salute causati dalle nanoparticelle? In questo caso il dibattito va avanti da più di vent'anni, ma la realtà è che finora il loro utilizzo non ha mai ucciso nessuno e non ci sono evidenze pubblicate che dimostrino la loro dannosità. Oggi sembra non ci siano limiti a ciò che è manipolabile dall'uomo; siamo in una fase nuova nel rapporto tra uomo e natura? Io non credo. C'è sicuramente un'evoluzione forte, ma non mi sembrano emergere nuovi principi etici. Vengono rinforzate alcune categorie della normale dialettica della scienza già esistenti. Il fatto che non ne siano nate di nuove mi fa pensare che ci troviamo davanti a un'evoluzione piuttosto che a una radicale trasformazione della scienza.
LA LIBRERIA DEL MEETING
ore 17 ncontro con don Agostino Tisselli
Riconoscere, sostenere. Sfidare l’ovvio.
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INCONTRI
Giustizia, non processi mediatici Il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, e il primo presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio a confronto sul rilancio di una magistratura indipendente e responsabile. «Mai più le nomine a pacchetto» La giustizia mediatica è un gravissimo arretramento della civiltà giuridica. I processi non si devono fare sui giornali e sulle tv prima che arrivino nelle aule dei tribunali. Sulla necessità di correggere questa deformazione hanno convenuto ieri al Meeting le due più alte cariche della magistratura italiana, e cioè Giovanni Canzio, primo presidente della suprema Corte di Cassazione, e Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Legnini ha posto l’accento soprattutto sulla divulgazione delle intercettazioni, che spesso provoca «frizioni tra politica e magistratura». «L’operazione da compiere – ha detto Legnini – è semplice e chiara: ciò che ha rilevanza penale va messo nel fascicolo delle indagini, ciò che non ha rilevanza penale, che riguarda la sfera privata, o che riguarda persone non indagate, non deve nemmeno essere preso in considerazione. Non si può fare giustizia violando un diritto». Il vice-presidente del Csm sottolinea che «nessuno discute più di ridurre le intercettazioni, di spuntare questo strumento investigativo». Si tratta invece di risolvere il problema della comunicazione, e di applicare le norme senza
Giovanni Legnini, Paolo Tosoni e Giovanni Canzio protagonisti dell’incontro
«nessuna invasività» rispetto alle iniziative legislative del Governo. Su questa linea si sono mosse le Procure di Roma, Torino, Napoli, Crotone, Firenze, che hanno stilato «belle e chiare circolari». Per Giovanni Canzio il tema della giustizia mediatica «tocca un nodo decisivo per la democrazia e la civiltà giuridica, perché il processo viene de-localizzato e de-temporalizzato». Cioè avviene fuori dall’aula del Tribunale e prima dei tempi debiti della giustizia. Ed ha spiegato che si tratta di una «distorsione che rovescia due principi irrinunciabili: la valutazione delle prove, compromessa dalla formazione previa di un giudizio e la presun-
zione di innocenza, che diventa presunzione di colpevolezza». Per contrastare questa distorsione, Canzio considera fondamentale «una durata ragionevole dei processi». Il presidente della Cassazione è invece decisamente contrario alla separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri perché questo, a suo giudizio, «limiterebbe l’indipendenza di questi ultimi». Indipendenza della magistratura, rigorosa cultura della giurisdizione, qualità professionale ed etica dei magistrati sono invece le chiavi per una buona giustizia. E qui gioca il «tu» del Meeting. Canzio: «L’indagato è un tu. Occorre in ogni momento avere il ri-
spetto della sua persona e della sua dignità e tener conto delle sue ragioni». Legnini «a questo tu che ho davanti non posso rovinare la vita e la reputazione». Poteri separati, secondo i dettami della democrazia liberale e della nostra Costituzione, e forti: ma in equilibrio ed orientati a fare sistema per il bene del Paese. Questo un punto chiave che Canzio e Legnini hanno sottolineato. Per questo il CSM è composto da togati e da politici, da pm e da giudici. E per questo «stiamo procedendo alla riforma delle nomine: non saranno più votate “a pacchetto”, ma ad una ad una. Insomma: meritocrazia invece del manuale Cencelli. Canzio ha fatto appallo ai magistrati perché siano «trasparenti e chiari» nei loro atti e nella loro imparzialità, professionalmente preparati così da non interpretare la legge arbitrariamente; devono coltivare «l’etica del limite e del dubbio». «L’indipendenza della magistratura è sacra – ha scandito – ma non è un privilegio del singolo. Se lo jus non si confronta col tu ridiventa summa injuria». Intanto sembrano calare i toni della polemica politica-magistratura, come ha notato Legnini in chiusura. «Spero che finisca del tutto». Maurizio Vitali
