Quotidiano Meeting 2011 - sabato 27 agosto

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ANNO 21 Numero Sette Sabato

MEETING

O N A I D I T O U Q

27

QUALE DESTINO PER L’EUROPA? Con Gianni Pittella, Mario Mauro, Giulio Tremonti (nella foto). Introduce Bernhard Scholz. Auditorium B7

11.15

AGOSTO 2011

Scholz: cosa dirò a Tremonti pag. 2

Padre Aldo Trento, al centro, fra due amici sacerdoti. Nel pomeriggio sarà protagonista dell’incontro conclusivo del Meeting con lo psichiatra Eugenio Borgna.

La Primavera araba è una sfida per noi ra pochi giorni saremo costretti a ricordare i dieci anni che sono trascorsi dall’11 settembre 2001. Costretti perché è una di quelle date che assieme a qualche altra vorremmo istintivamente cancellare dal calendario. Sappiamo tutti che in quel giorno è cambiato qualcosa nella storia recente del mondo, c’è un prima e un dopo. Il decennio che si chiude è stato segnato da guerre, distruzioni e stragi e in un modo o nell’altro tutte riportano all’11 settembre 2001.

T

CIÒ CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO Presentazione del libro di Luigi Giussani. Con Eugenio Borgna (nella foto), Aldo Trento. Introduce Emilia Guarnieri. Auditorium B7

15.00

Il cardinale volontario pag. 7

La guerra di Socci pag. 9

Strano ma certo È stato tutto molto difficile in questi anni: le relazioni tra le religioni, il dialogo tra le culture, gli stessi rapporti tra gli uomini. Ma possiamo dire con certezza che anche in questo tempo oscuro il Meeting è rimasto fedele alla sua origine, continuando nell’incessante opera di realizzare l’incontro tra mondi e persone differenti - persino molto differenti; l’opera di un guardarsi e parlarsi a tu per tu, anche se davanti a migliaia di spettatori attenti e coinvolti, anzi proprio in virtù di queste platee attente e coinvolte. Al Meeting abbiamo resistito a chi voleva e vuole chiudere le porte, separare le diversità, alzare il muro del “noi e loro”. La nostra esperienza di identità chiara e certa ci spalanca all’altro ed è sempre, sempre, la proposta di un cammino insieme, libero,

paziente e aperto. L’esperienza del Meeting rischia tutto nell’amore alla libertà dell’altro. Naturalmente è esposta all’errore – e quanti se ne fanno in una vita. Ma non impone, non presume, non giudica ideologicamente. Con tenacia, anno dopo anno, abbiamo aggiunto tessuto al filo che ci lega all’altra riva del Mediterraneo: ai nostri fratelli cristiani spesso in condizioni di gravi persecuzioni, al grande mondo arabo, alla religiosità islamica. Anche da questo è nata quella straordinaria esperienza chiamata Meeting del Cairo. Alcuni mesi fa abbiamo come tutti assistito stupefatti a ciò che accadeva in Tunisia, in Egitto e che poi ha contagiato via via quasi tutto il mondo arabo. Nessun economista o

presidente di banca o ministro aveva previsto la crisi finanziaria; analogamente nessun leader politico, analista o capo di organizzazioni mondiali aveva prefigurato eventi che hanno cambiato per sempre il volto del Medio Oriente e del Mediterraneo. Eventi che sono in corso e che hanno preso strade diverse: vediamo in questi giorni quel che accade in Libia, in Siria, e le tensioni che crescono un po’ dovunque nella regione. Ieri, con l’incontro dedicato alla Primavera araba, al suo drammatico fiorire, un altro passo si è aggiunto al cammino del nostro Meeting. E continueremo, con la coscienza che quel che accade è una sfida, una sfida per la conoscenza, per la politica, per la ragione, per il cuore. Una sfida a non restare mai tranquilli.


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27 agosto

Il presidente della Compagnia delle Opere, Bernhard Scholz. Nel tondo, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Entrambi saranno protagonisti dell’incontro di oggi (ore 11.15, sala B7) assieme al capo della delegazione dei deputati del Pdl nel gruppo Ppe, Mario Mauro, e a Gianni Pittella (Pd), vicepresidente del Parlamento europeo.

«I ragazzi che ho visto hanno abbandonato le ideologie, e si affacciano al mondo con grande realismo»

SCHOLZ

«Qui ci sono i giovani che rifaranno l’Italia»

Il presidente della CdO: «Altro che mammoni, ho visto una generazione che vuole costruire il futuro con fatica e sorriso. A Tremonti chiederemo di sostenere la crescita» «Questo Meeting è stato un successo, perché siamo riusciti a comunicare a noi stessi e al mondo che l’esistenza ha bisogno di una certezza. E questo è un grande contributo anche per affrontare questa crisi, che non ci determina ma è una sfida». Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere, oggi alle 11.15 in sala B7 introdurrà l’incontro «Quale destino per l’Europa?» seduto a fianco del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e degli europarlamentari Mario Mauro e Gianni Pittella. Al Quotidiano Meeting concede un’intervista che riassume i lavori della settimana e presenta l’incontro di domani. Il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha aperto la settimana con un sorprendente invito a portare la «certezza» nel mondo. Lei quale Meeting ha visto? «La partecipazione di tanti giovani è un dato sempre più importante, ma soprattutto ho visto un crescente interesse a imparare, confrontarsi e osservare. C’è una nuova generazione che sa di dover costruire il futuro e ha voglia di farlo. Con la chiara coscienza che per fare questo bisogna imparare e fare fatica. Alla faccia di chi dice che questa generazione è fatta di “mammoni”. Questi ragazzi hanno abbandonato le ideologie e si affacciano al mondo con grande realismo. E senza perdere il sorriso!». La Cdo quest’anno ha proposto la mostra «Ante gradus» sugli affreschi del Pellegrinaio di Santa Maria della scala di Siena. Perché? «Abbiamo voluto che ci fosse la mostra perché per noi l’arte è in grado di esprimere in un modo molto chiaro il si-

gnificato insito nell’esperienza. In particolare abbiamo scelto di mostrare l’opera di persone che si sono messe insieme per rispondere a un’infinità di bisogni: ad esempio la carrozzeria Solo Zandonai di Santiago del Cile, una impresa “profit” che impiega ragazzi disagiati usciti dal carcere minorile. Da quando ci sono loro, la carrozzeria lavora meglio

di prima, perché il disagio non è un ostacolo ma può diventare una fonte di impegno ulteriore: una grande lezione anche per le altre aziende. Lo stesso discorso vale per la Vito Rimoldi, che lavora con la cooperativa Solidarietà e lavoro, un’altra opera presentata quest’anno». Che cosa si aspetta dall’incontro di

oggi col ministro Tremonti? Cosa gli chiederà? «Vogliamo parlare con il ministro della prospettiva europea nella quale l’Italia deve trovare la sua crescita, perché non siamo di fronte al problema di un solo Paese. Tremonti ha davanti a sé una sfida difficilissima: conciliare crescita e rigore per ridimensionare il debito pubbli-

E il cronista di «Repubblica» fa il pieno di stupore Michele Smargiassi: «Impossibile non riconoscere ciò che accade qui» Perfino «Repubblica». A prendere in mano l’edizione di ieri del quotidiano diretto da Ezio Mauro, la sensazione di deja-vu era fortissima. E anche la tentazione di sollevare gli occhi al cielo, di fronte al titolo di prima pagina: «Dio e il capitale alla festa di Cl». Solo che stavolta l’atteggiamento del già saputo è rimasto fregato. Perché raramente sulla stampa nazionale si è letto un reportage frutto di uno sguardo così onesto e non preconcetto. Siamo abituati, in un senso ma anche nell’altro, ad articoli a tesi: o per attaccare gli affaristi della fede, o per difendere l’esperienza del Movimento. Qui, no. Il testo è lungo, e non può essere riprodotto per intero, ma qualche stralcio può aiutare a farsi un’idea: «A Rimini, a centinaia di migliaia, sono arrivati i pellegrini dalle certezze salde. Brillano di certezze, per esempio, gli occhi azzurri di Miriam. Viene dall’Umbria, è al suo primo Meeting, le hanno messo in mano una ramazza e per sette giorni pulirà la moquette dalle cartacce. Eppure è felice come se le avessero fatto un regalo. […] Curioso: da queste parti ti a-

spetteresti che la risposta alla domanda del cronista, “qual è la tua certezza?”, fosse un nome, anzi il Nome: Gesù Cristo risorto. E forse questa è la risposta implicita, però la prima a venir fuori è un’altra: la vera certezza è l’appartenenza a una comunità, a un’identità». Raggiunto dal Quotidiano Meeting mentre è già in viaggio, Smargiassi si schermisce: «Ho solo fatto il mio lavoro, cerco di non avere una tesi in testa quando mi metto su una cosa...». Non è poco. Perché questo sguardo non esime da un giudizio, piuttosto ne è condizione. Tanto che dopo una carrellata di dichiarazioni, mostre, racconti, l’articolo spiega: «Chi passi qualche giorno al Meeting non può non ammettere che nulla di tutto questo esisterebbe se non poggiasse su una sorprendente capacità di mobilitazione di coscienze, di sincero coinvolgimento intimo, su una leva di massa di entusiasmi come ormai pochi movimenti in Italia sanno suscitare, e nessuno da altrettanto tempo». Nel Meeting delle certezze, una sorpresa destabilizzante. Q.M.

co. Vogliamo farci spiegare da lui, da Mauro e da Pittella come questo sia possibile nel quadro europeo. Il mio desiderio è che dopo questo incontro ogni partecipante possa andare via con maggiore consapevolezza del problema e maggiore conoscenza dei fattori in gioco. Se poi ci sarà il tempo, ci piacerebbe mostrare al ministro la mostra “Ante gradus” e quella sui 150 anni di sussidiarietà, perché se la sussidiarietà ha fatto l’Italia fino adesso, può essere utile almeno per altri 150 anni...». Alla fine di questo Meeting, si scopre più certo? E di cosa? «Sì, ci siamo accorti che abbiamo bisogno di una certezza che non dipenda dalle condizioni in cui viviamo e che anzi ci permetta di affrontarle. Non è un discorso astratto: penso alle imprese, dove nessuno investe energie o soldi se non è certo. Quindi il tema della certezza ha un’implicazione economica, sociale e culturale decisiva, oltre che personale ed esistenziale». Che altri frutti ha portato questa settimana? «Grazie ai giovani, il Meeting acquista sempre più una propria identità, capace di valorizzare tutto, come abbiamo visto al Cairo. E probabilmente vedremo a Tokio, dove andremo a fine anno». Da dove nasce questa capacità? «Siamo figli di don Giussani. Da lui abbiamo imparato ad abbracciare tutto, perché prima facciamo esperienza di essere abbracciati noi stessi. Saremo in grado di fare questo con la grazia di Dio e con la coscienza che la mostra su Cafarnao ci ricorda». Pietro Bongiolatti


