La CARTA STAMPATA del NUOVO cinema italiano
FEBBRAIO 2013
Numero
1
OPERA PRIMA
CON LA CAMERA A SPALLA
Morando Morandini intervista l’autore di “Alì ha gli occhi azzurri”
Icone
UN DIRITTO DA DIFENDERE
Roberto Faenza insegna ai suoi studenti a non smettere di lottare
Dossier
FESTIVAL FACTORY
Come i nuovi festival aiutano i giovani talenti e fanno guadagnare
LAVORARE SODO LAVORARE TUTTI (I GIORNI) FABRIZIO FALCO Capofila dei nuovi attori impegnati
S SoMMARIO
Pubblicazione Edita Dall’Associazione Culturale Indiepercui Via Francesco Ferraironi, 49 L7 (00172) Roma fabriqueducinema@hotmail.it
Direttore EDITORIALE Ilaria Ravarino SUPERVISOR Luigi Pinto DIRETTORE ARTISTICO Davide Manca GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giovanni Morelli Paolo Soellner CAPOREDATTORE Elena Mazzocchi REDAZIONE Cristiana Raffa Chiara Spoletini Comunicazione e Web Katia Folco Consuelo Madrigali RESPONSABILE MARKETING Isaura Costa Responsabile Relazioni Esterne Tommaso Agnese Delegato Nord Italia Luca Caserta Responsabile Relazioni sale Adriana Ciampi FOTO Francesca Fago Paolo Palmieri HANNO COLLABORATO Fabrizio De Masi Aldo Iuliano Severino Iuliano STAMPA Press Up s.r.l. Via La Spezia, 118/C 00055 Ladispoli (RM) Distribuzione Pubblimediagroup di Luca Papi Finito di stampare nel mese di Febbraio 2013
IN COPERTINA Fabrizio Falco, 24 anni, fotografato a Milano da Francesca Fago.
La CaRTa STaMPaTa deL NUOVO CiNeMa iTaLiaNO
FEBBRAIO 2013
Numero
1
OPERA PRIMA
CON LA CAMERA A SPALLA
Morando Morandini intervista l’autore di “Alì ha gli occhi azzurri”
IcOnE
UN DIRITTO DA DIFENDERE
Roberto Faenza insegna ai suoi studenti a non smettere di lottare
DOssIER
FESTIVAL FACTORY
Come i nuovi festival aiutano i giovani talenti e fanno guadagnare
LAVORARE SODO LAVORARE TUTTI (I GIORNI) FABRIZIO FALCO Capofila dei nuovi attori impegnati
Fabrizio Mosca PresentA
un film di
cLaUDio GioVaNNEsi AcAbA Produzioni in collaborazione con rAi cinemA presenta Alì hA gli occhi Azzurri un film di clAudio giovAnnesi nAder sArhAn stefAno rAbAtti brigitte APruzzesi mAriAn vAlenti AdriAn cesAre hosny sArhAn fAtimA mouhAseb yAminA KAcemi sAlAh rAmAdAn mArco conidi AlessAndrA rocA elisA geroni roberto d’AveniA soggetto clAudio giovAnnesi filiPPo grAvino con la collaborazione di frAncesco APice sceneggiatura clAudio giovAnnesi filiPPo grAvino fotografia dAniele ciPrì operatore di macchina guido michelotti montaggio giusePPe trePiccione suono in presa diretta Angelo bonAnni microfonista dAvide d’onofrio montaggio del suono giusePPe d’AmAto riccArdo sPAgnol fonico di mix fAbio chiossi musiche originali clAudio giovAnnesi AndreA mosciAnese prodotte da AlA biAncA Publishing scenografia dAniele frAbetti costumi medile siAulytyte (asc) casting e aiuto regia lorenzo grAsso organizzatore generale frAncesco tAto‘ produttore delegato AlessAndrA grilli coordinamento post produzione irmA misAntoni assistente al montaggio frAncesco PAnettA regia di clAudio giovAnnesi
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www.bimfilm.it
4 6 10AlÌ haOPERA PRIMA 14 gli occhi azzurri 20
Morando Morandini intervista per “Fabrique” Claudio Giovannesi
30 36 38 40 26 ICONE ROBERTO FAENZA IL CORAGGIO È UN DIRITTO DA DIFENDERE 41
EDITORIALE Fabrique, diamo i numeri di ILARIA RAVARINO
COVER STORY INTERVISTA FABRIZIO FALCO
RECITARE È LA MIA OSSESSIONE
DODICI PIERLUCA DI PASQUALE SCUSATE IL RITARDO
DOSSIER FESTIVAL FACTORY
22. INTERVISTA CON L’AUTORE MARIO ABIS 23. GIOVANI PROMESSE PIERO MESSINA
MESTIERI INTERVISTA MARINA RUIZ
MAKING OF SUL SET DI
THE TEMPLE MOUNT
graphic noveL DIEGO ARMANDO CORLEONE SECONDA PUNTATA
DIARIO GLI EVENTI DI FABRIQUE DA NON PERDERE
COME E DOVE LUOGHI DOVE È REPERIBILE FABRIQUE A ROMA
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E EDITORIALE
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di ILARIA RAVARINO foto FRANCESCA FAGO
FABRIQUE, DIAMO I NUMERI QUATTRO
Come quattro volte. Quattro numeri con cui la rivista che avete fra le mani proverà ad accompagnarvi nel 2013 del giovane cinema italiano, quattro numeri alla ricerca del talento nel sommerso, del genio sottotraccia, dell’estro nascosto all’ombra di un establishment sempre più spesso fiacco, stanco, vinto e (non solo) anagraficamente vecchio. Quattro numeri per raccontare il futuro del nostro cinema in occasione di quattro appuntamenti da ricordare: i festival di Berlino, David di Donatello, Venezia e Roma.
Trentacinque
Come gli anni del più anziano fra i nostri redattori. Perché questa rivista non è un giornale come gli altri, ma l’opera collettiva di un network di giovani artisti che il cinema lo fa per davvero e qui prova a raccontarlo. Per questo tra le pagine di “Fabrique du Cinéma”, nella rubrica Opera prima, troverete i nomi, le idee e le facce degli autori della nuova generazione. Troverete i mestieri del cinema messi in scena da chi si alza ogni mattina per farlo, il cinema. Troverete l’indagine, narrata in prima persona, sul lavoro che c’è dietro a ogni film. Troverete - si spera - un pezzo del vostro futuro.
DODICI
Come i mesi dell’anno e come le giovani promesse su cui abbiamo scelto di puntare facendoci (gran)cassa di risonanza. Autori cresciuti con i cortometraggi, pargoli della youtube generation, registi nuovi e non convenzionali. Scandalosamente bravi e talentuosi. Scandalosamente outsider. Scandalosamente fuori dai circuiti che contano. Per ora.
UNO
Il numero primo del talento. Senza se, senza ma, senza età. Con la rubrica Icone, “Fabrique” apre al genio dei diversamente giovani: donne e uomini che hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere il cinema, maestri il cui talento è ancora oggi fonte di ispirazione, artisti nati il secolo scorso ma con il coraggio, il cuore, la passione di un ragazzo del secondo millennio.
ZERO
È il costo della nostra rivista. La troverete nelle scuole di cinema, nelle sale cinematografiche, nelle edicole, nei locali, nei negozi, nelle mostre. Rigorosamente libera. Come il nostro spirito.
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- Cover story -
FABRIZIO FALCO
RECITARE È LA MIA OSSESSIONE
Fabrizio Falco, 24 anni, è ormai più che una promessa del cinema italiano: ha vinto a Venezia il Premio Mastroianni per la sua interpretazione nei film di Ciprì e Bellocchio, ora è impegnato in teatro con Ronconi. E dichiara: «Non ho mai immaginato che potesse esistere un’alternativa per me». di CRISTIANA RAFFA foto Francesca Fago
Magrolino e con due occhi azzurri grandi come il suo sogno. Ogni pomeriggio Fabrizio usciva da scuola, attraversava un campo di calcio, scavalcava un cancello, correva con lo zaino in spalla sotto il sole di Palermo, fino a una scala antincendio. Volava sui gradini a due a due per far presto: «Al portone principale non mi aprivano mai quando bussavo, la sala prove era ovattata e gli attori troppo concentrati, così passavo dal retro e davo manate sulla porticina di servizio». Non è da tutti coltivare una passione in modo così tenace, a quattordici anni, mentre i compagni pensano alla Playstation e ad andare in discoteca. «Il mio amore era il teatro, recitare, l’ho sempre fatto. Da ragazzino facevo imitazioni e raccontavo barzellette, poi con l’inizio del liceo ho iniziato a studiare seriamente. Gli amici uscivano e io stavo a casa a studiare Cechov».
