La CARTA STAMPATA del NUOVO cinema italiano luglio agosto settembre
Numero
2013
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SPECIALE VENEZIA
Giovani leoni crescono
La storia del festival attraverso i suoi più geniali esordienti
OPERA PRIMA
Neorealismo magico
“Il sud è niente”, se è una ragazza ad abbattere i luoghi comuni
ICONE
O cinema o morte!
Il giuramento dei fratelli Taviani, ragazzi per sempre, a Pisa a Berlino
VOGLIO STORIE STRANE, MONDI DIVERSI,
SOGNI Eugenio Franceschini
Il nuovo ribelle del cinema italiano
S SoMMARIO
Pubblicazione Edita Dall’Associazione Culturale Indie per cui Via Francesco Ferraironi, 49 L7 (00177) Roma www.fabriqueducinema.it
Registrazione tribunale di Roma n. 177 del 10 luglio 2013 Direttore EDITORIALE Ilaria Ravarino SUPERVISOR Luigi Pinto DIRETTORE ARTISTICO Davide Manca GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giovanni Morelli Paolo Soellner CAPOREDATTORE Elena Mazzocchi CAPOSERVIZIO Tommaso Agnese REDAZIONE Cristiana Raffa Sonia Serafini Chiara Spoletini PHOTOEDITOR Francesca Fago Comunicazione e Web Consuelo Madrigali Web MASTER Luca Luigetti EVENTI E MARKETING Isaura Costa Delegato Nord Italia Luca Caserta Relazioni sale Katia Folco UFFICIO STAMPA Sara Battelli HANNO COLLABORATO Alessandro Baronciani Roberta Ettori Gianluca Lo Guasto STAMPA Press Up s.r.l. Via La Spezia, 118/C 00055 Ladispoli (RM) Distribuzione Pubblimediagroup di Luca Papi Finito di stampare nel mese di Agosto 2013
La CaRTa STaMPaTa deL NUOVO CiNeMa iTaLiaNO luglio agosto settembre
Numero
2013
3
SPECIALE VENEZIA
giovaNi leoNi crescoNo
La storia del festival attraverso i suoi più geniali esordienti
OPERA PRIMA
Neorealismo magico
“Il sud è niente”, se è una ragazza ad abbattere i luoghi comuni
ICONE
o ciNema o morte!
Il giuramento dei fratelli Taviani, ragazzi per sempre, a Pisa a Berlino
voglio storie straNe, moNDi Diversi,
sogNi eugeNio FraNceschiNi
Il nuovo rIbelle del cInema ItalIano
IN COPERTINA Eugenio Franceschini
4 6 14 OPERA 10 PRIMA 18 24 32 36 40 28 ICONE Fratelli Taviani 44 Nessun compromesso, cinema o morte 36 50 53 54 Ho ucciso García Márquez
Fabio Mollo ci racconta il suo film sulla Calabria di oggi
EDITORIALE ESSERCI
COVER STORY
Eugenio Franceschini La fantasia al potere
SPECIALE VENEZIA 70 IL RUGGITO DEI GIOVANI LEONI
DOSSIER
Professione: attore Rising stars
SPECIALE
Nuevo cine Il cinema argentino indipendente
DODICI
Valerio Groppa Tenendo a fuoco l’obiettivo
NUOVA DISTRIBUZIONE
On demand: chiedi e ti sarà dato
EFFETTI SPECIALI
I mostri abitano nella rete
MESTIERI
Kimerafilm Produttori under 40
MAKING OF Sul set de La diva
graphic noveL Lynn Shaw Histoires du cinéma
DIARIO
GLI EVENTI DI FABRIQUE DA NON PERDERE
COME E DOVE
LUOGHI DOVE È REPERIBILE «FABRIQUE»
Esserci EDITORIALE
di Ilaria Ravarino foto Roberta Krasnig
Essere o non essere (a un festival), questo è il problema.
