Fabrique du cinéma - numero 4 2013

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LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE

Numero

2013

4

OPERA PRIMA

ELOGIO DELL’ANTICINEMA

“Border”: la guerra in Siria raccontata attraverso il velo

ICONE

SEMPRE IN CERCA DELLA VERITÀ Francesco Rosi e la sua lezione di cinema civile

DOSSIER

THE BEST IS YET TO COME

Le nuove forme di distribuzione via tv e web

YOUNG ADULT UN ANNO FA ERAVAMO PICCOLI. E SIAMO CRESCIUTI INSIEME A VOI

HAPPY BIRTHDAY FABRIQUE!


S SOMMARIO

Pubblicazione Edita Dall’Associazione Culturale Indie per cui Via Francesco Ferraironi, 49 L7 (00177) Roma www.fabriqueducinema.it

Registrazione tribunale di Roma n. 177 del 10 luglio 2013 DIRETTORE EDITORIALE Ilaria Ravarino SUPERVISOR Luigi Pinto DIRETTORE ARTISTICO Davide Manca GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giovanni Morelli Paolo Soellner CAPOREDATTORE Elena Mazzocchi STRATEGIC MANAGER Tommaso Agnese REDAZIONE Cristiana Raffa Sonia Serafini Chiara Spoletini PHOTOEDITOR Francesca Fago COMUNICAZIONE E WEB Consuelo Madrigali WEB MASTER Luca Luigetti EVENTI E MARKETING Isaura Costa DELEGATO NORD ITALIA Luca Caserta RELAZIONI SALE Katia Folco UFFICIO STAMPA Sara Battelli HANNO COLLABORATO Alessandro Baronciani Angelo Licata STAMPA Press Up s.r.l. Via La Spezia, 118/C 00055 Ladispoli (RM) DISTRIBUZIONE Luca Papi Finito di stampare nel mese di Novembre 2013

LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE

Numero

2013

4

OPERA PRIMA

ELOGIO DELL’ANTICINEMA

“Border”: la guerra in Siria raccontata attraverso il velo

ICONE

SEMPRE IN CERCA DELLA VERITÀ Francesco Rosi e la sua lezione di cinema civile

DOSSIER

THE BEST IS YET TO COME

Le nuove forme di distribuzione via tv e web

YOUNG ADULT UN ANNO FA ERAVAMO PICCOLI. E SIAMO CRESCIUTI INSIEME A VOI

HAPPY BIRTHDAY FABRIQUE!

IN COPERTINA Elena Radonicich

4 6 10 14 OPERA PRIMA 18 ALESSIO 20 CREMONINI IL MIO CINEMA POVERO 30 CHE VALICA I CONFINI 34 38 42 46 48 50 26 ICONE 53 FRANCESCO ROSI 54 LA SCATOLA MAGICA

EDITORIALE

UN ANNO CON FABRIQUE

COVER STORY ELENA RADONICICH È ROCK

SPECIALE

LE OTTO VITE DEL FESTIVAL DEL FILM DI ROMA

SPECIALE

FABRIQUE A VENEZIA LA PRIMA VOLTA NON SI SCORDA MAI

DOSSIER

ATTORI WE ARE YOUNG WE ARE FREE

DOSSIER

DISTRIBUZIONE / II PARTE IL MEGLIO DEVE ANCORA VENIRE

DODICI

ALESSANDRO CAPITANI UNDER THE SKIN

MACRO

L’OBIETTIVO LO STRUMENTO CON IL QUALE CATTURIAMO LA LUCE

MESTIERI

EMANUELA COTELLESSA IL TECNICO DEL SUONO

MAKING OF

SUL SET DI FINO A QUI TUTTO BENE

GRAPHIC NOVEL

DA NICK DRAKE A CRONENBERG HISTOIRES DU CINÉMA

EFFETTI SPECIALI CLOSER SCI-FI: LA NUOVA FRONTIERA

DIARIO

GLI EVENTI DI FABRIQUE DA NON PERDERE

COME E DOVE

LUOGHI DOVE È REPERIBILE FABRIQUE


UN E ANNO EDITORIALE

FABRIQUE

CON

di ILARIA RAVARINO Un anno.

Un anno dopo il primo numero siamo ancora qui. E nel periodo più buio per l’editoria italiana ci prendiamo il lusso di festeggiare un compleanno: il nostro. Se siamo ancora qui, dopotutto, significa che qualcuno ha creduto in noi. E già questo è un regalo. Sfogliamo i numeri dell’anno appena trascorso e ci accorgiamo che sono scivolati sulle pagine di Fabrique molti dei volti del nuovo cinema italiano. Siamo stati spesso i primi a vedere il talento dove gli altri si dimenticavano di guardare, i primi a mettere in copertina i volti del cinema che sarà - non le facce collaudate del cinema che è stato o le istantanee del cinema che è. Abbiamo saputo immaginare un futuro possibile. E goduto del successo dei ragazzi in cui abbiamo creduto come se la loro felicità fosse la nostra. Che dono immenso, questo. Per loro e per noi. Un anno è passato e in mezzo tante feste, tante occasioni di incontro. Tutte nel segno di Fabrique, perché siamo sempre stati convinti che non si possa uscire dall’invisibilità se non si grida forte il proprio nome: per questo abbiamo messo a disposizione il nostro megafono. Un regalo per voi. Un anno fa eravamo partiti da una considerazione: la grande stagione del cinema italiano è finita e i maestri non possono tornare. Meglio seppellirli, ci siamo detti, piuttosto che riesumarli di tanto in tanto, per colorire film di maniera che con le loro opere non hanno nulla a che fare. Meglio costruire la nuova commedia italiana che scimmiottare la commedia all’italiana. Meglio rischiare che copiare. Meglio provare. Un anno dopo è proprio a loro, a maestri come Age, Scarpelli e Monicelli, che dedichiamo idealmente questo numero. Perché se qualcosa nel nostro cinema ha cominciato a muoversi in una direzione nuova e originale, è per merito del grande insegnamento che ci hanno lasciato. Il cinema si fa meglio se si impara a collaborare. Il cinema si fa meglio in squadra che da soli. Il cinema è un lavoro collettivo. È un prodotto dello spirito, non dell’ego. Il cinema è di chi lo vuole fare. Tanti auguri quindi a Fabrique. E tanti auguri al nuovo cinema italiano.

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1

deL La CaRTa STaMPaTa NUOVO CiNeMa iTaLiaNO

DEL LA CARTA STAMPATA NUOVO CINEMA ITALIANO

FEBBRAIO 2013

deL La CaRTa STaMPaTa NUOVO CiNeMa iTaLiaNO

NOVEMBRE 2012

Numero

0

OPERA PRIMA

dI TEnEbrA VIAGGIO nEL cuOrE spietato Là-Bas, diario di un’educazione criminale

FESTIVAL DI ROMA

VOLTA SETTIMA LAapre la la nuova edizione sotto Si guida di Marco Müller

Numero

luglio agosto settembre

A SPALLA CON LA CAMERA Morandini intervista

MAGGIO 2013

Morando azzurri” l’autore di “Alì ha gli occhi

Numero

DA DIFENDERE UN DIRITTO Faenza insegna ai suoi

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ICONE

Tra vero nel film di Giuseppe Tornatore

A IL NUOVO CINEM ITALIANO È ADESSO

la nostra rivoluzione GIULIA VALEN TINI Ecco

ORARE SODO LAV LAVORARE TUTTI (I GIORNI) dei nuovi attori FABRIZIO FALCO Capofila

impegnati

Francesco di cinema civile

voglio storie straNe, moNDi Diversi,

oFFerTa La MiGLiore e falso: gli effetti speciali

Ai giovani la vostra passione

ICONE

DELLA VERITÀ CERCA SEMPRE INRosi e la sua lezione

Il giuramento a Berlino ragazzi per sempre, a Pisa

SchERMO blu

ICONE

AMELIO cOn GIAnnIcondividete IncOnTrOcineasti dico:

“Border”: velo raccontata attraverso il

o ciNema o morte! dei fratelli Taviani,

IcOnE

Parla ’60 loso” esordiente negli anni

cAMMInIAMO

Le nosTre GaMBeo suL Margherita Vicari tRIcE” RItRAttO dI unA “cAntAt

cOn lE IdEE chIARE

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OPERA PRIMA

ANTICINEMA ELOGIO DELL’ la guerra in Siria

“Il ad abbattere i luoghi comuni

è L’esperienza scuoLa La soLaMarco Bellocchio, “scanda-

Come i nuovi giovani talenti e fanno guadagnare

Numero

2013

magico Neorealismo sud è niente”, se è una ragazza

I giorni della passaparola Righi, un successo grazie al

DOSSIER

FESTIVAL FACTORY festival aiutano i

OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE

OPERA PRIMA

eMiLia senTiMenTaLe vendemmia di Marco

Roberto di lottare studenti a non smettere

DEL LA CARTA STAMPATA NUOVO CINEMA ITALIANO

La storia suoi più geniali esordienti

OPERA PRIMA

ICONE

3

SPECIALE VENEZIA

crescoNo giovaNi leoNi del festival attraverso i

deL La CaRTa STaMPaTa NUOVO CINeMa ITaLIaNO

OPERA PRIMA

Numero

2013

1

sogNi eugeNio FraNceschiNi

Il nuovo rIbelle del

cInema ItalIano

DOSSIER

IS YET TO COME THE BESTforme di distribuzione Le nuove via tv e web

YOUNG ADULT

PICCOLI. UN ANNO FA ERAVAMO A VOI E SIAMO CRESCIUTI INSIEME

HAPPY BIRTHDAY FABRIQUE!

Tanti auguri a Fabrique.

E tanti auguri al nuovo cinema italiano. 5


- Cover story Abiti e cintura LEVI’S Loafer PROJECT 149 Borsa PIGNAREA Pagina accanto: Abiti LEVI’S Gioielli IOSSELLIANI

SARÀ IL LUOGO DELL’INCONTRO, UNO DI QUEI CAFFÈ BUI DI BERLINO CON LA TAPPEZZERIA DELLA DDR E LE POLTRONE SDRUCITE. SARÀ LA GIORNATA GRIGIA, DI QUELLE DA CHIUDERSI IN CASA E METTERE IN LOOP UN ALBUM QUALSIASI DEI RADIOHEAD. OPPURE SARÀ SOLO UNA QUESTIONE DI PELLE. DI FATTO, QUANDO ELENA RADONICICH SI PRESENTA ALL’APPUNTAMENTO CON FABRIQUE, CON SÉ PORTA UNA QUALITÀ INASPETTATA: ELENA È ROCK. L’ATTRICE PIÙ ROCK DEL GIOVANE CINEMA ITALIANO.

Collare pelle con frange fucsia

PIGNAREA

ELENA RADONICICH

R

ROCK’N

ock la sua voce, allenata sulle cover dei Velvet Underground «suonando con un amico, per strada»: strumento efficace sul lavoro («parto dalla voce per costruire il personaggio»), quanto nella seduzione della conversazione. Elena è rock perché ha carattere. Dice quello che pensa, non pianifica nulla, «mai in termini di carriera». Eppure stiamo per vederla al cinema con Racconti d’amore di Elisabetta Sgarbi e Italo di Alessia Scarso, in tv con 1992 di Giuseppe Gagliardi e Gianluca Iodice. Bionda, come da origini tedesche e montenegrine, Elena ha un fascino che non ha nulla di scontato. Bionda come non ti aspetteresti una bionda, è wild side e femme fatale, è Buy e Nico, e Fabrique scommette: è sul suo volto che si costruirà il nuovo cinema italiano.

