Notiziario Novembre 2016

Page 1

NOTIZIARIO

R I V I S TA D E L L A F O N D A Z I O N E M E E T I N G P E R L’A M I C I Z I A F R A I P O P O L I

4

ANNO XXXVII

NOVEMBRE 2016



4

NOVEMBRE 2016

w w w . m e e t i n g r i m i n i . o r g

5

Editoriale

NOTIZIARIO

R I V I S TA D E L L A F O N D A Z I O N E M E E T I N G P E R L’A M I C I Z I A F R A I P O P O L I

SOMMARIO

4

ANNO XXXVII

NOVEMBRE

MEETING 2016

2016

Il valore del dialogo

7

La repubblica ha 70 anni

9

Dialogo e testimonianza, fondamenta della missione

14

Tu sei un bene per me

16

APPROFONDIMENTI

18

Meeting: due presidenti, un bene comune

23

Focus on: le mostre del Meeting 2016

26

Il frutto migliore

30

Il meglio dalla rete: #meeting16

34

NOTIZIARIO Anno XXXVII - N.4 Novembre 2016 Questo numero è stato chiuso in redazione il 25 novembre 2016 Proprietario/Editore: Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli Autorizzazione del Tribunale di Rimini n. 2008 del 2/11/82 DIRETTORE RESPONSABILE: Alver Metalli COORDINAMENTO REDAZIONALE: Stefano Pichi Sermolli REDAZIONE: Simona Angela Gallo, Roberto Neri, Nicoletta Rastelli HANNO COLLABORATO: Walter Gatti, Giorgio Paolucci, Raffaella Ottaviani FOTO: Roberto Masi, Angelo Tosi PROGETTO GRAFICO: Davide Cestari, Lucia Crimi IMPAGINAZIONE: R&S&C - Modena REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE: Via Flaminia, 18-20 - 47923 Rimini Tel 0541/78.31.00 Telefax 0541/78.64.22 www.meetingrimini.org press@meetingrimini.org PUBBLICITÀ: Evidentia Communication (società a direzione e coordinamento di Fondazione Meeting) Tel 0541/18.32.501 Fax 0541/78.64.22

VERSO IL #MEETING17

Diario di viaggio: America

18 36


4

NOVEMBRE 2016


EDITORIALE

Il meeting si costruisce insieme!Grazie! È sempre più vero: il Meeting ha molto a che fare con la gratitudine! Nasce per gratitudine, per condividere la bellezza

di una speranza incontrata e di una amicizia possibile sperimentata. Continua ad esistere perché, mosse dalla stessa gratitudine, tante persone collaborano e lavorano.

E a conclusione di un altro Meeting, desideriamo ringraziare tutti! Chi ha collaborato, lavorato, condiviso, sostenuto in qualunque forma. Chi ha messo in campo la sua vita, la sua arte, la sua esperienza di ricerca, la sua professionalità. Chi ha

partecipato, chi ha apprezzato, ma anche chi ha mosso critiche, perché ogni persona, ogni parola ascoltata, ogni sguardo scambiato, sono stati il frammento di una storia che continua per il bene di ognuno di noi e, auspichiamo, del mondo.

Il titolo di quest’anno Papa Francesco lo aveva definito “coraggioso”. Ci vuole coraggio ad affermare che l’altro è un bene,

“di fronte alle minacce alla pace e alla sicurezza”, di fronte a quella “insicurezza esistenziale che ci fa avere paura dell’altro”.

Scintille di questo coraggio abbiamo condiviso con le migliaia di persone che hanno frequentato il Meeting, tante, tantissime, dall’Italia e da tutto il mondo.

Il tratto distintivo di questo Meeting è rintracciabile nell’intervento del presidente Mattarella: “Vi è un destino da condividere”, occorre “un dialogo sul destino dell’uomo tra credenti e non credenti”. È stato evidente, e gli osservatori

più attenti lo hanno colto fin dall’inizio, che il cuore del Meeting non è stato la contrapposizione tra posizioni differenti

(religiose o politiche), ma piuttosto il dialogo, dove ognuno, nella sincerità della propria identità e della propria ricerca, è stato teso alla individuazione di percorsi da poter fare insieme, utili al bene di ogni uomo e di ogni popolo.

Le trame di rapporti, i pezzi di storia condivisa, le collaborazioni realizzate, le amicizie e i legami che si dilatano e che ogni

anno si incrementano e si incrociano, sono l’orizzonte di uno stupore che ogni anno cresce e che vogliamo continuare a seguire, perché la certezza più grande che abbiamo è che la realtà parli il linguaggio del Mistero e indichi i passi di un misterioso disegno cui anche noi apparteniamo.

Il Presidente

Emilia Guarnieri

NOVEMBRE2016

5


MEETING 2016

6

NOVEMBRE 2016


MEETING 2016

Il valore del dialogo Riportiamo Il testo integrale del messaggio di chiusura della XXXVIII° edizione del Meeting

«C

'è una parola che non dobbiamo mai stancarci di ripetere e soprattutto di testi-

moniare: dialogo». Queste parole di Papa Francesco ci han-

no accompagnato e sfidato per tutta la settimana ad andare sempre più a fondo del tema proposto quest'anno. Abbiamo cercato di offrire quella «testimonianza creativa» che il Papa ci ha chiesto, come modalità per rispondere alle sfide del-

la realtà presente, di fronte a una svolta epocale che esige risposte nuove per intercettare le ferite profonde dell’uomo contemporaneo. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo intervento inaugurale, ci ha detto: «L'altro ci conduce meglio al domani». «Per spezzare la catena dell'autoreferenzialità, [...] è necessario dare il giusto valore all'altro. Dare valore al dialogo. Mettere insieme le speranze e l'amicizia. [...] Anche per questo è vero che "tu sei un bene per me"». Desiderosi di corrispondere a quello che ci ha detto nel suo intervento: «Siete una risorsa preziosa per la nostra società», ci siamo messi in gioco per offrire a tutti il contributo di una esperienza, esaltando il bene che c’è in chiunque abbiamo incontrato in questi giorni, per costruire insieme un futuro migliore. In molti questa settimana ci hanno testimoniato la verità di questa coraggiosa affermazione, ci hanno mostrato che aprirsi all’altro non impoverisce il nostro sguardo ma ci rende più ricchi. A partire dall'abbraccio tra Maria Grazia Grena e Agnese Moro con Adolfo Ceretti, alla testimonianza sulla vita dei cristiani in Medio Oriente di Camillo Ballin, Vicario apostolico dell'Arabia del Nord, dalla mostra dedicata al tema

NOVEMBRE 2016

7


MEETING 2016

dei migranti al dialogo con il Presidente Romano Prodi e S.Ecc. Silvano Maria Tomasi. E ancora: il racconto di Moncef Ben Moussa, Direttore del Museo del Bardo, Tunisia, di Mohamed Fadhel Mahfoudh, Premio Nobel per la Pace 2015, dell'Arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi, e di Padre Firas Lutfi, Vice parroco di San Francesco ad Aleppo in Siria, il dialogo con il rabbino Eugene Korn su ebrei e cristiani come partner nella redenzione del mondo e con l'ortodosso Legoyda sull'abbraccio tra Francesco e Kirill che ha cambiato la storia. Anche l'analisi sul futuro dell'Europa di Jan Figel, Commissione per la promozione della libertà religiosa e di credo al di fuori dell'Unione, e del professor Joseph Weiler e quella sull'Islam europeo del Gran Muftì di Croazia, Aziz Hasanovic, e di Wael Farouq, sono state l'occasione di testimoniare che l'altro è un bene. Anche l’incontro con chi ha costruito pezzi di Meeting con noi è stato occasione di verifica: basti pensare a Luciano Violante per la mostra dei 70 anni della Repubblica e, con lui, tutti gli ospiti che sono intervenuti nel ciclo di incontri dedicato a questo anniversario; oppure all’Ambasciatore presso la Santa Sede dell’Honduras, Carlos Avila Molina, che ha curato la mostra sul Perdono e la Misericordia; a Giorgio e Marylin Buccellati, curatori dell’esposizioni sulla Georgia; all’incontro con la Postulazione per la Causa di Madre Teresa che ha portato al Meeting la grande esposizione sulla suora che sarà canonizzata il prossimo 4 settembre. Di rilievo i focus legati a temi internazionali curati dalla presidente della Rai, Monica Maggioni, ai quali ha partecipato tra gli altri anche Claudio Descalzi. E, infine, gli straordinari artisti degli spettacoli del Meeting: Tosca, Tania e

8

NOVEMBRE 2016

Mirna Kassis, Gioele Dix, Paolo Cevoli, gli interpreti dello spettacolo dedicato a Thomas More, Franco Branciaroli e Matteo Fedeli. Una settimana che ci ha testimoniato una speranza che vince anche la paura di fronte al terremoto che ha colpito l’Italia centrale e ci rende ancora più seri e più decisi nel condividere le ferite e le domande profonde della nostra gente. È una storia, una vita, che ha visto tutti protagonisti: gli oltre 3000 volontari, che sono arrivati da diversi Paesi del mondo, i circa 270 relatori, i curatori delle mostre e anche gli interpreti del mondo dell'economia, dell'imprenditoria, della politica e le aziende che hanno deciso di realizzare il Meeting con noi. Dopo questa settimana, in questi giorni così tragici per il nostro Paese e per

il mondo, torniamo a casa, al lavoro, a studiare, seriamente desiderosi di scoprire sempre di più che, come diceva don Giussani: «È la conoscenza della potenza di Gesù Cristo la ragione profonda di ogni nostro gesto di presenza sociale e di comunicazione al mondo: ma questa motivazione unica ed originalissima non diviene evidente se non nella testimonianza di una passione per l'uomo, carica di accettazione della situazione concreta in cui esso si trova, e, quindi, pronta ad ogni rischio ed a ogni fatica». Per questo il titolo della XXXVIII edizione del Meeting per l'amicizia fra i popoli, che si terrà a Rimini da domenica 20 a sabato 26 agosto 2017, è una frase tratta dal Faust di Goethe: "Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo".


