Quotidiano Meeting mercoledì 22 agosto 2012

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ANNO 22 tro Numero Quat Mercoledì

MEETING

PRIMO PIANO EUROPA: UNA, NESSUNA, CENTOMILA Partecipano: Mario Mauro, capo delegazione Pdl al Parlamento europeo; Luís Miguel Poiares Maduro, European University Institute; Antonio Tajani, vicepresidente Commissione Europea. Introduce Marco Bardazzi, La Stampa. Auditorium B7 EVOLUZIONE BIOLOGICA E NATURA DELL’ESSERE UMANO Partecipano: William E. Carroll, University of Oxford; Ian Tattersall, American Museum of Natural History in New York City. Introduce Marco Bersanelli, docente di Astrofisica. Sala A3

11.15

O N A I D I T O U Q

22

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2012 Il miracolo dell’Albania p.7

«Dal Meeting voglio l’Infinito»

“CHE COS’È L’UOMO PERCHÉ TE NE RICORDI?”. GENETICA E NATURA UMANA NELLO SGUARDO DI JÉRÔME LEJEUNE Partecipano: Birthe Bringsted Lejeune, vicepresidente della Fondazione Jérôme Lejeune; Carlo Soave, Università degli Studi di Milano Sala A3 ALBANIA, ATHLETA CHRISTI. ALLE RADICI DELLA LIBERTÀ DI UN POPOLO Partecipano: Teodor Nasi, Ardian Ndreca, Agron Tufa. Introduce Giorgio Paolucci, Avvenire. Sala C1 Siemens

15.00

19.00

AGOSTO

Lejeune, il “papà” dei Down p.5

PRIMO PIANO

Battere Lucifero in Fiera p.14 Don Julián Carrón, in visita alla Fiera, mentre saluta il monaco buddhista Habukawa

Intervista con Julián Carrón: «Viviamo il tema di quest’anno non come slogan, ma come autocoscienza: è la cosa più concreta che ci sia» A pagina 3

Un racconto nuovo che cambia la vita UBALDO CASOTTO ra tocca a noi, a ciascuno di noi, all’uomo comune, allo scienziato, al filosofo e al teologo meravigliarsi di fronte all’enigma che siamo». Prima di dire che questa meraviglia trova la sua più alta espressione intellettuale e affettiva nella mendicanza – «Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante il cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo» (don Luigi Giussani in piazza San Pietro il 30 maggio 1998) – Javier Prades ha spiegato in sessanta

O

tesi, densi e lucidi minuti perché la natura dell’uomo è rapporto con l’infinito. Se non avesse quel nome e quel fisico da ciclista scalatore dei Pirenei - ha infatti paragonato il suo intervento a un tappone del Tour de France con arrivo in salita (non credo volesse riferirsi alle Alpi, ma nella sua generosità intellettuale potrebbe anche darsi) - ascoltandolo a occhi chiusi ti chiederesti da quale regione italiana provenga, senza riuscire a stabilirlo, tanto è perfetta la sua pronuncia nella nostra lingua. Il rettore dell’Università Teologica San Damaso di Madrid, già dottore in giurisprudenza oltre che in teologia, e componente della Commissione teologica internazionale, era visibilmente teso mentre saliva sul palco. E durante il suo parlare, che ha subito fugato ogni titubanza, s’è capito perché. Don Prades ha deciso di misurarsi con la domanda più inelu-

dibile e più tentativamente elusa dalla cultura e dal potere contemporanei: che cosa è mai l’uomo perché se ne debba avere cura? Cosa vuol dire che l’uomo è rapporto con l’infinito – come recita il titolo del Meeting -, come l’avvenimento cristiano cambia questo rapporto, e, soprattutto, la narrazione cristiana è un lecito convincimento personale e in quanto tale privato o a che fare con la verità, cioè con la natura dell’uomo. Su questo terzo punto Prades ha reso coscienti i dodicimila che lo ascoltavano del livello di confronto con la mentalità e la cultura oggi dominanti. Una cultura nella quale non mancano gli esempi di apertura all’infinito, nel giornalismo, nella musica, nell’arte – illuminante l’affermazione del grande scultore Eduardo Chillida: «L’orizzonte è irraggiungibile, nessuno può negarlo […]. Se tu avanzi lui si sposta […]. Forse l’orizzonte è la patria comune di tutti gli uomi-

ni»; commovente quella dello scrittore Ernesto Sàbato: «Il bisogno di assoluto attraversa come un alveo la mia vita, come una nostalgia di qualcosa cui mai sono arrivato […] la nostalgia è per me uno struggimento mai soddisfatto […] che qualsiasi essere umano porta in sé e con la quale confrontiamo tutta la vita». Queste espressioni sono le tracce di quella che don Giussani ha chiamato l’“esperienza elementare”: «Un complesso di esigenze ed evidenze originali con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste». Ora, mentre l’uomo moderno, che vive senza freni a ogni suo desiderio, sembra incapace di fare esperienza e di trasmetterla, non abbiamo insomma nulla da dirci, al cristiano è successo un incontro ed è testimone di un fatto (la resurrezione di Cristo) che dà origine al racconto di una storia che cambia la vita. segue a pagina 2


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22 agosto

LA LEZIONE Javier Prades è laureato in Giurisprudenza e dottore in Teologia. Professore di Teologia Dogmatica della facoltà di Teologia San Dámaso (Madrid), ieri ha tenuto una lezione di poco più di un’ora sul tema del Meeting: “La natura dell’uomo è rapporto con l’Infinito”

Fatti e parole che fanno viva la vita

segue dalla prima pagina Con apparente naturalezza, ma con assoluto acume, Prades ha fatto notare che il vangelo è «pieno di persone molto diverse fra loro che incontrano Gesù e corrono a raccontarlo alle loro famiglie, agli amici e ai vicini». Un’inarrestabile volontà di comunicazione di fronte all’afasia contemporanea. Un incontro che muta la modalità del rapporto con l’infinito. Per spiegarlo Prades è ricorso alla «drammatica sensibilità di don Giussani», che davanti a Giovanni Paolo II, nel già citato intervento del 1998, ne e ossa. Il contenuto del punto di fuga è diha testimoniato «l’immediatezza certa» con ventato esperienza dell’uomo». C’è un canto cui ha aderito alla domanda con cui Cristo ri- spagnolo, “La Sevillana del adios”, che parla spondeva all’interrogativo del salmo: «Che di una barca che si fa sempre più piccola alcosa è l’uomo perché te ne ricordi?». «C’è l’orizzonte: don Giussani la commentava alstato un solo uomo al mondo che mi poteva l’incontrario, per spiegare la novità del cririspondere, ponendo una nuova domanda: stianesimo, un punto che spunta dall’oriz“Quale vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà zonte irraggiungibile e si fa sempre più visiil mondo intero e poi perbile e vicino sino alla fisiderà se stesso?” […] Nescità di un uomo che scende sun uomo può sentire se dalla barca, e «l’uomo che stesso affermato con diaspetta abbraccia l’uomo Gesù risorto gnità di valore assoluto, al che arriva dall’altrimenti eè il primo di là di ogni sua riuscita». nigmatico e prima ignoto Il rapporto con questo orizzonte». Tutto, in questo e fondamentale uomo che mi parla così, rapporto diventa nuovo, avvenimento in cui cioè acquista la sua vera con Cristo, permette un’esperienza singolare del rapnatura. L’alternativa? La il punto di fuga porto con l’infinito. Non confusione del «nulla prequindi una filosofia o una è diventato esperienza sente». nuova gnosi – ha detto PraInvece il cristianesimo, dell’uomo des – ma «fatti e parole» spiega Prades, può docuche portano «a un cambiamentare le conseguenze mento radicale di quell’edell’esperienza dell’inconsperienza dell’orizzonte irraggiungibile, pa- tro con Cristo: una diversità umana che attitria comune di tutti gli uomini». A questo ra, un’autocoscienza dell’uomo che arriva sipunto il teologo madrileno ha sollevato gli no a concepire la vita come offerta di sé, una occhi dagli appunti: «Quello che sto per leg- compagnia umana o un “popolo nuovo” che gere è la cosa che più mi sta a cuore di dir- è la grande opera di Dio nel mondo, l’espevi», e ha voluto dirla con altre parole di don rienza dell’Infinito come misericordia, come Giussani: «Cristo risorto è il primo e fonda- perdono anche di fronte al nostro ridursi a mentale avvenimento in cui il punto di fuga è volte «come cani che fanno la pipì vicino aldiventato esperienza dell’uomo […] Sicco- le piante». me in una realtà il punto di fuga è l’indice di «Ma la storia del cristianesimo è una stoun oltre, di quel che sta oltre, questo oltre è ria universale?» riguarda cioè la natura deldiventato carne e ossa, perciò Cristo risorto è l’uomo come pretende di dire il Meeting di proprio la prima esperienza di Dio fatto car- quest’anno, o si tratta di una storia particola-

campo a tre questioni antropologiche fondamentali, fermandosi poi solo sulla prima di esse: l’uomo come unità di corpo e anima, come uomo e donna, come individuo e società. Questi tre tratti inconfondibili e ineliminabili della nostra esperienza ci documentano che siamo “figli di Dio”. E sono i tre punti su cui le obiezioni della cultura contemporanea si fanno radicali. Prades ha preso in considerazione solo il primo enigma, l’unità duale di materia e spirito per confutare l’assunto scientista e naturare, raccontata anche con entusiasmo, ma che lista odierno che, dopo le tentazioni spirituanon è proponibile a tutti? Il cristianesimo liste, è tornato a una soluzione dell’enigma «conviene realmente a tutti gli uomini?», ha che in realtà più che risolverlo lo dissolve: di chiesto e si è chiesto Prades all’attacco del- fronte all’incapacità di mettere insieme mal’ultima e più irta salita del suo tappone pire- teria e spirito, elimina uno dei due e tenta di naico. risolvere le indiscutibili attività intellettuali Perché questo è lo spazio che ogni potere cui assiste a un “mucchio di neuroni”. Chi fa culturale (e quindi politico) - quello di oggi così, dice Prades supportando il suo pensiero lo teorizza apertamente - è con l’autorità di neurodisposto a riservare al criscienziati, filosofi e con stianesimo: le mura di casa l’esperienza dell’uomo coe chiesa, un po’ di associamune, sbaglia tre volte: non Il potere riserva zionismo sociale in supsi accorge (e quindi non dà al cristianesimo plenza di carenze statali e, conto) della diversità del se proprio ci tenete, anche corpo umano da ogni altro le mura di casa un partito cattolico. (Quecorpo esistente in natura; e chiesa, un po’ ste note sono del redattore, non coglie la sorprendente che le ritiene però giustifidi associazionismo e, interazione tra processi macate dal passaggio in cui corporali e atti spirise proprio ci tenete, teriali, Prades accusa noi cristiani tuali; ma soprattutto elimidi accettare «questo sguarun partito cattolico na il soggetto che pensa e do ridotto su noi stessi, coteorizza di non esistere rime se l’esperienza che abducendosi a un «oggetto biamo incontrato non avesche ignora se stesso». Tanse la forza di cambiare la comprensione del- ta fatica, tanto progresso scientifico, tanta ril’umano»). cerca - commenta amaramente Prades - per È la sfida della fede che diventa cultura, non andare oltre Nietzsche: «L’uomo non che ha come prima responsabilità quella di può essere ritenuto responsabile di niente». «vivere la novità di vita che ci ha raggiunto» Ma il nulla non è una via d’uscita dall’ee quindi di «approfondire una riflessione si- nigma, perché la domanda si ripropone, anstematica e critica sulle sue ragioni», per ve- che nelle canzoni de “Los Secretos”, gruppo dere se ha «la dignità di paragonarsi con le hit della movida madrilena degli anni Ottanconquiste delle scienze naturali e sociali». ta: «Deve esistere qualcosa di diverso da Il lavoro che questo paragone mette in es- quello che ho visto a ogni angolo di strada». sere è enorme, ha impegnato la Chiesa per Gira l’angolo, potresti incontrare un produemila anni, abbraccia ogni possibile pro- fessore come Prades. blematica. Prades ha voluto restringere il Ubaldo Casotto

La comunicazione di Prades sul tema del Meeting. Partendo dal discorso di Giussani davanti a Giovanni Paolo II il teologo descrive l’incontro con Cristo, che cambia per sempre l’esperienza dell’irraggiungibile


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PARLA CARRÓN

«Dal Meeting voglio l’Infinito» Intervista al successore di don Giussani: «Viviamo il titolo di quest’anno come autocoscienza, non come slogan. Il Papa ci ha fatto capire l’alternativa tra una realtà vissuta come disturbo e una percepita come compimento della nostra vocazione»

Ieri non è stato solo il giorno dell’incontro sul titolo del Meeting tenuto da Javier Prades Lopez. È stato anche il giorno della visita a Rimini di Julián Carrón, presidente della fraternità di Comunione e Liberazione, che il “Quotidiano Meeting” ha intercettato per realizzare l’intervista che state leggendo. Giunto in fiera al mattino e accompagnato dal presidente della fondazione Meeting Emilia Guarnieri, Carrón ha fatto un giro per i padiglioni e gli stand, come accaduto nella scorsa edizione. Le mostre (Koyasan, Dostoevskij, giovani rock), il pranzo con i responsabili del Meeting, l’incontro delle 17, quello sul titolo della manifestazione tenuto da Javier Prades, amico di una vita e docente (come lo era Carrón prima di essere chiamato in Italia da don Luigi Giussani) all’Istituto teologico San Damaso. Per il leader di Cl, una giornata di Meeting come uno delle migliaia di visitatori. Prima tappa alla mostra sul Koyasan, «la montagna sacra del Buddhismo Shingon Mikkyo che don Giussani ha tanto amato». Qui ha avuto una guida di eccezione, lo stesso Shodo Habukawa, abate del Muryoko-in Temple, che ha ricordato la feconda amicizia con don Giussani. Un blitz alla mostra sui giovani, “L’imprevedibile istante”, inaugurata tre giorni fa dal presidente del Consiglio Mario Monti, prima di concedersi ai microfoni del Tg Meeting, ai quali Carrón ha detto tra l’altro di essere colpito, in riferimento a questi giorni, da una cosa: «che il messaggio che il Meeting ha posto al centro della sua preoccupazione comincia a diventare per tutti. Gli altri cominciano ad accorgersi che questa non è una questione spiritualistica per gli “addetti ai lavori” o le persone pie, ma è una questione decisiva per l’uomo, per ogni uomo che desidera vivere il reale». Alla Taberna Spagnola l’incontro con Sua Eminenza il cardinale Antonio Rouco Varela, arcivescovo di Madrid, la città in cui Carrón ha insegnato teologia e sacre scritture per tanti anni. Il “Quotidiano Meeting” lo ha incontrato prima dell’incontro di don Prades. Don Julián, che cosa le sta maggiormente a cuore venga trasmesso attraverso questo Meeting? «Quello che voglio venga capito è il titolo, non come slogan ma dal punto di vista esistenziale. Che cosa vuole dire nello svegliarsi, nel lavorare, nello studiare che la natura dell’uomo è rapporto con l’infinito. Non come parola d’ordine, ma come autocoscienza da avere». Come si può evitare il rischio che parlare dell’infinito diventi un’astrazione, come qualcuno ha sostenuto in questi giorni?

