NOTIZIARIO
R I V I S TA D E L L A F O N DA Z I O N E M E E T I N G P E R L’A M I C I Z I A F R A I P O P O L I
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ANNO XXXV
MARZO 2015
DI CHE È MANCANZA QUESTA MANCANZA, CUORE, CHE A UN TRATTO NE SEI PIENO?
EDITORIALE
L'amicizia fra i popoli, un'esperienza possibile. Non è facile. Non è affatto facile in un momento così complesso, drammatico e così disarmante, come quello
che stiamo vivendo, parlare di amicizia fra i popoli. Come si può fare un Meeting dell’amicizia con negli occhi
i fatti che ogni giorno leggiamo sui giornali, dopo gli eventi di Parigi, davanti alle decapitazioni, di fronte a ciò che sta accadendo al confine tra l’Ucraina e la Russia, di fronte alla violenza più inaudita dei guerriglieri
dell’ISIS, nei diversi paesi del mondo, una violenza che non annienta solo l’uomo, ma non risparmia neanche la storia, distrugge con ferocia il patrimonio culturale, l’archeologia. Ma, anche più semplicemente, come
possiamo parlare di amicizia davanti alla crisi economica, alla crisi dell’uomo, alla crisi globale che sembra avere come unica risposta possibile la solitudine cinica della “riuscita” personale ad ogni costo. “Sono convinto
SE, INFATTI, SI PARTE DAL PRESUPPOSTO DELLA COMUNE APPARTENENZA ALLA NATURA UMANA, SI POSSONO SUPERARE PREGIUDIZI E FALSITÀ E SI PUÒ INIZIARE A COMPRENDERE L’ALTRO SECONDO UNA PROSPETTIVA NUOVA
che noi stiamo vivendo una terza guerra mondiale - ha detto più
volte Papa Francesco - una guerra mondiale a pezzi, a capitoli,
dappertutto e dietro questo ci sono inimicizie, problemi politici, problemi economici”. Sembrerebbe da pazzi, allora, lavorare per fare il Meeting e invece proprio in questi mesi ci accorgiamo di
quanto un luogo come il Meeting possa essere prezioso. Prezioso
perché al Meeting l’amicizia fra i popoli diventa, per grazia, un’ esperienza possibile. In questi mesi stiamo già incontrando molte persone, lavorando alle mostre, agli spettacoli e proprio in
questo lavoro accade di imbattersi in amicizie che sembrerebbero
impossibili come, ad esempio, quella con Wael Farouq e i suoi ragazzi SWAP, cristiani e musulmani, che
continuano a stupirci oppure con i ragazzi ucraini, russi, bielorussi e italiani che, insieme, stanno lavorando ad una mostra che sarà al prossimo Meeting (sul metropolita Antonji Blum) e questi incontri ci fanno vedere
che l’amicizia è possibile, che la pace tra i popoli è un’esperienza reale. “Occorre dare sempre più valore ai rapporti umani personali”, ci ha detto nell’intervista che leggerete in queste pagine Costantin Sigov, Filosofo e Docente
all’Università Nazionale di Kiev-Mohyla in Ucraina, uno dei curatori della mostra sulla figura del Metropolita Antonji e noi vogliamo partire proprio da questo, partire da questi rapporti perché, come dice il Papa: “al
principio del dialogo c’è l’incontro. Da esso si genera la prima conoscenza dell’altro. Se infatti, si parte dal presupposto della comune appartenenza alla natura umana, si possono superare pregiudizi e falsità e si può iniziare a comprendere
l’altro secondo una prospettiva nuova”. Oggi, ancora di più, sentiamo viva la sfida che Papa Francesco ha lanciato durante l’udienza del 7 Marzo scorso con tutto il Movimento di Comunione e Liberazione “Così, centrati in
Cristo e nel Vangelo, voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa “in uscita”. La strada della
Chiesa è uscire per andare a cercare i lontani nelle periferie, a servire Gesù in ogni persona emarginata, abbandonata, senza fede, delusa dalla Chiesa, prigioniera del proprio egoismo”.
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FLESSIBILITÀ
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SOMMARIO
w w w . m e e t i n g r i m i n i . o r g
NOTIZIARIO
R I V I S TA D E L L A F O N DA Z I O N E M E E T I N G P E R L’A M I C I Z I A F R A I P O P O L I
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ANNO XXXV
MARZO 2015
«COSÌ, CENTRATI IN CRISTO E NEL VANGELO, VOI POTETE ESSERE BRACCIA, MANI, PIEDI, MENTE E CUORE DI UNA CHIESA “IN USCITA”» [PAPA FRANCESCO]
DI CHE È MANCANZA QUESTA MANCANZA, CUORE, CHE A UN TRATTO NE SEI PIENO?
EDITORIALE
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L'amicizia fra i popoli, un'esperienza possibile ATTUALITÀ
In copertina: il manifesto dell’edizione 2015. Progetto grafico: Stefania Garuffi Opera: Davide Frisoni, Riflesso (olio su tela)
Nous sommes swappers, nous sommes humains!