«In carcere ho riabbracciato mio padre» Daniel Luiz da Silva racconta i suoi anni nelle celle di Apac, dove i detenuti hanno le chiavi «In carcere entri cattivo, esci spazzatura. Nelle Apac è l’opposto». Daniel Luiz da Silva, per dieci anni in una prigione tradizionale in Brasile e per più di tre in una Apac. Reclutato a sedici anni da una banda commette crimini di ogni genere. Oggi è un uomo nuovo ed è lui ad aiutare molti “recuperandi”. Ieri è intervenuto all’incontro “Dall’amore nessuno fugge. Carceri senza carcerieri”. «Qui entra l’uomo, il delitto rimane fuori». Quanto è importante per voi questa frase che contraddistingue le Apac? In prigione tutti vogliono sapere che crimine hai commesso e, a partire da ciò, ricevi un determinato trattamento. Nelle Apac è l’opposto, chi entra lì è un essere umano. I delitti restano fuori, anche se non li puoi dimenticare. Quali differenze ha visto con le carceri tradizionali? Il carcere è il ritratto della degradazione umana. Entri cattivo, esci spazzatura. Nelle Apac rinasci, sei valorizzato, capisci di es-
Daniel Luiz da Silva ieri al Meeting
sere importante. Com’è il rapporto fra i detenuti nelle Apac? Siamo come un gruppo di formiche. Abbiamo imparato che tutti hanno bisogno gli uni degli altri. E qual è il ruolo dei volontari? Accompagnare il percorso dei “recuperandi”, aiutarli negli ambiti di vita in cui non hanno mai ricevuto appoggio. Amare chi non è mai stato amato. I detenuti hanno le chiavi delle celle e non sono sorvegliati. Per-
ché nessuno evade? Nel carcere tradizionale sei dietro a sbarre, controllato da guardie armate, nelle Apac sei ammanettato solo dal tuo cuore. Esiste un episodio che ha segnato la sua esperienza nelle carceri Apac? Si, quando ho visto mio padre per la prima volta dopo ventisette anni. Lui ha abbandonato la mia famiglia quando avevo solo sei mesi. Mia madre ebbe un crollo emotivo. Cercò di uccidere
i propri figli, fu rinchiusa in manicomio lasciandoci soli. Abbiamo trascorso momenti tristi, tra fame e abbandono. Ho pregato tanto, desideravo conoscere mio padre. Quando l’ho incontrato, l’ho abbracciato, gli ho chiesto la benedizione e gli ho detto quanto mi fosse mancato. È stato indimenticabile. Di cosa si occupa adesso? Lavoro nella Fbac (fraternità brasiliana per l’assistenza ai condannati) dopo aver operato per quasi cinque anni all’interno di un carcere Apac. In questo impiego posso aiutare molte persone. Che cosa pensa del titolo del Meeting? In questi anni ho imparato che esperienze come quella dell’Apac sono necessarie per l’umanità. Così come le Apac sono un bene per il nostro popolo, anche tutte le esperienze vissute e raccontate al Meeting sono utili al mondo. Penso che questo incontro sia un pezzettino del cuore di Dio. Luca Rimmauro
L’ALTRO, LA RISORSA segue da pag. 1 (...) pensato o difeso, accade. Il Meeting sta ponendo davanti a migliaia di persone i protagonisti di un mondo in transizione che hanno usato la risorsa rappresentata dall'altro per sviluppare una grande statura umana. La necessità dell'altro è sempre teorizzata da un sistema chiuso come un qualcosa in più che non è in grado di superare la chiusura dei sistemi ideologici. A meno che non si veda in atto testimoni che hanno costruito la propria personalità accogliendo come una ricchezza gli altri volti. Altri volti con un pensiero e un'affettività differente, che possono persino avere un'apparenza ostile. Alla fiera di Rimini in questi giorni ci sono tanti esempi che mostrano questo «accadere dell'altro». Possiamo soffermarci su uno degli ambiti più conflittuali: il rapporto con l'Islam. Il premio Nobel tunisino Fadhel Mahfoudh ha raccontato com'è stato impedito agli islamisti di appropriarsi della rivoluzione: molti tunisini hanno difeso il processo di democratizzazione in nome di un islam che rifiuta l'integralismo. Camillo Ballin, vicario apostolico dell'Arabia settentrionale (Paese che da decenni produce un wahabismo violento, padre e nonno dell'attuale jihadismo), ha raccontato che – nonostante restrizioni quasi assolute della libertà religiosa – qui oggi il cristianesimo arriva attraverso un'ironia della storia, ovvero i lavoratori asiatici trattati da schiavi. «Ho dedicato 47 anni all'Arabia, ai cristiani e ai musulmani e non ho altro che gratitudine», ha detto Ballin. Egli obbedisce al modo in cui il Mistero rende presente il cristianesimo lì, attraverso gli schiavi. Fernando De Haro
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MOSTRE
«Non spiegate quella mostra» Nel percorso su Madre Teresa i visitatori sono invitati all’incontro personale con la futura santa. Per «saziare la Sua sete di amore e di anime» la religiosa ha fondato le Missionarie della Carità tra gioia e inquietudini «Non spiegate la mostra, riassumete solo qualche passaggio. Starà alla libertà dei visitatori leggere i pannelli per incontrare personalmente Madre Teresa». I volontari ripetono ai gruppi all’ingresso questa frase consegnata loro dalle suore che hanno curato l’esposizione. Si entra come in una città: i muri di cartongesso, panna e arancioni, ricordano le vie di Calcutta e in ogni angolo si trovano otri di vino, stuoie in iuta, sgabelli in legno, polveri colorate che colpiscono l’occhio di chi non trascura i dettagli. I pannelli si susseguono accanto alle celebri foto di Morhiri Oki: Madre Teresa immortalata ad abbracciare, imboccare, pregare, consolare. «Ma com’è possibile?» sembrano chiedersi decine di volti attoniti. Ecco che sorge il bisogno di tornare ai pannelli. Si cerca di capire nella sua storia personale l’origine di tale forza e determinazione, con l’avidità di chi vuole rubare un segreto: «Seguite Madre Teresa sulla strada», ripetono le guide. Suo padre era un commerciante, appassionato di musica. «Metti la tua mano nella Sua, e