Spesso si sente dire, da chi il cinema lo fa da anni, che i festival italiani sono un calvario necessario. Un palcoscenico sul Golgota dove esserci per forza, anche a costo di andare incontro al fallimento, al fischio, all’umiliazione. Esserci per dimostrare di esserci ancora. Più spesso si sente dire, da chi al cinema si affaccia adesso, che i festival italiani sono sordi ai giovani talenti. Una vetrina riservata a pochi, impossibile da raggiungere sotto ai trent’anni. Teste bianche in prima fila, ai ragazzi la galleria. Esserci per dimostrare di esserci. Eppure i festival, come vi racconta Fabrique in questo numero, sono stati qualcosa di diverso. E possono esserlo ancora. Ci piace dirvelo con l’esempio di autori come i fratelli Taviani, Icone del mese, maestri che continuano a trionfare ai festival perché non inseguono il proprio ego ma le storie, la poesia, l’arte. Esserci, per loro, significa una cosa semplice: avere qualcosa da dire. Insieme ai Taviani vi raccontiamo anche questa volta tre giovani talenti, Fabio Mollo, Valerio Groppa e Eugenio Franceschini. Due registi e un attore che non rimarranno in galleria a lungo, perché i giovani leoni hanno voglia di ruggire. Hanno voglia di esserci per raccontare storie. Le loro. Essere o non essere (in sala), anche questo è un problema. Perché il cinema non è più nuovo e non è più un paradiso, e là fuori c’è tutto un mondo da esplorare. Fuori dalla retorica della sala come luogo d’elezione dell’esperienza cinematografica, fuori dal circolo vizioso della distribuzione classica, fuori dagli schemi, fuori dal passato, fuori da tutto ciò che è scontato. Fuori dai luoghi comuni, soprattutto. Fuori dall’odioso scarto tra chi è dentro (la sala) e chi è fuori. Video On Demand. Film in download. Film in streaming. Serie per il web, come quella che vi raccontiamo nella rubrica sugli effetti speciali. Il cinema si rinnova, la rete è la nuova frontiera e nella prima puntata del nostro dossier sulla distribuzione sfoglierete per primi la mappa della terra su cui si muovono, e si muoveranno, gli autori di domani. Fabrique non ha dubbi amletici.
Avere o non avere qualcosa di nuovo da dire: questo è il problema.
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- Cover story -
EUGENIO FRANCESCHINI
La fantasia
AL POTERE Figlio di artisti di strada, in viaggio da sempre, è entrato nel cinema con il suo fisico da saltimbanco e la fantasia da giullare. E Fabrique ha scelto di guardarlo attraverso la maschera che ha portato per anni, quella di Arlecchino. Fantasioso, energico, scaltro come lui. E capace di giocare con tutto. Demoni inclusi. di Ilaria Ravarino foto Roberta Krasnig
Stylist Stefania Sciortino Hairstyle Adriano Cocciarelli@Harumi Make-up Francesca Mazzi@Harumi Clothes Levi’s Scarpe Onitsuka Tiger 6
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«Il mio film preferito di sempre? The blues brothers. Prima adoravo le commedie, adesso i drammi. Ho amato Bronson e Drive; in questo momento ho una fissa per Ryan Gosling».
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a ventuno anni e già gli hanno appiccicato l’etichetta del ribelle, dell’anticonformista. Chissà quante zone d’ombra in un ragazzo cresciuto zingaro tra le tournée dei suoi e i palchi improvvisati nelle piazze. Chissà quali segreti in questo figlio di un’arte minore, cresciuto a pane e strada, scoperto da Giacomo Campiotti in Bianca come il latte, rossa come il sangue e subito adottato da Sergio Castellitto per Una famiglia perfetta. Ma Eugenio Franceschini è un oggetto strano. Che non si lascia etichettare. Al cinema l’abbiamo visto prima skinhead e poi ragazzo da reality e in futuro, come racconta a Fabrique, sarà molte altre cose.