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di Monica Tawfilas
ANTICIPAZIONI MOSTRE 2015
Per me vivere è Cristo. Il Metropolita Antonji
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di Stefano Pichi Sermolli
ANTICIPAZIONI MOSTRE 2015
Il vero volto dell’uomo di Stefano Pichi Sermolli
ANTICIPAZIONI MOSTRE 2015
Lo spazio dell’esperienza NOTIZIARIO Anno XXXV - N.1 Marzo 2015 Questo numero è stato chiuso in redazione il 18/03/2015 Proprietario/Editore: Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli Autorizzazione del Tribunale di Rimini n. 2008 del 2/11/82 DIRETTORE RESPONSABILE: Alver Metalli COORDINAMENTO REDAZIONALE: Stefano Pichi Sermolli REDAZIONE: Vanni Casadei, Piergiorgio Gattei, Walter Gatti, Rosanna Menghi, Daniela Schettini. HA COLLABORATO: Roberto Neri FOTO: Roberto Masi, Angelo Tosi PROGETTO GRAFICO: Davide Cestari, Lucia Crimi IMPAGINAZIONE: R&S&C - Modena STAMPA: Pazzini - Villa Verucchio - Rimini REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE: Via Flaminia, 18-20 - C.P. 106 - 47923 Rimini Tel 0541/78.31.00 Telefax 0541/78.64.22 email - meeting@meetingrimini.org www.meetingrimini.org PUBBLICITÀ: Evidentia Communication (società a direzione e coordinamento di Fondazione Meeting) Tel 0541/18.32.501 Fax 0541/78.64.22
di Giuseppe Frangi
ANTICIPAZIONI SPETTACOLI 2015
L'impronta
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di Davide Rondoni
TESTIMONIANZE
Un luogo per interpellare il cuore dell’uomo
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di Letizia Vaccari
TESTIMONIANZE
Incontrare la bellezza: in viaggio con le mostre di Roberto Neri VERSO IL MEETING 2015
TU, costruttore del Meeting
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ATTUALITÀ
Nous sommes swappers, nous sommes humains! A seguito dei recenti fatti di Parigi, abbiamo chiesto al gruppo SWAP, già presente al Meeting 2014 con la mostra “Quando i valori prendono vita”, di raccontarci come dentro a una amicizia reale si possa giudicare a partire dall’esperienza. di Monica Tawfilas
"
Io personalmente quando ho a che fare con un musulmano ho proprio un blocco, come faccio a superarlo, ma soprattutto, perché dovrei?". Questa domanda ci è stata posta qualche giorno fa da una professoressa presso una delle scuole in cui abbiamo presentato la nostra esperienza come gruppo SWAP e esposto la mostra "Quando i valori prendono vita". E proprio questa domanda ci è sembrata un punto molto importante da considerare per poter comprendere quanto sta accadendo ultimamente. È chiaro che le ultime vicende di terrorismo internazionale, soprattutto per quanto concerne il cosiddetto Stato Islamico, abbiano generato un crescendo di paura e diffidenza in tutto il mondo nei confronti della comunità musulmana. Questo ha provocato e continua a provocare ogni giorno forti tensioni, fomentando quella che può essere definita una sorta d’isteria collettiva. La paura di ciò che viene definito “diverso” e il pregiudizio sembrano diventare così una sorta di scudo con cui proteggersi, per chiudersi e lasciarsi coccolare nella sicurezza di ciò che è conosciuto ed esperito. Quello che dobbiamo ricordarci e che spesso prefe-
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riamo dimenticare, è che oggi siamo in una condizione in cui non è possibile pretendere di poter vivere isolati da ciò che ci circonda, dal resto del mondo, purtroppo … o per fortuna! Molti a questo proposito ci hanno chiesto in che modo sia possibile aprirsi all'altro senza rischiare di perdere la propria identità, in che modo noi riusciamo a fare questo ogni giorno. La nostra risposta è molto semplice: nel momento in cui conosci una persona con cui instauri un'amicizia, senti un legame, qualcuno che ti fa stare bene, perché dovresti allontanartene? Solo perché può sembrare diverso per alcuni aspetti? Forse il problema nasce da un modo differente di guardare alle cose, da una diversa prospettiva. Se vivessimo chiusi in una scatola, non finiremmo prima o poi per soffocare? Non è forse vero che l’uomo ha bisogno di confrontarsi, perché a volte ha bisogno che qualcuno lo aiuti a vedere ciò che da solo non vede? Questo è ciò che accade nella vita di ogni uomo, ogni giorno, nell’incontro. Incontro che nasce da un desiderio naturale, se non addirittura da un bisogno personale. C'è da chiedersi, dunque, se la persona che ci ha
posto quella domanda fosse veramente intimorita da qualcosa che sentiva nel profondo o se fosse piuttosto il risultato di una paura indotta da degli stimoli esterni. L’incontro con “l’altro” ci spinge a indagare di più su noi stessi, per capire di fronte alle differenze cosa ci caratterizza, cosa ci rende NOI; solo nel momento in cui ci mettiamo in gioco davvero siamo in grado di comprendere quali siano i nostri pregi ed i nostri difetti, i nostri punti di forza e i nostri limiti. Le differenze, dunque, non sono altro che un punto di partenza, uno stimolo personale, qualcosa che in qualche modo ci completa ed
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aiuta a completarci, non qualcosa di cui avere paura. Lasciare che quest’ultima prenda il soppravvento non è altro che stare al gioco di chi ricerca il male, ma noi abbiamo la possibilità di scegliere di accettarci per quello che siamo, di permettere a chiunque ci incontri di sentirsi accettato a sua volta, di non sentirsi solo, di dimostrare che un’altra realtà è possibile; perché nelle nostre azioni si riflette ciò che siamo, ciò in cui crediamo, ciò che consideriamo autentico e vero. Purtroppo si è giunti a un clima di egoismo tale, che ogni scusa è valida per
dar sfogo alla propria repressione e così niente diventa più semplice dell’arrivare ad uccidere in nome di Dio, di avere la presunzione di volerlo difendere. Personalmente non crediamo che Dio abbia bisogno di essere difeso o che tantomeno si debba combattere in suo nome, semmai siamo noi ad aver bisogno della sua protezione. Di fronte quindi a questo totale svuotamento delle cose da qualsiasi valore, di fronte alla spettacolarizzazione del macabro e della perdita di sé - perché infliggere un dolore tale senza batter ciglio significa essere stati schiacciati
totalmente dall’indifferenza e dall’apatia - è importante incontrare qualcuno che ci faccia sentire accettati senza dovere delle spiegazioni, che non ci spinga dunque a sentire il bisogno di prendere a riferimento qualcosa di così assoluto da risultare assolutamente vuoto, come può essere un’ideologia ottusa. In questo momento, in cui tutti sono portati a dover prendere una posizione, noi vorremmo quindi ricordare che prima di tutto "nous sommes humains". Ed è nel coltivare la nostra umanità che risiede la speranza.