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La tua espressione era piena di stupore sotto i flash dei fotografi a Venezia, quando ricevevi il Premio Mastroianni grazie ai ruoli in Bella addormentata di Marco Bellocchio ed È stato il figlio di Daniele Ciprì. L’hai dedicato ai giovani, perché? Perché vedo intorno a me tanti coetanei pieni di talento che sarebbero in grado di cambiare in meglio il cinema italiano, ma purtroppo mancano gli investimenti per le imprese rischiose. Chi è che dovrebbe investire e non investe? I produttori innanzitutto, ormai fanno quasi esclusivamente commedie per incassi facili. Assecondano le richieste della gente, ma io sono convinto che il pubblico vada invece educato. Se gli si propone merce scadente si abitua così. In Italia nessuno si pone più come guida, si va dietro solo alla domanda. Manca un’industria cinematografica. E poi non ci sono le istituzioni che supportano, come invece accade in altri paesi più illuminati. A te invece chi ti ha sostenuto per arrivare dove sei arrivato? I miei genitori, due persone meravigliose che hanno saputo coltivare la mia forza di volontà. Mia mamma insegna e mio papà è un grafico editoriale, una famiglia normalissima senza legami col mondo dello spettacolo, hanno creduto in me perché ci credevo io per primo e l’avrebbero fatto qualunque strada avessi scelto. Come ti hanno aiutato? Un giorno mio papà era alla Festa dell’Unità a Palermo e incontrò per caso un suo amico attore, Maurizio Spicuzza. Gli confidò di avere in casa un piccolo attore in erba intenzionato a studiare seriamente. Maurizio allora gli suggerì: «Mandamelo a teatro, vediamo come se la cava e se ha veramente voglia di studiare», e così è cominciato tutto. Dunque facevi il liceo artistico a Palermo e il pomeriggio scappavi in teatro, poi sei arrivato a Roma all’Accademia Silvio d’Amico. Come è andata? Avevo fatto domanda sia lì che al Teatro Stabile di Genova. Mentre ero ancora coinvolto nelle tre prove per l’Accademia mi comunicarono che avevo superato i provini per Genova, ma ormai mi ero convinto che ce l’avrei fatta a rimanere a Roma. Avevo studiato per mesi e mesi, forse ero presuntuoso, ma sentivo di essere pronto. Avevo portato Boto Strauss, un drammaturgo tedesco. E ce l’ho fatta. È stato davvero un percorso complicato però, mi ha messo emotivamente a dura prova.
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Testardo e pervicace, non sei qui per caso. No, assolutamente. Ho lavorato tanto per diventare un attore, non è una cosa che si improvvisa, è un mestiere vero, durissimo. Ne sono stato sempre ossessionato, da adolescente era il mio chiodo fisso, ci pensavo tutto il tempo, anche venti ore al giorno. Non ho mai immaginato che potesse esistere un’alternativa per me. Sembra che tu abbia una ricetta per realizzare i sogni, qual è? Semplicemente il lavoro quotidiano. Puntare un obiettivo e spingere tutto in quella direzione. Non ti scoraggia, per esempio, il sistema di raccomandazioni che esiste nel nostro paese? Non nego che esistano raccomandati, molte volte mi sorge il sospetto che qualche incapace che vedo lavorare lo sia, ma la cosa peggiore è usare la questione delle raccomandazioni come alibi per non impegnarsi. Sento spesso giovani colleghi fare questo discorso e mi atterrisce. Se non ci provi sul serio non puoi lamentarti, se sei davvero determinato e hai qualcosa da dire verrai ascoltato. Quindi non hai mai ceduto a un compromesso fino a oggi? No, ma perché non mi sono mai messo nella condizione di dover chiedere favori. Sono sempre andato avanti per la mia strada. Non ho mai avuto bisogno di ingraziarmi nessuno. Io credo davvero in quello che faccio. Contro cosa combatti ogni giorno? C’è una cosa che mi fa incazzare veramente: l’approssimazione. Un mucchio di sedicenti attori vengono investiti da una facile gloria ottenuta senza meriti, quasi per caso. E poi vedi che per anni, se riescono a rimanere sulla scena, recitano sempre lo stesso ruolo e non sono in grado di cambiare registro. Non ci si improvvisa interpreti. Ora sei a teatro al Piccolo Strehler di Milano con Il panico di Rafael Spregelburd, diretto da Luca Ronconi. Più emozione sul palcoscenico o in una sala piena di critici alla prima proiezione di un tuo film? Senza alcun dubbio il teatro, ieri abbiamo debuttato ed è stato meraviglioso. Una prima teatrale è felicità pura.
Mi piace: Tra i film, il preferito di Fabrizio è un grande classico, Shining di Stanley Kubrick; il libro è (forse non a caso) Doppio sogno di Arthur Schnitzler, da cui sempre Kubrick ha tratto la sua ultima pellicola, Eyes wide shut. Il musicista di riferimento è ancora un intramontabile, Bruce Springsteen.
«VEDO INTORNO A ME TANTI COETANEI PIENI DI TALENTO CHE SAREBBERO IN GRADO DI CAMBIARE IN MEGLIO IL CINEMA ITALIANO».
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- Opera prima -
CLAUDIO GIOVANNESI
COME REPORTER CON LA MACCHINA A SPALLA
«Secondo la mia (forse troppo) lunga esperienza i registi si dividono in due categorie, quelli che sanno parlare del proprio lavoro e quelli che non sanno farlo. Tu appartieni alla prima». Morando Morandini, 89enne icona della critica cinematografica italiana, intervista per “Fabrique” Claudio Giovannesi.
foto Francesca Fago, ANGELO TURETTA, MANUELA SPARTà
Con un titolo che cita Pasolini e uno stile personalissimo Claudio Giovannesi, 35 anni, ha dato voce a un mondo nuovo, gli adolescenti delle periferie romane (ma non solo) e ha vinto il premio speciale della giuria e quello per la migliore opera prima al Festival di Roma. Quando e con quale attrezzatura hai girato Alì ha gli occhi azzurri? Durante lo scorso inverno a Ostia, fra dicembre e gennaio: le riprese sono durate sei settimane. Abbiamo girato in digitale, con due camere HD, per un’esigenza non tanto estetica quanto tecnica. Con il direttore della fotografia Daniele Ciprì, un cineasta che adoro, abbiamo scelto di essere leggeri. Poiché si trattava di un film interpretato da attori non professionisti, non volevamo condizionarne i movimenti o la messa in scena attraverso un set classico, con l’ingombro di luci, di mezzi tecnici, di coreografie scritte prima dall’azione. Invece abbiamo scelto, per usare una parola zavattiniana, di “pedinarli” con due telecamere di piccole dimensioni; questo è stato il criterio della scelta del mezzo. La camera a spalla impiegata per tutto il film non aveva perciò un significato stilistico, quanto di testimonianza. Avevamo di fronte degli adolescenti, il loro movimento, la macchina a spalla era l’unico modo per raccontarli. Un po’ come i vecchi cinereporter di guerra che
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stavano sempre alle spalle dei soldati, perché non sapevano in che direzione si sarebbero mossi. L’esigenza di raccontare una storia di integrazione è legata alla tua vicenda personale o nasce da una tua particolare sensibilità al tema? Io sono nato a Roma e vissuto a Roma, come la mia famiglia. Più che il tema dell’integrazione il punto di partenza è stato quello degli adolescenti, dell’urgenza di raccontarli. Per vari motivi: guardando gli adolescenti si può capire qual è l’Italia di oggi e quale sarà l’Italia del futuro. Però non volevo descrivere l’adolescenza vissuta davanti al televisore, o nei quartieri del centro. Volevo parlare di una giovinezza più marginale. E quindi mi sono allontanato geograficamente dal centro città, sono andato verso il raccordo anulare, l’ho oltrepassato e ho incontrato una comunità giovanile multietnica, multiculturale. È lì che per forza di cose è entrato il tema dell’integrazione. Un egiziano nato a Roma rappresenta un’identità nuova; già l’adolescenza è un periodo di cambiamento e definizione della propria identità, in questo caso ciò è reso ancora più difficile dall’origine non italiana del protagonista, dei suoi rapporti affettivi e familiari.
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«Il titolo Alì ha gli occhi azzurri è tratto da una poesia di Pasolini, Profezia, scritta nel 1962 e dedicata a Jean-Paul Sartre, in cui il poeta prefigura la società multiculturale così come la conosciamo oggi. Alì è l’emblema del nuovo uomo dell’Occidente. Quando l’ho conosciuto, Nader Sarhan indossava effettivamente delle lenti a contatto azzurre, e quindi è diventato quasi naturalmente il protagonista del mio film».