Il ricordo di Corecco

Don Julián Carrón con Emilia Guarnieri, presidente del Meeting, durante la visita di ieri in fiera

«Questo rischio si evita con la realtà: attraverso tutte le attività che facciamo al Meeting viene fuori che non è un’astrazione, ma una cosa concretissima che riguarda il modo in cui ognuno si rapporta al reale: dalla morosa ai soldi, dal lavoro al riposo. Se non capiamo che il senso religioso c’entra con tutto, riduciamo la religiosità a un mondo virtuale che non c’entra nulla con il reale, e allora poi ci dicono che non è concreto. Ma è la cosa più concreta che ci sia!». Che cosa ha significato per lei, personalmente, la lettera autografa che Benedetto XVI ha mandato al Meeting? Che cosa ha provato quando l’ha letta? «Una consolazione indicibile. Perché è come riconoscere ancora una

«Riscriverei la lettera a “Repubblica”. È una chiamata a vivere nella prospettiva che Benedetto XVI ci ha indicato: non soccombere ai falsi infiniti che ci imprigionano e non ci fanno respirare»

volta qual è la mia natura di uomo: che io sono fatto per l’infinito e che quindi, se non c’è questa apertura in qualsiasi attività, io soffoco. Nel messaggio che ho mandato ai volontari che lavorano al Meeting, immedesimandomi in loro mi è venuto da pensare che sollievo sarebbe vivere ogni aspetto con questo orizzonte d’infinito. È come se uno vivesse l’alternativa tra un nascondiglio, dove si dimena, e un panorama di montagna con un’apertura totale: tutti sappiamo che cosa vuol dire questa differenza, non è astratto». E quali indicazioni sente per sé e per il movimento in questa lettera? «A ciascuno di noi la lettera di Benedetto XVI offre ogni circostanza come occasione per questa apertura,

Viaggio al cuore dell’educazione Wolfsgruber, Moscone e la sintonia tra “Il senso religioso” e san Girolamo Separati, l’uno dall’altro, da cinquecento anni di storia. Eppure, oggi legati da consonanze inaspettate. Tra il carisma di Giussani e quello dei padri Somaschi le identità di vedute non si contano. Non solo per il fatto che il Meeting ospiti la mostra di san Girolamo Emiliani (piazza C5), iniziatore dell’ordine. In campo educativo i due orizzonti diventano (quasi) uno. Lo si è capito ieri, durante l’incontro dal titolo “Educare il cuore dell’uomo”, che ha chiamato in causa il preposto generale dell’ordine dei padri Somaschi, Franco Moscone, e il rettore della fondazione Grossman di Milano, Carlo Wolfsgruber. L’uno e l’altro si sono misurati con una sfida che interpella tutti: quale educazione, in tempi così drammatici, permette al cuore di rimanere tale? «Il cuore non è in vendita», esordisce Moscone parafrasando Gustave Flaubert. Reggere l’urto di una cultura che nega simile certezza non è semplice, Carlo Wolfsgruber però. E qui si notano le sintonie con quanto richiama da sempre Giussani. C’è bisogno di una continua educazione, esorta Moscone, e per farlo è necessario uno «stare con». «Qualcuno che mi faccia compagnia è indispensabile – dice il preposto generale – e questo miracolo è apparso evidente

anche nel preparare la mostra che è qui al Meeting». Moscone si spinge più in là: «Guardando voi capisco meglio me stesso e il mio fondatore». Perché l’uno, san Girolamo, e l’altro, don Giussani, «avevano il medesimo stile. Incitavano a fare i conti con la realtà, a guardarla come dono». Carlo Wolfsgruber parte da una testimonianza personale. Il rapporto – sorprendente – con un professore di religione (Giussani) cambia la vita proprio a lui che, negli anni del liceo, per un inghippo burocratico non era riuscito ad ottenere l’esenzione dalla frequenza all’ora di religione. «Giussani non cercava connivenze. Invitava a misurarti con una proposta. Questo è l’inizio dell’educazione». Altro passaggio chiave, l’identificazione del cuore come «funzione strategica della ragione». Giussani mostrò che «un cuore senza ragione vede solo fantasmi. Il più efficace fattore educativo non sono i nostri pensieri ma la realtà agganciata attraverso l’esperienza». Wolfsgruber traccia, infine, la strada che la scuola di oggi è chiamata a imboccare: «Incontrando una comunità di docenti che lavorano a una proposta comune, i ragazzi imparano a dire “io”». Cristiano Guarneri

«Dalla provocazione del discorso di Ratisbona e dalla sua applicazione al diritto canonico viene da ripensare alla lezione di don Eugenio Corecco e questo spiega il titolo di questo incontro». Così Romeo Astorri ha introdotto ieri l’incontro: “La sfida del discorso di Ratisbona e la lezione di don Eugenio Corecco”. È intervenuto a ricordare l’amicizia con il sacerdote elvetico Sua Eminenza, il Cardinale Antonio Maria Rouco Varela, arcivescovo di Madrid: «La mia amicizia con Eugenio Corecco è nata ed è stata nutrita nel cammino a servizio della Chiesa». All’incontro hanno partecipato Libero Gerosa, direttore dell’Istituto di diritto canonico a Lugano e Gian Piero Milano (Tor Vergata).

e uno può pulire il Meeting come la mamma pulisce il bambino; può essere chiuso rispetto a quello che fa o può essere lì con questa consapevolezza di apertura all’infinito. È quello che Giussani chiamava vivere la vita come vocazione. Attraverso ogni particolare ciascuno di noi è chiamato a questa apertura. Come quando sei chiamato dalla tua morosa, e questo ti apre a un mondo dove il tuo “io” si compie. Tu puoi vivere questa chiamata come un disturbo da cui difenderti, oppure percepirla come l’occasione del tuo compimento, e allora pensi: “Meno male che ci sei!”». Il Meeting di quest’anno ha luogo in un momento particolare, anche dopo la lettera che lei ha scritto a “Repubblica” lo scorso 1° maggio. Una lettera che ha segnato una svolta storica per il Movimento. Alla luce delle conseguenze che ha avuto, la scriverebbe ancora? «Sì. La mia lettera è una chiamata a vivere in questa prospettiva che ci siamo detti. Il Papa ha usato una sua modalità di dirci quello che intendevo: non soccombere ai “falsi infiniti” che ci imprigionano e non ci fanno respirare. La mia lettera era un grido a liberarci da questi “falsi infiniti” per vivere con tutto il respiro per cui siamo stati fatti. E che nessun male può cancellare». Giacomo Moccetti


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22 agosto

«Dio, opere e silenzi La fede di Giussani» Don Ventorino racconta il suo ultimo libro sul fondatore di Cl: la mia amicizia con lui è nata da una studentessa trasferitasi a Catania «Non l’ho più lasciato dopo averlo conosciuto». Così don Francesco Ventorino – per gli amici “don Ciccio” –, professore emerito di ontologia e di etica presso lo studio teologico San Paolo di Catania, descrive il suo incontro con don Giussani. Oggi (ore 15, Eni Caffè Letterario D5) verrà presentato il suo nuovo libro: “Luigi Giussani. La virtù della fede” (ed. Marietti 1820), proprio in coincidenza con l’Anno delle Fede indetto dal Pontefice. «In questo libro descrivo il metodo del Gius di presentare il fatto cristiano, metodo affascinante e sempre nuovo per ogni tempo». Un libro successivo a quello del 2001, “Luigi Giussani. La virtù dell’amicizia” (ed. Marietti 1820), in cui l’autore racconta la sua storia (e quella del Movimento) all’insegna di una grande amicizia. Sicuramente due contributi fondamentali alla memoria di Giussani e «alle intenzioni che il Papa ha nel ravvivare la fede nel mondo…», aggiunge don Ciccio. Ma torniamo alle origini: «Negli anni ’60 una ragazza di gs di Milano racconta don Ciccio - è venuta a studiare a Catania, dove abitavo e abito tutto-

ra. Ha incominciato a coinvolgere in un’amicizia speciale un centinaio di studenti, miei alunni, e così l’ho conosciuta anch’io». Invitato ai raggi e a momenti di festa insieme, don Ciccio ha conosciuto don Giussani «ed ero un giovane prete (ordinato nel ’54) in cerca di un metodo per presentare la fede in un mondo in cui di fede non ce n’era più. E il metodo che questa ragazza piombata da Milano mi ha fatto vedere era ciò di cui avevo bisogno». E così questa misteriosa studentessa ha dato il “la” a un’affascinante storia: un’amicizia tra don Ciccio e don Giussani, durata ben 45 anni. Ma quando esattamente si sono conosciuti? «Un’estate sono andato a trovarlo sulle Dolomiti, al passo di Costalunga – dice Ventorino -, dove lui era in vacanza con i giessini». Passando le giornate fianco a fianco, «mi ha colpito come educava la gente attraverso i gesti, dal silenzio fino al raggio, dalla passeggiata al guardare le montagne: educava i suoi ragazzi a comprendere il significato di tutto ciò che facevano e quindi ad accogliere tutto come occasione per approfondire il rapporto col Mistero». E questo lo ha subito affasci-

Nella foto grande don Francesco Ventorino. Sotto, la copertina del suo ultimo libro “Luigi Giussani. La virtù della fede” (Marietti 1820).

nato, perché aveva trovato ciò che stava cercando. Dopo questo incontro, numerose sono state le avventure vissute insieme: la bufera del ’68, la costruzione del Movimento («s’è fatto il Movimento», per la precisione), le battaglie in università nella metà degli anni ’70, fino al riconoscimento della fraternità di Comu-

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nione e Liberazione da parte di papa Giovanni Paolo II, l’11 febbraio 1982. Dice Ventorino: «Dopo questa data, la vita è diventata più bella e il Movimento ha incominciato ad espandersi». Ma com’è possibile coltivare un’amicizia con la A maiuscola con così tanti chilometri di distanza? «Facevo 50 ore di treno per Milano, 25 ad andare e 25 a

tornare, anche solo per stare mezzoretta scarsa col don Giuss! A volte veniva anche lui a Catania, perché da subito abbiamo capito che era importante continuare la nostra amicizia. D’altronde signorina, quando si trova una cosa importante non si bada più a niente!». Nemmeno alle spese. Maria Valentini


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22 agosto

La battaglia per la vita comincia da una scoperta Mentre la Germania commercializza un test prenatale della sindrome di Down, al Meeting la storia del servo di Dio Jerome Lejeune, biologo che scoprì la trisomia 21 aprendo la strada alle cure Quando nel 1958 Jerome Lejeune scoprì la causa della sindrome di Down – un cromosoma soprannumerario nella coppia numero 21 del Dna – disse chiaramente di non voler ignorare le “leggi dello Spirito” che muovevano la natura dell’uomo. E nel 1970, di fronte alla proposta di legge di Peyret che introduceva la soppressione del feto, nel caso di un’embriopatia incurabile, Lejeune portò con forza la propria critica davanti ai fotografi e alle telecamere, suscitando un aspro dibattito che si prolungò per mesi: non poteva sopportare che le sue scoperte fossero lo strumento con cui realizzare, sotto le mentite spoglie della libertà di scelta, un nuovo progetto di “selezione della specie”. Il medico francese che nel 1958 portò a compimento una scoperta sensazionale per la medicina moderna, è ricordato oggi al Meeting dall’incontro alle 15 in sala A3 “Che cos’è l'uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jerome Lejeune”, che presenta l’omonima esposizione curata dall’associazione Euresis presso il padiglione A1. In particolare, parteciperà al dibattito anche Birthe Bringsted, vedova di Jerome Lejeune e vicepresidente della fondazione a lui intitolata. Il genetista transalpino portò per tutta la vita di fronte al mondo l’esperienza della natura umana che l’aveva portato a scoperte rivoluzionarie: durante un’assemblea dell’Onu sull’aborto, Lejeune prese la parola e raccontò di fronte alla stampa internazionale di quel bambino unico e irripetibile che potrebbe non vedere la luce della vita. Poi, rivolto ai membri dell’assemblea, descrisse il tentativo delle Nazioni Unite di favorire la pratica dell’aborto come «un’istituzione per la salute che si trasforma in istituzione di morte». La battaglia per la vita costò molti sacrifici al genetista transalpino, che dopo il discorso pronunciato a New York di fronte all’assemblea dell’Onu, vide sfumare l’opportunità del premio Nobel. Il collega Lucien Israel fu uno dei primi a interrogare l’opinione pubblica circa la decisione della giuria del Nobel: «Sarebbe interessante sapere perché il Comitato del Nobel è stato sotto pressione così intensamente e così a lungo, per evitare che il premio venisse assegnato a Lejeune […]. Per il mondo scientifico, il fatto che Jerome Lejeune non abbia ricevuto il premio Nobel è una grave anomalia». Per molti anni il medico francese fu criticato da esponenti della genetica e della medicina, non per le sue scoperte ma per la tenacia con cui, a costo della propria considerazione pubblica, si batteva per difendere il futuro dei malati che, da sempre, aveva studiato e imparato ad amare. L’impegno di Lejeune per la

Il Dna per i piccoli C’è stata ieri la presentazione della mostra “Ma io chi sono???!!!” presso il villaggio ragazzi da parte della dottoressa Paola Platania. L’incontro è stato diviso in due tranche, una per gli adulti, una per i più piccoli. La mostra propone un viaggio alla scoperta di quello che siamo, cominciando da uno sguardo al proprio io e alla sua irriducibilità. Partendo dal corpo nella sua interezza ed armonia, il percorso continua verso le parti più piccole del nostro organismo: la cellula e le sue componenti, allo scopo di trovare il “luogo” dove sono scritte le informazioni sul nostro aspetto fisico: il Dna. I bambini (ma anche gli adulti) potranno cogliere con chiarezza l’ultimo passo fondamentale del percorso: non tutto di me è scritto nel mio Dna, il mio io non è riducibile alla materialità del mio corpo né alla somma dei suoi elementi. Per permettere un’esperienza e aiutare i più piccoli nella comprensione, la mostra utilizza filmati, giochi, exhibit e scenografia, oltre a brevi testi scritti ed una ricca grafica.

