Fabrique du Cinéma n° 5 2014

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LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO GENNAIO FEBBRAIO MARZO

Numero

2014

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OPERA PRIMA

NAPOLI, CITTÀ DELL’ANIMA

“L’arte della felicità”: quando il Sud è un passo avanti

ICONE

GIULIANO MONTALDO

Sessant’anni di cinema vissuti con coerenza e il sorriso sulle labbra

DOSSIER

PRODUCT PLACEMENT

Consigli per gli acquisti? Acqua passata. Ora si guarda al PP

DRITTO AL

BERSAGLIO FRANCESCO FORMICHETTI NON HA DUBBI

recitare è la mia vita E COME LUI SONO IN TANTI I RAGAZZI CHE PUNTANO TUTTO SUL LORO TALENTO



S SOMMARIO

Pubblicazione Edita Dall’Associazione Culturale Indie per cui Via Francesco Ferraironi, 49 L7 (00177) Roma www.fabriqueducinema.it

Registrazione tribunale di Roma n. 177 del 10 luglio 2013 DIRETTORE RESPONSABILE Ilaria Ravarino SUPERVISOR Luigi Pinto DIRETTORE ARTISTICO Davide Manca GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giovanni Morelli Paolo Soellner CAPOREDATTORE Elena Mazzocchi STRATEGIC MANAGER Tommaso Agnese REDAZIONE Cristiana Raffa Sonia Serafini Chiara Spoletini PHOTOEDITOR Francesca Fago COMUNICAZIONE E WEB Consuelo Madrigali WEB MASTER Luca Luigetti EVENTI E MARKETING Isaura Costa DELEGATO NORD ITALIA Luca Caserta RELAZIONI SALE Katia Folco UFFICIO STAMPA Sara Battelli HANNO COLLABORATO Alessandro Baronciani Angelo Licata STAMPA Press Up s.r.l. Via La Spezia, 118/C 00055 Ladispoli (RM) DISTRIBUZIONE Luca Papi Finito di stampare nel mese di Febbraio 2014

LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO GENNAIO FEBBRAIO MARZO

Numero

2014

5

OPERA PRIMA

NAPOLI, CITTÀ DELL’ANIMA

“L’arte della felicità”: quando il Sud è un passo avanti

ICONE

GIULIANO MONTALDO

Sessant’anni di cinema vissuti con coerenza e il sorriso sulle labbra

DOSSIER

PRODUCT PLACEMENT

Consigli per gli acquisti? Acqua passata. Ora si guarda al PP

DRITTO AL

BERSAGLIO FRANCESCO FORMICHETTI NON HA DUBBI

recitare è la mia vita E COME LUI SONO IN TANTI I RAGAZZI CHE PUNTANO TUTTO SUL LORO TALENTO

IN COPERTINA Francesco Formichetti

14 OPERA PRIMA ALESSANDRO RAK L’ARTE DI FARCELA

28 ICONE GIULIANO MONTALDO STORIA DI CINEMA E AMICIZIA

4 6 10 12 18 22 26 32 36 40 44 46 48 50

EDITORIALE TABÙ

VERSO SUD

/1 SOCIALMENTE PERICOLOSI /2 THE JACKAL

COVER STORY

FRANCESCO FORMICHETTI IN VOLO SENZA AEROPLANO

ITALIAN JOB

I FANTASTICI 5 UNA BAND DI FUMETTISTI

QUI BUCAREST LA “NUOVA ONDA” DEL CINEMA RUMENO

CINEMA E MODA

I VESTITI NUOVI DELL’ATTORE TALENT SCOUTING

FESTIVAL ITALIA, EUROPA MONDO

DODICI

ELISA AMORUSO DALLA PAGINA ALLO SCHERMO

DOSSIER

PRODUCT PLACEMENT IL CINEMA VESTE PRADA?

MACRO

I FILTRI OTTICI STRUMENTI E TECNICA

MESTIERI FOLEY ARTIST ARTE E SUONO

MAKING OF SUL SET DI TENDER EYES

GRAPHIC NOVEL MUSICARELLO HISTOIRES DU CINÉMA

EFFETTI SPECIALI UN CLASSICO IN DIGITALE LOVE IN A BLUE TIME


E TABÙ EDITORIALE

di ILARIA RAVARINO foto ROBERTA KRASNIG

1) A Sud il cinema non c’è. E se c’è lo porta qualcun altro. I talenti emigrano. Gli studi falliscono. I progetti non decollano. Con tutti i problemi che ci sono nel nostro paese, dobbiamo preoccuparci dei film? Tanto si sa. È impossibile fare cinema nel Mezzogiorno d’Italia. 2) L’animazione per adulti nel nostro paese non ha mercato. Non piace, non vende, non trova spazio. Siamo un paese di anziani: chi li guarda i cartoni animati? Lo sanno tutti. Fare animazione in Italia è una perdita di tempo. 3) Le donne alla regia sono una rarità. Lo sono sempre state. Ma in un paese in cui quasi una donna su due non ha un lavoro “vero”, e nemmeno lo cerca, a chi importa se le registe sono poche? È una causa persa. La regia, in Italia, è un lavoro per maschi. 4) Se vuoi fare l’attore devi essere raccomandato. O figlio, nipote, amante, parente d’arte. Quante dinastie del cinema ci sono in Italia? Qualcuno, sul web, le ha pure contate. Se non avete un aiutino lasciate perdere. In questo paese non si fa niente senza una spintarella. La lista potrebbe andare avanti all’infinito, ma noi ci fermiamo qui. E vi sfidiamo. Prendete questi quattro luoghi comuni, prendeteli così come li abbiamo masticati e metabolizzati, e smontateli insieme a Fabrique. Sfogliate la rivista che avete in mano e sorprendetevi a scoprire il fermento creativo che ribolle da Roma in giù, la varietà dei nostri studi d’animazione, la storia di una regista, Elisa Amoruso, e di un attore, Francesco Formichetti, che devono solo al talento il merito di fare il lavoro che amano. Quando chiuderete questo numero della rivista vi sentirete più leggeri. Perché non c’è niente di più liberatorio e rivoluzionario che infrangere i tabù, e le nuove generazioni lo sanno benissimo: il cinema di domani detesta i luoghi comuni. Il cinema di domani, infatti, è oggi.

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IL CINEMA DI DOMANI DETESTA I LUOGHI COMUNI.

IL CINEMA DI DOMANI, INFATTI, È OGGI.

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UNA VIDEOCAMERA

[R]ESISTERE

PER

UN GIORNO NEI QUARTIERI SPAGNOLI DI NAPOLI PER CONOSCERE I RAGAZZI DI SOCIALMENTE PERICOLOSI, GIOVANI DAL PASSATO BURRASCOSO A CUI È STATA DATA UNA GRANDE OCCASIONE: CAMBIARE IL PROPRIO DESTINO. di SONIA SERAFINI foto LUCA PAPI

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- Verso Sud/1 -

A

rriviamo a Napoli in una calda giornata di dicembre, l’aria è quella prenatalizia, festoni e luci in ogni via. L’appuntamento è al Teatro Nuovo, nel cuore pulsante dei Quartieri Spagnoli, noti alle cronache per l’alto tasso di criminalità. C’è un grande fermento, è il giorno di presentazione alla stampa del documentario sull’associazione Socialmente Pericolosi ideata dal giornalista Fabio Venditti, realizzato con la collaborazione del TG2, oggi presente con il direttore Marcello Masi, e di ActionAid, rappresentata dal segretario generale per l’Italia Marco De Ponte. Socialmente Pericolosi è nata qualche anno fa, dopo che durante un’inchiesta Venditti fece la conoscenza di un boss dei Quartieri, il quale gli confidò che la sua più grande paura era per il futuro del figlio. Un futuro, quello di questi ragazzi, che sembra essere stato già scelto per loro. Nasci e cresci in un microcosmo fatto di delinquenza, abusi, droghe, una società distorta con le sue leggi e i suoi codici, chiusa nelle vie invalicabili del quartiere tanto che sembra impossibile uscirne o semplicemente avere un’altra occasione. Il progetto di Socialmente Pericolosi ha come obiettivo proprio quello di dare una scelta ai ragazzi, far loro capire che con la volontà si può fare altro. «Avevo notato, spiega Venditti, che questi ragazzi possedevano una marcia in più, così ho pensato che potevamo mettere in piedi quello che può diventare un vero e proprio centro di produzione di cinema, televisione, informazione. Un’iniziativa di questo tipo manca in Italia, la nostra televisione è bloccata da schemi che non permettono di creare mai nulla di nuovo». Il documentario racconta il viaggio di quattro ragazzi, Giovanni, Mariano, Giuseppe e Gennaro, dal Nord all’estremo Sud dell’Italia, che li ha spinti a rapportarsi con altre realtà, come ad esempio il centro de L’Aquila devastato dal terremoto. Ritrovarsi faccia a faccia con il

dolore, la desolazione e la fatiscenza di quei luoghi li ha fatti sentire meno soli, l’empatia con gli abitanti e il senso di aggregazione hanno spinto i ragazzi a riflettere che non è solo Napoli a soffrire. Due mesi di riprese on the road che hanno portato il gruppo di giovani a riflettere sulla loro voglia di rivalsa, di realizzare qualcosa di bello per il proprio quartiere, cambiarlo e “bonificarlo” attraverso i sogni, perché come dice Giuseppe: «Una vita senza sogni non è vita». Marcello Masi è visibilmente emozionato: «Tutto nasce da una suggestione, avevo intuito il valore del progetto: poi, parlando con Fabio e conoscendo i ragazzi, si è rivelata una certezza. Questo è un laboratorio di futuro e di speranza, che dà un importante messaggio a chi vive in contesti difficili, ovvero che si ha sempre una via di uscita». Marco De Ponte di ActionAid aggiunge che in molti paesi si usa il videomaking come strumento per affrancare le persone che si trovano in condizioni di disagio: «Abbiamo portato questi ragazzi a confrontarsi con altre situazioni estreme come le loro, ma con una forte voglia di rinascita, come a Padova, a Reggio Calabria e in Trentino. È un modo anche per dire che il cinema può essere uno strumento per uscire da situazioni oppressive». Spiega Giovanni, uno dei ragazzi: «Eravamo scettici, ma piano piano abbiamo iniziato a crederci grazie a Fabio, che ci ha fatto vedere la telecamera non come un nemico da temere, ma come qualcosa di cui appropriarci». «L’intento, gli fa eco Giuseppe, è quello di radunare le associazioni di giovani di tutta Italia per costruire un progetto comune». Vivere l’arte insomma come una forma di speranza, come una scelta possibile che distolga dalla strada: nei Quartieri Spagnoli non c’è una sola palestra, nessun laboratorio ricreativo, c’è solo un teatro, non si può far nulla di diverso da quello che si è fatto finora. Finora, appunto.

In alto: I ragazzi di Socialmente Pericolosi con un numero di Fabrique. In basso: Photo-call con Fabio Venditti (secondo a sinistra), Marcello Masi (accanto a lui con la sciarpa) e Marco De Ponte (secondo da destra).

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Ciro Priello Giuseppe Tuccido

Danjlo Turco

Antonella Di Martino

Roberta Riccio

Andrea Leone

Francesco Ebbasta

Ruzzo Simone

- Verso Sud/2 -

DA YOUTUBE AL CINEMA, LA SCALATA DEI VIDEOMAKERS NAPOLETANI

THE JACKAL di GIANMARIA TAMMARO foto THE JACKAL

S

anta Teresa degli Scalzi, a un passo dal Rione Sanità e dal Museo Archeologico di Napoli: è qui che i (the) JackaL hanno la loro sede, uno studio fornito di tutto, da un teatro di posa a una sala di registrazione audio. Ci sono computer, schermi, tavoli lunghi e lucidi; c’è un flipper che «una volta funzionava», e poi, ovviamente, ci sono loro, gli sciacalli del web. Tutti giovanissimi, con un’età media compresa tra i 25 e i 30 anni. Si sono fatti conoscere con le loro parodie dei blockbuster e dei film cult e si sono velocemente imposti sulla scena (inter) nazionale con prodotti che dire competitivi sarebbe poco: un’ottima fotografia, effetti speciali, «lens flare», trovate originali. Lavorano ogni giorno, dalla mattina alla sera. Hanno in cantiere diversi progetti, tra spot, commercial e corti. E ovviamente guardano già al futuro: al cinema. A quel grande schermo che hanno conosciuto

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per la prima volta nel dicembre scorso, con la proiezione del loro The Parker subito prima de La mafia uccide solo d’estate di Pif. L’ironia è l’arma preferita dei JackaL che non mancano mai, in tutti i loro lavori, di mettere a nudo le contraddizioni della società contemporanea (vedi i Gay ingenui, che nella puntata speciale su Barilla hanno fatto satira in modo intelligente). Ognuno ha il proprio compito: Francesco Ebbasta e Giuseppe Tuccido sono i registi, Alfredo Felco e Nicola Verre si occupano della postproduzione, con gli effetti speciali e la fotografia. Danjlo Turco è il direttore della musica e del suono. Quindi ci sono Ruzzo Simone, Ciro Priello e Roberta Riccio, attori e non solo: Ceo il primo, casting director il secondo; montatrice la terza. Antonella Di Martino è alla scenografia; Andrea Leone è il produttore esecutivo.

Essere del Sud e soprattutto essere di Napoli non è mai stato un problema per i ragazzi, che anzi hanno fatto di questa caratteristica un punto di forza: nei loro video c’è sempre un briciolo di quella sana – e a tratti drammatica – comicità partenopea che riesce a mettere a nudo anche le verità più scomode. Vedi, per esempio, il lavoro per Gli sgommati di Sky, Spin Doctors: un’analisi puntuale e divertente del partitismo all’italiana, con un focus sui vari leader politici. Storica è ormai la collaborazione con fanpage. it, coproduttrice di tanti dei loro lavori, tra i quali spiccano sicuramente The Parker e Napoli in 4K, uno dei primi esperimenti in Italia di ripresa in (più che) alta definizione: una cartolina del capoluogo campano pulita, fatta di volti e di slow motion. Fabrique du Cinéma i JackaL l’hanno conosciuta un po’ per caso, bazzicando le mostre del cinema tra Roma e Milano: e subito ne sono rimasti conquistati. «Perché parla di giovani, di registi, di cinema. Di quelle cose che ci piacciono». E di quelle cose che – viene da aggiungere – li fanno emergere tra le nuove leve del videomaking italiano. Gli effetti speciali che impiegano sfidano a testa alta quelli delle produzioni americane; in Italia, del loro modo di girare, del loro Lost in Google che fa l’occhiolino a Inception, c’è veramente poco. Innovativi, originali e appassionati. Giovani ma non ingenui: hanno gli occhi puntati sull’orizzonte, su un obiettivo – fare cinema – per il quale danno tutto se stessi. Sciacalli che non mordono ma che fanno sognare.