Credi che i ragazzi che hai raccontato nel tuo film siano tipici di Roma o rappresentino anche i coetanei del resto del paese? Io ho conosciuto meglio i ragazzi della mia città, ma, senza voler grossolanamente generalizzare, credo che questa adolescenza cresciuta con l’educazione della strada piuttosto che della televisione o della famiglia riguardi tutta l’Italia. Imparare dalla strada può essere certamente un limite ma anche un privilegio; sotto certi aspetti questi ragazzi sono più scaltri, più furbi, più intelligenti di quelli cresciuti nei protetti salotti borghesi. Inoltre l’essere figli della società dei consumi, oggi ancora più che negli anni Sessanta, è un tratto trasversale che li accomuna, li rende identici anche al di là dell’appartenenza etnica. Nader, per esempio, che viene dalla grande cultura islamica, quella dei padri, della famiglia, l’abbandona, la mette in contraddizione e in conflitto con la non-cultura dei consumi che gli offre il territorio che abita. Può sembrare un discorso più da sociologia che da cinema, ma mi sento di condividerlo. Il tuo film ha un finale, diciamo così, sdrammatizzato, “in calando”. Era stato deciso così fin dall’inizio oppure è venuto fuori quando avete girato? Sì, era stato deciso già in sceneggiatura; non volevamo raccontare la tragedia. Buona parte di quello che abbiamo messo in scena è stato vissuto direttamente dai protagonisti o dai loro amici. Volevamo rendere il sapore della quotidianità, della tragedia sempre sfiorata, però fortunatamente mai vissuta fino in fondo. Non avrei mai potuto rappresentare la scena di un ragazzo che muore, non l’avrei condivisa, perché per me la bellezza dei due protagonisti sta nella loro innocenza, anche quando fanno cose terribili e illegali. Anche quando rapinano una prostituta - una scena che potrebbe apparire tremenda
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- loro la vivono mascherati, come due bambini in un parco giochi. Per questo, secondo me, non meritavano una fine tragica. Piuttosto è l’ultima scena che è stata scritta proprio a ridosso della fine delle riprese. Abbiamo chiuso sull’attesa dei genitori che aspettano il figlio: è l’unica scena in cui Nader non c’è, il punto di vista cambia, la macchina non sta più sui ragazzi ma racconta quello che accade in loro assenza. È, se vogliamo, una sorta di virtuosismo finale. Sei soddisfatto del modo in cui la pellicola è stata distribuita? Sono stato molto felice che la Bim si sia innamorata del film, perché nel loro catalogo figurano nomi come i Dardenne, Audiard, Gus Van Sant, per me maestri nel senso tecnico del termine, ho visto e rivisto i loro film, li ho studiati, sezionati. Essere accolto fra gli autori Bim è per me un vanto. Occorre però dire che Alì è un film difficile: è andato molto bene al Festival di Roma dove ha ricevuto dei premi, così anche nelle sale della capitale, fuori Roma ha faticato un po’. Forse andava accompagnato meglio nelle altre città. Che consiglio daresti a un giovane che vorrebbe fare il regista oggi in Italia? Partire dalla realtà, dalla propria realtà: il grande cinema degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta che amiamo ancora partiva sempre dall’osservazione del reale. Poi è arrivato a trasfigurarlo, a raccontarlo in maniera personale e soggettiva fino a farlo diventare talvolta sogno. Ma per me il cinema alla fine è attenzione per l’uomo, è un obiettivo posto davanti a degli esseri umani. Il consiglio che mi permetto di dare perciò è quello di guardare con attenzione gli esseri umani, e così il proprio paese, il proprio territorio prima di ogni altra cosa, prima anche di volerli rappresentare.
«La complessità è per me connaturata con questo progetto, così come l’empatia».
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36 anni, romano, Pierluca di Pasquale è stato assistente di Pupi Avati e Gabriele Salvatores prima di girare il cortometraggio ZinÏ e AmÏ, che gli ha fatto vincere un importante concorso ed è ora in giro per i festival di tutto il mondo, grazie a una storia universale incentrata sul binomio tecnologia/sentimenti.
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- Dodici -
PIERLUCA DI PASQUALE
scusate Il RITARDO
Un androide che ci ami a tal punto da chiedere di essere ricambiato: è quello che immagina Pierluca di Pasquale nel suo corto Zinì e Amì, futuristico e inedito inno all’amore, girato senza risparmio di effetti speciali. di Chiara Spoletini foto PAOLO PALMIERI
Alcune immagini scattate sul set del film. Racconta di un ragazzo, Zinì (Alessandro Tiberi), che dopo una delusione d’amore acquista un androide-femmina programmato in base ai propri gusti (Amì, Sacha Zacharias): esperta di storia dell’arte, di letteratura, di musica. Ma qualcosa va storto, e Zinì è costretto a portare l’androide da un tecnico (Silvio Orlando), il solo in grado di dargli un consiglio illuminante. (ph. Elena Bellantoni)
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«Mi domando spesso che cosa vuole il pubblico, quale storia vuole ascoltare, in che modo la vuole vedere realizzata. Finora le cose che ho scritto sono piaciute molto, seguo l’istinto, seguo quello che sento io per primo e cerco di coinvolgere chi mi guarderà».
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al terrazzino assolato di un palazzo antico nel centro di Roma si affacciano le idee e le storie di Pierluca di Pasquale, autore e regista del corto vincitore della terza edizione del Premio “Talenti in Corto” promosso da Gratta e Vinci e Premio Solinas. Con Zinì e Amì hai vinto “Talenti in Corto”. Com’è andata? In realtà se ho presentato la mia candidatura al concorso devo ringraziare Davide Manca, mio carissimo amico e direttore della fotografia del film. All’inizio non volevo, ma poi mi ha convinto; ho tirato fuori dal cassetto Zinì e Amì, che avevo sempre pensato di realizzare come fumetto, in chiave molto pop. È una storia nata per essere recitata in francese, tant’è che i nomi dei protagonisti sono un rimando a questa idea, petite amie infatti in francese significa “ragazza, fidanzata” e Zinì è la storpiatura di un nome franco algerino… Hai alle spalle un solido curriculum (assistente alla regia di Pupi Avati in Ma quando arrivano le ragazze? e di Gabriele Salvatores in Quo vadis, baby?), un ottimo lavoro come Zinì e Amì. Quali sono le difficoltà per un giovane come te, che cosa succede adesso? Quelle con Avati e Salvatores sono state due esperienze molto formative, anche perché non posso vantare una preparazione “clas-
sica”: mi sono laureato in Filosofia e ho sempre posticipato la decisione di entrare in una scuola di cinema, probabilmente perché mi è mancato qualcuno con più esperienza che al momento giusto mi consigliasse un percorso del genere. Comunque ho sempre scritto tanti soggetti, ho partecipato con due proposte di serie tv al Roma Fiction Fest che hanno riscosso un certo interesse. Che macchina da presa hai usato per girare il corto? Con Davide ci diciamo sempre che per il prossimo progetto useremo un apparato tecnologico favoloso, tipo la Red o l’Alexa, e invece ci siamo “rassegnati” a utilizzare una Reflex DSLR… ma non voglio sminuirla, per carità. Del resto per il corto mi ero immaginato uno stile di regia di più complesso (movimenti di macchina arditi, dolly); i due giorni e mezzo delle riprese mi hanno riportato alla realtà e costretto a ridimensionare tutto. Qual è secondo te la qualità più importante per un buon regista? Credo che un buon regista arrivi prima della propria opera, nel senso che tutto quello che c’è prima del film, di un soggetto, di una sceneggiatura fa parte della sua formazione e della sua personalità, del suo carattere. Come fa un regista a far capire quello che vede e che immagina alla sua troupe? Il lavoro sul set con la troupe è assolutamen-
«Non si può perdere tempo, bisogna studiare molto per fare questo mestiere. Il consiglio che posso dare è proprio questo, lavorare, scrivere tanto, non fermarsi mai». te corale; il regista è una sorta di direttore d’orchestra che chiede a ogni elemento di lavoro un elevato standard di partecipazione che rechi al film il suo personale contributo. Un esempio è il rapporto che mi piace avere con l’attore/attrice: spesso infatti gli dico che tipo di inquadratura realizzerò, per permettergli di individuare i limiti entro cui potrà muoversi e dargli la possibilità di sentirsi libero in quel determinato taglio, di “colorare” come preferisce il tratto della sua performance. È quindi come se delegassi una piccola parte di responsabilità anche a lui e gli chiedessi di costruire quel frammento insieme a me. Dai un consiglio a chi comincia oggi, a chi sogna di fare il regista. Cosa è necessario per ottenere un buon risultato? Anche io sto cercando qualcuno che sia in grado di darmi questo consiglio prezioso… In realtà forse regalerei il suggerimento che avrei dovuto dare a me stesso dieci anni fa.
Qualche volta penso di essere un po’ in ritardo con i tempi, un ritardo di almeno dieci anni, non so dove li ho persi, ma è successo. Invece non si può perdere tempo, bisogna studiare molto per fare questo mestiere. Il consiglio che posso dare è proprio questo, lavorare, scrivere tanto, non fermarsi mai. C’è chi gira una scena dieci volte perché pensa che ripetendo si può sempre migliorare. Tu sai quando dire basta? Non ho bisogno di tanti ciak perché preferisco lavorare prima con gli attori, e se c’è una cosa che assolutamente tengo a fare prima di girare è il lavoro con lo storyboard artist. In Zinì e Amì sono riuscito a coinvolgere Marco Valerio Gallo con il quale avevo collaborato già due volte. Lo storyboard è una tecnica che permette di arrivare sul set e girare senza dover improvvisare, già con un piano preciso ed evitando lo spreco di soldi, tempo ed energie; in Italia purtroppo viene usato ancora poco, ma è davvero mol-
to utile. Prossimi progetti? In questo periodo continuo a scrivere molto, ho almeno tre soggetti pronti ai quali tengo tantissimo, non ne parlo per scaramanzia. In realtà so benissimo che non basta, è necessario trovare qualcuno che abbia voglia di realizzare le mie storie, e ho la consapevolezza di dover lavorare di più anche sull’aspetto, diciamo, delle pubbliche relazioni. Gli interlocutori ci sono, so di dover essere più determinato nell’intercettarli. «Quando mia madre mi raccontava una favola, era tale la mia emozione che doveva smettere. La mia infanzia è piena di favole senza finale», Michelangelo Antonioni. Qual è un buon finale? Sono dell’idea che in un film convivano diversi piccoli finali e che ogni scena ne abbia uno. Io sono molto legato ai colpi di scena, credo che propongano una chiusura migliore, quasi musicale; anche il passaggio tra una scena e l’altra è cadenzato meglio attraverso un colpo di scena, perché si lascia il pubblico con la promessa che qualcosa dovrà cambiare. Anche se per il finale vero e proprio non disdegno una chiusura esplicativa, che spiega come si conclude la trama, mi piace lasciare comunque allo spettatore la possibilità di prendere da quello che ha visto ciò che preferisce, senza troppe spiegazioni; un film non è la vita reale, in un film si può scegliere cosa prendere e cosa lasciare.