Nella foto Jerome Lejeune con due bambini affetti da sindrome di Down

vita e la fede che lo sosteneva – anche nell’amicizia con papa Giovanni Paolo II – portò la Chiesa ad annunciare, per mezzo dell’arcivescovo di Parigi André Vingt-Trois, la nomina del priore dell’abbazia di Saint Wandrille a postulatore della causa di beatificazione, aperta durante la XIII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita. L’11 aprile scorso, nella cattedrale di Notre Dame, centinaia di fedeli hanno assistito alla funzione in occasione della conclusione del processo diocesano per la richiesta

di beatificazione del medico francese. La storia di Jerome Lejeune e i suoi studi sono tornati prepotentemente d’attualità in questi giorni: il 20 agosto, infatti, la casa farmaceutica “LifeCodexx” ha messo sul mercato tedesco un test prenatale che rivela – al 99,8% - se il feto sia affetto da sindrome di Down. Appena la notizia è stata rilanciata dalle agenzie di stampa, alcuni esponenti delle parti politiche e sociali hanno reagito con decisione contro la vendita del nuovo prodot-

to. Hubert Hueppe, delegato del governo federale alla tutela dei disabili, non ha aspettato molto tempo per fare sentire il proprio disappunto: «Non riesco a capacitarmi del fatto che con questo test si sia trovata una nuova strada per discriminare i disabili. Le persone affette dalla sindrome di Down vengono così discriminate nel loro diritto alla vita». La battaglia contro le analisi che possano portare a una selezione delle nascite ha visto anche la presentazione di una petizione, lancia-

Insieme a Wojtyla contro il Potere La forte amicizia tra il medico francese e Giovanni Paolo II: accomunati dalla passione per la realtà e dalla esperienza di fede Jerome Lejeune era legato a papa Giovanni Paolo smo di cui era oggetto». II da un rapporto di profonda amicizia e da un perNel legame fra Lejeune e Giovanni Paolo II si corso comune di difesa della vita come l’unica ri- possono scorgere molte consonanze: entrambi furocerca per la pace dei popoli. Entrambi erano co- no sedotti dal potere – sovietico o della fama – ma scienti di quanto una società che potesse ancora non cedettero al rischio di dedicare la propria definirsi umana avesse bisogno di essere passione per la vita a nessun altro se non a attenta ai più deboli. Ma il tratto fonCristo; tanto che Wojtyla decise di nodamentale che rendeva saldo il rapminare il genetista membro della porto fra il medico francese e il paPontificia Accademia delle Scienze. pa polacco era l’esperienza di feNel messaggio a Jean-Maire Lude, vissuta e testimoniata anche stiger, il papa indicò la capacità di nella vocazione pubblica o profesdedicare la vita al bene nel «partisionale. colare carisma del defunto, perché Il papa polacco sottolineò più il professor Lejeune ha sempre savolte la forza di Lejeune di portare puto far uso della sua profonda col’esperienza cattolica nel mondo noscenza della vita e dei suoi sedella scienza moderna: in occasiogreti per il vero bene dell’uomo e ne della morte dell’amico, scrisse Lejeune con la moglie e papa Wojtyla dell’umanità e solo per questo». un messaggio autografo all’arciveQuando il medico francese era scovo di Parigi, il cardinale Jean-Maire Lustiger, in ormai malato e prossimo alla morte, Wojtyla decise cui ricordò l’amico. Scrisse di come Lejeune si fos- di nominarlo Presidente della Pontificia Accademia se assunto pienamente «la responsabilità specifica per la Vita: fu l’ultimo segno dell’amicizia che adello scienziato, pronto a diventare un “segno di veva legato due uomini sedotti dal potere, ora in contraddizione”, senza tener conto di pressioni e- cammino verso la santità. sercitate dalla società permissiva né dell’ostraciL.M.

ta nel mese scorso dal sito www.stopeugenicsnow.com e diretta alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo; a sostenere il ricorso alla corte è stata una federazione internazionale di malati, composta da 30 associazioni presenti in 16 paesi. «La questione è che gli aborti in seguito alle diagnosi sono accettati senza nessun approfondimento. Bisogna combattere il pregiudizio secondo cui una persona con la sindrome di Down è una calamità» spiega Jean-Marie Le Mené, che ha sottoscritto la petizione. Tuttavia, le proteste non hanno impedito che altri paesi, come Svizzera e Austria, si pronunciassero a favore dell’entrata in commercio del farmaco, aprendo la strada verso la nuova “libertà” di un mondo secolarizzato, al quale Lejeune racconterebbe, ancora una volta, l’unicità di ogni embrione che, in quanto «essere che è umano, è un essere umano», o la confessione che gli fece un collega: «Tanti anni fa, mio padre era un medico ebreo che esercitava la professione a Brenau, in Austria. Un giorno nacquero nella sua clinica due bebè. Uno era un maschio forte e di buona salute, che emetteva potenti vagiti. L’altra era una femmina mongoloide, e i suoi genitori erano tristi. Ho seguito la vita di questi due bebè per quasi cinquant’anni. La bambina handicappata crebbe nella casa paterna e da adulta fu in grado di prendersi cura della madre, colpita da un attacco cardiaco, durante la sua lunga malattia. Non mi ricordo il nome di quella bambina. Invece mi ricordo bene il nome del bambino sano, perché da grande fece massacrare milioni di persone e morì in un bunker a Berlino. Il suo nome era Adolf Hitler». Luca Maggi


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LA MOSTRA 7

22 agosto

«Lo cercavo. Mi ha trovata» L’Albania, gli incontri, il Mistero. Storia di Miranda Anni ’80, un paese del nord Albania, Miranda Mulgeci vive in una famiglia di origine musulmana, ma senza possibilità di essere praticante visto l’imperante ateismo di stato. C’è però un momento, prima di andare a dormire, in cui la nonna di nascosto, le fa recitare una preghiera. Questo atto coraggioso mantiene aperto nel suo cuore il desiderio di potersi rivolgere a Qualcuno più in alto di lei, di tutti, anche se questo Dio non aveva ancora un nome. Miranda è una bambina quando il comunismo cade e comincia la ricezione delle tre reti Rai. «La domanda comincia a nascere quando senti aria di libertà» commenta oggi. Una domenica, ha circa 11 anni, sta facendo zapping e lì, di colpo, accade. L’Infinito entra nella sua vita. «Casualmente sono finita su un canale dove stavano trasmettendo la messa in san Pietro. La musica d’organo mi ha catturato, non riuscivo a staccarmi. Poi Gesù è venuto verso di me, un’immagine bellissima, era tutto bianco. Poi Giovanni Paolo II ha celebrato la Messa, l’ho seguita fino in fondo, ho capito solo tre parole “Gesù, Dio, Amore”, ma erano le parole più belle del mondo, quelle che stavo aspettando. Da allora non c’è più stato giorno in cui io non abbia detto “ti amo, Gesù”». Comincia il liceo e Miranda si trasferisce in una piccola città, Tropja, a casa di uno zio dove inizia a frequentare gruppi di giovani cristiani che si ritrovano nel salone del museo della città; molti sono stranieri, si prega e si canta insieme. A sedici anni riesce a procurarsi la prima Bibbia tradotta in albanese: divora la vita di Gesù e impara a memoria il Padre nostro. Miranda studia tantissimo, è una studentessa eccellente, non vuole che i familiari possano preoccuparsi che il suo incontro con la fede la distolga dai suoi doveri scolastici. «La mia Bibbia, piccola, tascabile, non era mai distante da me più che la lunghezza del mio braccio: di notte sul comodino, di giorno nella mia borsa. La leggevo ovunque, anche in bagno, e ho imparato vari brani a memoria, quelli che più mi colpivano, per potermeli ripetere in qualsiasi momento». Prega Dio, lo porta con sé, ma non entra in Chiesa, perché la sua origine musulmana non lo permette e non vuole addolorare la propria famiglia. Si iscrive all’università, facoltà di filosofia a Tirana: sono gli studi tipici di chi si proclama ateo, perché ancora fondati sulla teoria marxista. Dopo la laurea trova lavoro in una ong, i “Villaggi Sos”; non ha più modo di frequentare i gruppi cristiani e il suo responsabile è un fervente propagandista dell’inutilità di tutte le religioni. «Avevo dentro un desiderio grande, ma non capivo fino in fondo a chi appartenevo». Poi un giorno, di colpo, per la se-

Miranda Mulgeci, di famiglia musulmana, ha 11 anni quando sente parlare di Gesù in televisione. Dopo altri venti, nel 2011, riceve il Battesimo da Benedetto XVI. «Gli ho detto: “Sono Miranda, sono albanese, sono di Cl”. Finalmente ho potuto dire chi sono»

conda volta, l’Infinito giunge. Ha sempre lo stesso nome. «Casualmente sul giornale cittadino c’era l’annuncio di lavoro da parte di un’associazione italiana chiamata Avsi che ha anche una sede a Tirana. Quando sono entrata per il colloquio e ho visto le pareti tappezzate dai volantoni di Pasqua e di Natale ho capito di aver trovato Gesù e di essere arrivata a casa». Passano alcuni mesi, il responsabile di Avsi, Alberto Piatti, viene a conoscere i nuovi operatori: «Durante la cena Alberto comincia a raccontare la storia della donna samaritana e io la completo. Lui era stupitissimo e

Schulz non ci sarà

Il presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz non sarà presente oggi al Meeting. A causa di un lutto familiare grave ed improvviso, Schulz è stato infatti costretto a cancellare il suo viaggio in Italia. Il Meeting esprime la sua vicinanza al presidente Schulz in questo momento di prova e di dolore.

così gli ho rivelato di conoscere la Bibbia e di amare Gesù: il giorno dopo mi ha regalato “Il senso religioso” di Giussani in italiano. Ero felice. Dentro mi è restato il rapporto fra la ragione e il cuore». Nel 2006 Miranda va a Bucarest per un incontro di Avsi e lì, finalmente, può entrare in una chiesa. Piange per tutto il tempo della messa e nasce profondo il desiderio di poter ricevere l’Eucarestia. Due anni dopo arriva in Italia per un master in Cattolica a Milano e lì approfondisce il rapporto con il movimento di Cl. Don Pino risponde a tutte le sue interminabili domande

sulla Chiesa ed ecco la richiesta di poter essere battezzata. Decide di non ricevere il Battesimo in Albania per non turbare la famiglia che pure accetta le sue scelte. È il suo futuro padrino, quello che le aveva regalato “Il senso religioso”, a suggerirle di chiedere al Papa. Così, durante la veglia pasquale del 2011, Miranda ha ricevuto il battesimo dalle mani di Benedetto XVI. «Quando lui è venuto da me gli ho detto: “Sono Miranda, sono albanese, sono di Comunione e Liberazione”. Finalmente ho potuto dire chi sono». Aida Salanti

Quei cattolici alle radici del Paese delle Aquile Una mostra sorprendente fa conoscere un lato misconosciuto della storia albanese. E spiega come far rinascere un’identità “Albania, athleta Christi. Alle radici della libertà di un popolo” è la mostra nella piazza C5 che verrà presentata oggi alle 19 in sala C1 Siemens. La storia degli antichi illiri si dipana fra pannelli, gigantografie multimediali e uno spettacolo teatrale. Una domanda campeggia: esiste un’ora nefasta per una nazione, un tempo nel quale le possibilità della caduta sono più grandi? La risposta appare ovvia, ma non altrettanto lo è il tempo in cui questo può accadere, perché non è detto che sia il tempo dell’oppressione, ma sovente, al contrario, è il tempo della libertà. È una domanda che occupa il cuore e la mente dei curatori, giovani albanesi in Italia. Teodor Nasi, 32 anni, avvocato, vive in Brianza ed è tra i curatori della mostra. Da che cosa nasce il vostro intento? «Dalle domande sorte nell’esperienza personale. Tutti noi siamo albanesi e abbiamo conosciuto il cristianesimo in Italia o, comunque, con Cl. La Verità che abbiamo incontrato non esaurisce ma apre nuove domande. La più rilevante è quella sulla nostra identità, sul nostro essere albanesi e su come la nostra religiosità determina il nostro essere albanesi. Ismail Kadaré, il più noto scrittore albanese contemporaneo, afferma che proprio

oggi vi sono tanti albanesi liberi come mai nella storia e, nonostante questo, proprio oggi la nostra identità rischia di dissolversi. Ecco perché la mostra cerca di documentare il dato storico sull’essenziale presenza cattolica in Albania». Qual è il filo conduttore, il messaggio principale? «Partendo da quelle domande la mostra dirige lo sguardo sulla storia dei cattolici albanesi e la documenta attraverso tre grandi icone. La prima è Giorgio Castriota Scanderbeg, l’eroe nazionale che sconfisse per buona parte del XV secolo i turchi fermandone l’avanzata verso l’Europa. Fortemente sostenuto dalla Chiesa nella sua lotta egli è l’Athleta Christi, il Campione di Cristo, chiamato così dai papi suoi contemporanei. I primi passi documentati della letteratura albanese e il diritto tradizionale albanese sono alcuni dei frutti duraturi che si sono consolidati durante l’epopea di Scanderbeg. Frutti che, durante la dominazione ottomana che opprimerà l’Albania per cinque secoli dalla morte dell’eroe, troveranno un ostinato difensore nella seconda grande icona della mostra: il clero e gli ordini religiosi cattolici». Anch’essi ebbero un ruolo cruciale? È impressionante notare come queste vicende siano poco note in Europa.