«Quando un carisma incontra un altro carisma, non lo esclude, ma lo abbraccia, lo potenzia, lo rivivifica, perché Dio non può contraddire se stesso». È forse questo il passaggio della mostra “La vita per l'opera di un altro” che meglio sintetizza l'incontro tra un sacerdote francese, padre Stefano Pernet, e uno italiano, don Luigi Giussani, nati a cento anni di distanza e paradossalmente cofondatori di una congregazione religiosa, le Suore di Carità dell'Assunzione, di cui la mostra illustra la storia e la presenza oggi nei quartieri periferici delle metropoli. Le “Suorine” (così sono conosciute nei quartieri in cui vivono e operano) nascono dall’incontro e dalla fecondità di due carismi. Padre Pernet fu molto impressionato dalla povertà nella quale vivevano le famiglie operaie dei sobborghi di Parigi ed ebbe un’intuizione: solo una donna consacrata può entrare in quelle case e farsi carico dei bisogni che incontrerà, dalle pulizie al far da mangiare, dalla cura all’istruzione. Fonda così le Piccole Suore dell’Assunzione che, di fatto, “inventano” una moderna pratica di welfare: l’assistenza domiciliare. Nella loro diffusione missionaria le Suorine arrivano anche a Milano, dove don Giussani le incontra nel 1958, restando colpito dalla loro esperienza di fede e quindi di carità, dal-
cammina sola con Lui, vai avanti, perché, se ti volti indietro, tornerai». Queste le parole della madre quando, a diciotto anni, la giovane donna albanese parte per l’Irlanda per entrare nella Congregazione delle suore di Loreto. Il suo periodo di formazione è gioioso e ricco di stimoli spirituali e intellettuali; dopo soli tre mesi, parte per l’India, per completare il percorso previsto per le suore attraverso la missione. Durante le vacanze suor Teresa aiuta nel dispensario: «La minuscola veranda è affollata di malati, miserabili e sofferenti. Il mio cuore batte forte di gioia: ho la possibilità di imitare il mio buon Gesù». Il 10 settembre del 1946 accade la svolta. Gesù le chiede di lasciare l’Ordine di Loreto e di fondare le Missionarie della Carità «per saziare la Sua sete di amore e di anime». Lei ha paura di non esserne capace e chiede a Gesù di trovare «un’altra anima, più degna». Inizia così una verifica drammatica e serrata con il suo padre spirituale. Dopo un anno le viene accordato il permesso di lasciare le suore di Loreto e fondare il nuovo or-
Un particolare della mostra su Madre Teresa
dine. Madre Teresa, come viene chiamata dai poveri, si incammina sola verso i bassifondi della città e inizia ad accudire gli emarginati, i malati e i moribondi.
Ciò che colpisce di più la suora albanese è l’estrema solitudine cui erano relegate queste persone e, alle giovani ragazze indiane che a poco a poco si avvicinano alla sua esperienza, lei ripeteva che il male peggiore è l’emarginazione, perché attacca l’anima. Perché insistere così tanto su questo? «C’è una profonda oscurità in me, come se tutto fosse senza vita. È stato più o meno così fin dal momento in cui ho iniziato quest’opera». Cosa? La favola s’interrompe. I visitatori della mostra si fermano, qualcuno anche sgomento, di fronte a queste parole. «Desidero ardentemente Dio, ma poi, questo è ciò che provo, Dio non mi vuole – Dio non esiste». Queste le parole: granitiche e misteriose se associate a tutte le foto attorno che imprimono nei nostri occhi i suoi gesti, luminosi di amore. Si può passare tranquillamente al pannello seguente che descrive “il lieto fine”. Ma sarebbe riduttivo. Quel buco è incolmabile intellettualmente. Il misterioso percorso di fede è segnato in ogni ruga del sorriso. Benedetta Parenti
Il convento delle Suorine? In mezzo a poveri e operai La congregazione nata dal carisma di don Pernet e don Giussani, vissuto l’uno cent’anni prima dell’altro. Una presenza nelle periferie l’unità profonda tra missione e vita religiosa. Da allora le segue. Nei loro conventi entrano le giessine che manifestano una vocazione religiosa. Alcune di loro sono tra le prime missionarie di Gs in Brasile negli anni ‘60. Dal loro ramo italiano nel 1993 nascono le Suore di Carità dell'Assunzione, congregazione di diritto pontificio, di cui la Chiesa nel 2005 riconosce don Giussani come cofondatore a fianco di padre Pernet. La prima parte della mostra «C’è un filo, che si chiama storia, su cui Dio non compie un passo se non per l’eternità» racconta questo percorso dal 1865 a oggi. Nella seconda parte si incontrano le Suorine all'opera. Il mandato di padre Pernet è: «Estendere il Regno di Cristo in mezzo ai poveri e gli operai». Per don Giussani «padre Pernet trovava nel bisogno della gente, dentro il contesto in cui viveva, uno spunto per poter far penetrare in quelle case, in quei rioni, l'opera presente di un Altro, l'opera di Cristo. Cristo all'opera».