MEETING 2016

La Repubblica ha 70 anni, incontro con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

V

i ringrazio molto dell'accoglienza e di tanta cordialità. Ringrazio la presidente della Fondazione Meeting e il presidente della Fondazione Sussidiarietà per le parole che mi hanno rivolto e ringrazio molto don Carròn per aver voluto aggiungere il suo saluto. A voi giovani presenti e a quanti altri, con il loro generoso servizio volontario, rendono possibili queste giornate di incontro e di dialogo a Rimini, voglio dire che siete una risorsa preziosa per la nostra società. Sono qui anzitutto per ringraziarvi. E per incoraggiare, insieme a voi, tutti i giovani che sono disposti a mettersi in gioco per una speranza, per una passione, per una buona causa. La Repubblica italiana ha appena compiuto 70 anni. Anch'essa è giovane. I tempi biologici sono più lunghi per le istituzioni. Ha già affrontato e superato prove impegnative. Per diventare più forte ha bisogno di rinnovato entusiasmo, di fraternità, di curiosità per l'altro, di voglia di futuro, del coraggio di misurarsi con le nuove sfide che abbiamo di fronte.Ovviamente si confronteranno, come bene e come giusto idee e soluzioni diverse, ma l'attitudine dei giovani a diventare protagonisti della

NOVEMBRE 2016

9


MEETING 2016

propria storia costituisce comunque sempre l'energia vitale di un Paese. Questa spinta vale più di qualunque indice economico o di borsa. La nostra società sta invecchiando e ci sono rischi oggettivi che le potenzialità dei giovani vengano compresse. Dobbiamo scongiurare questo pericolo che minaccia la nostra, come altre, società. Anche per questo - in un tempo di cambiamenti epocali come il nostro - è necessario prestare attenzione e dar spazio alla visione dei giovani. Senza farci vincere dalle paure. Dalle paure antiche e da quelle inedite. Attenti a non cadere nell'errore di ritenere nuove false soluzioni già vissute e fallite nel breve Novecento. Non ci difenderemo alzando muri verso l'esterno, o creando barriere divisorie al nostro interno. Al contrario. Tante nuove diseguaglianze stanno emergendo. Spesso sono proprio i giovani a pagarne il prezzo più alto. Occorre ricominciare a costruire ponti e percorsi di coesione e sviluppo. Occorre rendersi conto che vi è un destino da condividere. Stiamo parlando di condivisione dei benefici e delle responsabilità; e anche delle difficoltà. Condivisione dei diritti e dei doveri. Della memoria del nostro popolo e del suo sguardo verso il futuro. Nel Libro della Sapienza viene ricordato che i figli dei giusti si impegnarono al rispetto di una regola: condividere allo stesso modo successi e pericoli. Dovremmo tener conto, nel nostro Paese, di questa sapienza antica. Viviamo oggi l'epoca dell'io. Intendiamoci: nell'affermazione dell'individuo vi è una intrinseca verità, una crescita della coscienza, una domanda positiva di diritti e di opportunità. Il primato della persona, il riconoscimento della sua integrità e inviolabilità, il principio stesso di uguaglianza tra gli esseri umani hanno tratto alimento da questo percorso storico di affermazione della

10

NOVEMBRE 2016

Il Presidente Sergio Mattarella durante il suo intervento al Meeting 2016 centralità dell'individuo o, meglio, della persona. L'io non è soltanto identità. E' anche dignità, libertà. Libertà che ci è stato ricordato - da Kant a Martin Luther King - trova il proprio limite nella libertà degli altri, di tutti gli altri. Il punto cruciale è che l'io non è autosufficiente. L'io ha bisogno del tu come l'aria per respirare. L'io contiene l'esigenza di diventare un "noi" proprio per fronteggiare e raggiungere quei traguardi che è stato capace di immaginare. Perché il noi è la comunità. Il noi è anche la storia. Il noi è la democrazia. Andare oltre l'io vuol dire realizzarsi in maniera autentica anche come singoli. Vuol dire anche superare il limite del qui e ora, perché il futuro si costruisce soltanto insieme. A volte sembra persino impossi-

bile pensare oltre il contingente. La discussione pubblica, compresa quella politica, è spesso dominata dal presente. Passare dall'io al noi ci permette di guardare più lontano. Ricordo uno scritto di don Giussani, "L'avvenimento cristiano": "L'immoralità - diceva - è l'esperienza di un soggetto umano che non appartiene se non a se stesso. La moralità nasce, invece, come coscienza del proprio compito e insieme dei propri limiti, è l'esperienza di un uomo che viva un'appartenenza a una realtà più grande di sé". L'altro ci conduce meglio al domani. Insieme si consente alla società di pensarsi migliore domani. Naturalmente occorre sempre fare al meglio oggi ciò che è possibile nelle condizioni date, ma al tempo stesso dobbiamo pro-


MEETING 2016

gettare insieme un futuro migliore per noi, i nostri figli e i nostri nipoti: senza questa dualità, senza questo duplice percorso, la politica diventa sterile o ingannevole. Per spezzare la catena dell'autoreferenzialità, dell'egoismo e, in definitiva, dell'impotenza della politica, e del tessuto sociale è necessario dare il giusto valore all'altro. Dare valore al dialogo. Mettere insieme le speranze e l'amicizia. L'amicizia è una leva della storia. Anche per questo è vero che "tu sei un bene per me". L'egoismo non genera riscatto civile. Può dare a qualcuno l'illusione di farcela da solo, mentre altri soccombono in questi mesi abbiamo assistito a un'esplosione di egoismo e abbiamo visto a cosa può condurre l'egoismo senza limiti, con l'assassinio di tante donne. Atti compiuti da coloro che pensano agli altri soltanto come appendici o dipendenza di sé. La tentazione dell'isolamento rischia di pregiudicare anche le grandi opportunità di comunicazione che la scienza ci mette a disposizione, sovvertendone la funzione. Basta pensare alla tendenza di molti di collegarsi sul web soltanto a quelli che la pensano come loro, in circuiti ristretti e chiusi. Ci si illude così che il mondo appartenga soltanto a chi la pensa come noi, riversando spesso su chi la pensa diversamente soltanto astio e livore. Ne risulta cancellato il confronto delle idee, lo scambio di conoscenza, il valore delle esperienze altrui: in una parola la comunità e la sua tensione culturale. Quando l'io perde l'opportunità del noi, tutta la società diventa più debole e meno creativa. La libertà, in realtà, è indivisibile: non esiste se non ne godono tutti. Lo stesso benessere non resiste, non si consolida se non è condiviso. Occorre comprendere che ci si realizza davvero soltanto insieme agli altri e non da soli. E' come se il principio " la li-

bertà si ferma di fronte a quella degli altri" venisse assorbito e superato in un più avanzato principio: la libertà si realizza insieme a quella degli altri, si realizza in quella degli altri. Questa non è una considerazione di carattere morale - o, meglio, non è soltanto tale - ma è un dato concreto della vita sociale. E' una responsabilità della nostra Repubblica, consacrata nell'art. 3 della Costituzione, che le affida il compito di rimuovere ciò che ostacola di fatto la libertà e la uguaglianza. L'amicizia stessa si fonda sul valore delle differenze. Le differenze ci arricchiscono e ci ricordano il principio di non appagamento. Ci spingono a cercare la verità che è presente negli altri. Nel suo "La bellezza disarmata" don Carròn dedica un paragrafo alla "confusione dell'io" e un altro alla "nostalgia del tu". In quelle pagine si disegna un percorso spirituale ma queste due espressioni, in realtà, raffigurano bene la condizione umana. E' questa la prospettiva con cui affrontare il grande tema politico dell'unità. Unità del nostro Paese. Unità dell'Europa. Unità del genere umano intorno ai diritti fondamentali della persona. L'unità non è soltanto una questione di ordinamento giuridico o di solidità istituzionale. L'unità è anzitutto un fondamento etico e sociale comune, trasfuso in sentimenti e comportamenti vissuti. Questa visione è stata impressa, con straordinaria lucidità e lungimiranza, nei principi della nostra Costituzione, contenuti nella sua prima parte. E questo resta un obiettivo della Repubblica, da perseguire nel tempo, mutamento dei costumi, dei bisogni, nell'evoluzione del sistema sociale. Il nostro Paese è segnato da faglie antiche. A queste si sono aggiunte nuove divisioni, quelle prodotte dal naturale mutamento delle condizioni, non sempre regolato in maniera equilibrata, e quelle provocate

dalla lunga crisi economica degli ultimi anni. Dobbiamo lavorare con impegno per ricomporre le ferite e rendere l'Italia più robusta, più solidale, più competitiva, più importante per la costruzione europea. L'unità del Paese non è una conquista acquisita una volta per tutte. Passa oggi dalla crescita del Meridione. Dalle concrete opportunità di lavoro per i giovani. Dal contrasto alle povertà e alle diseguaglianze. Dall'occupazione femminile. Dalla conciliazione dei tempi di cura e di lavoro. Da uno sviluppo delle reti sociali e comunitarie, che possono rinnovare e consolidare il welfare senza privarlo del suo carattere universalistico. L'unità del Paese è anche investimento nella ricerca e nei settori strategici, giustizia più efficiente, integrazione e non esclusione di chi è sfavorito dalle condizioni di partenza. Dobbiamo tutti averne cura, avere cura dell'unità e della coesione del nostro Paese. Nessuno può seriamente pensare di farcela da solo. Allargare le divisioni ci rende più deboli. La Repubblica, di cui abbiamo celebrato i settant'anni, è stata una scelta di popolo che ci ha consentito di risalire la china che avevamo percorso in caduta, il baratro nel quale eravamo precipitati negli anni della dittatura, con i lutti e la disperazione della guerra, con le macerie della distruzione. La Repubblica è nata da un referendum, e dunque da un confronto democratico. La divisione degli orientamenti, però, è stata tradotta in una straordinaria forza unitaria. Merito dei nostri padri e delle nostre madri. Merito delle forze politiche e delle classi dirigenti democratiche. Che hanno saputo comprendere, malgrado difficoltà molto grandi (che talvolta vengono oggi sottovalutate), ciò che li univa, al di là dei legittimi contrasti. Questa ricomposizione ha creato sviluppo, diritti, opportunità. Ha ridotto le distanze sociali. Ha

NOVEMBRE 2016

11


promosso conoscenze, cultura, speranze. Un esempio per tutti: la scuola, materia sempre contrassegnata da grandi contrasti che, in buona misura, ne riflettono l'importanza nella vita del nostro come di qualunque Paese. All'inizio degli anni Sessanta quasi la metà degli italiani non aveva neppure il diploma di scuola elementare, soltanto il 15% aveva completato la scuola media- che comprendeva allora l'avviamento- e meno del 6% aveva il diploma di media superiore. Soltanto poco più di un bambino su quattro andava oltre la licenza elementare e molti meno andavano oltre il diploma della media inferiore. La Repubblica ha realizzato, in quegli anni, con uno sforzo comune, ampiamente condiviso, uno dei principali dettati della Costituzione: l'istruzione diffusa e generalizzata in Italia, per tutti e ovunque. Un grande fenomeno di avanzamento sociale, un'autentica pacifica rivoluzione positiva che ha unificato e resa più giusta e progredita la nostra società. Certo, nel complesso, ci sono stati squilibri e contraddizioni nel procedere della vicenda democratica, tuttavia il processo unitario ci ha fatto sentire, malgrado le difficoltà, sempre partecipi della casa comune. Siamo divenuti cittadini corresponsabili - uniti dal suffragio finalmente universale, con il voto alle donne di settanta anni fa - e i traguardi di giustizia, di legalità, di pace indicati dalla Costituzione sono stati avvertiti e vissuti come comuni, pur in presenza di forti contrasti ideologici e politici. La scelta repubblicana ha influito, in grande misura, sulla definizione dell'identità del Paese. La Repubblica ci ha aiutato a ricostruire la nostra storia unitaria e a collegare, sul piano etico e culturale, il primo Risorgimento con il secondo, cioè con la Resistenza e la Liberazione. La Repubblica, con la rinascita del Paese, ha permesso di

superare le cesure di questa storia travagliata, su cui, ancora pochi decenni fa, insistevano sentimenti disgiunti e che, invece, le celebrazioni del 150esimo dell'unità d'Italia, così partecipate e sentite, ci hanno restituito come un percorso nazionale di crescita nella libertà e nella coscienza civile. In passato non è stata valorizzata a sufficienza la portata storica della scelta repubblicana. Ciò è stato, allora, suggerito da ragioni di prudenza, e anche dalla saggezza delle leadership politiche, che non volevano accentuare la divisione tra il Nord repubblicano e il Sud monarchico. Si è posto maggiormente l'accento come era, del resto giusto - sulla scelta per la democrazia e sul fondamento unitario rappresentato dalla Costituzione, la casa comune, come, alla Costituente, la definiva Aldo Moro, di cui quest'anno ricorre il centenario della nascita. La Repubblica, tuttavia, ha contribuito, non poco, a superare i momenti più difficili. Per lunghi anni l'Italia è stata l'unica democrazia tra i Paesi dell'Europa del Sud e non è stato semplice, né scontato difendere questa condizione da pressioni interne ed esterne. Successivamente l'insorgere del terrorismo e l'uso eversivo delle stragi negli anni Settanta è stato combattuto e sconfitto grazie a una unità repubblicana, che ha coinvolto forze diverse, tuttavia solidali attorno ai valori costituzionali. La nostra storia è illuminata da occasioni di unità, da numerosi passaggi di condivisione e di comune responsabilità, che hanno permesso al Paese di compiere salti in avanti, o di evitare drammatiche cadute all'indietro. Gli inevitabili contrasti che animano la dialettica democratica non devono farci dimenticare che i momenti di unità sono decisivi nella vita di una nazione. E che talvolta sono anche doverosi. E' un grande merito saperli riconoscere. Un Paese che