RADONICICH Assistente foto Daniela Pellegrini Stylist Stefania Sciortino Assistente stylist Francesca Cappa Hairstyle Simone Appetito@Harumi Make-up Beatrice Contino@Harumi

di ILARIA RAVARINO foto ROBERTA KRASNIG

Cominciamo dal Festival di Roma, con Racconti d’amore... Sono curiosa di vedere che effetto farà. Il mio personaggio è una specie di citazione impressionista di Micòl de I Finzi-Contini, hai presente? È un film evocativo, pieno di nostalgia. Una specie di rito magico. Mi ha insegnato che si può recitare avendo come unico interlocutore la nebbia. In primavera sarai in 1992, su Tangentopoli. A quell’epoca avevi sette anni: hai ricordi? Tre: Craxi, le Crystal Ball e la separazione dei miei. Ricordo meglio il terribile discorso con cui Berlusconi entrò in politica. Sospesero le trasmissioni delle sue tv e mia madre pensò che fosse morto. Che ruolo avrai? Una giornalista che si trova in procura quando Di Pietro fa scoppiare il casino. È una donna ambiziosa, che ha puntato tutto sulla carriera e si fa strada in quel caos entrando nelle vite dei protagonisti. Una serie scritta da dio. Segui la politica? Meno di prima. Sono malata di una malattia molto diffusa: il disinteresse. È difficile rifondare

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Nata 28 anni fa a Moncalieri (To), dove però non ha passato neanche un giorno, ha studiato al Centro Sperimentale dal 2007 al 2009, iniziando la sua carriera con il programma Stracult e al cinema con Matteo Cerami in Tutti al mare.

la partecipazione dopo la delusione politica degli ultimi anni. Anche il pubblico è deluso? Il pubblico italiano ha fame di film di genere e generazionali. La nostra generazione è diversa da quelle che ci hanno preceduto, per stimoli culturali e mezzi. Mi riconosco di più nei film di Xavier Dolan: ha 22 anni, è canadese e racconta temi come l’omosessualità in maniera efficace. Per te la fama è arrivata con la webseries Kubrick: il web accontenta il pubblico più del cinema? La serie era fatta bene, l’idea era buona, eravamo all’inizio del fenomeno. Il web non ha l’ostacolo della distribuzione, uno dei più grandi problemi del cinema italiano. Puoi fare quello che vuoi ma ci vuole coraggio. Non puoi copiare la tv, devi inventare un linguaggio. Ed è un mondo crudele: se la webseries è brutta, non la vede nessuno. Però hai avuto più popolarità con Kubrick che con Tutto parla di te di Alina Marazzi. Ho aspettato tre mesi la risposta del provino, poi ho scoperto che avrei recitato con Charlotte Rampling, infine che sarei stata la protagonista: ero entusiasta. Non me ne frega niente che non sia stata “la svolta”. Per me è stato importantissimo. Il primo film: Tutti al mare di Matteo Cerami. Ricordi suo padre? Mi è rimasta l’impressione che lui e suo figlio fossero due persone belle e affiatate. Vincenzo alla fine mi fece i complimenti. Ero entusiasta di quel set, innamoratissima di Anna Bonaiuto. Ero convinta che saremmo diventate grandi amiche. E invece con un certo sarcasmo mi ha tenuta a bada: mi ha insegnato che dovevo conquistarmi il diritto di essere là. Quanto conta la strategia nelle tue scelte professionali? Zero. La mia abilità tattico-strategica è occupata da questioni sentimentali e relazionali. Se funziona? Beh, diciamo che sto sul pezzo. Marazzi, Sgarbi, Scarso: piaci alle registe donne. Il pubblico fem-

«IL PUBBLICO ITALIANO HA FAME DI FILM DI GENERE E GENERAZIONALI. LA NOSTRA GENERAZIONE È DIVERSA DA QUELLE CHE CI HANNO PRECEDUTO, PER STIMOLI CULTURALI E MEZZI».

Abiti LEVI’S Shoes LIGNEAH Gioielli IOSSELLIANI

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minile oggi si ritrova nei film italiani? No. Di solito i film sulle donne hanno toni da sceneggiato televisivo romantico-decadente, come se fossimo delle sentimentaliste. È produttivamente idiota non considerare il pubblico femminile. E finché non metti alla prova le attrici in ruoli alla Elio Germano, come fai a sapere che non sono in grado di farli? Può dipendere, in generale, dal maschilismo della società italiana? No, il cinema è più indietro. Ed è tutto dire. Il cinema è più maschilista di quanto non lo sia il paese: siamo bloccati più culturalmente che istituzionalmente. Ti abbiamo vista da poco in un progetto istituzionale, Olivetti... Credo che la mia generazione ne sapesse poco o niente ed è stato giusto che a trasmetterlo sia stata la Rai. Interpretavo la seconda moglie di Olivetti, la mia prima volta con un personaggio realmente esistito. Il biopic dei sogni? Sylvia Plath, ma l’hanno già fatto. Nico dei Velvet Underground. Etty Hillesum, una scrittrice meravigliosa. Un’italiana con cui lavoreresti? Sono fan di Lucia Mascino. Una con cui prenderesti una birra? Laura Morante. No, sul serio: cosa fa, quando non lavora? Mi fa simpatia, mi sembra vitale, romantica, appassionata. Donna affascinantissima. Perché ridi? Secondo me verrebbe fuori una serata epica, non credi?


LEDELOTTO VITE FESTIVAL DEL FILM

ROMA

DI

I GATTI HANNO SETTE VITE. IL FESTIVAL DI ROMA, PER ADESSO, ALMENO OTTO. E TUTTE VISSUTE PERICOLOSAMENTE. di ILARIA RAVARINO

I FILM I PREMI

Dei 2620 film visionati 71 sono i lungometraggi ufficialmente selezionati: 18 titoli in concorso, di cui 12 in anteprima mondiale, e 20 fuori concorso di cui 9 in esclusiva a Roma. Tra i film in concorso, oltre agli attesi Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée, Her di Spike Jonze, Out of the Fornace di Scott Cooper e Another Me di Isabel Coixet, anche gli italiani I corpi estranei di Mirko Locatelli e Take Five di Guido Lombardi, mentre il fuori concorso si aggiudica il nuovo film di Álex de la Iglesia, Las Brujas de Zugarramurdi, The Green Inferno di Eli Roth, La luna su Torino di Davide Ferrario, Romeo e Giulietta di Carlo Carlei, il kolossal Stalingrad 3D di Fedor Bondarchuk e l’evento cinemediatico Hunger Games 2. Apertura e chiusura à la Marco Muller, dall’anno scorso direttore del festival: italiano l’opening, con L’ultima ruota del carro di Giovanni Veronesi, cinese la closing night, con The White Storm di Benny Chan. Immagini da I corpi estranei di Mirko Locatelli con Filippo Timi (pagina accanto); Take five di Guido Lombardi (in alto), L’ultima ruota del carro di Giovanni Veronesi, Romeo e Giulietta di Carlo Carlei, The Green Inferno di Eli Roth (in basso da sinistra a destra).

Otto i riconoscimenti assegnati dal concorso: Marc’Aurelio d’Oro per il miglior film, il premio per la migliore regia, il premio speciale della giuria, il premio per la migliore interpretazione maschile, il premio per la migliore interpretazione femminile, il premio a un giovane interprete emergente, il premio per il migliore contributo tecnico, il premio per la migliore sceneggiatura. Ad assegnarli una giuria capitanata dal presidente James Gray, affiancato anche dal regista italiano Luca Guadagnino.

LE SEZIONI Tre le sezioni del festival: Alice nella città, sezione autonoma e parallela votata al cinema “giovane” (vedi intervista), Prospettive Doc Italia circoscritta al documentario e CinemaXXI, sezione sperimentale dedicata a opere che, senza distinzione di genere e durata, esprimano «la ridefinizione continua del cinema all’interno del continente visivo contemporaneo». CinemaXXI ha una giuria internazionale, presieduta dal regista e artista Larry Clark, e assegna un premio al miglior film, un premio speciale della giuria e un premio al cinema breve.

DESTINATA A PASSARE ALLA CINESTORIA LOCALE COME L’EDIZIONE PIÙ TRAVAGLIATA DELLA KERMESSE CAPITOLINA, COSTRUITA IN POCHI MESI E SEVERAMENTE COLPITA DAI TAGLI AL BUDGET (DAGLI 11,8 MILIONI DI EURO DEL 2012 AI CIRCA 10 DEL 2013), L’OTTAVA VITA DEL FESTIVAL-FESTA DI ROMA SI PRESENTA COMUNQUE AI NASTRI DI PARTENZA DALL’8 AL 17 NOVEMBRE CON UN PROGRAMMA RICCO - CHE NON SCONTENTA E NON ILLUDE NESSUNO. 10

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I LUOGHI L’ottava edizione si svolgerà presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma, che ospiterà proiezioni e red carpet dei film in concorso, fuori concorso e della sezioni Alice nella città e Prospettive Doc Italia. Al MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo si svolgerà il programma del CinemaXXI. Il Mercato Internazionale del Film di Roma si svolgerà invece nell’area di Via Veneto.

IL DIRETTORE «Se crediamo di esserci avvicinati al risultato auspicato è perché abbiamo lavorato, ancora una volta, con furia, passione e ostinazione. Avevamo alle spalle un’edizione di sperimentazione; dovevamo, quest’anno, concepire un’edizione di assestamento e verifica a tutto campo, anche attraverso prevedibili aggiustamenti, della linea espressa dall’edizione 2012. Abbiamo cercato di guardare sia allo stile che al negozio, prendendo posizione senza perdere lucidità, privilegiando la selezione critica dei valori che volevamo opporre ad altri valori. Forse siamo tutti stanchi di un cinema fatto di macchine inutilmente complicate e ingombranti. Abbiamo bisogno della forza di un gesto estetico, dell’evidenza di una poetica. E con esse, di un’emozione di pancia e di cuore, di un momento di sogno, divertimento e spettacolo». Così ha parlato Marco Muller, presentando il festival. Ma il suo contratto, in scadenza nel 2014, lascia aperti molti interrogativi. Lui, per il momento, non risponde. Nicchia e va per la sua strada. Come un gatto.

In alto ancora un fotogramma da The Green Inferno e, sotto, da Romeo e Giulietta.

B O X | A L I C E N E L L A C I T T A’ I FILM DI ALICE, GLI EVENTI DI ALICE, LE NOVITÀ DI ALICE. LA POPOLARITÀ DI UNA RASSEGNA SI MISURA ANCHE DALLE PICCOLE COSE. COME LA FAMILIARITÀ CON CUI LE SI CHIAMA PER NOMIGNOLO, COME SE SI TRATTASSE DI UN VECCHIO AMICO CHE NON SI VEDE L’ORA DI RIABBRACCIARE. SUCCEDE A “LE GIORNATE DEGLI AUTORI” ALLA MOSTRA DI VENEZIA, PER TUTTI SOLO “LE GIORNATE”, E COSÌ ACCADE ANCHE AD “ALICE NELLA CITTÀ”, LA SEZIONE DEL CINEMA GIOVANE DEL FESTIVAL DI ROMA DIVENTATA PER GLI AMICI SEMPLICEMENTE “ALICE”. NATA INDIPENDENTE NEL 2003 E TORNATA AUTONOMA DAL FESTIVAL DALL’ANNO SCORSO, OGGI ALICE COMPIE DIECI ANNI. AGLI OCCHI DEI GENITORI, GLI ORGANIZZATORI FABIA BETTINI E GIANLUCA GIANNELLI, SEMBRA GIÀ UN’ADULTA.

Dopo 10 anni di quale traguardo siete più orgogliosi? Bettini: Vedere come negli anni Alice sia diventato, in particolare all’estero, un marchio di qualità. Lavorando con le scuole avete formato il pubblico di domani: qualcuno degli studenti si è avvicinato al cinema a livello professionale? Sì. Molti dei ragazzi che hanno partecipato ad Alice si sono poi iscritti al Dams. Altri si sono avvicinati al mondo del lavoro partecipando come stagisti sui

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set cinematografici. Altri ancora scrivono recensioni su blog o giornali universitari. Rimaniamo in contatto con quasi tutti i giurati delle passate edizioni e molti di loro torneranno quest’anno come tutor delle nuove giurie. In che modo l’autonomia dal festival ha influenzato la selezione delle opere? L’autonomia è rischiosa in questo momento di crisi perché non è semplice chiudere i budget. E in Italia c’è meno attenzione che altrove per il cinema

e per l’educational in generale. Ma Alice, in questo modo, riesce a esprimersi meglio. Può allargare i suoi orizzonti con incontri, programmazioni e sperimentazioni che vanno molto al di là degli steccati delle classiche sezioni “per ragazzi”. Nel selezionare opere che interessino i giovani, quanto conta l’età anagrafica degli autori? Incoraggiamo gli autori emergenti e abbiamo spesso opere prime, ma puntiamo soprattutto al buon cinema. Avete ricevuto molte

proposte dai giovani autori italiani? Sì e siamo contenti di questa inversione di tendenza. Di solito era complicato trovare film italiani da selezionare. Quest’anno invece l’Italia è molto presente: i film di Alessandro Lunardelli, Vittorio Moroni e Fabio Mollo sono progetti in cui crediamo molto. Si rivolgono ai più giovani con delicatezza e intelligenza, ma allo stesso tempo sono film per tutti. Tra i ragazzi c’è più voglia di sperimentare o più omologazione

dettata dalla crisi? C’è fermento, anche se proseguire e trasformare la passione in lavoro è molto difficile. Come coltiverete nel corso dell’anno la collaborazione con le scuole? Vogliamo restare accanto alle scuole tutto l’anno. Pensiamo che il festival sia il momento culminante di un percorso che deve durare 12 mesi e che non si può ridurre a soli 10 giorni. Stiamo lavorando a una piattaforma web che ci consenta di entrare nelle scuole, che speriamo venga alla luce nel 2014.