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Per me vivere è Cristo. Il Metropolita Antonji
Antonij Blum (1914-2003), metropolita e figura di spicco nell’ortodossia russa del XX secolo, diceva che “la Chiesa è il luogo attraverso cui anime vive s’incontrano con il Dio vivo e in misura non minore si incontrano fra loro”. Al Meeting una mostra ne racconterà la vita e l’importanza del suo pensiero. Di Stefano Pichi Sermolli
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Varigotti dal 2 al 6 marzo, un gruppo di studenti russi, ucraini, bielorussi e italiani, hanno lavorato, per preparare una mostra, che sarà esposta nella prossima edizione del Meeting, sulla figura del Metropolita e sul paragone del suo pensiero con quello di Don Giussani. Guidati dal Prof. Alexandr Filonenko, insieme a molti altri intellettuali hanno analizzato e discusso, in maniera molto interessante e precisa l’eredità lasciata da Antonij Blum. Ho partecipato ai lavori e ho avuto occasione di dialogare con Costantin Sigov,
Filosofo e Docente all’Università Nazionale di Kiev-Mohyla in Ucraina, che ha conosciuto personalmente il Metropolita Blum e che sarà uno dei curatori dell’esposizione. Professore, chi ha incontrato il Metropolita Antonji Blum non ha semplicemente incrociato un pensatore, un grande teologo, ma una persona che prima di tutto si rivelava essere come un padre. Tu hai avuto l’opportunità di incontrarlo e conoscerlo in modo approfondito. Puoi raccontarci quale novità hai scoperto per la tua vita in
questo incontro? Io credo che nel caso specifico del Metropolita Antonji questi due aspetti stessero perfettamente insieme. Certo, era un grande pensatore, amava tantissimo Bernanos e Danielou, ma nel contesto storico e sociale del XX secolo il Metropolita Antonji è riuscito a compiere un passo unico, di vitale importanza, ovvero la sintesi fra pensiero e “pratica”. Quando ebbi la fortuna di incontrarlo stavo compiendo il mio dottorato di ricerca in antropologia filosofica ed ero consapevole che il triste successo che il marxismo stava riscuotendo in tutta Europa poteva
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essere riassunto in una parola in voga al tempo: praxis. Tutti conoscevano e ripetevano questa parola, addirittura gli americani pensavano fosse un termine tedesco per indicare la rivoluzione, ignari invece della sua origine greca e del suo significato nella filosofia di Aristotele. L’Europa del ’68 si riscopriva stanca di questo divario fra teoria e pratica: i movimenti studenteschi criticavano aspramente chi a parole si comportava in un certo modo ma poi nei fatti compiva altro; in questa situazione la “praxis” del marxismo riuscì ad attecchire velocemente raggiungendo lo storico successo, proprio perché prometteva il supera- Aleksej Sigov
mento di questo divario. Come ha ricordato anche Alberto Savorana nella presentazione del libro Vita di Don Giussani, anche molti degli studenti che facevano parte del Movimento di Comunione e Liberazione se ne andarono, proprio perché attratti dall’illusione che il marxismo potesse colmare questo gap. Ma noi in Unione Sovietica sapevamo che era un inganno: nel ’68 nessuno era interessato a Lev Trotsky, piuttosto eravamo sbalorditi dal fatto che i carrarmati sovietici erano entrati a Praga! Questo lo scenario sul quale, a un certo punto, appare la figura del Metropolita AntonjiBlum: egli iniziò a sostenere che questa sintesi fra teoria e pratica non solo non era un’utopia, ma che era una realtà cristiana e non marxista, una reale alternativa. Per questo per noi tutti è stato così importante l’incontro con lui, perché conoscendolo abbiamo capito che in lui, come in Don Giussani, non si poteva dividere il pensatore e il padre. Il Metropolita ha vissuto la sua vita in Inghilterra, fuori dalla Russia. Questo fatto cosa ha favorito nello sviluppo del suo pensiero e, parallelamente, come ha influito sulla Chiesa Ortodossa in Russia? Il mio padre spirituale a Kiev mi diceva
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sempre “è un grande bene il fatto che lui sia libero, viva in una società libera e possa predicare la verità del Vangelo in modo libero, senza dover pensare alla censura e al KGB”. Tutti lo amavano per questo, per questa sua libertà in Cristo. Lo stesso Metropolita Vladimir di Kiev, il “capo” della Chiesa ortodossa in Ucraina, una delle più grandi chiese di tutto il mondo, lo amava per questo. La presenza del Metropolita Antonji in Inghilterra ha favorito la diffusione del suo pensiero, di questa sintesi fra teoria e pratica di cui parlavamo prima, in tutte le parrocchie in Inghilterra e parallelamente in Ucraina tramite il Metropolita Vladimir, che capiva profondamente il significato di questo “laboratorio di pensiero” iniziato a Londra. Grazie a questo, in Ucraina sono già cresciute tre generazioni ispirate dal pensiero e dagli insegnamenti del Metropolita Antonji. Vorrei tornare indietro un attimo sul concetto di libertà. Per Antonji il concetto di libertà era anche un’altra cosa: in lui, infatti, si era anche annullata l’artificiosa distanza dalla cultura occidentale tipica dei paesi sovietici. Un esempio concreto: quando il Metropolita Antonji ricorda la morte del padre, a quale autore fa riferimento? A Bernanos, autore chiave del XX secolo. Nessun altro vescovo ortodosso avrebbe potuto far riferimento a Georges Bernanos in quel momento storico. Da questo capiamo che questa distanza, questa ripugnanza verso il mondo occidentale, che esisteva prima di lui e che tuttora esiste ascoltando la televisione o leggendo i giornali, in lui era vinta. Per questo l’esperienza del Metropolita Antonji è fondamentale: in lui l’ortodossia più pura è libera da questa malattia, ci da speranza che questa distanza possa essere prima o poi superata definitivamente. Durante il lavoro di questi giorni più
Il Metropolita Antonji Blum volte è stato fatto un paragone tra Don Giussani e il Metropolita Antonji, puoi approfondire meglio cosa, per te, unisce queste due grandi personalità? Per sottolineare la loro vicinanza, prescindendo da ovvie differenze geografiche e culturali nelle quali ognuno di loro viveva, vorrei far riferimento a due momenti nei quali in qualche modo le loro vite sono coincise. Il primo è un momento storico molto concreto: siamo nel 1943, in piena guerra mondiale. Nella mia relazione di questa mattina ho citato una lettera che il Metropolita scrisse nel novembre di quell’anno, testo cruciale dal quale scaturì tutta la sua teologia sul tema della sofferenza che si trasfigura nell’esperienza di Cristo.