non sa trovare occasioni di unità, diventa più debole. La democrazia è libertà nel confronto, ed è pure conflitto, ovviamente all'interno dei binari segnati dal diritto e dal rispetto dell'altro. Ma la democrazia è anche paziente. La pazienza della democrazia italiana ha consentito tempi di crescita e di maturazione a culture diverse. L'adesione alla democrazia si acquisisce e si rafforza praticandola, e così è avvenuto anche nel nostro Paese. La Repubblica ha consentito rinnovamento e maturazione, ha permesso un ampliamento delle basi democratiche e il radicamento della democrazia nella cultura nazionale. E' bene tenerlo presente, anche per il futuro, dal momento che le democrazie hanno sempre bisogno di essere aperte allo spirito del tempo, di inverarsi nelle diverse condizioni della storia, di accogliere nelle loro istituzioni le innovazioni e le forze vive, di aggiornarsi per rappresentare sempre meglio le istanze popolari e, insieme, per rispondere con efficacia alle domande nuove di cittadinanza che la società pone alle istituzioni. Oggi l'unità, la coesione del nostro Paese è una grande questione connessa all'unità, alla coesione dell'Europa. E' una pericolosa illusione rifugiarsi nella dimensione nazionale, sperando così, velleitariamente, di difendersi dal mondo globalizzato. Lo stato dell'Unione Europea non ci soddisfa appieno, è vero. E' un'Europa incerta, impaurita, lenta, che ha ridotto la sua capacità di politica lungimirante e coraggiosa. Non è ancora riuscita a risolvere la divergenza tra chi la considera soltanto un'utile cornice entro cui gli Stati collaborano e chi, con maggiore ambizione e senso della storia, la considera un percorso di crescente integrazione politica. La missione di un'Italia consapevole del proprio ruolo - e della validità storica del progetto di inte-


MEETING 2016

grazione europea - è esattamente quella di contribuire al rilancio dell'Unione. E' questo il destino migliore per noi e i nostri giovani. Dobbiamo aprire la strada al futuro, non illuderci di poterci riparare in improbabili trincee. La separazione moltiplica le rivalità, provoca diffidenze e contrapposizioni e questi sono i germi dei conflitti nell'Europa dei secoli scorsi - quelli che Alcide De Gasperi definiva, nel 1951, "germi di disgregazione e di declino, di reciproca diffidenza" - che non possiamo oggi rischiare di far riaffiorare. L'Europa è la dimensione necessaria per affrontare, con umanità ed efficacia, la politica dell'immigrazione e l'accoglienza dei profughi che fuggono dalle violenze e dalle guerre. Tanta strada è ancora da fare. Ci vuole umanità verso chi è perseguitato, accoglienza per chi ha bisogno e, insieme, sicurezza di rispetto delle leggi da parti di chi arriva. Occorre severità massima nei confronti di chi si approfitta di essere umani in difficoltà, cooperazione con i Paesi di provenienza e di transito dei migranti. Ci vuole intelligenza e visione per battere chi vuole la guerra e la provoca. Senza Europa, da solo, neppure il Paese più forte può farcela a garantire la sicurezza e lo sviluppo che i suoi cittadini chiedono. La portata inedita delle migrazioni suscita apprensione. Si tratta di un'ansia, di una paura comprensibile, che non va sottovalutata. Ma non dobbiamo farci vincere dall'ansia e dobbiamo impedire che la paura snaturi le nostre conquiste, la nostra civiltà, i nostri valori. Quelli per i quali noi europei siamo un modello e un traguardo nel mondo. Vorrei ripetere anche qui che non possiamo deturpare l'immagine dell'Europa, come luogo di libertà, di democrazia, di diritti, per renderla meno attraente. Il tema delle migrazioni, oggi, rende evidente come ci si realizzi davve-

ro insieme agli altri e non da soli. Fino a qualche tempo addietro i continenti erano separati. Mancavano effettiva conoscenza vicendevole e possibilità diffusa di spostamenti. Oggi i mezzi di comunicazione cancellano le distanze, fanno conoscere in tempo reale diversità di condizioni di vita e di benessere e permettono di viaggiare con relativa facilità e velocemente, anche se, come ben sappiamo, per tanti questo avviene subendo pesanti angherie e affrontando rischi gravissimi. Il mondo è cambiato ed è ormai questo. E non se ne può scendere come ipotizzava il titolo di un vecchio film. E' cambiato anche sotto altri profili: dalla globalizzazione degli elementi di fondo delle economie ai rapporti demografici. Vi sono Paesi popolosissimi in Africa con un'età media di diciotto - venti anni. Da noi, e in Europa, il tasso di natalità è prossimo o sotto lo zero. I continenti sono, ormai, vasi comunicanti di culture, beni, servizi, persone: il travaso tra di essi è inevitabile. Nessuno può augurarsi che si verifichino spostamenti migratori sempre più imponenti ma così rischia di avvenire se ci si illude di risolvere il problema con un "vietato l'ingresso" e non governando il fenomeno con serietà e senso di responsabilità. Ci può soccorrere, permettendo di governarlo in sicurezza, soltanto il principio che ci si realizza con gli altri. Che vuol dire far crescere - sul serio e presto - possibilità di lavoro e di benessere nei Paesi in cui le persone hanno poco o nulla, perché, in concreto, il loro benessere coincide pienamente con il nostro benessere. Con la nostra civiltà, e senza rinunciare ad essa, sconfiggeremo anche i terroristi. Che seminano morte per tentare di cambiare i nostri cuori e le nostre menti. E' questa una sfida per gli Stati democratici. Ma anche per le religioni. Il dialogo tra le fedi è

oggi una necessità storica, è una condizione per conquistare la pace. Il dialogo tra le fedi è un atto di umiltà, che può riconciliarci con la storia dell'uomo. E' questo un tema di grande valore spirituale, che ha fortissime implicazioni politiche e sociali. Dialogo tra credenti di religioni diverse, dialogo sul destino dell'uomo tra credenti e non credenti: ecco un terreno sul quale la cultura europea può dare, ancora una volta, un apporto straordinario. Il nostro Paese ha un grande contributo da offrire all'Europa, al Mediterraneo, al mondo, in questo tempo così complicato e, peraltro, affascinante come in realtà ogni tempo. Essere e sentirsi italiani è un privilegio. Vorrei dirlo anzitutto ai giovani: dovete sentire la responsabilità, ma anche apprezzare la bellezza di quanto avete nelle vostre mani. Il talento non va nascosto sotto terra, ma investito con coraggio. L'Italia siete voi, è fatta dai giovani che come voi, in tante parti del Paese, stanno mettendo in gioco le loro qualità, le loro idee, le loro esperienze. La scelta della Repubblica, con il suo patto di cittadinanza tra popolo e istituzioni, ci ha permesso di crescere in libertà, coesione, benessere, garantiti da un lunghissimo periodo di pace. Usate la vostra libertà per costruire un futuro migliore. Non restate a guardare. La casa comune, in realtà, è già la vostra.

NOVEMBRE 2016

13


MEETING 2016

Dialogo e testimonianza, fondamenta della missione Il messaggio del Santo Padre Papa Francesco per la XXVII° edizione del Meeting

E

ccellenza Reverendissima, in occasione del XXXVII Meeting per l’amicizia fra i popoli, sono lieto di far pervenire a Lei, agli organizzatori, ai volontari e a quanti vi prenderanno parte il beneaugurante saluto del Santo Padre Francesco, unitamente al mio personale auspicio di ogni bene per questo significativo evento. Il titolo dell’incontro - «Tu sei un bene per me» - è coraggioso. Infatti, ci vuole coraggio per affermare ciò, mentre tanti aspetti della realtà che ci circonda sembrano condurre in senso opposto. Troppe volte si cede alla tentazione di chiudersi nell’orizzonte ristretto dei propri interessi, così che gli altri diventano qualcosa di superfluo, o peggio ancora un fastidio, un ostacolo. Ma questo non è conforme alla nostra natura: fin da bambini noi scopriamo la bellezza del legame fra gli esseri umani, impariamo ad incontrare l’altro, riconoscendolo e rispettandolo come interlocutore e come fratello, perché figlio del comune Padre che è nei cieli. Invece l’individualismo allontana dalle persone, ne coglie soprattutto i limiti e i difetti, indebolendo il desiderio e la capacità di una convivenza in cui ciascuno possa essere libero e felice in compagnia degli altri con la ricchezza delle loro diversità. Di fronte alle minacce alla pace e alla sicurezza dei popoli e delle nazioni, siamo chiamati a prendere coscienza

14

NOVEMBRE 2016

che è innanzitutto un’insicurezza esistenziale che ci fa avere paura dell’altro, come se fosse un nostro antagonista che ci toglie spazio vitale e oltrepassa i confini che ci siamo costruiti. Di fronte al cambiamento d’epoca in cui tutti siamo coinvolti, chi può pensare di salvarsi da solo e con le proprie forze? È la presunzione che sta all’origine di ogni conflitto

tra gli uomini. Sull’esempio del Signore Gesù, il cristiano coltiva sempre un pensiero aperto verso l’altro, chiunque egli sia, perché non considera alcuna persona come perduta definitivamente. Il Vangelo ci consegna un’immagine suggestiva di questo atteggiamento: il figlio prodigo che pascola i porci e il padre che tutte le sere sale sulla terrazza per vedere se tor-


MEETING 2016

na a casa e spera, malgrado tutto e tutti. Come cambierebbe il nostro mondo se questa speranza senza misura diventasse la lente con cui gli uomini si guardano tra di loro! Il pubblicano Zaccheo e il buon ladrone sulla croce sono stati guardati da Gesù come creature di Dio bisognose dell’abbraccio che salva. E perfino Giuda, proprio mentre lo consegnava ai suoi avversari, si è sentito chiamare «amico» da Gesù. C’è una parola che non dobbiamo mai stancarci di ripetere e soprattutto di testimoniare: dialogo. Scopriremo che aprirci agli altri non impoverisce il nostro sguardo, ma ci rende più ricchi perché ci fa riconoscere la verità dell’altro, l’importanza della sua esperienza e il retroterra di quello che dice, anche quando si nasconde dietro atteggiamenti e scelte che non condividiamo. Un vero incontro implica la chiarezza della propria identità, ma al tempo stesso la disponibilità a mettersi nei panni dell’altro per cogliere, al di sotto della superficie, ciò che agita il suo cuore, che cosa cerca veramente. In questo modo può iniziare quel dialogo che fa avanzare nel cammino verso nuove sintesi che arricchiscono l’uno e l’altro. Questa è la sfida davanti alla quale si trovano tutti gli uomini di buona volontà. Tanti sconvolgimenti di cui spesso ci sentiamo testimoni impotenti sono, in realtà, un invito misterioso a ritrovare i fondamenti della comunione tra gli uomini per un nuovo inizio. Di fronte a

tutto questo, noi discepoli di Gesù quale contributo possiamo dare? Il nostro compito coincide con la missione per cui siamo stati scelti da Dio: è «l’annuncio del Vangelo, che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo, portando la presenza forte e semplice di Gesù, la sua misericordia consolante e incoraggiante» (FRANCESCO, Discorso in occasione del Premio Carlo Magno, 6 maggio 2016) Questo è l’auspicio del Santo Padre, il Quale incoraggia i partecipanti al Meeting e a porre ogni attenzione alla personale testimonianza creativa, nella consapevolezza che ciò che attrae, ciò che conquista e scioglie dalle catene non è la forza degli strumenti, ma la mitezza tenace dell’amore misericordioso del Padre, che ognuno può attingere dalla sorgente di grazia che Dio offre nei Sacramenti, specialmente l’Eucarestia e la Penitenza, per poi donarlo ai fratelli. Egli esorta a continuare nell’impegno di prossimità agli altri, facendo a gara nel servirli con gioia, secondo l’insegnamento di Don Giussani: «Lo sguardo cristiano vibra di un impeto che lo rende capace di esaltare tutto il bene che c’è in tutto ciò che si incontra, in quanto glielo fa riconoscere partecipe di quel disegno la cui attuazione sarà compiuta nell’eternità e che in Cristo ci è stato rivelato» (L. GIUSSANI – S. ALBERTO – J. PRADES,