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27 agosto

PADRE ALDO «Siamo folli, cioè da salvare» Oggi il missionario terrà l’incontro conclusivo del Meeting: «Vivo sempre nel dolore, ma sorretto dall’abbraccio di Giussani» «Ho realizzato il sogno della mia giovinezza: poter dire “ti amo, tu non morirai”». Il sogno di Aldo Trento è ciò che ognuno davvero desidera. Non perdere ciò che si ama, cioè amare veramente, è un’urgenza ben più grande della preoccupazione di rattoppare tutti i buchi della nostra esistenza. Nell’incontro conclusivo del Meeting che si terrà questo pomeriggio (ore 15, Auditorium B7) il sacerdote missionario in Paraguay racconta l’«abbraccio di Giussani quel 25 marzo 1989, cioè l’incontro con Cristo». Con lui la presidente del Meeting, Emilia Guarnieri, ed Eugenio Borgna, primario emerito di psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara. «Sono stato salvato dall’abbraccio di Giussani» – dice padre Trento al Quotidiano Meeting – «che è stato l’inizio di una resurrezione». Oggi si parlerà di questo: l’abbraccio di Cristo, la cosa più cara della vita. Quell’abbraccio cosmico che salva tutto, «dal fiorellino del campo alla donna amata». Aldo Trento non ripete le parole della prefazione di don Julián Carrón ma le personalizza, dà loro carne. A partire da quel primo abbraccio che lo ha messo in cammino, fino ad arrivare al volto degli amici di oggi, primi fra tutti Carrón, Cleuza e Marcos Zerbini, che gli «ricordano perché è necessario soffrire e sono la garanzia di quell’abbraccio». «Tutto ha avuto inizio 22 anni fa» – racconta – «quando Giussani mi ha abbracciato. Lì ho capito che tutti viviamo da schizofrenici, siamo divisi tra ragione e sentimento, tra quel che facciamo an-

Padre Aldo Trento, 64 anni, è missionario in Paraguay.

che se non lo vogliamo e quel che non facciamo pur desiderandolo ardentemente. Cedere alla verità ci spaventa perché sentiamo che ci spacca il cuore e ci chiede di cambiare. Siamo come Zaccheo, che era salito sulla pianta spinto dalla curiosità di vedere Gesù, ma allo stesso tempo si nascondeva tra le foglie per difendersi dagli sguardi altrui». Come passare dalla schizofrenia all’unità dell’io? «Con un abbraccio. L’incontro con Cristo ti permette di guardare a te stesso senza scandalizzarti della tua

Il dottor Paolo Campisi è lo psichiatra torinese allievo del professor Eugenio Borgna (oggi di nuovo al Meeting accanto a padre Aldo Trento) che fece da tramite fra lui e don Luigi Giussani. Ecco come Campisi rievoca quell’incontro. «Nel 1982 - dice - decisi di perfezionare il mio percorso di studi. Terminata la Scuola di specializzazione in neuropsichiatria infantile, mi iscrissi alla Scuola di psichiatria. A novembre iniziarono le lezioni di psicopatologia generale e feci così il mio primo incontro con il professor Eugenio Borgna. Ricordo che era temuto dagli studenti perché, si raccontava, il suo esame era superato da pochi candidati». «Alla prima lezione arrivai intimorito, ma anche, confesso, decisamente curioso di conoscerlo. Trascorsi, così, i primi dieci minuti a studiare il tipo umano (la mia formazione fino a quel momento era stata di tipo rigidamente psicoanalitico), i suoi gesti, l’intonazione della voce. Fu proprio questa a rapirmi: parlava lentamente, era serio e capace di ascoltare, non sembrava esporre i soliti argomenti di didattica mnemonica. Dava l’impressione di parlare di questioni che interessavano prima di tutto lui stesso. Il suo argomentare mi affascinava, trascorsero le due ore di lezione e io avevo perduto il senso del tempo». «Da quattro anni facevo lo psichiatra, ma e-

follia. Come Gesù che ha chiamato Zaccheo e si è invitato a casa sua. Tutti siamo dei folli: ognuno ha un dramma dentro, anche chi passeggia ridendo o parla solo di politica. La verità ci affascina, ma esige il sì della nostra libertà e una strada». Serve un «cammino»: e lo dice un uomo di 64 anni che ha attraversato anni di esaurimento e malattia, e che vive «sempre nell’oscurità e nel dolore». Un uomo che ha lasciato casa sua per una terra sconosciuta spinto dalla promessa di

Giussani: non perderai la donna che ami. «Non sono partito per Gesù in sé – dice – ma per vedere se realmente Cristo salvava quella donna. Se Cristo non la salva, mi sono detto, allora non mi interessa. È una sfida corrispondente al cuore, non all’istinto». Le parole di Aldo Trento esprimono il paradosso di una vita assediata «24 ore al giorno dal dolore», ma che riconosce in esso «ciò che permette che quel primo abbraccio di 22 anni fa non si cristallizzi in dottrina». C’è il rischio di comportar-

«Borgna, un maestro che pretende il massimo» I ricordi dell’allievo Campisi: così incontrò il Movimento cente riforma psichiatrica, ma al mio stesso ra la prima volta che coglievo tutto lo spessolavoro e alla vita del cosiddetto malato psire umano del mio lavoro. Per dieci anni, duchico: era la decisione di non fermare il giurante il corso di laurea e quello di specializdizio su una persona alla diagnosi, ma di tenzazione, avevo desiderato l’incontro con un dere sempre al cambiamento. Sentivo una maestro, quelli di cui leggevo nelle bioforte sintonia tra il Movimento e grafie di Moscati e dei grandi cliciò che comunicava Borgna. Atnici del passato, capace di cotesi dunque con pazienza il niugare in un unico orizzontermine delle lezioni, attesi te di senso la sofferenza uancora qualche mese per mana e la professione mepotermi preparare adeguadica. Mi sentivo però dire tamente al temuto esame che era finita l’epoca dei di psicopatologia (non vograndi maestri di vita e di levo assolutamente far brutprofessione: ora c’erano i ta figura), che sostenni (crebaroni. Quell’uomo, invece, do) in modo brillante. Avevo era un maestro e io, senza scoperto che il timore dei dirglielo, lo adottai come miei colleghi studenti era tale». Il professor Eugenio Borgna. falso: il professor Borgna «È di quegli anni - contipretendeva il massimo, certo, ma, come ebbe nua Campisi - la nascita all’interno dell’espemodo di dirmi “dagli amici non si può pretenrienza di Cl di un movimento di psichiatri che dere meno del massimo”». prese il nome di Cristiani in psichiatria. Alcu«Infine gli presentai il movimento Cristiani ni amici psichiatri di Milano mi avevano in psichiatria. Pochi giorni dopo parlai con il coinvolto nella sua istituzione, con questo mio amico di Milano Giorgio Cerati del mio contribuendo a dare senso non solo alla re-

si come «funzionari, non come oggetti di Cristo». Se non si vuole cadere nella tentazione di interpretare o ridurre Gesù, dice, bisogna guardare chi oggi personifica e vive la presenza di quell’abbraccio, perché «se non accade oggi non serve a niente, non basta. Serve un lavoro. È necessario soffrire». Per questo quando è morta Lucia, una delle “sue” bambine nel centro per malati in Paraguay, padre Aldo ha preso l’aereo per il Brasile ed è andato a trovare Cleuza e Marcos: «Avevo bisogno di vedere perché è necessario soffrire. Serve un lavoro quotidiano che passa dal dolore. Serve una domanda. Io vivo e seguo gridando». Ed è lo stesso motivo per cui oggi è qui «col cuore lieto e triturato» per aver lasciato a casa tanti dei suoi bambini malati, senza sapere se al suo ritorno li rivedrà. «Io vivo sempre nel dolore» – dice – «ma la disperazione non mi schiaccia perché ho quegli amici. Quel “più caro” di cui parla Giussani non può resistere nel tempo se non in un abbraccio sempre nuovo. Ciò che di più caro ho è chi continuamente mi dice: “è Cristo”, quindi ogni uomo mi è caro. Per riconoscere questo nella propria vita serve pazienza, serve il tempo. Bisogna passare dentro al dolore, che non è amico della fretta». Laura Bertoli

incontro con Borgna e della ricchezza che poteva essere per noi». Alcuni anni dopo, Borgna e don Giussani si conobbero e tra loro si sviluppò un’intensa amicizia. In un’intervista di qualche tempo fa, Borgna parla così di quell’incontro: «Fui colpito dalla immediatezza abbagliante del suo discorso, che non mostrava mai quelle incrinature freddamente teologiche che temo rendano difficile il dialogo con chiunque. Ciò che colpiva immediatamente di lui era una capacità prodigiosa di guardare e intuire l’umanità di chi aveva davanti. Da un incontro con lui si usciva ogni volta cambiati: era ogni volta un dialogo in cui ti riscoprivi rinnovato dalla semplicità folgorante e dolorosa delle sue parole». Borgna stimava molto don Giussani: «Senso, mistero: sono le strutture portanti dell’uomo, oggi nascoste dall’incrostazione dell’indifferenza e dell’opacità dei cuori. Con Giussani queste parole riemergevano nella loro straordinaria intensità originaria. I valori essenziali che don Giussani propone consentono di allargare la conoscenza del mistero, che è essenziale anche in psichiatria: la non dicibilità, la non conoscibilità restano comunque lì, a volte insormontabili, e non ci sono libri, non ci sono esperienze che riescano a sfondarne i confini». E.T.


POLITICA E SOCIETÀ 4 27 agosto

La primavera araba spiegata da Maroni

Nella foto grande il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che ieri ha partecipato ad un incontro sul tema dell’immigrazione con il sindaco di Bari, Michele Emiliano (nel tondo).

Il ministro dell’Interno mette in guardia dal rischio che le rivoluzioni in Nord Africa non producano «governi stabili e non ostili all’Europa» La certezza di cui il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, è alla ricerca sul futuro della Libia, riguarda l’Europa: «L’Ue – ha detto ieri dal palco del Meeting a un incontro sui rapporti tra i paesi del “mare nostrum”, col demografo Gian Carlo Blangiardo e il sindaco di Bari, Michele Emiliano – deve darsi una mossa, non solo con la Nato e con le bombe. Vorrei che l’Europa si preoccupasse di creare in Libia un sistema sociale stabile che possa garantire la fornitura di materie prime, ma anche un rapporto di amicizia. Temo che l’interesse di alcuni paesi, non certo dell’Italia, sia solo per il petrolio e per il gas». Ma Maroni è alla ricerca anche di un’altra certezza, che dalla primavera africana nascano «governi stabili e non ostili all’Europa». «Nei prossimi sei mesi – ha rilevato il ministro – può succedere una nuova rivoluzione, una controrivoluzione, una restaurazione in questi paesi. È il caso, per esempio, della Tunisia, il paese più vicino a noi. Qui ci sarà il primo focus, con le elezioni del 23 ottobre. Parte-

ciperanno 80 partiti, probabilmente nascerà un governo di piccola o grande coalizione. Chi vincerà qui e poi negli altri paesi? Prevarrà un modello di democrazia occidentale o un sistema islamico? Lo slogan dei Fratelli Musulmani, per esempio, dice che l’Islam è la soluzione. La mia preoccupazione è che vincano i partiti del-

l’Islam intransigente che vede l’Europa e l’Occidente come un nemico». Negli ultimi quattro mesi sono arrivati in Italia 57 mila immigrati, ha informato il ministro: 13 mila sono stati rimpatriati in sei mesi e diventeranno 30 mila entro l’anno. Per Maroni l’Italia è «attrezzata a gestire al meglio i fenomeni migrato-

Entro il 2011 saranno 30 mila gli immigrati rimpatriati

ri, ma serve stabilità istituzionale in quei paesi, per questo che sono andato già quattro volte in Tunisia». Quindi un divertente scambio di battute con Emiliano. «Ho capito che qualcuno vuole mandarmi in Africa – ha detto, scherzando, Maroni – ma non gli darò soddisfazione perché c’è già qualcuno del suo partito che ha detto che sarebbe andato in Africa». «Ho ben altri progetti per te, ma ti farei danno se ne parlassi», ha replicato Emiliano, riferendosi evidentemente a una candidatura di Maroni alla presidenza del consiglio. Pronta risposta: «Mi prenoto per il Meeting del prossimo anno, per venire a parlare degli straordinari successi contro mafia e organizzazioni criminali. Questa mia previsione vi fa capire che il governo durerà fino alla scadenza naturale della legislatura». Sempre Maroni, prima dell’incontro, aveva parlato di una sua “silenziosa” mediazione per contenere i tagli agli enti locali previsti dalla manovra, con la possibilità addirittura di un loro azzeramento. Adriano Moraglio