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- Opera prima -

ALESSIO CREMONINI

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IL MIO CINEMA POVERO CHE VALICA I CONFINI

Morandini, inviato davvero speciale di Fabrique, continua i suoi incontri con gli autori delle opere prime più innovative ed emozionanti: questa volta è il turno di Border di Alessio Cremonini, film sulla Siria di oggi dilaniata dalla guerra, passato con successo ai festival di Toronto e Roma.

di MORANDO MORANDINI foto FRANCESCA FAGO

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FOCUS | NELLE SALE

FABRIQUE PORTA FORTUNA Siamo orgogliosi di annunciare che due film che abbiamo recensito come Opere prime nel nostro giornale escono fra novembre e dicembre al cinema: Spaghetti story di Ciro de Caro e Il sud è niente di Fabio Mollo. Spaghetti story è un film «quasi no-budget», sottolinea Ciro, reso possibile da un gruppo di giovani professionisti che hanno creduto nel progetto. Racconta di quattro giovani adulti desiderosi di cambiare le loro vite: l’improvviso incontro con Mei Mei, una giovane prostituta cinese, rimescola le carte. ll sud è niente , primo lungometraggio di Fabio Mollo dopo i successi ottenuti con I giganti , narra di un sud più emozionale che geografico. Ed è la storia di Grazia, una giovane donna alla ricerca del fratello perduto e della verità che la porterà a ritrovare se stessa e la sua identità. Due scommesse produttive vincenti, che confermano come il giovane cinema di qualità può riuscire, grazie a un grande impegno collettivo (registi, autori, produttori ecc.), a farsi conoscere anche nei circuiti maggiori.

MM. Alessio, il tuo film mi è piaciuto molto, intanto perché ti fa aspettare, nel senso che non è prevedibile. Si aspetta soprattutto per vedere come va a finire, anche se un vero e proprio finale non c’è. E quei personaggi che a un certo punto scompaiono, poi ricompaiono… Come ti è venuta l’idea di un film così? AC. Perché nessuno ne parlava. Nessuno parlava della Siria, e mi sembrava assurdo che il cinema non si occupasse di centomila morti, di due milioni di profughi. Qualche anno fa ho scritto un film sul Medio Oriente, Private di Saverio Costanzo (la storia di una famiglia palestinese che viene cacciata dalla propria casa dalle truppe israeliane), e da allora sono rimasto legato a questo tema. Perciò, da quando sono

iniziate le “primavere arabe”, guardo con molta attenzione a ciò che accade, e con lo scoppio della questione siriana raccontare quel conflitto è diventata un’urgenza quasi più sociale che cinematografica. Prima di iniziare Border, prima addirittura di averne l’idea, avevo chiesto ad amici siriani se nella loro storia cinematografica c’erano pellicole sui fatti degli anni Sessanta-Ottanta. La risposta è stata no. Ad esempio, nel 1982 la città di Hama si ribellò al dittatore Hafez al Assad, padre di Bashar, l’attuale leader. Assad padre inviò l’aeronautica e l’esercito per stroncare la rivolta, uccidendo ventimila persone. Domandai agli amici siriani se c’erano film su quell’episodio, e mi risposero che non solo non ne esistevano, ma era difficile persino trovare delle foto. È una strage dimenticata. Mi sono perciò detto: io, italiano, se voglio vedere al cinema il mio passato posso farlo: i siriani non hanno invece memoria cinematografica del loro. Mi è parso quindi che fosse mio dovere morale aiutarli a fare un film sulla tragedia che stanno vivendo, anche perché siamo vicini, abitiamo entrambi il Mediterraneo, Damasco è a tre ore di volo da Roma. Se qualcuno fra dieci anni vorrà sapere che cosa è successo in Siria nel 2012 potrà vedere, se non altro, il mio piccolo film. Questo in fondo l’obiettivo: poter lasciare una memoria, che non sia solo quella della televisione.

Due sorelle, Fatima e Aya, sono costrette a fuggire dalla Siria valicando il confine con la Turchia. Gli attori di Border sono tutti giovani italo siriani non professionisti; anche la troupe è formata da giovanissimi, fra i venti e trenta anni.

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MM. Ho capito: la memoria della televisione è sempre condizionata da qualcosa, ad esempio dai fatti di cronaca, ma anche dalla scelta di cosa mostrare o non mostrare ai telespettatori dei tg… AC. C’è anche un altro motivo, prettamente cinematografico. In Siria sono poche le donne con il niqab, il velo integrale, circa l’1% della popolazione femminile. Ma, visto che tradizionalmente il cinema è il volto dei protagonisti, mi piaceva raccontare una storia in cui questo volto fosse invece censurato. Mi interessava cioè capire se era possibile fare un film “anticinematografico”, che celasse il viso, le espressioni, perfino la voce (che è filtrata, ostruita dal velo) degli attori. Ho incontrato tante donne con il niqab: se è vero, come pensiamo in Occidente, che molte di loro sono costrette a indossarlo, ce ne sono però alcune, istruite, che lo fanno consapevolmente per una scelta religiosa. Il film racconta una storia vera: molte hanno dovuto lottare contro il padre per poterlo indossare. Anche questo mi attraeva: noi abbiamo una visione dei musulmani televisiva, stereotipata, invece volevo raccontare la storia di due donne capaci di fare una scelta religiosa sì radicale, ma non dettata da ignoranza o estremismo. MM. Come ti sei trovato a girare in arabo e che tipo di rapporto hai instaurato con gli attori? AC. Sembrerà assurdo, ma non è stato difficile. Intanto per il semplice motivo per cui tutti gli attori, tranne la bambina, parlavano anche italiano: sono residenti in Italia da molti anni, ed è stata una delle caratteristiche necessarie richieste durante il casting. E poi il non capire le parole – tranne qualcuna, perché naturalmente pian piano ho imparato qualcosa di arabo – faceva sì che in realtà fossi più attento alla recitazione. Non ero distratto dai dialoghi. Udivo quella che per me

era una melodia, una musica, e avevo modo di concentrarmi sulla fisicità degli attori, in particolare delle due donne, che, non avendo il viso scoperto, dovevano ancora di più recitare col corpo, con i movimenti, la postura. Paradossalmente per me è stato più semplice non capire. MM. Quanto sono durate le riprese? AC. Quattro settimane, abbiamo girato molto velocemente. Il budget era ridottissimo, avevo solo un treppiedi e una telecamera. Niente carrelli, steadycam, macchina a mano. Mi sono ritrovato con mezzi come quelli del cinema degli anni Cinquanta… Ma il fatto di avere così scarse risorse (le scenografie ad esempio sono costate in tutto cinquecento euro) mi ha dato la possibilità di mettere in pratica un metodo di lavoro “francescano”: dovevo cioè fare costantemente uno sforzo di immaginazione per risolvere i problemi. Non ho volutamente cercato fondi statali, ritenevo necessario avere poco denaro perché mi avrebbe aiutato a compiere questo sforzo creativo. Ad esempio i personaggi, come lei ricordava, che entrano ed escono, derivano da una sceneggiatura teatrale, ridotta all’essenziale. I colpi di scena sono dati da cose semplici, proprio per evitare soluzioni costose: un personaggio che pensi sia morto, poi lo ritrovi qualche scena dopo. Insomma sono davvero un “pauperista”, credo in un cinema povero. Anche la regia è il più disadorna possibile, volevo scomparire, dare l’idea che regia e fotografia non ci fossero. Una scelta del resto condivisa. Il direttore della fotografia, ad esempio, è in un film per la prima volta: insegna alla Rossellini e finora si è occupato di documentari. Qui ha lavorato senza luci, senza un gruppo elettrogeno, le scene di notte appaiono spesso illuminate solo dai fanali delle macchine.

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FABRIQUE ALLA MOSTRA DI VENEZIA

C’

è il misto di euforia e paura che accompagna ogni prima volta. C’è la passione, il carburante essenziale per progetti ambiziosi e impegnativi come Fabrique. C’è la preparazione, che richiede fatica, riunioni in tarda notte, pizze mangiate fredde e grandi risate. Ci sono i compagni di viaggio, senza i quali nulla di tutto ciò, passione, preparazione, fatica, sarebbe possibile. C’è l’attesa, e la paura del confronto pronta ad entrare in azione se qualcosa andrà storto. La stessa paura che però ti spinge a dare il massimo, e ti fa godere ancora di più della riuscita di un progetto, con quel pizzico di sfacciataggine che accompagna sempre noi di Fabrique, che ci convince che sarà un grande successo. Tutto questo e ancora di più è stata la giornata del 5 settembre per il team dei nostri ragazzi, ospiti del festival di cinema più antico del mondo, per raccontare chi siamo e cosa ci piace fare.

IL WORKSHOP

LA PRIMAVOLTA NON SI SCORDA MAI

Ore 17.00 all’Hotel Excelsior. Inizia il convegno organizzato con il patrocinio della Regione Veneto dal titolo La fabbrica del fare: dalla produzione alla distribuzione cinematografica under 35, moderato dalla nostra direttrice responsabile Ilaria Ravarino e dal giornalista Alessandro De Simone. A dare il benvenuto ai tanti ospiti la meravigliosa musica dei La Pingra, davanti a un maxischermo che proietta immagini dei precedenti eventi targati Fabrique. La discussione è incentrata sugli ostacoli e le opportunità che gli assetti di mercato attuali presentano alle nuove leve di cineasti. La prima a prendere la parola è la romana Kimerafilm, che ha prodotto Et in terra pax e La mia classe, entrambi applauditi al Festival, per raccontare come l’esperienza maturata li faccia sperare di ottenere una maggiore attenzione da parte delle istituzioni, mantenendo però sempre la libertà di sperimentare

prodotti che promuovano i giovani. È poi la volta del regista e sceneggiatore Roan Johnson, che torna con il corto Fino qui tutto bene dopo aver conquistato tutti con I primi della lista [vedi qui la rubrica “Making of”]. Invece di aspettare le istituzioni, il regista ha scelto la strada dell’autoproduzione, coinvolgendo una troupe tutta di giovanissimi dove ognuno ha apportato il suo contributo, sostenendo anche le spese per la realizzazione del film. Tuttavia, ha sottolineato Roan, si fatica a trovare una distribuzione, colpa anche dell’arma a doppio taglio del tax credit, che agevola le grandi produzioni a discapito delle piccole. Si è parlato anche di un altro film, completamente autoprodotto, in lingua inglese e quindi pronto per essere esportato: Watch them fall, realizzato in soli 14 giorni fra Italia e America, che vede come protagonista Marco Bocci. Secondo il regista Kristoph Tassin produttori e registi dovrebbero rivolgersi alle nuove frontiere di distribuzione come l’on

demand, ancora poco riconosciute. A questo proposito Stefano Zuliani, responsabile dei progetti speciali di Cubovision, è intervenuto in qualità di rappresentante del progetto che ha coinvolto la sua azienda come coproduttrice di Che strano chiamarsi Federico!, il docu-film di Ettore Scola su Federico Fellini in cartellone a Venezia 70. Questa collaborazione è la chiara rappresentazione di come una delle maggiori piattaforme italiane di VOD punti all’interazione con il cinema, a sostegno delle opere di valore culturale, investendo sulla promozione tramite web e social network. Per chiudere, un accenno al crowdfunding, che consiste nel reperire in rete le risorse necessarie per poi ripagare gli investitori con piccoli ruoli, gadget esclusivi ecc. Il panel era condotto da Tommaso Muffato, che ha lanciato da poco la campagna per la promozione del corto A vuoto - The void su Indiegogo. Al termine, dopo un grande applauso, tutti pronti a brindare con uno spritz in pieno stile veneziano.

alla serata con i suoi revival di vecchi classici rivisti in chiave moderna: l’atmosfera è già calda, tutti ballano e si divertono come pazzi. È una festa gremita, più di mille persone, molte sono arrivate per scoprirci, incuriosite dai flyer e dal passaparola, altre ci conoscevano già. Fra loro anche molti amici attori: Michele Riondino, alla guida di una comitiva di attori italiani che scorrazza con le copie della rivista in mano, Filippo Timi, Francesco Scianna, la cover story del nostro numero veneziano Eugenio Franceschini, Lorenzo Richelmy, Margherita Laterza, Maria Roveran, Edoardo Natoli, Mario Martone e, a sorpre-

sa, Riccardo Scamarcio (elegantissimo in un completo grigio…). Sale infine sul palco il Principe Maurice, uno dei più grandi deejay della dance anni Novanta, che ha scelto la nostra festa per festeggiare i suoi 25 anni di carriera. Lo show esplode, provocatorio ed eccitante, con musica a tutto volume e ballerine scatenate sul palco. Andiamo avanti fino all’alba, in quella che a detta di molti è stata la festa più bella di Venezia 70. E se è vero che la prima volta a Venezia non si scorda mai, è altrettanto vero che dopo Fabrique il Lido non sarà più lo stesso!

INCONTRI, DIBATTITI, CONFRONTI TRA GLI ADDETTI AI LAVORI DELLA SETTIMA ARTE, TUTTI RIGOROSAMENTE UNDER 35, PER FESTEGGIARE INSIEME IL TERZO NUMERO DELLA NOSTRA FREE PRESS. GRAN FINALE CON UN PARTY CHE SI RICORDERÀ A LUNGO… di SONIA SERAFINI foto FRANCESCA FAGO

LA FESTA

Alcuni scatti del workshop e della festa organizzate da Fabrique alla Mostra di Venezia. Sul palco del convegno si riconoscono, accanto alla direttrice responsabile Ilaria Ravarino, Marco Bocci, Kristoph Tassin e Stefano Zuliani. In alto, Eugenio Franceschini sorride con la copertina che lo ritrae.