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Alla fine della mia presentazione, Alberto Savorana, (autore di Vita di Don Giussanindr.), mi ha subito detto che nello stesso novembre del 1943 Giussani aveva scritto la stessa cosa. Da questo capiamo immediatamente che è prima di tutto lo Spirito a rendere congeniali Don Giussani e il Metropolita Antonji: nel momento di più profonda sofferenza del continente europeo, in due luoghi diversi, due raggi si sono uniti convergendo in un unico punto, al centro. Pur non sapendo niente l’uno dell’altro, entrambi erano concentrati sull’essenziale. Dal momento storico passiamo quindi a quello spirituale: sia per Giussani sia per il Metropolita Antonji il momento essenziale è quello in cui la persona sta in silenzio
davanti a Dio, momento chiave che da’ una reale percezione della presenza di Dio, che da senso a tutto il resto, ai libri, alla cultura e alla vita sociale. Un momento mistico che si è incarnato nella storia, che non è rimasto fuori ma ha attraversato la storia. Nonostante tutto quello che sta accadendo in questo periodo al confine tra Russia e Ucraina e tutto quello che leggiamo nei giornali e vediamo in TV, l’esperienza di questo lavoro, tra i ragazzi ucraini, russi, bielorussi e italiani è sicuramente una testimonianza di amicizia impossibile che diventa possibile. Ti chiedo perciò due cose: Cosa ti colpi-
sce di più rispetto a questa esperienza di amicizia? E perché, in sintesi, vale la pena oggi proporre al popolo del Meeting la storia del Metropolita Antonji? Siamo in un momento storico in cui l’amicizia vive una sfida profonda. Si dice “l’amico vero lo riconosci nel momento del bisogno” e a me pare proprio che la situazione attuale richieda a tutti di riporre l’accento sul rapporto personale, il rapporto fra persona e persona. La propaganda che i media russi stanno facendo va invece nell’esatta direzione opposta, provando a rompere i legami e i rapporti anche dentro le famiglie, fra genitori e figli. Il risultato è che le persone non parlano più fra loro, hanno paura di parlare di ciò che gli sta a cuore per preservare i propri rapporti di amicizia o di famiglia. Per poter, infatti, essere liberi di parlare di se, occorre che il rapporto sia ad una profondità tale da poter vincere le paure e parlare del proprio cuore con qualsiasi persona. Allora davvero si può dire che la scelta di una mostra su un autore come il Metropolita Antonji e il paragone della sua esperienza con quella di Don Giussani sia provvidenziale, perché la loro vita dimostra come si possa essere liberi da limiti etnici, culturali e politici non solo a parole, ma nei fatti, dimostrando che la Chiesa può essere indipendente dal potere politico in maniera reale. Il Metropolita Antonji, dopo il collasso dell’Unione Sovietica, ripeteva sempre “rimanete nella libertà di Cristo”: questo è ancora oggi il messaggio chiave per tutto lo spazio post sovietico. In Ucraina, certo, la situazione era più semplice, perché in questi 25 anni nessuna chiesa ha potuto dichiararsi come chiesa “ufficiale” dello Stato: la distanza dal potere politico era quindi la norma, distanza che oltretutto ha sicuramente favorito la diffusione della cristianità in maniera capillare, così come in Polonia e in Irlanda. In Russia era molto più difficile perché l’unione fra clero e potere era sicuramente più acuta. C’è un film, Leviathan in cui questo triste legame è descritto molto bene. Per fortuna ci sono alcuni leader “dell’intellighenzia” russa come Olga Sedakova, o altri discepoli e figli spirituali del vescovo Antonji, che sono voci libere ed è proprio con loro che il popolo di Kiev vive una profonda solidarietà. MARZO 2015
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Il vero volto dell'uomo Con la chiamata di Abramo, nella storia avviene la “nascita dell’io”: da allora, l’io si concepisce in rapporto. Don Ignacio Carbajosa ci ha raccontato come è nato il progetto della mostra in programma per il prossimo Meeting. di Stefano Pichi Sermolli
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apa Francesco nel suo Messaggio al Meeting 2014 ci ha scritto: “Il Signore non ci ha mai abbandonati a noi stessi, nei tempi antichi ha scelto un uomo, Abramo, e lo ha messo in cammino verso la terra che gli aveva promesso”. Abramo, un semplice pastore, è quindi il segno della compagnia del Destino all’uomo? È certamente il primo segno, nel senso storico, di questa compagnia di Dio all’uomo, la prima mossa del Destino. Abramo è il primo luogo dove si verifica che l’uomo non è più lasciato a se stesso, cercando a tentoni il Mistero che fa tutte le cose tramite una creatività religiosa. Di fatto, nella Mesopotamia questa creatività era accompagnata da una ragione che, nonostante la religiosità naturale che la spingeva, era chiusa a se stessa nell’incapacità di immaginare un’iniziativa del Mistero, un dialogo reale. In Abramo (e ulteriormente nel popolo che genera), invece, si verifica un uso della ragione (a partire dalla chiamata) che è eccezionale e che vogliamo illustrare nella Mostra. Qual è la novità che viene introdotta nella storia con la chiamata di Abramo? Come direbbe don Giussani, con la chiamata di Abramo avviene “la nascita dell’io”. In che senso? D’allora l’io si
Illustrazione da 1728 Figures de la Bible, Gerard Hoet (1648–1733) and others, published by P. de Hondt in The Hague in 1728
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concepisce come io in rapporto, appunto, come dialogo con un Tu che gli è venuto incontro. Proprio per quello, tutto l’affannarsi della vita diventa vocazione, cioè compito, risposta nella propria vita all’iniziativa di un Altro che finalmente esprime una Sua volontà: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io t’indicherò”. Il tempo diventa storia, luogo della verifica e del compimento di una promessa. E tutto quanto all’interno del popolo che la stessa chiamata ha generato, un popolo che diventa protagonista (anche se nelle apparenze non lo sembra) della storia. Perché oggi proporre al Meeting una mostra sulla figura di Abramo? Perché è ancora attuale? Oggi è più evidente che mai che siamo all’interno di una crisi dell’umano. Luigi Giussani commentava così, anni fa, le parole di papa Giovanni Paolo II sul pericolo più grande per l’uomo, che non è la schiavitù fisica ma l’eliminazione della possibilità di comportarsi come un uomo: “Siamo in un’epoca in cui le catene non sono portate ai piedi, ma alla motilità delle prime origini del nostro io e della nostra vita”. Una Mostra come questa vuole riprendere, appunto, i fattori essenziali che definiscono “il volto” dell’uomo. E poi, dal punto di vista della Chiesa, abbiamo la tentazione dello scoraggiamento davanti al crollo di un mondo che sembrava cristiano. Dobbiamo, dunque, prendere di nuovo coscienza di qual è, qual è stato sempre, il metodo di Dio per salvare l’uomo: la scelta di un uomo sconosciuto agli estremi confini degli imperi d’allora. Cosa possiamo imparare dall’obbedienza di Abramo? Dobbiamo riconoscere che “obbedienza” non è una parola di moda… Comunque
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Abramo. Il sacrificio di Isacco, Caravaggio, Galleria degli Uffizi, 1594-1596 la sua etimologia ci mette sulla pista del valore che ha ancora per noi: dal latino ob-audire, significa “prestare ascolto a chi è davanti”. Il nostro io, com’è evidente nella psicologia evolutiva del bambino, viene fuori in un dialogo, nel confrontarsi con un tu. Per la storia dell’umanità, e più
concretamente per la storia religiosa, il tu della madre è stato rappresentato dalla chiamata di Abramo, primo affacciarsi del volto del Destino sul balcone della storia umana. Il titolo del Meeting di quest’anno vuole
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alla sua esperienza nel fare la domanda “di chi è mancanza questa mancanza…”. Abramo, dal momento della chiamata, concepisce la sua vita come tendere a. Starei per dire che “capisce” di chi è nostalgia la sua nostalgia. Tutto il lungo e travagliato percorso che deve fare nella sua vita è sostenuto dalla promessa che ebbe all’origine. È questa promessa che lo guida nel capire come mai sarà padre di una grande popolo quando la sua moglie è sterile o quando gli viene chiesto di sacrificare il proprio figlio.