Una visita guidata alla mostra allestita nella Piazza A5 del Meeting
Nei pannelli, nei video, e attraverso le testimonianze delle persone che le Suorine incontrano e assistono sono raccontate queste azioni quotidiane che sono diventate veri e propri (e modernissimi) servizi sociali riconosciuti dai vari assessorati al welfare delle città in cui operano. La domiciliarità: andare nelle case della gente, ma anche aprire alle famiglie i conventi, creare luoghi, i centri diurni, che sono come una casa allargata per i ragazzini e le loro famiglie. «Curare il popolo a casa sua» (Pernet) dall'iniezione, alle
medicazioni, all'assistenza per le visite specialistiche, sino al condividere insieme alla famiglia la fine della vita di un loro caro. La preoccupazione educativa è a 360 gradi. Per «rifare un popolo a Dio» con la gente le Suorine fanno di tutto: serenate alla Madonna, musical, lotterie, visite culturali, gite, Presepi viventi, pranzi, cene e canti. Don Giussani - ricordano - diceva che oggi la testimonianza a tutti, anche ai più lontani, avviene attraverso la carità e i nostri canti. A tutti, poi,
propongono la Scuola di comunità. «Chi ha avuto l'idea di inventare un posto così bello?», ha esclamato Bryan, 6 anni, appena giunto al doposcuola di Madrid. Doposcuola: da 30 a 80 ragazzi per città, aiutati nel fare i compiti (e non solo) dagli universitari e dagli adulti che al doposcuola fanno la caritativa. E, quindi, la sussidiarietà. Padre Pernet diceva che «la carità richiede la messa in azione dell’intelligenza, del cuore, della vita». Le Suorine negli anni si sono dotate di strumenti adeguati alle nuove situazioni (associazioni, cooperative, bandi di gara, accreditamento...), hanno saputo rapportarsi con l'amministrazione pubblica (servizi sociali, tribunali, asl) contrastando la tendenza di alcuni Comuni ad accentrare su di sé i servizi alla persona per gestirli direttamente. Chi è più vicino alla gente conosce e sa rispondere meglio ai bisogni reali delle persone. Ci sono, infine, due pannelli che parlano dell'amicizia con don Giussani, che ha a lungo vissuto in via Martinengo a Milano, in una casetta distaccata del loro convento. Leggeteli. Così come vi consigliamo di ascoltare le testimonianze trasmesse nel video finale: gli uomini sono più convinti da quello che ascoltano che da quello che noi giornalisti tentiamo di spiegargli. Ubaldo Casotto
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MOSTRE
Tra le rovine il sorriso dei bambini L’opera educativa cominciata da don Antonio Villa in Friuli dopo il terremoto prosegue oggi. Il sacerdote milanese: «Sono andato dietro a ciò che vedevo» Stava camminando tra le macerie di Tarcento cercando qualche segno che gli fornisse le ragioni per tornare a Milano. Un fogliettino cadde dal breviario e finì tra due massi. Ne scostò uno, raccolse il rettangolo di carta e lesse il passo, a lui caro, dei Cori da ‘la Rocca’: “In luoghi abbandonati noi costruiremo con mattoni nuovi”. «Qui c’era scritto cosa fare» racconta don Antonio Villa, che da quel giorno non è più tornato a vivere nella capitale lombarda. Il sacerdote
milanese, nel giugno 1976, accoglie la grande richiesta di volontari disponibili a raggiungere i luoghi maggiormente colpiti dal terremoto che aveva scosso la regione friulana. Dopo quarant’anni di attività, la mostra “La carità costruisce per sempre” (piazza A5) ne ripercorre l’esperienza. Una storia che don Villa sintetizza così: «In fin dei conti cosa ho fatto? Sono andato dietro a ciò che vedevo». Seguendo i due versi di Eliot, nei primi mesi accoglie
Nel Friuli sconvolto dal terremoto è nata l’opera di don Antonio Villa
bambini rimasti senza una casa. Nei primi giorni in Friuli dopo il sisma, tra sconforto e confusione, «brilla, come una scintilla, il sorriso di quei bambini – racconta una curatrice della mostra – che coloravano le macerie per renderle più belle. I genitori si accorgevano che anche nella catastrofe i loro figli erano contenti». Un barlume di speranza che non è spento dalla seconda violenta scossa in settembre, che mette di nuovo la regione in ginocchio. Nel momento in cui
molti volontari cominciano a ripiegare, resiste quella scintilla vista nei volti dei bambini e che spinge i genitori a chiedere a don Villa di non abbandonarli. Seguire ciò che la realtà domanda è il metodo. In pochi giorni vengono costituite la Fondazione Camillo di Gasparo e la prima scuola media. Tre baracche in lamina per le lezioni, una dove dormono gli insegnanti e un preside “preso in prestito” a parametro zero. I primi anni sono una grande sfida per
trovare le risorse economiche e gli spazi necessari, fino all’impianto odierno. Ciò che sorprende della Fondazione, di cui sono soci gli stessi studenti e i loro genitori, è il legame che si crea tra alunni e insegnati. «Riesco a guardare il ragazzo per il suo bene – afferma una professoressa quando imparo che la mia e la sua vita hanno un destino». Una modalità che passa attraverso iniziative come il “momento iniziale” (un incontro ogni mattina tra don Villa e i ragazzi), il pranzo insieme o il gruppo musicale che conta oltre quaranta studenti ed ex. Per questo la scuola è curata e sostenuta da chi la vive, «perché è il luogo dove più abbiamo sperimentato una vita diversa – continua una mamma-. Vedere i nostri figli che tornano contenti dopo le lezioni, per noi genitori è sorprendente». Il valore dell’opera è sintetizzato nelle grandi foto esposte nella mostra. I volti degli studenti esprimono ciò che afferma don Villa: «ai ragazzi non basta una fede trasmessa come abitudine. È una vita». Andrea Fornasieri