Quando hai capito che avresti seguito la strada dei tuoi genitori? I miei facevano un teatro marginale, al di fuori dei grandi circuiti, teatro di strada e del sociale. Quando ho finito le superiori mi sono guardato e mi sono chiesto: cosa sono in grado di fare? Perché credo che si debba essere consapevoli di quel che si sa fare, prima che di quel che si vuole fare. Essendo cresciuto sul palco la risposta è stata facile: recitare. Di quegli anni per strada conservi un ricordo speciale? Ho conosciuto centinaia di persone incredibili. La scorsa settimana mi è arrivato via posta il libro di un attore spagnolo, il cui nome mi era completamente sconosciuto. Poi ho scoperto che quell’attore, quando avevo tre anni, mi fece da padre mentre i miei erano in tournée in Spagna. Però alla fine tu hai scelto il cinema, non il teatro. Mi sarebbe piaciuto continuare sulla strada dei miei, ma è impossibile sopravvivere con il teatro popolare. E allora ho pensato al cinema provando a entrare al Centro Sperimentale. L’esperienza in una scuola ti sta servendo? È fondamentale. Vengo da un teatro fatto di movimenti e potenza fisica, con pochissima introspezione. Quando sono arrivato al Centro ero molto grezzo, ma grazie allo studio sono riuscito a incanalare tutta la mia energia esplosiva e incontrollata. Ora ho due interruttori: quello da Arlecchino e quello da film. Il cinema italiano è vecchio. I giovani faticano a imporsi. Come se ne esce? I dibattiti non mi interessano, il cinema preferisco farlo. Ho conosciuto tanti bravi registi al Centro e se proprio dovessi individuare un punto debole nel nostro cinema direi che manca la fantasia. Non so se dipen-
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de dal background in cui sono cresciuto, ma il cinema italiano mi pare troppo attaccato alla realtà. Perché i registi non hanno voglia di inventare anche cose che non sono per forza vere? Non hanno il desiderio di raccontare anche storie strane, mondi diversi, sogni, qualcosa che vada fuori dal pur importantissimo fatto politico e sociale? La realtà, dopo un po’, è noiosa. Ti dipingono come un ribelle. Hai mai fatto qualcosa di rivoluzionario? Ho fatto politica, fuori dagli schemi e dai partiti, ma ancora niente di rivoluzionario. Vedo quello che hanno fatto nella loro vita mio padre e il mio nonno ferroviere, e penso di non essere ancora all’altezza. Sono stato solo fortunato, non ho rischiato molto. L’unica cosa che ho fatto è stata venire a Roma con due soldi in tasca per lanciarmi in un mondo nuovo, quello del cinema. Come ti immagini fra dieci anni? Come il protagonista de Il lupo della steppa di Hermann Hesse. Quali sono i tuoi prossimi progetti? Ho appena finito tre film: La luna su Torino di Davide Ferrario, Maldamore di Angelo Longoni e Sapore di te dei fratelli Vanzina, il remake del Sapore di mare anni Ottanta. Aprirò in autunno la stagione teatrale dell’Eliseo, a Roma, con Prima del silenzio di Giuseppe Patroni Griffi, insieme a Leo Gullotta. Saremo in tournée fino a marzo e sono molto soddisfatto. Prima di me quel ruolo è stato portato in scena solo da Bentivoglio. Un bel salto, dai Vanzina a Patroni Griffi. Bisogna far tutto, come i macellai: se sei bravo impari a tagliare ogni cosa, la coda come il filetto.
Federico Fellini e Broderick Crawford sul set de “Il bidone� .
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- Speciale Venezia 70 -
IL RUGGITO DEI GIOVANI LEONI È IL LUOGO DOVE OGNI ANNO, SE SI FA CINEMA, BISOGNA ESSERCI. È QUI CHE IN SETTANTA ANNI DI STORIA HANNO DEBUTTATO REGISTI E ATTORI CHE HANNO FATTO LA STORIA DELL’IMMAGINARIO ITALIANO. DA QUI, FABRIQUE NE È CERTA, I NUOVI GIOVANI LEONI METTERANNO ANCORA LE ALI. di ILARIA RAVARINO foto concessione dell’archivio fotografico di Morando Morandini
Da sinistra, Bellocchio e Michel Piccoli dal film “Salto nel vuoto”, Monicelli e Giovanna Ralli sul set di “Un eroe dei nostri tempi”, Claudia Cardinale a Venezia.