interpellare il cuore dell’uomo sull’esperienza di una mancanza. Vuole indagare sull’origine di questa mancanza. Mi sembra di poter dire che tutta la vita dell’uomo Abramo, sostiene questa indagine, questa domanda. È così? È una grande astrazione pensare che la
mancanza che ci costituisce è punto di partenza assoluto: c’è la mancanza, dobbiamo cercare la soluzione (come fosse una patologia a risolvere). La mancanza è mancanza di una compagnia ancora più radicale che ci costituisce, che ci da la vita. Per questo Mario Luzi è veramente leale
Come sarà impostato il percorso della mostra? Ci puoi dare qualche anticipazione? Vogliamo affrontare, in primo luogo, il contesto storico in cui l’avvenimento Abramo irrompe nelle vicende umane: la Mesopotamia del secondo millennio avanti Cristo. Mostreremo, poi, la grande novità che, dal punto di vista della fenomenologia religiosa, accade con la chiamata di Abramo. A partire del racconto biblico, illustreremo i fattori del volto dell’uomo così come viene fuori in Abramo. In questo ci lasceremmo prendere per mano da don Giussani che ha dipinto quel volto, proprio a partire da Abramo, in modo geniale. Sarà lo stesso percorso biblico che ci porterà, in una tappa ulteriore, a sorprendere nella storia il compimento della promessa fatta a Abramo nella persona di Cristo, l’io che ha vissuto la sua vicenda umana come appartenenza e come obbedienza al Padre. Noi siamo figli nel Figlio. Da Lui parte la grande educazione di tutte le nazioni nella vera religiosità fino ad oggi. La Mostra si chiude sottolineando l’attualità del metodo di Dio, così come viene illustrato nella chiamata di Abramo, per affrontare le sfide del nostro mondo.
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Lo spazio dell'esperienza. Domanda, libertà ed esperienza. L’arte contemporanea incrocerà il popolo del Meeting grazie a un inedito progetto mostra. Abbiamo chiesto a Giuseppe Frangi, curatore della mostra, di raccontarci la nascita e il significato di questo importante incontro. di Giuseppe Frangi
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artiamo da un dato statistico: mai nella storia dell’uomo abbiamo avuto tanta produzione artistica come in questo nostro tempo. Mai ci sono stati altrettanti artisti, non solo come quantità assoluta (che sarebbe logico visto che siamo in sei miliardi sulla terra) ma anche come percentuale di persone che hanno scelto nell’arte la propria strada. Perché c’è tanta voglia e tanto bisogno di arte? E come mai proprio in una stagione come la nostra, in cui la logica utilitaristica sembra sempre quella vincente? Sono domande per le quale vale la risposta che si diede Gio Ponti, raccontando un bellissimo aneddoto. Immaginava che Dio ricevesse alla fine dei tempi gli uomini ad uno ad uno, compiacendosi del proprio - suo di Dio - lavoro e di ciò che aveva creato. Quando dopo tutte le infinite professioni si presentò un artista, Dio restò interdetto. Perché che gli uomini potessero essere artisti era cosa che neanche Lui aveva previsto. Ma invece che indispettirsi si compiacque ancor di più di quelle sue creature che avevano sorpreso il loro stesso creatore, facendo qualcosa che neanche Lui aveva messo in preventivo. Cosa dice questo aneddoto? Che l’arte è l’attività che fa balzare l’uomo oltre se stesso, che è lo spazio dell’imprevisto, del non necessario, del gratuito. È il luogo in cui il desiderio che muove l’uomo in ogni istante della sua vita, tenta di oggettivarsi in una forma, in una parola. È la stessa cosa da sempre, dal tempo delle incisioni rupestri di Lascaux sino ad oggi. Così come non c’è un tempo senza arte,
> Anish Kapoor, My Red Homeland, 2003, cera, colore a olio, braccio in acciaio e motore
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non c’è neppure un codice che assicura sulla bontà dell’arte. L’unica cosa certa è che l’arte non può mai essere uguale a se stessa, deve accettare sempre il rischio del nuovo, del non detto prima. Anche a costo di rischiare di fallire, di deragliare clamorosamente rispetto alla sua natura. C’è un’altra caratteristica dell’arte: conosce solo un tempo, ed è il tempo presente. Questo vale per sempre, nel senso che anche quando guardiamo una grande opera del passato, questa non è grande per statuto, ma è grande perché fa vibrare le corde del nostro presente, secondo uno sguardo che non è quello di nessun altro tempo della storia. E il presente dell’arte non è solo ideale, interiore, soggettivo. È anche oggettivo: “Artist is present” si intitolava una straordinaria performance che ha emozionato centinaia e centinaia visitatori al Moma di New York nel 2013. Marina Abramovic, questo il nome dell’artista, per tre mesi è rimasta seduta davanti ad un tavolo, relazionandosi, soltanto a sguardi, con i visitatori che ad uno ad uno si sedevano di fronte a lei. Un’esperienza umanamente ed emotivamente intensissima, in cui l’artista consegnandosi allo sguardo, in un certo senso “dandosi”, toccava qualcosa che aveva a che fare con il destino suo e di chi aveva di fronte. Come ha detto Damien Hirst, altro mito dell’arte contemporanea, personaggio insieme da scandalo e da copertina: «L’arte è vera se capisci qualcosa dell’essere vivi che non avevi mai capito prima». Damien Hirst e Marina Abramovic saranno due dei personaggi di cui si occuperà una mostra che al Meeting vuole proporre uno sguardo diverso sull’arte contemporanea. Uno sguardo curioso e aperto per non restare ostaggi dei soliti luoghi comuni. L’arte di oggi è certamente un abnorme fatto di mercato (al punto che uno dei più grandi e seri artisti di oggi, Gerhard Richter, si è pubblicamente detto imbarazzato delle valutazioni che le sue opere hanno raggiunto); l’arte è anche spesso stata ridotta a un idiota esercizio di nichilismo. Ma in mezzo a questa fanghiglia - come sempre nella storia dell’uomo - si possono scoprire dei fili d’oro che è un peccato non seguire, non guardare, non conoscere. Sono fili d’oro che raccontano un’impre-
vista, a volte spiazzante, commozione per l’umano. E che la raccontano in forme altrettanto impreviste, a volte molto diverse da quelle a cui la tradizione ci ha abituati. Ma l’arte non è obbligata da nessuna forma, anzi sta nella sua natura di uscire dalle forme anche del passato recentissimo e di inoltrarsi su terreni nuovi, rispondendo
alle sollecitazioni di tutto ciò che di nuovo la vita degli uomini mette in campo. «Art is open gate to possibility», dice uno dei più importanti curatori di oggi, Ulrich Obrist. La mostra proposta al prossimo Meeting vuole proprio seguire alcuni di questi “fili d’oro”, attraverso non le opere, ma la
Anish Kapoor, Svayambh, 2007, cera, colore ad olio, binario meccanico, misure ambientali
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narrazione, anche spettacolare, di queste opere. Non vuole essere una mostra che cerca consenso, ma che sollecita curiosità. Ci si troverà di fronte a situazioni che contengono anche un’audacia, con cui è affascinante fare i conti. Un’audacia di linguaggi o di approcci che porta gli artisti a inoltrarsi nelle fibre della realtà molto più
di quanto a noi sia dato. A volte l’audacia è indotta dai mezzi che un artista si trova a disposizione: come è accaduto a David Hockney, grande artista inglese, che con l’arrivo dell’Ipad ha capito di doversi arrischiare a dipingere sulla tavoletta, perché era una sollecitazione che gli avrebbe riservato sorprese. E infatti la bellezza delle
sue immagini “artificiali” prodotte con i pennelli elettronici racconta di uno sguardo reso più acuto, più eccitato, più penetrato nella realtà. È il modo con cui l’artista David Hockney (ma la cosa vale anche per tutti gli altri che vedrete in mostra) oggi tenta di continuare a stupire Dio.