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MOSTRE
«Si diventa ciò che si ama» Il vero genio di Leonardo da Vinci? Partire dall’osservazione della realtà e non da una teoria. Così sono nate le sue invenzioni e le diciotto “macchine” di legno presenti nel padiglione C5 La mostra “Leonardo da Vinci. L’arte dell’invenzione: tra ordine e bellezza” propone un Leonardo osservatore e inventore, come suggeriscono le riproduzioni dei disegni del Codice Atlantico e diciotto modelli lignei prestati dalla collezione della Fondazione Pierre Gianadda di Martigny, in Svizzera. La ricerca è uno dei cardini della vita di Leonardo. Ciò che la contraddistingue è l’incompiutezza. Non c’è limite, non c’è punto d’arrivo per una scoperta. Un uomo mai pago. A differenza degli intellettuali del suo tempo, il genio fiorentino progetta le proprie opere a partire da un’esigenza pratica, dall’osservazione della realtà e non dalla teoria. Leonardo diffida degli speculatori che tentano di raccontare la verità senza partire dall’esperienza. L’amore per la ricerca è sicuramente uno degli aspetti più affascinanti di Leonardo ma non il solo. Un “designer” che unisce la bellezza alla funziona-
lità richiesta dagli oggetti. Per Leonardo il creato è una macchina perfetta ed è proprio questa perfezione che produce la bellezza del mondo. La bellezza è la manifestazione del bene. Come ricorda papa Francesco:
L’artista è sempre orientato verso i bisogni dell’uomo «Tutte le espressioni di autentica bellezza possono essere riconosciute come un sentiero che aiuta a incontrarsi con Cristo». Il lavoro dell’artista è volto a migliorare la condizione degli uomini. È orientato verso i bisogni dell’uomo. «L’idea della mostra è scaturita dall'incontro tra la fondazione Pier Gianadda e il liceo
La mostra “Leonado da Vinci. L’arte dell’invenzione: tra ordine e bellezza”
Rosmini di Domodossola » spiega il curatore Carlo Teruzzi . I modelli delle macchine sono stati realizzati dalla scuola di Tubinga negli anni Cinquanta, sono in scala ma riprendono fedelmente i disegni leonardeschi. Hanno girato tutto il mondo. Gli
Terra, bene prezioso Recenti stime ONU confermano la previsione che la popolazione mondiale raggiungerà i 9 miliardi di persone nel 2050. Per alimentare un così alto numero di esseri umani sarà necessario rivedere molte delle pratiche in corso e cercare soprattutto di preservare la risorsa base di ogni attività umana, la terra. Un terzo di tutti i territori emersi - pari a 5 miliardi di ettari - è utilizzato per l’agricoltura, una quota che, nonostante nuovi dissodamenti e nuove super fici messe a coltura, non si riesce realmente ad incrementare. Infatti, se per un verso si cerca di ottenere maggiore area coltivabile, d’altra parte una super ficie enorme di terreno viene continuamente sottratta all’agricoltura per fenomeni di impoverimento o desertificazione dei suoli e di urbanizzazione. Mai come in questo momento la terra appare come un bene da difendere e conservare. Le macchine agricole possono offrire un contributo decisivo non solo per la produttività dei suoli ma anche per la loro conservazione, grazie allo sviluppo di tecnologie e sistemi sempre più innovativi e attenti alla difesa e al mantenimento delle caratteristiche dei terreni e degli ecosistemi presenti nel Pianeta. FederUnacoma rappresenta i costruttori italiani di mezzi e attrezzature per l’agricoltura, un settore della meccanica che esprime un’ampia produzione in grado di rispondere alle più varie esigenze colturali, e in grado di proporre soluzioni innovative per un impiego sempre più sostenibile della risorsa terra, il nostro bene prezioso.
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acquerelli in mostra sono opera di artigiani tedeschi». Come si relaziona Leonardo con il tema del Meeting? La mostra è molto attinente al tema, poiché Leonardo riconosceva il bene dell'altro anche attraverso invenzioni che
cercavano di rispondere a bisogni concreti. Abbiamo dedicato una sezione al rapporto tra funzionalità e bellezza, Leonardo partiva spesso dall'osservazione degli strumenti di lavoro: se c'era bisogno di spostare carichi, inventava un carro semovente; se c'era la necessità di attraversare un fiume disegnava un ponte di barche». Proponete un Leonardo implicato nella realtà e vicino alle persone? Leonardo ha anticipato Galileo nel guardare la realtà attraverso l'esperienza. C'è una sua frase molto bella: «Si conosce solo ciò che si ama, e si diventa ciò che si ama». Al centro del percorso c'è sempre l'uomo, per questo abbiamo collocato nella mostra l'immagine delle “Spigolatrici” di Millet. Inoltre in diversi suoi disegni compaiono contadini. Quale augurio lasciate al popolo del Meeting? La mostra finisce con una riflessione sul tempo, Leonardo perfezionò alcuni orologi della sua epoca. Abbiamo scelto una frase di Sant'Agostino come commento sul tempo: «Occorre fare memoria di quello che ci accade ogni giorno, trattenere e prendere coscienza delle cose». Davide Amata Luca Rimmauro
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SPETTACOLI
Diversi e più amici Come gocce d’acqua
21.45
UNIPOL SAI ARENA
D3
Gioele Dix stasera al Meeting con un testo personale: «Dopo la morte di Renzo, il nostro rapporto continua misteriosamente in un’altra forma»
Aperitivi con
Gli “Aperitivi con.....” sono uno dei momenti di maggior curiosità e dinamicità nella giornata di spettacolo del Meeting. Le serate di oggi e domani vedranno sul palco delle Piscine Ovest (alle ore 19) Gioele Dix e Gene Gnocchi.