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Elsa Martinelli dal film “Pelle viva” di Giuseppe Fina.
M
ostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, anno 1958. Mentre i paparazzi danno la caccia alla diva Brigitte Bardot e all’acerba Sophia Loren, a 24 anni favorita per la Coppa Volpi, un ragazzo si aggira per le calli in cerca della sala dove stanno proiettando il suo corto documentario, Venezia città moderna. Ha 27 anni, i capelli corti e scuri, gli occhiali con la montatura spessa. Il suo nome è Ermanno Olmi ed è un giovane leone che a Venezia tornerà ancora: premio della critica a trent’anni con Il posto, sarà Leone d’oro a 57 con La leggenda del santo bevitore e Leone alla carriera, tra lacrime e applausi, mezzo secolo dopo. Il fatto è che, a saperlo ascoltare, il ruggito dei giovani leoni ha sempre contenuto le premesse (e le promesse) del cinema del futuro. Un paio d’anni prima, per esempio, alla Mostra era capitato per la prima volta un certo Federico Fellini. Attore e soggettista de Il miracolo, a 27 anni non aveva ancora deciso cosa fare nella vita. Quattro anni dopo, però, sarebbe tornato al Lido. Da regista. Prima con Lo sceicco bianco e cinque anni più tardi con I vitelloni, vincendo il primo Leone d’argento della sua lunga carriera. Qualcuno quell’anno seppe ascoltare il suo ruggito. Altri lo fischiarono: «Il pubblico del Lido non è rimasto soddisfatto di questa conclusione – riporta la cronaca di Giancarlo Fusco su “L’Europeo” a proposito di quel secondo premio – La serata di venerdì, quando dal palcoscenico furono proclamati i risultati del festival, si sentirono più fischi che applausi. Possiamo dargli torto?». A scorrere gli archivi della Mostra di Venezia pare che dal 1932 a oggi l’età migliore, per ruggire, sia sempre stata la stessa. Sopra ai diciotto e sotto ai quarant’anni. Un dato anagrafico naturale soprattutto per gli attori, che la Mostra ha voluto giovani fin dall’inizio, quando a soli quattro anni di vita impazziva per un idolo 29enne, Amedeo Nazzari. E se nel corso del tempo il festival ha battezzato Lucia Bosè a 25 anni, premiato Sophia Loren a 24 e Valeria Golino a 20, Claudia Cardinale, che per questa edizione è la madrina di Venezia Classici, al Lido arrivò per la prima volta a 18 anni, stregando la passerella della Mostra 1957. Un anno prima era toccato a Elsa Martinelli, 21 anni, «figlia di un ferroviere, ex sartina, ex commessa di bar – malignava Oriana Fallaci –, la sua notorietà nasce dal fatto di es-
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sere una perfetta mannequin e di coltivare un flirt con Walter Chiari, ma ora i produttori se la contendono a forza di milioni e i fotoreporter le dedicano a Venezia tanto tempo quanto ne spendono con la Lollobrigida». Il ruggito dei giovani registi, invece, ha sempre fatto meno clamore. E forse per questo motivo il dato anagrafico tende a essere dimenticato. Eppure quando Marco Bellocchio vinse il Leone d’Argento nel 1967, con La Cina è vicina, aveva solo 28 anni. Bernardo Bertolucci, con La commare secca, a Venezia ci arrivò a 22. Michelangelo Antonioni ne aveva 34 quando nel 1947 portò il suo corto d’esordio Gente del Po al Lido, mentre Francesco Rosi, con La sfida, si aggiudicò nel 1958 il Leone d’argento a 36 anni: superati di poco i 40 si sarebbe preso anche il Leone d’oro, con Le mani sulla città. Il ’68, poi, fu l’anno dei giovani: di Liliana Cavani, che 35enne partecipò per la prima volta alla Mostra e di Citto Maselli, che finì col rovinarsi un ginocchio durante gli scontri con la polizia al Lido. Di anni ne aveva 38 ed era tra