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ANTICIPAZIONI SPETTACOLI 2015
L'impronta Uno "spettacolo" in poesia. Una sera di visioni e parole dominato da un’evidenza: il cuore dell'uomo ha un'impronta. Ha un vuoto, una cavità, una ferita. Che ha i contorni di un’impronta "misteriosa". Di questa impronta si occupa da sempre l'arte ("ardente singhiozzo" per dirla con Baudelaire) e a essa dà voce la poesia. di Davide Rondoni
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a serata che si proporrà al prossimo Meeting farà risuonare le voci di poeti diversi per periodo, provenienza, e matrice culturale e religiosa. Perché ovunque sotto il cielo del mondo gli uomini avvertono la presenza di questa impronta nel cuore. Che fa patire e che slancia al tempo stesso a cercare chi, che cosa possa colmarla, possa corrispondere alla sua misura che è in realtà smisurata. Nessuna mano di amante, nessuna traccia di ricchezza, nessuna dolcezza di amico, nessun incanto della conoscenza può colmare pienamente quel vuoto, quella mancanza. Quella assenza, segno di una presenza sconosciuta che anima il vivente e quasi lo pretende come suo, come segnato da lei. I versi saranno rotti, intessuti, a volte dolcemente sbranati in uno spettacolo che introduce lo spettatore, colui che capiterà e viaggerà in mezzo a queste parole e a ciò che esse genereranno in corpi, suoni, visioni. La poesia, come tutte le arti, sono il segno bruciante di quella impronta. Invitano chiunque a guardare quella rossa o buia o luminosa ferita che brucia al centro del petto. E al centro di ogni amore, di ogni bacio, di ogni saluto e di ogni addio. Qualcosa che sempre manca. Che grida, come sentiva il grande Clemente Rebora: "Non è per questo, non è per questo!" Nessuna cosa, nessuno basta alla fame della vita. Mentre stringi qualcosa, un viso amato, un successo, una meraviglia, dice Rebora, la voce di quella impronta insorge: non si vive solo per questo. La vita è fame.
> Il poeta e scrittore Davide Rondoni
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Chiunque affermi il contrario è morto, avvisatelo. Tanto è vero che a quella fame persino Lui, il dolce e potentissimo Gesù Cristo, il Dio che si mischiò tra gli uomini, non propose parole, idee, discorsi. La fame che veniva dal cuore degli uomini, il vento che veniva da quella impronta e fessura, avrebbe fatto disperdere, avrebbe annullato e di fatto annulla tutte le parole, le idee, anche quelle più alte e sagge. Quella fame che come drago sorge da quella impronta, come tempesta, avrebbe divorato come niente parole idee filosofie. E infatti lui, il dolcissimo e divino Gesù, diede e continuamente da il suo corpo da mangiare. L'impronta sarà lo spettacolo delicato e potente di questa fame. Che l'uomo di oggi spesso vorrebbe di-
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menticare e addomesticare, salvo poi vederla risorgere più potente e irrefrenabile che mai in forme a volte strane, involute, disperse e perverse dalla propria inevitabilità. Lo spettacolo della impronta è il vero spettacolo umano. E al Meeting ne andrà in scena una specie di ventaglio di segni come un inseguirsi di parole, di versi, di movimenti. La voce umana la sua capacità di reinventarsi in un linguaggio non meramente logico, ovvero di inventare quella lingua che, come diceva Oscar Miloszc, autore di Miguel Manara, diviene "inseguimento appassionato del reale", è sempre stata usata per dare voce a quella impronta. In ogni civiltà e tempo, la voce si è alzata per dare testimonianza di quella oscura e
luminosa impronta. Sciamani, profeti, stregoni, salmisti, folli, poeti, hanno sempre alzato la loro voce in mezzo alla comunità umana per un solo motivo: non dimenticare quella impronta. Voce scomoda, voce che spesso i potenti del villaggio o dello stato o del sistema non gradiscono ascoltare, perché ricorda che il loro potere è in realtà così piccolo, così niente rispetto a ciò che desiderano i loro sudditi o persino schiavi. Voce che non cessa di alzarsi in ogni angolo della storia e del pianeta dove esiste un uomo vivo. Il Meeting è sempre stato appuntamento per uomini vivi. Lo spettacolo "L'impronta" è un appuntamento per chi non ha paura di avere fame e di condividere la voce del cuore.