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Ore 22.00. L’appuntamento è alla Pagoda, locale storico del Lido di Venezia, rinnovato quest’anno con una meravigliosa terrazza ristorante che si affaccia sul giardino adiacente alla spiaggia. Si comincia con una nuova esibizione dei La Pingra per scaldare l’ambiente e dare il benvenuto con una musica soft e accogliente: dopo solo un’ora, il giardino della Pagoda è già brulicante di partecipanti ansiosi di sapere cosa li attenderà. Sul palco arriva Marco Guazzone & The Stag, che darà il via

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- Dossier -

NEW FACES: PRENDETE NOTA, SONO QUESTI GLI UNDER 25 DEL NUOVO CINEMA ITALIANO

Il servizio fotografico è stato realizzato presso l’ufficio romano di Fabrique: ringraziamo Italian Multimedia Group per il sostegno offerto.

IN RIGOROSO ORDINE ALFABETICO:

MOISE CURIA CLAUDIA DJORDJEVICH MIRIAM KARLKVIST TOMMASO LAZZOTTI SARA SERRAIOCCO NICOLAS ZAPPA VESTITI E ACCESSORI LEVI’S a cura di SONIA SERAFINI foto ROBERTA KRASNIG assistente foto DANIELA PELLEGRINI stylist STEFANIA SCIORTINO assistente stylist FRANCESCA CAPPA hairstyle SIMONE APPETITO @HARUMI make up BEATRICE CONTINO @HARUMI

WE ARE YOUNG WE ARE FREE 20

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MOISE CURIA

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ome nello scorso numero Fabrique ha deciso di puntare i riflettori sul mondo dei talenti più giovani: questa volta ci siamo fatti accompagnare nel lavoro di scouting da chi ha scelto di formarli in maniera innovativa, riuscendo a trovare il giusto equilibrio fra il lavoro dell’agente e dell’artista. Parliamo di Officine Artistiche, un’agenzia che sempre più si sta facendo spazio nel mondo cinematografico con un nuovo modo di interpretare il proprio ruolo. È un lavoro difficile e delicato quello di prendere per mano un attore alle prime armi e consigliarlo nelle scelte professionali, e quante volte brillanti carriere sono state pregiudicate da agenti improvvisati e poco attenti alle caratteristiche speciali di persone che – non dimentichiamolo – sono in primo luogo artisti, con il carico di fragilità che il mestiere comporta. E oggi il cuore pulsante dell’impresa è un progetto speciale: Officine Lab, nato con l’intento di preoccuparsi delle esigenze proprio dei giovanissimi, gli attori appena diplomati, che, pur usciti da prestigiose scuole di recitazione possono sentirsi smarriti nella fiabesca ma intricata foresta del cinema. Il Lab ha la durata di due anni, la lista è a numero chiuso con un massimo di dieci partecipanti (cinque uomini e cinque donne) dell’età massima di 25 anni.

Noi di Fabrique abbiamo seguito passo passo la selezione degli young talents che frequentano oggi il Lab da presentare sulle nostre pagine: una scelta difficile, perché certo, come abbiamo visto tante volte con i nostri occhi e testimoniato i tutti i nostri numeri, di talento nel nostro paese ce n’è tanto e anche di passione, che spinge i ragazzi a rischiare ogni giorno, a metterci tutta l’anima. La nostra short list si è ridotta infine (a malincuore) a sei nomi: abbiamo passato una giornata intera in loro compagnia, sentendoci un po’ talent scout anche noi, grazie agli occhi attenti della fotografa Roberta Krasnig e della stylist Stefania Sciortino, e ci siamo divertiti a scoprire le ambizioni, i sogni e il talento di Moise Curia, Claudia Djordjevich, Miriam Karlkvist, Tommaso Lazzotti, Sara Serraiocco e Nicolas Zappa. La loro è una generazione nata nella crisi economica più dura dal dopoguerra, ma – guardateli nelle immagini del servizio – hanno tutti uno sguardo proiettato al futuro che infonde speranza. Non hanno paura, perché dentro la crisi sono cresciuti e hanno imparato a cavarsela, hanno capito che non serve lamentarsi ma che è il momento di rimboccarsi le maniche e costruire il proprio futuro. Sono consapevoli che per loro sarà più difficile delle generazioni che li hanno preceduti, ma sanno anche che non ci sono alternative: provarci, senza risparmiarsi, è l’unica strada possibile.

Nato a Rossano Calabro (Cosenza) 22 anni fa, frequenta l’accademia di arte drammatica Euteca per tre anni, subito dopo il diploma passa un anno al Centro Sperimentale per poi girare l’Italia con vari stage teatrali. Si affaccia nel cinema con l’opera prima di Luca Fortino Tienimi stretto e due prodotti Rai diretti da Giacomo Campiotti Non è mai troppo tardi e Braccialetti rossi. Secondo Moise (nome che deriva dall’ebraico Mosè), il cinema vive un periodo di trasformazione che creerà molto lavoro per i giovani. Prossimamente sarà in tournée a teatro con 900 di Baricco, e, per il grande schermo, in un film che per ora è top secret.

CLAUDIA DJORDJEVICH A soli 15 anni arriva sul grande schermo in punta di piedi, felice di come questo mondo l’abbia aiutata a far emergere la sua personalità. La vedremo presto in Profumo di pesche di Laura Halilovic con Marco Bocci, basato sulla storia di una regista rom che la tocca particolarmente da vicino, poiché anche lei appartiene a questa comunità. Ha fiducia che il cinema continuerà ad aiutare i giovani e a farli crescere lasciando loro il giusto spazio per maturare.

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MIRIAM KARLKVIST Questa 21enne calabrosvedese capita nel mondo del cinema quasi per caso: partecipa ad alcuni provini e a sorpresa li passa, diventando la protagonista de Il sud è niente di Fabio Mollo (visto a Toronto e Roma). Decisa a voler proseguire questa professione, sta studiando per perfezionarsi: intanto consiglia ai cineasti di continuare a dare risalto alle piccole realtà, a focalizzare l’attenzione sulle storie dei microcosmi, scegliendo attori provenienti dai luoghi dove si svolgono i film per rendere il tutto più veritiero.

SARA SERRAIOCCO Attrice e ballerina di 23 anni nata a Pescara, esordisce al cinema con Salvo, la potente opera prima di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, premiata al Festival di Cannes. Sara sente particolarmente il tema della precarietà del lavoro per i giovani, e anche il mondo dello spettacolo da questo punto di vista non offre grandi certezze. Inoltre - aggiunge risoluta - i finanziamenti sono impiegati in maniera sbagliata, magari scegliendo di non puntare su opere prime, senza valutare cultura e qualità: insomma, in Italia i soldi sono distribuiti male. Come darle torto?

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TOMMASO LAZZOTTI 25 anni, nato a Roma. Dopo una formazione teatrale, esordisce nel mondo cinematografico dalla porta principale, interpretando un giovane Federico Fellini nell’ultimo film di Ettore Scola Che strano chiamarsi Federico. Grande sostenitore del modello francese, spera che possa essere applicato anche in Italia, destinando maggiori fondi pubblici al cinema. Di giovani talentuosi lui ne vede molti, soprattutto ai saggi delle accademie, in attesa di essere scoperti. Non è sicuro di voler continuare a fare l’attore, ma non si nega nessuna strada: che sia la regia, la scrittura oppure il teatro, rimane sempre un artista.

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NICOLAS ZAPPA Nato a Sulmona, è un carismatico attore di 25 anni, che dopo essersi diplomato alla NUCT - Scuola internazionale di cinema e televisione, e aver fatto moltissime esperienze teatrali, fa la sua comparsa sul grande schermo nel film di Anton Corbijn The American. Nel futuro il cinema sarà come lui, pieno di vita e pieno di giovani, sperando che anche le major si accorgano che è ciò di cui quest’arte ha bisogno. Tutti i suoi progetti futuri sono ancora sotto chiave, ma noi siamo sicuri che questo ragazzo farà parlare di sé.

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FRANCESCO ROSI

LA SCATOLA

MAGICA

È il maestro riconosciuto del cinema civile, capace di estrarre dalla realtà un frammento che illumina un intero periodo, un ambiente, un personaggio storico. Davide Manca, giovane direttore della fotografia oltre che direttore editoriale di Fabrique e grande fan di Rosi, parla con lui della sua lezione di antiretorica e essenzialità, oggi più valida che mai. di DAVIDE MANCA foto FRANCESCA FAGO

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Francesco Rosi, nato a Napoli 91 anni fa, ha iniziato la sua carriera nel cinema come aiuto regista di Luchino Visconti. Il suo primo film da regista, La sfida, è del 1958. Pochi anni dopo inaugura il filone dei film inchiesta con Salvatore Giuliano (1962).

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ovant’anni e uno spirito arguto e penetrante. Nella sua casa al centro della Roma secentesca, con le finestre aperte su un ottobre mozzafiato che risuona delle grida dei gabbiani, Francesco Rosi sfoglia Fabrique, ci fa i complimenti per gli articoli, ci consiglia di non sacrificare i contenuti alle immagini: in ogni parola esprime un’attenzione inesausta alla concretezza delle cose, all’importanza di restituirne la complessità, che sia in un film o sulle pagine di una rivista.

Maestro, perché oggi i produttori non hanno il coraggio o la volontà di investire in storie diverse, come erano le sue di impegno sociale, di denuncia? È vero, una volta dai produttori veniva l’impulso ad affrontare temi nuovi: il neorealismo è nato dalla rappresentazione di un’Italia che si rinnovava nella vita e nell’arte. Oggi forse non è più così, ed è difficile capire perché. Il cinema è una materia talmente vasta e mobile che trae ispirazione da qualsiasi cosa. Succede anche oggi solo che, perlomeno in Italia, regna la convinzione che unicamente il documentario riesca a rappresentare la realtà, e vedo che molti giovani autori sono tentati da questa idea: ma la semplice ripresa dell’esistente non basta, occorre cercare l’occasione (una sensazione, un’emozione, una battuta) per fare un discorso più ampio e motivato sul tempo che viviamo. In altre parole, non si deve confondere la semplice osservazione del reale (tradizionalmente propria del documentario) con il cinema del reale, che parte da uno spunto concreto, ma lo trascende e lo impiega per ricostruire una realtà di più vasto respiro. I grandi film sono riusciti a rappresentare realtà

complesse partendo proprio da una piccola occasione. È quello che è accaduto con Il momento della verità, ad esempio, la sua pellicola del 1965 sulla corrida… Esattamente. E sai com’è nato? Ero un giorno all’Istituto Luce, e vedo per terra una meravigliosa scatola di legno pregiato. La apro, dentro c’è un obiettivo. Gianni di Venanzo [grande direttore della fotografia, ndr], che era con me, mi dice: «Questo è un 300, va bene per i documentari». E io, raggiante: «Ma è proprio quello che fa per me!». Il film che ricordavi è stato girato proprio con il proposito di mescolare una materia narrativa e uno stile documentario per raccontare un fenomeno complesso come la corrida, attraverso i suoi ambienti e personaggi. Raccontare per così dire il toro, non solamente il torero. È lo stesso metodo che ho applicato a proposito della realtà siciliana in Salvatore Giuliano e napoletana in Le mani sulla città. Tutti film narrativi in cui lo sguardo documentario è però preponderante. Solo in questo modo ero convinto di poter far capire a un pubblico vasto e non esperto come funzionavano questi mondi e i loro protagonisti.

«I GRANDI FILM SONO RIUSCITI A RAPPRESENTARE REALTÀ COMPLESSE PARTENDO PROPRIO DA UNA PICCOLA OCCASIONE».

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Come è riuscito a trasferire questa forza visuale dai film in bianco e nero al colore senza soluzione di continuità? È stato merito in gran parte degli occhi del direttore della fotografia [Gianni di Venanzo prima e Pasqualino De Santis poi, ndr], della sua capacità di cogliere non solo l’immagine ma anche la vicenda umana dei personaggi. I due aspetti sono inscindibili: la verità di una storia passa attraverso la qualità fotografica della sua resa sullo schermo. È solo così che il pubblico può identificarsi in ciò che vede, questo è per me il cinema. Perciò in un film in cui il carattere documentario e narrativo si mescolano è fondamentale come dicevo la scelta dell’obiettivo, perché è il tramite attraverso cui lo spettatore viene trascinato e coinvolto in ciò che vede senza neanche rendersene conto.

Fra i tanti premi ricevuti dal regista, ricordiamo l’Orso d’oro alla carriera al Festival di Berlino nel 2008 e il Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia nel 2012, quasi trent’anni dopo il Leone d’oro assegnato a Le mani sulla città.

Cosa devono fare oggi i giovani registi per mantenere l’attenzione alla verità nel cinema? Una sola semplice cosa: vedere quanti più film è possibile, di tutti i generi. Documentari, polpettoni, d’essai, narrativi, poetici…

menti tecnici della regia: la scelta e l’uso degli obiettivi è un elemento basilare della narrazione cinematografica (sapere qual è l’obiettivo giusto per un campo lungo, medio, primo piano e così via). Tuttavia, per la regia intesa nel suo complesso, non esiste a mio modo di vedere alcun metodo di insegnamento. Mi spiego meglio: si può e si deve diventare registi facendo esperienza sui set, al seguito di una troupe.