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FESTIVAL FACTORY ovvero quando con la cultura
si può guadagnare I festival di cinema si rinnovano: non piÚ solo vetrina ma laboratorio, punto di incontro fra cultura e mercato. di ELENA MAZZOCCHI illustrazioni PAOLO SOELLNER
FE ST IVAL di cinema
Una ricerca su 11 Festival 1 | Courmayeur | Noir in Festival 2 | Udine | Far East Film Festival 3 | Trieste | Maremetraggio Festival internazionale del cortometraggio e delle opere prime 4 | Bologna | Future Film Festival 5 | Pesaro | Mostra internazionale del Nuovo Cinema 6 | Montone (PG) | Umbria Film Festival 7 | Roma | Arcipelago Festival internazionale di cortometraggi e nuove immagini 8 | Roma | Independent Film Festival (Riff) 9 | Ischia | Ischia Film Festival 10 | Taormina | Taormina Film Fest 11 | Lecce | Festival del cinema europeo
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«Queste manifestazioni, sparse da Nord a Sud, aumentano la qualità delle relazioni sociali, accrescono il dialogo fra pubblico e privato nella creazione di partnership fruttuose, spingono a lavorare in maniera più attenta sul marketing».
(Fonte: I festival del cinema, cit.)
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Quattro le tipologie di spettatori prese in considerazione dalla ricerca: (A)occasionali, (B)neofiti partecipanti, (C)habitués (ospiti fissi della kermesse), (D)cine-mad (appassionati che hanno assistito a più di due edizioni del festival).
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uanti sono oggi i festival in Italia e come si caratterizzano? L’Afic (Associazione dei festival italiani di cinema) ne rappresenta meno di 50, ma di fatto sono oltre 130. Se un tempo le rassegne cinematografiche erano un grande rito collettivo, che serviva anche da agenzia di formazione del gusto per intere generazioni di cinefili, oggi il frequentatore di festival è più disincantato, non gli interessa partecipare a un cerimoniale ma è alla ricerca di varietà, di pellicole difficilmente disponibili nei circuiti di distribuzione ordinari. Una ricerca apparsa di recente, curata da Mario Abis e Gianni Canova, I festival del cinema, Johan & Levi editore, mette ora in luce un dato se si vuole sorprendente: con i festival non solo si fa cultura, ma ci si guadagna anche. Queste manifestazioni, sparse da Nord a Sud, aumentano la qualità delle relazioni sociali, accrescono il dialogo fra pubblico e privato nella creazione di partnership fruttuose, spingono a lavorare in maniera più attenta sul marketing: caratteristica dei festival infatti è che sono frequentati non da un pubblico omogeneo, ma da più pubblici, individuabili per mestiere, fasce d’età, interessi (gli addetti ai lavori, gli spettatori occasionali, gli habitué, i giovani, i più anziani e così via). Lo studio, condotto con un modello di ricerca nuovo, basato su questionari inviati agli organizzatori dei festival, incrociati con i dati pro-
venienti da interviste fatte agli spettatori all’uscita dalle sale, prende in considerazione 11 festival italiani [vedi pagina accanto], ma i risultati sono significativi a più ampio raggio. L’elemento più importante che emerge, si diceva, è che i festival fanno guadagnare i luoghi in cui si svolgono: si calcola che per ogni euro investito ci sia un ritorno di circa 2,3 euro sull’economia complessiva del territorio. E in tempi di crisi, soprattutto per quanto riguarda le imprese del comparto culturale, è sicuramente un ottimo risultato, che potrebbe servire da esempio anche per altre iniziative. Come avviene la ricaduta positiva sul territorio? Innanzitutto le manifestazioni festivaliere rappresentano un’occasione di crescita economica diretta per le imprese dell’area (acquisto di beni e servizi, impiego di nuove risorse lavorative) chiamate alla realizzazione concreta dell’evento. A sua volta, chi lavora in queste imprese avrà una maggiore capacità di spendere negli esercizi commerciali della zona. Last but not least, fungendo da richiamo turistico, il festival aumenta l’attrattività dell’area, portando nuovi visitatori che spenderanno negli alberghi, ristoranti, negozi e magari torneranno più avanti per trascorrervi un’altra vacanza. L’indagine ci dice che i festival costituiscono dunque un sistema vitale per i territori e le persone che li abitano; ma, e qui veniamo ai punti criti-
RIFF AWARDS 2013
Il festival dei cortometraggi e dei nuovi talenti Rome Independent Film Festival
Numerose le anteprime europee e mondiali in programmazione al Rome Independent Film Festival, che si terrà dal 3 all’11 aprile presso il Nuovo Cinema Aquila di Roma. Giunto al dodicesimo anno, il RIFF mantiene il proprio obiettivo originario: dare visibilità a pellicole lontane dai circuiti commerciali dell’audiovisivo. Il festival, con circa 150 lavori selezionati tra opere prime e anticipazioni nazionali e internazionali, si conferma tra i principali appuntamenti del cinema indipendente. In particolare la sezione New Frontiers, che dà particolare rilievo alla produzione italiana, sarà occasione di scoperta di nuovi talenti.
Nel carnet degli eventi da segnalare il V forum “I nuovi profili della produzione cinematografica europea indipendente”, con i produttori aderenti al progetto Producers on the move, iniziativa lanciata a Cannes nel 2000 dalla European Film Promotion(EFP), a cui farà seguito un incontro sulla situazione della cinematografia in rapporto alle dinamiche di distribuzione. La distribuzione avrà un ruolo importante anche nella giuria internazionale del festival, parteciperanno infatti tra gli altri Pascale Faure (responsabile cortometraggi Canal+ Francia) e Philipp Kreuzer (Bavaria Media GmbH). Al termine del festival verranno infine assegnati i RIFF Awards per un valore di oltre 50.000 Euro. Alcune fra le opere prime italiane che si vedranno in anteprima mondiale: Carta Bianca di Andres Arce Maldonado, Happy Days Motel di Francesca Strasch, Spaghetti Story di Ciro De Caro, Transeuropae Hotel di Luigi Cinque con Pippo Delbono.
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F O C U S | INTERVISTA c o n l’a u t o r e Abbiamo rivolto alcune domande a Mario Abis, curatore della ricerca. È il fondatore di Makno, uno dei più importanti istituti di ricerche sociali e di mercato, professore alla Iulm di Milano e consigliere d’amministrazione della Triennale di Milano. Quali sono gli elementi più significativi emersi dallo studio? Adesso abbiamo una misurazione scientificamente affidabile dei festival, dalla quale emergono alcuni elementi nuovi: uno, che i festival non sono eventi in perdita ma permettono di guadagnare e due, che in questo c’è una profonda omogeneità fra tutte le manifestazioni considerate, da Nord a Sud. Inoltre si fa finalmente chiarezza sulle cifre in gioco (c’è invece chi, strumentalmente, gonfia i dati).
