ANNO 22 Numero Sei Venerdì
MEETING
PRIMO PIANO “CHE CAPOLAVORO E’ L’UOMO...”. GUARDARE IL MONDO CON GLI OCCHI DI SHAKESPEARE. Partecipano: Alison Milbank, associate professor of Literature and Theology at the University of Nottingham; Edoardo Rialti, docente di Letteratura Italiana e Inglese all’Istituto Teologico di Assisi. Introduce Davide Rondoni. Sala A3 LA VITA: ESIGENZA DI FELICITA’. Partecipano: Elvira Parravicini, neonatologa alla Columbia University di New York; Orlando Carter Snead, direttore del Center for Ethics and Culture della Notredame University. Introduce Andrea Simoncini. Sala A3
11.15
O N A I D I T O U Q
24
15.00
AGOSTO
«Dio me le ha suonate» p. 9
POLITICA INTERNAZIONALE E LIBERTA’ RELIGIOSA. Partecipano: Nassir Abdulaziz AlNasser, presidente Assemblea Generale ONU; Jean Luis Tauran, presidente Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso; Giulio Terzi di Sant’Agata, ministro degli Affari Esteri. Intervento di saluto di Antonella Mularoni, segretario di stato agli Affari Esteri della Repubblica di San Marino. Introduce Roberto Fontolan. Auditorium B7
17.00
21.45
ALL IS HOLY? Concerto della Rock Culture All-Star Orchestra. Arena D3
2012
«Io, palestinese contro l’odio» p. 2
PRIMO PIANO
E il Meeting diventa “eco” p. 15
La custode degli angeli Tratta da uomini i neonati “condannati” e li accompagna al Mistero La storia di Elvira illumina il Meeting A pagina 3
Il nostro cammino pazzo e ragionevole ROBERTO FONTOLAN ratto da una storia vera, il film “The Way Back” dell'australiano Peter Weir narra di un pazzesco cammino. In senso letterale: nel 1939 sei prigionieri del Gulag siberiano riescono a fuggire. A piedi. Si inoltrano nelle foreste coperte dal gelo, arrancano per monti e per valli. Mentre stai seduto in platea leggi con la mente certe pagine di Herling o di Salamov, gli scrittori che hanno scolpito per sempre
T
l'orrore fisico dei campi staliniani. Quel freddo che non ti abbandona mai, quelle scarpe lacere, quei pezzi di pane ammuffito. La sensazione del dissolvimento dell’uomo, la violenza onnipresente. Ma ora i sei avanzano liberi nel mondo pressoché sconosciuto, si orientano con il sole, quando c'è, e per il resto girano a vuoto, nascosti. Piangono, urlano, cercano. Sempre a piedi. Lentamente la neve cede all’erba, l’erba ai sassi, i sassi al deserto. Hanno una meta, ma si rivela sbagliata. E quindi occorre ancora camminare. Piedi sanguinanti, corpi esangui. Qualcuno muore, qualcun altro vorrebbe morire. Solo uno non cede. E della sua certezza si abbeverano gli altri per poter proseguire. È innocente come loro, e come loro è attanagliato da una questione morale: colpe da perdonare e da farsi perdonare.
Sono passati giorni, settimane, mesi. Insieme a loro perdi il senso del tempo, ma ogni giorno c'è il motivo per tornare a camminare. Non si dirà qui la fine del film, ma il suo bello: l'impressionante realismo di una marcia in quell'infinito che è dentro di sè (non puoi camminare sulla terra se non cammini "in" te) e in quell'infinito che ci circonda, dove anche la natura più ostile offre sempre un appiglio per continuare: legno per scaldarsi, pozze d'acqua per dissetarsi (occorre però saper cercare). Così, uno dopo l'altro cadono i confini, anche quello più duro e incomprensibile: la morte. “The Way Back” è stato proiettato al Meeting ed abbiamo improvvisamente percepito che il Meeting non è che un’altra faccia del medesimo pazzesco cammino. Un cammino che ha percorso migliaia di chilo-
metri, fino al Giappone e al Canada, all’Argentina e all’Egitto, fino agli spazi siderali e agli inferni terrestri; e che si è spinto fino ai limiti conosciuti della conoscenza scientifica e oltre il limite della malattia, fino all’alba dell’homo religiosus e alle profondità del genio artistico. Cammino pazzesco, esposto all’incredulità e all’ironia (chiunque avrebbe potuto scappare ma pochi hanno osato), alla fragilità e al tradimento (le gambe cedevano e la mente si offuscava). Nel mondo di oggi sembra che ci voglia un po’ di pazzia per un’opera così razionale e ragionevole come quella di inoltrarsi nel rapporto con l'infinito. Ma è la cosa che ogni uomo appena un po’ sincero con se stesso sente come la più importante e decisiva di tutte. Nessun Gulag può impedirlo.