Il tema delle scuole di cinema non lascia indifferente Carolina, figlia del regista, che ha assistito alla conversazione: «Sono indignata - esclama - per come in questo paese si trattano i veri maestri, quelli che il cinema lo hanno fatto davvero. Mentre le più prestigiose università estere non fanno che chiedere a mio padre di insegnare da loro per interi semestri, qui il massimo che gli propongono è un seminario di mezz’ora! Viene proprio da pensare che si voglia lasciare tutto lo spazio a quei registi di levatura minore, capaci solo, per usare un eufemismo, di guardare il proprio ombelico». Rosi approva con pacatezza, ma si schermisce, non è certo un uomo che si sottomette al gusto dei tempi. La polemica non lo appassiona, riprende subito a parlare di cose concrete, di ciò che davvero resterà nella storia del cinema.

«I GIOVANI DEVONO VEDERE QUANTI PIÙ FILM È POSSIBILE, DI TUTTI I GENERI. DOCUMENTARI, POLPETTONI, D’ESSAI, NARRATIVI, POETICI…».

Veniamo alle scuole di cinema: lei ne condivide i metodi di insegnamento? Personalmente non ho frequentato alcuna scuola: vengo da una formazione sul campo, iniziando come aiuto regista per La terra trema di Visconti nel 1948. Ma, certo, in alcuni settori del lavoro cinematografico la didattica è importantissima. Penso ad esempio alla recitazione, con l’educazione alla dizione, ai movimenti del corpo. Così come, ripeto, è fondamentale possedere gli stru-

«Mi chiedevi - conclude - come dovrebbe essere la mia rivista di cinema ideale? Sicuramente dovrebbe avere uno spazio riservato ai grandi film del passato e del presente, perché i lettori possano ricordarli e capirli sempre meglio».

Ringraziamo Fabrizio Corallo per aver collaborato alla realizzazione di questo servizio.

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- Dossier -

T

he Times They are ’a Changing, cantava una volta Bob Dylan, ma questa ormai leggendaria strofa è sempre attuale. I tempi cambiano anche nella fruizione cinematografica, e se nello scorso numero abbiamo parlato di chi con il VOD vuole favorire la distribuzione di prodotti alternativi e di nicchia, che difficilmente troverebbero spazio nel normale circuito, questa volta cambiamo decisamente scenario e parliamo di chi si occupa di alimentare il mercato di massa, proponendo cataloghi ricchi di titoli che la sala l’hanno conosciuta bene. E se da una parte c’è la corazzata iTunes, il cui modello è «soprattutto quello di vendere i device», come suggerisce Gianluca Guzzo, uno dei fondatori di MyMovies.it, dall’altro ci sono proprio le realtà italiane, Cubovision, Chili Tv e MyMovies, per l’appunto, tre differenti filosofie di business dettate anche dai diversi tipi di piattaforma tecnologica con cui essere fruite. Parlare di iTunes, dei suoi numeri e della sua leadership è superfluo, anche se una considerazione è necessaria. L’arrivo di nuovi protagonisti della nuova era del cinema dovrà far riflettere anche chi fino a questo momento è stato leader incontrastato, con il suo sistema chiuso così sicuro che potrebbe alla fine essere un autogol di fronte a offerte nuove e ben più vantaggiose del singolo acquisto sulla piattaforma di Cupertino.

DISTRIBUZIONE / II PARTE

ARRIVANO I DOLLARI L’invasione sembra essere imminente e i nomi sono altisonanti. Si parte da YouTube, il cui servizio di noleggio on demand è già attivo da tempo negli Stati Uniti e che dovrebbe esordire a breve anche da noi, così come Amazon, che fornirà gran parte della sua immensa library in noleggio e vendita, in streaming o download, a prezzi estrema-

E IL MEGLIO DEVE ANCORA VENIRE

I GRANDI PLAYER ITALIANI DEL VOD HANNO LE LORO FILOSOFIE COMMERCIALI. BASTERANNO CONTRO LO SBARCO DEGLI AMERICANI? di ALESSANDRO DE SIMONE 30

mente competitivi, inserendo anche le serie tv, prodotto amatissimo, come dimostrato dalle tonnellate di giga che quotidianamente l’utenza web italiana scarica per restare al passo del pubblico statunitense. E ovviamente, tutti sono in attesa di Netflix, il colosso che in pochi anni è riuscito ad annichilire il mercato dell’home entertainment, grazie alla sua offerta flat con cui è possibile accedere per pochi dollari al mese, e presto euro, a una quantità di contenuto audiovisivo impressionante. Senza dimenticare le produzioni originali, dal pluripremiato House of Cards alla ripresa di Arrested Development, per la gioia di milioni di fans. Ci sarà da divertirsi, soprattutto perché non finisce qui. MADE IN ITALY Mediaset e Sky sono infatti in dirittura d’arrivo con le loro piattaforme, con cui sarà possibile vedere i film e le serie tv che già vanno in onda sui canali del digitale terrestre e satellitari, non più con una palinsestazione, ma a disposizione in ogni momento. Infinity è il nome del servizio Mediaset che partirà dal 9 dicembre al prezzo di altrettanti euro mensili. Oltre cinquemila titoli tra film e serie tv e titoli in prima visione a tre euro supplementari, il tutto per contrastare Sky on Demand e Sky Go, servizi già da tempo attivi per la piattaforma di News Corporation, ma usufruibili solo dagli abbonati. Mediaset Infinity sembra avere tutte le carte in regola per essere il prodotto che maggiormente possa contrastare il presunto strapotere delle corazzate estere, player che in ogni caso non hanno fatto i conti con l’aspetto più importante di tutta questa situazione: il pubblico italiano. E chissà che la nostra inaspettata creatività non riservi delle sorprese a chi pensa d’avere già vinto la guerra.

CUBOVISION | IL TELEFONO, I TUOI OCCHI FABRIQUE HA AVUTO IL PIACERE DI AVERLO OSPITE DURANTE IL SUO PANEL ALL’ULTIMA MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA. PARLIAMO DI STEFANO ZULIANI, RESPONSABILE DEI PROGETTI SPECIALI DI CUBOVISION, PROGETTO DI TELECOM ITALIA CHE ATTRAVERSO LA RETE E UN DEVICE FORNITO DALL’OPERATORE PERMETTE AI SUOI ABBONATI DI AVERE DIRETTAMENTE SULLO SCHERMO TELEVISIVO UNA SCELTA DI TITOLI IN OPZIONE SIA SVOD CHE TVOD.

Una formula che funziona, anche se ancora con non poche resistenze. «In effetti stiamo andando più a rilento di

quanto immaginassimo» ci ha detto Zuliani «ma è un problema comune a tutti gli operatori di questo mercato in Italia, iTunes compreso. Noi

non ci preoccupiamo più di tanto e andiamo avanti fiduciosi, sapendo che la nostra offerta è ricca e presente nelle case di molti italiani, grazie anche agli accordi con LG e Samsung per l’inserimento di Cubovision sulle loro Smart Tv». Dieci euro al mese per una scelta tra circa tremila titoli divisi in canali tematici, anche di nicchia, grazie per

esempio all’accordo con Own Air, che alimenta uno dei canali sperimentali di Cubovision, così come sperimentale è anche il concetto di produzione per il player Telecom, che è stato già presente al Festival di Venezia dando il suo contributo al documentario di Ettore Scola Che strano chiamarsi Federico!. Inoltre, e ne abbiamo parlato anche con

Gianluca Guzzo, c’è anche l’accordo con il gruppo Espresso per omaggiare gli utenti di Rsera, solo su tablet, di un film al giorno. Un’operazione volta a migliorare le performance della piattaforma web di Telecom e a scardinare le abitudini televisive degli italiani. In tutto ciò, una domanda sorge spontanea: Telefonica di tutto questo che ne pensa?

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MYMOVIES | IL CINEMA PER TUTTI HA INIZIATO L’ATTIVITÀ CON LE ANTEPRIME IN STREAMING, ADESSO MYMOVIES.IT, OLTRE A ESSERE IL MAGAZINE DI CINEMA ON LINE PIÙ LETTO IN ITALIA («SETTE MILIONI DI UTENTI UNICI AL MESE» SOTTOLINEA GIANLUCA GUZZO ORGOGLIOSAMENTE), È ANCHE UNO DEI PIONIERI DEL VOD ITALIANO. EQUAMENTE DIVISO TRA SVOD («LO FACCIAMO PER ESSERCI E SPERIMENTARE») E TVOD, MY MOVIES RIVENDICA UN MODELLO DI BUSINESS DIVERSO RISPETTO AI COLLEGHI.

«Quello che facciamo è dare al cinema un appeal diverso, il nostro è soprattutto un lavoro di promozione che ci deve portare a capire come intrattenere il pubblico del futuro», ci dice Guzzo, che non prende oltretutto sottogamba un problema molto serio. «La pirateria è uno degli aspetti più delicati quando si intraprende un business di questo

tipo. In Italia è radicata e vince per un motivo molto semplice: il tempo, che ha sempre ragione. Se noi possiamo mettere a disposizione dei nostri utenti i contenuti solo tre mesi dopo che sono già disponibili su Torrent in eccellente qualità, non abbiamo speranze. Quindi prima di tutto c’è da fare una battaglia culturale e far capire che un’offerta

legale è fondamentale per la salute della produzione del contenuto». Produzione che anche My Movies ha intrapreso, nel suo piccolo, «e continueremo a farne, perché è un aspetto che ci interessa», proprio come Cubovision, che si sono ritrovati stranamente in casa, visto l’accordo con quest’ultimo da parte del Gruppo Espresso, che

detiene da alcuni mesi il 51% di My Movies. «Abbiamo lavorato insieme, ci stiamo guardando intorno per capire le nostre potenzialità e quelle degli altri in attesa dell’arrivo di YouTube, Netflix, Amazon. Il rischio è di essere messi in ginocchio, quindi instaurare delle partnership potrebbe essere l’idea

migliore». A domanda diplomaticamente Guzzo non risponde, ma per contrastare dei colossi la cosa migliore è crearne un altro. E Telecom, Espresso e MyMovies insieme lo possono essere.

PER CONTRASTARE DEI COLOSSI LA COSA MIGLIORE È CREARNE UN ALTRO

CHILI TV | TUTTO SECONDO I PIANI «STIAMO RISPETTANDO IL BUSINESS PLAN PUNTO PER PUNTO». LO RIPETE COME UN MANTRA GIORGIO TACCHIA, AMMINISTRATORE DELEGATO DI CHILI TV, UNA DELLE REALTÀ TECNOLOGICAMENTE PIÙ AVANZATE DEL SETTORE, CON TANTO DI PASSAGGIO A H-FARM, L’INCUBATORE DI START UP PIÙ FAMOSO D’ITALIA.

«Stiamo crescendo bene in termini di utenti e di vendita di film, il fondo che ha investito nel nostro progetto crede in quello che stiamo facendo. Siamo tornati dal Mipcom di Cannes con la rinnovata fiducia delle major e stiamo pensando di internazionalizzare il prodotto aprendo

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anche in altri paesi. La nostra piattaforma è all’avanguardia e forniamo molta della nostra tecnologia alle aziende partner di Chili». Grande ottimismo, quindi, che non viene intaccato neanche dall’arrivo degli americani. «Anche questo era previsto, e l’inserimento di nuovi

player non può che fare del bene. Nella musica Spotify è riuscita a crearsi una fetta di mercato di grande importanza anche a scapito di iTunes e altri arriveranno. Lo stesso accadrà nel nostro settore». Spotify però ha un’offerta flat che Chili non ha intenzione di fornire, almeno per

il momento. «Il nostro modello di business si basa sul TVOD, pensiamo che sia questo il sistema migliore che possiamo offrire, non potendo inserire nello SVOD le prime visioni e non avendo alcuna intenzione di farle pagare a parte». Grande decisione, quindi. Ma il business plan dice anche

quando arriveranno i profitti? «Nel luglio del 2014, e siamo convinti che rispetteremo anche questo step». E per il bene del futuro dell’audiovisivo in Italia, ce lo auguriamo anche noi.


- Dodici -

ALESSANDRO CAPITANI

UNDER THE SKIN

Alessandro Capitani ha vinto un meritatissimo premio del pubblico “Fabrique du Cinéma” al Roma Creative Contest con un corto che parla di genitori e figli nell’era della chirurgia plastica. Quando l’amore va davvero al di là delle apparenze. di CRISTIANA RAFFA foto MICHELE IACOBINI

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«Da spettatore mi piace la fantascienza. Però guardo veramente di tutto. Una volta andavo a vedere solo i film impegnati, ora anche Checco Zalone, per dire. Gli italiani migliori al momento per me sono Sorrentino e Luchetti». Qui sotto un momento dell’intervista; nelle altre immagini, frame e foto di scena de La legge di Jennifer, con la bravissima piccola protagonista, Asia Lupò.