Mario Abis ci, scarsamente connesso al suo interno e privo di elementi di programmazione. Molti degli organizzatori intervistati lamentano ad esempio l’assenza di coordinamento con le altre manifestazioni che si svolgono nella stessa provincia o città, e la scarsità di dialogo con gli enti locali, che invece avrebbero tutto l’interesse ad aumentarne il potenziale. I maggiori finanziatori dei festival sono infatti soggetti pubblici: siamo in media attorno a un dato del 70%, con punte del 96% per Courmayeur e del 95% per Arcipelago di Roma. Invece l’investimento privato è tuttora fermo al 20%. Si tratta quindi di un terreno di lavoro ancora tutto da sfruttare, in cui un ingresso più deciso degli sponsor privati potrebbe dare un maggiore impulso all’offerta festivaliera in qualità e quantità e risollevare bilanci che sono quasi tutti in perdita (tranne Ischia e Bologna, in pareggio, e Trieste, che riporta addirittura un piccolo utile). Qualche cifra: la spesa turistica complessiva per i festival considerati dalla ricerca è di quasi 11 milioni di euro; dai questionari sappiamo che sono più le donne degli uomini a frequentare i festival (55%), che in maggioranza si tratta di giovani (60% nella fascia 18-35 anni) e con un elevato grado di istruzione (il 57% è laureato). I più assidui sono gli studenti, poi gli insegnanti e gli impiegati; gli imprenditori e i liberi professionisti si contano in misura maggiore al Riff di Roma, mentre è il Far East di Udine quello che annovera gli spettatori più fedeli. E
l’esperienza degli spettatori non si esaurisce nella visione del film, ma acquista una valenza collettiva: il festival è vissuto anche come un evento che permette l’incontro e la condivisione con persone dai gusti simili. In questo senso va letta anche la presenza di rassegne di cinematografie straniere, come France Odeon a Firenze, dedicata alla produzione d’oltralpe. Il sistema dei festival oggi si caratterizza perciò non più solo come una vetrina, ma come un evento che mette in comunicazione persone e luoghi, stimola la crescita economica dei territori, affina il dialogo fra investitore pubblico e sponsor privato, magari inventando forme di marketing sempre più mirato ai differenti pubblici che vi assistono. La forma festival, fino a poco tempo fa un po’ impolverata, si trova oggi a essere (o poter essere) un modello per gli eventi culturali del futuro. Ma già ora le rassegne cinematografiche si stanno attrezzando per offrire qualcosa di più ai filmaker, con laboratori, fondi speciali e altre iniziative volte ad aiutare i giovani a realizzare il loro film partendo da zero. Si tratta di sostegni diretti come premi in denaro o altri servizi (pellicola, post-produzione, sottotitoli), o indiretti, in termini di visibilità, esposizione sui media, possibilità di incontrare sponsor, investitori e così via [vedi il box su Piero Messina]. Torino Film Lab e Festival di Roma si sono già decisamente incammi-
Nella ricerca è stato chiesto al pubblico di giudicare il festival come evento nel suo complesso per rilevarne la capacità attrattiva, dando un voto da 1 a 10. Come si può vedere i punteggi sono mediamente alti.
7,85
7,46
7,13
7,18
7,05 5,90
Un’occasione mondana
Spettaco re/ Sorprendla ente
Divertente
Portatore di no vità
Coinvolgente
Ben organizzat o
6,37
Interessan Culturalmentete/ stimolante
«Si calcola che per ogni euro investito ci sia un ritorno di circa 2,3 euro sull’economia complessiva del territorio. E in tempi di crisi, soprattutto per quanto riguarda le imprese del comparto culturale, è un sicuramente un ottimo risultato».
D RIVERS D I ATTRATTIVITA’ 22
Se ben progettate le manifestazioni culturali fanno guadagnare, dunque… Proprio così. L’analisi ci dice che gli investimenti fatti nei festival producono reale valore sul territorio in termini, per fare un esempio, di posti di lavoro. Si è creata una filiera ben organizzata che risulta particolarmente efficace nel piccolo, con paesi e cittadine che si identificano in una manifestazione cinematografica specializzata (cinema noir, asiatico, d’avanguardia ecc.). Diverso il discorso per le gradi kermesse (Venezia, Roma), per le quali occorrerebbero strumenti di ricerca differenti, e che per questo non sono state prese in considerazione dal nostro studio, perché avrebbero sbilanciato statisticamente i risultati. Inoltre, per quanto piccolo sia l’evento festivaliero assistiamo al crearsi al suo interno di una grande densità di relazioni: lì si incontrano varie tipologie di persone (per età, professione, interessi ecc.) che si scambiano esperienze e idee. La qualità della
relazione fra evento e pubblico è elevata, chi assiste alle proiezioni è in genere soddisfatto, e ciò è importante per le aziende che vogliono investire. Un quadro interamente positivo? La piattaforma è solida, ma il dato negativo è che gli operatori non ne hanno il controllo: i bilanci delle manifestazioni sono spesso manchevoli, talvolta abbiamo avuto difficoltà a reperire anche dati elementari. Occorre invece capire che per sfruttare appieno il potenziale di questi eventi bisogna entrare in una logica di impresa, con bilanci dettagliati e certificazioni economiche, altrimenti su che base un organizzatore può chiedere agli sponsor di finanziare il suo evento piuttosto che un altro? Non scordiamo che oggi siamo in presenza di un quadro competitivo, con tante manifestazioni a carattere territoriale (mostre, rassegne musicali e così via) che si contendono finanziamenti sempre più scarsi.
Piero Messina GIOVANI PROMESSE
Una risorsa fondamentale
per i NUOVI TALENTI Piero Messina, 32 anni, autore di corti che hanno partecipato a festival prestigiosi come Cannes e Roma, ci offre il suo punto di vista dall’interno. «Dopo la proiezione a Cannes il mio corto “Terra” è stato richiesto da moltissimi altri festival, fin quando ha cominciato ad avere una sua circuitazione quasi indipendente legata ai rapporti che i festival hanno tra loro. La partecipazione a una kermesse importante può determinare in positivo la successiva carriera del film. Ma, al di là della visibilità che indubbiamente offrono, per me i festival rappresentano un’occasione per misurare ciò che ho fatto di fronte a un pubblico. Solo in una sala piena di persone che non mi conoscono mi rendo conto di ciò che sto raccontando, e a volte mi ACCORGO DI errori che sul set o in sala di montaggio sono riuscito a non vedere. Posso dire forse che è questo il luogo in cui ho capito più cose riguardo al mio lavoro». Puoi farci un quadro di come funziona il sistema dei festival come “work in progress”? Da qualche anno ormai quasi tutti i festival più importanti organizzano dei laboratori di sviluppo e degli spazi di “incubazione” in cui
poter aiutare i registi o gli sceneggiatori nella realizzazione dei loro film. Alcuni di questi accompagnano l’autore in quasi tutto l’arco di sviluppo, a volte partendo sin dal soggetto. Per citarne alcuni: Torino Film Lab (Festival di Torino), La Residence e L’Atelier (Festival di Cannes), NCN – New Cinema Network (Festival Internazionale del Film di Roma), Talent Campus (Festival di Berlino). Solitamente funzionano con dei bandi pubblicati sui rispettivi siti internet o raramente, come per L’Atelier, tramite invito diretto da parte del festival. Esorto qualsiasi giovane autore a visionare questi siti e a inviare la domanda. Io ho partecipato e sto partecipando con la sceneggiatura del mio lungometraggio (attualmente in sviluppo) all’NCN del Festival di Roma, alla preselezione della Residence di Cannes, e al Torino Film Lab. Sono tre esperienze diverse che hanno diverse utilità, ma che sono perfettamente compatibili fra loro. Cannes offre con la Residence ospitalità in un appartamento a Parigi per 4 mesi e una piccola borsa di 800 euro al mese, più alcuni benefit come l’ingresso gratuito in molti cinema parigini e lezioni di francese. Questo serve a concentrarsi solo sugli aspetti che riguardano la scrittura del proprio film e a confrontarsi con gli altri ospiti del festival. L’anno scorso è stato selezionato l’italiano Pasquale Marino. Il Torino Film Lab si sviluppa invece in diversi laboratori per le diverse fasi dello
sviluppo: Training, Development e Funding. Il laboratorio che sto facendo io è lo “script and pitch”, un percorso di scrittura (nel mio caso di riscrittura) che mi dà la possibilità di lavorare con alcuni importanti script editor e sviluppare la sceneggiatura del film. Alla fine di questo percorso alcuni progetti entrano in un’altra fase che può portare anche a un parziale finanziamento del film. Con l’NCN ho potuto incontrare durante il festival di Roma alcuni produttori internazionali che avevano letto la mia sceneggiatura. Con alcuni di loro sono rimasto in contatto. Quali sono/sono stati i tuoi rapporti con i finanziamenti pubblici (ministero, enti locali ecc.)? A eccezione di un piccolo finanziamento regionale (Regione Sicilia) che ho ricevuto qualche anno fa per un mio documentario, per il resto non ho avuto fino a oggi nessun rapporto diretto con il finanziamento pubblico. Con il produttore del mio film probabilmente faremo richiesta nella prossima sessione al fondo per le opere prime e seconde. Tuttavia, per quanto difficile, in Italia i fondi ministeriali restano una delle poche possibilità che un film ha per finanziarsi. Spero che pian piano si trovino in parallelo (anche grazie a budget ridotti) strade alternative. Se così sarà, sono convinto che ciò avrà una ricaduta straordinaria anche sul piano creativo, e rappresenterà il più concreto presupposto per un sostanziale rinnovamento del nostro cinema.
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Qualità dei convegni/ dibattiti/spazi di approfondimento Possibilità di interagire con registi/attori Qualità di eventi/concerti Qualità di spazi commerciali
7,01
6,91
7,01
6,12
VAL U TA Z I O NE D E G LI AS P ETTI C U LT U RALI D EL F ESTIVAL
«L’investimento privato è tuttora fermo al 20%. Si tratta quindi di un terreno di lavoro ancora tutto da sfruttare, in cui un ingresso più deciso degli sponsor privati potrebbe dare un maggiore impulso all’offerta festivaliera in qualità e quantità».