Generare tracce nella storia del mondo, Rizzoli, Milano 1998, p. 157). Con questi sentimenti, Sua Santità invoca su Vostra Eccellenza, sugli organizzatori, i partecipanti e i numerosi volontari del Meeting per l’amicizia tra i popoli la luce dello Spirito Santo per una feconda esperienza di fede e di comunione fraterna e, mentre chiede di pregare per Lui, volentieri invia la Benedizione Apostolica. Nel chiedere a Vostra Eccellenza di assicurare anche il mio personale augurio, profitto della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio. dell’Eccellenza Vostra Rev.ma dev.mo nel Signore Pietro Card. Parolin Segretario di Stato

NOVEMBRE 2016

15


MEETING 2016

Tu sei un bene per me Dedica e premessa Quando gli amici del Meeting mi hanno proposto di tenere questo incontro, mi sono venute alla mente decine di persone che avrebbero potuto farlo meglio di me. Ma la vita è essenzialmente la risposta che diamo a un invito, a qualcuno che ci chiama. Il fatto di non avere titoli particolari per dire certe cose (uno scrittore non ha titoli, potrebbe essere anche un criminale) mi ricorda che tutto quello che un uomo può dire di interessante è qualcosa che a sua volta ha imparato. C'è chi esibisce sé stesso e chi racconta quello che ha imparato, e queste ultime sono, solitamente, le persone più interessanti. E si impara da chi a sua volta ha imparato e continua a imparare. Perciò vorrei dedicare quello che dirò alla persona che più mi insegna questa verità semplice e al tempo stesso difficile, come tutto ciò che è semplice. E’ uno dei fondatori di Cometa, ma è anche un grande artista, Erasmo Figini: le parole che dirò sono un modo per dirgli grazie con tutto il cuore. Venendo a noi: nel pentolone dei pensieri che subito mi hanno assalito, non appena Marco Aluigi mi ha ha comunicato questa proposta così inaspettata, un'immagine si è fatta largo: quella di Maria che accoglie sul suo grembo il corpo del Figlio morto. Per lei Gesù era il figlio che aveva allattato, amato, accudito, fatto crescere, quello che più di chiunque altro le aveva fatto sussultare il cuore. E al tempo stesso era il Figlio dell'Altissimo, Dio lui stesso. Per lei le due cose erano una sola. E adesso era morto, inerte tra le sue braccia. Cosa poteva significare per Maria, in quell'istante,

16

NOVEMBRE 2016


MEETING 2016

"tu sei un bene per me"? Questo è l'abisso che si apre per chi voglia affrontare questo tema senza retorica: un abisso in cui è facile cadere se una grazia inimmaginabile, impossibile, non fosse accaduta, se io stesso non avessi fatto e non facessi l'esperienza di qualcuno che mi dice - qui, adesso - "tu sei un bene per me". 1. Aiutiamoci a pensare Comincio con tre brevi osservazioni preliminari. 1) Prima osservazione. Il dato culturale più impressionante di questi anni è la pressoché totale incapacità dell'Europa e dell'Occidente in generale a far fronte con un giudizio lucido (noi, figli dell'Illuminismo) a tutte le tragedie che la stanno attraversando, dalle stragi causate dal terrorismo a quella, immensa, che si consuma tutti i giorni nei nostri mari , da un'inaspettata fragilità economica che produce masse sempre più grandi di poveri fino alla persecuzione di cui in molte parti del mondo è fatta oggetto la fede cristiana. E' urgente che ci aiutiamo a recuperare una posizione culturalmente adulta sul mondo in cui viviamo, una posizione che comprenda il più possibile tutti i fattori in gioco, dal terrorismo all'immigrazione, dalla crisi agli odi ideologici. Anche tra noi, è molto difficile trovare persone capaci di affrontare il problema nel suo complesso: ma proprio questa è l'urgenza. Dobbiamo aiutarci a costruire uno sguardo sull'uomo che tenga insieme le cose, dobbiamo insomma aiutarci a pensare, perché pensare vuol dire questo: cercare di affrontare tutti i termini di una questione complessa. 2) Seconda osservazione. L'umanesimo occidentale è al collasso, eppure la nostra domanda sul futuro continua - anche a fronte degli attentati terroristici - a gravitare in un orizzonte asfittico: che ne sarà di noi?, della nostra società?, della nostra bella civiltà?, delle nostre belle vie cittadine?, della nostra ricchezza?, del nostro

shopping? Il primo dato, almeno per me, è che di fronte a un tu di proporzioni mai viste, noi europei continuiamo a rivolgere lo sguardo e il pensiero a noi stessi, cerchiamo cioè di salvare le nostre politiche, i nostri progetti, e fatichiamo a immaginarne di nuovi, anzi, spesso ne rifiutiamo il principio, spesso ci rifiutiamo di immaginare una nuova progettualità. Ma intanto il panico cresce. Di qui la mia domanda: come possiamo recuperare, qui, adesso, un pensiero sano, non malato, capace di pensare l'altro senza precipitare nel moralismo o nella paranoia? 3) Terza osservazione. Qualche anno fa Massimo Cacciari, quando era sindaco di Venezia, in un'intervista molto simpatica disse, tra il serio e il faceto, che il problema principale di ogni sindaco sono i cittadini: con le loro lamentele sciocche, con la loro incapacità di sollevare il naso oltre il piccolo problema che gli ingombra il cervello, i cittadini ostacolano in modo spesso determinante l'azione di un buon amministratore. E concludeva che, senza cittadini, le città sarebbero amministrate molto meglio.Nel dire queste cose Cacciari citava indirettamente Hannah Arendt che nel suo capolavoro Le origini del totalitarismo, che raccoglie la tragica esperienza di un secolo di orrori, stabiliva una differenza fondamentale tra le tirannidi antiche e i totalitarismi odierni. Nelle prime l'uomo è schiacciato, ridotto a schiavo, umiliato; nelle seconde l'uomo è, semplicemente, inutile. Lo si potrebbe sostituire - è quello che immaginava Giovanni Testori nel suo Post-Hamlet - con un robot, si potrebbe sostituire il suo sangue con una linfa sintetica. La storia militare racconta che, nel corso del tempo, la percentuale delle vittime civili nelle guerre è aumentata esponenzialmente fino a diventare la quasi

totalità. L'uomo, inteso come il singolo uomo, come quest'uomo qui, conta ogni giorno di meno. 2. Un incontro personale Entriamo ora nel centro delle nostre riflessioni. Recentemente è mancata la madre anziana di un mio carissimo amico. Uno degli ultimi giorni questa donna, rivolgendosi al figlio, disse: "Quando mi troverò davanti al Signore, che cosa gli dirò?" Il mio amico fu molto colpito da queste parole, perché evidentemente sua mamma, che era una donna di grande fede, aveva la consapevolezza che l'incontro con Dio è un incontro personale: l'incontro con un altro, con uno che mi dice "tu" e al quale dico "tu". In effetti, l'uomo comincia a contare qualcosa ai propri stessi occhi solo se incontra qualcuno che gli dice "tu". Ecco un primo passo. Cercherò come posso di dettagliare tutto questo facendo il mio mestiere. La mia materia non sono le idee o i grandi modelli ma la vita così come mi si presenta. Il "tu" può anche essere brutto. Per esempio c'è un modo di dire che detesto, ed è: ma noi non ci davamo del tu? Mi capita spesso di sentirmelo dire da persone con le quali non ho mai scambiato una parola in vita mia. E' una frase ricattatoria. Se dici no, è impossibile dato che non ci siamo mai parlati fai la figura del maleducato. Però l'alternativa alla figura del maleducato è, oltre che una bugia (ma certo, come no!), l'ingresso in un'area di pseudo-confidenza nella quale io sono completamente in balia dell'altro. E' l'altro che mi ammette nella sua area di confidenza: io mi posso confidare con lui (mentre lui di solito si guarda bene dal farlo con noi). E' una specie di esercizio di forza, dal quale usciamo neutralizzati. Il mio interlocutore siede al centro della sua area di confidenza, nella quale la sua posizione non è di parità ri-

NOVEMBRE 2016

17


MEETING 2016

spetto a me. Questo squilibrio si chiama potere nel senso negativo della parola. Il potere sottende un mondo di rapporti squilibrati, per questo è difficile da maneggiare: io so, possiedo, conosco tutto di te, posso raggiungerti in qualunque istante, mentre tu non sai nulla di me e non mi puoi raggiungere né toccare . Il "tu" può avere una funzione di riduzione. Quando per esempio diciamo "tu" a qualcosa che non funziona, che non va come vorremmo o che stiamo tentando di far andare come vorremmo. Quando non riusciamo a infilare un ago, quando una serratura non funziona, quando la macchina non parte: ma allora, vuoi deciderti a funzionare? Vuoi venire fuori di lì? Se dico a una gallina vieni qui bella è perché sa che voglio tirarle il collo e allora si nasconde. Viceversa, se le cose funzionano come noi vogliamo non ci sono molte ragioni per dare loro del tu: esse sono puri mezzi, strumenti, un prolungamento del nostro corpo, una funzione del nostro progetto, e non hanno nessun bisogno di ricevere da noi lo statuto di esseri. Non hanno una consistenza al difuori di noi, del nostro progetto. La loro consistenza siamo noi stessi. Si da del tu alla gallina che scappa, non a quella che sta ferma.L'esistenza dell'altro sembra manifestarsi insomma (almeno così sembra) come un'opposizione, un'inimicizia, qualcosa di cui sono costretto mio malgrado a tener conto. L'altro è un nemico, passare attraverso questo aspetto è secondo me inevitabile, prima o poi. Anche con Dio è così: da Mosè a Giona, da Sant'Agostino a Michelangelo, fino al mirabile Innominato di Manzoni, che quest'anno è venuto a trovarci qui a Rimini. Il "tu" è proprio un'altra cosa. Nello scorso mese di febbraio mia moglie,

18

NOVEMBRE 2016

in seguito a un'operazione al piede, non ha potuto camminare. Io spingevo la sua sedia a rotelle, di quelle da corsia, con tutte e quattro le ruote piccole. Ecco, questo semplice gesto mi ha fatto conoscere aspetti del pavimento di casa mia e del marciapiede sotto casa che non avrei mai immaginato. Ogni minimo dislivello, di cui normalmente non mi accorgo, si trasformava in un ostacolo, in un problema da risolvere: dallo zerbino di casa a un lieve affossamento sul marciapiede. Se non affrontavo il problema, se lo ignoravo, la sedia (con sopra mia moglie) cominciava ad andarsene per conto suo. Esperienze semplicissime, come questa, ci insegnano una cosa molto più sconvolgente di quanto pensiamo: che, cioè, la realtà intorno a noi, o meglio ogni parte di realtà intorno a noi, obbedisce a un progetto che non ci appartiene: il marciapiede non è fatto per la mia sedia a rotelle, e il dislivello che incontro appartiene a quella piccola parte del marciapiede che mi riguarda in questo istante. Ma ciò che incontro non è solo quella piccola parte: grazie a quella piccola parte, a quel piccolo dislivello, io imparo che l'altro - come tale - obbedisce a una regola non mia. L'esistenza del mondo è una presenza inesorabile, una specie di incombenza, che gli artisti rappresentano spesso come un precipizio, un gorgo, un urlo, una minaccia, come nell'Urlo di Munch, o negli ultimi angosciosi quadri di Van Gogh o di Francis Bacon, oppure come una bellezza luminosa altrettanto misteriosa e a suo modo inquietante, come in certi dipinti di Henri Matisse, o di Piero della Francesca, o di David Hockney: il "tu" non ci lascia al nostro posto, ci obbliga a muoverci: anche per questo la sua presenza è qualcosa che, il più delle volte, noi ammettiamo a denti stretti.