PROMOTION

DALLE SCUOLE AL SET I

l mondo della formazione è cambiato, o meglio è cambiato il percorso didattico che i giovani intraprendono oggi: le vecchie e lunghe università vengono sempre più abbandonate dai 18enni post diploma a vantaggio dei nuovi istituti di formazione professionale molto più settoriali e veloci, ma che soprattutto hanno un contatto diretto con il mondo del lavoro. Così anche nel mondo del cinema, oltre all’istituzionale Centro Sperimentale di Cinematografia, ci sono piccole/grandi realtà di istituti di formazione che creano giovani professionisti del set. Vediamo come grazie a un corso annuale un giovane si sia immesso nel mondo del lavoro e come al formarlo siano intervenuti docenti anche loro molto giovani.

Intervistiamo qui Giulio Contardi, studente alla Romeur Academy, e Ivan Silvestrini, regista e docente allo stesso istituto di formazione di Roma che si fregia, tra le altre cose, di rilasciare un titolo di studio con valore legale in Filmmaking riconosciuto nella Ue. Giulio oggi è un DIT in importanti film internazionali, cioè il Responsabile unico dello scarico del girato, ovvero di tutto quello che viene immagazzinato in fase di ripresa e poi passato alla post produzione. Oggi, nell’era della ripresa digitale, il dit è un esperto tecnologico che fa da ponte tra il reparto fotografia e il reparto montaggio. Giulio, di cosa ti sei occupato nelle tue prime esperienze sul set? G. Il mio ruolo è quello di aiuto operatore, cioè mi occupo della macchina da presa in tutti i suoi aspetti, dal cambio ottiche ai settaggi. Cerco di far trovare all’operatore e all’assistente la macchina da presa sempre

efficiente secondo le direzioni del DOP. Nella maggior parte dei lavori a cui ho partecipato ho avuto anche il ruolo di Data Manager, avendo così anche la responsabilità del materiale girato, scaricandolo, facendo i backup e mandandolo al laboratorio di post produzione. Quanto è stato utile aver frequentato un corso così professionalizzante? G. Mi ha dato una buonissima base per affrontare il set, insegnandomi in maniera pratica come mi sarei dovuto muovere. Inoltre l’accademia mi ha fornito i contatti per iniziare questa carriera. Che tipo di docenti hai trovato a Romeur Academy? G. Molto competenti, che mi hanno trasmesso le proprie esperienze e insegnato il loro mestiere: ritengo sia questo il valore aggiunto di un’accademia rispetto a una facoltà universitaria, tipicamente solo teorica.

Ivan è un regista 30enne che ha già esordito con la sua opera prima e firmato una fiction per la Rai. Come vedi il passaggio immediato scuolaset, visto che tu sei stato studente del CSC? I. Io credo che la scuola ideale sia quella dove si riesce tanto a studiare sui libri quanto a stare sul set: ci sono cose in questo mestiere che si imparano solo sbagliando, ed è necessario e formativo fare quegli errori, ma bisogna farli sul campo. Consiglieresti a chi vuole imparare un mestiere nei media di frequentare un corso professionale o una facoltà di laurea? I. La formazione dura tutta la vita, non ci si sentirà mai abbastanza pronti, creare qualcosa è sempre un po’ un salto nel vuoto. L’esperienza si fa sul campo, ma il modo migliore per arrivare sul campo è con una squadra di persone che si forma nello stesso corso professionale e che cresce con te.

www.romeuracademy.it

Direttore Didattico e Artistico: Paolo Secondino - Via Cristoforo Colombo, 573 - Roma - numero verde 800 910 410 - info@romeuracademy.it 9


FRANCESCO FORMICHETTI

IN VOLO SENZA AEROPLANO Francesco Formichetti è fra i protagonisti del nuovo lavoro di Ermanno Olmi sulla Grande Guerra. Non solo un film, ci dice, ma un «viaggio di ricognizione nell’anima». Un traguardo meritato, per chi già da bambino ogni sera recitava monologhi davanti allo specchio. 10

suit and shoes ANTONY MORATO tshirt BLACKBLESSED

Stylist Stefania Sciortino Assistente foto Andrea Ciccalé

di CHIARA SPOLETINI foto ROBERTA KRASNIG


- Cover story -

Clothes BLACKBLESSED

P

er molti attori la storia è la stessa, mamma e papà artisti, cugini che accompagnano cugini a cui soffiano il ruolo, talenti che vengono scoperti per la strada o al tavolino di un bar... Francesco scopre il suo talento nel bagno di casa. Senza scherzi,un talento riconosciuto! Ha una voce coinvolgente questo ragazzo che siamo costretti a incontrare per telefono per via della sua momentanea lontananza da Roma, del tutto giustificata, perché sul libretto delle assenze è scritto «sta girando un film con Ermanno Olmi». E chi se la sente di mettergli una nota sul registro! L’entusiasmo del giovane attore si avverte da come risponde all’altro capo del filo, è un ragazzo che sta realizzando il suo sogno in un momento difficile per la categoria, e la gioia con la quale mi parla di questi faticosi giorni di ripresa è condivisibile. Cita frasi del maestro che ha appuntato in modo preciso nella mente e descrive il bel clima che si è instaurato con i suoi compagni di lavoro (Claudio Santamaria, Jacopo Crovella, Andrea Di Maria, Camillo Grassi e Niccolò Senni). Rivela che da bambino, dopo essersi preparato per la notte, aveva il suo appuntamento fisso con lo specchio. In quei minuti («anche 1015 a volte, per la gioia di mia sorella che aveva bisogno del bagno») Francesco replicava i monologhi che aveva sentito recitare dai suoi attori preferiti, improvvisava vestendo i panni dei personaggi che lo avevano colpito, allenando così il suo talento ed esplorando un universo che sembrava piacergli immensamente. E così, dopo il liceo, anziché seguire la rotta di papà, che lavora nella compagnia aerea di linea, si distrae e decide di volare senza aeroplano. Entra nella scuola di recitazione di Cinecittà, la NUCT, dove trova «insegnanti meravigliosi che hanno fornito a me e ai miei compagni un grande bagaglio di conoscenze nel quale pesco ogni giorno; è stato un bellissimo percorso di formazione, creazione e cambiamento, dopo quei due anni mi sono riscoperto altro». Dopo la scuola le prime soddisfazioni, i corti, uno spettacolo teatrale

con attori professionisti e poi, finalmente, il set. «Sono stato battezzato da Olivier Assayas, un’esperienza fantastica… Se mai capiterà, mi piacerebbe affrontare un ruolo nel cinema francese o inglese, ma vorrei consolidare la mia carriera in Italia: appena avrò un po’ di tempo libero ho intenzione di mettermi sotto a studiare». Non possiamo che fidarci di un giovane stakanovista come Francesco, uno che ha sempre lavorato su se stesso, che non si è fermato un attimo, nemmeno quando lo sconforto qualche volta ha tentato di distrarlo dal suo obiettivo, quando invece di mollare si è aggrappato con più forza al suo sogno. La ricompensa per tanta tenacia è arrivata puntuale, e quando gli chiedo se ci sia bisogno di una conferma per sentire di fare l’attore come mestiere, lui riconosce che l’essere stato scelto da un maestro del cinema italiano è un traguardo importante: «Sì, probabilmente una conferma può essere questa, essere chiamati per un lavoro di qualità da un regista dotato di un carisma e una poetica sorprendenti è un indizio importante. Ermanno ci sta preparando ad affrontare al meglio qualunque cosa verrà dopo». Anche se dovesse essere completamente un altro genere? Qui Francesco mi soprende: gli piacerebbe moltissimo, dice, una commedia, lui che in realtà, nascosto dietro i personaggi drammatici che interpreta, ama ridere e scherzare. Non ha paura di essere etichettato come troppo serio o impostato: «Si capisce subito che sono un compagnone, vengo da Genzano, dai Castelli, sono così come mi vedi». Francesco in questo piccolo spazio di giornale tutto non ci stava: tutta la sua consapevolezza, la sua professionalità e preparazione forse si possono intravedere tra le parole, tra gli spazi bianchi che parlano di una promessa, di un ragazzo che sa dove sta andando e in che modo vuole arrivarci. Un ragazzo che vola alto, anche senza ali, anche senza stare sopra un aeroplano, perché a Francesco basta chiudere gli occhi per ritrovarsi in quel bagno, con lo specchio come unico spettatore, mentre si allena per realizzare un sogno che oggi è diventato realtà.

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- Italian Job -

I FANTASTICI

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UNA BAND DI FUMETTISTI CHE URLA IN STILE ROCK LA VOGLIA DI FARE ENTERTAINMENT IN ITALIA. di PIERLUCA DI PASQUALE

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inque amici, fra le migliori matite del fumetto internazionale, si sono uniti tre anni fa per dare vita al progetto Italian Job Studio, pronto a dare l’assalto al mondo di videogame, comics e advertising. C’è un motivo per cui non si trovano molte informazioni su di loro, ed è l’entità dei lavori commissionati, molto spesso tenuti riservati per mesi. Per un paio d’anni ad esempio non si è potuto parlare della loro prima operazione, il videogioco fantasy Sacred 3, un hack&slash della Deep Silver che uscirà a breve. Lavorano in Italia, ma la maggior parte delle commissioni vengono dall’estero. Hanno capitalizzato le loro relazioni con i giganti americani di Marvel e DC, con cui collaborano da anni, dando vita a nuove attività e consulenze. Così è stato ad esempio per il loro coinvolgimento nel character design di Hulk and the Agents of S.M.A.S.H, andato in onda su Disney XD lo scorso autunno, nato dopo un incontro a San Francisco con i massimi vertici della divisione animazione Marvel. Anche in Italia l’accoglienza è stata decisamente positiva. Per la Goodyear il gruppo ha lavorato a una serie di cartoni animati sulla sicurezza stradale che ha il sapore di una storia di supereroi, con un personaggio dal nome eloquente di Goodhero. Poi c’è stata la chiamata della software house Forge Reply che ha lanciato uno dei migliori videogame per piattaforma mobile, Lone Wolf, per cui hanno curato la caratterizzazione dei personaggi e la rea-

lizzazione del promo. Ed ecco, uno per uno, chi sono i “fantastici cinque” pronti a cambiare il mercato dell’entertainment in Italia (pagina a fianco). Questi autori si sono uniti in modo assolutamente naturale. Le loro storie singole si assomigliano molto, sin troppo: il connubio era forse inevitabile. Italian Job Studio nasce così un po’ come le rock band di una volta. A unirli le loro capacità, i loro interessi, le loro complementarietà. Dei musicisti che hanno dimostrato di saper essere ottimi solisti, ma che quando si mettono insieme suonano alla grande. Nella loro sala d’incisione si lavora dal soggetto allo script, dalla caratterizzazione dei personaggi all’animazione, alla colonna sonora, alla postproduzione, al design del logo. Alle loro competenze specifiche si affiancano le abilità e il know-how dei collaboratori che hanno inserito nel network. L’obiettivo finale di Italian Job è raggiungere una credibilità internazionale pari ai grandi gruppi mondiali legati all’entertainment: il modello di riferimento è Men of Action, un gruppo di sceneggiatori e disegnatori che ha portato sul mercato bombe come BEN 10. Insomma una vera e propria fabbrica di eroi e personaggi, con la voglia di raccontare e creare in Italia uno stile che all’estero è già apprezzato e richiesto. Dovremmo però aspettare maggio per l’uscita di un progetto, per ora tenuto riservatissimo, frutto della prima proprietà intellettuale firmata Italian Job Studio e pronto a stupirci.


RICCARDO BURCHIELLI

GIUSEPPE “CAMMO” CAMUNCOLI

STEFANO CASELLI

DIEGO MALARA

FRANCESCO “MATT” MATTINA

Viene dal mondo della pubblicità. Nel 2003 inizia una serie di collaborazioni con le riviste italiane, prima con Skorpio e Lanciostory, e poi assieme a Roberto Recchioni per le serie di John Doe e Garrett - Ucciderò ancora Billy the Kid. Dal 2005 diventa un disegnatore di punta della DC Comics e Vertigo, in particolare per la serie DMZ della quale è anche co-creatore.

Cresciuto con i fumetti di Tex, ha sempre avuto la capacità di esprimere le sue qualità di fumettista, come già nella prima fanzine autoprodotta con Matteo Casali, Bonerest, nel lontano ’96. E poi nel 2000, volando negli Stati Uniti per incontrare direttamente Marvel, DC Comics e Vertigo, che gli chiederanno di collaborare alle serie di Swamp Thing, Hellblazer e Spider-Man. Da allora è un’altra delle matite di riferimento a livello internazionale per le sue doti di storyteller.

fumettista romano. Ha iniziato a disegnare fumetti prima ancora d’imparare a leggere: da bambino aveva quaderni pieni di rivisitazioni dell’Uomo Ragno e G.I. Joe. Dopo anni di studio ha deciso di prendere le sue tavole e partire alla volta di Chicago per mostrare i suoi disegni al Comicon. Nel 2003 la Marvel ha scommesso su di lui e ora è uno dei disegnatori più epici di Spider-Man e degli Avengers. Per la Devil’s Due Publishing ha disegnato i G.I. Joe ed è anche uno dei creatori di Hack/ Slash.

giornalista del gruppo Espresso, XL, curatore della collana Panini Novel, è il coordinatore e amministratore dello studio. È il motore di ricerca con l’esterno, da lui vengono i contatti con il mondo dei videogiochi; scrive inoltre tutti i documenti creativi, dai soggetti alle presentazioni dei pitch relative ai progetti interni.

Alla carriera di architetto ha preferito quella di fumettista. Un giorno ha incuriosito la Marvel portando a un colloquio alcune tavole con i personaggi della concorrente DC. Sarà stato per l’intraprendenza, sicuramente per la bravura, ma da quel giorno è diventato il disegnatore di riferimento per le cover dei fumetti Marvel, DC Comics e Warner Bros, ritraendo i Fantastici Quattro, Wolverine, Batman. Il suo modo “autoriale” di concepire la copertina è alla base del suo successo, dove racconta in un’immagine molto più che in una pagina.

Tutti i personaggi e i marchi citati in questo articolo, compresi i loro costumi e l’aspetto, sono © dei rispettivi proprietari

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- Opera prima -

ALESSANDRO RAK

L’ARTE

DI FARCELA Alessandro Rak è in mezzo a una vignetta. Inquadrato al centro dello schermo dalla webcam di Skype, è seduto davanti a una finestra e alle sue spalle si intravede qualche palazzo, forse un cortile, il cielo. «È uno scorcio di Napoli», spiega, mentre la luce che passa dal vetro disegna netta i contorni della sua figura. di ILARIA RAVARINO

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embra di guardare un fotogramma del suo film, L’arte della felicità, lungometraggio d’animazione presentato alla scorsa Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e uscito in sala a novembre. Ambientato tra i vicoli e le tante anime della città partenopea, è un film denso di idee e di segni, sopravvissuto a mille ostacoli: la difficoltà (paura?) di fare animazione in Italia, la problematicità del Sud, il disagio di arrivare in sala contro il martello di Thor e la satira di Checco Zalone. L’arte della felicità, però, ce l’ha fatta. È stato pensato, realizzato, distribuito. E chi lo ha visto lo ha amato, supportato e consigliato come si fa con le cose rare e preziose. Fabrique ha incontrato Rak, in un colloquio a distanza tra vignette («Quella è Berlino?» chiede subito «C’è così tanta luce…»), per cercare di strappargli un segreto: l’arte di farcela, nonostante tutto.