Scanderbeg, eroe nazionale albanese

«Autenticamente religiosi e autenticamente albanesi essi accompagnano il nostro popolo fino alla ultima tragica prova della sua storia: il regime comunista imporrà in Albania il primo stato ateo al mondo, iniziando la sua presa del potere con l’eliminazione del clero cattolico. La disumana oppressione atea finì nei primi anni Novanta in modo incruento, lasciando però dietro un vuoto identitario, che si legge in una concezione della libertà intesa come violenta rottura di ogni legame ed ogni appartenenza. La terza grande icona della mostra è Madre Teresa, la grande santa albanese». Si ha l’impressione che la mostra si chiuda lasciando aperte delle domande... «È così. Da un dato storico particolare emerge una questione che interpella tutti: l’uomo contemporaneo ha bisogno del suo passato o questo è un ingombro? Essere liberi significa forse essere senza radici?». A. S.


LA GIORNATA 8

Occorre un’idea nuova di pena per il XXI secolo, «in modo da costringere sulla difensiva i fautori del carcere così come è oggi in Italia, che è un inferno per tutti, spesso anche per gli operatori». Un’idea nuova che convinca quanti sostengono che basta «limitarsi alla manutenzione di questo orrore» che «la società è più sicura» con forme detentive diverse. Luciano Violante, presidente del Forum riforma dello Stato del Pd – intervenuto ieri al convegno “Vigilando redimere, quale idea di pena per il XXI secolo” - ha trovato proprio al Meeting l’origine di questa possibile svolta: «Sono rimasto colpito dal messaggio del Meeting: l’uomo è creatura di Dio, e questo significa che non è un’entità finita e può cambiare. Del resto le mie stesse origini meridionali mi ricordano che al Sud i bambini sono chiamati “creature” e in quanto tali devono crescere. A me che non sono cattolico – ha dichiarato – il cattolicesimo ha però insegnato che l’uomo può cambiare sempre. Solo se cambia l’uomo potrà cambiare la società. Legare creatura e infinito – ha aggiunto - vuol dire poter andare sempre al di là del presente, in un’epoca in cui tutto è visto nell’ottica di un presentismo». Nella platea del Meeting c’è anche un folto numero di detenuti in permesso provenienti dal carcere di Padova: proprio a Rimini, da diversi anni, fa riferimento una vasta rete di iniziative e di amicizie negli istituti penitenziari d’Italia, come ha sottolineato il presidente della Libera associazione forense, Paolo Tosoni.

22 agosto

Serve un uomo nuovo per alleviare la pena Al Meeting con Violante torna il tema delle condizioni di vita dei carcerati: chi lavora non commette recidive. Ma è troppo poco l’impegno politico Luciano Violante, ex magistrato, oggi del Partito democratico

Una cultura che deve, però, ancora diffondersi nella società odierna, se Giovanni Maria Pavarin, presidente del Tribunale di sorveglianza di Venezia, ha sostenuto che «nell’uomo di strada e nei politici che badano più alla pancia degli elettori rimane forte un’idea di pena che si identifica col carcere e per il quale va bene così, rispondere cioè al male col male». La nostra stessa Costi-

Due detenuti di colore visitano la mostra sul Duomo di Milano. Con loro, gli accompagnatori

tuzione, ha sottolineato Pavarin, non identifica la pena col carcere. Il magistrato, rigettando l’ipotesi di Gherardo Colombo di abolire il carcere e proponendo, come strategia anti-affollamenti l’introduzione di un numero chiuso nelle carceri italiane, ha però sollecitato

un cambiamento nell’idea di pena «che metta al centro l’uomo» e ha auspicato che «un manipolo di deputati» promuovano leggi che restituiscano umanità nelle carceri e «rafforzino l’area penale esterna». Chi opera nelle carceri sa bene quanto il sistema attuale non riesca a combattere la recidiva, che, come ha sottolineato Nicola Boscoletto, presidente del Consorzio Rebus a Pa-

dova, raggiunge il 90% laddove non c’è lo strumento del lavoro «come occasione di senso e prospettiva alla pena». Col lavoro, invece (solo 901 detenuti su 67.000 nel 2011) la recidiva scende all’un per cento. Ma i motivi di speranza non mancano, in Italia come all’estero. Tomaz de Aquino Resende, procuratore e magistrato di sorveglianza in Brasile nello stato del Minas Gerais, ha documentato l’esperienza di umanizzazione della rieducazione avviata in 34 istituti di pena in quel territorio. Ne sanno qualcosa Luigi e Umberto, due detenuti (il primo lavora al centro prenotazioni, il secondo fabbrica biciclette) tra il gruppo che ieri ha fatto visita al Meeting. Luigi lavora: tornerà tra un anno in Inghilterra dalla sua famiglia, ma la detenzione gli ha regalato «rapporti di fiducia: è stato come passare dall’inferno al paradiso». Adriano Moraglio


LA GIORNATA 9

22 agosto

Viaggio alla fonte dell’io Cesana cambia programma e risponde a Boncinelli: «Non serve la scienza per dire che esisto: è un mistero, ma non è ignoto» Giancarlo Cesana ha stupito tutti. All’incontro “Neuroscienze: il mistero dell’unità dell’io” (svoltosi ieri, con la partecipazione del filosofo Michele Di Francesco e l’introduzione del linguista Andrea Moro), avrebbe dovuto illustrare la seconda “via maestra” d’indagine dell’io, quella clinica. Ma ha cambiato programma, “deviato” da un’affermazione del genetista Edoardo Boncinelli secondo cui la mancata localizzazione di una data funzione in una certa parte del cervello comporta l’impossibilità di affermare l’esistenza della stessa. Dunque l’io, non ancora precisamente localizzato, non dovrebbe esistere. E allora Cesana ha stracciato il suo intervento previsto: «Non posso aspettare l’esito degli studi scientifici per poter dire “io”. Anche i miei studi ora non bastano. Oggi voglio parlarvi della mia esperienza». E lo ha fatto: ha parlato dell’io, che esiste perché è un rapporto con la realtà misteriosa. Riprendendo “Il fenomeno umano” di Teilhard de Chardin, il docente ha affermato che «a un certo punto l’evoluzione della natura si è incentrata su se stessa, è diventata cosciente di sé, del suo significato». Significato che non è un ignoto, ma un mistero: un’evidenza, una luce che c’è ma non si sa da dove venga. Questo vale per la realtà e per l’uomo: o l’io non esiste, è una semplice associazione arbitraria di fatti biologici, oppure c’è ed è un mistero, un’evidenza che io

«Scoprire il senso delle cose è un fatto lieto e imprevisto. L’io comincia quando il desiderio di verità si può iniziare a compiere»

Giancarlo Cesana all’incontro di ieri

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non posseggo. Illuminante in proposito l’esempio di Di Francesco: «La morte potrebbe essere vista come un club che si scioglie: l’insieme di tante agenzie che vanno ognuna per conto suo, senza una perdita effettiva. Ma io non credo che sia così». Cos’è allora l’io? Cosa tiene insieme tutti i meccanismi, le funzioni, i processi chimici che lo costituiscono? «Strutturalmente noi siamo solo apparenza – ha continuato Cesana - siamo nulla. Dio ha fatto sì che il nulla lo cercasse». Questa continua ricerca è evidente, ha spiegato, se ci si interroga sulla questione della libertà: è fare ciò che si vuole? Quando ci sentiamo davvero liberi? Noi usiamo la nostra libertà per raggiungere la felicità, ma quando arriviamo all’obiettivo prefissato già siamo insoddisfatti e vogliamo di più. La libertà è volta a cercare

qualcosa che non possiede, qualcosa che, di conseguenza, «qualcun altro mi deve dare, perché non dipende da me. L’io esiste come legame. Per definire me, dunque, devo definire ciò che mi compie. E questo rapporto che mi compie, l’infinito, non è qualcosa di siderale, è il rapporto con la realtà, con ciò che mi è dato senza che l’avessi cercato». È evidente che l’io non sussiste da solo, «non è possibile autotrovarsi», ha detto Di Francesco. Noi siamo vivi perché non siamo da soli: abbiamo bisogno di aria, acqua, cibo, degli altri. Il soggettivismo non è vero, non esiste solo l’io con la realtà come accessorio. Senza comprendere questo, ha aggiunto Cesana, l’io si disintegra: senza il rapporto con la realtà l’io sparisce: l’autismo ne è un esempio. L’io è un rapporto e il rapporto è fatto di desiderio e libertà. E solo la verità è l’unico motore del desiderio in grado di muovere la nostra libertà. Ma per addentrarsi in questo rapporto serve un lavoro. «L’infinito cammina su questa terra – ha concluso il docente – scoprire il senso delle cose è un fatto lieto e imprevisto. L’io comincia quando il desiderio di compimento si può iniziare a compiere, quando è possibile seguire ciò che compie il destino della vita. È un lavoro che dura tutta la vita, riprendendo la liturgia: è meglio che la fonte soddisfi la sete piuttosto che la sete esaurisca la fonte». Laura Bertoli


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LA GIORNATA 11

22 agosto A sinistra, don Ignacio Carbajosa Perez e Giorgio Buccellati salutano il pubblico alla fine dell’incontro. A destra, “La torre di Babele” di Pieter Bruegel il Vecchio (1563)

Se il re Marduk insegna la strada del destino Il popolo di Babele e quello della Bibbia a confronto. Per scoprire le radici antiche del positivismo. E per capire da dove nasce la positività della realtà «Capisco che, a sentirmi parlare di Marduk, il re dell’olimpo babilonese, e di civiltà mesopotamiche, possiate pensare che l’archeologia sia un bastione di irrilevanza. Nel ’68 lo scrissero anche sul muro dell’Oriental Institute di Chicago dove mia moglie ed io eravamo studenti. Vi chiedo solo di aspettare un momento prima di andarvene. Ci terrei a mostrarvi come questo mondo sia solo apparentemente lontano. È in questo humus, prima che nell’illuminismo, che affonda le sue radici un modo di pensare a-biblico». Giorgio Buccellati, professore emerito dell’università della California, sembra mettere le mani avanti, all’inizio del suo dialogo con don Ignacio Carbajosa Perez, docente di antico testamento all’Università San Damaso di Madrid. Scorrendo il curriculum si capisce perché. Ha pubblicato una grammatica strutturale del babilonese ed edizioni di testi cuneiformi, studi sulla storia e la religione mesopotamica. Apparentemente argomenti più adatti a un piccolo pubblico accademico che ad una platea del Meeting. Eppure, grazie ai suoi studi, può aiutare a rispondere alla domanda capitale che dà il titolo all’incontro: «È veramente positiva la realtà? Dai popoli della Mesopotamia al popolo della Bibbia». «È una domanda provocatoria». Chiarisce da subito Davide Perillo, direttore di Tracce e moderatore dell’incontro: «Come si può stare davanti alle circostanze più dure, se la realtà non è positiva? È un problema che l’uomo si è sempre posto. Andiamo a vedere come è stato affrontata la questione in due delle più antiche tradizioni conosciute». Quando a metà ottocento si è iniziato a studiare la Bibbia in rapporto alle culture del vicino oriente, sembrava che le differenze fossero minime, come ha spiegato don Ignacio Carbajosa: «È sorta una perplessità tra chi guardava la Bibbia come la

parola originale di Dio. Ma Dio non ha scelto un popolo venuto dal nulla per rivelare una sua volontà disincarnata. Ha scelto un popolo semita, con tradizioni simili a quelle delle popolazioni che lo circondavano. È la legge dell’incarnazione che da una parte ci commuove fino alle lacrime e dall’altra ci scandalizza. Ma guardando più da vicino si è svelata l’originalità del giudizio biblico». Si parte allora dall’inizio: dall’origine della realtà. Buccellati legge alcuni stralci dell’Enuma Elis, il

poema della creazione secondo i babilonesi. Carbajosa vi interpola alcuni brani della Genesi. «C’è un contrasto strutturale — fa notare Buccellati —. Per i babilonesi non si tratta di creazione, ma di morfizzazione. Dal caos, senza un atto creativo, si arriva alla vita. Non esiste un assoluto che con un atto ci renda partecipi della sua natura, c’è solo una matrice inerte di cui noi siamo componenti. E in fondo la matrice siamo noi stessi. Siamo creatori di noi stessi, non esiste

quindi un agente esterno con una propria volontà cui essere debitori». Proprio l’opposto dell’idea di creazione del popolo ebraico, come fa notare Carbajosa: «La parola e l’azione di Dio creano tutta la realtà dove prima non c’era niente. Questa è la grande novità della Bibbia: Dio è un principio assoluto e la sua è una creazione continua, frutto di un disegno buono e non di una volontà capricciosa o di un gioco crudele. Infatti l’Esodo, il libro che racconta la bontà di Dio, viene scritto prima