Ma sentirci dire "tu" è la fonte della gioia, del godimento Ma ecco una cosa strana: quell'accoglienza dell'altro, che ci mobilita contro la nostra voglia, ci riempie di gioia e di stupore ogni volta che un altro la rivolge a noi. Se io fossi il pavimento, il marciapiede dove spingo la sedia a rotelle, come sarei contento sentendo te che dici non maledetto marciapiede, bensì il terreno è fatto così, perciò noi dobbiamo fare cosà! Che contentezza ogni volta che qualcuno, anziché considerarci come un ostacolo da rimuovere o come qualcosa da ridurre al proprio disegno, ci riconosce per quello che siamo! Che contentezza ogni volta che ci sentiamo chiamati per nome magari da qualcuno che credevamo non si ricordasse nemmeno di noi. Allora sì, ci sentiamo abbracciati. Al di là dei suoi risvolti politici (tematica del Bene Comune ecc.) Tu sei un bene per me è la formula dell'abbraccio, è la traduzione in parole di un abbraccio. Chissà se si ricorda di me diciamo tra noi, e invece quello ci viene incontro a braccia spalancate e dice il nostro nome. Non pretende di risolvere i nostri problemi, non ci estorce un "tu" di puro dominio, ma accoglie e riconosce che noi siamo qualcosa di originale, qualcosa di bello perché irriducibile a qualunque altra cosa. Chi si comporta così, ci aiuta ad amarci, ad accettarci, a conoscerci. Lo scrittore David Foster Wallace, noto a molti giovani anche qui presenti, e forse anche a qualcuno meno giovane, pone in questa tenerezza verso di sé il compito supremo della vita umana . 3. "Per me" Cerco ora di fare un altro piccolo passo. Nell'Amleto di Shakespeare un attore ospite a Elsinor scoppia in lacrime mentre recita il lamento di Ecuba sulla morte


MEETING 2016

di Priamo. Non regge, è un testo troppo doloroso. E Amleto, che sta ascoltando, rimane basito vedendolo piangere, e si domanda: chi è Ecuba per lui o lui per Ecuba? Ecco. Cosa significa per me? Nella scuola a cui collaboro, la Oliver Twist di Como, è prevista un'ora dal titolo bellissimo: "tutto è per me". Durante quell'ora, i ragazzi e gli insegnanti sono invitati a tener puliti i locali, a riparare ciò che è stato o si è rotto per incuria o distrazione o per agenti esterni, e così via. C'è però un rischio, che è quello di limitare "tutto è per me" a un'idea utilitaristica: un'aula pulita è meglio di un'aula sporca, un tavolo di lavoro ordinato è meglio di un tavolo disordinato, e così via. Se è così, "per me" e "nel mio interesse" restano sinonimi. Invece "tutto è per me", se lo vogliamo tradurre con un'altra frase, è piuttosto si-

nonimo di "niente mi appartiene". Prima abbiamo detto che la realtà obbedisce a leggi che non ho stabilito io, fino all'inimicizia, fino all'odio. Adesso dobbiamo aggiungere che questo essere non-mio è per me. Io aggiusto il banco, pulisco il pavimento perché il banco e il pavimento mi sono dati, così come mi è data la lezione di matematica, così come mi è dato il compagno, così come mi è data - donata - tutta la realtà, compresa la mia stessa vita (non mi soffermo sulle conseguenze anche civili di quello che sto dicendo). Il pavimento da pulire, il banco da riparare sono segni di un certo rapporto con la realtà, che la ragione riconosce per natura, anche se poi deve fare la fatica di superare la pura istintività, che non coincide con la natura. Vi ricordate Gesù? «Quando vedete una nuvola venire su da ponente, voi

dite subito: "Viene la pioggia"; e così avviene. Quando sentite soffiare lo scirocco, dite: "Farà caldo"; e così è. Ipocriti, l'aspetto della terra e del cielo sapete riconoscerlo; come mai non sapete riconoscere questo tempo?» Come dire: riconoscere i segni è naturale, però voi conoscete i segni solo se questo vi reca un tornaconto. Ma io non riparo il banco per poterlo rompere di nuovo, lo riparo perché mi è dato, e se mi è dato non posso riparare il banco e, al tempo stesso, trattare il mio compagno come se fosse un cane: questo è essere ipocriti, non è questione di incoerenza (che ci sta sempre, ci mancherebbe) ma di concezione di sé. Pietro, dopo aver rinnegato Gesù, piange amaramente, mentre Giuda, dopo averlo venduto, si impicca. Non è che un peccato sia più grave dell'altro, è diverso il rapporto con la realtà. Io sono persuaso che anche

Luca Doninelli e Emilia Guarnieri

NOVEMBRE 2016

19


MEETING 2016

Giuda amava Gesù. Il problema è chi è costui? Chi è costui che amo? Posso amare un profeta, un maestro, posso amare un fratello che improvvisamente impazzisce... Tu sei un bene per me. Tutta la civiltà dipende dalla stima che abbiamo, istante dopo istante, di quel "tu". 4. Un posizione drammatica Questo è il senso della civiltà cristiana e laica che abbiamo costruito nei secoli, da Abramo e dalla fondazione della polis greca fino a oggi: una civiltà che non solo ha prodotto Giotto e Leonardo ma che ci fa cedere il posto sull'autobus a una persona anziana o a una donna incinta, che ci induce a non considerare un nemico il prof di nostro figlio solo perché gli ha dato un brutto voto, e così via. Tutto questo comporta però un dramma che non si può evitare. Tra me e te c'è uno spazio drammatico, talvolta tragico, dove la libertà si mette in gioco ogni volta da capo. Tra me e te c'è qualcosa che non sono io e non sei tu, una sorta di Terzo, un'altra cosa nel senso materiale del termine, perché la libertà non si esercita sul nulla, e non è nemmeno un esercizio di possesso (sempre giustificato) sull'altro. E' il punto dove mi premeva arrivare. Il lieto fine, se c'è, non va mai affrettato. C'è uno spazio di silenzio tra me e te, uno spazio dove la solitudine propria di ogni creatura è conservata, a dispetto della retorica che si fa talvolta sul tema della comunicazione: ed è conservata come rapporto con qualcosa che è di più del semplice corpo che ho davanti a me, e che potrei anche negare, dire: non esiste. Anche i social media spesso non sono altro che i testimoni muti della nostra solitudine. Non sono diversi, voglio dire, dal resto della realtà. Allora la questione è: come "tu" diventi davvero un "tu" irriducibile? Questo non va da sé, non è scontato. Una delle esperienze più

20

NOVEMBRE 2016

dure ma anche più illuminanti della mia vita è stata la compagnia che io e altri abbiamo fatto al nostro più caro amico, durante la lunga malattia che lo ha condotto a morire, nel 2011. Nel tempo che passò all'hospice, noi andavamo a trovarlo tutti i giorni e stavamo con lui gran parte della giornata. Si parlava ma non di tutto, e anche le cose di cui parlavamo, o i testi che leggevamo insieme, apparivano nella loro verità: un aiuto, un suggerimento, ma non qualcosa che potesse rispondere davvero al grido silenzioso di quegli occhi. Non perché quelle cose non fossero vere, ma perché la verità esige sempre un salto dell'io (ciò che va da sé è la banalità del male, è il diavolo) e lui si trovava davanti al salto più grande che ci sia - e il salto toccava a lui e soltanto a lui, non a noi o alle parole che leggevamo. In quei momenti era chiaro che la risposta a quel grido silenzioso non stava nelle nostre parole, e nemmeno nelle nostre povere persone, ma in un incontro con qualcuno che non eravamo noi. Il nostro compito era dire di sì a quell'incontro, dire sì insieme con lui, che diceva sì, e l'ha detto fino all'ultimo istante. Tra me e te c'è un silenzio, un silenzio denso e duro, duro da accettare e duro da imparare, ma in questo silenzio c'è la radice del bene: io non sono la risposta alle tue domande, tu non sei la risposta alle mie. Niente ci può bastare, diceva Foster Wallace. Perciò io non posso esercitare un potere su di te, né tu su di me. Questa è la prima cosa che impariamo guardando negli occhi qualcuno che sta per morire. 5. Amate i vostri nemici Ecco perché poco fa parlavo della realtà, del "tu" come qualcosa che può assumere il volto di un nemico. Ci sono espressioni di Gesù che i preti commentano malvolentieri, come Porgi l'altra guancia e Amate i vostri nemici. Quasi nessuno, anche tra i battezzati, crede a queste frasi. La prima

viene trattata come una specie di boutade: in 60 anni di vita l'ho sentita citare solo in frasi come "io non sono mica uno di quelli che porgono l'altra guancia" (come se ne avessero mai visto uno), oppure "ma tu che sei cristiano non dovresti porgere l'altra guancia?" Il destino dell'altra frase è anche peggiore, perché non la si può trattare come una battuta. Amare i nostri nemici? Figuriamoci: dai nemici mi guardi Iddio, ché dagli amici mi guardo io, come dire: "Dio - se proprio vuole - si occupi degli straordinari, che all'ordinario ci penso da solo, senza nessun bisogno di Dio". Chi è il nemico: per riprendere quanto detto, il nemico è uno che segue regole diverse dalle mie, così diverse che può anche volermi morto senza che io sappia nemmeno il perché, così come io posso voler morto lui. Il nemico è la realtà che si ostina a essere diversa, talvolta incompatibile con le idee più belle che ci vengono in testa. Nemico è, certo, chi semina morte nelle nostre città, o nelle sue. Ma nemico è anche chi ti boccia un bellissimo progetto a cui avevi lavorato per settimane solo perché non lo capisce. Nemico è quello che dichiara brutto un mio libro senza nemmeno averlo aperto. Nemico è chi ci sbarra la carriera per favorire un suo amico che sappiamo del tutto incapace. Nemico è, infine, uno di cui noi, a nostra volta, siamo nemici. Il nemico, come la routine, non si può eliminare dalla vita: provateci, non ci riuscirete, o se ci riuscirete vi sentirete alla fine vuoti e sciocchi, oppure sarete troppo cattivi per accorgervi di questo vuoto. Perciò amate i vostri nemici significa secondo me a) "amate la vostra vita anche al cospetto di chi ve la vuole togliere", b) "amate la vita anche dei vostri nemici, amate ciò che in loro è vita", c) "non smettete di amare ciò che di più bello avete ricevuto, difendendolo anche da quella