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«L’IMMAGINE CHE RICORDO DELLA LAVORAZIONE: UNA STANZA PIENA DI GENTE ALLEGRA, IL PRODUTTORE, LA SEGRETARIA DI PRODUZIONE, L’ANIMATORE, TUTTI INSIEME UNITI DAL PIACERE DI CONFRONTARCI, OGNUNO CON LA SUA PROSPETTIVA, SU UN PROGETTO CHE NON SAPEVAMO NEMMENO SE AVREBBE MAI VISTO LA LUCE». 16

Qual è stata la scintilla che ha “acceso” il film? L’origine del film è legata a una manifestazione che Luciano Stella, il produttore, portava avanti da nove anni e che si chiamava proprio “L’arte della felicità”. Si trattava di una serie di incontri aperti tra illustri personaggi nell’ambito della filosofia, della scienza e della religione e il pubblico napoletano. A testimonianza erano rimasti molti materiali, filmati e audio, e Luciano stava cercando il modo di farne qualcosa. Così, ragionandoci su, siamo arrivati all’idea di fare un lungometraggio di animazione che veicolasse i contenuti trattati durante la manifestazione. All’inizio doveva essere un documentario, poi un docu-cartoon e infine è diventato un cartoon a soggetto realistico. Perché avete scelto proprio l’animazione? Se solo ci ripenso mi metto le mani nei capelli. È stata un’impresa folle: era un’idea che non stava in piedi e non avevamo risorse. Non lo dico per esagerare: non avevamo neanche uno studio di animazione. Quanto tempo c’è voluto per finire il film? Quasi due anni. Considerato che i creativi sul progetto erano meno di dieci, non ci abbiamo messo tanto.

La musica quando è entrata nel progetto? Non subito. I nostri musicisti, Antonio Fresa e Luigi Scialdone, erano alle prese con l’apertura del nuovo studio di registrazione e quindi all’inizio dovevamo lavorare senza idee musicali. È stato allora che abbiamo chiesto agli amici musicisti della scena partenopea di partecipare con i loro brani. Il fatto che la musica sia così presente nel film è dovuto, più che a una strategia, a una mancanza. Che poi è diventata risorsa. Quando Luigi e Antonio sono subentrati, hanno creato bellissime musiche originali e ri-arrangiato alcuni pezzi che ci avevano regalato gli amici musicisti. Da cosa nasce invece lo stile dei disegni? È il prodotto di una mediazione tra gusto personale, desiderio del produttore che voleva un approccio visivo realistico, e il software che avevamo a disposizione. Abbiamo costruito un linguaggio visivo che non è tanto frutto di un’intenzione, quanto dell’osservazione della potenzialità dei mezzi che avevamo a disposizione. Un miracolo generato da un intrico di problemi. Trasformare gli ostacoli in ricchezze: è questo il segreto dell’arte di farcela? L’intento del film era proprio quello: raccon-


tare come una realtà impossibile, la monnezza insomma, si possa trasformare in una possibilità. Una missione che per me non era di carattere cinematografico, ma esistenziale. Il vostro entusiasmo era sostenuto dal fatto che foste tutti ragazzi della stessa età? Appartenere allo stesso range di età, cioè i trent’anni, è stato fare fronte comune contro le obiezioni che ci venivano mosse. A chi ci diceva che era impossibile, rispondevamo: e se invece questa Italia in crisi offrisse delle risorse? Ci sono disegnatori che consideri maestri? Tantissimi. E non solo dal punto di vista dell’aspetto visivo, ma anche per le scelte di vita. Per l’animazione Hayao Miyazaki e Tim Burton, per il fumetto Hugo Pratt e Moebius, per l’illustrazione sono talmente tanti che non saprei scegliere. Perché in Italia non si fa animazione per adulti? Ci sono tanti elementi storici che determinano il disinteresse per un settore, ma senz’altro un mercato come il nostro, che preclude certi generi a una fascia d’età precisa, non è un mercato ben orchestrato. Stella ha avuto

un’intuizione, poi ha incontrato la passione e l’entusiasmo di tanti altri che hanno creduto che in Italia si potesse fare qualcosa di diverso. Il problema è nell’atteggiamento timoroso delle persone, tipico dei paesi che si autodefiniscono in crisi. Tra i tuoi colleghi disegnatori, Gipi è già passato alla regia e Zerocalcare alla sceneggiatura di un film dal vero. Tu lo faresti? Se un fumettista si mette dietro alla macchina da presa per me è un regista, non mi interessa cosa faceva prima. A me piace provare tante cose, un film dal vero come costruire un mobile… l’importante è che io abbia una forte motivazione e che non sia solo a realizzare il progetto: lavorare con gli altri mi aiuta a capire il senso di quello che faccio.

IL FILM È STATO REALIZZATO CON UNA TECNICA MISTA CHE UNISCE 2D E 3D. L’AMERICANA SMITH MICRO SOFTWARE HA SPONSORIZZATO L’OPERAZIONE FORNENDO I SOFTWARE ANIME STUDIO 8 PRO E POSER PRO 2012, MAI UTILIZZATI FINORA PER UN LUNGOMETRAGGIO.

Stai lavorando a qualcosa di nuovo? Ho chiuso il video per i Foja, sul brano Donna Maria, e un promo per la serie animata Skeleton Story, tratta da una graphic novel mia e di Andrea Scoppetta. Poi ho un progetto con la Blender Foundation, un lungometraggio realizzato da dieci studi nel mondo, e… altre idee per film. Ma stiamo ancora scrivendo.

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- Mondo -

NUOVO CINEMA BUCAREST

COME E PERCHÉ UN CINEMA AUSTERO E MAI SCONTATO SI È CONQUISTATO LA RIBALTA DEI MAGGIORI FESTIVAL EUROPEI: LA “NUOVA ONDA” ROMENA CONTINUA PIANO PIANO A SALIRE… di CIPRIAN SUHAR

Q

uando si parla del cinema romeno il primo riferimento che si fa strada nella memoria collettiva recente è il film 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni di Cristian Mungiu, premiato con la Palma d’oro a Cannes nel 2007. Questo successo è stato un evento clou, ma non isolato né tanto meno casuale. A cominciare dagli inizi degli anni Duemila la generazione dei registi che hanno vissuto l’adolescenza ancora sotto il regime di Ceausescu (caduto nel 1989), giunti alla prima maturità sono usciti alla ribalta raccontando le pulsioni e le aspettative di una società che si (mal)formava sul modello liberale e capitalista, trascinandosi dietro l’eredità di quarant’anni di dittatura comunista. Si può dire che il movimento conosciuto come “Nuova Onda” del cinema romeno comincia a formarsi per paradosso storico proprio a cavallo del 2000, l’anno cioè che vede l’assenza di qualsiasi produzione cinematografica: un fatto del tutto straordinario, per trovare un precedente bisogna risalire a quasi un secolo prima. L’anno seguente esce invece Marfa si banii (Il malloppo e i soldi) di Cristi Puiu

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(selezionato alla Quinzaine des realisateurs a Cannes), un road-movie crudo nel contenuto e nello stile, che inaugura un inedito modo di guardare alla propria storia da parte di una nuova generazione di registi, al crocevia tra le trasformazioni del presente e le reminiscenze del passato. Inizia così un periodo fin qui ininterrotto in cui i cineasti romeni vengono invitati costantemente ai grandi festival, fra i quali Cannes è sempre in prima fila, e spesso li vincono. Al citato Mungiu (selezionato a Cannes già nel 2002 con il film Occident e premiato anche nel 2012 per la sceneggiatura e l’interpretazione delle due attrici in Oltre le colline) e Cristi Puiu (premiato nel 2005 nella sezione Un certain regard per La morte del signor Lazarescu) si aggiungono Radu Muntean (Furia 2002, La carta sarà blu 2006, Martedì dopo Natale 2010), Corneliu Porumboiu (A est di Bucarest 2006 Camera d’or a Cannes, Quando la sera cade su Bucarest o Metabolismo 2013 – vedi box), Adrian Sitaru (Pesca sportiva 2008, Per amore, con le miglior intenzioni 2011), Calin Peter Netzer (Orso d’oro 2012 a Berlino


Un momento di Quod erat demonstrandum di Andrei Gruzsniczki, premiato con la menzione speciale della giuria allo scorso Festival Internazionale del Film di Roma.

«Le inquadrature lunghe “ospitano” la realtà e lasciano diffondersi le storie, aprono la strada all’incontro con personaggi presentati in tutta la loro naturalezza, senza sfuggire i momenti di sospensione e di respiro».

I PROTAGONISTI/1

Il regista: Corneliu Porumboiu Porumboiu, reduce dall’ottima accoglienza riservata a Lisbona al suo ultimo lungometraggio, Quando la sera cade su Bucarest , al telefono con Fabrique frena subito gli entusiasmi: «Oggi, dice, è difficile per un giovane regista fare film nel mio paese. Il CNC (Centro Nazionale di Cinema) fornisce metà del budget attraverso bandi che ultimamente sono solo una volta all’anno. Trovare l’altra metà è arduo, di solito si cerca risorse all’estero. E naturalmente per gli esordienti è ancora più complicato». Sei d’accordo con la definizione di “Nuova Onda” del cinema romeno, della quale i critici dicono anche tu faccia parte? No, non penso che sia un movimento programmato. Siamo registi, anche piuttosto diversi, che nello stesso momento hanno iniziato a fare film, ciascuno alla ricerca di qualcosa di suo. Piuttosto è una specie di “marchio” che ci rende riconoscibili all’estero.

Il cinema è in grado di rappresentare le trasformazioni della società? Quali sono le tue preoccupazioni nell’osservare il presente? Effettivamente c’è stata e c’è una continua ricerca di recuperare il rapporto col presente, raccontare quello che sta succedendo oggi in Romania. Per quel che mi riguarda, non scelgo i soggetti in modo razionale. Sono storie che a un certo punto sento il bisogno di raccontare. A ogni nuovo film ho la sensazione di proseguire la ricerca avviata nel film precedente su un doppio registro: quello del linguaggio e quello del contenuto rapportato alla realtà. Che relazioni ha il cinema rumeno con l’Italia? In verità fino a oggi non ci sono stati legami a livello di coproduzioni e festival. Personalmente tuttavia sono stato molto influenzato dal neorealismo italiano. Ho cominciato a pensare di fare cinema vedendo nelle cineteche i film di De Sica, Antonioni, Fellini. Conosco bene il vostro cinema degli anni ’60-70, è stato una tappa fondamentale nella mia formazione.

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appena per il materiale, le locations e gli attori. IN CHE MODO SI FINANZIANO I FILM? Come avviene in gran parte d’Europa il 50% viene dallo Stato e il resto è privato. Il fondo non fa parte del budget statale, ma proviene da una tassazione del settore audiovisivo: pubblicità, vendita home video, canali televisivi. Il fondo si rinnova ogni anno di circa 10 milioni di euro per ogni sessione (una o due): questa somma copre tutti i generi (lungometraggio, corto, animazione, documentari), quindi la disponibilità è abbastanza limitata.

PARLIAMO DELLA “NUOVA ONDA” ANCHE CON DORU MITRAN, EX DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA E OGGI IMPORTANTE FIGURA DI PRODUTTORE E INSEGNANTE. Si tratta a mio parere di un fenomeno simile a quello del Neorealismo italiano, un’espressione artistica che segue un grande evento-trauma storico. Il “minimalismo romeno” è anche la conseguenza di piccoli finanziamenti: non si possono fare film epici o in costume quando ci sono pochi soldi. Gli “eroi” sono quelli della vita di tutti i giorni, i fondi bastano

I PROTAGONISTI/2 Il produttore: Doru Mitran per Il caso Kerenes), Florin Serban (Quando voglio fischiare, fischio 2010, Premio della giuria a Berlino 2011), Marian Crisan (Morgen 2010), Radu Jude (La ragazza più felice del mondo 2009, Tutta la gente della nostra famiglia 2012), Cristian Nemescu (California Dreamin’ 2007 premiato a Un certain regard nel 2007), Catalin Mitulescu (Come hai passato la fine del mondo 2006, Loverboy 2011), Hanno Hofer e altri ancora. Non si può parlare propriamente di una “scuola” romena, ma è fuor di dubbio che il cinema della nuova generazione ha dato espressione ai caratteri culturali e storici della propria nazione, trasportandone sullo schermo l’ironia caustica e il gusto per il drammatico. È un processo artistico condotto con rigore verso la ricerca pura del racconto per immagini attraverso uno stile ben definito e un’estetica propria. Le inquadrature lunghe “ospitano” la realtà e lasciano diffondersi le storie, aprono la strada all’incontro con personaggi presentati in tutta la loro naturalezza, senza sfuggire i momenti di sospensione e di respiro (fisico e drammatico), evitando il ricorso al sostegno della colonna sonora: ogni rumore e ogni silenzio è colto e rispettato fino alla totale compenetrazione con lo spettatore. Le storie nascono dal tessuto umano del presente e il racconto non si limita alla piatta documentazione della realtà, ma nell’apparente staticità delle inquadrature agevola la discesa dello spettatore nelle profondità dell’animo dei personaggi e mette in luce le loro debolezze, sia che si tratti dei caratteri donchisciotteschi delle commedie amare sia di parabole inevitabilmente predestinate a una tragica conclusione. Si può dire che l’elemento predominante è il retrogusto di una catarsi sospesa e spesso disattesa che induce sempre a una riflessione mai banale e predefinita. Non si può trascurare, parlando della “Nuova Onda” del cinema romeno, il fatto che una componente importante di queste prove sempre riuscite sono gli attori, giovani e meno giovani (ma questi ultimi risaltano di più), che mantengono sempre un alto livello di professionalità e talento.