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Un luogo per interpellare il cuore dell’uomo Venerdì 6 e sabato 7 febbraio 2015 si è svolta a Città del Messico l’ottava edizione di EncuentroDF: due giorni di conferenze, mostre e dialoghi organizzati dalla comunità di Comunione e Liberazione in Messico. Riportiamo di seguito il racconto di chi ha organizzato e partecipato a un evento che, prima di tutto, è occasione per un incontro. di Letizia Vaccari
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n tentativo di guardare e giudicare la realtà quotidiana. Così il titolo del passato Meeting “Verso le periferie dell’esistenza. Il Destino non ha lasciato solo l’uomo” ha scandito il tempo al nostro annuale Encuentro DF. Per noi che lo organizziamo da otto anni, l’esperienza di quest’anno ha significato il riaccadere della novità e potenza del carisma che ci mette in dialogo con gli uomini di qualsiasi età e di qualsiasi corrente di pensiero, a condizione di interpellare il cuore, di proporre le domande profonde e di tentare di guardare la realtà con simpatia, uno sguardo che non è ancora del tutto nostro, ma che con la creazione di spazi come questi, comincia a essere sempre più familiare. Su quali periferie abbiamo riflettuto? Abbiamo voluto incominciare venerdì illustrando, attraverso la mostra proveniente da Rimini, la ricerca sulle cause delle malattie genetiche di Jérôme Lejeune, ricerca cui lo scienziato ha dedicato l’intera vita con semplicità e realismo, arrivando così a scoprire il nesso tra la trisomia 21 e la sindrome di Down. La scienza, dunque, a servizio della fragilità
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fisica della persona, in qualunque condizione si trovi: questo è stato il contenuto della successiva conferenza guidata da Yordani Enriquez, dottore in bioetica e professore presso l'Università Sedes Sapientiae di Lima, che ha voluto mettere in luce la forte personalità di Lejeune, per la quale l'uomo di scienza e quello di fede sono sempre convissuti in pienezza e unità. La medicina deve curare o eliminare? Questo il dibattito che fin dalla scoperta di Lejeune ha animato la scienza, tuttora propendente per una strada che sentenzia l’eliminazione di ciò che non risponde a uno standard di perfezione; alla mentalità scientifica moderna Lejeune ha risposto con la fede: il malato è ontologicamente una persona e come tale ha diritto di essere trattato. La giornata di sabato si è sviluppata, invece, attorno a due nuclei che interessano le periferie della nostra umanità: il bisogno di educazione e la grave situazione di violenza e confusione del nostro Messico. Abbiamo voluto affrontare il primo problema, l’educazione, attraverso la testimonianza di Alicia Lomello, insegnante argentina, che ha raccontato la passione e l’impegno nel compito dell’educatore: riconoscere negli alunni il loro vero biso-
gno. Con lei Josè Medina, sacerdote responsabile del movimento di Comunione e Liberazione in USA con una lunga esperienza nell’insegnamento alle spalle. Josè Medina ha raccontato al pubblico come attraverso la personale apertura a una proposta d’insegnamento ha potuto comunicare agli alunni la propria scoperta della bellezza del conoscere e della
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realtà, della necessità di una compagnia in questa avventura. La successiva tavola rotonda "Messico: è possibile un nuovo inizio?" ha avuto come protagonisti alcuni importanti nomi della cultura messicana: Il professor Eduardo Gonzalez di Pierro, ricercatore in filosofia presso la Università Michoacana; Leonardo Curzio, famoso cronista
radio e opinionista politico per diversi media messicani; Jorge Trasloceros, professore e ricercatore di storia dell’Università Nazionale messicana, moderatore della tavola rotonda. Volevamo analizzare i tratti salienti della nostra attualità nel tentativo di dare un giudizio reale: i fatti di Ayotzinapa che hanno fatto il giro del mondo, il narcotraffico, l'insicurezza en-
demica, la corruzione dello Stato a tutti i livelli e la sua incapacità a risolvere i gravi problemi. Il professor Gonzalez di Pierro ha quindi sottolineato come la crisi dello Stato sia la crisi di un popolo che sta perdendo la sua identità, dimenticando quelle radici cristiane cattoliche che erano e sono l'unico possibile fattore di unità in quanto sostengono il concetto di persona. Leonardo Curzio, attraverso un’analisi quasi spietata della situazione attuale, ha denunciato una generale sfiducia della gente verso tutte le istituzioni: solo la famiglia resta il luogo di relazioni sicure, anche se chiuse e individualiste. È dalla base popolare, dall'apertura della gente a tutta la realtà del paese che può avvenire un cambiamento della società messicana. Qui sta la speranza per un nuovo inizio. Se la tavola rotonda raccontata ha costituito soprattutto una descrizione dei gravi problemi del paese e un'ipotesi per una via d'uscita, la seguente ha invece posto in risalto due iniziative già in atto che stanno incidendo positivamente e diversamente nel tessuto civile. Orlando Camacho della cooperativa S.O.S. Mexico ha descritto come la sua associazione sta lavorando in difesa e a protezione di cittadini ingiustamente colpiti, intervenendo direttamente per migliorare la legislazione: il fiore all'occhiello delle loro iniziative è stato l'intervento per un codice più rispettoso e giusto, ora in vigore. Il professor Luis Soto, messicano di Sonora, ha invece raccontato la sua opera di collaborazione con l'26) Arcidiocesi di Denver (USA) per facilitare gli immigrati messicani in un'integrazione che non
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TESTIMONIANZE
Un momento della visita guidata alla mostra su Jérôme Lejeune comporti la perdita dell'identità. Ma la testimonianza più toccante è arrivata da un'umile ragazza, Karina, rappresentante di un gruppo di popolane di un anonimo villaggio dello stato di Veracruz (ndr. Las Patronas). Ogni giorno da vent'anni queste donne a turno cucinano chili di riso, fagioli e tortillas per gli uomini che, costretti dalla fame e dalla miseria, tentano di espatriare verso l’America del nord salendo abusivamente sui treni in corsa: perché - ha dichiarato Karina - questa gente costretta all'espatrio, ha bisogno del cibo e
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della speranza, di qualcuno che sia con loro in questa difficile avventura cui sono costretti dalla miseria. La lezione centrale, sintetica dell'incontro, è stata affidata a José Medina, che citando la risposta di Hannah Arendt in La Banalità del male, ha ragionevolmente concluso che di fronte all'assurdità del male non è sufficiente, in una società pluralista, la promulgazione di leggi che vanno bene per tutti, perché il problema è la debolezza delle nostre coscienze, l'inconsistenza dell'io che diventa sempre più vittima del potere.
La nostra incapacità di unità e di auto-salvezza ha bisogno di qualcuno che venga da fuori, che risvegli la nostra capacità di comprendere la realtà, di formulare un giudizio, di giocare la nostra libertà, di diventare un’affascinante presenza di vera umanità. Cristo è venuto per generare l'umano, a noi la sfida dei problemi da affrontare.