MEETING 2016

parte di voi stessi che non lo comprende": una richiesta di affrontare una posizione di inimicizia che è innanzitutto nostra. 6. Una bellezza immeritata Il "tu", lo abbiamo detto, è un dramma, dire "tu" è l'esperienza drammatica più elementare che ci sia. Per dire "tu" bisogna vincere qualcosa, abbattere un muro. Anche il nostro amico più caro può assumere il volto del nemico. La questione non si può risolvere, e la ragione è semplice: perché "tu" siamo prima di tutto noi stessi. Noi siamo molto spesso i peggiori nemici di noi stessi, perciò David Foster Wallace dice che bisognerebbe "trattare noi stessi come tratteremmo un buon amico, un amico prezioso. O un nostro bambino che amiamo più della vita stessa". Una volta, nel 1979, io e quello che sarebbe diventato il mio più grande amico (ho avuto almeno quattro più grandi amici) facemmo un viaggio: due settimane a Parigi. Io studiavo in Cattolica, lui in Statale. Ci conoscevamo da poco, ma ci stavamo simpatici. Ma la sera del secondo giorno bum!, scoppia tra noi una lite furiosa come solo due universitari possono fare: parlando di filosofia. Lui col suo esistenzialismo da Università Statale e io col mio neotomismo da Università Cattolica per poco non venimmo alle mani. E il biglietto di ritorno era prenotato di lì a dodici giorni. Dodici giorni d'inferno, penso tra me - cosa che deve aver pensato anche lui. Per due giorni non ci siamo parlati. Ecco che cos'era il nemico per me, in quel momento: non Hitler, non i comunisti o i fascisti, ma il mio amico. Il pensiero che mi aiutò allora è lo stesso di oggi: dovevo combattere la mia inimicizia, sperando che anche lui facesse altrettanto. Io sono il nemico, mi sono detto. Cosa mi aiutò? Una su tutte: il ricordo di quello che avevo ricevuto, del privilegio che mi era stato accordato, o meglio: rega-

lato. Ero a Parigi con un amico, a passare una vacanza inaspettata. Andavo a messa in St. Germain-des-Prés, passeggiavo lungo la senna tra i bouquinistes, salivo le scale verso Montmartre. La bellezza mi sovrastava. Avevo conosciuto una promessa di felicità che mi era stata donata senza che ne avessi alcun merito. Me ne resi conto allora per la prima volta, perché a ventitré anni non era facile pensare che un Altro aveva avuto pietà del mio niente, e che questa e non un'altra era la fonte della gioia. Ero giovane, simpatico, brillante, suonavo la chitarra, non mi consideravo certo un niente, anzi, mi consideravo un "figo". Ma quel giorno qualcosa cambiò. Chi mi aveva donato tutto questo? Gesù Cristo era il suo nome. Gesù Cristo mi aveva insegnato che noi veniamo al mondo per essere felici. Questa era la vita. Una bellezza immeritata. Intendiamoci. E' giusto che ci sia un tempo della spensieratezza, ed è terribilmente ingiusto quando non c'è (rinvio nuovamente alla mostra sui migranti: quanti di loro hanno tredici, quindici, diciotto anni!). Ma chi ha ricevuto un dono deve, prima o poi, chiedersi chi gliel'ha mandato, altrimenti si rimane bambini, mentre l'Italia, l'Europa e il mondo hanno un gran bisogno di persone adulte. Poi vennero gli anni della fatica, poi quelli del dolore, qualcuno di noi si ammalò, ci fu chiesto di distaccarci dalle persone più importanti per la nostra vita, e fu come perdere una mano, o un braccio. Fu come vedere il mio sangue scorrere per finire in un tombino. Mi chiesi più volte se il mio destino non si riducesse a niente. Ci fu più di un addio, non solo di quelli pietosi ma anche di quelli cattivi, violenti. Eppure la coscienza del dono, che ci aveva sorpreso negli anni della felicità e della spensieratezza, non se ne andò più: acquistò anzi una consapevolezza che prima non c'era. C'è sempre stato qualcuno che

ci ha aiutato a non dimenticare, perché un grande dono è anche come un marchio a fuoco: non te lo togli più né dall'anima né dal corpo. Lo puoi rinnegare, certo, ma a costo della più spudorata delle menzogne, e di un dolore come ce lo raccontano le lacrime amare di Pietro dopo il canto del gallo. In altre parole: tu sei un bene per me perché sei gratis, perché sei un dono. 7. Ciò che di più bello abbiamo ricevuto. I cambiamenti, che stanno avvenendo sotto i nostri occhi sotto forma di carneficine spesso incomprensibili e per la spinta di una migrazione umana di proporzioni mai viste in tutta la storia, hanno bisogno di noi, della nostra decisione, hanno bisogno di una posizione culturalmente interessante e assolutamente personale. E' spaventoso che, a fronte di eventi come questi, la nostra risposta alla domanda su cosa sia un uomo - una domanda che nella storia si sono posti tutti , e che adesso quasi nessuno si pone più - risulti incerta e spaventata, e che molte soluzioni considerate all'avanguardia non siano altro che una riedizione soft di principi enunciati già al tempo di Hitler e di Goebbels, vale a dire la distinzione tra l'uomo considerato come "fine" e l'uomo considerato come "mezzo": una cosa orribile, che il mercato globale ha trasformato da orrore in ovvietà, come testimoniano molte pratiche oggi largamente approvate come la fecondazione eterologa o la cosiddetta maternità surrogata, detta anche utero in affitto. (Questo non toglie che un figlio nato in questo modo non possa diventare un santo, e che non possano diventarlo due genitori gay che hanno adottato questa soluzione. Qui si sta parlando del peccato, non del peccatore - se no, chi si salverebbe?) Uno scrittore sa che i principi e le leggi che valgono per le piccole cose varranno anche per le grandi, e viceversa. Lo

NOVEMBRE 2016

21


MEETING 2016

scrittore non cura i particolari dopo aver fatto il disegno generale: parte dai particolari per fare quel disegno, forse perché è nell'imprevedibilità dei particolari, più che nei grandi progetti, che il disegno comincia a svelarsi. Non molti giorni fa un carissimo amico, giornalista ben sistemato, con un ottimo posto di lavoro che gli piace e gli dà soddisfazione, mi annuncia che cambierà completamente vita. Alcuni fatti accaduti, dei quali sono stati causa alcuni suoi articoli, lo hanno indotto a partire per un paese lontano e molto diverso dall'Italia, in una situazione e a svolgere un lavoro che non sa se gli piacerà. Io stavo per dargli del matto quando all'improvviso sono stato colto dallo stupore: quel suo modo di dire "sì" a circostanze imprevedibili era un "sì" alla legge che regola l'universo, alla natura profonda delle cose create, che non è il nostro progetto, la nostra sistemazione, il nostro dirci più o meno soddisfatti. E ho capito che quel modo di fare era il più umano, il più ordinato anche per me, che io dovevo imparare che anche per me è sempre vera, in ogni istante, la ragione per cui il mio amico (e non sapete quanto, da un certo punto di vista, mi dispiaccia) se ne andrà da Milano. Niente è scontato, tutto è dato, questa è la legge, questo è l'ordine, non un sentimento: e a me spetta trarne le conseguenze. Così ho capito meglio qual è la cosa più bella che un uomo possa ricevere in dono: la comunione: non "essere amici", non "andare sempre d'accordo" ma testimoniarci gli uni gli altri, nella fragilità estrema della nostra vita, la presenza di una trama più grande, più profonda, più gratuita delle cose, alla quale ci è richiesto solo di dire di sì. Come diceva il mio amico: in quel lontano paese ha cominciato a esistere qualcosa che né io né nessun altro poteva immaginare, nessuno di noi l'ha prodotto, né poteva produrlo. Il bello di questa posizione è che essa vale

22

NOVEMBRE 2016

in ogni caso, non solo se devo partire per il Burundi o per il Venezuela, ma anche (come nel mio caso) se devo scrivere un romanzo, per decidere quale storia raccontare e come raccontarla. Più imparo una posizione come questa, e meno patisco scandalo da tutto ciò che è diverso, compreso l'orrore che ci ha accompagnato - si può dire quotidianamente - in questi mesi. Se un amico ti testimonia cosa significa aderire a un dono, alla realtà come dono, tu impari a leggere il dono perfino al cospetto del nemico: amate i vostri nemici. 8. Per finire La risposta culturale di fronte a mutamenti come quello che, ci piaccia o no, sta avvenendo - e fonti certe dicono che ci troviamo ancora all'inizio - e che cambierà definitivamente il nostro modo di vivere, e l'aspetto delle nostre città, e le biografie dei nostri figli, deve appoggiarsi (non potrebbe fare altro) al modo in cui io guardo mia moglie, la casa, il compagno di lavoro. Deve recuperare l'idea di uomo sulla quale si è fondata la nostra storia, quando nella polis un uomo ha cominciato a contare non perché figlio o nipote di Tizio o di Caio o perché la pensava in un certo modo ma semplicemente perché era un uomo: tutte le limitazioni delle diverse mentalità nelle quali sono avvenuti questi fatti non hanno potuto cancellarne la portata. La vita, la nostra vita, la mia vita. Abbiamo impiegato secoli, millenni, per costruire una forma di vita buona, e buona per tutti. Alzarsi la mattina, aprire la finestra, prepararsi il caffè, andare al lavoro, incontrare altre facce come la nostra, occhi dentro i quali ci sono speranze, preoccupazioni, stanchezza, affetti, dolori, aspettative, e poi decidere cosa prepareremo per cena, farci una camminata in

un parco, andare a trovare un amico che sta morendo, affrontare un figlio che non vuole più andare a scuola, sentire il rumore dei nostri passi sulla ghiaia, respirare l'aria fredda e limpida di gennaio, partire per una terra lontana e sconosciuta, decidere la disposizione delle piante in salotto, appendere un quadro, visitare una mostra, guardare la partita con qualche amico, accettare in modo umano la notizia che presto moriremo. Potranno portarci via tutte queste cose, ma perché questo accada dovremo averle ancora con noi, non averle già buttate via. Spesso penso al fatto che siamo noi i primi a gettare alle ortiche questa vita buona, in nome di qualcosa che ci pare istintivamente più appagante, mentre stiamo solo rifiutando la fatica e la responsabilità che una vita buona comporta. Certo, come dice Eliot, il sangue scorrerà nuovamente sui gradini del Tempio, ma perché questo accada bisogna prima costruire il Tempio. La faccia del nostro mondo è destinata a cambiare profondamente. Ma chiunque venga al nostro posto, dovremmo potergli dire: chi ci ha preceduto ha lavorato secoli e secoli per farmi comprendere che il valore della tua vita non è nelle mie mani, perché nemmeno il mio è nelle mie mani. Anche se adesso mi uccidi, non lo dimenticare. Tutto è gratis, ognuno di noi è un dono: per questo tu sei un bene per me. Spero che anche tu un giorno lo possa ripetere, o se non tu almeno i tuoi figli, o i figli dei tuoi figli.