Purtroppo nelle sale italiane si è riuscito a vedere poco della produzione dell’ultimo decennio, che ha visto fiorire questa straordinaria generazione di registi. Il Festival di Roma ha premiato quest’anno con la menzione speciale della giuria Andrei Gruzsniczki per il suo Quod erat demonstrandum e nel 2012 nelle sale ha avuto una discreta distribuzione Oltre le colline di Mungiu. Ma non è rosea neanche la situazione all’interno della Romania stessa. Nonostante il successo costante ai festival i cineasti romeni non sono riusciti a ottenere da parte delle istituzioni, specialmente da quelle statali che rappresentano la fonte principale di finanziamento per i film, la predisposizione di un meccanismo tale da creare un flusso costante in grado di far fruttare i riconoscimenti ottenuti a livello internazionale e alimentare le nuove proposte. Il merito della “Nuova Onda” è più il prodotto di talenti che faticosamente hanno lottato per la propria riuscita, piuttosto che la benefica conseguenza di un sistema di finanziamenti statali; senza contare poi che i concorsi pubblici che avrebbero stabilito la loro equa spartizione sono stati cancellati in più di un’occasione. Oltre a ciò c’è un atavico problema di distribuzione al quale si aggiunge un rapporto abbastanza debole tra lo spettatore romeno col cinema nazionale (e in genere col cinema inteso come luogo di intrattenimento, fatta eccezione, al solito, per i film americani): la percentuale degli incassi dei film nazionali è davvero ridotta, con numeri che negli ultimi anni non superano il 3-4% del mercato interno. Per ora la chiave della sopravvivenza della produzione cinematografica romena è legata ai pochi fondi dello Stato, a qualche produzione privata e alla bravura di alcuni produttori che riescono a dialogare e coinvolgere soggetti dell’Europa occidentale (la Francia in primis), per integrare i budget. Ma finché si continuerà a produrre film di qualità mantenendo una nicchia consolidata e costantemente presente ai festival il cinema in quel di Bucarest avrà la possibilità di far conoscere all’Europa la sua creatività.

Una scena da Oltre le colline di Cristian Mungiu, ambientato in un’intransigente comunità monastica della Romania rurale.

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CIÒ SIGNIFICA CHE SU 14-15 FILM PRODOTTI ANNUALMENTE, LA MEDIA DEL BUDGET DI UN FILM È DI APPENA 600.000 EURO. Sì, è il costo di un film universitario americano... Ma questo non vuol dire che i risultati siano venuti meno, la creatività anzi è aumentata. La semplicità delle storie ha portato a un profondo livello di autenticità narrativa, motivo per il quale i festival europei accolgono costantemente i film romeni. CON QUALI PAESI COLLABORA LA ROMANIA A LIVELLO PRODUTTIVO?

La grande maggioranza delle coproduzioni si registra con Francia, Germania, Belgio e Svizzera. Meno con l’Italia, con la quale non si è mai aperto un canale di cooperazione. Le produzioni italiane delocalizzano venendo a girare nelle strutture e nei teatri di posa romeni, ma non si può parlare di una collaborazione vera e propria. Mentre con i paesi di lingua francese e tedesca sussiste un’antica affinità culturale: è noto che Cannes ha stimolato moltissimo l’attenzione verso il nostro cinema.

«Il merito della “Nuova Onda” è più il prodotto di talenti che faticosamente hanno lottato per la propria riuscita, piuttosto che la benefica conseguenza di un sistema di finanziamenti statali; senza contare poi che i concorsi pubblici sono stati cancellati in più di un’occasione».

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- Cinema e moda -

I VESTITI NUOVI dell’attore

foto ROBERTA KRASNIG assistente foto ANDREA CICCALÉ stylist STEFANIA SCIORTINO hairstyle CONSUELO MASTRANGELI make up GIOVANNI PIRRI

Nella foto di gruppo gli attori indossano gli stessi abiti segnalati nelle pagine seguenti, tranne Massimiliano Frateschi (leather shirt Blackblessed)

Ecco a voi in rigoroso ordine alfabetico:

STEFANO ANNONI ELENA BOURYKA MASSIMILIANO FRATESCHI GIANMARIA MARTINI SERENA ROSSI NINA TORRESI 22


CONTINUA IL NOSTRO TALENT SCOUTING ALLA RICERCA DEL NUOVO, DEL GIOVANE, DELLO SCONOSCIUTO E DI CHI HA GIÀ DELINEATO UN SUO ITINERARIO ARTISTICO MA HA ANCORA MOLTO DA MOSTRARE. IN UN SERVIZIO CHE UNISCE STILE, MODA ED ENERGIA ALL’ENNESIMA POTENZA, ECCO SEI PROMESSE (O GIÀ CERTEZZE?) DEL CINEMA ITALIANO Ringraziamo Romeur Academy per aver ospitato il set fotografico

A

d aiutarli nel loro percorso l’agenzia Cafiero & Partners, che ha sempre avuto come core business la comunicazione nel mondo del cinema: «Lavorando a stretto contatto con questo mondo, ci dicono, abbiamo incrociato tanti ottimi talenti che facevano fatica a essere accettati dalle grandi agenzie. Siccome il talento è il punto da cui partire sempre quando si vuole iniziare

un buon lavoro abbiamo pensato che, nonostante la fatica, valeva la pena di provare!». Il servizio nasce dalla voglia di esaltare le capacità di questi giovani professionisti unendole alle tendenze fashion più attuali, grazie alle scelte della nostra stylist Stefania Sciortino e all’occhio artistico di Roberta Krasnig, un duo formidabile, ormai parte della troupe di folli e geni che popola il mondo di Fabrique du Cinéma!

ELENA BOURYKA dress UT.STYLE collana GIULIANA MANCINELLI BONAFACCIA

STEFANO ANNONI clothes ANTONY MORATO

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MASSIMILIANO FRATESCHI clothes DAVID NAMAN shoes ANTONY MORATO

GIANMARIA MARTINI tshirt and leather bomber BLACKBLESSED

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NINA TORRESI clothes LUDOVICA AMATI hat PASQUALE BONFILIO

SERENA ROSSI clothes TRU TRUSSARDI shoes TRENTA7 borsa FEDERICA BERARDELLI

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FESTIVA DALLA CINA CON PASSIONE

S

e il successo di un progetto culturale può essere misurato attraverso parametri tanto vari quanto dinamici, dalla continuità nel tempo fino ai tentativi d’imitazione che ha raccolto e raccoglie, il successo del Far East Film Festival è ormai una solida costante. Un successo che, rinnovandosi tenacemente anno dopo anno, ha tradotto la manifestazione del Centro Espressioni Cinematografiche di Udine nella maggiore vetrina occidentale dedicata al nuovo cinema popolare asiatico. Il Far East (anzi: il Feff, come ormai lo chiamano tutti) sta per tagliare il traguardo della sedicesima edizione e, anche quest’anno, continuerà a puntare lo sguardo sul presente e sul futuro artistico del lontano Est. Una finestra che si spalancherà a Udine dal 25 aprile al 3 maggio, tra la grande sala del Teatro Nuovo (1200 posti) e gli spazi del Visionario, permettendo di osservare e capire le tendenze e gli stili del mercato d’Oriente.

Si chiama Qin Lan, ed è l’affascinante protagonista di un Macbeth d’Estremo Oriente, The Last Supper, che in Cina ha battuto la concorrenza Usa: l’abbiamo incontrata alla scorsa edizione del Feff. Ha da poco oltrepassato la trentina, lisci i capelli nerissimi, neri anche gli occhi. L’attrice è l’alfiere di una Cina che avanza, anche al box office: in epilogo della stagione 2012-13, Hollywood è stata per la prima volta scalzata da un insperato, colossale successo delle produzioni di casa: «Adesso sono gli americani - sorride Qin Lan - che vengono da noi a proporre investimenti in film cinesi: storie, attori, ambienti nostri, per una diffusione capillare nel mercato internazionale». QIN LAN, CON QUESTO FILM È STATA SBALZATA DA UNA CONSOLIDATA CARRIERA TV ALLE INCOGNITE DELLA RIBALTA INTERNAZIONALE: SODDISFATTA? Il mio ruolo è quello della prima imperatrice nella storia della Cina, la prima donna di potere - oltre duemila anni fa - capace di ricondurre a uguaglianza il rapporto uomo-donna. È una parabola storica che il film ricostruisce come un arcobaleno di sangue, fatto di tradimenti e

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I 60 titoli in programma attingeranno alle migliori produzioni degli ultimi mesi (campioni d’incassi, cult movie ma anche “oasi d’autore” da Hong Kong, Cina, Giappone, Corea del Sud, Thailandia, Malesia, Indonesia, Filippine, Singapore, Taiwan) e il catalogo del Feff 16 sarà ancora una volta impreziosito da un fittissimo calendario di attività collaterali: dai talk con gli ospiti fino ai laboratori tematici disseminati nel cuore della città. Nata nel 1999, dopo la felicissima esperienza dell’Hong Kong Film Festival (a tutti gli effetti, il numero zero del Feff ), la manifestazione udinese è stata il primo domicilio occidentale di film rimasti storici: da Ringu (The Ring) a Infernal Affairs (se ne innamorò Scorsese e lo “trasformò” nel suo The Departed), passando per Departures (Oscar 2009 come Miglior Film in lingua straniera) e il più recente Confessions, amatissimo da Michael Mann.

L’ALTRA METÀ DEL CINE-CIELO di MARY APPLE* esecuzioni preventive: il protagonista è una specie di Macbeth shakespeariano, io ne sono ispiratrice e complice, donna devota ma anche autoritaria, che non esita a superarlo in fredda crudeltà, quando, alla sua morte, fa tagliare mani e piedi alla sua concubina e ne stermina la prole naturale. QUAL È LA CONDIZIONE DELLA DONNA OGGI IN CINA? E COM’È LA RELAZIONE TRA LEI E IL SUO COMPAGNOREGISTA? Sul set è lui a comandare me. Nella vita sono io a comandare lui - ride l’attrice -. In realtà, c’è tra noi un rapporto molto democratico, che riflette quello generale nella coppia. La donna da noi si emancipa sempre di più. Oggi è più libera, indipendente. Soltanto una decina d’anni fa questo era impensabile. *(pseudonimo di un noto critico cinematografico)


AL Berlinale 64

FESTIVAL DI BERLINO, L’ITALIA È DOCUMENTARIO

Documentari, soprattutto. E un giovane talento che ha già cominciato a far parlare di sé. La 64a Berlinale ha escluso quest’anno i film italiani dal concorso principale - dominato da un gran numero di titoli tedeschi - riconoscendo tuttavia l’onore delle armi (cinematografiche) alla produzione più misconosciuta nel nostro paese: il documentario. È proprio con un documentario, Felice chi è diverso, che Gianni Amelio corre nella sezione Panorama Dokumente. Titolo preso in prestito da una poesia di Sandro Penna, argomento delicato e intimamente autobiografico: la storia dell’omosessualità in Italia ripercorsa attraverso testimonianze, ricordi e interviste di chi ha vissuto gli anni del fascismo e del secondo dopoguerra. Con un documentario prodotto in Italia si batte anche il regista americano Jonathan Nossiter, autore di Natural Resistence sulla lotta dei viticoltori italiani contro le norme imposte dalla Ue, mentre due documentari rappresentano il nostro paese nella sezione Culinary Cinema, dedicata al rapporto tra pellicola e cibo: il cortometraggio I maccheroni di Raffaele Andreassi, sulle tradizioni gastronomiche del Gargano, e I cavalieri della laguna di Walter Bencini, dedicato a una cooperativa di pescatori nei dintorni di Orbetello. Fuori dal coro Edoardo Winspeare con il film di finzione In grazia di Dio, storia di crisi e riscatto in Puglia realizzata da attori non professionisti, mentre l’unico italiano a correre nella sezione Generazione 14+ è il giovane regista Fabio Mollo (intervistato sul numero 3 di Fabrique). Già applaudito al Festival di Roma nella sezione Alice nella città, il suo primo film Il sud è niente parteciperà a Berlino alla competizione riservata alle opere per il pubblico dei ragazzi. Nel cast anche l’esordiente Miriam Karlkvist, scelta per rappresentare l’Italia nella vetrina internazionale dei giovani talenti europei “Shooting Stars”.

Cortinametraggio 5

WHITE CARPET Cortinametraggio rinnova il suo appuntamento con il cinema di genere “corto”, e torna dal 20 al 23 marzo per la sua V edizione nella città che da sempre le ha fatto da madrina, Cortina d’Ampezzo. Una manifestazione che ormai è diventata una tappa fissa, rivolta sia a professionisti che ad amanti del cinema e della cultura. La competizione quest’anno premierà non solo i registi italiani dei migliori cortometraggi di commedia e dei più bei trailer di libri, nelle sezioni CortiComedy e Booktrailers, ma metterà in gioco anche le nuove tecnologie aprendo alle sezioni Webseries e video Instagram, quest’ultima rivolta a partecipanti internazionali. Tanti i premi per le opere vincitrici: per il miglior corto in assoluto, come da tradizione, un riconoscimento in denaro consegnato da Lotus Production; altri premi saranno consegnati da Rai e dalla giuria del pubblico. Instaurata una nuova partnership con Wwf Italia, che consegnerà un premio speciale nella sezione Video Instagram, per clip capaci di trasmettere l’importanza della tutela ambientale. La giuria delle sezioni di concorso sarà composta da attori e giornalisti, oltre che da professionisti del settore. Tra gli ospiti Lucia Mascino, Matteo Oleotto, Paolo Genovese, Anna Foglietta e Ivan Cotroneo. Come ogni anno è aperta la possibilità da parte del pubblico di potersi accreditare come giuria, compilando l’apposito form scaricabile dal sito. A presiedere la giuria popolare sarà Giuliano Montaldo.

RIFF 13

IL CINEMA INDIE È ONLINE Nasce Romefilmmarket.com, una piattaforma online di video on demand con una library di oltre 1000 titoli fra corti, lungometraggi e doc indipendenti, visionabili su pc, Ipad e smartphone direttamente dall’archivio delle passate edizioni del Rome Independent Film Festival. Il progetto è nuovo e innovativo, essendo l’unico in Italia a occuparsi esclusivamente di film e prodotti cinematografici estranei alla grande distribuzione. Le opere si possono vedere solo in modalità streaming, in accordo secondo termini di licenza prestabiliti con gli autori. Disponibili inoltre sul portale news e recensioni in costante aggiornamento. La ricchissima e aggiornata library è il frutto di oltre dieci anni di attività del Riff, la cui mission è stata e continua a essere la volontà di offrire spazio ai migliori talenti del cinema indipendente.

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- Icone -

«QUANDO, VENTENNE, SONO ARRIVATO A ROMA HO FATTO DI TUTTO E DI PIÙ, ANCHE LE SECONDE UNITÀ DI FILM BIZZARRI. A QUELL’EPOCA C’ERA SOLO IL CINEMA E SI LAVORAVA TANTO. LA TELEVISIONE NON ESISTEVA». 28


Giuliano Montaldo, genovese, è autore di pellicole celebri come Sacco e Vanzetti (1971), Giordano Bruno (1973), L’Agnese va a morire (1976). Molti lo ricordano anche per il suo spettacolare Marco Polo televisivo (1982).