«Siamo tutti babilonesi. Quando vogliamo incasellare l’assoluto» Parla l’archeologo Buccellati: «Anche oggi si frammenta e seleziona. Per reggere il peso del nulla. Ma Dio continua a volerci e a crearci» Sono passati più di tremila anni da che l’ultimo babilonese «Per fare bene l’archeologo bisogna raccogliere dati e framha camminato sulla terra. Ma da come ne parla Giorgio Buc- menti, selezionarli, guardarli uno per uno e farlo usando catecellati, sembra che abbia conosciuto di persona quegli uomini, gorie scientifiche. È lo stesso modo di procedere e a quell’equasi fossero suoi amici: «Sarebbe veramente presuntuoso poca lo applicavano su tutto. Cercavano di frammentare analiguardare a una tradizione di migliaia di anni, vissuta da ticamente l’assoluto, l’inframmentabile, per potere reggeuomini di grande intelligenza che hanno osservato re il peso di ciò che non si può controllare, come la e descritto gli astri del cielo come nessun altro morte». prima e per molto tempo dopo, come a creA noi forse è andata meglio, siamo in denze da bambini». rapporto con l’infinito, come ci ricorda In effetti è facile pensare che i miti il titolo del Meeting. politeisti siano solo storielle: battaglie «È vero, ma spesso anche noi cerchiatra dei, simboli naturali per indicare la mo di incasellare con il nostro metodo giustizia o l’amore. Cose da bambini. scientifico l’assoluto. È quella che chiamo «Questa, in fondo, è una forma di colo“modernità omeostatica”, in cui vedo un nialismo intellettuale. Io invece credo che parallelismo con la cultura babilonese. Dail metodo più adeguato per capire quelle vanti all’assoluto invece bisogna fermarsi. civiltà sia di desiderare di appropriarci uSoprattutto se è amore, occorre accettare manisticamente di esperienze affini alle di esserne debitori, essere dipendenti». L’archeologo Giorgio Buccellati nostre. Solo così si può capire che il modo Incasellare l’assoluto, invece, rende la dei babilonesi di descrivere la realtà era un modo per fare i vita un dramma insopportabile... conti con l’assoluto. Frammentavano la realtà in moltissime «Sì, perché noi pensiamo alla provvidenza come a un sudivinità per comprenderla, la incasellavano in certe categorie percomputer o a un capriccio, invece la volontà di Dio è la noper capire. Il sole non è un dio in sé, è l’icona della giustizia, stra esistenza. L’accettazione della volontà di Dio sembra la ma solo e soltanto della giustizia. In fondo noi facciamo lo nullificazione del nostro essere. Invece è l’accettazione del stesso usando il pensiero scientifico». continuo atto creativo di Dio, che continua a crearci». Cioè? P. B.

della Genesi, dove questa esperienza è attestata dalla ripetizione «Dio vide che era cosa buona», che suscita stupore e interesse. Così, dalla creazione si indaga il creatore e l’uomo scopre la sua dignità: è rapporto diretto con Dio. Per i babilonesi gli uomini furono creati per servire gli dei, per il loro riposo». Ma se la realtà è positiva, da dove ha origine il male? Per i popoli mesopotamici non è di per sé un problema. Spiega Buccellati: «È una divinità che si alterna alle altre, nel continuo mutare di forma della realtà. Per essi la realtà è neutra, è una forma di relativismo, per cui si prende la posizione di non prendere posizione. Non siamo forse vicini a quella parte di modernità che vuole ignorare il senso e il dovere della responsabilità delle proprie scelte?». Per la tradizione ebraica, invece, il male entra nel mondo a causa della libertà dell’uomo: «Non è un principio in sé, né è stato creato da Dio. È l’uomo che rifiuta la dipendenza divina, così si apre lo spazio della sua responsabilità e della misericordia di Dio». Diversa la concezione della realtà nelle due culture, diverso il modo di approcciarla. Per i mesopotamici la realtà è prevedibile nella sua totalità, può essere controllata grazie a un costante progresso conoscitivo: «Se l’assoluto non è l’origine, non esiste un dio che vuole, crea e agisce, allora gli dei sono le nostre categorie mentali» spiega Buccellati. Il popolo ebraico, in questo panorama, riceve un grande compito: «Testimoniare che tutto è buono - sottolinea Carbajosa - perché Dio ha mostrato la sua misericordia nella storia, attraverso rapporti privilegiati. Il primo dei quali è stato la vocazione di Abramo, il momento nella storia dove l’imprevedibile intervento di Dio genera un soggetto nuovo. Come lo definisce don Giussani: “Il momento della storia in cui è nato l’Io”». Pietro Bongiolatti


LE INTERVISTE 12

22 agosto

«Partito cattolico? È ancora presto» Vian, direttore dell’«Osservatore Romano», per la prima volta al Meeting «Nostalgia di una presenza in politica, ma difficile capirne ora le forme» Al Meeting arriva per la prima volta e, non lo nasconde, con una certa aspettativa. L’occasione per Giovanni Maria Vian, direttore dell’“Osservatore Romano” dal 2007, è il XVII del centenario dell’Editto di Milano, quello che nel 313 pose fine alle persecuzioni sui cristiani. Con lui, oggi alle 15 in C1, ci sarà il dottore della Biblioteca Ambrosiana Francesco Braschi e due docenti della Cattolica di Milano: Giorgio Feliciani, che insegna diritto canonico, e Alfredo Valvo, professore invece di storia romana, tutti introdotti da Stefano Alberto. Un anniversario, esordisce Vian, «molto importante. Fu una vera svolta, perché introdusse la libertà religiosa». Un tema purtroppo di drammatica attualità: continuamente dobbiamo leggere di persecuzioni ai danni di cristiani in tutto il mondo. In questi giorni al Meeting si parla molto di dialogo interreligioso: è possibile secondo lei? «La convivenza è una scelta non soltanto religiosa e civile, ma anche una via obbligata. Possibile, certo, anche se non facile. Serve rispetto reciproco, che presuppone una conoscenza dell’altro:

«La crisi? Lo sforzo del governo è condivisibile. Ma l’Ue deve avere il coraggio di tornare agli ideali dei suoi padri fondatori» dietro queste circostanze c’è spesso ignoranza. Anche per questo il Meeting è importante, come anche l’impegno di altre realtà cattoliche: i focolarini, Sant’Egidio, Oasis, e soprattutto l’esempio e l’azione della Santa Sede». Parliamo invece della situazione dell’Italia. Nei giorni scorsi Monti e Passera, proprio qui da Rimini, si sono dimostrati ottimisti nei confronti della crisi. Come le sembra si stia muovendo il governo? «Non ho titolo particolare per com-

mentare le vicende politiche italiane. Mi sembra però che lo sforzo in atto sia condivisibile: si chiedono sacrifici, ma guardando al futuro. Il quadro europeo è importante, anche se l’Unione dovrebbe avere il coraggio delle origini, tornando al disegno ideale dei tre grandi politici cattolici (Adenauer, De Gasperi, Schuman) dal quale nacque dopo la II guerra mondiale. Non è un caso che Monti abbia una grande esperienza europea». Per quanto riguarda il futuro politico nazionale, che giudizio ha? Si torna a parlare spesso di “cosa bianca” e partito dei cattolici, le sembra un’idea credibile? «È un tema tornato attuale in questi mesi. Oggi si parla molto di cattolici in politica, e questo deve fare riflettere. C’è nostalgia di questo impegno, ma è difficile capire che forma questo possa prendere. L’auspicio dei vescovi italiani e della Santa Sede è comunque che soprattutto le giovani generazioni tornino a occuparsi della politica come “forma più alta di carità”, secondo la definizione di Paolo VI. Per i cattolici c’è insomma campo aperto, con progetti che

Giovanni Maria Vian è direttore dell’“Osservatore Romano” dal 2007. Interverrà oggi nell’incontro dal titolo “Verso il XVII centenario dell’Editto di Milano”

sono in una fase ancora nascente». Per concludere una domanda sul titolo del Meeting: che senso ha per lei questo tema? Come si esplica nel suo mestiere di giornalista questo “rapporto con l’infinito”? «Per il giornale che dirigo è un tema addirittura costitutivo. L’“Osservatore

Romano” è infatti l’espressione giornalistica di una realtà spirituale mondiale: un caso unico, a pensarci bene. Quando assunsi questo incarico, è stato lo stesso Benedetto XVI a chiederci di contribuire al dibattito culturale perché la società si apra almeno alla possibilità di Dio». Emmanuele Michela


LE INTERVISTE 13

22 agosto

«Ho fatto tentennare la balbuzie» Da ragazzo tartagliava, ora ha un centro per aiutare chi balbetta: «Sognavo cose grandi». La storia di Giovanni Muscarà L’imbarazzo a dire il proprio nome, le fatiche a Londra per lavorare in banca, poi una chiamata dall’Italia: «Perché non fai ciò che vuoi davvero?»

Giovanni Muscarà scherza allo stand del suo International Stuttering Centre, in C1

contento, ma non soddisfatto fino in fondo. Vola a Londra e tenta l’accesso in una banca nel cuore della finanza internazionale. Una telefonata del padre lo rimette coi piedi per terra. «M’ha detto: “Giovanni, quando la smetti di rompere coi soldi e ti metti a fare quel che ti piace?”. Mi ha spiazzato. È lì che mi sono chiesto: cosa voglio davvero?». La domanda è un tarlo che scava. La risposta affiora di colpo: «Voglio parlar

bene sempre, non solo quando mi esercito. E voglio insegnare a farlo a quelli come me». Qui succede l’imprevedibile. Giovanni comincia a riflettere sulle cause della balbuzie e abbozza non una, ma un mosaico di soluzioni. «Ho affrontato il problema in ogni suo aspetto: motorio, respiratorio, logopedistico. Per ognuno dei quali, ho interpellato un professionista disposto a lavorarci». Con un team di specialisti crea una tecnica tutta nuova che speri-

I M P O R TA N T I O B I E T T I V I T E R A P E U T I C I .

menta su se stesso. Risultati? Ottimi. «Il primo test è stato un’intervista a un’emittente radiofonica. Avevo paura, ma alla fine ho parlato a 400 all’ora». A questo punto, per uno come Muscarà, fermarsi non ha senso. «Quel sogno, fare cose grandi, ce l’avevo ancora addosso. Così ho fondato una società e trovato una sede presso la Fondazione Filarete, a Milano. È nato il centro internazionale contro la balbuzie che adesso dirigo (International

Stuttering Centre)». Giovanni allora molla il lavoro in Kpmg e investe tutto in quel sogno. I primi giovani a frequentare il centro dimostrano che la tecnica funziona e le iscrizioni crescono man mano. La soddisfazione più grande per Giovanni è questa: «Vedere le facce contente di quelli alla fine del corso - racconta -. Certo, non li puoi mica mollare. Devi seguirli sempre, anche una volta usciti da scuola. Alcuni 24 ore su 24. Hanno bisogno di sentire che tu ci sei, che la battaglia si può vincere sempre». Il segreto di tutto? «Fedeli al proprio cuore. Io non ci ho mai rinunciato a tirar su qualcosa di grande. È nato l’International Stuttering Centre». Dici poco. Cristiano Guarneri

Superando gli attuali standard terapeutici. Stiamo sviluppando nuovi farmaci di maggiore efficacia, migliore profilo di resistenza, migliore indice di sicurezza e con schemi di dosaggio più semplici. Grazie ad ogni progresso nelle terapie, cerchiamo di migliorare significativamente la cura del paziente e la vita umana. Combattiamo patologie gravi. In Gilead applichiamo il meglio della scienza biofarmaceutica per creare medicinali innovativi che portino nuove speranze nella lotta contro l'HIV/AIDS, patologie del fegato e gravi patologie cardiovascolari e respiratorie.

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© 2009 Gilead Sciences, Inc.

CURE M IGLIORI.