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POLITICA 5

27 agosto

Frattini benedice le rivoluzioni Il ministro esalta la Primavera araba: «È un’esigenza di dignità». Ben Ammar: «Decisivo il ruolo dei mass media» È una sfida che ha come centro l’uomo, inteso prima come singolo e poi come collettività. «La sfida del Nord Africa: conciliare stabilità e diritti» è questa. All’incontro hanno partecipato il ministro degli Esteri Franco Frattini; il finanziere e imprenditore Tarek Ben Ammar e Wael Farouq, vicepresidente del Meeting Cairo. Presenti anche Antonella Mularoni, “ministro” degli Esteri di San Marino e – con un intervento scritto – il presidente della Lega Araba Nabil El-Arabi. Si può guardare la situazione dell’Africa mediterranea come una sfida per la conoscenza, il cuore e la ragione? Nel suo contributo, El-Arabi ha sottolineato la necessità di «costruzione di istituzioni democratiche benché in Libia, Yemen e Siria la transizione non sarà affatto breve». Ciò potrà avvenire solo, ha detto, grazie a una «partnership euro-araba». Secondo El-Arabi due possibili vie per accelerare il processo di democratizzazione nel mondo arabo sono «il mantenimento della nuova democrazia in Egitto e il riconoscimento dello Stato palestinese». Il ministro Frattini ha ricordato che «il filo comune della Primavera araba è la persona umana, la sua dignità»: infatti la scintilla delle rivoluzioni è stata «un gesto senza precedenti: un giovane tunisino si è ucciso dandosi fuoco per lanciare un grido di appello per i diritti e la dignità della persona». Il titolare della Farnesina ha poi riconosciuto molti sbagli dell’Occidente nei confronti dei regimi arabi: «Qualcuno pensava che per quei popoli la democrazia non fosse possibile. In alcuni casi il giudizio era miope, altre volte si diceva così per calcolo. Spesso si è preferito seguire partneriati di convenienza, piuttosto che di convivenza». Da qui, la presa di posizione più forte: «Noi dobbiamo essere al fianco di questi giovani delle rivoluzioni arabe, poiché in Egitto non ho mai visto bandiere americane o israeliane bruciate, ma solo uomini che chiedevano di-

Da sinistra: Wael Farouq, vicepresidente del Meeting Cairo; Franco Frattini, ministro degli Esteri; Tarek Ben Ammar, finanziere e produttore cinematografico.

gnità». Cosa può riservare allora il futuro? «La chiave – ha proseguito Frattini – è creare un nuovo umanesimo, che non viene dalle élite ma dal basso, dai popoli». Per farlo c’è bisogno di mettere l’uomo al centro, innanzitutto chiedendo che «la libertà di professione di ogni religione sia l’obiettivo prioritario», poi rivalutando il ruolo della donna e infine con un «piano condiviso di cui l’Europa sia portabandiera» per lo sviluppo economico. Senza avere paura di accogliere chi arriva in Italia: «Se vengono qui per lavorare e rispettando

le leggi, devono sentirsi a casa propria, altrimenti scherziamo quando ci definiamo cristiani». Affrontando i casi della Libia e della Siria, Frattini ha rinnovato l’intenzione di ripristinare e rafforzare il trattato di amicizia con Tripoli stipulato prima della caduta di Gheddafi, mentre ha ammonito la Siria: «O si difendono i diritti umani oppure non sarà mai un interlocutore». Le ovazioni dell’auditorium sono state più rumorose con l’intervento di Tarek Ben Ammar, per la prima volta al Meeting. Nel suo discorso ha parlato

da «imprenditore della cultura». Ha raccontato dalla sua infanzia di musulmano in una scuola di preti a Roma, al suo impegno da produttore cinematografico. Gran parte dei film prodotti centravano con il cristianesimo: «Il Messia» di Rossellini, «Gesù di Nazareth» di Zeffirelli fino alla «Passione di Cristo» di Mel Gibson. «Mi sono sempre chiesto – ha proseguito l’imprenditore – perché io, musulmano, sono stato scelto per produrre tutti questi film religiosi. Io credo alla strada che Dio ci prepara e quindi sono sicuro di essere

stato scelto proprio perché sono musulmano». Poi, due anni fa la fondazione in Tunisia della televisione «Nessma», che in arabo significa brezza, precursore di quel vento che ha sollevato la tempesta della rivoluzione araba (la primavera in Egitto è la stagione delle tempeste di sabbia): «È stata la tv della rivoluzione, siamo stati i primi che in Tunisia abbiamo fatto una trasmissione contro il regime». Ben Ammar ha concluso pensando al futuro dopo la rivoluzione: «La giustizia sociale è il nuovo lavoro che i governi possono fare. C’è il petrolio dell’Iraq, della Libia, del Kuwait, del Qatar, dell’Arabia. È normale che ci sia la povertà? Per niente!». L’incontro è stato chiuso da Wael Farouq che ha sottolineato come sia stato più facile vedere nella rivoluzione di piazza Tahrir quei valori di libertà, bellezza e unità evidenti al Meeting Cairo. È una doppia sfida quella della Primavera araba: «morale e culturale, non politica». La sfida morale, è stata «credere nelle proprie capacità di cambiare, dopo anni che eravamo costretti a sentire la parola “stabilità”». La sfida culturale consiste nell’esaltazione dell’«estro umano digitale e comunicativo» che, grazie ai nuovi strumenti di divulgazione, ha formato una nuova realtà: «Il carisma si è così potuto trasferire dall’individuo alla collettività». Durante la rivoluzione, ha concluso, è stata evidente la frase di don Giussani: «Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo». Proprio quel cuore che secondo Wael «è capace di contenere il mondo intero e così diventa immensa certezza». Marco Capizzi

Un’immagine della recente partecipazione di Benedetto XVI alla Gmg di Madrid, dove è stato ascoltato da oltre due milioni di giovani.

Da Madrid al Meeting La certezza non finisce Viaggio tra i ragazzi passati dalla Gmg a Rimini «Benedetto XVI non era la star: ha rinunciato a parlare» «In fondo, io sono come la Giornata mondiale della Gioventù. Ci sono momenti più chiari e altri più scuri, ma tutto cambia sempre quando decido di stare a quello che c’è», dice Giovanni, “reduce” di Madrid. Sono 1.200 i pellegrini universitari e liceali che seguono don Luis Miguel, missionario in Portogallo che capitanava la spedizione di giovani del Movimento che hanno accompagnato il Papa. «Dopo la visita alla Sagrada Familia ho pensato che potevo anche tornare a casa – racconta Lucia, una fra i tantissimi che dalla Spagna sono arrivati direttamente in Fiera, per vivere la seconda parte del Meeting che chiude oggi –. Era davvero bellissima. Ma quando mi sono svegliata due giorni dopo, nel pavimento della scuola, non ne potevo già più. Poi quella sera c’è stata una serata organizzata dalla comu-

nità di Cl di Madrid, dal titolo: “La bellezza salverà il mondo?”. Ma quella cattedrale non mi bastava già più – continua –, ho capito che quella bellezza finisce se non diventa compagnia presente. Se quella facciata non mi rimandasse alla bellezza di Cristo, adesso svanirebbe». La più grande obiezione del pellegrinaggio non tarda a scoprirsi. «Dove sono finita?», si è chiesta Ilaria, appena arrivata a Madrid: «Tutto era diverso dalla mia sensibilità. Sembrava un villaggio turistico. Ma ho capito subito che non potevo rimanere in disparte col broncio, perché stavo peggio». Aspettando il Papa si è ballata la macarena, il tormentone pop dell’estate «Danza kuduro» e molto altro. Miguel incalza: «Ma lì non sono matti. Questo è il modo degli spagnoli di esprimere la loro gioia». Di colpo, però, il clima cambia:

tutto tace alla Via Crucis. «Mi ha colpito tantissimo il silenzio assoluto che c’è stato venerdì e durante l’adorazione eucaristica di sabato sera – racconta Michele, appena maturato –. Era evidente come il Papa ci mettesse di fronte a Cristo». «Benedetto XVI non era la star – dice Giovanni –. Ha rinunciato al suo discorso per inginocchiarsi di fronte a Lui». La giornata prosegue: tutto il gruppo si unisce attorno alla guida che traduce con un megafono quello che il Papa dice. Le

radio sono fuori uso. La polizia del servizio d’ordine sta già per smobilitare la folla ma è costretta a fermarsi. Nessuno si muoveva di un palmo. «La gente spingeva verso il palco – dice Mariachiara –. Volevano avvicinarsi sempre di più». I poliziotti rimangono stupiti di fronte a questa insolita tenacia: «Dovremmo essere capaci di stupirci come loro», commenta il capogruppo. Anche il servizio d’ordine dei ragazzi di Cl stupisce tutti: con gli ombrelli bianchi e gialli segnalano in mezzo alla folla la presenza del gruppo. «Mi sentivo a casa quando vedevo uno di loro» dice Elena. Non è successo nulla di eclatante a Madrid – racconta Francesco –. Non c’è stato nessun miracolo. Ma un cammino che ha raggiunto la sua meta ai piedi del crocifisso nella tempesta». Davide Ori


MEDICINA E SOCIETÀ 6 27 agosto

L’uomo certo è l’uomo sano La salute dalla riduzione della tecnica all’idea di grazia Cesana: «La previdenza ha sostituito la provvidenza» «L’uomo è in salute quando è certo; la salute è l’esperienza della certezza, non l’assenza di malattia». Così il dottor Marco Bregni, presidente dell’associazione «Medicina e Persona», ha introdotto ieri l’incontro «La certezza della salute» al Meeting di Rimini. Ospiti il monsignor Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio consiglio della pastorale per gli operatori sanitari e il professor Giancarlo Cesana, dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Nel rispondere alla domanda: «Di cosa c’è bisogno perché la medicina torni ad essere uno strumento di aiuto al medico e non si riduca ad una tecnica?», Zimowski ha ricordato che il beato Giovanni Paolo II è stato un intrepido difensore della vita umana, istituendo il Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, la Giornata dell’Ammalato e, sei mesi prima della sua morte, la Fondazione «Il Buon Samaritano». Secondo il magistero della Chiesa, ha detto Zimowski, l’uomo è un essere insieme spirituale e corporale: la salute dell’uomo intesa come salute del corpo è un’idea fortemente riduttiva. Pertanto la cura della persona non si limita all’intervento terapeutico ma investe il benessere di tutta la persona. L’uomo soffre in modi diversi non sempre contemplati dalla medicina, quindi la sofferenza è qualcosa di più ampio della malattia. L’uomo sofferente è as-

Monsignor Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio consiglio per la pastorale degli operatori sanitari, recita una preghiera alla fine del dibattito. Accanto a lui, Marco Bregni, presidente dell’associazione «Medicina e Persona» e Giancarlo Cesana, professore di Igiene all’Università degli Studi Milano-Bicocca.

similato al Cristo sofferente. Per questo, dice Zimowski, in Cristo si illumina l’enigma della morte e del dolore. Cesana ha affrontato il tema centrale della salute ricordando che è proprio quando la salute diventa incerta che si incomincia a pensarci. «C’è bisogno di riprendere il problema della salute come dono, non come principio assicurativo. Intendere la salute come dono rende certi di quello che si è e delle risorse che abbiamo. La mancata coscienza della salute come dono è dovuta al fatto che non si sa più da dove viene il respiro della vita». Senza questa consapevolezza, sostiene Cesana, ci si perde nel principio assicurativo che rappresenta l’impostazione attuale dei sistemi sanitari derivati dalla definizione di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – completo stato di be-

nessere fisico, sociale e mentale – che non è di alcuna consolazione. «Questo completo stato di benessere assomiglia di più a una definizione di felicità», ma fra felicità e salute c’è una bella differenza, come dice Freud: «Adesso che non fumo sono più sano, prima che fumavo ero più felice». Con questa definizione astratta di salute si è tentato, dice Cesana, di fare della salute un diritto, una specie di principio normativo nel tentativo di rendere la salute una certezza: l’assicurazione della salute attraverso i servizi sanitari e la previdenza che ha sostituito il concetto di provvidenza. Il concetto di provvidenza e di grazia sono stati così sostituiti da un principio assicurativo. Cesana ha ricordato che il progresso attuale della medicina porta ad un numero crescente di malati invalidi e cronici.