GIULIANO MONTALDO

STORIA DI CINEMA E AMICIZIA È un gentiluomo d’altri tempi, Giuliano Montaldo, che dall’alto di oltre sessant’anni trascorsi nel cinema, guarda al passato e al presente con un’esuberante saggezza.

di FRANCESCO RANIERI MARTINOTTI* foto PAOLO PALMIERI *Regista e sceneggiatore.

I

l palazzo è uno di quei grandi edifici umbertini del quartiere Prati a Roma, che ricordano qualche novella di Pirandello. Anche se sono appena le quattro del pomeriggio, è già buio. Siamo d’inverno e piove. La cabina del vecchio ascensore scricchiola e sale lentamente. Ho rivisto poco fa Tiro al piccione, l’esordio alla regia di Giuliano Montaldo (84 anni da poco). Lui mi accoglie sorridente sul pianerottolo, pieno di vitalità e calore umano; la casa è spaziosa e accogliente, affollata di quadri, mobili e libri antichi. I tanti divani e poltrone segnalano il piacere di attardarsi con gli amici in lunghe conversazioni. Il regista di Sacco e Vanzetti, L’Agnese va a morire e Marco Polo mi spiega che è appena ritornato da Torino dove sta curando la regia della Turandot al teatro Regio. Ci sediamo alla scrivania d’angolo dello studio e iniziamo parlando dei suoi primi passi nel cinema, legati all’incontro a Genova con Carlo Lizzani («il mio maestro, il mio fratello maggiore, il mio tutore, ma soprattutto un grande amico») per il quale esordisce come attore in Achtung! Banditi!. «Fu un’esperienza bellissima – ricorda commosso – perché il film nacque da una sottoscrizione popolare dell’intera città, a cui parteciparono operai, portuali, intellettuali, industriali e professori universitari». Dopo l’incontro con Lizzani, Montaldo si trasferisce a Roma ed entra in contatto con l’ambiente del cinema della Capitale, che in quegli anni del dopoguerra è in grande fermento. È estroverso e possiede un’innata

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simpatia. A Roma fa gruppo subito e si integra perfettamente. «Dal mio arrivo ho fatto di tutto e di più. Intanto ho fatto le seconde unità anche di film bizzarri come per esempio Universo di notte, ma soprattutto ho continuato a fare l’attore: negli Sbandati di Maselli, in La cieca di Sorrento ero il prete che andava a cavallo – non avevo mai visto un cavallo prima e ogni sera tornavo a casa con un sedere che sembrava un vulcano. Ho recitato anche in Terza liceo di Emmer. A quell’epoca c’era solo il cinema e si lavorava tanto. La televisione non esisteva». Sembrerebbe che Montaldo non avesse intenzione di fare il regista, ma che la sua vocazione fosse solo recitare… «No, no, al contrario pensavo proprio alla regia. Tant’è vero che poco dopo il mio arrivo a Roma ho un’enorme fortuna: conosco Pontecorvo. Abiteremo insieme per sei anni, sei lunghi bellissimi anni, insieme a Franco Giraldi. Spesso si fermava anche Franco Solinas, eravamo tre a volte quattro in quella casa di via Massaciuccoli. Gillo cominciava a preparare il suo primo film, ed essendo un noto esponente del PCI, per cautela il produttore gli chiese di non firmarlo con il suo nome, così utilizzò uno pseudonimo: Stefano Gillo. Oggi si parla di censure e di periodi duri, ma l’Italia di Scelba era cento volte peggio. Noi, però, eravamo sorretti dall’ideologia e dalla forza che veniva dalle idee; non come oggi che ognuno naviga sulla propria zattera con la mutanda sul pennone a mo’ di vela. Stavamo sempre insieme e non parlavamo altro che di cinema e di sogni. Quando ho fatto il mio primo film come aiuto scelsi naturalmente Giraldi, il mio compagno di casa. Da parte sua Gillo, quando a 24 anni girò il suo, La grande strada azzurra, con Yves Montand e Alida Valli, mi fece lavorare come “segretaria” di edizione. Io non sapevo neanche cosa fosse e prendevo nota di tutto, anche di come erano vestiti i macchinisti. Alla terza settimana a Gillo non piacque più l’aiuto regista e lo liquidò. A quel punto mi disse: fai tu l’aiuto, e la settimana dopo mi affidò addirittura la seconda unità e mi mandò a girare delle sequenze sulle barche in mare». In questo clima d’incontri fortunati, di grandi amicizie, di forte solidarietà lavorativa, Montaldo matura l’idea del suo primo film. «Beh… si stava sempre insieme tra compagni e si parlava molto di resistenza e delle storie di partigiani; oltretutto avevo fatto l’aiuto in molti film sull’argomento, anche gli Sbandati racconta lo stesso periodo. Fu allora che lessi un libro, Tiro al piccione di Rimanelli, e pensai che sarebbe stato interessante raccontare l’altro lato della resistenza, quella di un repubblichino, di un giovane che aveva vissuto un’avventura spaventosa e alla fine si rendeva conto che la patria era dall’altra parte, non dalla sua. Questo fu il soggetto che proposi. Siamo negli anni ’60: il cinema italiano esplode, ci sono tanti produttori, penso a Bini che produce Pasolini e a molti altri come De Laurentiis, Ponti, Cristaldi, Ergas... Io mi rivolgo a Sandro Jacovoni che si entusiasma subito. Chiamo Carlo di Palma, che aveva da poco firmato il primo film come direttore della fotografia, arriva il “compagno” Paco Rabal dalla Spagna, chiamo Baragli per il montaggio, Rustichelli per le musiche. Insomma, tutti sostennero il mio esordio e mi aiutarono. Oggi sarebbe impossibile, innanzitutto perché non si saprebbe da quale produttore andare, ce ne sono così pochi. O ti rivolgi alla televisione, oppure da chi vai? E poi non si fanno più le coproduzioni. Per esempio Tiro al piccione era una coproduzione con la Francia. Il protagonista era francese, Jacques Charrier». Se le condizioni in cui si trova oggi chi comincia a fare cinema sono notevolmente cambiate, a conclusione del nostro incontro chiedo a Giuliano di confidarmi quali sono per lui le tre qualità che un regista deve avere per farsi strada. «La più importante è quella di accettare l’idea che vivrà sempre nel precariato, non ci sono altri mestieri al mondo così. La seconda è avere nervi saldi come gomene. La terza è avere grande ottimismo e immensa pazienza. Ma ne aggiungo una supplementare, quella fondamentale di saper raccontare le proprie storie in modo appassionante, soprattutto per convincere i produttori a investire su di lui».

«ERAVAMO SORRETTI DALL’IDEOLOGIA E DALLA FORZA CHE VENIVA DALLE IDEE; NON COME OGGI CHE OGNUNO NAVIGA SULLA PROPRIA ZATTERA CON LA MUTANDA SUL PENNONE A MO’ DI VELA. STAVAMO SEMPRE INSIEME E NON PARLAVAMO ALTRO CHE DI CINEMA E DI SOGNI».

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Montaldo esordisce giovanissimo come attore al cinema in Achtung! Banditi! di Carlo Lizzani, a sua volta alla prima esperienza da regista. Tutta l’équipe era strepitosa, con Carlo di Palma alla macchina da presa e Gianni di Venanzo alla fotografia.


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- Dodici -

ELISA AMORUSO

DALLA PAGINA AL GRANDE SCHERMO In principio fu la fotografia. Ma a soli 32 anni Elisa ha già attraversato anche cinema e letteratura. Oggi sta per fare il grande salto dal documentario al film di finzione, tra l’Italia e la Polonia. di GIOVANNA MARIA BRANCA foto ANDREA DI LORENZO

talento che Durante l’intervista con Elisa, giovane spazia dalla scrittura all’immagine

Elisa Amoruso, classe 1981, ci aspetta nella sede della Tangram Film di Carolina Levi a Trastevere. È la casa di produzione che ha partecipato alla realizzazione del suo primo film, molto applaudito allo scorso Festival di Roma nella sezione Prospettive Doc Italia: Fuoristrada. Lo vedremo presto nelle sale italiane, distribuito dall’Istituto Luce, e da Fandango International all’estero. Elisa è una sceneggiatrice, tra gli altri film Passione sinistra di Marco Ponti, uscito nel 2013; una scrittrice, il suo primo romanzo Buongiorno amore è anch’esso del 2013; una fotografa. E ora anche una regista.

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Tra queste forme di espressione quale ti rappresenta meglio? La scrittura è sicuramente la mia base di partenza, ma tutto è iniziato dalla fotografia, che ha poi aiutato il passaggio dalla scrittura alla regia. Mio padre commercia in macchine fotografiche, quindi ci sono cresciuta in mezzo. Ho iniziato a fare la fotografa di scena per i cortometraggi degli amici e poi per tutta la seconda serie di Boris. In precedenza, nel 2005, mentre frequentavo il primo anno del corso di sceneggiatura al Centro Sperimentale, ho iniziato la collaborazione con Claudio Noce per cui ho sceneggiato il corto Aria, che ha vinto tantissimi premi anche ai David di Donatello e ai Nastri d’Argento. [Anche Fuoristrada è entrato nella cinquina dei Nastri d’Argento DOC 2014, ndr]. Poi la nostra collaborazione è continuata con Adil e Yusuf (2008) e Good Morning Aman (2009). Per Claudio Noce ho anche scritto la sceneggiatura di La foresta di ghiaccio, con Emir Kusturica protagonista.

tare, ha perso almeno metà della clientela dopo il cambiamento di sesso. Il titolo è nato dalla storia stessa, quella di un meccanico che guida nei rally: Fuoristrada, una metafora che racconta un po’ tutta la vicenda di vita di Beatrice, della sua famiglia fuori dai canoni e dell’amore che la unisce a Marianna.

Poi sei passata al documentario: un genere in cui non è la finzione, ma la realtà a parlare. È stata una scelta naturale. Ho trascorso un anno e mezzo con i “personaggi” di Fuoristrada: quello che accadeva era così forte che la storia mi è arrivata nel suo farsi, il mio sguardo era orientato su ciò che mi dettava la vicenda, tutto in presa diretta, nel massimo rispetto della realtà di queste persone. Senza forzature, costruzioni o prese di posizione. Ho seguito semplicemente il modo in cui vive questa famiglia composta da Beatrice, Marianna e il loro figlio. Beatrice prima si chiamava Pino, faceva e fa ancora la meccanica nella sua officina a San Giovanni ed è una campionessa di rally. Il suo ambiente quindi è quasi del tutto composto da uomini, che però la stimano e la rispettano dato che è bravissima nel suo mestiere. Anche se, come ci si poteva aspet-

invece è una coproduzione Italia/Polonia con il 40% di produzione polacca. La Opus Film ha fatto richiesta per il finanziamento al Polish Film Institute, che dovrebbe darci 400.000 euro. Abbiamo incontrato a Cannes il direttore del PFI che è un grande sostenitore del film: ci ha addirittura detto che gli dispiace poter offrire “solo” questa cifra, che per l’Italia ormai è un’enormità. Però dobbiamo riuscire a raccogliere il restante 60%: il Ministero italiano ci darà 150.000 euro, bisogna ancora trovare il resto dei soldi. Credo che gli autori della nostra generazione non abbiano una resistenza a priori nello spendere energie, tempo e denaro in un progetto, anche se non c’è nessuno che lo finanzia. La nostra generazione non è affermata e sostenuta come quella precedente, ma questo è anche un aspetto positivo: ci dà mag-

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In qualità di giovane autrice qual è la tua prospettiva sul cinema italiano? Quali le limitazioni e gli ostacoli che hai incontrato e quali invece gli aspetti positivi? Con tutti i miei progetti ho sempre fatto domanda al Ministero, ma non avendo nomi di rilievo nel cast né l’appoggio di grandi distribuzioni sono stati tutti rifiutati. Almeno fino all’ultimo film cui sto lavorando, come sceneggiatrice e regista: Se Dio vuole - Insha’Allah. Per Fuoristrada però volevamo almeno ottenere il riconoscimento dell’interesse culturale, e per fortuna ci siamo riusciti. Se Dio vuole

giore libertà dalle influenze esterne, maggiore possibilità di sperimentare svincolati da pressioni. Insomma, mi pare che anche se ci mettono sulla strada veramente tanti ostacoli, questo non basta a fermarci. E anche un giornale come Fabrique, con tutti i giovani talenti del nostro cinema, lo dimostra: è l’esempio concreto di come nonostante tutto noi comunque andiamo avanti. Puoi dirci qualcosa in più sul tuo prossimo film Se Dio vuole e in generale sui tuoi progetti futuri? Il soggetto di Se Dio vuole l’avevo scritto addirittura quando frequentavo ancora il Centro Sperimentale, è rimasto nel cassetto per tanti anni. Quando poi abbiamo presentato il progetto in Polonia, dato che all’epoca frequentavo un master alla scuola di cinema di Andrzej Wajda, è piaciuto così tanto che abbiamo iniziato a sviluppare la sceneggiatura: Wajda, scherzosamente, mi disse che avrebbe voluto

averla lui l’idea. È un noir ambientato tra l’Italia e la Polonia, che indaga l’identità di una donna alle prese con due storie d’amore: una nel presente, a Varsavia, con l’uomo che ha sposato, e l’altra nel passato, con un algerino, quando era una giovane immigrata polacca a Roma. Abbiamo già due dei protagonisti: Kasia Smutniak e Robert Wieckiewicz, un attore molto famoso in Polonia, mentre resta aperto il casting per l’algerino. L’altro progetto cui sto lavorando è il mio secondo libro. Buongiorno amore, che avevo iniziato solo per sentirmi in contatto con l’Italia mentre vivevo in Polonia, è andato inaspettatamente benissimo. Così tanto che Newton Compton me ne ha “commissionato” un altro. Insomma, tra la scrittura del romanzo e il film… se mi proponessero qualcos’altro dovrei inventarmi una seconda me!



- Dossier -

PRODUCT PLACEMENT

CINEMA

IL VESTE PRADA? di VALENTINA PITARDI Branding consultant e ricercatrice all’Università di Roma “La Sapienza”

Product Placement: molto più che semplice pubblicità, è la nuova frontiera dell’interazione tra film, pubblico e sponsor. Uno strumento dalle grandi potenzialità produttive che tutti i nuovi filmaker dovranno imparare a usare con intelligenza.