Dep. AIFA in data 08.03.10

Sotto l’immagine di un frutto tondo color verde campeggia la scritta “Se questa è una me-me-me-mela, allora chiamaci!”. Slogan a effetto, venato d’ironia. La balbuzie si batte anche così. La storia di Giovanni Muscarà è piena di questi colpi a sorpresa. Non a caso, il suo stand qui al Meeting (padiglione C1) conta un numero di visite altissime: il gadget in regalo è di quelli più in voga, una clava gonfiabile con la scritta “ammazza la balbuzie”. Scavando, scopri che la storia di Giovanni è anche piena di fatica, sacrificio, sorrisi di pietà ogni volta che tartaglia. Ecco il problema. «Troppo spesso - racconta lui - chi ne soffre la prende alla leggera. Poi, forse tardi, ci si accorge che ti condiziona la vita». Giovanni è uno che non scappa. La sua fortuna si chiama fedeltà. «Ho sempre sognato di fare cose grandi - spiega - e non ho mai cambiato idea. Poi mi dicevo: come faccio a riuscirci se per dire il mio nome impiego un quarto d’ora?». Frequenta corsi di correzione, ore e ore di allenamento, anche 5 o 6 alla vigilia di qualche appuntamento importante. Succede appena prima il colloquio di lavoro in Kpmg, società di alta finanza. «Com’è andato? Benissimo, alla fine m’han chiesto: “Ma quanto parla lei?”». In poco tempo (ma con tantissimo lavoro), approda nell’ufficio top della società. È


VITA DA MEETING 14 22 agosto

Anche il caldo è infinito Ecco le oasi di frescura

Il segreto di Bartali

Il nostro inviato sulle tracce di “Lucifero”. Con una copia del “Quotidiano” per darsi refrigerio Una mappa di sopravvivenza tra “zone rosse” e (pochi) paradisi. In attesa di “Beatrice” “Lucifero” contro il Meeting. Sembra uno scherzo ma i meteorologi hanno chiamato quest’ultima ondata di calore africano con il nome del re degli inferi. Camminando tra i padiglioni è evidente che il “Lucifero” meteorologico si aggira davvero in Fiera. Tra ventagli agitati freneticamente (a volte qualcuno usa anche il nostro Quotidiano) e aloni sospetti sulle camicie, la domanda sorge spontanea: ma l’aria condizionata c’è? La scelta tecnica obbligata di alternare le aree condizionate è sicuramente rispettabile, ma porta con sé conseguenze. Abbiamo percorso la Fiera per scoprire quanto il diabolico visitatore vi sia penetrato e dove siano le sacche (fresche) di resistenza. Entriamo in Fiera dopo aver camminato sotto il sole. Il contraccol-

❄ po è notevole, ma il sollievo è di breve durata: anche qui fa un gran caldo. Infatti, dai bocchettoni dello Sport Village esce aria “non condizionata”: i temerari che stanno giocando a calcetto e a beach volley sudano vistosamente. Il nostro percorso quasi dantesco prosegue verso la Hall sud: qui si respira. Se volete però la vera oasi bisogna salire in Sala Neri: la temperatura è fissa sui 16-17 gradi (un clima del genere potete trovarlo fuori dall’in-

gresso vip dell’auditorium). Dopo la Hall sud comincia la red zone, qui “Lucifero” impera. Siamo nell’area dei fast food: la differenza con l’esterno è impercettibile. Dopo esserci immedesimati con l’eroe che in quel momento sta friggendo le patatine, passiamo nella seconda zona critica. “Lucifero” ha aggredito la mostra sui giovani. L’imprevedibile istante dell’ingresso è da colpo di calore tra faretti, proiettori per i video, concentra-

zione di persone. C’è chi, disperato, cerca refrigerio uscendo all’aperto e bagnando i piedi nelle piscine. Ma eccoci all’auditorium: qui l’aria condizionata funziona, ma è ora di uscire dalla Hall est e affrontare il sole luciferino. Non disperiamo. Da venerdì arriverà un po’ di tregua: per noi novelli Dante arriverà la pioggia. Manco a dirlo, quest’ondata di fresco l’hanno chiamata “Beatrice”… Marco Capizzi

Esiste una rivalità più leggendaria nella storia dello sport italiano? Quella tra Bartali e Coppi è insuperabile. Addirittura dopo sessant’anni si discute ancora su una foto: chi dei due ha passato la bottiglia d’acqua all’altro durante quella tappa assolata del Tour? Nando Sanvito, giornalista sportivo di Mediaset, racconta al Meeting uno dei duelli più avvincenti di sempre attraverso foto e filmati: l’incontro è oggi pomeriggio alle 18 al Villaggio Ragazzi (padiglione C3). È la storia di due rivali e di un’amicizia umana autentica, affascinante nella sua drammaticità. Due campioni diventano il simbolo dello sport cavalleresco: schietto contadino Bartali, atleta tormentato Coppi. Così diversi ma alla fine insieme sulla bici, necessari l’uno all’altro per diventare se stessi. Dall’inizio del duello nel 1940 fino alle polemiche al campionato del mondo. Immagini d’epoca e fiction ci aiutano a rivivere la storia del loro rapporto. E su quel famoso passaggio della bottiglia rispunta un video… G. N.


VITA DA MEETING 15 22 agosto Le volontarie kazake al Meeting di quest’anno

Dal Kazakistan al Meeting per fare i volontari. Una scelta coraggiosa. Viaggio lunghissimo, sacrifici economici che da noi in Occidente, nonostante la crisi, facciamo fatica a immaginare. E poi le difficoltà con la lingua difficile da padroneggiare. Galina vive a Karaganda, importante città del paese dell’Asia centrale un tempo inglobato nell’Unione Sovietica, e non è stato così immediato fare la volontaria al ristorante “Il Chicco e il Grano”. «Quest’anno ho vissuto un brutto momento di crisi, sia personale sia economica. Non avevo soldi e lavoro e non pensavo di riuscire a essere qui con voi. A maggio la situazione è migliorata e ho lavorato giorno e notte per raccogliere il denaro per venire al Meeting come volontaria». Sì, ha lavorato giorno e notte in Kazakistan per venire a lavorare gratis in Italia. Ma un guadagno c’è stato. «Attraverso il servizio come volontaria sto imparando la pazienza e l’attenzione nel mio lavoro», dice. Galina, 38 anni, ha sulle spalle vent’anni di lavoro come stuccatrice e imbianchina. Ha scelto questa strada perché era orfana e lavorare nell’edilizia era il modo più semplice per avere un reddito immediato. Per un certo periodo aveva seguito alcuni lavori nel convitto di un’università: qui nel 2001 incrociò uno studente che la invitò a un incontro con papa Giovanni Paolo II, in visita in

aver ancora capito, ma so di aver incontrato qualcosa che fa diventare la mia vita più interessante. Non avevo mai visto così tante persone che stanno insieme avendo cura una dell’altra, non solo in vacanza, ma nella vita quotidiana». Purtroppo Yelena vive in un paesino fuori Karaganda e non riesce a vedere sempre gli amici del movimento, ma ogni occasione è buona, anche il Meeting. «Mi hanno invitato a lavorare come volontaria al Meeting e ho detto si. È da tanto che non lavoro gratuitamente, perché alcune circostanze mi hanno portato a fare sempre calcoli» conclude Yelena. Il Meeting “fa gola” a tutti, anche a Yekaterina. «Ho incontrato il movimento perché vedevo come la mia amica Luba viveva dopo essere tornata dal Meeting ed ero invidiosa, perché lei riusciva a vivere i momenti difficili con gioia. Allora Luba mi ha detto una frase di don Giussani: il cristianesimo passa attraverso la curiosità». Con curiosità Yekaterina accetta l’invito a una vacanzina estiva. «Persone di diverse età e professioni stavano insieme e non capivo cosa li legava. Qualcosa che non potevo toccare, ma che desideravo anche per me. Incontrando il movimento di Cl ho iniziato a rivivere la mia tradizione ortodossa in modo vero». Benedetta Consonni

Imbianchina e ortodosse I miracoli del Kazakistan Galina, volontaria da Karaganda: «Ho fatto la stuccatrice giorno e notte per potere essere qui a lavorare gratis». E Yekaterina: tra di voi vivo di più la mia fede Kazakistan. Lei non accettò, anche perché sempre aveva considerato il Papa in modo vago: «Per me la religione era astratta, io credevo in me stessa». L’amico non cedette e la invitò a una vacanza invernale con alcuni amici di CL. Insomma vieni e vedi, evidentemente qualcosa di buono. «Sono andata in vacanza e nel 2003 ho chiesto il sacramento del

Battesimo. Nel 2007 sono entrata a far parte della fraternità di Comunione e liberazione. Io vengo da un orfanotrofio e ho scritto a Carron chiedendogli una famiglia». Insieme a lei al “Chicco e il Grano” lavorano altre due amiche che vengono dal Kazakistan, Yelena e Yekaterina, entrambe insegnanti che hanno incontrato l’esperienza del movimento

attraverso una terza insegnante, Luba. «Ho conosciuto Cl la scorsa estate – racconta Yelena –. Ho parlato con la mia collega Luba e le ho raccontato la mia vita. Apparentemente andava tutto bene, ma piangevo perché i rapporti in famiglia non mi soddisfacevano. Luba mi ha semplicemente invitato a una vacanza, senza spiegarmi di che cosa si trattava. Tuttora credo di non


CULTURA 16

22 agosto

Cormac McCarthy Di vita, di morte e di altre grandezze Colloquio con Davide Perillo, direttore di “Tracce”, che stasera presenta una rilettura dell’autore de “La strada” e “Non è un paese per vecchi” Scrivere è «raccontare solo questione che hanno a che fare con la vita e la morte». Non c’è libro di Cormac McCarthy che non lo evidenzi. Talvolta in controluce, più spesso in modo crudo. L’autore americano – tra i più noti della letteratura contemporanea mondiale – lo ha ammesso in una delle sue ultime (e rarissime) interviste. Ed è questa, insieme allo stile capace come pochi di sondare il reale, la ragione per cui meriterebbe l’accostamento dei lettori. Ne parlerà oggi al Meeting Davide Perillo, direttore del mensile “Tracce”, nell’incontro che seguirà quello in programma alle 19, presso il Caffè letterario (D5). Come altri autori conterranei (Flannery O’Connor su tutti), anche McCarthy privilegia la narrazione ambientata nei luoghi

dove vive, il sud degli Stati uniti. Lì si muovono i protagonisti della “Trilogia della frontiera”, composta dai romanzi “Cavalli selvaggi”, “Oltre il confine” e “Città della pianura”, o i banditi raccontati in “Meridiano di sangue”. In questi e nei capolavori successivi – dal più noto “La strada” a “Non è un paese per vecchi” – c’è comunque un rischio dietro l’angolo: «Talvolta sembra che il male l’abbia vinta – spiega Perillo –. Soprattutto quando è fine a se stesso (si pensi al personaggio di Anton Chigurh). Proprio lì, e non altrove, si fa spazio invece la presenza del mistero, irriducibile. Ecco, la parola giusta è questa: irriducibile presenza del mistero». Lo sceriffo Ed Tom Bell, per restare all’indimenticato “Non è un paese per vecchi”, la riconosce nell’abbeveratoio della sua

Un fotogramma del film “The road” (2009), diretto da John Hillcoat e tratto dal romanzo di Cormac McCarthy, pubblicato in Italia da Einaudi

casa d’infanzia e in chissà quale promessa di bene spinse l’uomo che lo costruì. Nei territori devastati di “The road” è intercettabile nel rapporto padre-figlio e in quella possibilità di non soccombere perché «noi abbiamo il fuoco». «Il punto di sfida per chiunque – spiega Perillo – è esattamente questo. Non se la storia ha un “lieto fine”, ma quale risposta diamo alla domanda: di cosa è fatta la realtà? Anche negli ambiti più bui e reconditi, McCarthy mostra che è

fatta di mistero e promessa». Che il male non abbia l’ultima parola anche quando sembrerebbe, lo si legge – qui ancor più in controluce – nelle pagine di “Sunset limited”. Il serrato dialogo tra i personaggi del testo (il Bianco e il Nero) ha un epilogo ben lontano dal lieto fine, quando il primo abbandona la scena probabilmente ancora deciso a togliersi la vita. «Vince il nulla? No – spiega Perillo – vince qualcosa che è più forte del nulla: la libertà. McCarthy lo mo-

stra anche quando questa è usata male». Una raccomandazione finale chiuderà l’incontro. «Eviterei – avverte Perillo – la tentazione di adattare un autore simile a ciò che si vorrebbe e invece non è. Abbiamo per le mani un narratore quasi unico della realtà, capace di illustrarne anche le parti più scomode, generalmente anestetizzate. Mostrando, senza appiccicarvela, l’irriducibilità del mistero. Punto». Cristiano Guarneri

Emilia Romagna

sorriso

Terra con l’anima e col

Facile essere felici in Emilia Romagna quando c’è gente che ti accoglie ridendo, quando profumi e sapori ti conquistano, quando città d’arte, spiagge, parchi e terme fanno a gara per sorprenderti… A noi piace così: ci mettiamo l’Anima per farti vivere Vacanze col Sorriso!

Mercoledì 22 agosto

Giovedì 23 agosto

Venerdì 24 agosto

Ore 18:30: Degustazione, su invito, di prodotti tipici DOP della Provincia di Reggio Emilia, accompagnati da vini DOC del territorio.

Ore 16:30: “Atlante della fauna e della flora nell’Adriatico”

Ore 18:30: Degustazione, su invito, di prodotti tipici DOP della Provincia di Parma, accompagnati da vini DOC del territorio.

Relatore: Attilio Rinaldi Ore 18:30: Degustazione, su invito, di prodotti tipici DOP della Provincia di Ferrara, accompagnati da vini DOC del territorio.

Ritira il coupon degustazione presso lo stand della Regione Emilia Romagna, (Pad. HS, Stand n° 1, Ingresso SUD), ogni giorno, fino ad esaurimento, la mattina stessa della degustazione. Tutti gli incontri e le degustazioni si svolgeranno nella pedana esterna - area piscina - (Hall Sud).