«Gli ospedali sono nati per ospitare la gente che non si sapeva come guarire. La medicina sta producendo lo stesso fenomeno di secoli fa: persone inguaribili». Anche la stessa assistenza ha una componente di dono: «Un dono non è fatto solo dell’oggetto donato, ma anche di chi lo dona… l’ammalato ha bisogno del dono di “un minuto in più”. La malattia e la morte possiamo nasconderle sotto lo scintillio delle apparecchiature, ma tutti, prima o poi, ci passiamo». Malattia e morte sono il segno della radicale incapacità dell’uomo di salvare se stesso e, conclude Cesana, «l’assistenza ospedaliera è nata perché c’era la speranza della resurrezione e allora si poteva rischiare anche la vita per assistere gli ammalati». Franco Belosi


CHIESA E SOCIETÀ 7 27 agosto

«Fare i volontari, un’esigenza del cuore» Il cardinale Sarah puntualizza le ragioni degli interventi umanitari e mette in guardia dai rischi della «statalizzazione della carità» Volontariato. Di questi tempi non è argomento molto di moda. Rischia di urtare certe coscienze, meglio riparlarne quando le acque si saranno calmate e gli indici della Borsa ricominceranno a salire, se ricominceranno a salire. Ma non qui al Meeting. La ricerca di una certezza per la propria vita non può escludere il bisogno del cuore dell’uomo di aiutare gli altri. Per questo ieri pomeriggio il cardinale Robert Sarah è intervenuto all’incontro «Volontariato e sviluppo internazionale», introdotto da Roberto Fontolan, direttore del Centro internazionale di Comunione e Liberazione, con Alberto Piatti, segretario della Fondazione Avsi. Il cardinale, presidente del Pontificio Consiglio «Cor Unum», che si occupa di coordinare l’attività caritativa della Chiesa e di gestire le azioni umanitarie della Santa Sede in caso di crisi o catastrofi, come la carestia che sta colpendo in questo periodo il Corno d’Africa, ha sottolineato come il volontariato sia «la linfa vitale dei programmi di sviluppo e della cooperazione internazionale». Ma il porporato ha voluto richiamare la radice dell’azione dei volontari. Il punto di partenza è la coerenza: se l’origine è la fede, chi si dà al volontariato deve esserne testimone, diventando esempio per chi guarda. Da qui l’esigenza della certezza: «Il dubbio lacera l’esistenza, perché non si può vivere senza verità definitive. Un cristiano si dona agli altri in virtù della certezza che plasma la sua vita». Il porporato ha approfondito la natura dell’azione: «C’è un impulso naturale nell’aiutare l’altro, rispondiamo a un bisogno intorno a noi. Perché l’amore, prima di darlo, lo

A sinistra, lo stand dei volontari di Avsi con le borse realizzate con gli scarti di lavorazione delle automobili Fiat. Sopra, il cardinale, Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio «Cor Unum». Sotto, il presidente del Banco Alimentare, Marco Lucchini.

abbiamo ricevuto da Cristo». Ma Sarah non ha rinunciato a dare un giudizio sull’oggi. A lato delle associazioni caritative, stanno diventando sempre più numerose quelle che ricevono aiuti statali. L’inevitabile professionalizzazione del servizio rischia però di mettere al primo posto il profitto e il risultato invece che la cura e l’attenzione alla persona, snaturando il senso della donazione di sé agli altri. Come si possono conciliare questi fattori? Dobbiamo forse rinunciare ai fondi statali in nome di una chiarezza di senso del gesto? No di certo. Però è necessario stare molto attenti a non cadere in una sorta di torpore

che questi finanziamenti potrebbero creare. L’esempio di sussidiarietà che nasce da questa collaborazione tra pubblico (che eroga finanziamenti) e privato (che svolge un servizio necessario alla popolazione) non deve sconvolgere l’obiettivo originale del progetto. Deve essere possibile che un’associazione mantenga la sua identità, il senso di appartenenza alla Chiesa e della testimonianza di Cristo senza subire le imposizioni statali. Solo in questo modo «la nostra testimonianza può continuare». Sarah ha ricordato l’appuntamento di novembre con il Santo Padre, in occasione della chiusura dell’Anno del volontariato voluto dalle Nazioni

Unite, e ha chiuso sintetizzando l’origine del gesto del volontario con le parole di don Giussani, tratte da «Il senso della caritativa»: «È solo cominciando a fare, a donare del tempo libero come integrale gesto di libertà, che la carità cristiana diventerà mentalità, convinzione, dimensione permanente. Non importa tanto la molteplicità delle attività, la quantità del tempo libero che si dedica. È importante invece che nella nostra vita e nella nostra coscienza si affermi il principio del condividere attraverso almeno qualche gesto, anche minimo, purché sia sistematicamente messo in preventivo e realizzato».

Dal suo osservatorio in prima linea, Alberto Piatti si è chiesto: «Al mondo ci sono più di un miliardo di persone che fanno volontariato. Come mai?». Questa la sua risposta: «È la ricerca di certezza del cuore umano in questo mondo nichilista. Rifiutare il gesto significa rinunciare a una nostra certezza. Quale contributo possiamo dare? Prima che i progetti devono crescere i soggetti. Dobbiamo rispettare la dignità e il fondamento dell’essere umano, in ogni situazione. Il modo di essere volontari che abbiamo noi di Avsi punta al cuore dell’uomo, per cambiare le persone». Alberto Castagna

Sos dal Banco alimentare «L’Ue ci taglia i viveri» «L’Unione europea deve garantire la sicurezza alimentare per i suoi cittadini», recita il Trattato di Roma del 1957. L’obiettivo prefissato, però, sta incontrando diversi ostacoli fino al rischio odierno di un blocco. È una vicenda complessa, che si snoda attraverso le burocrazie europee ma che tocca la vita quotidiana di milioni di persone in tutto il continente che vivono grazie agli aiuti garantiti dal Banco alimentare e dagli enti caritativi da esso riforniti. E oggi il Banco lancia un allarme. Nel 1986 nacque il Pead (programma europeo d’aiuto agli indigenti) grazie a Jacques Delors, presidente della Commissione europea, che decise di ricorrere alle scorte d’intervento generate dalla Pac (politica agricola comune), per dare cibo a tutte le persone che si trovavano in stato di bisogno all’interno dell’Unione europea. Il Pead offriva due vantaggi ai Paesi aderenti. Il primo era economico: migliorare il prezzo dei prodotti agricoli e il reddito degli agricoltori grazie alla riduzione delle scorte alimenta-

ri europee. Il secondo sociale: fornire alimenti alle persone più povere. Il programma prevedeva inizialmente l’utilizzo delle scorte d’intervento, mentre in un secondo momento, a causa dell’insufficienza o della mancanza degli stock europei, si è deciso di sopperire a quest’assenza stanziando una somma in denaro in modo da acquistare gli alimenti direttamente sul mercato. In seguito alla crisi del 2008 e all’assenza di scorte, il presidente della commissione europea Barroso ha deciso di aumentare in via straordinaria, per il 2009, il budget di 200 milioni di euro, salito in tal modo da 300 a 500 milioni. Il sussidio, che doveva essere un unicum, è stato reiterato anche per il 2010 e il 2011. La Germania, tuttavia, supportata dalla Svezia, ha presentato un ricorso alla Corte di giustizia europea, poiché questa misura andava contro il regolamento che prescriveva un carattere temporaneo. La Corte si è espressa, il 13 aprile 2011, a favore dei tedeschi affermando che i piani an-

nuali devono essere fondati sulla reale esistenza di scorte e che il ricorso al mercato deve essere eccezionale. Nel frattempo, prima di tale sentenza, la Commissione europea aveva presentato al Consiglio dell’Unione e al Parlamento una proposta per modificare il regolamento sugli aiuti alimentari agli indigenti. Proposta mai discussa. Ma il 10 giugno scorso la Commissione europea ha tagliato il budget del triennio 2009-2011 di un quinto. «Contestiamo il veto dei sette Paesi europei guidati da Germania e Svezia - dice Marco Lucchini, direttore della Fondazione Banco Alimentare Onlus -. Queste nazioni hanno for-

malmente ragione, ma la ragione non può superare la ragionevolezza. Il Pead sfama 18 milioni di poveri in Europa e i tagli rendono impossibile tutto ciò. Non si può aspettare il 2014, data della nuova riforma Pac, facendo finta che il problema non sussista». L’abbandono del programma dell’86 produrrà milioni di affamati, di cui si dovrebbe occupare ogni stato, con problemi sociali e di ordine pubblico. «Occorre una collaborazione con i tedeschi – conclude Lucchini – non possiamo fare finta che 18 milioni di poveri non esistano». Davide Ori


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I VOLTI 9

27 agosto

La guerra di Socci per Gesù Grande folla per la presentazione del volume sulla storicità di Cristo: «Così il mondo ha cercato di censurare la più grande storia mai accaduta». Visita la mostra su Cafarnao e al QM parla di Caterina e della crisi. Per tornare all’unico Amore Il Caffè letterario straripa di gente. Fuori, ai bordi della piscina, l’incontro è proiettato sul grande schermo. Dentro, c’è un uomo innamorato di Cristo. L’amante è Antonio Socci, che ha trovato la forza e forse la liberazione di raccontare la storia grande e tremenda che lo ha colpito nel libro «Caterina», dedicato alla figlia costretta a letto da un fulmine al cuore ancora inspiegabile. Eppure prega e ringrazia, e al Quotidiano Meeting che lo incrocia prima del suo incontro dice così: «È il Signore che ci cambia, anche strappandoci la carne del cuore centimetro per centimetro, ma è Lui che ci cambia. Noi possiamo solo dire di sì, perché è l’unica posizione intelligente: non puoi vincere, per cui è bene arrendersi subito perché comunque è un destino buono. Di questo non posso che essere certo. Perché ho conosciuto Gesù: quella è l’unica certezza che c’è, perché in fondo anche gli affetti più cari, anche quello del babbo e della mamma, in fondo in fondo non puoi mai dire che non possano farti del male. Si può far male ai figli anche amandoli nel modo sbagliato». Poi via, dentro, mezz’ora ritagliata col timer in mano, gli occhi lucidi mentre parla di Cristo come chiunque parlerebbe della moglie, o dell’amico appena abbracciato: «Ieri sera sono arrivato al Meeting e sono rimasto commosso dalla fila che, fino alle dieci, c’era davanti alla mostra di Cafarnao: una mostra che fa vedere alcune povere cose, la stanza della casa dove viveva Pietro con la suocera, quella casa dove Gesù decide

un fosso, abbia degli ospedali che funzionano, abbia delle famiglie unite. Perché solo questo è ciò che fa crescere un Paese. Come nel nostro dopoguerra, quando tutto era allo sfascio, e queste condizioni sociali hanno permesso all’Italia di realizzare il grande miracolo italiano, il fatto più eclatante della storia economica del Novecento. Non sono stati solo i soldi americani, ma soprattutto questo sostrato sociale di vitalità e di fede, di artigiani, di famiglie, che ha reso possibile l’accadere di una impensabile ripresa».