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A

lzi la mano chi di voi non ha bevuto un Black Russian senza pensare al Grande Lebowski, o chi, tra voi ragazze, non ha mai desiderato di comprare un paio di Manolo Blahnik o Jimmy Choo dopo una puntata di Sex and the City, o ancora chi non ricorda la tuta della Nike indossata da Vincent Cassel nel film cult L’odio. «Ehi, ma questa è pubblicità occulta!» potrebbe controbattere qualcuno. E invece no, si chiama Product Placement (PP) e, finalmente, dal 2004 è legale anche in Italia. Da tempo la pubblicità ha fatto il suo ingresso in diversi ambiti della comunicazione di massa, passando da canali classici come televisione, stampa, internet, a spazi più ampi di vita quotidiana: lo sport, il tempo libero e, in generale, la cultura. Questa “invasione” nel mondo delle arti e del cinema in particolare, non è recente: qualcuno sostiene che il primo esempio di placement cinematografico si ritrova in La regina d’Africa (1951), dove


Humphrey Bogart e Katharine Hepburn vengono ripresi in compagnia di una bottiglia di Gin Gordon’s, e del 1961 è il famosissimo Colazione da Tiffany, che ha reso la già conosciuta marca di gioielli ancora più celebre nel resto del mondo. C’è chi ancora oggi urla allo scandalo, portando avanti istanze di “purezza artistica” contro la logica commerciale dello strumento. In realtà, più che un problema etico è un problema di modalità: se il placement non è usato alla pari di uno spot inserito all’interno di una pellicola cinematografica, allora ci sono buone probabilità che risulti efficace e non invasivo. Ma cos’è esattamente il Product Placement? In linea generale, è l’inserimento di un prodotto o di un brand all’interno di qualunque contenuto culturale (film per il cinema, serie televisiva, romanzo, videoclip, videogioco) che può assumere numerose forme e diversi livelli di esposizione in termini di tempi e frequenze, ed essere più o meno intensamente integrato nella trama. Il motivo del crescente interesse verso questo strumento è bivalente. Dal punto di vista della produzione cinematografica esso rappresenta l’opportunità di un’ulteriore fonte di finanziamento, che si può tradurre sia in un investimento monetario diretto che in uno scambio merce. Le imprese inserzioniste, invece, guardano agli evidenti vantaggi che il PP, e in particolare quello cinematografico, presenta al confronto con la classica pubblicità tabellare, e che ne fanno uno strumento particolarmente ambito in ottica commerciale. In termini puramente tecnici si rileva, infatti, una maggiore predisposizione del target (siamo noi a scegliere se andare al cinema, quale film vedere, quale libro leggere), una maggiore efficacia del canale (banalmente non si può fare zapping

al cinema) e, soprattutto, un alto coinvolgimento nel contesto narrativo del prodotto culturale. Difatti, ciò che rende il Product Placement cinematografico più appetibile di altre forme pubblicitarie è proprio l’alto contenuto simbolico del film che, di per sé, è un ambiente che possiede caratteristiche esperienziali per cui lo spettatore/consumatore si rivede nelle storie dei protagonisti preferiti, si immedesima in una narrazione immaginaria e si emoziona davanti al grande schermo. In questa prospettiva, i brand e relativi prodotti che compaiono nei film contribuiscono al processo di identificazione del consumatore in modo molto più forte e diretto rispetto alle forme di pubblicità tradizionale, stabilendo un legame di tipo emozionale e valoriale tra il film, il brand e il pubblico. Il placement a cui noi spettatori siamo più abituati, e che più facilmente riconosciamo, è indubbiamente lo screen placement, in cui il prodotto/brand compare visivamente nella scena in primo piano o sullo sfondo, come parte della scenografia; ma il prodotto può esser anche oggetto di una discussione tra protagonisti o tra comparse (script placement) o può essere integrato e rivestire un ruolo specifico nello sviluppo della storia (plot placement).

I placement di tipo screen e script sono quelli più diffusi. Essi compaiono nella scena, a volte nelle mani o nelle parole dei protagonisti, con un duplice effetto: da un lato aumentano la possibilità che gli spettatori ricordino e riconoscano il brand sia durante che alla fine della proiezione, dall’altro partecipano alla costruzione di un maggiore effetto di realtà della scena stessa. Seppur meno profondi del plot placement, anche questi inserimenti necessitano di una particolare attenzione e cura per non risultare banali e intrusivi spot pubblicitari; un maggior tempo di esposizione o un’inquadratura forzata possono, infatti, disturbare la scena ed ottenere effetti controproducenti nel pubblico. La “semplice” apparizione nella pellicola, quindi, non scagiona dalla necessità di dover creare un legame tra il brand e il film. Per riportare un esempio del cinema italiano, lo screen placement di Martini in La grande bellezza di Sorrentino risulta perfettamente coerente con la scena e il soggetto dell’opera. La luminosa insegna del Martini che campeggia su via Veneto e che fa da sfondo alla rumorosa festa in terrazza della scena iniziale, infatti, da un lato rende riconoscibile la città di Roma, soggetto/oggetto del film, dall’altro, inserita in una scena goliardica

Nel PP il prodotto o o il brand può essere più o meno intensamente integrato nella trama: se rimane solo sullo sfondo avremo lo screen placement, se entra nel dialogo fra i personaggi avremo lo script placement, se riveste un ruolo specifico nella storia parleremo di plot placement.

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e festaiola, risulta coerente con la sua stessa identità di marca (No Martini No Party è il payoff del noto brand di alcolici). Molto più efficace in termini di immagine risulta l’inserimento di tipo integrato, in cui il prodotto o brand assume una vera e propria funzione narrativa all’interno della storia, come nella famosa serie dedicata a Herbie (1968), il maggiolino tutto matto di Walt Disney. In questo caso l’inserimento del prodotto è fortemente connesso alla trama, assume un ruolo e riveste significati che partecipano allo sviluppo del film stesso o alla creazione di uno dei personaggi; in poche parole è inserito in quello che pocanzi è stato definito contesto narrativo del prodotto culturale. Una perfetta sintonia tra marca e personaggio si ritrova nel riuscitissimo placement di Onitsuka Tiger e Kill Bill Vol.1 (2003) in cui le scarpe vengono indossate da Uma Thurman per tutta la durata del film. Qui la marca si sposa perfettamente con la protagonista e con la scelta stilistica della pellicola, che è intrisa di citazioni e riferimenti al mondo orientale: le scarpe, infatti, nascono da un’idea del giapponese Kihachiro Onitsuka e già furono utilizzate in passato nel cinema ai piedi di Bruce Lee nel film Game of Death. Di qui la coppia vincente Onitsuka-Black Mamba dove l’una partecipa alla costruzione dell’identità dell’altra: entrambe sono un mix di agilità, forza, stile e cultura orientale.

Dunque, sempre più oggi si parla di “placement culturale”, in cui, abbandonata la logica puramente commerciale di visibilità del prodotto, si lavora verso una maggiore integrazione tra i valori del prodotto culturale e del brand inserzionista. Questa prospettiva offre maggiori vantaggi a entrambe le parti coinvolte: il film, in quanto opera d’arte, vede preservata la sua autenticità e identità da una mera inserzione pubblicitaria, il brand ha effetti positivi più profondi sul target coinvolto. Ma è tutto oro quel che luccica? Assolutamente no, e di casi di placement mal riusciti ne è pieno il cinema. Le continue incursioni di Converse in Io, robot (2004) risultano eccessive e fuori luogo, la presenza di Dr. Pepper e Carlsberg in Spiderman (2002) appare estranea e forzata rispetto allo svolgimento delle scene in cui i prodotti sono inseriti e, non ultimo, Moët & Chandon, che invade più volte le scene di The Great Gatsby (2013) con le sue bottiglie oversized. Un caso controverso è rappresentato invece da Cast Away (2000), in cui a un’ingombrante ed eccessiva presenza di FedEx si contrappone il pallone Wilson, co-protagonista silente e perfettamente integrato che altro non è che il nome di una famosa marca di palloni americana. E cosa succede nel cinema italiano? Dalla liberalizzazione del 2004 a oggi diverse produzioni si sono avvicinate allo strumento con esiti più o meno controversi. In una prima

diffusione del fenomeno, la prassi italiana è stata molto più vicina alla logica pubblicitaria che richiama l’effetto spot televisivo: in una scena di Ho voglia di te (2007) con protagonista Cameo si replica esattamente lo storyboard della pubblicità della marca di dolci. Oggi ci si sta muovendo sempre più verso la logica culturale di cui si è detto in precedenza, e, oltre al già citato film di Sorrentino, esistono altri esempi nostrani di PP integrati e ben riusciti (Eucerin in Solo un padre, DiperDi in Giorni e nuvole). Indubbiamente la questione non è semplice. Ci troviamo così a poter citare casi di successo, come il placement di Perugina in Lezioni di cioccolata (2007), contro casi di vero e proprio decesso, come l’ingombrante e sfrontata presenza di Vodafone in Il mio miglior nemico (2006). Il problema non è certo la presenza o meno di prodotti commerciali all’interno di pellicole cinematografiche, ed è superfluo sottolineare come oggi le marche siano parte della nostra quotidianità tanto da entrare in quasi tutti gli ambiti della nostra vita. A fare la differenza non è lo strumento in sé, ma il modo con cui esso viene utilizzato, e se il Product Placement, più che come un lungo spot cinematografico, verrà inteso come opportunità di integrare valori e significati comuni a film e marca, probabilmente si avrà un pubblico più soddisfatto, una produzione un po’ più ricca e una marca un po’ più conosciuta.

IL PARERE DEGLI ESPERTI ABBIAMO CHIESTO AGLI AVVOCATI LUCA PATRUNO E ALESSANDRO DELLA RAGIONE DI PARLARCI DI PP DAL PUNTO DI VISTA DEGLI “ADDETTI AI LAVORI”.

Qual è esattamente il ruolo degli esperti legali nell’ambito del PP? Le attività svolte sono molto varie e dipendono dalle esigenze del soggetto richiedente. Può trattarsi della redazione, negoziazione e/o revisione dei contratti che disciplinano i rapporti tra l’azienda inserzionista e il produttore, della redazione di pareri legali in materia (ad es. la valutazione della compatibilità di un inserimento con la vigente normativa). Altre attività consistono nello spoglio delle sceneggiature al fine di coadiuvare il produttore nell’individuazione, attraverso appositi

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strumenti, dei soggetti più adatti all’operazione di PP, nonché nell’analisi di mercato su determinate categorie merceologiche ovvero su specifiche aziende precedentemente individuate. Che tipo di problematiche vi capita più spesso di affrontare? Dovendo favorire l’accordo fra aziende inserzioniste e produttori le problematiche più evidenti riguardano il coordinamento contrattuale delle rispettive esigenze (quella artistica, quella produttiva e quella della visibilità del prodotto/brand). Solo un’abile mediazione

consente di effettuare inserimenti funzionali alla storia narrata, tali da non essere percepiti dagli spettatori come intrusivi. Per questo è importante affidarsi a operatori specializzati che attraverso il proprio know how, la propria esperienza e la propria creatività possono dare il loro contributo. In ogni caso le aziende sembrano sempre più interessate a investire in questo ambito… Il dato che riteniamo maggiormente degno di nota consiste nel sempre maggiore utilizzo del doppio strumento del PP e del “tax credit esterno”. La recente normativa consente,

infatti, alle imprese non appartenenti al settore cinematograficoaudiovisivo, di avvalersi dell’interazione tra questi strumenti, conseguendo, oltre agli indubbi vantaggi derivanti dal PP, anche un beneficio fiscale (un credito d’imposta pari al 40% dell’apporto investito). Ovviamente il coordinamento sia contrattuale che commerciale di tali mezzi richiede una più attenta pianificazione. Il PP è uno strumento adatto anche ai registi esordienti? Si tratta sempre di uno strumento di grande interesse. Tuttavia occorre dire che le aziende decidono di

investire in presenza di determinati fattori, primo fra tutti una valida distribuzione. In caso questa manchi, come spesso accade per le opere prime, laddove vi sia una forte connotazione territoriale nell’ambientazione del film potrebbe essere utile individuare aziende che operino prevalentemente nel territorio e che quindi, anche con una distribuzione meno importante, abbiano interesse a consolidare e/o rafforzare la propria presenza in loco, anche attraverso la campagna promozionale del film e operazioni di comarketing.



RUBRICA MACRO

SECONDA PUNTATA. CONTINUA IL VIAGGIO DI FABRIQUE NEGLI ASPETTI TECNICI DELLA FOTOGRAFIA DIGITALE CON LA RUBRICA MACRO. testo e foto LUCA PAPI

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n filtro ottico è un accessorio che trasmette selettivamente la luce con particolari proprietà (una particolare lunghezza d’onda o una gamma di colore) bloccando invece le rimanenti, permettendoci così di modificare la luce secondo le nostre esigenze. I filtri sono comunemente usati in fotografia, in cinematografia e nell’illuminazione, e di conseguenza si divideranno in varie tipologie e classificazioni derivanti dal tipo di materiale di fabbricazione impiegato e dall’uso che ne verrà fatto. Possono essere di vetro, in acetato e in pellicole dette anche “gelatine”. Nella ripresa e nella fotografia si utilizzano filtri di correzione in vetro che vengono applicati davanti all’obiettivo per modificare la luce prima che entri nel sistema ottico. Possono essere di forma circolare o rettangolare in vari

formati e diametri: molto utilizzato nella ripresa cinematografica è il 4x5, ma esistono anche il 4x4, il 6x6 ecc. a seconda della grandezza dell’obiettivo e del paraluce utilizzato. Il loro alloggiamento (cache) si trova sul retro del paraluce (matte box) ed è un sistema a cassetto che permette l’utilizzo di più filtri sovrapposti. Ci occuperemo dei filtri usati nella ripresa cinematografica, ma le regole sono le stesse per la fotografia perché è sul fotogramma che si compone l’inquadratura, proprio come quando si sceglie uno specifico filtro per catturare un primo piano, un paesaggio o per uno scatto in b/n. Vedremo come con il Black promist o il White promist, che tendono a diffondere e sfumare le luci, possiamo attenuare i segni dell’età, oppure ottenere un effetto anticato attraverso il Choco-

late o il Tobacco. Molte cose sono cambiate nel passaggio pellicola-digitale, che ha reso possibile fare a meno di molti filtri (dato che i sensori digitali possono essere preimpostati per determinate condizioni di ripresa), ma alcuni come gli ND (Neutral Density) gli IR, i polarizzatori e altri rimangono indispensabili. Ci sono parametri che regolano l’utilizzo di un determinato filtro, ma spesso la scelta è soggettiva, a seconda dello stile che il direttore della fotografia vuole esprimere. Abbiamo analizzato alcuni dei filtri più utilizzati dai dop nella ripresa digitale presso i laboratori della D-Vision Italia, che ha messo a disposizione di Fabrique attrezzature e accessori. Tra i produttori leader a livello mondiale è Tiffen, che offre una vasta gamma di prodotti: per ragioni di spazio potremo soffermarci solo su alcuni.


TIPOLOGIE DI FILTRI PIÙ UTILIZZATI Filtri di conversione e correzione colore

Filtri a densità neutra

Fotografare a una temperatura colore diversa da quella della pellicola utilizzata provoca una dominante cromatica che può essere corretta in fase di ripresa utilizzando i filtri di conversione; con i sistemi digitali la taratura della temperatura colore può essere impostata direttamente nel sistema, permettendo di ottenere un perfetto bilanciamento del bianco e di fare a meno di tali filtri.