SPETTACOLO 17

22 agosto

La bellezza che ci salverà I monaci ortodossi portano la musica corale russa al Meeting La musica russa è l’espressione di un popolo intero che canta. Don Luigi Giussani amava sottolineare la profonda diversità della composizione russa rispetto a quella occidentale. E spesso si soffermava a citare il confronto fra due giganti della musica, Beethoven e Rachmaninov. La ricerca disperata e solitaria di senso che traspare dalle note del compositore tedesco è profondamente diversa dal carattere dell’artista russo, legato fino in fondo all’identità e alla cultura del suo popolo. La musica russa è sinceramente attaccata all’utilizzo della voce, e alla coralità, come strumento di armonia e di unità fra le diverse voci di cui il coro è composto. Mentre quella occidentale, pur se orchestrale, è spesso espressione di un io tormentato di fronte al mondo. Per permettere a questo vento di novità che spira dall’est di contagiare anche il popolo del Meeting, domani sera alle 21.45 presso l’Arena D3 si esibirà dal vivo il coro metropolitano ecclesiastico di San Pietroburgo. Un programma che prevede dodici pezzi, tra cui i Vespri di Sergej Vasil’evic Rachmaninov (op. 37, 1915) e opere di altri autori di rilievo, oltre a un interessante repertorio di canti popolari della tradizione russa, dedicati alla natura (“Volano le gru”), alla vita dei soldati (“Ehi tu, mio campo”) e alla vita dei battellieri del Volga (“Su, forza!”). Caratteristica fondamentale di questa esecuzione è dunque l’importante effetto sonoro, ottenuto solamente con l’utilizzo della voce umana e senza ausilio di altri strumenti. Un’esecuzione corale, insomma, che ha la potenza di una vera e propria sinfonia. Il coro, composto da ben quaranta monaci ortodossi, ha conosciuto per la prima volta la storia del Meeting in Estonia, ormai qualche anno fa. Da lì è nata l’idea di partecipar-

Il Coro Metropolitano ecclesiastico di san Pietroburgo si esibirà questa sera alle 21,45 all’Arena D3

vi, per portare anche in Italia, dove non si erano mai esibiti, la loro vocazione artistico-religiosa. Come hanno affermato alcuni componenti del coro, che fin dalla giornata di ieri si sono avventurati per i padi-

glioni della fiera: «Crediamo che la proposta della tradizione ortodossa possa essere ben compresa ed apprezzata anche in Italia. Molti dei nostri compositori sacri o di musica classica hanno avuto un’educa-

zione in Occidente ed hanno vissuto in Italia o in Europa. La diversità delle tradizioni, dunque, si stempera nella profonda affinità delle nostre culture musicali e religiose». Un coro che ha appena compiuto

E intanto Molino presenta Rachmaninov Volete prepararvi al meglio per il concerto del coro di san Pietroburgo? Un’ottima occasione è l’appuntamento in programma, sempre questa sera, alle 19,00 presso la Sala Neri. Il maestro Pippo Molino, compositore e per lungo tempo professore presso il conservatorio di Milano, proporrà una guida all’ascolto di alcuni brani tratti dal cd n. 17 della collana “Spirto Gentil”, interamente dedicato al compositore russo Sergeij Rachmaninov. In particolare, l’ascolto verterà sui Vespri (op. 17, 1915) un elemento centrale della liturgia pasquale ortodossa. L’appuntamento fa parte della serie di incontri organizzati per riproporre, come ogni anno, la collana fortemente voluta da don Luigi Giussani come strumento di aiuto e comprensione dei temi più profondi della musica. È interessante notare le radici umili in cui affonda l’opera del grande maestro russo. Rachma-

ninov, infatti, non ha scritto egli stesso il testo dei Vespri e nemmeno ha utilizzato una versione particolarmente pregevole. Ha scelto invece la versione utilizzata comunemente agli inizi del Novecento in gran parte delle celebrazioni liturgiche, limitandosi (se così si può dire) ad un’opera di armonizzazione. Un elemento di ulteriore pregio che caratterizza la guida all’ascolto di stasera è l’esecuzione proposta. La versione contenuta nel cd n. 17 è la riedizione in digitale di un lp inciso a metà degli anni ’70 dal coro dell’Accademia di Stato dell’Urss, diretto dal grande maestro Aleksandr Vasil'evic Svesnikov. Si tratta di un personaggio profondamente credente e per ciò avverso all’establishment comunista, che però non era mai riuscito a emarginarlo per via della sua grande conoscenza musicale. G. Z.

Valentina Oriani, voce degli “Origines trio”. Il gruppo proporrà stasera un percorso musicale con melodie da tutto il mondo.

Canti popolari e desiderio: è “Cara beltà” in musica Voce, chitarra e un «cuore spalancato all’infinito»: è la musica degli “Origines trio”, stasera in scena in D2 Suoni misteriosi, melodie antiche, armonie perdute. Questa sera “Origines trio” farà rivivere tradizioni musicali provenienti da tutto il mondo. Un viaggio non solo geografico ma anche temporale, che coinvolge ispirazioni di varie epoche e di ogni luogo. L’appuntamento è per le 19.45 al teatro D2 Frecciarossa 1000, al prezzo di 10 euro. Ad accompagnare il pubblico in questo particolare percorso saranno tre musicisti di primo piano: Valentina Oriani, la voce del trio, Marco Squicciarini, il chitarrista, e Stefano Dall’Ora, al contrabbasso. «È importante che lo spettacolo sia presentato quest’anno - racconta Valentina al “Quotidiano Meeting” -. Quello che ci anima infatti è il desiderio d’infini-

to». Il titolo “Cara beltà” è legato alla capacità della bellezza di risvegliare questo desiderio. Le musiche non sono riproposte nella loro veste originale, ma riviste e arrangiate seguendo la sensibilità degli interpreti. «Nell’esibizione - prosegue Valentina - cantiamo prima di tutto per noi, per riscoprire attraverso la bellezza della musica il desiderio d’infinito del nostro cuore». Per questo, per trasmettere il loro messaggio, è importante che gli adattamenti seguano l’impostazione personale data dal trio. Il percorso musicale inizia con un canto in cui emergono la nostalgia e la drammaticità del desiderio che non incontra una risposta. Prosegue con un canto sefardita, tipico della

quarant’anni e che ha mosso i suoi primi passi dentro il dramma di un’Unione Sovietica che andava lentamente sfaldandosi ma dove le rappresentazioni a carattere religioso erano tassativamente proibite. Oggi, invece, nei paesi dell’Est incontrano un plauso e un successo trasversali, e sono chiamati ad esibirsi non solo nelle chiese, ma anche in università, in circoli di scienziati e in fiere e manifestazioni canore. Perché sono convinti che la loro musica possa arrivare ovunque, anche a chi è laico, agnostico, oppure ateo. Un cuore aperto, infatti, accoglie qualsiasi forma di bellezza. Con un repertorio che va dai canti popolari alla musica sacra, questo importante coro rappresenta una novità assoluta dal vivo, anche per l’imponenza dell’esecuzione. La natura profonda di un coro implica la consapevolezza di essere profondamente legati gli uni agli altri, come un unico popolo. Una concezione meno diffusa nel mondo occidentale, in cui, anche nell’espressione musicale, spesso prevale l’individualismo esecutivo e compositivo. Qualcuno potrebbe paventare il rischio di un’omologazione o dell’annacquamento dell’io nell’espressione del gruppo. Un’obiezione che i coristi russi respingono. Affermando piuttosto la consapevolezza «di portare ovunque l’espressione di qualcosa di bello. E il bello viene sempre capito». In fondo, è la grande affermazione di Dostoevskij: «La bellezza salverà il mondo». Avrebbe dovuto aggiungere l’aggettivo “occidentale”. Giovanni Zaccaroni

tradizione degli ebrei emigrati nel sud della Spagna, in cui è evidenziato il momento dell’attesa, del bisogno di una risposta. Successivamente saranno proposti canti dedicati a Gesù e a Maria, risposta proprio a quell’attesa. Per chiudere, canti di pellegrinaggio, a suggerire l’idea di missione dopo la rivelazione. Ma perché proporre musiche e canti popolari poco conosciuti, e non avvalersi di canzoni moderne e più orecchiabili? Valentina spiega: «Anche noi ascoltiamo musica con-

temporanea! La amiamo moltissimo. Io, ad esempio, ammiro Amy Winehouse. La domanda di Amy e il suo bisogno sono gli stessi della protagonista di una canzone che proponiamo stasera. Però noi possiamo trasmettere il nostro desiderio solo attraverso i doni che Dio ci ha dato. E le nostre capacità ci permettono di esprimerci meglio attraverso le musiche popolari». Conclude Valentina: «Vogliamo che il concerto sia l’inizio di un percorso per il pubblico. Non mi interessa che al termine della serata uno spettatore venga a complimentarsi per la mia voce. Voglio che lo raggiunga la stessa bellezza di cui io sono partecipe nel canto, per spalancare il suo desiderio d’infinito». Alberto Castagna


WORKSHOP CONAI:

DAL RECUPERO DEGLI IMBALLAGGI UN’OPPORTUNITA’ DI CRESCITA SOSTENIBILE Il recupero dei rifiuti di imballaggio quale fattore di crescita sostenibile: questo il tema del workshop organizzato da CONAI, Consorzio Nazionale Imballaggi, che si terrà oggi alle ore 16 presso il Palco Eventi Expo del Meeting di Rimini. CONAI rappresenta un sistema che crea valore per l’Italia e che, sostenendo il processo virtuoso del recupero e riciclo degli imballaggi, non ricopre solo un ruolo chiave nella tutela dell’ambiente, ma anche nella promozione di pratiche di economia sostenibile: dal 1997, anno della sua nascita, tra costi di smaltimento ed emissioni da riciclo evitati, valore delle materie prime seconde generate, costi evitati grazie alla prevenzione e indotto, ha generato benefici netti per 11,1 miliardi di euro. Un sistema che, pur in un momento di crisi economica, ha contribuito all’economia del Paese

anche dal punto di vista occupazionale: a tutto il 2011, la filiera della raccolta e del riciclo occupa 20.825 addetti. Grazie all’attività di CONAI durante gli ultimi 15 anni, sono stati recuperati circa 96,3 milioni di tonnellate di imballaggi in acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro, contribuendo a una riduzione significativa dei quantitativi destinati a smaltimento in discarica, ridotti di circa il 60%. Nel corso dell’incontro odierno, Roberto De Santis e Walter Facciotto, Presidente e Direttore generale di CONAI, approfondiranno tutti questi aspetti. Intervistati da Sergio Luciano, presenteranno i risultati ottenuti dal Consorzio e gli obiettivi per il futuro, sottolineando l’importanza di un atteggiamento di impegno condiviso tra imprese, pubblica amministrazione e cittadini.

COS’È CONAI

CONAI, Consorzio Nazionale Imballaggi, è un consorzio privato ƐĞŶnjĂ ĮŶŝ Ěŝ ůƵĐƌŽ ĐŚĞ ŐĂƌĂŶƟƐĐĞ ů͛ĂǀǀŝŽ Ă ƌŝĐŝĐůŽ Ğ ƌĞĐƵƉĞƌŽ ĚĞŐůŝ ŝŵďĂůůĂŐŐŝ Ěŝ ĂĐĐŝĂŝŽ͕ ĂůůƵŵŝŶŝŽ͕ ĐĂƌƚĂ͕ ůĞŐŶŽ͕ ƉůĂƐƟĐĂ Ğ ǀĞƚƌŽ͕ ƉĞƌƐĞŐƵĞŶĚŽ Őůŝ ŽďŝĞƫǀŝ Ěŝ ůĞŐŐĞ Ğ ůĂǀŽƌĂŶĚŽ Ă ƐƚƌĞƩŽ ĐŽŶƚĂƩŽ ĐŽŶ ůĞ ƉƵďďůŝĐŚĞ ĂŵŵŝŶŝƐƚƌĂnjŝŽŶŝ͕ ŐƌĂnjŝĞ Ăůů͛ ĐĐŽƌĚŽ ƋƵĂĚƌŽ E /Ͳ KE /͘ CONAI ğ ĐŽƐƟƚƵŝƚŽ ĚĂ ŽůƚƌĞ ϭ͘ϰϬϬ͘ϬϬϬ ŝŵƉƌĞƐĞ ƉƌŽĚƵƩƌŝĐŝ Ğ ƵƟůŝnjnjĂƚƌŝĐŝ Ěŝ ŝŵďĂůůĂŐŐŝ Ğ ĐŽƐƟƚƵŝƐĐĞ ŝŶ /ƚĂůŝĂ ƵŶ ŵŽĚĞůůŽ Ěŝ ŐĞƐƟŽŶĞ ĚĂ ƉĂƌƚĞ ĚĞŝ ƉƌŝǀĂƟ Ěŝ ƵŶ ŝŶƚĞƌĞƐƐĞ Ěŝ ŶĂƚƵƌĂ ƉƵďďůŝĐĂ Ͳ ůĂ ƚƵƚĞůĂ ĂŵďŝĞŶƚĂůĞ Ͳ ŝŶ ƵŶ͛ŽƫĐĂ Ěŝ ƌĞƐƉŽŶƐĂďŝůŝƚă ĐŽŶĚŝǀŝƐĂ ƚƌĂ ŝŵƉƌĞƐĞ͕ ƉƵďďůŝĐĂ ĂŵŵŝŶŝƐƚƌĂnjŝŽŶĞ Ğ ĐŝƩĂĚŝŶŝ͕ ĐŚĞ ǀĂ ĚĂůůĂ ƉƌŽĚƵnjŝŽŶĞ ĚĞůů͛ŝŵďĂůůĂŐŐŝŽ ĂůůĂ ŐĞƐƟŽŶĞ ĚĞů ĮŶĞ ǀŝƚĂ ĚĞůůŽ ƐƚĞƐƐŽ͘ ϭϱ ĂŶŶŝ Ěŝ Ăƫǀŝƚă Ğ Ěŝ ƌŝƐƵůƚĂƟ ĐŽŶĨĞƌŵĂŶŽ ŝů ƐƵĐĐĞƐƐŽ Ěŝ KE /͗ ĚĂů ϭϵϵϳ ĂĚ ŽŐŐŝ ŝ ƌŝĮƵƟ Ěŝ ŝŵďĂůůĂŐŐŝŽ ƌĞĐƵƉĞƌĂƟ ƐŽŶŽ ƉĂƐƐĂƟ dal 33,2% al 73,7%͕ ĐŽŶ ƵŶĂ ƌŝĚƵnjŝŽŶĞ ĚĞŝ ƋƵĂŶƟƚĂƟǀŝ ĚĞƐƟŶĂƟ ĂůůŽ ƐŵĂůƟŵĞŶƚŽ͕ ƉĂƐƐĂƟ dal 66,6% al 26,3%͘ /Ŷ ĂůƚƌĞ ƉĂƌŽůĞ͕ ϯ ŝŵďĂůůĂŐŐŝ ƐƵ ϰ ƐŽŶŽ ƐƚĂƟ ƌĞĐƵƉĞƌĂƟ͕ ĞƌĂŶŽ ϭ ƐƵ ϯ ŶĞů ϭϵϵϴ͘


I FATTI DI OGGI 19 22 agosto Alle 17 l’astronauta Nespoli, alle 19 Formigoni Incontri EUROPA: UNA, NESSUNA, CENTOMILA Ore 11.15 Auditorium B7 Partecipano: Mario Mauro, capo delegazione del PdL al Parlamento Europeo; Luís Miguel Poiares Maduro, director of the Global Governance Programme, European University Institute; Antonio Tajani, vicepresidente Commissione europea. Introduce Marco Bardazzi.