All'inizio di molte cose – di un amore, di un impresa, di una vita – c'è un'amicizia. E c'è un'amicizia anche al centro della piéce teatrale che andrà in scena questa sera al Meeting: "Diversi come due gocce d'acqua" (ore 21.45, UnipolSai Arena D3), con Gioele Dix protagonista e mattatore di una serata di teatro dove storia, memoria e destino sono al centro della rappresentazione. Gioele (David Ottolenghi) ha deciso di portare al Meeting il racconto autentico e profondo della sua amicizia con Renzo Marotta, una storia iniziata quando i due – da ragazzini vivevano nello stesso condominio milanese. Ebreo il primo, cattolico il secondo,
Gioele e Renzo sono cresciuti insieme prendendo strade diverse, senza però perdersi mai di vista, continuando a provocarsi sulle domande grandi e impegnative della vita. L'amicizia cresce e si sviluppa in anni di cose vissute insieme, conversazioni, musica, letture, fino alla scomparsa prematura di Marotta, a trent’anni, nel 1986, in un incidente d'auto. Sulla scena di “Diversi come due gocce d'acqua”, Dix sarà affiancato da Sara Damonte: insieme metteranno davanti al pubblico gli appunti di un immaginario diario sentimentale, fitto di passioni e ricordi in comune con l'amico scomparso: dai passi della Bibbia alle canzoni di Bob Dylan,
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dalle canzoni di Claudio Chieffo ai film di Woody Allen, dai testi ebraici alle meditazioni di don Luigi Giussani. «Dopo la scomparsa di Renzo sono andato avanti come un sopravvissuto - racconta Gioele Dix introducendo la sua piéce e rivelando così il motivo di questo pezzo di teatro così personale anche se l'amicizia continua
misteriosamente in un'altra forma. Oggi vorrei viaggiare nella vita lasciandomi trascinare dalle domande che questa amicizia ha scoperchiato». E quelle stesse domande che Gioele Dix pone a se stesso, sono inevitabile interrogativo per gli spettatori: ma davvero un'amicizia, un “Tu”, può essere un bene eterno? Carlo Alberti
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VITA MEETING
Piccoli campioni sudano. E crescono Ping pong, baseball, calcio a 5, basket, pallavolo, danza sportiva, karate, ginnastica acrobatica, mini tennis. Ma anche dama e scacchi. Allo Sport Village pulsa il cuore di una folla di giovani “atleti” ma non solo «Mi passi la palla?». Dall’altra parte del bancone delle iscrizioni allo Sport Village, Luca consegna un grande palloncino rosso a un bambino che desidera condividere il gioco. «Questo è prima di tutto un luogo educativo, dove si aiutano a crescere i figli» dice Paolo, uno dei volontari che da più anni partecipa al Meeting. La sua è una storia di fedeltà: «Lo faccio per amicizia. Da quando ero piccolo sono cresciuto con il Meeting. Organizziamo spesso dei tornei per dare ordine e scandire le attività del centro sportivo. Sento la responsabilità e la gratitudine». Luca ha restituito il palloncino al bambino e anche lui desidera raccontare la sua esperienza: «Studio Scienze motorie, sono al quinto anno, questo è per me il posto giusto per imparare meglio quella che sarà la mia professione e che per me è una vocazione». Sono tante le storie dei volontari, tutte dicono la stessa attenzione e disponibilità verso i ragazzi. Nella zona del Ping pong Nicola e altri due amici che vengono dalla Puglia per lavorare al Meeting, vedendo due adolescenti scalpitanti oltre le transenne dicono: «i ragazzi trepidano per entrare a giocare, ma seguirli è una bella esperienza». Poco più in là c’è invece
Lo Sport Village nei padiglioni A7-C7 della fiera
il “Coca Cola Village” dove si trovano i calcetti balilla e una porta coperta con solo due aperture per centrare l’incrocio dei pali, una sfida per esperti tiratori. «Qui c’è sempre qualcuno scatenato da
controllare» dice Nicolas, che accoglie i bambini all’ingresso. Oltre il “Coca Cola Village” ecco la grande pista della Danza sportiva, una presentatrice annuncia in continuazione i gruppi che si
esibiranno, il pubblico non è numeroso ma tutti i danzatori grandi e piccini danno il meglio di sé. La zona più tranquilla è quella dedicata agli scacchi e alla dama, qui si respira nell’aria una concentrazione attenta e silenziosa, tutti, anche i più piccoli cercano di posizionare al meglio i propri pezzi, per sorprendere l’avversario con qualche mossa inattesa. Alice, un'altra volontaria, vede una persona che si avvicina e la guarda seria: «se vuoi partecipare anche tu al torneo di scacchi devi scrivere il tuo nome sul foglio». Il tavolo è tutto ricoperto di fogli, su cui domina la grande coppa riservata al vincitore. Chi la solleverà? «È la prima volta che sono qui come volontaria, pensavo che ci fosse poca gente – dice Alice – invece è sempre pieno, si dice che i bambini che giocano a scacchi diventino più bravi in matematica. Si fatica, ma nonostante questo sorrido». Terminato il giro sosta obbligata al punto ristoro della Nutella per salutare un amico. Racconta del suo lavoro e di come sia faticoso trasportare le bibite da un bar all’altro del Meeting: «Essere qui mi piace molto. Perché sento attenzione verso di me». Davide Amata
Granite e caponata Tra boccali e sorrisi I sapori di Alcamo La piazza della birra Alcamo è il nome di un bar che sta aperto una settimana ogni dodici mesi, ma che riesce a dare speranza a una comunità di amici per un anno intero. Proprio qui, nel padiglione C1, si possono trovare i migliori cannoli siciliani della fiera, oltre a granite alle mandorle, all’arancia e al limone «preparate tutte con frutti provenienti dalla Sicilia», dice con orgoglio Franco, volontario in servizio al bar. Da quest’anno l’offerta dei piatti si è estesa anche a primi e secondi, trasformando di fatto questo luogo in un ristorante express, visto che tutto è preparato al momento. Come antipasto si provano assaggini vari che mostrano i sapori e i colori della Sicilia, tra cui la caponata, olive siciliane e lo stuzzicariello di pomodori secchi. Tra i primi non si può perdere «la pasta con il pesto alla trapanese, preparato con mandorle, basilico, pomodoro fresco e menta» spiega Liborio, altra anima del bar. Pas-