«L’IDEA DEL CORTO, CHE PARLA DI UNA BAMBINA DI SEI ANNI I CUI GENITORI SONO “RIFATTI” A TAL PUNTO DA NON RICONOSCERSI NEI LORO TRATTI SOMATICI, È NATA DA UNA STORIA VERA». Nella chiacchierata con il nostro nuovo “regista del futuro” partiamo proprio da qui, dal premio ricevuto a Roma: «Il Roma Creative Contest è uno dei migliori festival in assoluto, perché è organizzato da persone giovani e perché c’è tanto pubblico. Per me era la prima volta, sono rimasto sorpreso, ti senti parte di uno spettacolo e di una comunità: ho parlato con tanti ragazzi davvero interessati al cinema». E questa è solo una tappa di un percorso già ricco di soddisfazioni: «Con La legge di Jennifer ho vinto anche il premio per cortometraggi più importante che potessi ricevere. Mi hanno mandato due settimane in California, agli Universal Studios di Hollywood, ho fatto e visto cose che mai avrei immaginato». Parliamo del premio Cinemaster Studio Universal 2013, e Alessandro l’ha vinto e consumato quest’anno, con un viaggio nel mondo del cinema industriale (ancora) più grande, ricco e potente del mondo. Trentatré anni e tanto lavoro alle spalle, fatica e pratica, maniche rimboccate da dieci anni come operatore, assistente e poi aiuto regia. Ma durante e prima anche tanto studio teorico. «Le scuole che potevo fare le ho fatte tutte. Ho cominciato col Dams di Bologna. Interessante, ma forse poco utile per chi ha voglia di fare cinema sul serio. Nel senso che tutto quello che ho studiato lì potevo impararlo leggendo libri e vedendo film a casa mia, senza spostarmi da Orbetello dove sono nato e cresciuto».

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Invece hai cominciato lì e poi sei arrivato fino al Centro Sperimentale di Roma. L’ho frequentato dal 2006 al 2009, tre anni bellissimi in cui ho imparato molto e ho potuto condividere progetti con professionisti che altrimenti non avrei avuto modo di conoscere. Così oggi posso alzare il telefono e chiamare un’attrice richiesta come Laura Chiatti, ad esempio, per chiederle di esaminare un mio soggetto e sperare di poterla avere in un mio lavoro. Lo stesso vale per i professori con cui ho avuto modo di rapportarmi. E l’hai fatto? Hai alzato il telefono e chiamato qualcuno di loro per fare qualcosa insieme? Non sono uno che di solito va a rompere le scatole. Ma sì, l’ho fatto. Per esempio attraverso Caterina D’Amico, che all’epoca era direttrice del Centro Sperimentale e anche amministratore delegato di Rai Cinema, siamo riusciti ad avere un piccolo budget per realizzare il documentario Come prima, più di prima, mi amerò che ho scritto con Stefano Grasso. Semplicemente le ho portato il progetto e le è piaciuto. In quel periodo Rai Cinema stava producendo anche un altro lavoro legato all’universo del-

la chirurgia plastica, il film di Pappi Corsicato Il volto di un’altra, e quindi erano sensibili al tema. Era una strada che potevo percorrere, ho provato, l’idea era buona ed è andata bene. La chirurgia plastica è infatti anche il tema de La legge di Jennifer. Perché sei tornato su questo argomento? L’idea del corto, che parla di una bambina di sei anni che ha i genitori rifatti a tal punto da non riconoscersi nei loro tratti somatici, è nata proprio dal racconto vero di Patrizia Bruschi, una delle protagoniste del documentario Come prima, più di prima, mi amerò. La Bruschi è diventata popolare grazie alla presenza fissa in una trasmissione di Piero Chiambretti in cui era presentata come la donna più rifatta d’Italia. Lei, durante le interviste, ci aveva raccontato che sua figlia veniva presa in giro a scuola perché aveva una mamma “di plastica” e aveva dunque un problema identitario. Il tema era così particolare e interessante che abbiamo scritto questo soggetto. Il problema però era trovare una Jennifer. Sapevo che per un soggetto basato sulla storia di un bambino dovevo azzeccare il bambino, altrimenti sarebbe stato un disastro.

Infatti la bambina che interpreta Jennifer (Asia Lupò) è bravissima, come l’hai scovata? Era l’ultima bambina in lista dopo una serie di casting nella periferia romana. Quasi non ci speravo più. Invece è entrata questa ragazzina e, appena l’ho vista, ho detto “ecco Jennifer”. Abbiamo chiacchierato tanto, ovviamente con i bambini piccoli non si fanno provini di recitazione come con gli attori. Lei era spontanea, intelligentissima. Era… lei. Fare casting è fondamentale. Come si impara a farlo bene? Mi ha aiutato lavorare sul campo, vedere come fanno gli altri. Ho imparato tanto come assistente di Daniele Luchetti a La nostra vita e con spot diretti da lui. Ho imparato molto anche come assistente di Carlo Mazzacurati per La passione e su altre produzioni. In generale l’importante è non stare mai fermi. Io lavoro ogni giorno, ogni giorno sto con la camera in mano. Non aspetto di fare il mio lungometraggio. O meglio, ovviamente voglio farlo e ci sto lavorando, ma nel frattempo il tempo passa e faccio anche altro per vivere. Per esempio regie per programmi tv. È tutta esperienza.

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RUBRICA MACRO

L’OBIETTIVO: LO STRUMENTO CON IL QUALE CATTURIAMO LA LUCE

Cos’è Macro? È la nuova rubrica di Fabrique, curata da esperti, sugli aspetti tecnici della cinematografia digitale: dagli obiettivi ai sensori digitali, dai formati di compressione ai filtri ottici, con particolare attenzione alle novità sul mercato. Una rubrica ricca di approfondimenti per gli esperti ma accessibile anche per chi è alle prime armi. Prima puntata: l’obiettivo.

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di Luca Papi foto Giuseppe Chessa Red Epic con PL mount per ottiche cine.

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’obiettivo è un dispositivo ottico complesso, composto da lenti combinate fra di loro capaci di catturare la luce che, attraversandolo, restituisce un’immagine piana, capovolta, ingrandita o rimpicciolita a seconda della lunghezza focale. L’immagine si formerà sul “Piano Focale” che è il punto dove si trova il supporto fotosensibile, la Pellicola o il Sensore Digitale. Al suo interno troviamo delle lenti che possono essere classificate in: convergenti (positive) e divergenti (negative). La luce che attraversa l’obiettivo viene deviata da ogni lente a quella successiva per effetto della rifrazione, fino al punto nodale posteriore (centro ottico), dopo il quale il raggio non subisce più variazioni. Oltre alle lenti, un obiettivo è composto da altri dispositivi fondamentali, il diaframma e la messa a fuoco, che vengono regolati con precisione da due ghiere esterne graduate; gli obiettivi cinematografici hanno ghiere grosse che permettono l’uso del follow focus. Il diaframma è composto da lamelle mobili che si aprono e chiudono a iride mantenendo una forma poligonale del foro e regolano la quantità di luce che giungerà sul piano focale, mentre il fuoco permette di definire un soggetto e quindi di “mettere a fuoco” una figura e formare così un’immagine nitida sul piano focale.

La caratteristica principale di un obiettivo è la lunghezza focale, che determina l’angolo di campo che è la porzione di scena che riusciamo a inquadrare, la cui ampiezza si estende sull’asse orizzontale e si misura in gradi. Gli obiettivi possono essere a focale fissa o focale variabile (zoom) in base alla quale vengono classificati come grandangolari, normali, teleobiettivi. Si definisce normale un obiettivo più simile alla visione dell’occhio umano, che è 35mm nel cinema e 50mm (formato 24 x 36 - detto pure 135) nella fotografia, mentre al di sotto questi valori abbiamo un grandangolare e al di sopra un teleobiettivo. Alcuni possono avere l’estensione macro, permettendo la messa fuoco di soggetti a distanze molto ravvicinate che altrimenti risulterebbero in “sottoscala”. Ci sono altre caratteristiche che variano a seconda della tipologia dell’obiettivo in rapporto con il formato in uso: la profondità di campo e la copertura. La profondità di campo è la porzione di spazio entro il quale tutto risulta a fuoco, ed è determinata dalla lunghezza focale, dall’apertura del diaframma (f stop), dalla grandezza del supporto fotosensibile e dalla distanza soggettopiano focale. La copertura è invece determinata dal rapporto fra il diametro della lente e il formato in uso. Quindi l’obiettivo

dovrà essere in grado di coprire il formato e risolvere le aberrazioni sferiche, i cromatismi e la vignettatura. Noi analizzeremo il formato 35mm per pellicola e digitale. Le ottiche cinematografiche vengono prodotte oggi da alcuni grandi nomi come Zeiss, Cooke, Canon, che sono in numero nettamente inferiore ai produttori di dispositivi di ripresa e quindi hanno dovuto adattarsi a rendere utilizzabili i medesimi prodotti su

supporti di diversa tipologia. Esistono infatti gli attacchi di tipo PL che sono adottati dalle macchine da presa di maggior qualità, come la Arri, la Red, la Phantom e altre, mentre per le Videoreflex (DSLR) l’attacco ufficiale Canon è chiamato EF, per Nikon abbiamo l’attacco F e per Sony attacco E. Negli obiettivi la risolvenza, o potere risolvente, è una delle caratteristiche più importanti che va a determinare la qualità di un’ottica, ed è la proprietà di una

In alto: Il meccanico delle ottiche collima la ghiera del fuoco. In basso: Apertura dell’ottica per la collimazione.

lente di riprodurre distintamente i dettagli più fini e vicini tra di loro, soprattutto ai lati dell’immagine, dove la lente subisce di più le aberrazioni e le distorsioni. Le misurazioni della risolvenza degli obiettivi vengono effettuate attraverso dei provini, utilizzando delle speciali tavole chiamate “Mire Risolventi”che verranno opportunamente illuminate e analizzate in diverse modalità. Ora passiamo ad approfondire i tipi di obiettivi ovvero grandangolari, normali e teleobiettivi. Al di sotto della scala degli obiettivi grandangolari troviamo i fisheye, che generalmente hanno lunghezza focale tra gli 8 e i 15 mm, restituendo un angolo di campo molto esteso e un’immagine distorta ai lati a causa delle aberrazioni sferiche della lente, ma sono impiegati proprio per creare un effetto di impatto che trova utilizzo in determinati linguaggi cinematografici. La classificazione degli obiettivi non ha una scala unica, ma si determina in base al supporto fotosensibile utilizzato. Ad esempio un obiettivo “normale” per il 35 mm cinematografico è diverso da quello del 35mm fotografico, perché nella fotografia la pellicola è posta orizzontalmente sul piano

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RUBRICA MACRO

In questa pagina dall’alto: Misurazione della distanza dal piano focale al cartello. Mira risolvente. Foto ottenuta con obiettivo fisheye. Obiettivo fisheye.

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focale, mentre nelle macchine da presa scorre in senso verticale, quindi la diagonale del 35 mm fotografico sarà maggiore del 35mm utilizzato in ripresa, determinando un diverso valore di classificazione di obiettivo normale, che regolerà di conseguenza le varie scale per le lunghezze focali inferiori e superiori (Vedi Tabella sul sito Fabriqueducinema/Rubriche/Macro). La lunghezza focale, come abbiamo visto, determina anche la profondità di campo, altro elemento di primaria importanza nel linguaggio cinematografico, ed è la porzione di spazio entro il quale gli elementi risultano a fuoco, determinabile o modificabile in base alla scelta dei diversi obiettivi e aperture del diaframma, che influiscono in maniera sensibile sulla stessa permettendo di scegliere immagini con molta profondità, dove quasi tutto è a fuoco nel quadro, oppure poter scegliere di avere soggetti perfettamente nitidi su sfondi sfocati. Per ottenere una bassa profondità di campo occorrerà quindi scegliere lunghezze focali maggiori, che potrà essere attenuata o aumentata attraverso l’uso del diaframma. Viceversa, per ottenere una grande profondità di campo la scelta ricadrà sui grandangolari, che consentono di avere immagini nitide di soggetti sia vicini che lontani dalla mac-

china da presa. Un ultimo cenno agli obiettivi anamorfici. Si tratta di un obiettivo composto da una lente sferica convenzionale con l’aggiunta di una lente anamorfica, di forma cilindrica, e visto frontalmente si presenta con un’apertura ovale invece che circolare come gli obiettivi classici. Ha caratteristiche molto particolari su cui è bene fare alcune considerazioni. Il suo funzionamento consiste nella deformazione in fase di ripresa dell’immagine per mezzo della lente anamorfica, che la comprime verticalmente, e produce quindi un’immagine schiacciata lateralmente e molto estesa in altezza e su l’intero fotogramma, compreso lo spazio nero dell’interlinea che normalmente si presenta come due barre nere ai lati superiori e inferiori del fotogramma. Questo sistema permette di riprendere con un angolo di 180° su una pellicola 35 mm e quindi ottenere più informazioni senza dover utilizzare un supporto fotosensibile di grandezza maggiore. In fase di proiezione verrà applicata un’altra lente anamorfica ruotata di 90° che servirà a riespandere l’immagine, e restituirci così le proporzioni originali, ma con un formato panoramico di 2.39:1 chiamato Cinemascope, che produrrà un’immagine 2,4 volte più larga della sua altezza. Per far sì che un’ottica mantenga le sue proprietà ottimali nel tempo è necessaria infine una buona cura e manutenzione. Spesso l’impiego in condizioni estreme richiede una pulizia accurata delle lenti che si effettua smontando gli obiettivi, ma l’operazione più precisa è la collimazione. È il processo di calibrazione di uno strumento ottico al fine di ottenere la miglior qualità possibile dell’immagine prodotta, attraverso la quale si verifica che gli assi ottici delle lenti siano centrati e paralleli fra di loro. Per collimarlo si utilizza una mira e viene calibrato con l’ausilio di spessori che vengono posti tra la base e l’attacco. (Ringraziamo D-Vision per la collaborazione)


- Mestieri -

EMANUELA COTELLESSA

LE EMOZIONI SONO RACCHIUSE NEI SUONI

EMANUELA COTELLESSA, 28ENNE AQUILANA, RACCONTA A FABRIQUE IL SUO ENTUSIASMO PER IL MONDO DELL’AUDIO E SVELA ALCUNI ASPETTI DI UNO DEI MESTIERI DEL CINEMA MENO CONOSCIUTI: IL TECNICO DEL SUONO.

di LUCA OTTOCENTO foto PAOLO PALMIERI

Emanuela, che ha già lavorato in numerosi film, documentari, spot pubblicitari, web series, tiene a precisare: «Quello del fonico di presa diretta o del montatore del suono non è solo un lavoro tecnico, ma fondato anche su una forte componente creativa».