LA GIORNATA

EVOLUZIONE BIOLOGICA E NATURA DELL’ESSERE UMANO Ore 11.15 Sala A3 Partecipano: William E. Carroll, aquinas fellow in Theology and Science, Blackfriars Faculty of Theology, University of Oxford; Ian Tattersall, curator emeritus in the Division of Anthropology of the American Museum of Natural History in New York City. Introduce Marco Bersanelli, docente di astrofisica all’Università degli Studi di Milano. EDUCAZIONE, IDENTITÀ E DIALOGO Ore 11.15 Sala C1 Siemens Partecipano: Ignacio Carbajosa Pérez, docente di Antico Testamento presso la facoltà di Teologia dell’Università San Dámaso di Madrid; Alon Goshen-Gottstein, director of the Elijah Interfaith Institute; Abdel-Fattah Hassan, docente di letteratura italiana alla Ain Shams University del Cairo. Introduce Roberto Fontolan. LAVORI IN CORSO. L’ITALIA CHE ARRIVA Ore 11.15 Sala Neri GE In collaborazione con Unioncamere. Partecipano: Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade per l’Italia e di Atlantia spa; Raffaele Cattaneo, assessore alle Infrastrutture e mobilità della Regione Lombardia; Mario Ciaccia, vice ministro delle Infrastrutture e dei trasporti; Luigi Grillo, presidente della Commissione lavori pubblici e comunicazione del Senato della Repubblica italiana; Michele Pizzarotti, vicepresidente dell’Impresa Pizzarotti & C. spa. Introduce Lanfranco Senn, presidente di Metropolitana Milanese e direttore del CERTeT. …SOTTO LE STELLE, IL LIBRO DEL MISTERO: LA POESIA DI GIOVANNI PASCOLI Ore 11.15 Eni Caffè Letterario D5 Partecipa Davide Rondoni, poeta e scrittore. Introduce Emilia Guarnieri.

MEETING

QUOTIDIANO Direttore Stefano Filippi Direttore responsabile Cesare Trevisani Editore Associazione Meeting per l’amicizia tra i popoli Associazione riconosciuta con D.P.R. n.869 del 6/8/1986, sede: via Flaminia 18/20, c.p. 1106, 47900 Rimini. Tel. 0541-783100, Fax. 0541-786422. Progetto grafico G&C, Milano Impaginazione Èdita, Rimini Fotolito e stampa Sigraf via Redipuglia, 77 Treviglio (BG) Registrazione Tribunale di Rimini n.16/91 del 15/07/1991 Pubblicità Ufficio commerciale Meeting Tel. 0541-783100 Fotografi Paola Marinzi, Giovanni Zennaro, Anna Arigossi E.mail: quotidiano@meetingrimini.org

RASSEGNA STAMPA

“CHE COS’È L’UOMO PERCHÉ TE NE RICORDI?”. GENETICA E NATURA UMANA NELLO SGUARDO DI JÉRÔME LEJEUNE Ore 15.00 Sala A3 Partecipano: Birthe Bringsted Lejeune, vicepresidente della fondazione Jérôme Lejeune; Jean-Marie Le Méné, presidente della fondazione Jérôme Lejeune; Carlo Soave, curatore della mostra e do-

reportage di Jennifer Lahl e Justin Baird. Produzione: The Center for Bioethics and Culture Network. Partecipa Jennifer Lahl, founder and president of The Center for Bioethics and Culture Network, California.

Tra Europa e libertà cente di fisiologia vegetale all’Università degli Studi di Milano. Introduce Marco Bregni, presidente dell’associazione Medicina e Persona. VERSO IL XVII CENTENARIO DELL’EDITTO DI MILANO Ore 15.00 Sala C1 Siemens Partecipano: Francesco Braschi, dottore incaricato della Biblioteca Ambrosiana; Giorgio Feliciani, docente di diritto canonico all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Alfredo Valvo, docente di storia romana all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Giovanni Maria Vian, direttore de L’Osservatore Romano. Introduce Stefano Alberto. IL NON PROFIT, MOTORE DELL’EUROPA Ore 15.00 Sala Neri GE In collaborazione con Commissione Europea. Partecipano: Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà e membro del Comitato Economico Sociale Europeo (Cese); Marco Morganti, amministratore delegato di Banca Prossima e membro del gruppo di esperti della Commissione Europea sull’Imprenditoria Sociale; Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Europea, commissario responsabile per l’industria e l’imprenditoria. Introduce Monica Poletto, presidente della Compagnia delle Opere - Opere sociali. GUARDANDO LA TERRA… DALLE STELLE. UN ASTRONAUTA SI RACCONTA Ore 17.00 Auditorium B7 Partecipa Paolo Nespoli, astronauta. Introduce Marco Bersanelli, docente di astrofisica all’Università degli Studi di Milano. LOMBARDIA: DISCUSSIONE SU PRESENTE E FUTURO Ore 19.00 Sala A3 Partecipano: Lodovico Festa, giornalista e saggista; Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia; Oscar Giannino, giornalista e senior Fellow dell’Istituto Bruno Leoni; Pierluigi Magnaschi, direttore di ItaliaOggi. ALBANIA, ATHLETA CHRISTI. ALLE RADICI DELLA LIBERTÀ DI UN POPOLO Ore 19.00 Sala C1 Siemens Partecipano: Teodor Nasi, curatore della mostra; Ardian Ndreca, docente di filosofia e direttore dell’Istituto per lo Studio dell’Ateismo e delle culture (I.S.A.) alla Pontificia Università Urbaniana; Agron Tufa, direttore dell’Istituto degli Studi sui crimini di Tirana. Introduce Giorgio Paolucci, caporedattore centrale di Avvenire.

«Mario Monti è a Rimini, al Meeting di Comunione e Liberazione. [...] Il premier procede a passo regolare, guarda di qui e di là. Ma a un certo punto si ferma, qualcosa ne attira l’attenzione. È il video di una ragazza [...] Si chiama Cecilia e racconta del suo arrivo a Taiwan e poi in Cina, a Shanghai. La frase che colpisce il premie è quella in cui la giovane racconta del suo rapporto con il Dragone come di un innamoramento [...] “quando ho cominciato a capire il mondo cinse, ho dovuto ammettere che non riuscivo a fare altro se non studiare il cinese. Come quando t’innamori...”».

Spettacoli

Focus CERCARE IL LAVORO CON ADEGUATE RAGIONI. UN CAFFÈ CON… Ore 13.45 PAD. B5 Partecipano: Andrea Cammelli, docente di statistica sociale all’Università degli Studi di Bologna e direttore di AlmaLaurea; Giovanni Rovetta, studente di architettura al Politecnico di Milano. Introduce Marco Lezzi, membro del Cnsu (Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari). IL LAVORO PER LE FUTURE GENERAZIONI Ore 19.00 Sala Mimosa B6 Partecipano: Stefano Colli-Lanzi, amministratore delegato di Gi Group e vicepresidente di Assolavoro; Fabio Cusin, vicepresidente di Gemeaz Elior Spa; Paolo Giovanni Del Nero, assessore allo Sviluppo economico, formazione e lavoro della Provincia di Milano; Paolo Emilio Reboani, presidente e amministratore delegato di Italia Lavoro. Introduce Massimo Ferlini, vicepresidente della Compagnia delle Opere.

Testi & Contesti INVITO ALLA LETTURA. Introduce Camillo Fornasieri, direttore del Centro Culturale di Milano. Ore 15.00 Eni Caffè Letterario D5 DOPO IL MIRACOLO Presentazione del libro di Alessandro Zaccuri, giornalista e scrittore (ed. Mondadori). Partecipa l’Autore. A seguire: LUIGI GIUSSANI. LA VIRTÙ DELLA FEDE Presentazione del libro di Francesco Ventorino, professore emerito di ontologia e di etica presso lo Studio Teologico San Paolo di Catania (ed. Marietti 1820). Partecipano: l’Autore; Massimo Borghesi, docente di Filosofia Morale all’Università degli Studi di Perugia. INVITO ALLA LETTURA. Introduce Camillo Fornasieri, direttore del Centro Culturale di Milano. Ore 19.00 Eni Caffè Letterario D5 L’AMERICA NON ESISTE Presentazione del libro di Antonio Monda, giornalista e scrittore (ed. Mondadori). Partecipa l’Autore. A seguire: ALLA RISCOPERTA DI… CORMAC MCCARTHY Partecipa Davide Perillo, direttore di Tracce. STORIE DAL MONDO. EGGSPLOITATION Ore 21.45 Sala Neri GE Rassegna di reportages internazionali a cura di Roberto Fontolan e Gian Micalessin. Presentazione del

culturale. Solo un’amicizia che è il reciproco riconoscersi nelle stesse esigenze di uomini, che diventa stima reciproca, può essere un baluardo contro chi semina odio, contro la facile tentazione di rispondere alla violenza con la violenza». Ignatius Kaigama intervistato da Riccardo Cascioli

«I temi dei dibattiti sono tutti tecnici e anche i pochi politici invitati sono inseriti in sessioni di lavoro specialistiche. Ovvero la concretezza dopo le promesse non mantenute dei politici». Giorgio Ponziano

LE AVVENTURE DI TINTIN Ore 14.30 Sala Cinema D7 Acec Film di animazione di Steven Spielberg (anno 2011). In collaborazione con Sentieri del Cinema. Durata 107'. SPIRTO GENTIL. GUIDE ALL'ASCOLTO Ore 19.00 Sala Neri GE I vespri di Rachmaninov. Guida all'ascolto con cd. A cura del M° Pippo Molino. ORIGINES TRIO Ore 19.45 Teatro D2 Frecciarossa 1000 La bellezza attraverso la musica di epoche e tradizioni diverse. Valentina Oriani, Marco Squicciarini, Stefano Dall'Ora, interpretano spirituals, brani delle comunità sefardite, il folklore ispanico, il canto popolare italiano e quello irlandese fino alle sonorità sudamericane. L'ARTE DI VINCERE Ore 21.30 Sala Cinema D7 Acec Di Bennett Miller, con Brad Pitt e Robin Wright (anno 2011). NEL CANTO L’ANIMA DI UN POPOLO Ore 21.45 Arena D3 Superflash In concerto il Coro Sacerdotale Metropolitano di San Pietroburgo eseguirà la suite dei Vespri di Rachmaninov e la musica sacra e popolare della tradizione russa. STAGE DI FLAMENCO Ore 22.00 Area Piscine Ovest Edison Con gli artisti della Compagnia di flamenco di Luis Ortega.

Sport 12 ORE DI CALCIO A 5 Ore 11.00 Il Gioco del Lotto Sport Village A cura del CSI - Centro Sportivo Italiano. MERCOLEDI' DA LEONI Ore 14.30 Il Gioco del Lotto Sport Village Giochi per bambini e ragazzi delle Scuole Primaria e Secondaria di I grado. A cura di Cdo Sport. CORRI MEETING RIMINI 2012 Ore 18.30 Esterno Fiera - Ingresso Ovest Camminata ludico-motoria-non agonistica, aperta a tutti, con premio di partecipazione. Km 2 per ragazzi - Km 6 per adulti.

direbbe governativa a prescindere». Michele Serra

TWEET DEL GIORNO Daniele Pipitone @DPipit1 Fai un check-in e incontri @edorimini un albergatore che colleziona Congdon. Anche questo è #meeting Buonanotte Irene Pasquinucci @ire_pasqui Moka ristretto frappè shakerato freddo cappuccino espresso ready to drink: tutta la ricchezza italiana in una tazzina #meeting @andrea_illy

Marco Cremonesi

Ma come si esce da questa spirale di violenza? «Costruendo un’amicizia vera. È quello che vedo anche qui al Meeting di Rimini, un’amicizia che genera un grande evento

«La specificità di Cl - e a ben vedere ciò che rende inconfondibile quel movimento - è avere un linguaggio appassionatamente metafisico, a base d’infinito, spirito, anima e ogni possibile accessorio, e una prassi robustamente governativa, si

Massimo Bernardini @MaxBernardini La band del social media team del #meeting al completo. Seguiteli su @MeetingRimini sono (abbastanza) rock & roll Alessandro Berti @profBerti Al #meeting accade anche questo: gente felice che ringrazia (Sangria a volontà e non solo).


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