i più anziani nella sommossa. Ci sono poi i leoncini che hanno scelto di ruggire altrove, tornando a Venezia con la criniera folta. Gillo Pontecorvo, per esempio, che vinse nel 1966 il Leone d’oro con La Battaglia di Algeri: aveva 45 anni, ma il primo lungometraggio (La grande strada azzurra) l’aveva girato dieci anni prima vincendo al Festival internazionale del cinema di Karlovy Vary. Con il secondo, Kapò, era stato nominato all’Oscar. A 36 anni. E Mario Monicelli, che Venezia fece re (leone) tardivamente, a 45 anni con La Grande Guerra, a 19 anni era già passato al Lido: in una sezione per film a passo ridotto, con il lungo I ragazzi della via Paal, che non a caso vinse il primo premio. Volendo andare avanti nel tempo, più vicini al nostro millennio, i giovani leoni non sono mancati. Trentenni di talento che hanno spiccato il volo dal trampolino della Mostra, partendo spesso dal secondo posto (l’oro alla maturità, l’argento alla promessa), come il 28enne Nanni Moretti di Sogni d’oro nel 1981, il 33enne Mario Martone con Morte di un matematico napoletano nel 1993, il 38enne Carlo Mazzacurati de Il toro nel 1994. E Paolo Virzì, ultimo dei piccoli grandi leoni, con Ovosodo a 33. Era il 1997. Da allora, di giovani, s’è parlato sempre meno. Eppure i leoncini continuano a farsi sentire, anche in questa edizione della Mostra. Per ascoltarne il ruggito basta tendere l’orecchio. Oltre il rumore.
Promotion
ROMEUR ACADEMY Dove il talento diventa professione
La Romeur Academy è un’accademia di alta formazione, unica riconosciuta da Regione Lazio e Provincia di Roma a rilasciare UN diploma di II livello in Filmmaking. Il diploma che si riceve è valido in tutta Europa, per concorsi pubblici e per insegnamento.
R
omeur Academy – European Academy of Rome, è la nuova realtà formativa fucina di giovani talenti. Nata nel 2004, Romeur Academy è specializzata nella formazione di professionisti nell’ambito delle arti visive. Riconosciuta dalla Regione Lazio e Provincia di Roma, offre corsi di un anno accademico rilascianti diplomi di I e II livello, riconosciuti in tutta Europa. Ai corsi già attivi, Fotoreporter, Graphic Communication, Filmaker e Make Up, si aggiungeranno presto corsi regionali in Nail e Tattoo. Infatti, grazie al successo ottenuto e le partnership strette con diverse realtà leader, alla sede storica in via Cristoforo Colombo verrà affiancata una nuova sede nel quartiere Prati di Roma. Le collaborazioni nate nell’anno 2013, hanno portato la Romeur Academy a imporsi come una delle più importanti Accademie di formazione in Italia, garantendo agli iscritti non solo percorsi didattici all’avanguardia in termini di insegnamento e supporti tecnici, ma anche tantissime possibilità di stage e lavoro sul campo. Collaborano con Romeur Academy: Women & Bride, Fabrique Du Cinéma, Cinetica Video, Isola Del Cinema di Roma, Roma Web Fest,
Mac Cosmetics, GR Management, AltaRoma, Accademia di Moda e Costume. Sempre nell’anno 2013, Romeur Academy partecipa all’ideazione di un nuovo progetto editoriale, da cui ha preso il nome l’evento “Rome Next To Fashion”, tenutosi il 10 luglio scorso al Caffè Veneto di Roma. Sempre a luglio 2013, chiude un contratto triennale con Miss Italia. Da sempre, punto di forza dell’Accademia è l’aspetto essenzialmente pratico dei corsi proposti. Rilasciando non semplici diplomi ma “abilitazioni alla professione”, era necessario e doveroso improntare i percorsi didattici sulla base delle realtà lavorative con le quali effettivamente avranno a che fare una volta diplomati i ragazzi. Ciascun corso offre molteplici occasioni di stage, interne ed esterne all’azienda, che permettono agli allievi di testare tutte le capacità acquisite durante il corso. L’esempio che vogliamo portarvi oggi, data la splendida collaborazione attiva fra Romeur Academy e Isola del Cinema di Roma, riguarda la varietà di occasioni offerte dai docenti del corso di Filmaker agli allievi dell’Accademia. Negli otto mesi effettivi di didattica, la classe di quest’anno accademico 2012 – 2013,