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«Il tecnico del suono crea il ritmo di tutto il film e in questo modo è come se desse vita a una vera e propria partitura, composta di note, ritmi, pause».

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opo la sofferta rinuncia all’amato violino a seguito di un incidente stradale avuto da adolescente, Emanuela Cotellessa ha espresso la propria passione per la musica in una forma diversa, dedicandosi all’attività di tecnico del suono. Oggi, con alle spalle gli studi presso l’Accademia dell’Immagine e il Centro Sperimentale, Emanuela ha partecipato in qualità di fonico di presa diretta, microfonista e montatore del suono a diversi film di finzione e a numerosi documentari, lavorando anche in un gran numero di cortometraggi e per la televisione. L’abbiamo incontrata a inizio ottobre, nei giorni in cui stava finendo di girare l’edizione italiana del reality Quattro matrimoni.

Cos’è che ti affascina di più del lavorare con i suoni? Quando frequentavo il Centro Sperimentale, ho iniziato a rendermi conto di come si può far nascere le emozioni attraverso i suoni, anche quelli apparentemente più banali, e a essere sempre più consapevole delle notevoli possibilità espressive del suono cinematografico. Ciò che più mi intriga è scegliere di volta in volta gli strumenti di lavoro in base alle esigenze del film, del documentario o del corto che devo realizzare. Per fare solo un esempio, è necessario tenere presente che ogni microfono ha un colore diverso; può quindi restituire dei suoni più caldi o più freddi e, di conseguenza, esprimere sensazioni e atmosfere differenti. Un altro aspetto che amo del mestiere riguarda l’affinità con la musica, a cui dagli undici ai sedici anni ho dedicato tantissime ore delle mie giornate. Il tecnico del suono infatti, registrando i suoni sul set ma soprattutto lavorandoli in fase di postproduzione, crea il ritmo di tutto il film e in questo modo è come se desse vita a una vera e propria partitura, composta di note, ritmi, pause. Quello del fonico di presa diretta o del montatore del suono non è solo un lavoro tecnico, come molti potrebbero pensare, ma fondato anche su una forte componente creativa. Quali sono le maggiori difficoltà che si incontrano in Italia nella quotidianità del tuo mestiere? Ci sono dei grandi talenti, il cui lavoro purtroppo finisce spesso per essere fortemente condizionato dall’esiguità dei budget stanziati dalle produzioni. Generalmente qui da noi, durante le riprese, il suono viene gestito dal fonico di presa diretta e dal microfonista. Per poter lavorare a livelli più alti e giocare con la bellezza e le molteplici sfaccettature dei suoni, sarebbe però necessario un numero superiore di persone, nonché di attrezzature. Negli Stati Uniti, ad esempio, esistono diverse figure specializzate che operano sul set: c’è un fonico per la presa diretta, un fonico per gli effetti, un fonico per gli ambienti

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e poi c’è il sound designer, una figura importantissima che gestisce tutta la catena legata all’audio del film e che a volte coordina anche il fonico di presa diretta, indicandogli quale tipo di suoni serve registrare per ottenere un determinato effetto in postproduzione. Trovi che i cineasti italiani siano sufficientemente sensibili alle grandi potenzialità insite nel rapporto tra immagine e suono? Negli ultimi anni i nostri registi si stanno aprendo molto alle possibilità del sonoro. Il problema fondamentale è come al solito riconducibile a questioni di carattere economico. Per abbattere le spese, infatti, i film vengono girati sempre più in fretta e, considerato il poco tempo a disposizione, chi lavora con il suono il più delle volte si ritrova a dover sfruttare al meglio i momenti di pausa durante le riprese per effettuare le registrazioni di una serie di movimenti degli attori, di alcuni suoni ambientali o le registrazioni a vuoto [a macchina da presa ferma, ndr]. Tutte operazioni invece essenziali per la fase successiva del montaggio del suono e alle quali ci si dovrebbe dedicare senza fretta. Nel cinema di oggi il suono assume un ruolo sempre più centrale e spesso si fa vero e proprio strumento narrativo. Qual è una sequenza che ti ha particolarmente colpito da questo punto di vista? Il petroliere di Paul Thomas Anderson si apre con delle suggestive immagini di un arido paesaggio accompagnate dalla musica per orchestra di Jonny Greenwood, in più occasioni interrotta dal rumore delle picconate sferrate dal personaggio principale, interpretato da Daniel Day-Lewis. Anderson è un regista che lavora molto sulla componente sonora e sulla sua interazione con le immagini. Ciò che mi affascina di questa sequenza è il modo in cui le sonorità di Greenwood risultano decisive nella creazione dell’ambiente inospitale che ci viene mostrato. In più, il ritmo ripetitivo della musica, interrotto da quelle violente e insistite picconate, rappresenta molto bene l’ossessione del protagonista.


- Making of -

SUL SET DI

FINO A QUI TUTTO BENE foto di FABIO BACCI

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SCRITTO DA Roan Johnson e Ottavia Madeddu DIRETTO DA Roan Johnson CAST Alessio Vassallo Melissa Anna Bartolini Paolo Cioni Silvia D’Amico Guglielmo Favilla e con Isabella Ragonese DURATA 85 minuti PRODUZIONE Roan Johnson, Visual Thinking, Netseven PRODUTTORE Roan Johnson DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA

Davide Manca MONTAGGIO Davide Vizzini e Paolo Landolfi MUSICHE ORIGINALI Gatti Mezzi, Zen Circus FONICO DI PRESA DIRETTA Vincenzo Santo In collaborazione con Università di Pisa, Toscana Film Commission, Comune di Pisa, Libreria La 56ma Strada, Cinemacafè Lanteri

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LA STORIA L’ultimo weekend a Pisa di cinque ragazzi che hanno studiato e vissuto nella stessa casa, teatro di amori nati e finiti, di festeggiamenti per gli esami e nottate insonni su libri indecifrabili. Adesso quel tempo di vita così acerbo, divertente e protetto, sta per finire. Fuori li aspettano lavori sempre più precari e un mondo in crisi di identità e di valori. Prenderanno direzioni diverse, andando incontro alle scelte che determineranno il corso delle loro esistenze, chi rimanendo a Pisa, chi partendo per lavorare all’estero. Il racconto buffo e allo stesso tempo profondo degli ultimi tre giorni di un gruppo di amici che hanno vissuto forse il momento più bello della loro vita. La metafora di una generazione chiamata a una sfida.

L’IDEA Fino a qui tutto bene è il figlio legittimo del

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Blackmagic camera. Per Camera Car, batteria esterna di supporto e monitor “alphatron”, ancorata con magic arms “manfrotto” e asta e snodo Arri. Camera Car con Blackmagic e 200 hmi Arri con frost 250 su violino.

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Ripresa laterale. Kinoflo 4x60 di controluce a sbalzo 1.2kw hmi Arri riflesso su poli ancorato a barracuda “manfrotto” con bandiera di panno.

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Camera Car al tramonto. Red MX, montata su violino con 18mm zeiss t 1.8.

Kinoflo 4x60 plongée; 200 hmi Arri con gelatina amber.

Roan Johnson nasce a Londra nel 1974 da madre materana e padre londinese. Si laurea con lode in cinema all’Università di Pisa nel 1998 e si diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma nel 2001. Ha tenuto il Laboratorio di sceneggiatura all’Università di Pisa per sei anni e ha insegnato alla John Cabot University a Roma. Scrive film e serie per cinema e tv fra cui Ora o mai più prodotto da Fandango - tratto da un soggetto finalista al Premio Solinas - e la serie Raccontami. Nel 2010 è uscito il suo primo romanzo, Prove di felicità a Roma est edito da Einaudi Stile Libero, che ha vinto il Premio Berto 2010. Dirige nel 2006 l’episodio Il terzo portiere del film 4-4-2 Il gioco più bello del mondo prodotto da Paolo Virzì. I primi della lista (2011) è il suo primo lungometraggio, vincitore di svariati premi nazionali e internazionali.

Camera plongée. Red MX con 18mm zeiss 1.8.

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Regista e attore indicano all’operatore il punto d’incontro della scena.

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Gli attori ripassano la parte prima di girare la scena.

IL REGISTA

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Kinoflo 4x60 su barracuda, 200 hmi dietro la finestra, microfono direzionale su asta boom.

documentario/intervista L’uva migliore che l’Università di Pisa commissionò nel 2012 a Roan Johnson. Durante le interviste per il progetto nacque nel regista la voglia di scrivere un film low budget per raccontare il periodo particolare, protetto e meraviglioso dell’università, quando vivi fuori da casa per la prima volta, e per la prima volta ti trovi a convivere e a stringere legami d’amore e amicizia. Il film si svolge nella casa dei cinque giovani. La macchina da presa li segue e li osserva come se fosse il sesto coinquilino: gli attori sono stati lasciati liberi di improvvisare per restituire l’immediatezza che regna in ogni casa di studenti. La troupe, leggera, minima e coesa, era composta da ragazzi (molti dei quali laureati proprio all’Università di Pisa), che hanno realizzato il film con la formula della coproduzione.

Il regista dà indicazioni all’attrice.

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Ext giorno: 1.2kw hmi con frost 216 diretto.

Prae color in Da Vinci Resolve. Colorist: Luca Salvatori.

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ALESSANDRO BARONCIANI NATO NEL 1974 E ORIGINARIO DEL PESARESE, LAVORA TRA PESARO E MILANO COME ART DIRECTOR, ILLUSTRATORE E GRAFICO PUBBLICITARIO ANCHE PER CASE DISCOGRAFICHE COME UNIVERSAL, MEZCAL E LA TEMPESTA, FIRMANDO LE COPERTINE DI GRUPPI E CANTAUTORI COME BUGO, PERTURBAZIONE, TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI. CURA UNA RUBRICA A FUMETTI SULLA STORIA DELLA MUSICA SU «RUMORE MAGAZINE». http://alessandrobaronciani.blogspot.it/

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HISTOIRES DU CINÉMA

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- Effetti speciali -

CLOSER

SCI-FI: LA NUOVA FRONTIERA DEI MOVIEMAKER DIGITALI

Closer è l’avventura di due ignari campeggiatori, coinvolti loro malgrado in un incontro con visitatori da altri mondi. La scaramuccia stellare in cui verranno coinvolti cambierà i loro destini e quello dell’intera razza umana.

UN CORTO REALIZZATO CON SOFTWARE ALLA PORTATA DI TUTTI CHE SFIDA SENZA COMPLESSI I BLOCKBUSTER DI FANTASCIENZA TARGATI USA. IN SOLI 19 MINUTI CLOSER RIDISEGNA LA MAPPA DEL CINEMA DI GENERE IN ITALIA. E, ANCORA UNA VOLTA, È LA RETE AD APPLAUDIRE. Intervista con ANGELO LICATA

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ià noto agli youtubers di tutto il mondo per Dark resurrection, primo fanfilm italiano ispirato a Star wars, Angelo Licata è l’autore dello strabiliante Closer, un cortometraggio che appartiene a un genere poco frequentato in Italia, la fantascienza. E che strizza l’occhio alle atmosfere dei grandi film degli anni ’70-80, fra Incontri ravvicinati del terzo tipo e Ritorno al futuro. Dopo appena dieci giorni online il corto ha raggiunto 40.000 spettatori, ricevendo recensioni entusiastiche da tutto il mondo, compresi Giappone, Grecia e naturalmente Usa, dove i site geek lo hanno esaltato con frasi davvero lusinghiere.