Antonio Socci autografa una copia del suo ultimo libro.

l’autore parla di Cristo non sta confinato nelle pagine di un testo: è visibilmente ciò che lo sostiene nella vita, tant’è che parte dalla stessa origine sia nello stare davanti a una figlia che a 24 anni cade come morta e rimane a letto in una lentissima e lunghissima riabilitazione, sia nel giudicare la realtà. Anche, per esempio, la crisi economica, come dice al Quotidiano Meeting: «Tutti a parlare di Pil: ma chi l’ha detto che uno Stato si può misurare solo in termini di crescita del Pil? A me interessa giudicare un paese dal modo in cui si

prende cura dei malati, da come educa i figli, o dal numero di famiglie unite – che fra l’altro è una risorsa economica. Altrimenti, nella logica del Pil, avviene un terremoto ed è una cosa positiva, perché il Pil sale quando ci sono da ricostruire le case. Pensiamo alla Cina: in cinquant’anni ha fatto cento milioni di morti, la gente è schiava, i malati finiscono nella discarica, gli handicappati vengono eliminati, i cristiani perseguitati, però ha il 10% di crescita di Pil, quindi va benissimo... Invece, a me interessa che uno stato abbia cura dei malati e non li getti in

Il problema del presente Nello sguardo di Antonio Socci questa occasione non è superata, non è una cosa del passato: «Tutta la storia è fatta da questo: monaci benedettini, nascosti nei monasteri, hanno generato uno straordinario fiorire di civiltà. Può sembrare che il nostro sforzo non muova nulla, eppure è dal niente che il mondo cambia. In fondo, da quelle quattro pietre polverose di Cafarnao, da quella piccola sinagoga e da quel frantoio, è successo qualcosa che ha cambiato il mondo. È innanzitutto il tuo cambiamento che, nel tempo, secondo i Suoi tempi e i Suoi modi, cambia il mondo. E questo, soprattutto al livello della politica, del potere, delle grandi logiche che muovono il mondo, è semplicemente un tentativo, ironico e umile. Pretendere di misurarne il risultato sarebbe un’utopia». Perché il metodo non l’ha deciso, non lo decide l’uomo: «Semplicemente, non è questo il modo che Lui ha scelto. Se avesse voluto, avreb-

«Con Cristo dire sì è l’unica posizione intelligente: non puoi vincere, per cui è bene arrendersi subito»

«I benedettini nascosti nei monasteri hanno generato un fiorire di civiltà. Può sembrare che il nostro sforzo non muova nulla, eppure è dal niente che il mondo cambia»

di andare a vivere dopo la morte di Giovanni Battista. E quella spiaggia sassosa dove una mattina Gesù dice: venitemi dietro. Sono tracce che parlano al cuore e parlano di un Dio che c’è venuto a cercare ed è con noi». Una dopo l’altra scaraventa sul pubblico le prove storiche e archeologiche su cui si regge la storicità dell’esistenza di Cristo: la proposta di Tiberio al Senato dell’anno 35 con il quale l’imperatore avanza la proposta di riconoscere Gesù, il figlio del falegname, come Dio. L’epistolario in cui Seneca rimane sconvolto dall’incontro con Paolo perché ha sognato tutta la vita un sistema per cui l’uomo sia uomo, e in Paolo lo vede come vita. Il Talmud e gli altri libri ebraici che si sposano con il contenuto dei Vangeli. Pietro morto martire a Roma: «È la prova che Gesù è risorto: era un pescatore molto concreto, l’opposto del fanatico. Se un uomo così accetta di partire e andare a morire, è perché quei fatti li ha visti».

be potuto scendere dalla croce, e nessuno potrebbe avere su di Lui dubbio alcuno. Ma questo succederà l’ultimo giorno. Ora, il cambiamento che il cattolicesimo porta al mondo parte dal cambiamento personale. Un cambiamento del giudizio – quello sguardo che noi abbiamo imparato da don Giussani – per le nostre vite prese da Cristo. Questa è la salvezza del mondo. E allora andiamo avanti a fare quel che ci è dato, senza la pretesa di rovesciare in quattro e quattr’otto lo status quo». Socci torna all’oggetto del suo amore, dal quale poi non si è mai spostato un millimetro: «Pensa se il cristianesimo fosse arrivato e avesse detto: aboliamo la schiavitù! Li avrebbero presi tutti per pazzi. Anche perché a nessuno era mai venuto in mente una cosa del genere: nessuno dei grandi sapienti dell’antichità si era mai levato a dire che la schiavitù era contro la dignità dell’uomo. Eppure, nei secoli, in quegli uomini affascinati da Gesù di Nazareth si è fatta strada quell’idea. E da lì, dal cominciare a riconoscere che non era giusto che un uomo lavorasse come un animale, è partito a un turbinìo di invenzioni di mezzi, strumenti, tecnologie alla base della grande rivoluzione agricola del Medioevo». Sono i secoli costruiti da innamorati di Cristo: innamorati come quell’uomo che, ieri, la gente del Meeting non voleva mollare più. Martina Saltamacchia

La storia censurata Eppure, dice Socci, sono prove ignote: una storia cancellata, confutata nei secoli in una «Guerra contro Gesù» (così si chiama il libro presentato ieri, edito da Rizzoli), combattuta non con la ragione ma con la manipolazione e il pregiudizio. Lo stesso impeto, lo stesso amore con cui

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I VOLTI 10

27 agosto

E voi, da chi siete educati? Franco Nembrini presenta «Di padre in figlio»: «Occorre essere figli dei propri figli: non è un processo univoco ma un rapporto». Don Stefano Alberto: «La miglior sintesi dell’educazione? Giussani in ginocchio davanti a Wojtyla» «Fin da quando nascono, i figli di mestiere guardano. Guardano sempre». In uno degli incontri più affollati del Meeting di ieri Franco Nembrini ha cominciato così, presentando con don Stefano Alberto il suo «Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare» (edizioni Ares, prefazione del cardinale Camillo Ruini). Nembrini, preside in una scuola privata di Bergamo, ha preso di mira il «grigio pragmatismo della vita quotidiana»: un pragmatismo che inquina anche le famiglie cattoliche, trasformando l’educazione non più in una testimonianza di vita che si propone, ma in un rincorrere obiettivi fini a se stessi. Il suo testo è la trascrizione di incontri con insegnanti, genitori, studenti, avvenuti in questi ultimi anni, tesi a documentare la biunivocità del rapporto educativo: «Educare è l’esser figli dei propri figli – ha commentato – secondo la geniale definizione che Dante ha dato della Madonna nel XXXIII Canto del Paradiso. Non è un processo unidirezionale l’educazione, ma può accadere a chiunque».

Secondo Nembrini, la situazione attuale è caratterizzata da una serie strutturale di debolezze e di assenze: di ipotesi, di padri, di realtà, tali da generare incertezza su tutto. Ma c’è anche chi costruisce: se stesso e i giovani. Il titolo del libro ha avuto una genesi contrastata. Nembrini infatti era convinto di altre due ipotesi: «Ho visto educare» (perché «educare non è insegnare qualcosa a qualcuno, deve essere qualcosa in azione, qualcosa che si vede») oppure «Lasciateli stare» (un appello alle madri, come ha ironizzato Nembrini). «Educare è partecipare alla manifestazione della verità», ha proseguito l’autore: «È incontrare qualcuno e sentire il proprio io risorgere, sentirsi incuriositi e attratti dall’origine di quello che vedi». Come nel caso di quella ragazza che, vedendo come vivono i suoi genitori, ha voluto scoprire quale fosse l’origine del loro cambiamento. «Perché cambiano anche gli adulti: è un legame, l’educazione, un rapporto nel quale o c’è la misericordia verso l’altro, oppure fallisce. La misericordia è amare l’al-

Franco Nembrini, preside.

tro prima che esso cambi, senza imporgli la gabbia dei nostri pur buoni progetti». Nembrini ha poi descritto i principali “errori” commessi, anche per malinteso affetto, dai genitori: «I figli non hanno bisogno di genitori opprimenti né di padri-amici, ma di adulti che li lascino andare e che restino a

garantire una casa in cui si può sempre tornare, proprio come nella parabola del figliol prodigo». Don Stefano Alberto ha poi richiamato un’immagine del libro di Nembrini, quella del padre che la sera si inginocchiava e recitava il Padre Nostro. Che ha fatto tornare in mente al sacerdote altri due grandi inginocchiati: il Papa in ginocchio a Madrid e don Giussani, il 30 maggio del 1998, dolorante, inchinato come un cavaliere antico davanti a Giovanni Paolo II. «Non ci ha mai raccontato quello che si sono detti lui e il Papa, ma si vedeva la presenza viva di Cristo. Educare è vedere qualcuno in azione, è vita che si comunica. Come diceva don Giussani è “introduzione alla realtà totale”: introduzione, non spiegazione». L’incontro si è chiuso non con una formula ma con una domanda girata a insegnanti e genitori, presenti in larga maggioranza all’incontro: «Da chi vi lasciate generare voi, oggi, per essere capaci di educare a vostra volta?». Q.M.

La speranza di salvezza passa (anche) dalle strade Guidoni (Ania), Bertoli, Cattarina a convegno su sicurezza sull’asfalto e lotta alla droga: «Al dramma degli stupefacenti si aggiunge quello del silenzio dettato dagli interessi» Cambi il cd nell’autoradio, quattro drink e qualche pasticca e il gioco è fatto. Quando si è su di giri basta poco per perdere il controllo. Le conseguenze non durano poco. Durano tutta la vita. «I ragazzi pensano che l’incidente non dipenda dal loro comportamento alla guida, ma da altre cause o eventi imprevedibili», commenta Umberto Guidoni, segretario generale della fondazione Ania per la sicurezza stradale. In Italia sono circa 1.000 gli incidenti mortali che coinvolgono ragazzi al di sotto dei 30 anni e il 30% dei decessi è correlato all’uso di droga e alcol. Il 62,4% dei giovani che arriva al Pronto Soccorso dopo un incidente stradale conferisce la causa a fattori esterni alla propria guida («asfalto bagnato», «mi hanno distratto», «mi vengono addosso»). Dati divulgati dall’Ania durante l’incontro «Le strade del sabato sera: sicurezza e stupefacenti». «Occorre riaffermare il principio della sacralità della vita», continua Guidoni. Per questo Ania ha avviato da tempo campagne di educazione e di informazione per favorire la cultura delle regole della strada. Proprio l’educazione è la chiave di volta per la risoluzione di questo fenomeno sociologico. «È una questione di responsa-

bilità – spiega Marco Bertoli, psichiatra e direttore sanitario dell’azienda per i servizi sanitari isontina di Gorizia – don Giussani è stato un genio della sfida alla libertà, che deve essere continua. Non può mai mancare l’aspetto educativo. Si tratta quindi di una provocazione responsabile che contiene un’indicazione positiva: ma tu cosa vuoi veramente?».