La valutazione degli aspetti culturali è stata giudicata complessivamente più che sufficiente; appena sufficiente, invece, la qualità degli spazi commerciali.
nati su questa strada, fornendo strumenti efficaci a nuovi autori che hanno ricevuto poi riconoscimenti in Europa e nel mondo. Istituito nel 2008, il Torino Film Lab è un laboratorio internazionale di frequenza annuale che supporta i talenti emergenti del panorama internazionale al loro primo o secondo lungometraggio, attraverso attività di training, development e funding. Mentre New Cinema Network (NCN), nell’ambito del Festival internazionale del film di Roma, è un mercato di coproduzione dove gli autori possono presentare i loro progetti ed entrare in contatto con esponenti di primo piano dell’industria cinematografica europea. Da qui sono passate, nelle scorse edizioni, pellicole come Io sono Li di Andrea Segre (premiato a Venezia e ai David di Donatello nel 2012 per la miglior attrice protagonista) e L’uomo che verrà di Giorgio Diritti (vincitore di tre David di Donatello nel 2010, fra cui miglior film). Resta tuttavia ancora molto da fare, se è vero che la visibilità è appannaggio quasi esclusivo dei film in concorso, mentre quelli delle sezioni minori hanno molta più difficoltà a racimolare uno spazio su tv, web e giornali. Se si vuole davvero fare emergere i nuovi talenti occorrerà quindi predisporre con più attenzione strutture e modalità operative che mettano in contatto fra loro tutti i soggetti economici della filiera (autori, distributori, erogatori di fondi pubblici e privati, sponsor ecc.).
N. % Curiosità per il festival 514 23,8% nel suo complesso Vedere tanti film diversi in un solo giorno
372
17,2%
Vedere un particolare film
283
13,1%
Poter vedere artisti e registi
263
12,2%
Condividere un’esperienza con amici/parenti
263
12,2%
Partecipare a un particolare evento (concerto/mostra/convegno)
239
11,1%
Conoscere persone che abbiano i miei stessi interessi
144
6,7%
Altro
79
3,7%
TOTALE
2157
100%
M O TIVA Z I O NI D ELLA P ARTECI P A Z I O NE AI F ESTIVAL VISIONI ITALIANE
Bologna sede delle giovani visioni italiane Si svolgerà dal 27 febbraio al 3 marzo a Bologna Visioni Italiane, concorso nato nel 1994 per dare a spazio a tutti quei lavori dal formato irregolare che ogni anno vengono realizzati sul territorio nazionale e che rimangono per lo più invisibili: cortometraggi, documentari, film sperimentali, opere d’esordio in cerca di una distribuzione. La Cineteca di Bologna ha dato spazio in modo continuativo ai lavori di questi giovani autori, seguendo il loro cammino professionale e offrendo un luogo di confronto con altri autori e con il pubblico. Diversi sono i registi passati da Visioni Italiane e poi approdati al lungometraggio, diventati noti a livello nazionale e internazionale: Gianni Zanasi, Matteo Garrone, Daniele Gaglianone, Gianluca Tavarelli, Paolo Genovese, Luca Miniero e tanti altri. Sei le sezioni (Visioni Italiane, Visioni Doc, Visioni Ambientali, Fare cinema a Bologna e in Emilia Romagna, Premio Luca De Nigris, Il documentario italiano: lo sguardo degli autori), a cui quest’anno si affianca Visioni Acquatiche, per cortometraggi della durata massima
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di 3 minuti che trattino come tematica l’acqua come fonte di vita, benessere, salute e turismo. Fra i lavori in concorso in questa edizione God save the green, un film documentario di Michele Mellara e Alessandro Rossi, che racconta storie di gruppi persone che, attraverso il verde urbano, hanno dato un nuovo senso alla parola comunità e cambiato in meglio il tessuto sociale e urbano in cui vivono.
I FESTIVAL DI CINEMA
LABORATORIO di idee, progetti, scambi, incontri fra autori / produttori / distributori
VETRINA DI FILM
FES TIVA L di cinema
I FESTIVAL OGGI COME
FANNO LAVORARE IMPRESE E PERSONE DEL TERRITORIO AUMENTANO L’ ATTRATTIVITA’ TURISTICA DELLA ZONA
STIMOLO ALL’ECONOMIA LOCALE PERCHé
IL CHE SI TRADUCE IN UNA LORO
MAGGIORE DISPONIBILITà DI REDDITO DA SPENDERE ancora SUL TERRITORIO
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- Icone -
ROBERTO FAENZA
IL CORAGGIO è UN DIRITTO DA DIFENDERE Un pomeriggio “a lezione” da colui che con molta autoironia si definisce il «peggiore insegnante che esista nelle università italiane»: Roberto Faenza, regista, sceneggiatore, scrittore, docente. Una coscienza critica che non ha paura di dire le cose come stanno.
di Chiara Spoletini foto PAOLO PALMIERI
F O C U S | R O B ERT O F AEN Z A Nato a Torino nel 1943, a Roma per fuggire dal freddo capoluogo piemontese, Roberto Faenza è regista, sceneggiatore e saggista. Ha insegnato al Federal City College di Washington, è stato docente di sociologia della comunicazione all’università di Pisa e oggi insegna cinematografia alla Sapienza di Roma. È uno dei pilastri di Cinemonitor - Osservatorio Cinema, iniziativa che lo vede nei panni di responsabile scientifico, ideata e progettata da Edoardo Campanale e Gabriele Sabatino, che si pone l’obiettivo di produrre analisi, riflessioni, proposte sul cinema in Italia, con uno sguardo anche al panorama internazionale.
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Lei insegna cinematografia alla Sapienza di Roma. Perché insegnare? Credo di essere il peggior insegnante che esista nelle università italiane, e in effetti credo anche che un certo tipo di insegnamento sia inutile. Però, per come è organizzata l’università, è necessario proporre un corso di riferimento per poter condurre laboratori e master, fare cioè quello che davvero mi interessa. Ecco, confesso di fare il docente per promuovere e gestire attività sperimentali, e tento di alleggerire ogni impronta accademica provando a instaurare con gli studenti un rapporto più dinamico, costruttivo, praticamente creativo. L’università è uno spazio di aria fresca che il cinema da solo non dà. Come può un giovane farsi spazio tra gli ingombranti “nomi storici” del cinema? Oggi ci sono molte più possibilità di fare film di quando ho cominciato io. Tuttavia la crisi industriale della cinematografia fa sì che non vengano quasi più realizzati film di budget medio alto, il produttore oggi tende a considerare piccolissimi film a micro budget o addirittura no budget. In questa situazione i giovani registi hanno più chances di quelli affermati, che certamente non possono pensare di realizzare un film con fondi così ridotti, probabilmente non ne sarebbero neanche capaci, mentre per l’esordiente è una condizione decisamente familiare. Il vero problema semmai è farsi vedere: è il livello distributivo che presenta ostacoli spesso insormontabili. Oggi vengono prodotti tanti piccoli film che non vede nessuno, non riusciamo neanche a immaginare la possibilità di un mercato per loro, questa è la vera latitanza del cinema italiano. Negli Stati Uniti, per esempio, i film non escono solo in sala, internet ha una grandissima eco distributiva; l’apparato cinematografico americano in questo modo sta cominciando a pensare al futuro, il nostro invece sembra non avere nessun interesse a farlo. Il futuro è dunque il web? Internet offre certamente più opportunità, ma è anche meno facile essere visti data l’enorme concorrenza; non c’è dubbio però che mentre un piccolo film al cinema non uscirà mai, in rete avrà certamente la possi-
bilità di avere degli spettatori. Credo perciò che il web cambierà il modo di fare cultura e informazione. Cambieranno i formati, non è possibile stare davanti al pc per un’ora e mezzo, diventerà tutto più piccolo e avranno sempre più seguito le web series; è un territorio che offre grandi opportunità per tutti, in cui troverà spazio la qualità ma, inevitabilmente, anche l’improvvisazione. Ha girato in America il suo ultimo lavoro, Un giorno questo dolore ti sarà utile: che cosa ha riportato da questa esperienza? È convinzione diffusa che il cinema americano sia privatizzato, ma non è assolutamente vero, è anzi il cinema più sponsorizzato dal pubblico che esista oggi al mondo. L’introduzione del tax credit fa sì che ci siano degli Stati nei quali se si va a girare si viene rimborsati fino al 60% di quello che si è speso; a New York noi abbiamo riavuto indietro circa il 35%. L’America è un paese che sa investire nel cinema, ogni dollaro speso ne ha fatti guadagnare fra i tre e i quattro; non è vero che il cinema prende soldi pubblici che non restituisce. Li restituisce eccome, invece, procurando oltretutto lavoro a centinaia di persone. Una situazione ben diversa dalla cara vecchia Europa… In Francia però ci si rende conto dell’importanza dell’industria cinematografica, è un paese da prendere a esempio. Sono anni che riconosciamo di non avere una legge che tuteli il comparto culturale, perlomeno cinematografico e televisivo; i francesi ce l’hanno da più di vent’anni, hanno un sistema decisamente industrializzato per cui un produttore è sicuro di riuscire a ottenere un fondo finanziario di notevole valore, quasi il 70, l’80%. Noi invece, per colpa di una politica distratta, non siamo stati capaci di dar vita a una vera e propria legge di tutela per il settore cinematografico. Il pubblico francese ama il cinema di qualità. Significa che i francesi sono più intelligenti degli italiani? No, significa che hanno una preparazione al bello che noi non abbiamo, perché ad esempio, proibendo alle tv di trasmettere film il sabato e la domenica, educano il pubblico ad andare nelle sale. I giovani francesi hanno diritto a una