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Un cortometraggio con così tanti effetti richiede una preparazione particolare? Tutto parte dallo script. Quando hai una buona storia, il primo passo è chiederti se può migliorare. Il passo successivo è trovare gli interpreti giusti. Non amo i film tutti effetti speciali e niente emozione. Troppa CGI annoia, è l’elemento umano che trasmette l’emozione. Faccio un esempio: se dovessi raccontare la storia di un palazzo che crolla, punterei la camera principalmente sull’attore lasciando azione ed effetti sullo sfondo. Perché per quanto un effetto sia spettacolare, è solo un elemento narrativo che non deve mai essere l’unico protagonista. Per questo motivo ritengo che il casting sia fondamentale, e a pari merito con la sceneggiatura merita grande attenzione. Ho scelto Vincenzo Alfieri per il ruolo del protagonista perché è un grandissimo

attore, ha un talento unico e poliedrico ed era assolutamente perfetto nel ruolo che avevo in mente. Avevo già avuto la fortuna di lavorare con Elena Cucci, la sua bellezza è pari alla sua bravura e alla sua professionalità. Credo di aver fatto un’ottima scelta anche nel coinvolgere gli altri due attori del cast: Fabrizio Fenner, un personaggio incredibile, sembra uscito da un fantasy. Dopo aver lavorato con lui in Dark resurrection ho capito che i ruoli del cattivo gli si addicono. Infine Francesca Gandolfo, che, al suo esordio, ha incarnato il personaggio alieno magistralmente. La terza fase è dedicata al visual concept e alla previsualizzazione, e comprende anche lo storyboard. Dovendo definire lo stile delle navi e dei costumi mi sono affidato a un software 3d che offre una vasta gamma di librerie; assemblandone alcune sono riuscito a definire un look di base sia per le navi che per

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l’armatura del rettiloide. Una volta decise le linee guida è iniziata la modellazione delle navi. La nave rettiloide non richiedeva un grande sforzo in modellazione, aveva strutture geometriche molto semplici e sono riuscito a realizzarla in pochissimo tempo. Per la nave Heloim invece avevo in mente una struttura più elaborata che comprendeva parti mobili e una grande quantità di dettagli. Per questo motivo ne ho affidato la modellazione a Lorenzo Cappello, un artista molto competente. Riccardo Antonino si è occupato delle mappe UV, fase davvero meticolosa (e noiosa…). Per le scene ambientate nello spazio ho ricreato Terra e Luna utilizzando mappe generate da foto della Nasa ad altissima risoluzione. Avendo ultimato le navi in tempi record siamo stati in grado di simulare la maggior parte delle sequenze prima di girare un solo frame. Nel frattempo Andrea Languasco aveva creato un’armatura davvero fantastica, che anche in questo caso ha superato il concept iniziale. Mila Mirenghi aveva infine realizzato una maschera impressionante per il volto del rettiloide lavorando su un calco di Fabrizio Fenner. Come si sono svolte le fasi di produzione e postproduzione? La produzione è iniziata senza problemi: il bosco in cui giravamo offriva scorci stupendi e grazie alla bravura del direttore della fotografia Diego Casciola le scene in diurna erano davvero bellissime. Gli attori si muovevano sicuri, anche con l’aiuto di quattro macchine per le riprese (tutte Reflex Canon); in un paio d’ore avevamo già portato a casa la prima sequenza. L’arrivo della notte invece è stato molto problematico. Nonostante fosse agosto la temperatura era scesa di pochi gradi sopra allo zero e gli attori soffrivano il freddo. Avevamo previsto temperature molto più alte e le coperte termiche con cui avvolgevamo gli attori fra un ciak e l’altro non sembravano bastare. L’umidità inoltre aveva raggiunto livelli così elevati che alcune apparecchiature - fra cui il prezioso crane con cui contavamo di fare molte inquadrature - funzionavano male. Tuttavia, grazie all’esperienza di Dark resurrection, sapevo come

realizzare crane e carrellate in postproduzione e non mi sono fatto scoraggiare dall’incidente. Abbiamo girato in maniera statica tutto quello che era previsto in movimento, prevedendo di simulare in postproduzione le trasformazioni prospettiche. Però in questo modo la post si è dilatata molto. Abbiamo dovuto ricostruire in 3d l’intero set. Alberi, foglie e terreno inclusi. La postproduzione e l’uso del 3d e del compositing oggi può davvero abbattere i costi di produzione, ma la realizzazione tecnica degli effetti è spesso lentissima e richiede giorni di prove prima di ottenere risultati accettabili. Non mi soffermerò sulla tecnica di realizzazione perché, pur essendone molto affascinato, trovo noioso raccontare i passaggi per realizzare un’astronave in 3d. Non c’è più nulla di straordinario, dopotutto, quando con software da mille euro o addirittura gratuiti e tanta passione è possibile realizzare letteralmente qualunque cosa. Bisognerebbe piuttosto studiare un’altra cosa: la formula giusta per emozionare lo spettatore. Come mai uscire in rete invece di attendere un festival importante? La risposta è semplice: volevamo il massimo della visibilità nel più breve tempo possibile. E poi perché internet è il futuro. Un gran numero di registi oggi riescono a finanziarsi attraverso la rete. Le piattaforme di crowdfunding funzionano sempre meglio, il pubblico stesso può sovvenzionare un progetto in cui crede e che vuole vedere, diventando produttore associato. Ciò permette agli autori di finanziare i loro progetti mantenendo il potere artistico sul prodotto finale. In Italia si continuano a produrre film per il solo territorio nazionale con alto budget, bassi incassi e poche possibilità di rientrare dei costi. Se non iniziamo a esportare producendo film di genere per il mercato internazionale, la nostra industria cinematografica imploderà. Anche per questo il film è stato girato in inglese e poi sottotitolato in italiano. Spero che Closer sia un esempio di come anche in Italia si possa fare fantascienza. Basta volerlo davvero e crederci, perché i professionisti e i talenti ci sono. Ma stanno emigrando là dove possono esprimersi liberamente.

La colonna sonora, composta da Alexander Cimini, ha un ruolo fondamentale, accompagnando lo spettatore nel giusto cammino emotivo per tutta la durata del film, inclusi i titoli di coda.

«NON C’È PIÙ NULLA DI STRAORDINARIO, DOPOTUTTO, QUANDO CON SOFTWARE DA MILLE EURO O ADDIRITTURA GRATUITI E TANTA PASSIONE È POSSIBILE REALIZZARE LETTERALMENTE QUALUNQUE COSA. BISOGNEREBBE PIUTTOSTO STUDIARE UN’ALTRA COSA: LA FORMULA GIUSTA PER EMOZIONARE LO SPETTATORE». 52

DIARIO GLI EVENTI DI FABRIQUE

6 OTTOBRE

Roma Creative Contest e Fabrique: THE NEXT BIG THING Alessandro Capitani con La legge di Jennifer (vedi rubrica Dodici) si è aggiudicato il premio del pubblico Fabrique du Cinéma alla terza edizione del Roma Creative Contest. RCC, che ospita cortometraggi provenienti da tutto il mondo, è un festival-laboratorio unico, aperto alla sperimentazione, all’underground, alle nuove tecnologie e alla commistione tra le diverse forme artistiche. Fabrique ne è orgogliosamente ormai partner consolidato.

14 SETTEMBRE

Urban Fabrique: Proiezioni Urbane

Si è svolta nella cornice del Teatro Palladium la premiazione del concorso indetto da Fabrique nell’ambito di Outdoor, festival di street art, giunto ormai alla quarta edizione. Ha conquistato la palma UrbanFabrique Fine corsa di Alessandro Celli, short film che racconta la città di oggi, la sua cultura di strada e le relazioni che si intrecciano nel tessuto metropolitano.

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NEWS 31 OTTOBRE-3 NOVEMBRE

FRANCE MON AMOUR Siamo felici di promuovere e sostenere un festival amico affine al carattere europeo della nostra rivista. France Odeon porta a Firenze una nutrita selezione dei film prodotti l’anno scorso Oltralpe, con opere presentate con successo ai festival di Cannes, Berlino, Venezia e Toronto. Molte le anteprime italiane e, addirittura, per tre film la presentazione a Firenze ha anticipato l’uscita francese.

2-20 DICEMBRE

AUTUNNO IN CALABRIA Il festival cinematografico della Calabria si articola in tre momenti: La primavera del cinema italiano (a Cosenza), vetrina del cinema italiano più attuale, il Reggio Calabria filmfest e il MagraGraecia Filmfestival School (Catanzaro), questi ultimi a carattere più didattico con la creazione di workshop rivolti agli studenti.

MARZO 2014

CINEMA D’ALTA QUOTA Il festival Cortinametraggio, che si svolgerà a Cortina d’Ampezzo dal 20 al 23 marzo 2014, punta a stupire e si rinnova sia nel cinema che nell’immagine. Ufficiale è l’apertura del bando per le 4 sezioni di concorso: a fianco di CortiComedy e Booktrailers, diventati appuntamento fisso dalle scorse edizioni, apre anche alle webseries italiane e ai video Instagram. www.cortinametraggio.it

FABRIQUE DU CINÉMA N°3

La CaRTa STaMPaTa deL NUOVO CiNeMa iTaLiaNO luglio agosto settembre

Numero

2013

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SPECIALE VENEZIA

giovaNi leoNi crescoNo

La storia del festival attraverso i suoi più geniali esordienti

OPERA PRIMA

Neorealismo magico

“Il sud è niente”, se è una ragazza ad abbattere i luoghi comuni

ICONE

o ciNema o morte!

Il giuramento dei fratelli Taviani, ragazzi per sempre, a Pisa a Berlino

voglio storie straNe, moNDi Diversi,

sogNi eugeNio FraNceschiNi

Il nuovo rIbelle del cInema ItalIano

LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO SCARICA GRATUITAMENTE IL N°1 DAL NOSTRO SITO 0 SCRIVICI A REDAZIONE@FABRIQUEDUCINEMA.IT

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DOVE

Come e dove Fabrique

CINEMA ROMA CASA DEL CINEMA | 06.423601 | Largo Marcello Mastroianni, 1 EDEN FILM CENTER | 06.3612449 | Piazza Cola di Rienzo, 74 FARNESE | 06.6064395 | Piazza Campo De Fiori, 56 GREENWICH | 06.5745825 | Via G. Battista Bodoni, 59 INTRASTEVERE | 06.5884230 | Vicolo Moroni, 3 MADISON | 06.5417926 | Via G. Chiabrera, 121 MAESTOSO | 06.786086 | Via Appia Nuova, 416 NUOVO CINEMA AQUILA | 06.70399408 | Via L’Aquila, 66 NUOVO SACHER | 06.5818166 | Largo Ascianghi, 1 POLITECNICO | 06.36004240 | Via G. Battista Tiepolo, 13 QUATTRO FONTANE | 06.4741515 | Via Quattro Fontane, 23 TIBUR | 06.4957762 | Via degli Etruschi, 36 ------------------------------------------------------------------------------------------------CINEMA FUORI ROMA KING | 095.530218 | Via A. De Curtis, 14 Catania ------------------------------------------------------------------------------------------------TEATRI TEATRO VALLE | Via del Teatro Valle, 21 ------------------------------------------------------------------------------------------------LOCALI ROMA BAR DEL GAZOMETRO | Via del Gazometro, 20/24 BIG STAR | Via Mameli, 25 CAFFÈ LETTERARIO | Via Ostiense, 95 CATERING BIKER’S BAR | Via W. Tobagi, 49 DOLCENOTTE | Via dei Magazzini Generali, 15 DOPPIO ZERO | Via Ostiense, 68 DVISION Roma GIUFÀ | Via degli Aurunci, 38 KINO | Via Perugia, 34 HARUMI | Via Cipro, 4m/4n HARUMI | Via della Stazione di San Pietro, 31/33 LA TANA DEL BIANCONIGLIO | Via B. Bossi, 6 LE MURA | Via di Porta labicana, 24 MAMMUT | Via Circonvallazione Casilina, 79 ------------------------------------------------------------------------------------------------LOCALI FUORI ROMA IL FRANTOIO | Via Renato Fucini 10, Capalbio (GR) OSTELLOBELLO | Via Medici 4, Milano PIADE IN PIAZZA | P.zza Meda 5, Milano ------------------------------------------------------------------------------------------------SCUOLE CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA | Via Tuscolana, 1520 CINE TV ROSSELLINI | Via della Vasca Navale, 58 GRIFFITH | Via Matera, 3 NUOVA ACCADEMIA DI BELLE ARTI | Via C. Darwin, 20 Milano ROMEUR ACCADEMY | Via Cristoforo Colombo, 573 SCUOLA D’ARTE CINEMATOGRAFICA GIAN MARIA VOLONTÉ | Via Greve, 61 ------------------------------------------------------------------------------------------------LIBRERIE LIBRERIA DEL CINEMA | Via dei Fienaroli, 31 ------------------------------------------------------------------------------------------------FESTIVAL Calabria Film Festival Festival Internazionale del Cinema di Roma LXX Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia Rome Independent Film Festival Visioni Italiane Cineteca di Bologna ------------------------------------------------------------------------------------------------LUOGHI ISTITUZIONALI Film Commission Genova MIBAC Ministero per i Beni e le Attività Culturali | Via del Collegio Romano, 27





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