con il docente di postproduzione Alessandro Visciano (Responsabile Cinetica Video) ha potuto: visitare i reparti mix audio, color correction, effetti speciali, post produzione video della Cinetica Video Service; partecipare ad un set, località Ciampino, per vedere come si realizzano gli effetti speciali; collaborare al mixaggio audio del film “Notte agli Studios”; avvalersi del prezioso contributo di Luca Ward e Arnaldo Capocchia per la realizzazione dei cortometraggi di fine anno. Sempre grazie ad Alessandro Visciano, i ragazzi, ormai diplomati, stanno seguendo la Cinetica Video nella realizzazione di due produzioni televisive per Babel Tv: un nuovo format dedicato al mondo del make up, provvisoriamente intitolato “Make Up: il Trucco del Successo” e “Face Up”, un game show incentrato sulla fotografia professionale. Inoltre a settembre saranno impegnati nel set del nuovo lungometraggio per la regia di Tony Paganelli “Linea di sangue”. Nel cartellone dell’Isola del Cinema di Roma, per il grande valore dei cortometraggi prodotti dalla classe Filmaker 2012-2013, è stata inserita la proiezione dei ben 5 cortometraggi realizzati dagli studenti. Buona visione.
www.romeuracademy.it
Direttore Didattico e Artistico: Paolo Secondino - Via Cristoforo Colombo, 573 - Roma - numero verde 800 910 410 - info@romeuracademy.it 13
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- Opera prima -
Fabio Mollo
HO UCCISO GARCÍA MÁRQUEZ
Neoralismo magico: è la definizione un po’ autoironica che Fabio Mollo, 33enne calabrese, ha coniato per il suo primo lungometraggio, Il sud è niente (selezionato al Toronto International Film Festival), in omaggio al maestro che ha incontrato e “ucciso” e alle radici del cinema italiano. di Elena Mazzocchi foto Paolo Palmieri
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Uno strano pomeriggio di pioggia estiva sui tetti del Pigneto, a casa di Fabio, che ha le valigie pronte per volare a New York, dove seguirà una master class alla New York Film Academy; uno dei tanti premi ricevuti nei festival di tutto il mondo dal corto "I giganti". Partiamo da qui. Il sud è niente nasce come sviluppo del tuo primo fortunato corto: chi sono i giganti? In tutto il Mediterraneo c’è la tradizione dei giganti di cartapesta, che appaiono anche in una scena clou del film. Volevo innanzitutto raccontare questa usanza, ma soprattutto era l’immagine adatta per parlare della ’ndrangheta nella sua forma secondo me più spietata, quella dell’invisibilità, del silenzio. Non quando spara e uccide, ma quando si nasconde a tal punto da far credere che non esiste. I giganti sono la metafora del potere che ci muove a prescindere dalla nostra volontà. Ed è anche l’elemento più autobiografico del film: io sono cresciuto nel quartiere Gebbione, una sorta di Scampia di Reggio, e come i miei coetanei non riuscivo ad afferrare la ’ndrangheta: c’erano solo regole, luoghi e persone che avvertivamo come parte del dna mafioso e anche del nostro dna, seppure in maniera inconsapevole. I giganti sono così grandi che è impossibile non vederli, nonostante ciò restano “invisibili”. Un esempio di questa mentalità? A Reggio il film non è mai stato proiettato.
