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Testori, l’amico imprevisto

Un gruppo di universitari di Cl, un telefono a gettoni e il primo contatto nel 1978. «Mi avete abbracciato senza chiedermi niente di tutti i miei errori, delle mie stramberie, di tutta la mia disperazione» di Paolo Costa

«Mi avete abbracciato senza chiedermi niente di tutti i miei errori, di tutte le mie colpe, di tutte le mie stramberie, di tutta la mia disperazione». Così Giovanni Testori al popolo del Meeting, dopo dieci anni di presenza come relatore, autore e regista. È la perfetta sintesi della storia di un’amicizia intensa e appassionata, cominciata da un telefono a gettoni nel marzo del 1978.

«A me Cl non mi ha mica preso per delle teorie di teologia» ricordava Testori a Rimini nel 1989, la voce fessa, l’emozione di chi sta aprendo il cuore «mi hanno preso quando sono venuti a trovarmi tre, quattro, per la tenerezza, l’amicizia, per qualcosa in più di umano che oggi invece la società ha buttato via per inseguire la mitologia di uno stramorto progressismo».

Avevano rapito Moro e lui sulla prima pagina del Corriere aveva rotto la cappa di cinismo e indifferenza montata dall’intellighenzia, andando al nocciolo vero della questione: «Perché s’è avuto e si ha ancora il timore di dire che il Dio rifiutato è un vuoto che nessuna demagogia del benessere e dell’eguaglianza, o d’ambedue assieme, può colmare; e che quel vuoto, a riempirlo, sarà solo il cupo inferno della materia impazzita e della sua impazzita cecità e solitudine?... Senonché la luce, di cui, oggi, l’uomo ha bisogno non è primariamente di natura politica e sociale; è una luce che anche queste comprende e che, anzi, ne precisa e illumina i valori reali e supremi, ma reali e supremi proprio perché riconosciuti relativi rispetto al suo proprio e primo Supremo». Il testo affascinò un gruppetto di studenti dell’Università Cattolica: uno di loro prese coraggio e lo lesse in Assemblea generale. Poi insieme decisero di chiedere a Testori un incontro e ci fu chi si recò – gettone alla mano – in una cabina telefonica. Le immagini di quei giorni

Giussani: sono ancora nitide: «Bussammo alla sua porta in via Brera» e lui dimostrò subito una «incredibile disponibilità a mettere in comune la sua vita con noi, con noi giovani che venivamo da un’esperienza così opposta e lontana dalla sua». Immediatamente sboccia un’amicizia che investe tempo e interessi, si dipana attraverso persone e luoghi, si muove sulla strada della concretezza, così come deve essere ogni amicizia autentica. Poco tempo dopo ecco l’incontro con don Giussani e la partecipazione a momenti della vita del movimento. Si moltiplicano anche le serate pubbliche nelle città e Testori, raccontando di sé, ama citare questa frase del Gius: «La giornata ci è data perché la verità di Cristo nasca dalla carne, sia vista da noi e dagli altri nella nostra carne, cioè nei rapporti che viviamo con noi stessi, con gli altri e con le cose». Un ulteriore tratto di questa amicizia è la fecondità: un colloquio col fondatore di Cl diventa “Il senso della nascita”, primo titolo della collana “I Libri della Speranza”, e fioriscono le nuove produzioni teatrali. Lo scrittore viene inoltre coinvolto nell’avventura del settimanale “Il Sabato” e partecipa al Meeting dalla prima edizione. Una presenza continuata fino a oggi: nei tre convegni e nello spettacolo a lui dedicati quest’anno continuerà infatti a parlarci, a cento anni dalla nascita e a trenta dalla morte, confermandoci il lascito di un’amicizia generatrice di letizia e di speranza. «Era appassionato alla vita, una passione che suscitava, specialmente nei giovani, una volontà di fare, una volontà di impegno, una volontà creativa» ha scritto Giussani ricordando l’amico.

«Sei stato – disse poi nell’omelia del funerale – padre di quei giovani, che nella sperdutezza hanno ritrovato un punto di riferimento, come tu hai trovato un punto di riferimento in loro, un punto di speranza in loro… li hai aiutati a conoscere di più e ad amare e a lavorare per Cristo».

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