Non solo rapporto con il giovane, la questione educativa deve partire a monte. «Deve venire dalle famiglie, dove non ci devono essere rapporti scontati – prosegue Bertoli –. Stessa importanza ricopre la scuola. Quindi bisogna educare gli educatori, far capire che non si cresce automaticamente, ma che bisogna accompagnare la persona. Il compito di scuola, famiglia e degli piscolo-

gi o psichiatri è di essere accompagnamento a una scoperta tua e dell’altro». Di esempi di educazione, per fortuna, ce ne sono tanti. Dal palco del Meeting di Rimini parlano Iles Braghetto, presidente della fondazione San Gaetano, e Silvio Cattarina, presidente della cooperativa sociale L’imprevisto: entrambe si occupano di persone che hanno dipendenze

I relatori del convegno e, qui sopra, Silvio Cattarina.

dalle sostanze stupefacenti. «Abbiamo sperimentato un progetto molto interessante di unità mobili che raggiungono direttamente i ragazzi nei luoghi di divertimento – spiega Braghetto –. Nei luoghi bisogna esserci. Questo è un progetto affinché si realizzi l’ascolto, solo l’ascolto vero aiuta il cambiamento di comportamento. Chi viene in comunità è perché spera di cambiare vita, anche grazie all’aiuto della compagnia». I luoghi del divertimento ripetono sempre lo stesso schema, come predeterminato. Questo colpisce Silvio Cattarina. «Stiamo parlando di un dramma nel dramma. Da una parte il dramma della droga – dice Cattarina – dall’altra il fatto che ci sono motivi e interessi per cui non se ne parla». La ricerca della trasgressione, la voglia di “spaccarsi“, il bisogno di omologarsi: tutti motivi che spingono i ragazzi a lanciarsi in un divertimento sfrenato e a risalire poi in auto e girare la chiave, quando sarebbe meglio non farlo. «La vita è fatta di apertura, mentre la droga chiude – afferma Bertoli –. La droga risponde a un effimero che lascia tristezza e depressione. La droga colma un vuoto e tenta di far superare la disperazione, il contrario: vivere la speranza». Benedetta Consonni


I VOLTI 11

27 agosto A sinistra, lo scrittore Alessandro d’Avenia. A destra, il direttore de «La Stampa», Mario Calabresi.

Al Caffè Letterario, per l’incontro delle 15, tutto lo spazio disponibile era già occupato dalle 14. Il richiamo è forte, Mario Calabresi, 41 anni, direttore de «La Stampa», presenta il suo nuovo libro «Cosa tiene accese le stelle» insieme al giovane scrittore Alessandro D’Avenia, idolo di frotte di ragazzine. Il suo libro «Bianca come il latte, rossa come il sangue» è diventato un bestseller. Camillo Fornasieri (Centro Culturale di Milano) ha un compito facile, i due si conoscono e si stimano. Si vede subito che fra loro c’è intesa. Il libro di Calabresi racconta «Storie di italiani che non hanno mai smesso di credere nel futuro», come recita l’occhiello di copertina e Fornasieri spiega: «L’autore cerca con ansia galoppante partendo dai fatti, alla ricerca di una cosa di cui avverte l’esistenza, i fattori che hanno tenuto insieme le generazioni dei padri e dei nonni». Il dialogo tra D’Avenia e Calabresi si snoda fluido, intenso. Col pubblico attento. D’Avenia, in punta di sedia, rivolto al direttore: «Leggere il tuo libro mi ha fatto l’effetto come un caffè a un iperteso. Ma ti chiedo: nella scuola faccio il professore, come precario guadagnavo 1000 euro al mese, un anno fa ho avuto

Calabresi ai giovani «Non lamentatevi» Il direttore della «Stampa» e lo scrittore D’Avenia: «Non ci salverà un Obama italiano ma ragazzi che sanno alzare lo sguardo» un contratto a tempo indeterminato e continuo a guadagnare gli stessi soldi. Ma come si fa a non lamentarsi?». Nel frattempo Calabresi si è tolta la giacca e arrotolato le maniche della camicia, rigorosamente senza cravatta. E risponde: «Mi danno del buonista, cioè cretino, oppure ottimista, come se avessi le fette di salame sugli occhi, e sorridono. Comincio a offendermi. Come se non li vedessi anch’io i superlaureati che parlano tre lingue e sono a spasso. Bisogna che smettano di lamentarsi, devono imparare a esprimere questo malcontento. Nella mia rubrica su «La Stampa» quotidianamente ricevo tante lettere, ma ho cominciato ad allarmarmi quando ad “arrendersi” erano ragazzi di 1720 anni. Nessuno vi ha rubato il futuro, ve lo dovete prendere!». L’enfasi e la convinzione diventa-

no palpabili. È come parlasse a ognuno dei moltissimi ragazzi presenti. Riprende: «Il punto non è ridurre il desiderio facendo un passo indietro, ma raddoppiare gli sforzi». E racconta una storia che la dice lunga su come il direttore di un quotidiano nazionale riesca a non “sdraiarsi” sulle notizie, ma cerca di capire la realtà. «Hamal, marocchina, è una mia cara amica. Ha 13 anni, abita a Taggia in Liguria. Piccolo alloggio, sovente studia in bagno. È la migliore della sua scuola, tutti 10, eccetto ginnastica, nove. Sono andato a trovarla e mi ha raccontato della sua predilezione per le scrittrici inglesi di fine Ottocento, come la Radcliffe, e non sapevo nemmeno come si scriveva. “Perché studi?” le ho chiesto. “Il mio destino sarebbe già scritto: badante, cameriera, al massimo infermiera. Mia cugina a 17 anni è

tornata in Marocco per un matrimonio combinato. Voglio avere un altro destino, voglio andare al liceo classico, poi Medicina. Voglio fare il cardiochirurgo”, e ha notato il mio sguardo perplesso. Allora, un po’ risentita, riprende: “O forse si può sognare solo fino a un certo punto?”. Questa è la fame di Hamal». Ormai il pubblico è assorto e Alessandro D’Avenia affonda la domanda: «Diventiamo ciò che guardiamo, ma in quali occhi possiamo guardare? Per poter desiderare, chi bisogna guardare?». E racconta, da buon professore, la storia dei soldati romani che partivano per una battaglia. Al loro ritorno c’era sempre un commilitone che faceva la conta dei caduti, chiamati i “desiderati”. La metafora apre la domanda: «Chi sta “aspettando” i ragazzi d’oggi?».

La risposta di Calabresi parte dal noto adagio che vuole una classe politica specchio del Paese, e afferma: «Non è più così. Viaggiando per l’Italia ho scoperto dei veri giacimenti di umanità, dei cittadini che non si sono arresi. Il problema è stringere con dei fili che uniscano queste realtà e costruire una grande rete. Non ci salverà un Obama italiano, ma quei ragazzi che sanno alzare lo sguardo e non aspettano il futuro su un piatto d’argento». Conclude: «Vi lascio una suggestione forte. Anna Lisa ha il cancro e scrive su un nostro blog de «La Stampa». Si trova in ospedale a Livorno, piena di metastasi. Lo sa che deve morire e vive ogni minuto sapendo che vale la pena essere felice. La settimana scorsa si è sposata col suo fidanzato e alcune infermiere hanno inghirlandato la sua carrozzina, altre hanno preparato la torta. Era felice. Pensateci quando tornate a casa con qualche scontentezza. Aprite il blog e leggete, capirete». Fornasieri, concludendo l’incontro, raccoglie la provocazione e rilancia: «La vera sfida – dice - inizia nel rapporto col reale. Il dramma è la solitudine dell’io. Un io così può anche soffocare». Ezio Tosco


LE MOSTRE 12

27 agosto

Il vescovo racconta l’arte terremotata Monsignor D’Ercole: «Commovente vedere che le Madonne d’Abruzzo sono ambasciatrici di speranza». La mostra aperta fino a novembre Oggi chiudono i battenti i padiglioni del 32° Meeting, ma la manifestazione continua grazie alla mostra «La sapienza risplende. Madonne d’Abruzzo tra Medioevo e Rinascimento». Allestita nei musei comunali di via Tonini, l’esposizione rimarrà aperta fino al 1° novembre. Oltre al valore artistico, le Madonne d’Abruzzo sono significative della speranza di un popolo, che sta risorgendo dalla catastrofe del 6 aprile 2009. «Come pastore della comunità aquilana vorrei invitare a visitare questa mostra che trovo suggestiva e assai ricca artisticamente – commenta monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo coadiutore della diocesi dell’Aquila e volto noto della tv (suo il programma «Sulla via di Damasco») – perché aiuta a tenere vivo il ricordo della nostra terra e mi auguro che come a Trento e a Roma, questa mostra possa essere vista in tante altre città». L’esposizione comprende statue e immagini della vergine che sono state recuperate dalle macerie del terremoto. «Il terremoto è una tragedia che ha distrutto chiese e opere d’arte – racconta monsignor D’Ercole – grazie ai volontari e alle persone di buona volontà parte del patrimonio è stato salvato. Purtroppo non ci sono più i luoghi dove erano esposte, ma è commuovente per noi vedere che le Madonne della nostra terra sono diventate ambasciatrici di dolore e di speranza». Continua il vescovo: «L’Aquila dopo due anni risente ancora delle ferite del terremoto. Chi vede queste Madonne potrà apprezzare la storia religiosa della nostra terra e vedere come nella tenerezza, semplicità e povertà delle forme di queste riproduzioni la Madonna manife-

sti un senso di grande maternità, qualche volta velato dalla tristezza, quasi a ricordarci che non poche di queste statue hanno assistito ad almeno tre o quattro terremoti». Monsignor D’Ercole non si trovava all’Aquila nella tragica notte in cui la terra ha inghiottito il sorriso degli aquilani. «Sono arrivato sette mesi dopo e ciò che mi ha colpito è stata la vastità dei danni e lo smarrimento della gente che in 23 secondi ha perduto ogni cosa». La tristezza cede il passo all’ammirazione per le raffigurazioni mariane. «Queste sono opere di grande valore artistico perché riproducono la tradizione cristiana legata in parte all’oriente e in parte sono espressione della sensibilità della gente montanara e contadina. Le più antiche, del 1200, raccontano quasi sempre la maternità regale di Maria, espressa nel gesto più antico e nobile dell’allattare, motivo ricorrente e unificante di queste immagini sacre della Vergine, che riproducono devozione popolare alla Madonna come madre e regina, io direi Madonna delle grazie». «Le statue più tardive risentono di influssi della spiritualità francese e spagnola. Diventano così più maestose, più solenni, ma nel fondo non perdono, sia pure se si attenua, l’originaria raffigurazione di Maria, madre e regina». Le statue poi ritorneranno alle loro chiese. «Quel giorno sarà un giorno di grande gioia – conclude monsignor Giovanni D’Ercole – perché le ferite del terremoto saranno guarite e le nostre chiese torneranno come un tempo case dei santi e della gente». Benedetta Consonni

libreria Jaca Book Rimini

Padiglione D5

CD

CD

In alto una guida della mostra sulle Madonne salvate dopo il terremoto del 6 aprile all’Aquila. Sotto, monsignor Giovanni D’Ercole tra le macerie.