MEETING 2016

Meeting: due presidenti, un bene comune Di Giorgio Vittadini

N

on c’è niente da fare: nemmeno una situazione sociale ed economica, nazionale e globale, così critica, riesce a convincere i nostri politici a deporre le armi e ad affrontare con serietà gli interessi della “cosa pubblica”. Come se la politica non potesse vivere che della neutralizzazione dell’avversario. L’alternativa non è, come pensano in molti, l’inciucio, ma cose in fondo semplicissime come la responsabilità e interesse per il bene comune. Quello che hanno richiamato i due ultimi Presidenti della Repubblica quando sono stati invitati al Meeting di Rimini: Napolitano nel 2011 e Mattarella quest’anno. All’inizio del 2011, dopo vent’anni di teatrino dei demiurghi di destra e di sinistra che avevano diviso il Paese senza risolvere alcuno dei suoi problemi, si assistette a un dialogo originale e inaspettato tra Benedetto XVII e Napolitano. Il papa, in forte discontinuità con quella visione negativa dell’unità d’Italia che risaliva addirittura al “Non éxpedit” di Pio IX, rivendicò il contributo positivo di molti cattolici al processo risorgimentale. Anche il capo dello Stato di pose in rottura con il pensiero dominante laicista che vede i cattolici come nemici del processo di unificazione, e accettò questo tipo di lettura storica. In questo contesto il Meeting organizzò una mostra sui 150 anni di sussidia-

NOVEMBRE 2016

23


MEETING 2016

Il Presidente Giorgio Napolitano durante il suo intervento al Meeting 2011 rietà per sottolineare come l’Italia fosse stata costruita soprattutto dal basso, dal lavoro e dall’iniziativa di tante persone di diverse identità (cattolica, comunista, liberale, socialista) che misero da parte ciò che li divideva e collaborarono insieme alla costituzione del Paese. Fu in questo contesto ce don Sturzo superò il “Non éxpedit”, cominciando dalle am-

24

NOVEMBRE 2016

ministrative di Caltagirone del 1902, per poi fondare il Partito popolare e quindi collaborando alla guida della nazione nel governo Giolitti. A tutto questo si richiamò Napolitano nel suo discorso al Meeting, affermando che, nella sua storia, l’Italia unita aveva superato gravissimi problemi, non solo grazie all’impegno delle istituzioni, ma anche a

quello delle singole persone, delle comunità locali, dei corpi intermedi, secondo quella logica di sussidiarietà documentata quest’anno al Meeting in occasione dei 70 anni della Repubblica. Parlando dell’attualità di quei giorni, Napolitano aggiunse: “è possibile, mi si chiede, che si riproduca quella grande tensione, quello stesso impegno verso il bene comune? La


MEETING 2016

mia risposta è che può la forza delle cose, può la drammaticità delle sfide del nostro tempo, rappresentare la molla che spinga verso un grande sforzo collettivo come quello da cui scaturì la ricostruzione democratica, politica, morale e materiale del nostro Paese dopo la Liberazione dal nazifascismo”. L’ex capo dello Stato diede una grande importanza a questo suo appello al punto tale da citarlo nel discorso fatto al Parlamento in occasione dell’insediamento per il suo secondo mandato: “Parlando di Rimini – disse in quella occasione – a una grande assemblea di giovani nell’agosto del 2011 volli rendere esplicito il filo ispiratore delle celebrazioni del 150esimo della nascita del nostro Stato unitario: l’impegno a trasmettere piena coscienza di quel che l’Italia e gli italiani hanno mostrato di essere in periodi

cruciali del loro passato, e delle grandi riserve di risorse umane e morali, d’intelligenza e di loro di cui disponiamo”. Cinque anni dopo purtroppo poco è cambiato. Le forse politiche si denigrano a vicenda e usano tutto, persino la Carta Costituzionale, per delegittimare l’avversario, elargendo in abbondanza l’illusione che facendolo fuori e aumentando il proprio potere i problemi dell’Italia saranno risolti. Al Meeting di quest’anno, nella mostra e negli incontri sui 70 anni della Repubblica, è più volte emerso come un continuo compromesso virtuoso per il bene comune abbia permesso a forse culturali e politiche spesso contrapposte di superare problemi gravi come quelli del dopoguerra. Il presidente Sergio Mattarella ha ricordato, in continuità con Napolitano, che “nessuno può seriamente pensare

di farcela da solo. Allargare le divisioni ci rende più deboli (…). Gli inevitabili contrasti che animano la dialettica democratica non devono farci dimenticare che i momenti di unità sono decisivi nella vita di una nazione. E che talvolta sono ance doverosi. E’ un grande merito saperli riconoscere (…). Un paese che non sa trovare occasioni di unità, diventa più debole”. E’ un appello a un impegno comune che non ha solo un valore morale, ma politico: lo scopo della democrazia non è quello di un gioco di gladiatori dove uno vince e l’altro soccombe. Implica invece l’individuazione di scopo comunica verso cui tutti dovrebbero convergere e richiede la stima dell’avversario con cui collaborare, soprattutto da parte di chi si professa cattolico. Da questo punto di vista proprio per i cattolici sembra oggi riproporsi quell’alternativa di metodo che già si è verificata in altri momenti della storia italiana: la celta tra il “Non éxpedit”, rovinosa per l’Italia e per la Chiesa, da una parte, e l’opera dei congressi e il Partito popolare di Sturzo, dall’altra; la dedizione disinteressata e intelligente di De Gasperi o la lettura trionfalistica ed egemonica della vittoria del ’48, accompagnata dall’idolatria per lo Stato e una occupazione clientelare dello stesso. Vediamo ripetersi questa divisione tra chi spera fideisticamente in uno degli schieramenti partitici disprezzando gli altri e chi, più realisticamente, qualunque sia la sua opzione politica, vuole costruire corpi intermedi che educhino all’ideale e collaborino con tutti per il bene comune, dialogando con la politica a partire da questi tentativi. Sembra più ingenuo, ma è l’unico modo per non essere schivi di qualche potere e liberi di dare il proprio contributo alla storia. Da ilsussidiario.net

Il Presidente Sergio Mattarella

NOVEMBRE 2016

25


MEETING 2016

American Dream. In viaggio con i Santi americani

Georgia, Paese di oro e di fede. La forza dell' identitĂ cristiana

L' abbraccio misericordioso. Una sorgente di perdono

L incontro con l'altro genio della Repubblica 1946-2016

26

NOVEMBRE 2016


MEETING 2016

Madre Teresa. Vita, spiritualitĂ e messaggio

Migranti, la sfida dell'incontro

Restaurare il Cielo

NOVEMBRE 2016

27


MEETING 2016

Dall'amore nessuno fugge. L'esperienza delle APAC in Brasile

La carità costruisce per sempre. Friuli 1976-2016.

La casa e la cura: ti ho incontrato per sempre

La più bella delle avventure. Vita e spiritualità di padre Augusto Gianola

La Rivista Milano Studenti 1958 -1963

28

NOVEMBRE 2016


MEETING 2016

La Vita per l'opera di un Altro

La vostra resistenza è martirio, rugiada che feconda

Leonardo Da Vinci. L arte dell' invenzione tra ordine e bellezza

Tessere la Tua lode. Le opere lignee di fra Giovanni da Verona in Santa Maria in Organo

You'll never walk alone. Non camminerai mai da solo

NOVEMBRE 2016

29


MEETING 2016

Il frutto migliore L’espressione artistica come esito di un incontro. Così Otello Cenci, responsabile degli Spettacoli del Meeting, racconta l’esperienza del #meeting16: un lavoro che è prima di tutto un conoscere e un coinvolgersi, alla scoperta di quella bellezza capace di creare veri capolavori. di Walter Gatti

"V

oi venite per applaudirci ed invece noi attori - se abbiamo un minimo di autenticità - veniamo per confrontarci con le vostre provocazioni": l'ha detto Gioele Dix, grande attore milanese, al Meeting di Rimini, in un tardo pomeriggio afoso prima di salire in scena per interpretare “Diversi come due gocce d'acqua”, storia di un'amicizia che interroga anche l'eternità, ben oltre la presenza fisica e la vita. Così un attore – non un filosofo, non un teologo o un politico - ha descritto meglio di chiunque altro la miscela che si crea sul “palco del Meeting”, insolita e feconda location artistica dove non si assiste solo a messe in scena, a grandi e belle produzioni, ad esecuzioni ed interpretazioni emozionanti, ma dove “nascono” per la prima volta eventi inediti. Cogliendo il segreto del Meeting Gioele Dix, implicitamente, ha parlato di una “relazione”. Ed in effetti è difficile cercare di parlare di quel che accade in Fiera a Rimini se non in termini di “relazione e rapporto”. Pietà e amicizia, destino e domanda, cuore e tradizione, diversità e unità: il tentativo (improbo) di riassumere la proposta artistica del Meeting 2016, va a finire – appunto - nel gioco delle relazioni tra valori, tra esperienze, tra sto-

30

NOVEMBRE 2016

Lo Spettacolo “Thomas More. L’opera ritrovata di William Shakespeare”


MEETING 2016

rie. Non si può cioè esprimere quello che è stato visto sul palco in una sola parola, bisogna per forza ricorrere alla tensione che si esprime tra due differenti sostantivi, tra due diversi punti della narrazione,

tra due differenti protagonisti del racconto. Mai come nel Meeting 2016, quello che aveva per tema Tu sei un bene per me questo è apparso vero, autentico, rappresentato. “Probabilmente quest'anno il nostro programma artistico ha dimostrato ancora più del solito come il linguaggio della bellezza espressa attraverso le varie forme d'arte sia universale ed utile ad approfondire e raccontare proprio il tema che è stato lanciato” dice Otello Cenci, da anni responsabile del cartellone degli spettacoli alla manifestazione riminese, regista e produttore a cui abbiamo chiesto di provare a decodificare la proposta artistica e di spettacolo del Meeting. “Attraverso gli spettacoli abbiamo affrontato il tema del 'Tu' e dell' 'Altro' sotto diversi aspetti e ne abbiamo ricavato contributi molteplici del interessanti, suggestioni nuove e contemporanee, arrivate dai tanti artisti che hanno non sono partecipato, ma anche collaborato alla realizzazione del Meeting stesso”. Nel eredità artistica del Meeting, l'edizione 2016 iscrive in archivio nove spettacoli serali, sei concerti, alcune presentazioni di film (da “Full of Grace” a “Ida”) e presentazioni di cd musicali, oltre a vari appuntamenti dell'“Aperitivo con...”, felice formula di chiacchierata tra il pubblico e gli ospiti presenti al Meeting. Ovunque è emerso un fil rouge indissolubile tra il tema del Meeting e i titoli proposti al pubblico: nel concerto inaugurale, “Un solo canto”, Tosca, Ta-

nia Kassis e Mirna Kassis hanno riletto in modo commovente la ricchezza dell'unione delle culture artistiche del Mediterraneo; nel “Thomas More”, Shakespeare e i suoi compagni d'arte hanno dialogato su potere e ideale, rifugiati ed accoglienza interrogando la propria coscienza e la loro società, mentre nel “Perché non parli” di Paolo Cevoli è dalla reciproca provocazione tra Michelangelo e il suo servo imbranato che prendono vita i capolavori della Cappella Sistina; allo stesso modo nella “La notte dell'Innominato” Franco Branciaroli ha riproposto i capitoli dei Promessi Sposi nei quali la sfida tra l'indifesa Lucia e il signorotto senza scrupoli terminava con la vittoria della misericordia, mentre il “Tango”, forma poetica di ballo, è stato presentato da Carlotta Santandrea come una forma poetica di relazione in musica. Gli artisti - in tutto questo dispiegarsi di parole, musiche, emozioni, gesti, scenografie, ritmi - non solo partecipano, dice Cenci, ma “anche collaborano”. Cosa significa esattamente? Possiamo provare a declinare questa collaborazione? “Nello svolgersi degli anni e nella maturazione delle nostre proposte, ci è apparso chiaro che la differenziazione a cui puntiamo è il cuore della nostra proposta” è la risposta di Otello Cenci, “Edizione dopo edizione abbiamo scelto di non appaltare le serate e di non 'comperare' prodotti già definiti e chiusi, ma di creare proget-