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Incontrare la bellezza: in viaggio con le mostre Proporre una mostra del Meeting nei diversi ambienti della propria città può diventare una grande occasione d’incontri inaspettati, momenti di dialogo reale e nuovi inizi pieni di speranza. di Roberto Neri
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na grande occasione. Questo il giudizio prevalente di chi, nel corso dell’ultimo anno, ha scommesso sullo stupore generato dalla visita a una delle tante mostre itineranti del Meeting, perché colpito da una spiegazione, da un pannello espositivo o semplicemente da un modo diverso ma più vero di comunicare e di approcciare cultura, arte, letteratura, storia, sport musica e scienza. Un’occasione che, educando, crea inaspettatamente rapporti: tante sono, infatti, le testimonianze di chi, decidendo di portare una delle mostre itineranti del Meeting nella propria città, nella propria azienda, nel proprio circolo o nella propria parrocchia, ha scoperto nella semplicità di questo gesto un vero e proprio terreno di dialogo, di apertura e confronto, dal quale misteriosamente sono nati rapporti diversamente impensabili. Charles Péguy. La scoperta di un’umanità sorprendente Grande successo per “Storia di un’anima carnale. A cent’anni dalla morte di Charles Péguy”, la mostra dedicata al grande scrittore francese inaugurata durante lo scorso Meeting di Rimini. Chi ha visitato la mostra racconta con sorprendente entusiasmo di aver scoperto un mondo nuovo: adulti e giovani, universitari e persone che non conoscevano Péguy o che da sempre ascoltano i brani scelti da Don Giussani per animare le stazioni della via Crucis, rivelano di aver scoperto grazie alla mostra un’umanità nuova, sorprendentemente inerente e collegata alla più recente attualità. Le testimonianze La recente tappa a Piacenza, dal 6 al 20 gennaio 2015, che visto la presenza del curatore Pigi Colognesi in occasione dell’inaugurazio-
ne, è stata promossa dall’Associazione Culturale Ingenua Baldanza in collaborazione con Ateneo studenti dell’Università Cattolica. Alla domanda “qual è la chiave di lettura dell’allestimento?”, Pigi Colognesi ha risposto: “Il lasciarsi guidare dall’avvenimento come modalità di conoscenza. È un modo di conoscere la realtà diverso e contrapposto a quello in uso nella “mentalità moderna”, come la definisce Péguy, che, invece, tende a sovrapporre idee belle e fatte, preconcette, alle cose che accadono. Anche il cristianesimo è un avvenimento. È qualcosa che è successo duemila anni fa e continua ad accadere nella storia oggi, non è un insieme di teorie”. Scenario simile anche a Teramo, dove la mostra è stata esposta dal 31 ottobre all’11 novembre 2014 a conclusione di un fitto calendario di eventi dedicati al centenario della scomparsa di Charles Péguy. Anche a Treviso il Centro Culturale Péguy ha dedicato nove giorni alla mostra, dal 10 al 19 ottobre 2014, inserendo nel programma un
inedito street reading itinerante, che ha toccato le principali piazze della città con letture di brani dalle opere di Péguy a cura di lavoratori e studenti degli istituti cittadini. Meeting Mostre Dal 2000 il Meeting offre il servizio “mostre itineranti” per promuovere e allestire le mostre che ne hanno fatto la storia. Ogni anno più di 200 mostre vengono affittate e portare in giro per l’Italia e per il Mondo, coinvolgendo istituzioni locali, scuole, associazioni, centri culturali, parrocchie e anche aziende, per mostrare a chiunque come l’esperienza cristiana in azione diventa un giudizio, favorendo tutta quanta la propensione e il desiderio umano di conoscenza della realtà. Meeting Mostre mette a disposizione la sua esperienza non solo per il noleggio delle mostre, ma anche per l’allestimento, la grafica e la comunicazione, la formazione delle guide e l’organizzazione di eventi culturali collaterali che accompagnano l’esposizione.
La mostra su Charles Péguy allestita al Meeting 2014 MARZO 2015
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VERSO IL MEETING 2015
Perché questo luogo possa continuare ad esserci “Siamo in tempi non facili ma ci siamo assunti comunque la responsabilità di continuare a fare il Meeting, anzi proprio perché siamo in tempi non facili forse c’è ancora più bisogno di una cosa come il Meeting” sono le parole che Emilia Guarnieri, presidente del Meeting, ha detto in una video intervista destinata a tutte le opere che lavorano in ambito sociale. Abbiamo lanciato per la prima volta al Meeting 2014 una campagna di fundraising, che non si esaurisce con la semplice raccolta di fondi e neanche con una richiesta estemporanea dettata da un’urgenza immediata, ma è innanzitutto la capacità di far nascere relazioni di fiducia con quante più persone possibili. Affinchè questo luogo possa continuare ad esserci, chiediamo a tutti coloro che hanno a cuore una iniziativa come il Meeting, che pensano che un punto di incontro, di amicizia, di positività nella società sia utile, di darci una mano, sostenendo la costruzione di un luogo che, da oltre 30 anni, testimonia e racconta “una cultura dell’incontro, una cultura dell’amicizia”. Con una Donazione sarà possibile entrare a far parte della Community Meeting, un gruppo di persone affezionate al Meeting, una ‘comunità di sostenitori che cresce ogni giorno. Ma si può “fare di più” diventando Ambasciatore del Meeting. Poche azioni che possono aiutarci a divulgare la campagna: la diffusione del messaggio della raccolta fondi del Meeting ad amici, parenti, colleghi, la sensibilizzazione di tutti i conoscenti attraverso il racconto della propria esperienza al Meeting e cosa rappresenta per noi questo luogo di amicizia e confronto, la documentazione del proprio impegno a sostegno del Meeting e l’invito alla gente a fare altrettanto.
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LA VERITÀ FORZA DELLA PACE
DIALOGO FRA UOMINI E POPOLI, UN’ISTANCABILE APERTURA AL MONDO
LA BELLEZZA SALVERÀ IL MONDO
UNA GRATUITÀ POSSIBILE E SPERIMENTABILE
UN FESTIVAL CULTURALE DAI TRATTI INCONFONDIBILI
VERSO IL MEETING 2015
VOLONTARI DAL MONDO AL MEETING DI RIMINI: UN PROGETTO DI CROWDFUNDING È on line sul portale Eticarim il progetto Volontari dal Mondo al Meeting di Rimini che ha come obiettivo il raggiungimento di 7.000€ come aiuto al sostenimento dei costi per l’ospitalità di 60 volontari stranieri che verranno a Rimini al Meeting per fare un’esperienza di amicizia, incontro e gratuità totale. Per ogni edizione del Meeting arrivano a Rimini migliaia di volontari. Circa 2.000 volontari offrono il loro lavoro gratuitamente durante la settimana della manifestazione a cui vanno aggiunti i 600 che collaborano alla costruzione, partecipando in maniera determinante alla realizzazione dell’evento. Fra questi 2.000 volontari, circa 60 ragazzi provengono da svariati Paesi di tutto il mondo (Spagna, Ucraina, Canada, Portogallo, Gran Bretagna, Lituania, Francia, Kosovo, Messico, Polonia, Russia, Belgio, Camerun, Colombia, Stati Uniti e da altri paesi).
Ed è proprio per sostenere i costi dell’ospitalità nella città di Rimini dei 60 volontari stranieri che chiediamo un aiuto, e se anche tu credi che ogni giovane debba avere la possibilità di vivere un’e-
sperienza di vita e di crescita, se vuoi rendere Rimini un luogo di incontro e dialogo per i volontari di tutto il mondo, collegati al portale Eticarim per fare la tua donazione!
COSA PUOI FARE PER SOSTENERE IL MEETING: - Donazione con paypal dal sito del Meeting - Versamento su conto corrente postale n. 11139474 - Versamento su conto corrente bancario IBAN IT31 O033 5901 6001 0000 0071 814 - Assegno bancario - Donazione continuativa con bonifico automatico (ADUE)_modulo dal sito del Meeting - Destinazione del 5x1000 in fase di dichiarazione dei redditi - Lasciti - Donazione a sostegno del progetto Volontari dal Mondo al Meeting di Rimini pubblicato sul portale di crowdfunding di Eticarim_dettagli sul sito
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Un piccolo gesto per continuare una grande storia
DONA AL MEETING IL TUO
CODICE FISCALE
01254380403
Partecipa anche tu alla costruzione di un luogo che, da oltre 30 anni, testimonia e racconta “una cultura dell’incontro, una cultura dell’amicizia”.
www.meetingrimini.org/5x1000