Filtro ultravioletto (UV) È usato per assorbire delle lunghezze d’onda impercettibili all’occhio umano ma che, se registrate, aumentano l’effetto di foschia e modificano la tonalità dei colori. Bloccano le radiazioni ultraviolette lasciando passare la luce visibile.

MANIPOLAZIONE E CONSERVAZIONE

I filtri sono protetti da un sottile strato di lacca; tuttavia è consigliabile toccarli unicamente lungo i bordi oppure agli angoli esterni. Quando non si usano, devono essere tenuti nella loro confezione originale: l’umidità tende infatti a velarli. Per eliminare le particelle di polvere da un filtro si può usare un getto di aria asciutta o particolari tessuti per la pulizia.

Il filtro a densità neutra (o filtro ND) è utilizzato per assorbire una determinata quantità di luce in modo da non farle raggiungere la pellicola o il sensore. Si possono usare in questo modo tempi di esposizione più lunghi o aperture di diaframma maggiori. Gli ND sono di colore grigio o leggermente riflettenti, hanno un’attenuazione costante sulle lunghezze d’onda visibili e sono disponibili in diverse gradazioni indicate sulla ghiera del filtro o incise sulla superficie con le sigle ND2, ND3, ND9 ecc., che indicano il rapporto di frazionamento della quantità di luce che li attraversa utile per calcolare la corretta esposizione rispetto all’assenza di filtro. Se non fosse sufficiente l’attenuazione luminosa introdotta da un solo filtro si può aumentare l’effetto sovrapponendone più d’uno.

Filtri infrarosso (IR) Sono pensati per bloccare le lunghezze d’onda nell’area dell’infrarosso e lasciar passare la luce visibile. Vi sono anche filtri per l’infrarosso vicino, utilizzati per compensare l’alta sensibilità di alcuni CCD a queste lunghezze d’onda.

Filtro Black promist e White promist Disponibili in varie gradazioni, i Black e White promist sono dei filtri diffusori che agiscono rispettivamente sulle basse luci e sulle alte luci creando un effetto di diffusione più o meno accentuato, grazie al reticolo interno di cui sono composti. Come il Soft fx ci restituiscono un’immagine ammorbidita.

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RUBRICA MACRO Filtri degradé

Filtro Stroke

Hanno una zona trasparente che sfuma verso una zona più scura o colorata, quindi agiscono solo su una parte dell’inquadratura. Come quelli neutri, sono misurati in ND, fattore che indica la quantità di luce attenuata fra la zona totalmente trasparente e quella più scura. I più versatili sono quelli costituiti da lastre rettangolari da inserire negli adattatori frontali, poiché permettono una migliore regolazione della zona da scurire, mentre quelli avvitabili hanno sempre la sfumatura fissa a metà dell’inquadratura. Si suddividono in colorati e neutri.

Adatto agli effetti speciali, crea dei flare lineari su tutto il fotogramma, orientabili attraverso la rotazione dell’alloggio. Si tratta di un filtro trasparente percorso da molte incisioni parallele fra di loro che vanno a creare questo effetto su ogni punto luce presente sull’immagine. Trova utilizzo soprattutto nei videoclip.

Filtro Tobacco

Filtri polarizzatori

È un filtro colorato che può essere utilizzato per creare un invecchiamento o una particolare atmosfera a seconda della scelta e dello stile del direttore della fotografia.

Filtri Soft fx

Sono composti da lamelle spaziate tra loro dell’ordine della lunghezza d’onda della luce incidente e smorzano la luce riflessa lungo la direzione a esse ortogonale. La riflessione, specialmente per l’acqua, è parzialmente polarizzata e parte di questa luce riflessa viene bloccata consentendo di vedere oltre la superficie. Grazie a questa proprietà è possibile restituire la trasparenza a un corso d’acqua illuminato dal sole, che altrimenti apparirebbe pieno di fastidiosi riflessi.

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Sono filtri che vanno ad ammorbidire l’intera immagine e agiscono sull’incisione. Vengono impiegati principalmente per attenuare i segni dell’età o le imperfezioni della pelle, ad esempio in un primo piano.

Filtri monocromatici Consentono il passaggio di una sola lunghezza d’onda, e quindi di un solo colore. La densità di un filtro è la capacità di consentire il passaggio di una banda cromatica più o meno estesa.



- Mestieri -

GIANFRANCO TORTORA

L’DELARUMORE RTE Dopo l’intervista dello scorso numero, l’incontro con il giovane professionista Gianfranco Tortora ci permette di continuare il nostro viaggio nel mondo dell’audio, approfondendone nuovi aspetti. di LUCA OTTOCENTO foto PAOLO PALMIERI

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Gianfranco, 26enne di Reggio Calabria, ha già un curriculum di tutto rispetto: nel 2012 è stato finalista ai Nastri d’Argento come fonico di presa diretta e fonico di mix per il corto Innocenze perdute di Francesco Giusiani.

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er una strana coincidenza anche Gianfranco Tortora come Emanuela Cotellessa, la protagonista di questa rubrica del quarto numero di Fabrique, ha dovuto rinunciare all’ambizione di divenire musicista a causa di un incidente stradale. Costretto ad abbandonare il pianoforte a diciassette anni, il ventiseienne foley artist e tecnico del suono calabrese ha poi continuato a lavorare come deejay e fonico di eventi live. Fino a quando, dopo aver frequentato diverse scuole di cinema (tra cui la Scuola Nazionale di Cinema Indipendente a Firenze e l’Istituto Rossellini a Roma), non è arrivata la settima arte. Abbiamo incontrato Gianfranco nel suo nuovo studio Il suono del sud, un ex garage molto ampio che con l’aiuto del padre, costruendo muri e rialzando soffitti, ha trasformato in un confortevole luogo di lavoro composto da una sala doppiaggio, una sala rumori, una sala macchine e la prima sala missaggio in Italia predisposta per l’innovativo sistema sonoro Dolby Atmos.

«IN ITALIA UN FOLEY ARTIST, PER MOTIVI ECONOMICI, È COSTRETTO A RICREARE DA SOLO TUTTI I SUONI E I RUMORI DI UN FILM, NEGLI STATI UNITI LE COSE SONO MOLTO DIVERSE».

Chi è il foley artist? Il foley artist è quella figura che, ricreando la maggior parte dei suoni che non riguardano le voci e la musica, ha il compito di sonorizzare la scena cinematografica, rendendola viva e costruendo all’interno di essa quel senso di realtà che risulta fondamentale per l’immedesimazione dello spettatore. Generalmente si occupa di riprodurre in studio i suoni connessi al corpo umano (passi e movimenti vari), i rumori che hanno a che fare con gli effetti delle azioni dei personaggi (un bicchiere che cade, una porta che sbatte) e i suoni ambientali, ma può occuparsi al contempo di effetti sonori più complessi. Se qui in Italia un foley artist, per motivi economici, è costretto a ricreare da solo tutti i suoni e i rumori di un film, negli Stati Uniti le cose sono molto diverse. In un film ad alto budget in cui è richiesta la riproduzione di una gran quantità di suoni, ad esempio, ogni foley si concentrerà esclusivamente su un singolo campo ristretto: i passi, le esplosioni, gli ambienti, i colpi di pistola, i rumori degli elicotteri, e così via. Sei anche un fonico di postproduzione e un fonico di presa diretta. Hai lavorato per il cinema, per i musical e in eventi live. Come cambia il tuo lavoro in questi differenti contesti? Il mestiere di fonico nel cinema, nel caso in cui ci si occupi per uno stesso film sia della presa diretta che della postproduzione, consiste sostanzialmente nel registrare i suoni durante le riprese per poi trattarli in postproduzione nei modi più svariati e creativi. Il fonico di un evento dal vivo, sia esso un musical teatrale o un concerto, deve essere molto più dinamico e veloce nelle azioni rispetto a quello cinematografico. Quando si lavora in un musical, di solito si hanno a disposizione un mixer e due piastre audio. Essendo lo spettacolo in diretta, è obbligatorio essere rapidi nei movimenti, nell’equalizza-

zione e nell’attuare, se necessario, dei riverberi. In questa situazione, ci si ritrova a controllare contemporaneamente molti microfoni (ogni attore ne ha uno) e anche gli altoparlanti sul palco o gli auricolari per gli interpreti, che vogliono sentirsi mentre cantano. Per quanto riguarda invece i concerti, le cose sono ancora più complesse in quanto generalmente il fonico ha davanti a sé un banco mixer molto più grande e deve gestire allo stesso tempo un numero ancora maggiore di situazioni differenti e possibili imprevisti. Negli ultimi mesi hai partecipato a diversi progetti cinematografici. Ce ne puoi parlare? Da quando ho aperto il nuovo studio, circa quattro mesi fa, ho finalizzato tre lungometraggi: tra fine ottobre e novembre mi sono occupato rispettivamente della postproduzione e del missaggio di Sorrounded di Laura Girolami e Federico Patrizi e di Quando si muore si muore di Carlo Fenizi, mentre a dicembre ho finito di lavorare a The Sweepers di Igor Maltagliati, un film con molta computer grafica a cui ho dato un contributo anche come sound designer. Nel frattempo, ho lavorato come fonico di presa diretta sul set di Tender Eyes di Alfonso Bergamo. Inoltre mi sono dedicato per cinque mesi a Handy, uno straordinario film d’animazione 3D che mi sta molto a cuore. Il regista è Vincenzo Cosentino e il lavoro è stato realizzato nell’arco di quattro anni con poche risorse economiche ma con tanta passione. Per Handy, che a ottobre è stato accolto con entusiasmo negli Usa all’Austin Film Festival, mi sono occupato di ogni singolo aspetto della postproduzione del suono: pulizia della presa diretta, ricostruzione dei suoni, degli ambienti e degli effetti, mix in 5.1 e doppiaggio dei personaggi. Dopo questa bellissima esperienza, mi farebbe piacere continuare a lavorare in film nei quali la computer grafica ha un ruolo fondamentale.

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- Making of -

SUL SET DI

TENDER EYES foto di ANASTASIA MELNYK

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SCRITTO DA Alfonso Bergamo, Craig Peritz e Davide Stanzione DIRETTO DA Alfonso Bergamo CAST Marco Pancrazi Vincent Riotta Craig Peritz Marzia Dal Fabbro Paola Calliari Federico Giunti DURATA 100 minuti PRODUZIONE FJFM, Look Inside PRODUTTORE Erica Fava, Andrea Giunti

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Il regista dà indicazioni all’attrice, al collo mirino per le ottiche.

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Il regista ripassa le battute con il copione.

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Lightpanel a batterie di taglio, 4kw sun par controluce, steady a seguire.

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Il reparto scenografia in preparazione.

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Reparto scenografia (installazione).

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DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA Davide Manca MONTAGGIO Alfonso Bergamo e Miriam Palmarella SCENOGRAFIA Gerardo Bergamo MUSICHE ORIGINALI Francesco Marchetti FONICO DI PRESA DIRETTA Gianfranco Tortora TRUCCO E COSTUMI Stefania Piovesan COLORIST Francesco Struffi

Kinoflo 4x120 attraverso telaio di frost 251, 150w luce diffusa, 650w controluce.


LA STORIA Jonah è un giovane uomo in fuga, spaesato e terrorizzato, finito in un luogo misterioso senza sapere perché. Alle sue spalle una minaccia che incombe, legata agli spettri di un passato ora pronti a tornare a galla. Il viaggio del protagonista in una struttura oscura, abitata da una miriade di personaggi indecifrabili, si articola in una serie di situazioni drammatiche, ironiche, erotiche. Al suo fianco, in questo viaggio quasi dantesco negli abissi della propria mente, c’è la guida spirituale Gilbert, ma anche Leah, la donna della sua vita. Un’esperienza che porterà Jonah a rielaborare il suo trauma più grande, ancora inespiato dentro di sé. La ragione per cui, forse, si trova lì. L’IDEA Tender Eyes nasce da uno dei cortometraggi realizzati da Alfonso Bergamo, The Labyrinth. L’idea di un uomo solo contro se stesso e anche contro il mondo ostile che gli si materializza

intorno è stata poi ampliata seguendo varie suggestioni cinematografiche, letterarie e psicologiche: in particolar modo Jung e la sua teoria sugli archetipi dell’inconscio collettivo, fonte d’ispirazione per molti momenti e ambienti del viaggio. L’intento è di rendere questa storia di tensione e pathos universali con la profondità dovuta, ma anche con un meccanismo e delle dinamiche di genere in grado di reggerne l’urto, oscillando tra il thriller puro e semplice e il dramma “mentale” basato su pedinamenti e colpi di scena. Il film, dalla vocazione internazionale, è stato girato in lingua inglese e con molti piani sequenza (il più lungo dura una quindicina di minuti): una vera sfida soprattutto tecnica per un film low budget, nonché cifra espressiva prediletta dal regista. IL REGISTA Alfonso Bergamo è nato a Battipaglia (Salerno) nel 1986. Inizia dall’età di 14 anni a realizzare i primi

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cortometraggi. Dopo il liceo viene ammesso alla NUCT, dove segue il corso di regia cinematografica. L’anno successivo frequenta il biennio all’Accademia del Cinema e della Televisione negli Studios di Cinecittà, ottenendo il diploma accademico di Filmmaker. Decide di approfondire gli studi alla Rome University of Fine Arts, dove si laurea nel 2013. Nel 2010 dirige il cortometraggio Ai confini dell’anima, che segna l’inizio di un sodalizio artistico con la produttrice Erica Fava e la nascita della casa di produzione cinematografica Look Inside. Nel 2011 dirige The Labyrinth, corto realizzato in 72 ore per il National Film Challenge (The 48 Hour Film Project), con il quale si aggiudica ben quattro premi (Audience Award, Best Cinematography, Best Make-Up, Best Thriller/ Suspense). Nel 2012 dirige Vincent Riotta e Craig Peritz in The Composition. Tender Eyes è il suo esordio nel lungometraggio.

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Prova di inquadratura e movimento macchina.

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L’operatore steadycam segue l’azione, con lui l’assistente con i radiofuochi.

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Il macchinista monta un par 64 dal soffitto a pioggia, 650w luce chiave con frost 251.

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Par 64 ribalzata su polistirolo attraverso telaio di frost 251.

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Red epic plongé su telaio 4x4.

Scenografo ed effetti speciali al lavoro.