sando ai secondi è da provare il tonno in agrodolce scottato alla piastra. Per finire, l’irrinunciabile coppetta di melone bianco. Il ricavato di questa attività serve a sostenere una casa di riposo, due case famiglia e la neonata Cooperativa sociale Rossasera. Tutte opere avviate in Sicilia. «Questa cooperativa ha come scopo far lavorare ragazzi disabili e già diversi degli ingredienti usati in questa edizione, come le melanzane per la caponata, provengono proprio dalle terre coltivate da noi» spiega Giuseppe Vella, presidente della Cooperativa Rossa sera, che lavora al Meeting come volontario. In questo luogo si ritrovano oltre agli aromi, anche il clima caldo e affettuoso del Sud e i piatti sono serviti tra risate e battute. «Tutti passano da qui, ma ognuno a suo modo. I milanesi cenano alle 19, i romani alle 20 e i siciliani dopo le 21.30» conclude ridendo Lucia. Luca Brambilla
Un bicchiere picchia sul tavolo; un sibilo lieve; il liquido dorato scende lento lungo il vetro, la schiuma si adagia raggiungendo l’orlo. Al tavolo accanto, un gruppo di ragazzi scherza fra un boccone e l’altro, più in là una famiglia organizza la giornata in fiera. Ragazzi in maglia nera corrono senza un attimo di tregua prendendo le ordinazioni, poi uno scoppio di risa, un piatto sulla tavola, un boccale di birra: il Meeting è anche questo. Il Birrificio si trova nel padiglione A3, è un luogo di riposo, si ricrea in miniatura una birreria moderna, gestita interamente da studenti della Fondazione Piazza dei Mestieri; gentilezza e simpatia sono di casa e la fatica del servizio si stempera nell’entusiasmo e interesse per il lavoro. Il cicaleccio dei discorsi si interrompe improvvisamente; si sistemano alcune sedie e tavoli
e un capannello si riunisce intorno ai gestori. «Perché hai deciso di fare la Piazza?» è la provocazione di partenza. Impacciati, incalzati dalle domande dei curiosi, i ragazzi si raccontano: «Ho studiato cucina» dice Roberto, «io per essere estetista», afferma Silvia; storie di giovani che hanno deciso di dedicarsi alla formazione professionale, felici della possibilità di imparare un mestiere e di dedicare cura e attenzione al cliente in ogni dettaglio. «Perché è più bello», afferma Luana. Una professionalità imparata dall’esperienza dei loro maestri, per i quali insegnare significa anche «riscoprire il proprio lavoro e la propria persona», dice Dino, panettiere esperto. Racconti che vale la pena ascoltare di persona, magari davanti a un bicchiere di dolceamaro nettare. Tommaso Zanchettin
LA CANZONE LAMPEDUSA È ROCK Tra chi comanda e chi si compra l’esame in università, una band di giovani liceali marchigiani non ha paura di affrontare nelle sue canzoni temi rilevanti. E “Lampedusa”, il singolo presentato ieri alla mostra sui migranti, lascia ben intendere di cosa si stia cantando. Nati in un carro per il mosto convertito in piscina, davanti al panorama di Camporotondo di Fiastrone, in provincia di Macerata, i “The Landscape” sono arrivati al Meeting grazie a Giorgio Paolucci, curatore della mostra, e al Circolo culturale “Tullio Colsalvatico”, centro dove la band ha mosso i suoi primi passi e che, tra le varie attività, si occupa di sostegno linguistico per immigrati. «La musica – spiegano i ragazzi – non può mai essere fine a se stessa, e anche il messaggio più semplice può aprire un mondo, se nasce dall’esperienza. Noi, per esempio, abbiamo deciso di parlare di un tema così provocante dopo aver conosciuto un giovane profugo, che ora è diventato un nostro grande amico». Tra nobili, popolo, clero e borghesia, a Rimini c’è spazio anche per incontri apparentemente minori, quelli che poi, paradossalmente, sono i più difficili da dimenticare. Perché anche «la vita di un ragazzo che ha una storia troppo corta» vale la pena di essere raccontata. Davide Grammatica
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LA GIORNATA
Oggi Tocca a Boschi, Gentiloni e Prodi al Meeting I due ministri fanno il punto sulle riforme e sul percorso di pace in Medio Oriente
Incontri IL PUNTO E LA LINEA. STORIA E FUTURO DELLA RIFORMA COSTITUZIONALE ITALIANA Ore 11.15 Salone Intesa Sanpaolo B3. Partecipano: Maria Elena Boschi, Ministro per le Riforme Costituzionali; Francesco Paolo Casavola, Presidente emerito Corte Costituzionale; Sabino Cassese, Docente di “Global Governance” alla “School of Government" della LUISS Guido Carli di Roma. Introduce Andrea Simoncini, Docente di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Firenze. “MI PIACE UNA CHIESA ITALIANA INQUIETA, SEMPRE PIÙ VICINA AGLI ABBANDONATI, AI DIMENTICATI, AGLI IMPERFETTI”. La Chiesa italiana dopo il convegno di Firenze Ore 11.15 Sala Illumia B1. Partecipa S. Ecc. Mons. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna. Introduce Davide Perillo, Direttore di Tracce. A OGNUNO IL SUO LAVORO Ore 11.15 Sala Neri CONAI. Partecipano: Stefano Colli-Lanzi, Amministratore Delegato Gi Group e Vice Presidente Assolavoro; Elena Donazzan, Assessore all’Istruzione, Formazione e Lavoro e Pari Opportunità Regione Veneto; Annamaria Furlan, Segretario Generale CISL; Salvatore Pirrone, Direttore Generale Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro. Introduce Dario Odifreddi, Presidente Fondazione Piazza dei Mestieri. WHAT’S HUMAN ABOUT TECHNOLOGY. DIALOGO CON… Ore 11.30 What? - Spazio Innovazione (A5/C5). Giovanni Bertolone, Presidente del Cluster Tecnologico Nazionale Aerospazio; Mario Mezzanzanica, Professore di Sistemi