«In Francia ci si rende conto dell’importanza dell’industria cinematografica. Dovremmo prendere la legislazione francese, fotocopiarla, tradurla e attuarla immediatamente, investire nel cinema una valanga di quattrini, noi ci limitiamo a cento milioni di euro, loro ne investono mille». 28
tessera che al costo di 5, 6 euro permette loro di andare tutta la settimana al cinema, che diventa così per loro un luogo da vivere. Noi per tutta risposta abbiamo annientato le sale di città, assistiamo all’invadenza di multiplex in cui si aggirano orde di giovani spettatori assetati di violenza, bramosi solo di vedere il sangue schizzare da una parte all’altra dello schermo. Il pubblico adulto non ha più locali a disposizione, nel centro storico le sale cinematografiche non esistono più. Credo fermamente che dovremmo prendere la legislazione francese, fotocopiarla, tradurla e attuarla immediatamente, investire nel cinema una valanga di quattrini, noi ci limitiamo a cento milioni di euro, loro ne investono mille. Qual è la domanda che i suoi studenti le rivolgono più spesso? Vorrebbero sapere quale sarà il loro futuro. Noi docenti purtroppo non siamo in grado di dare risposte perché, mentre in altri paesi i ragazzi hanno delle occasioni più o meno immediate di occupazione, qui, come sappiamo, non accade. Un esempio concreto mi è capitato quando ho girato Un giorno questo dolore ti sarà utile. Avevo chiesto di accompagnarmi nelle riprese a tre dei miei studenti, due laureati e un laureando. In Italia non avevano avuto ancora nessuna opportunità: sono rimasti in America e ora lavorano tutti e tre in società di produzione, uno a Los Angeles, gli altri a New York. Là c’è un rispetto della professionalità giovanile che noi non abbiamo. Il problema sta nella struttura del nostro cinema che determina una generale mancanza di coraggio. È difficile avere coraggio, chi decide di fare un film ha pochissime possibilità di trovare dei finanziamenti: le uniche sono Rai Cinema, Medusa e il Ministero per i beni e le attività culturali, che risentono poi del peso della televisione. Per fare un film con un medio budget è necessaria infatti una vendita televisiva ed è difficile che si possa proporre qualcosa di coraggioso, perché quella delle televisioni è una dimensione ingessata, parastatale. Qual è il pericolo nel quale i giovani registi rischiano maggiormente di cadere? Che si abituino allo status quo, che rinuncino a combattere. Oggi i ragazzi, soprattutto quelli che si occupano di cinema, hanno meno capacità e forza combattiva di quelli, ad esempio, del Sessantotto. In quegli anni nessuno si poneva il problema di “quale” film fare, ma ci si chiedeva “come” farlo. Se non cambieranno le dinamiche interne, se non ci sarà una riforma radicale della televisione e un adeguamento alle normative europee sul modello francese il cinema italiano resterà quello degli ultimi vent’anni, si faranno quattro o cinque film di grande successo popolare, cinque o sei di successo medio e basta. Tutti gli altri non li vedrà nessuno. Il genio, ammesso che ci sia, in questo paese non potrà venire fuori finché non ci sarà un’industria in grado di sostenerlo.
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- Mestieri -
MARINA RUIZ
UNA SICILIANA SUL TRONO DI SPADE Come si fa ad arrivare da Catania sul set di una megaproduzione internazionale? Ce lo spiega Marina Ruiz, giovane costumista che ha coronato il suo sogno fantasy grazie a una mail. di ILARIA RAVARINO foto CARMEN TUTUNARU, RICCARDO TROPEA, CRISTIANO MARLETTA
Italiani brava gente, certo. Ma soprattutto bravi costumisti. Perché se dagli anni Sessanta a oggi molte cose sono cambiate nell’industria cinematografica italiana (per esempio: non è più un’industria), una certezza almeno ci è rimasta: nessuno, meglio di noi, sa vestire il talento. Lo dicono i grandi nomi, quelli da Oscar di Milena Canonero o Gabriella Pescucci, lo confermano i nomi più piccoli, quelli degli artigiani che con un mix di abilità, genio e dedizione stanno popolando i set delle grandi produzioni estere, europee e americane. C’è un’italiana, per esempio, anche sul set della terza stagione de Il trono di spade, serie tv tratta dai romanzi fantasy di George R.R. Martin e vincitrice di numerosi Emmy e Golden Globe: si chiama Marina Ruiz, ha 35 anni e vive e lavora a Catania, dove insieme al marito Giovanni Tricomi gestisce il laboratorio di costumi The Iron Ring. La storia di Marina, ex ricercatrice universitaria diventata imprenditrice di se stessa (e delle proprie passioni), insegna molto. Insegna, prima di tutto, che non è mai troppo tardi per ricominciare. Insegna che il Sud del paese è un serbatoio di creatività troppo spesso inespressa. E soprattutto dice una cosa. Che il vero talento non ha bisogno di raccomandazioni per emergere. A volte basta una mail.
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Da Catania a Belfast: come sei arrivata al set de Il trono di spade? Con una mail. Più di una, a dire la verità: sono un’appassionata lettrice di George Martin e lavorare per la serie tv tratta dai suoi romanzi era il mio sogno. E così, periodicamente, scrivevo alla produzione inviando il curriculum e le foto dei miei costumi. Mi rispondevano sempre di no, ma non mi sono arresa. Alla fine mi hanno accettata: avevo fatto abbastanza esperienza, secondo loro, per aggiungermi all’équipe. Qual è stata la tua formazione? Autodidatta: sono laureata in chimica. Ho cominciato cucendo vestiti per me, poi ho incontrato Giovanni, mio marito, che aveva una sua attività: costruiva elmi e armature per ricostruzioni storiche e giochi di ruolo dal vivo, un hobby che condividiamo. La mattina andavo all’università, di sera confezionavo costumi. Ho smesso quando ho capito che
stringere contatti con filmaker siciliani. Abbiamo fatto esperienza con un mediometraggio, Dark Resurrection, dedicato a Star Wars e approvato nella continuity della serie da George Lucas in persona. Subito dopo è arrivato Il trono di spade. La prima cosa che hai fatto quando sei arrivata a Belfast? Ho acceso la tv in albergo. E sa cosa stavano trasmettendo? Montalbano, con i sottotitoli. Che ricordi hai del set? Il set, prima di tutto, magnifico. Eravamo nello stesso studio dove è stato ricostruito il Titanic. E poi la fiducia che mi ha trasmesso quell’esperienza, il fatto che dei seri professionisti come loro abbiano creduto in me. Gente che ha vinto l’Emmy e che ti tratta da pari. Incredibile! C’è tanta voglia di insegnare, là. In Italia, purtroppo, non tutti sono disposti a farlo.
Il laboratorio di Marina fornisce abiti e attrezzature, oltre che per cinema e teatro, per allestimenti museali, cortei storici, cosplay, ed è un esempio di impresa artigianale che coinvolge molte piccole aziende del territorio: una rete di collaboratori che include decine di piccole e grandi genialità italiane che spaziano da giovani designer a maestri artigiani ultranovantenni. preferivo cucire di notte che stare in laboratorio di giorno, e così nel 2006 ho lasciato il lavoro di ricerca. Come ti sei avvicinata al cinema? Ho seguito un corso da fashion designer, ma la scena catanese è piuttosto povera per chi come noi ama il genere storico e fantasy. È un settore complicato, perché servono soldi e risorse. La situazione si è sbloccata grazie al Sannio Film Festival. Nel 2007 sono stata ammessa al campus per scenografi e ho seguito un corso di due settimane con la costumista del Marchese del Grillo Gianna Gissi. Là ho capito che il cinema era la mia strada. Il cinema, però, si fa a Roma... Ma noi volevamo provarci a Catania. Anche perché di andare a Roma non se ne parlava visto che Achille, nostro figlio, era ancora piccolo. Con Giovanni abbiamo cercato piccole produzioni locali e ci siamo dati da fare per
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In cosa consisteva il tuo lavoro? C’erano altri italiani? Sì, altri tre. Sono rimasta a Belfast due settimane, entrando in vari dipartimenti. Sul set si lavorava anche dalle 5 del mattino fino alle 19:30, le sarte erano quasi tutte inglesi e c’erano moltissimi giovani, anche se non in posizioni da caporeparto. Si faceva colazione tutti insieme e ogni venerdì c’era una piccola festa del film. Io ho curato il guardaroba per le comparse in un episodio della terza stagione, un matrimonio, ma ho potuto vedere come funziona tutta la “macchina”. I tuoi prossimi progetti? Stiamo lavorando a un booktrailer sulla vita di Gesù e alla serie web Chronicles of Syndacs, online ad aprile e già acquistata da un canale inglese. Abbiamo anche coprodotto il thriller Jabal, di Filippo Arlotta e Salvo Campisano, perché ci piacerebbe portare avanti i nostri progetti qui a Catania... Aiutare il cinema a svilupparsi nella nostra città. È una sfida.