NOVEMBRE 2016

31


MEETING 2016

ti totalmente nuovi insieme agli artisti, lasciandoci tutti provocare dal tema del Meeting. E' così che sono nate nuove produzioni frutto del lavoro comune con artisti che durante l'anno accettano di collaborare e lasciarsi provocare dagli argomenti che vengono lanciati dal Meeting. In questo senso è stato bellissimo vedere il coinvolgimento in questi anni di artisti come Ennio Morricone e Gioele Dix, Tosca e Gigio Alberti, Sandro Preziosi e Giancarlo Giannini, solo per dirne alcuni. Musicisti, attori, registi che si sono resi disponibili a confrontarsi con il tema per svolgerne in modo singolare e personale contenuti e sfumature”. Un'ultima cosa, Otello: quale è l'aspetto più complesso, la sfida maggiore per chi deve assemblare il cartellone-spettacoli del Meeting di Rimini? La risposta di

Mirna Kassis, Tosca e Tania Kassis

32

NOVEMBRE 2016

Gioele Dix durante lo spettacolo “Diversi come due gocce d’acqua” Cenci è immediata: “Direi che è proprio portare in Fiera produzioni non scontate che nascano dal tema del Meeting. La creazione del programma è un processo che si sviluppa in modo strutturato e direi.... quasi avviluppato come un'edera con il tema lanciato per ogni edizione.

Il percorso più faticoso è non accontentarsi di prodotti già esistenti, per quanto belli. Il frutto finale è una composizione di professionalità e sensibilità che stanno dentro ad un progetto complessivo più grande. Ma è anche il frutto migliore”.


CONTINUA L’IMPEGNO PER LA COSTRUZIONE DEL BENE COMUNE

MEETING 2016

1

2

MEETING RIMINI 2016, incontri e mostra Costruire insieme. Numeri e storie del legno arredo

RINNOVO DEI BONUS • 50% Bonus Giovani Coppie • 50% Bonus ristrutturazioni edilizie e Bonus mobili • 65% Bonus energetico

3

POLO FORMATIVO LEGNO ARREDO Un’opportunità concreta per il futuro dei giovani

poloformativo-legnoarredo.it

NOVEMBRE 2016

33


MEETING 2016

Il meglio dalla rete: #meeting16

34

NOVEMBRE 2016


MEETING 2016

NOVEMBRE 2016

35


MEETING 2016

Viaggio negli Stati Uniti Diario di bordo |9-18 novembre 2017 Rimini|Bologna|Monaco|Chicago|South Bend|Notre Dame University |Chicago|Washington DC|New York City|Washington Dc|Monaco|Bologna|Rimini

S

ono necessarie circa 20 ore di viaggio per arrivare da Rimini a South Bend, in Indiana, Stati Uniti, sede dell’Università di Notre Dame, dove si è tenuta la 17a edizione della Fall Conference del Center For Ethics and Culture (CEC), diretto dal prof. Orlando Carter Snead. Atterrati in un America ancora incredula, a poche ore dal risultato delle recenti elezioni, abbiamo partecipato per la terza volta alla Conferenza d’Autunno; il Meeting anche in virtù di questa reciproca collaborazione, nel 2015 e nel 2016 ha sottoscritto un Memorandum of Understanding e una partnership con il CEC.

36

NOVEMBRE 2016

#YouAreBeauty: questo era il titolo dell’evento della durata di tre giorni (da giovedì a sabato) con un programma molto nutrito (cfr: http://ow.ly/NYUI30614yW). Abbiamo ritrovato vecchi e nuovi amici: compagni di strada e personalità autorevoli che in questi anni hanno costruito il Meeting con noi. Insieme a Carter Snead e a tutto il suo staff ( il condirettore Ryan Madison, I collaboratori Laura Nash, Margareth Cabaniss, Elizabeth Kuhn, Aly Cox, etc.) abbiamo ritrovato Etsuro Sotoo (l’immagine dell’interno della Sagrada Famiglia è stata scelta come manifesto ufficiale delle conferenza) che ha aperto i lavori con la lezione introduttiva, e ancora John

Waters, il filosofo Roger Scruton, Mary Ann Glendon che ha tenuto una brillante e avvincente key note lecture conclusiva, e tanti altri (oltre 100 i relatori). Insieme a loro tanti altri protagonisti del Meeting di questi anni: Wael Farouq, che ha moderato uno degli incontri in programma, o Lorenza Violini che qui a Notre Dame è di casa ormai da tempo, o ancora Caterina giovane studentessa universitaria di economia, che in questi anni ha lavorato come hostess tra i volontari del Meeting. Insomma una tre giorni insolita, ma con uno spirito per certi versi simile a quello che si avverte al Meeting di Rimini. Una convivenza basata certamente sulle lezioni di insigni accademici (come non ricordare il celeberrimo filosofo Alasdair McIntyre), o di storici dell’arte come Elizabeth Lev o o di un producer come Steve Mc Eveety ( “Braveheart “e a “The Passion f of The Christ”), ma anche ed innanzitutto di momenti conviviali, pranzoi, cene, dialoghi liberi a margine degli incontri. #YouAreBeauty non è solo uno slogan o un titolo per la migliore delle dissertazioni possibili: è piuttosto un invito ad una esperienza da scoprire: che inizia guardando la realtà di fronte a se, ercando di coglierne il valore. [a testimonianza di questo riprendere i tweet -copia e incolla dell’immagine del tweet- fatti con account twitter @Meetingrimini e quelli di @marcoaluigi]


MEETING 2016

Via da Notre Dame è il momento della visita alla città di Chicago, in compagnia di Wael Farouq (quanto sono più interessanti, belle e memorabili le cose viste insieme): Chicago e la sua storia sono d´aiuto per un primo approccio al titolo del #meetnig17 “Quello che tu eriditi dai tuoi padri,riguadagnatelo,per possederlo”. Chicago è infatti stata devastata più volte da incendi di proporzioni catastrofiche (cercare riferimenti storici) e ogni volta ha sfruttato questi eventi drammatici per riappropriarsi di un’eredità, di un’orgoglio e di una identità che nemmeno il fuoco poteva bruciare. Non si tratta appena di un eccezionale e irripetibile sforzo di volontà per fare fronte alla situazione, ma piuttosto la coscienza che insieme si può tornare a possedere il proprio tesoro riguadagnandolo in un impegno concreto e molto reale –in questo caso ricostruire ma anche costruire ex-novo una città come nessun altro aveva fatto prima – che ha ridato nuova linfa alla città e ne ha fatto una delle meraviglie architettoniche della post-modernità. Arriviamo poi a Washington DC, la capitale degli Stati Uniti d’America, già alle prese con i lavori per l’inauguration day del 20 gennaio prossimo che vedrà il cambio della guardia di @potus (President of the United States) da Barack Obama a Donald Trump. Forse l’antico motto “occorre che tutto cambi perché nulla cambi” sembra non reggere, non questa volta. In un paese profondamente diviso, ma al tempo stesso vivo e vegeto sopratutto nell’aver esplicitato con il voto il proprio parere, e il proprio malcontento, abbiamo avuto numerosi e interessanti momenti di incontro, dialogo e riflessione.A partire da Victoria Alvarado, già Deputy Ambassador degli Stati Uniti presso la Santa Sede e ora Senior Advisor del Dipartimento sulla Libertà Religiosa, Sezione della Segreteria di Stato USA. Un dialogo interessante, prospettive, temi

da sviluppare, conferme di un lavoro he ci aspetta, avvincente, tutto da intraprendere per il 2017, con il tema della libertà religiosa al centro dell’agenda.. E poi l’appuntamento con l’Ambasciatore italiano a Washington, Armando Varricchio, che ci ha ricevuto ufficialmente e con attenzione e interesse ha dialogato con noi evidenziando temi e punti da sviluppare, anche alla luce dell’insediamento della nuova amministrazione. E poi ancora Brian Grim, Presidente della Foundation per ...., un’altro compagno di strada che con il suo entusiasmo, la sua competenza, indatindelle sue ricerche, la sua inesauribile rete di contatti e relazioni, ha rinnovato il suo interesse e il suo desiderio di continuare a costruire il Meeting insieme a noi. Alcuni progetti sono ..top secrets ne conosceremo gli sviluppi nei prossimi mesi. E poi un viaggio - andata e ritorno, in giornatanella grande mela: non perché una visita alla città che non dorme mai è obbligatoria, no, ma per confrontarci con il nostro amico Prof. Joseph Weiler che ha terminato il suo incarico in Italia come Presidente dell’Istituto Europeo di Fiesole, ed è tornato ad insegnare alla School of Law di New York, facendo la spola tra Singapore e la grande mela. E con noi Wael Farouq: e così si riforma davanti ai miei occhi -quasi by fate direbbero gli americani- quella coppia un po' strana a cui nel 2011 chiedemmo di presentare il Meeting alle Nazioni Unite, in qualità di testimoni. Un ebreo e un musulmano che incarnano con le loro persone e la loro testimonianza l’idea non solo del dialogo possibile ma di quello e necessario, e dunque reale. E sembra di tornare anche al Meeting Cairo nel 2010. La storia la si fa insieme e la differenza la fanno i volti con cui, sempre insieme, si cammina. Un po' così, quasi come nelle storielle, un ebreo, un musulmano e un cristiano. Tre amici. Insieme. Un brain storming lungo,

pieno di spunti per il 2017, ma anche per il presente, perché senza l’eredità, senza la storia, il presente non esisterebbe e men che meno il futuro. Ci salutiamo sapendo che inizieremo subito a lavorare sulla base di quanto emerso nel nostro incontro. E poi, salutato Wael, torniamo a Washington DC. Qui incontriamo Mark Danner che lavora sui temi del dialogo Interreligioso e in particolare si sta interessando dell’islam sciita. Ci porta a conoscere il prof. Abbas Khaddim, iracheno, in esilio forzato, con metà famiglia dispersa in seguito alla guerra di questi ultimi 25 anni, presidente del Centro per gli Studi sciiti. Un dialogo di quasi due ore e mezzo, intenso, a tratti drammatico, quando Abbas parla del suo popolo, della sua famiglia, e del tentativo di ricostruire e aiutare il dialogo interreligioso anche per chi, come lui, ha perso affetti e il proprio paese. E per finire - senza menzionare tanti altri appuntamenti per motivi di spazio - incontriamo il Giornalista Greg Erlandson, a capo dell’informazione della conferenza episcopale americana (verificare qualifica non sono sicuro). Un altro punto di vista interessante per noi, per capire quello che sta succedendo, un altro amico che, abbiamo ritrovato sul nostro cammino. Ma dopo 10 giorni è ora di tornare: “verso l’infinito e oltre” diceva Buzz Slightyear ( controllare nome) in Toy Story, il primo rivoluzionario film di animazione della Pixar. Ecco noi proviamo ad andare lí, verso l’infinito e oltre: ci accompagnerete? Sarete dei nostri? Vi aspettiamo! Verso #meeting17 Marco Aluigi

NOVEMBRE 2016

37


SPETTACOLI 2016

AGOSTO 2016

38


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.