LE MOSTRE 13

27 agosto

Una basilica sotto la fiera Nella rotonda della hall sud la mostra sulla Sagrada Familia di Barcellona, legame simbolico con il Papa in Spagna

«Gli uomini cambiano se vedono cose affascinanti: abbiamo riproposto questo metodo», spiega Mariella Carlotti, una dei curatori

L’interno della Sagrada Familia. La basilica catalana è ancora in costruzione.

quel Paese ma ha sempre indicato un fatto denso di bellezza. Gli uomini cambiano se vedono cose affascinanti. La mostra vuole riproporre questo metodo che non parte da moralismi o ideologie ma da fatti sorprendenti che accadono sotto i nostri occhi». Quali sono state le parole del Papa che più l’hanno colpita? «Le parole sono dell’omelia di quel giorno: “Gaudì introdusse dentro l’edificio sacro pietre, alberi e vita umana, affinché tutta la creazione convergesse nella lode divina, ma, allo stesso tempo, portò fuori i ‘retabli’, per porre davanti agli uomini il mistero di Dio rivelato nella

nascita, passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo”. Gaudì ha messo le immagini sacre all’esterno della cattedrale. Le facciate sono tutte dedicate ai misteri dell’Incarnazione, della Passione e della Resurrezione di Cristo. Le torri rappresentano Cristo e la Chiesa, le 18 torri sono i simboli di Cristo, la Madonna, gli apostoli e gli evangelisti. L’interno, invece, è un ambiente dedicato alla realtà, al mondo terreno». Che cosa vuol dire questa scelta? «Questa decisione vuol significare che solo attraverso Cristo si può entrare nella realtà e nel suo significato ultimo. Solo con questo metodo noi ritroviamo il corretto uso della ragione, cioè vivere la realtà secondo la totalità dei suoi fattori». Che cosa c’entra il titolo del Meeting con questa esposizione? «Una vita dominata dalla certezza è una vita dominata dalla bellezza. Questo è molto chiaro qui al Meeting, dove vive un popolo certo e bello. Mentre, se non si è certi, si cerca solo il piacere effimero. Chi ha visto una grande bellezza non si accontenta più dei piccoli piaceri. La bellezza, insomma, è il grande sigillo della certezza». Emanuele Ranzani

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È la mostra più vista del Meeting benché non sia in catalogo. Ma è impossibile non vederla. È allestita nella hall sud, di fronte all’ingresso, nella rotonda multiuso: luogo di passaggio, di passeggio, di riposo, di ascolto, di rifugio quando non c’è più posto in qualche incontro. Grandi foto verticali della Sagrada Familia, la chiesa di Barcellona disegnata da Antoni Gaudì. Pannelli lunghi e stretti che restituiscono lo slancio delle guglie catalane. Brevi testi che descrivono l’architettura sacra. Frasi del Papa, di Gaudì e di don Giussani che ne approfondiscono il significato. Il Tempio espiatorio della Sagrada Familia è stato consacrato il 7 novembre 2010 da Benedetto XVI. «Abbiamo allestito questa mostra per ricordare il viaggio del Papa a Barcellona e creare un collegamento simbolico con la Gmg di Madrid», spiega Mariella Carlotti, una dei curatori. Qual è stata l’idea di partenza? «Nel giorno in cui è stata consacrata la Sagrada Familia sono rimasta molto colpita dalle parole pronunciate dal Papa. La cosa più interessante è stato il metodo che ha utilizzato nei suoi discorsi. Benedetto XVI non ha mai perso tempo accusando i problemi che si trovano in


VITA DA MEETING 14 27 agosto Il gruppo di volontari svizzeri che fanno le pulizie nei padiglioni dei ristoranti.

Al Meeting i volontari svizzeri fanno pulizia. Obiettivo: far sparire le cartacce dal pavimento del padiglione della ristorazione per farlo diventare degno di una via di Zurigo o Ginevra. Armati di spugna, scopa e sacco nero, per una settimana sono stati tra quelli che hanno mantenuto linda la grande area dedicata ai fast food. Luigi, nella vita tecnico della televisione svizzera, è specializzato nel raccogliere i tappi delle bottiglie di plastica. Mario è ingegnere con alle spalle anni d’esperienza in un’azienda americana e anche lui è qui per sgomberare i tavoli da piatti sporchi e bicchieri di plastica usati. Ida, impiegata in una grande banca di Lugano, sorridendo ci dice: «Ci siamo fatti un mazzo così». Ma la storia più incredibile ce la racconta Eleonora, romana che ha messo su famiglia nel Canton San Gallo. «Dopo il Meeting del 2009 mi chiamarono dalla segreteria di Cl per farmi conoscere Dora, una donna svizzero-tedesca di 70 anni che, guardando un servizio sui volontari del Meeting trasmesso dal Tg3, aveva chiesto di partecipare anche lei come volontaria. L’idea di far qualcosa gratuitamente la interessava moltissimo. Dora era una persona semplice e non sapeva assolutamente che cosa fosse il Movimento. Ma pulendo i pavimenti della Fiera aveva trovato un luogo dove si sentiva davvero a casa sua. Era stupita dai volti di tutti questi giovani così appassio-

«Faccio la volontaria in memoria di Dora» Svizzera di 70 anni arrivò al Meeting affascinata dai giovani visti per caso in tv. Oggi gli amici di Cl sono tornati conquistati dalla sua testimonianza nati, un tipo di gioventù che in Svizzera non aveva mai vista. Così l’anno successivo cominciò a frequentarci». I sui interventi alle scuole di comunità restano nella memoria per la loro semplicità e candore: «Come entra Cristo nella mia vita? Le campane della chiesa vicino a casa mia suonano ogni quarto d’ora e io ogni

volta apro le finestre per sentirle e far entrare Lui». Dora non aveva l’auto; andare tutte le settimane a San Gallo per la scuola di comunità diventa oltre che faticoso anche troppo costoso per la sua modesta pensione. Così chiede se è possibile andare solo una volta al mese. Nella primavera 2010 Dora si domanda se partecipare ancora all’e-

sperienza della militanza. Ormai gli anni sono quelli che sono, le energie non sono molte. Chiede a Eleonora un consiglio: «Le dissi: fai quello che puoi, ma se l’anno scorso sei tornata contenta perché non riprovare?». La risposta: «Sì, magari sarà l’ultima volta». Dora torna al Meeting con entusiasmo. Ma la mattina del 25 agosto

muore mentre sta facendo una passeggiata lungo la spiaggia di Rimini. Eleonora e i suoi amici ricevono la partecipazione al funerale e solo allora scoprono che Dora è protestante. «Io sono nel Movimento da una vita – racconta Eleonora – ma ero venuta al Meeting solo una volta per poche ore. Eppure mi avevano invitata decide di volte. Quest’anno ho pensato a Dora e ho deciso di venire per la prima volta per fare la volontaria: lei mi ha dimostrato che venire qui è per un di più, perché non rischiare?». Sarà un caso ma anche Eleonora finisce a fare quello che faceva l’amica: «Io parlo correntemente quattro lingue e mi ero proposta per fare la hostess. All’inizio ero delusa ma poi ho capito che in questo modo avrei imparato davvero la gratuità come aveva fatto Dora. Raccogliere le cartacce è un gesto da nulla, ma contribuisce a costruire la bellezza del Meeting». Non solo Eleonora si ricorda di Dora: «Un amico di Bari che lavora con noi – racconta Ida – dorme nello stesso albergo in cui dormiva Dora l’anno scorso: la gerente se la ricordava bene. Così siamo andati a trovare questa donna che non aveva dimenticato l’anziana signora svizzera che tornava in albergo raggiante dopo le ore di lavoro in Fiera. “Quel che è certo – ha detto – è che è morta contenta”». Luca Fiore

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VITA DA MEETING 15 27 agosto

Un’immensa sicurezza Viaggio tra i volontari che hanno protetto gli ospiti dall’assalto dei giornalisti. Compresi quelli del Quotidiano Meeting «Ma come? Stiamo lavorando per la stessa causa, tu volontario al servizio d’ordine e io volontario al Quotidiano Meeting e tu mi ostacoli nel mio lavoro mentre cerco di avvicinare i big dell’economia e della politica che vengono a parlare al “nostro” raduno?». L’ho pensato spesso in questi giorni mentre mi affannavo, di corsa, stretto tra colleghi giornalisti, videoperatori, fotoreporter, sgusciando dal gruppo e infilandomi alcune volte direttamente a fianco dell’ospite di turno del Meeting per captare ogni battuta, e tutto questo in una lotta fratricida con i 19 ragazzi della “sicurezza”. Ieri, parlando con loro, in una pausa della visita del ministro Maroni, ho capito il senso della loro “ostilità”: raggiungere ciò che sta a cuore anche a me. Mi stupisce subito la serietà di Luca e Andrea, studenti di Giurisprudenza alla Statale di Milano. Mi spiegano che la fisicità dello scontro tra me, i colleghi giornalisti e loro, durante tutte le loro scorte ai big in visita ha avuto la finalità di «permettere agli ospiti di ascoltare dalla voce dei loro accompagnatori il senso di ciò che vedevano». Luca è contento, eppure non si può dire che non abbia faticato in questa terribile settimana di servizi; un impegno che comincia poco prima delle dieci e finisce ver-

Nicola, studente di Economia alla Bicocca: «Questo lavoro insegna un’attenzione alle persone che hai intorno, a seguire chi ti guida»

Un momento della visita del capo dello Stato con i volontari schierati per formare il cordone di sicurezza.

so le 19, con orari incerti per i pasti, con la difficoltà a godersi in pace mostre e incontri. Ma Luca ha ben chiaro che ha dato tempo e fatica per un’opera comune. Così pure Andrea: «Ne è val-

sa la pena. Ho potuto stare vicino a personaggi che mi hanno molto colpito, come Bhatti». «Lo rifarei – dice Flavio, studente di Storia alla Statale di Milano –. Nel seguire certi relatori ho potuto partecipare a pre-

sentazioni di mostre direttamente a fianco dei curatori, per esempio in occasione della visita di Napolitano a quella sui 150 anni di sussidiarietà». Nicola, che studia Economia alla Bicocca, confessa che non si aspettava che fosse «così interessante questo lavoro: insegna un’attenzione alle persone che hai intorno, ai compagni, a fare le cose giuste nel momento giusto, a seguire le indicazione di chi ti guida, cosa fondamentale per fare le cose bene. Anche con gentilezza verso i visitatori del Meeting e con discrezione verso i nostri ospiti». Grazie ragazzi... Adriano Moraglio



VITA DA MEETING 17 27 agosto

In libreria trionfa Reggiori «La ragazza che guardava il cielo» è il più venduto nella settimana del Meeting. Seguono Chesterton e padre Aldo Tra i cataloghi richiestissimi quelli delle mostre su Cafarnao e sulla sussidiarietà nei 150 anni dell’Unità d’Italia

MEETING

QUOTIDIANO Direttore Stefano Filippi Direttore responsabile Cesare Trevisani Editore Associazione Meeting per l’amicizia tra i popoli Associazione riconosciuta con D.P.R. n.869 del 6/8/1986, sede: via Flaminia 18/20, c.p. 1106, 47900 Rimini. Tel. 0541-783100, Fax. 0541-786422. Progetto grafico G&C, Milano Impaginazione Edita, Rimini Fotolito e stampa Sigraf via Redipuglia, 77 Treviglio (BG) Registrazione Tribunale di Rimini n.16/91 del 15/07/1991 Pubblicità Ufficio commerciale Meeting Tel. 0541-783100 Fotografi Roberto Masi, Paola Marinzi Giovanni Zennaro E.mail: quotidiano@meetingrimini.org

Top Ten assoluta

Bambini 1 - Siamo tutti scienziati

1 - La ragazza che guardava il cielo

(Piccolo mondo editore)

Cataloghi

Dvd

1 - Con gli occhi degli apostoli Una presenza che travolge la vita

2 - Gesù è qui di Benedetto XVI (Piccola casa editrice)

(Piccola casa editrice)

2 - 150 anni di sussidiarietà

di A. Reggiori (Rizzoli)

Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo

2 - La ballata del cavallo bianco

(Piccola casa editrice)

3 - Cor ad cor loquitur

di G. K. Chesterton (Raffaelli)

La certezza di Newman, coscienza e realtà

3 - Cristo e il lavandino

(Piccola casa editrice)

di A. Trento (Lindau)

1 - Uomini di Dio

4 - Mia sorella la vita

4 - Giobbe

o la tortura degli amici di F. Hadjadj (Marietti 1820)

5 - L’uomo che ride di E. Rialti (Cantagalli e Il Foglio)

6 - Il dottor Zivago di B. Pasternak (Feltrinelli)

7 - Il profumo dei limoni di J. Lynch (Lindau)

8 - Ciò che abbiamo di più caro di L. Giussani (Rizzoli)

9 - La penultima cena di P. Cevoli (Itaca)