informativi, Università di Milano-Bicocca. FIGLI DI PAPÀ? LA SFIDA E L’ONORE DI FARE IMPRESA. PARLANO LE NUOVE GENERAZIONI. UN CAFFÈ CON… FEDERLEGNOARREDO Ore 13.45 Stand FederlegnoArredo C1. Partecipano: Alessio Bellin, Amministratore Gibus; Massimo Micali, Ceo Emco srl; Federico Panzeri, Export Manager Panzeri Carlo. "NON SONO NUMERI, SONO PERSONE". MIGRANTI, LA SFIDA DELL’INCONTRO Ore 15.00 Salone Intesa Sanpaolo B3. Partecipano: Domenico Lucano, Sindaco di Riace; Romano Prodi, Presidente Fondazione per la Collaborazione tra i popoli; Naguib Sawiris, Chairman of Orascom Telecom Media and Technology Holding; S. Ecc. Mons. Silvano Maria Tomasi, Membro del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Introduce Giorgio Paolucci, Giornalista. IMPEGNO E RESPONSABILITÀ: LA “CARITÀ POLITICA” Ore 15.00 Sala Neri CONAI. Partecipano: Francesco Gagliardi, Direttore Eptaforum; Mauro Magatti, Docente di Sociologia Generale all’Università Cattolica di Milano; Luigi Manconi, Presidente della Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani del Senato; Eugenio Mazzarella, Docente di Filosofia Teoretica all’Università Federico II di Napoli. Introduce Costantino Esposito, Docente di Storia della Filosofia all’Università di Bari. SUSSIDIARIETÀ E… POLITICHE INDUSTRIALI. Il Rapporto della Fondazione per la Sussidiarietà 2015/2016. Ore 15.00 Sala Poste Italiane A4. Partecipano: Massimo Carboniero, Presidente Ucimu-Sistemi per produrre (Costruttori italiani di macchine utensili); Paola Garrone, Docente di Business and Industrial Economics al Politecnico di Milano; Giampaolo e Gianluca Seguso, Seguso Vetri d'arte - Murano dal 1397. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà. WHAT’S HUMAN ABOUT TECHNOLOGY. DIALOGO CON… Ore 15.30 What? - Spazio Innovazione (A5/C5). Mauro Ceroni, Professore di Neu-
rologia, Università di Pavia; Claudio Marchetti, Chirurgo maxillo-facciale, Università di Bologna. SPERARE CONTRO OGNI SPERANZA: LAVORARE PER LA PACE IN MEDIORIENTE Ore 17.00 Auditorium Intesa Sanpaolo B3. Partecipano: Jàn Figel, Inviato della Commissione Europea per la promozione della libertà di religione al di fuori dell’Ue; Paolo Gentiloni, Ministro degli Affari Esteri; Firas Lutfi, Superiore del collegio di Terra Santa e Vice parroco di San Francesco ad Aleppo, Siria. In occasione dell’incontro intervento di saluto di Pasquale Valentini, Segretario di Stato per gli Affari Esteri e Politici Repubblica di San Marino. Introduce Roberto Fontolan, Direttore Centro Internazionale di CL. “L’AMORE DÀ SEMPRE VITA”: UNA SFIDA PER LA FAMIGLIA Ore 19.00 Salone Intesa Sanpaolo B3. Partecipano: S. Ecc. Mons. Paolo Martinelli, Vescovo Ausiliare di Milano; Marco Mazzi, Presidente Famiglie per l’Accoglienza; Sabrina Pietrangeli, Presidente e Ad Associazione La Quercia Millenaria. Introduce Lorenza Violini, Docente di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi Milano. “L’INCONTRO CON L’ALTRO: GENIO DELLA REPUBBLICA. 1946-2016”: LA CHIESA CATTOLICA Ore 19.00 Sala Illumia B1. Partecipa Agostino Giovagnoli, Docente di Storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano. Introduce Massimo Bernardini, Giornalista. ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO: L’ESPERIENZA CHE FA SCUOLA Ore 19.00 Sala Neri CONAI. Partecipano: Marino Golinelli, Fondatore e Presidente onorario Fondazione Golinelli; Maximo Ibarra, Amministratore Delegato Wind Spa; Bernardo Quaranta, Responsabile Risorse Umane e Organizzazione Italia, Enel; Emilia Rio, Direttore Risorse Umane del Gruppo A2A e Rappresentante Consorzio ELIS; Gabriele Toccafondi, Sottosegretario di Stato del Miur. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà. “SE UN UOMO HA CENTO PECORE E NE SMARRISCE UNA, NON LA-
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SCERÀ FORSE LE NOVANTANOVE?”: L’ESPERIENZA DE L’IMPREVISTO E DI BOCATAS Ore 19.00 Sala Poste Italiane A4. Partecipano: Jesús “Chules” de Alba, Presidente Asociación Pasión Por El Hombre – Bocatas, Spagna; ragazzi della Comunità L’Imprevisto e dell’Associazione Bocatas. Introduce Silvio Cattarina, Fondatore Cooperativa L’Imprevisto. STORIE DAL MONDO. FUOCOAMMARE. Ore 21.00 Sala Neri CONAI. Proiezione del docufilm di Gianfranco Rosi. Produzione: 21Uno Film, Stemal Entertainment, Istituto Luce – Cinecittà, Rai Cinema. Coproduzione: Les Films D’Ici e Arte France Cinema. Partecipano: Pietro Bartolo, Responsabile Presidio Sanitario di Lampedusa; Paolo Del Brocco, Ad Rai Cinema. Introduce Roberto Fontolan, Direttore Centro Internazionale di CL.
Spettacoli APERITIVO CON... Gioele Dix Ore 19.00 Area Piscine Ovest. DIVERSI COME DUE GOCCE D'ACQUA. Dedicato a Renzo Marotta. Ore: 21.45 Arena Spettacoli Unipolsai D3. Di e con Gioele Dix. FILIPPO MALATESTA & BAND. Ore 22.00 Area Piscine Ovest.
Sport TORNEI DI SCACCHI Ore 15.00 (A6 - C6). A cura di Francesco De Vincenzo. NORDIC WALKING TRA LE VIGNE DELL’AZIENDA AGRICOLA FIAMMETTA Ore 18.00 Croce di Montecolombo (RN). A cura di: Meeting Rimini, Centro S. Andrea. CORRI MEETING RIMINI 2016 Ore 18.30 Rimini Fiera - Esterno Ingresso Ovest. A cura del Csi. ESIBIZIONE DI KARATE Ore 19.00 Kinder + Sport Village (A7/C7). Con il Maestro Matsuyama e maestri della Federazione Italiana Karate Tradizionale. Pubblicità Ufficio commerciale Meeting Tel. 0541-783100 Fotografi Servizio Fotografico Meeting E.mail: quotidiano@meetingrimini.org
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