«È fondamentale la fiducia che mi ha trasmesso l’esperienza ALL’ESTERO, il fatto che dei seri professionisti abbiano creduto in me. Gente che ha vinto l’Emmy e che ti tratta da pari. C’è tanta voglia di insegnare, là». 33
- Promotion -
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Direttore Didattico e Artistico: Paolo Secondino - www.romeuracademy.it - Via Cristoforo Colombo, 573 - Roma - numero verde 800 910 410 - info@romeuracademy.it 34
- Making of -
SUL SET DI THE TEMPLE
MOUNT
CAST Tiziano Cella (Headsman, Italia); Veejay Kaur (Hiram I-biff, India); Andrea Mariani (Andrew Garcia, protagonista, Italia); Sylvye Lubamba (Fatimah, Africa); Margherita Coppola (The apprentice, Italia); Francesca Fiume (Sadako Yamamura, Cina)
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Durata 09.38 Budget 3.000 euro Lingua Inglese, sottotitolato in italiano Location Girato a Montelanico (RM) il 13 e 14 Ottobre 2012, con una troupe di 23 componenti, in grande maggioranza donne.
CURIOSITà Il film potrà essere proiettato in 4k. Il cast recita in lingua inglese con accenti
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Misto di luci a temperatura diurna 5.600 gradi kelvin e luci al tungsteno 3.200 gradi kelvin, per creare un contrasto tra il freddo clima dell’interrogatorio sui volti degli attori e lo sfondo caldo e rossastro, come illuminato dalle fiamme. Kinoflo 4x60 tubi freddi ; 1.2kw HMI sun par : 1 par 64 tungsteno.
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Il direttore della fotografia Davide Manca misura con un esposimetro Sekonic 758 l’intensità della luce diretta prodotta dal bank di neon sopra la sua testa.
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La troupe controlla sul video assist l’ultima scena. Sono presenti lo scenografo F. Benedetti, la costumista A. Lombroni, la segretaria di edizione E. Guidotto.
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Film diretto, scritto, prodotto e interpretato da Tiziano Cella (autore, regista e produttore di Imago vocis 2011 e Maledetta Cuba 2010). Ha come tema il dominio della tecnologia – in questo caso la chatroom virtuale “The Temple Mount” – che, con la scusa di facilitare la vita delle persone e divertirle, non fa altro che manipolarle e controllarle, rendendole sempre più confuse e isolate. A questo nucleo narrativo fanno da cornice temi come il multiculturalismo, la religione, il razzismo, la droga e la violenza sulle donne.
Red Epic, con obiettivo grandangolare, perpendicolare a una superficie trasparente di cristallo per l’inquadratura dal basso di una donna sbattuta violentemente contro un tavolo.
volutamente diversi, multietnici; per creare gli effetti vocali del personaggio di Sadako Yamamura sono state coinvolte attrici e doppiatrici di madrelingua inglese. Nella scenografia un paio di oggetti ben visibili riconducono a due famose saghe cinematografiche: Hellraiser e Alien. Fitti anche i richiami alla simbologia massonica (Hiram I-biff e The apprentice sono nomi di figure della mitologia massonica). Sadako Yamamura è il nome della bambina con poteri paranormali nella saga horror giapponese di The ring e Andrew Garcia è la storpiatura di Andy Garcia; Headsman, il personaggio interpretato dal regista, porta il nome di un’antichissima famiglia inglese di boia. Potete vedere il video completo del making of sul sito di Fabrique.
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Macchina da Presa: Red Epic 5k RAW Full frame 14 mega pixel Misterium x Varispeed 300fts Ottiche Red Follow focus Arri f4 Testata Cartoni C40 Mattebox red rocket Filtri: ND tiffen
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Scena 01, il macchinista Luca Papi batte il ciak. Macchina a mano Red Epic con obiettivo n 35mm marca RED, diaframma t 2.1.
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Kinoflo 2x60 tubi freddi di controluce sospeso su astaboom. L’assistente operatore Edoardo Rebecchi tiene il fuoco su un obiettivo 85mm a tutta apertura.
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Scena di combattimento esterno tramonto. Un proiettore 1.2kw HMI (luce solare) di controluce ricrea gli ultimi raggi di sole prima del crepuscolo, mentre il telaio 2x2 metri con un panno Rosco riflette la luce diffusa del cielo sul volto dell’antagonista. Microfono panoramico Sennheiser con protezione antivento.
La post produzione: Color Correction in scratch con schede RED ROCKET, Colorist E. Cosmi.
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Diego Armando Corleone è la storia di un tragicomico viaggio alla ricerca delle proprie origini mafiose da parte di un ragazzone italoamericano desideroso di diventare boss a tutti i costi. Nasce come soggetto cinematografico dalla penna di Severino Iuliano (sceneggiatore) ed è diventato graphic novel grazie alle matite di Aldo Iuliano (regista e disegnatore) e Fabrizio De Masi (colorist). www.iulianobrothers.it - www.fabriziodemasi.it
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DIARIO GLI eventi di Fabrique
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7 OTTOBRE 2012
Fabrique istituisce il premio del pubblico al Rome Creative Contest È Pierluca di Pasquale il vincitore del premio di Fabrique du Cinema al Rome Creative Contest: il giovane regista, già premiato al concorso “Talenti in corto”, ha ricevuto il premio del pubblico istituito da Fabrique nell’ambito della seconda edizione del festival romano dedicato ai corti, di cui l’associazione è partner. Nonostante sia solo al suo secondo anno di vita, il Rome Creative Contest è già divenuto un luogo di incontro per i giovani registi, professionisti del settore e appassionati, ottenendo un riscontro significativo da parte di partecipanti, pubblico e media.
Per il lancio della rivista “Fabrique” grande party di inaugurazione al MAXXI
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15 NOVEMBRE 2012 Straordinaria festa al MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo a Roma per la presentazione della nostra rivista: centinaia gli invitati del mondo del cinema, dell’arte e della musica che si sono incontrati al party, organizzato nell’ambito del Festival del cinema di Roma, di cui Fabrique è cultural partner. Madrina della serata Giulia Valentini, la giovane attrice protagonista di “Un giorno speciale” di Francesca Comencini, a cui è dedicata anche la copertina e il servizio d’apertura: il volto del nuovo cinema italiano su cui vogliamo scommettere.
7 DICEMBRE 2012
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Fabrique on tour al Festival del cinema di Reggio Calabria Una delegazione di Fabrique ha partecipato al Festival del cinema di Reggio Calabria. La “squadra”, di cui facevano parte anche i registi Ivan Silvestrini e Fabio Mollo e le attrici Francesca Valtorta e Giulia Valentini, ha tenuto un’animata tavola rotonda con il pubblico reggino sulla forza rivoluzionaria del giovane cinema italiano. 10 DICEMBRE 2012
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Nasce la partnership di Fabrique con il Premio Margutta Fabrique è media partner del Premio Margutta, che ha l’obiettivo di celebrare uno dei luoghi più famosi della città eterna: Via Margutta, un museo a cielo aperto, ricca di fascino e storia, per molti la via dell’arte più celebre al mondo.
Come e dove “Fabrique” a Roma CINEMA 1 | AZZURRO SCIPIONI | 06.39737161 | Via degli Scipioni, 82 2 | CASA DEL CINEMA | 06.423601 | Largo Marcello Mastroianni, 1 3 | CINEMA DELLE PROVINCE | 06.44236021 | Via delle Province, 41 4 | EDEN FILM CENTER | 06.3612449 | Piazza Cola di Rienzo, 74 5 | FARNESE | 06.6064395 | Piazza Campo De Fiori, 56 6 | GREENWICH | 06.5745825 | Via G. Battista Bodoni, 59 7 | INTRASTEVERE | 06.5884230 | Vicolo Moroni, 3 8 | MAESTOSO | 06.786086 | Via Appia Nuova, 416 9 | NUOVO CINEMA AQUILA | 06.70399408 | Via L’Aquila, 66 10 | NUOVO OLIMPIA | 06.4818326 | Via in Lucina, 16a 11 | NUOVO SACHER | 06.5818166 | Largo Ascianghi, 1 12 | POLITECNICO FANDANGO | 06.36004240 | Via G. Battista Tiepolo, 13 13 | QUATTRO FONTANE | 06.4741515 | Via Quattro Fontane, 23 14 | TIBUR | 06.4957762 | Via degli Etruschi, 36
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30 DICEMBRE 2012
Fabrique sbarca su Rai 1 Il progetto Fabrique si fa strada anche sui media nazionali: il direttore artistico Davide Manca è stato ospite alla trasmissione “Cinematografo” condotta da Gigi Marzullo su Rai 1 per presentare la rivista, le sue caratteristiche e i suoi obiettivi, ma soprattutto la sua novità nel panorama editoriale italiano.
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LOCALI 15 | KINO | Via Perugia, 34 16 | GIUFÀ | Via degli Aurunci, 38 17 | LE MURA | Via di Porta Labicana, 24 18 | MAMMUT | Via Circonvallazione Casilina, 79 19 | BIG STAR | Via Mameli, 25 OSTELLOBELLO | Via Medici 4, Milano SCUOLE 20 | CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA | Via Tuscolana, 1520 21 | ROMEUR ACADEMY | Via Cristoforo Colombo, 573 22 | SCUOLA D’ARTE CINEMATOGRAFICA GIAN MARIA VOLONTÉ | Via Greve NUOVA ACCADEMIA DI BELLE ARTI | Via C. Darwin, 20 Milano LIBRERIE 23 | LIBRERIA DEL CINEMA | Via dei Fienaroli, 31
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