10- Di padre in figlio di F. Nembrini (Ares)

della settimana del Meeting? La prima posizione della classifica generale è occupata da «La Ragazza che guardava il cielo» (Rizzoli, €18) di Alberto Reggiori. Il testo racconta di un medico italiano in missione in Uganda e di una ragazza, Zamu, segnata dalla violenza e dalla malattia. Seguono sul podio la «Ballata del caval-

RASSEGNA STAMPA

La cultura non teme la crisi. Basta visitare i 1000 mq su cui si estende la libreria del Meeting. Le code alle casse sono lunghe e i sacchetti che escono dalla libreria sono ampi e voluminosi. Chi entra, difficilmente esce a mani vuote. Sarà, forse, per la varietà di temi e generi: 5.000 i titoli in esposizione e oltre 70.000 i libri ordinati per quest’anno. Con una gamma di scelta così ampia è improbabile non trovare qualcosa che possa interessare. All’interno della libreria, un grande spazio è dedicato alla narrativa. La seguono, per estensione, le sezioni dedicate all’arte e alla poesia. E non mancano libri di scienza o religiosi. Vicino all’ingresso, in costante aumento ogni anno, si trovano le traduzioni in lingua straniera: in particolare dei testi del fondatore di Comunione e Liberazione, don Luigi Giussani. Meta dei collezionisti e di chi vuole spendere poco è un grande tavolo allestito nell’angolo sinistro della libreria, dove si possono trovare numerosi libri usati. Complice il modico prezzo, non si superano mai i cinque o sei euro di spesa, e la tavolata ormai è quasi vuota. Nello spazio centrale dello stand non mancano poi cd di musica classica e dvd di film o documentari. Ma la libreria pensa anche ai lettori più piccoli, concedendo loro addirittura due spazi. Il primo si trova al Villaggio ragazzi con l’allestimento di un’area dedicata interamente al’infanzia. Il secondo spazio è interno alla libreria centrale, dove vengono proposte fiabe, favole e storie d’avventura. Ma quali sono i libri più venduti

di Xavier Beauvois

Boris Pasternak

Narrativa 1 - Il dottor Zivago di B. Pasternak (Feltrinelli)

2 - Quello che tiene accese le stelle

(Rc Edizioni)

2 - Bella

5 - Ante gradus

di Alejandro Gomez Monteverde

Quando la certezza diventa creativa. Gli affreschi del Pellegrinaio di Santa Maria della Scala a Siena

3 - Dottor Zivago di David Lean

(Società editrice fiorentina)

Cd

di M. Calabresi (Mondadori)

3 - I racconti di Padre Brown di G.K. Chesterton (San Paolo)

4 - Il cavallo rosso di E. Corti (Ares) di J.H. Newman (Jaca Book)

lo bianco» (Chesterton, Raffaelli Editore, €15) e «Cristo e il lavandino» (Trento, Lindau €12,50). Per quato riguarda i cataloghi delle mostre, i più venduti sono «Con gli occhi degi apostoli. Una presenza che travolge la vita», della mostra che ha ricostruito a Rimini la Cafarnao di Gesù, e «150 anni di sussidiarietà. Le

Intervista a Lupi: «Chiariamo subito. Non sono e non ho alcuna intenzione di apparire come l’anti-Formigoni. Con Roberto ho un rapporto profondo e di stima. Io e Mario Mauro siamo con lui in Comunione e Liberazione da decenni. Ci ha chiama-

1 - È bella la strada C. Chieffo

1 - Sposati e sii sottomessa

2 - Canti della montagna Coro Cet

di C. Miriano (Vallecchi)

5 - Perdita e guadagno

Che il clima tra i Pdl e Lega non sia disteso si capisce subito quando Calderoli afferma che «un Paese non si governa con i sondaggi, come qualcuno fa sempre» con esplicito riferimento a Berlusconi. La prova arriva poco dopo. Alemanno, che già aveva criticato la manovra del governo - «fatta dentro i palazzi» - e aveva richiamato la Lega alla coerenza sul federalismo, chiede «qualche attenzione in più» per i «13 miliardi di debito ereditato dal passato». «13 miliardi che diventano 20» lo interrompe Calderoli che se la prende anche con il Lazio: «L’unica regione che ha accollato il debito allo stato». E in bergamasco «Adess’basta». Giuseppe Chiellino

Curiosità

3 - Sketches of you

2 - Destati e coinvolti foto di Elio Ciol

R. Maniscalco

forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo». Tra i film, invece, il primo posto è occupato da «Uomini di Dio». Il film uscito nel 2010 e diretto da Xavier Beauvois racconta dell’omicidio, realmente avvenuto nel 1996, di sette monaci dell’ordine dei Cistercensi della Stretta Osservanza presso il mo-

ti in Forza Italia. Per noi la politica non ha come fine la ricerca di visibilità, ma testimoniare come da cristiani possiamo dare un contributo per costruire un bene comune. C’è una grande amicizia che è cresciuta in questi anni anche con Angelino». Virginia Piccolillo

Don Jonah Lynch, vicerettore del seminario della Fraternità di missionari di San Carlo parla della mostra multimediale dedicata al profeta Ezechiele: «Attraverso la mostra vogliamo comprendere nuovamente chi è l’uomo e dove si radica la sua speranza. Chi è l’uomo di fronte al disfacimento quotidiano della politica, dell’economia, della salute, dei traguardi che ogni giorno raggiungiamo e perdiamo? Possono delle ossa morte tornare a vivere?». Silvia Guidi

Considerazione flash sulle fibrillazioni neodemocristiane in prospettiva post berlusconiana, che increspano anche in questi

nastero di Tibhirine, in Algeria. Per finire una curiosità. Quest’anno, all’interno della libreria del Meeting, era possibile acquistare la raccolta di 10 foto autografate di Elio Ciol sui primi anni del Movimento. Prezzo: 1.500 euro. Un solo misterioso e facoltoso acquirente. Emanuele Ranzani

giorni le cronache politiche attorno al Meeting di Rimini. A Del Noce stava a cuore innanzitutto la salvaguardia del senso religioso nella convivenza umana, la difesa di quel baluardo di civiltà da parte di ogni spirito libero (sperava che i comunisti in disarmo non si convertissero in toto alle armate del radicalismo di massa) e non la riconquista “clericale” del potere. Tommaso Ricci

Intervista al cardinale Dionigi Tettamanzi: «Sono giunto al termine del mio mandato pastorale – ha osservato Tettamanzi nel corso della sua riflessione su san Carlo Borromeo – e provo profonda serenità e grande gioia spirituale nel trasmettere le reliquie del santo al mio successore, il cardinale Angelo Scola». E il nome scatena l’applauso della platea e la reazione, divertita, del cardinale. «Non so se ho capito bene il significato del battimani», scherza. Poi, alla seconda tornata d’applausi, sorride ancora: «Il significato l’avevo già capito bene al primo applauso e lo ho capito meglio al secondo, ora non c’è bisogno del terzo…».


SPETTACOLI 18

27 agosto

Tutto il blues chiede l’eternità Il musicista “finto” Riro Maniscalco canta la nostalgia «Il rock esprime il dubbio, per questo non mi interessa» Quest’anno la musica è stata protagonista non secondaria in Fiera e ha accompagnato quasi tutte le serate della settimana. Un viaggio musicale che ha portato il Meeting dall’Italia all’Irlanda, passando per la Corea e fermandosi da ultimo in America con la presentazione di «Sketches of you», nuovo disco blues di Maurizio “Riro” Maniscalco. Riro è un musicista finto (autodefinizione) che nel suo ultimo libro «Musica, parole e storie» (Società Editrice Fiorentina) spiega come si diventa veri «storyteller». Ne ha scritto anche un altro, di libri, «Mi mancano solo le Hawaii», storia di un incessante pregrinare su e giù per i “suoi” Stati Uniti. Perché Riro non è nato a Nashville né a St. Louis, ma a Pesaro; New York l’ha accolto tanti anni fa, rinfocolando quell’ancestrale passione per il blues del Mississippi. L’autore ha ripercorso insieme al pubblico la nascita di questo genere, mostrando un’inaspettata consonanza con il tema di quest’anno. «La prima cosa che mi ha affascinato del blues – dice Riro – era la cadenza, quella cadenza che prende al cuore e allo stomaco». Ma da dove nasce il blues? «Tutta la musica che ascoltiamo oggi ha una sola radice: quella nata dagli schiavi d’America con gli spirituals. Solo in un certo posto e in

un certo tempo la schiavitù ha generato un’espressione culturale così forte. I neri erano costretti ad andare ai Sunday services dei protestanti e nei Vangeli iniziarono a scoprire e conoscere un uomo che aveva sofferto come loro. E allora hanno iniziato a cantare di questo. Il passaggio dallo spiritual al blues è abbastanza semplice. La situazione per gli schiavi non cambiava e così nasceva una tristezza e con essa la massima espressione della malinconia, il blues. Entrambi questi generi sono espressione dell’identità dei neri, della loro cultura e della loro realtà». Questa è la storia, ma qual è l’essenza? «Innanzitutto nella parola “blue” c’è un significato, oltre a quello letterale, che appartiene allo slang: “To have the blues” significa essere tristi. San Tommaso dà una definizione di tristezza perfetta anche per questo caso: «Desiderio di un bene assente». Il desiderare implica una mossa verso un bene che si è certi esista, ma non si ha. Questa musica è un modo di espressione dettato da tale mancanza. In inglese, inoltre, si parla del blues in quanto “cry”, parola che riunisce in sé “pianto“ e “grido“. Il grido dunque riguarda il dove sia questo bene, non sul fatto che esista, sennò sarebbe un genere morto». Il rock’n’roll è un genere di musica che

Maurizio “Riro” Maniscalco e il grido nostalgico del suo blues.

nasce dall’incontro fra diversi modi espressivi, su tutti il blues. Tali generi erano espressioni forti di tradizioni culturali e popolari; il rock, invece, nel tempo è diventato il simbolo di una crescente incertezza generazionale. Come avviene questo passaggio? «Il rock condivide questa radice negli spirituals. Tecnicamente il blues ha una struttura di tre accordi che si succedono in modo definito. Il rock’n’roll prende questa struttura ma la accelera e la riempie di altri strumenti. Il problema è che, di fondo, il rock tenta di svuotarsi dell’essenza stessa del blues. Riesce a liberarsi di quel “cry” per qualcosa che non c’è ma esi-

ste, vale a dire della tristezza. È un cambiamento in cui forma e contenuto vanno insieme. Dove il blues affermava una circostanza e dentro a questa il persistere di una nostalgia, il rock dubita. La parola chiave nel rock è “sembra”. Con questo genere si passa dal racconto di una realtà che prima era indiscutibilmente definita a quello di un’apparenza. Il blues è una musica che non porta la certezza sulla risposta ma la certezza della sua esistenza, il rock mette in dubbio questa stessa radice del blues. Di un genere che non ha nulla di certo da dire io non so che farmene». Camilla Binasco


VITA DA MEETING 19 27 agosto

Alla ricerca del volto umano.

La salvezza è dietro l’angolo. Dietro.

Domenicani d’agosto, che caldo fa.

Il sonno delle giuste.

La piscina di Tiberiade.

Tavola rotonda sul tema: «E l’esistenza diventa un’immensa freschezza».

Alla fine della Fiera Quello che avreste sempre voluto vedere al Meeting ma non avete mai avuto il coraggio di guardare

I volontari di domani.

Loro ridono.

Uomini sandwich nel padiglione dei fast food.

Loro soffrono.

Lui sceglie il titolo del Meeting 2056.


Ci sono grandi progetti e progetti che diventano grandi e ci sono grandi idee che diventeranno grandi realtà, o parte di una grande realtà: il nostro Paese.

in collaborazione con

MEETING RIMINI - 21.27 AGOSTO 2011 - RIMINI FIERA PAD. D5

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