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ALESSANDRO BARONCIANI NATO NEL 1974 E ORIGINARIO DEL PESARESE, LAVORA TRA PESARO E MILANO COME ART DIRECTOR, ILLUSTRATORE E GRAFICO PUBBLICITARIO ANCHE PER CASE DISCOGRAFICHE COME UNIVERSAL, MEZCAL E LA TEMPESTA, FIRMANDO LE COPERTINE DI GRUPPI E CANTAUTORI COME BUGO, PERTURBAZIONE, TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI. CURA UNA RUBRICA A FUMETTI SULLA STORIA DELLA MUSICA SU «RUMORE MAGAZINE». http://alessandrobaronciani.blogspot.it/

HISTOIRES DU CINÉMA

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- Effetti speciali -

UN CLASSICO IN DIGITALE

LOVE IN

A BLUE TIME di Pasquale di Viccaro, visual effects supervisor di Metaphyx Immagini: Š 2013, R & J Releasing, Ltd. Relativity Media. All Rights Reserved. Courtesy of Metaphyx 50


LA GIULIETTA DEL DUEMILA NON SI AFFACCIA PIÙ DA UN BALCONE, MA DA UNO SCHERMO BLU. LEGGETE QUI COME UNO STUDIO ITALIANO COMPOSTO DA GIOVANI HA CREATO GLI EFFETTI DIGITALI DELLA LOVE STORY PIÙ FAMOSA DI TUTTI I TEMPI.

L

a realizzazione tecnico/artistica di un film è un vero e proprio secondo film che corre parallelamente alla storia narrata sulla pellicola. Ricca anch’essa di colpi di scena, emozioni, momenti tragici e comici, colpi di genio e tanto duro lavoro. Romeo&Juliet, diretto da Carlo Carlei, è un film ambizioso e coraggioso, girato con un piccolo/medio budget ma supportato da artisti e tecnici di alto livello. La pellicola, una coproduzione inglese, italiana, svizzera e americana (Swarovski Entertainment, Blue Lake Media Fund, Amber Entertainment, Indiana e Echo Lake Entertainment), è stata girata interamente in Italia in lingua inglese e distribuita in tutto il mondo.

La preparazione La lavorazione che ha interessato gli effetti visivi è stata la più complessa che Metaphyx abbia mai affrontato dalla sua nascita. In fase di preproduzione la stima era di circa 150/170 effetti visivi, tuttavia a montaggio ultimato ci siamo trovati con un carico di lavoro di 340 inquadrature da lavorare, alcune delle quali davvero complicate. Per la prima volta una piccola factory digitale italiana si è trovata a gestire un progetto hollywoodiano, cercando di raggiungere la stessa qualità visiva e ricercatezza artistica delle concorrenti estere. Nella primissima fase di storyboarding abbiamo cercato di individuare le

principali tipologie d’interventi: estensione del set reale, pulizia e rimozione di oggetti moderni, bluescreen e ricostruzioni complete (in fase di ripresa tuttavia ci siamo spesso accorti di problemi che potevamo risolvere solo in post, come ad esempio l’aggiunta di sangue sui costumi di scena che non potevano essere macchiati realmente). Fin dal primo giorno di riprese il regista ha chiesto alla produzione la presenza sul set del reparto effetti visivi, e spesso anche nelle situazioni più complesse abbiamo lavorato in gruppo con la crew per trovare soluzioni che contenessero il budget e facilitassero il lavoro da svolgere poi al computer. Come supervisore degli effetti visivi, sul set avevo costantemente bisogno di scambiare informazioni con il reparto fotografia e aver lavorato in sinergia con il direttore della fotografia David Tattersall (Star Wars, The Walking Dead, 007) è stato essenziale, oltre che formativo. Per l’enorme quantità di dati che veniva immagazzinata ogni giorno di ripresa avevo creato un database con tutte le informazioni utili per la lavorazione in post: dalle ottiche alle coordinate spaziali della camera, setting di colore, situazione luminosa e tantissime foto di scena per le references e per le textures in HDR. Verona e Mantova sono dei veri musei a cielo aperto: palazzi, vicoli, piazze, tutto è stato utile per le ricostruzioni digitali. Alla fine delle riprese avevamo più di 1500 foto per supporto alla produzione, il resto l’abbiamo ricavato

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Per la prima volta una piccola factory digitale italiana si è trovata a gestire un progetto hollywoodiano, cercando di raggiungere la stessa qualità visiva e ricercatezza artistica delle concorrenti estere.

«LA NOSTRA FILOSOFIA È QUELLA DI CREARE UN TEAM DI LAVORO COMPOSTO DA PERSONE TALENTUOSE». da libri, dalle informazioni scambiate con lo scenografo Tonino Zera e ovviamente da internet.

Come creare più di 300 vfx invisibili Il film è stato girato totalmente in digitale utilizzando due Arri Alexa con immagazzinamento dei frame tramite Codex, per avere il massimo della qualità possibile, e lenti Arri MasterPrime e UltraPrime. Per la lavorazione abbiamo raggiunto un organico di 15 persone, nulla se paragonato ai numeri di Weta, MPC ecc., tuttavia non pochi per una piccola factory italiana. La nostra filosofia è quella di creare un team di lavoro composto da persone talentuose: molti dei nostri collaboratori hanno infatti in curriculum grossi progetti hollywoodiani, proprio perché crediamo che questo settore abbia tante potenzialità anche nel nostro paese, e prendendoci enormi rischi abbiamo deciso di scommetterci. Per quanto riguarda i vfx l’intero film è stato lavorato a Roma, l’unica scena realizzata all’esterno è il matrimonio, in cui la chiesa, completamente digitale, è stata in parte compositata anche dalla CompanyOne Entertainment di Budapest. Come dicevo, per lo stile architettonico delle ricostruzioni digitali abbiamo fatto moltissima ricerca, dagli edifici dell’epoca ai dipinti del Quattro-Cinquecento. Un esempio è la scena nel finale del film, in cui si svolge il funerale dei protagonisti: la location reale era in piazza Sordello a Mantova. La ricostruzione principale ha interessato il totale della chiesa, per la quale ci siamo ispirati a un dipinto di Domenico Morone (La cacciata dei Bonacolsi, 1494) segnalato dallo scenografo. Dapprima abbiamo ricostruito la facciata principale della chiesa e poi l’abbiamo arricchita fondendo elementi di altre chiese tipiche di Verona. Nella stessa scena inoltre abbiamo intensificato la folla con un centinaio di comparse digitali e poi trasformato l’area circostante sostituendo il cielo e ricreando l’atmosfera per rendere tutto più tragico.

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Un altro esempio è la sequenza che racconta la storia del monastero di frate Lorenzo (Paul Giamatti). Da un punto di vista artistico l’idea era quella di un timelapse, ma in seguito a vari test ci siamo accorti che visivamente non funzionava; perciò, dopo numerosi tentativi, abbiamo ricostruito la struttura base del monastero in CGI e creato una composizione simile a un timelapse, ma molto più fluida poiché l’animazione del cielo e delle luci sulla struttura è totalmente animata in digitale. Il risultato è armonioso, qualcosa che nella realtà sarebbe impossibile. Un attento studio ci ha portati a creare da zero anche un design del titolo molto curato in ogni particolare, esempio sono le due iniziali di Romeo&Juliet che sembrano quasi arrivare a toccarsi. Una delle poche volte che ci siamo trovati in seria difficoltà è stato durante le riprese del matrimonio di Romeo e Giulietta in un teatro di posa di posa a Cinecittà. Purtroppo non avevamo un vero bluescreen, ma una serie di teli calati dall’alto che ondeggiavano a ogni minimo spostamento umano, e con pochissime ore per portare a termine l’intera scena. Dal punto di vista tecnico il cuore principale della nostra produzione era affidato a NukeX della The Foundry, con il quale abbiamo strutturato un ottimo workflow capace di comunicare con tutti i principali software di CGI e 2d. Inoltre avevamo preparato alcuni script interni per l’organizzazione dei materiali forniti da Technicolor Londra, che attraverso un sistema di trasmissione dati chiamato Aspera faceva arrivare il materiale a Technicolor Roma via web. Il lavoro di squadra è stato fondamentale per curare ogni aspetto di produzione. Come in passato con i mestieri artigianali, ora con il digitale serve tanta professionalità più della tecnologia perché, nonostante tutto, arte, tecnica e sensibilità pur se fatte di pixel hanno sempre un cuore umano. www.metaphyx.com


DIARIO GLI EVENTI DI FABRIQUE

THE ANNIVERSARY PARTY Con il numero 4 Fabrique ha compiuto un anno! E ha spento le candeline lo scorso 15 novembre nel corso di una serata speciale al Factory La Pelanda di Testaccio, che ha proposto, come da tradizione della rivista, performance artistiche, esposizioni fotografiche, proiezioni di corti e musica live. La festa è stata preceduta da una tavola rotonda sul tema del Product Placement: al centro del dibattito, i brand e la produzione cinematografica e le strategie vincenti nella distribuzione sul web. Non potevano mancare in un party dedicato al cinema anche tanti volti noti come Giulia Bevilacqua, Francesca Valtorta, Giorgio Marchese, Claudio Bigagli, Angelo Orlando e registi come Elisa Fuksas, Alessio Cremonini, Roan Johnson. Ospite d’eccezione Stefano Bollani, la cui presenza ha suggellato un party indimenticabile.

10 FEBBRAIO

LuneDude cinema e sofà

Si rinnova l’appuntamento con LuneDude, i lunedì riservati al cinema organizzati al Lanificio da DudeMagazine, di cui Fabrique è media partner. In un ambiente familiare come il salotto di casa, LuneDude propone visioni non usuali, dedicate ai grandi maestri del cinema e ai loro film meno noti al grande pubblico.

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NEWS 8-13 APRILE

VITTORIO VENETO FILM FESTIVAL Il Festival internazione di cinema per ragazzi che si svolge da cinque anni nella cittadina trevigiana di Vittorio Veneto, quest’anno rende omaggio a Marcello Mastroianni con una grande mostra interattiva. Tante le sezioni e i premi, fra cui quelli assegnati all’attore più significativo per i giovani e al miglior doppiatore. Due i laboratori in programma: Newsreel e Fotografia.

MAGGIO

(M)ARTE LIVE Per la nuova edizione del MarteLive Fabrique è in giuria e assegnerà il Premio del pubblico. Come sempre, l’obiettivo del festival multidisciplinare nato nel 2001 è promuovere la cultura cinematografica d’autore e offrire una vetrina alle opere di giovani filmakers che hanno l’opportunità di vedere proiettati i loro lavori. Sul sito le date delle finali.

GIUGNO

FESTA SOTTO LE STELLE CON I DAVID Anche quest’anno Fabrique è orgogliosa di essere media partner dei premi David di Donatello: la rivista sarà presente durante la cerimonia finale, e incontrerà i maggiori protagonisti del cinema italiano, proponendo interviste esclusive, confronti e dibattiti con gli attori, i registi e i tecnici che fanno grande la settima arte nel Belpaese.

FABRIQUE DU CINÉMA

LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE

Numero

2013

4

OPERA PRIMA

ELOGIO DELL’ANTICINEMA

“Border”: la guerra in Siria raccontata attraverso il velo

ICONE

SEMPRE IN CERCA DELLA VERITÀ Francesco Rosi e la sua lezione di cinema civile

DOSSIER

THE BEST IS YET TO COME

Le nuove forme di distribuzione via tv e web

YOUNG ADULT UN ANNO FA ERAVAMO PICCOLI. E SIAMO CRESCIUTI INSIEME A VOI

HAPPY BIRTHDAY FABRIQUE!

LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO SCARICA GRATUITAMENTE TUTTI I NUMERI DAL SITO 0 SCRIVICI A REDAZIONE@FABRIQUEDUCINEMA.IT

SCARICA L’APP GRATUITAMENTE PER SMARTPHONE E TABLET

WWW.FABRIQUEDUCINEMA.IT Like us www.facebook.com/fabriqueducinema

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DOVE

Come e dove Fabrique

CINEMA ROMA CASA DEL CINEMA | 06.423601 | Largo Marcello Mastroianni, 1 EDEN FILM CENTER | 06.3612449 | Piazza Cola di Rienzo, 74 FARNESE | 06.6064395 | Piazza Campo De Fiori, 56 GREENWICH | 06.5745825 | Via G. Battista Bodoni, 59 INTRASTEVERE | 06.5884230 | Vicolo Moroni, 3 MADISON | 06.5417926 | Via G. Chiabrera, 121 MAESTOSO | 06.786086 | Via Appia Nuova, 416 NUOVO CINEMA AQUILA | 06.70399408 | Via L’Aquila, 66 NUOVO SACHER | 06.5818166 | Largo Ascianghi, 1 POLITECNICO | 06.36004240 | Via G. Battista Tiepolo, 13 QUATTRO FONTANE | 06.4741515 | Via Quattro Fontane, 23 TIBUR | 06.4957762 | Via degli Etruschi, 36 ------------------------------------------------------------------------------------------------CINEMA FUORI ROMA KING | 095.530218 | Via A. De Curtis, 14 Catania ------------------------------------------------------------------------------------------------TEATRI TEATRO VALLE | Via del Teatro Valle, 21 ------------------------------------------------------------------------------------------------LOCALI ROMA BAR DEL GAZOMETRO | Via del Gazometro, 20/24 BIG STAR | Via Mameli, 25 CAFFÈ LETTERARIO | Via Ostiense, 95 CATERING BIKER’S BAR | Via W. Tobagi, 49 DOLCENOTTE | Via dei Magazzini Generali, 15 DOPPIO ZERO | Via Ostiense, 68 DVISION Roma GIUFÀ | Via degli Aurunci, 38 KINO | Via Perugia, 34 HARUMI | Via Cipro, 4m/4n HARUMI | Via della Stazione di San Pietro, 31/33 LA TANA DEL BIANCONIGLIO | Via B. Bossi, 6 LE MURA | Via di Porta labicana, 24 MAMMUT | Via Circonvallazione Casilina, 79 ------------------------------------------------------------------------------------------------LOCALI FUORI ROMA IL FRANTOIO | Via Renato Fucini 10, Capalbio (GR) OSTELLOBELLO | Via Medici 4, Milano PIADE IN PIAZZA | P.zza Meda 5, Milano ------------------------------------------------------------------------------------------------SCUOLE CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA | Via Tuscolana, 1520 CINE TV ROSSELLINI | Via della Vasca Navale, 58 GRIFFITH | Via Matera, 3 NUOVA ACCADEMIA DI BELLE ARTI | Via C. Darwin, 20 Milano ROMEUR ACCADEMY | Via Cristoforo Colombo, 573 SCUOLA D’ARTE CINEMATOGRAFICA GIAN MARIA VOLONTÉ | Via Greve, 61 ------------------------------------------------------------------------------------------------LIBRERIE LIBRERIA DEL CINEMA | Via dei Fienaroli, 31 ------------------------------------------------------------------------------------------------FESTIVAL Calabria Film Festival Festival Internazionale del Cinema di Roma LXX Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia Rome Independent Film Festival Visioni Italiane Cineteca di Bologna ------------------------------------------------------------------------------------------------LUOGHI ISTITUZIONALI Film Commission Genova MIBAC Ministero per i Beni e le Attività Culturali | Via del Collegio Romano, 27




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