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Il lungometraggio riprende alcuni spunti dei Giganti: in particolare la figura affascinante della ragazza/ragazzo, l’androgino. Che cosa rappresenta per te? Il tema che più sentivo l’urgenza di riprendere e ampliare è quello del cambiamento: e Grazia, l’androgina protagonista, ne è l’immagine. Se I giganti voleva raccontare la realtà, Il sud vuole essere un messaggio di cambiamento. Grazia parte da una staticità fisica ed emotiva “maschile” per evolversi e incontrare sempre più la sua femminilità. Ed è un tema che si lega anche a un discorso generazionale. La nostra generazione, e ancor più quella successiva, è ormai così arrabbiata e desiderosa di rinnovamento che potrebbe finalmente recidere il legame con la vecchia. Trovo particolarmente significativo che nel Sud sia proprio una donna a portare avanti il cambiamento. E poi io amo i personaggi femminili, capaci di raccontare meglio le sfumature psicologiche. Grazia mi ha permesso di cercare insieme a lei la sua femminilità.
In alto, un momento de I giganti (ph Gianfranco Ferraro); al centro e in basso Il sud è niente (ph Mauro Santoro).
Il titolo è quindi una provocazione… Assolutamente sì. Per decenni ci hanno fatto credere che il Sud non valeva nulla, che era solo un luogo da cui fuggire, ma forse adesso i giovani pensano che invece valga la pena restare e lottare. Io sono uno di quelli che se n’è andato a 18 anni a studiare in Inghilterra, i miei primi lavori parlavano di tutt’altro. Ma quando sono tornato ho deciso di affrontare tutti i miei fantasmi. Fabio ci racconta, sorridendo un po’ amaro, la complessa storia produttiva del film, la cui idea risale al 2008. La prima a crederci è stata Jeanne Moreau, con i suoi Ateliers d’Angers, poi la sceneggiatura è stata selezionata dal TorinoFilmLab, a Berlino e all’Atelier di Cannes. Un giovane produttore francese, Jean-Denis le Dinahet, aveva detto subito sì, la strada sembrava spianata. Ma c’era la necessità di una coproduzione italiana e nessun italiano voleva entrare. «Ero a Cannes – ricorda Fabio – e mi sfilavano davanti produttori di tutti i paesi, tranne che dell’Italia. Non capivamo dove stavamo sbagliando, forse eravamo troppo giovani, il progetto poco commerciale, il momento storico particolarmente sfavorevole». Quando ormai il progetto pareva destinato a naufragare, la decisione: fare un film a bassissimo budget, con un ulteriore piccolo finanziamento del Ministero francese. Il che ha finalmente costretto anche quello italiano a entrare nella produzione, insieme alla Film Commission Calabria e alla Rai che ha comprato i diritti tv. «In proporzione il film è costato meno del corto. I mezzi erano limitatissimi: sul set non avevamo i camper, le radio, il monitor, luci sufficienti a illuminare due stanze contemporaneamente. Ognuno di noi ha lavorato a una paga ridicola, ci siamo resi conto il primo giorno sul set che tutto il precedente lavoro di preparazione (storyboard ecc.) dovevamo buttarlo: non c’era tempo sufficiente, con una media di minimo quattro scene al giorno da girare». Anche Valentina Lodovini e Vinicio Marchioni, che hanno un piccolo ruolo, sono venuti per amicizia e perché credevano nel progetto. Il film è costruito sull’interpretazione dell’attrice protagonista: un’esordiente assoluta, Miriam Karlkvist. Che ha dato moltissimo al film, nonostante le costanti difficoltà economiche e logistiche. Lei è un’esponente della nuova generazione che secondo me potrà cambiare le cose. Fin da subito aveva sul set un atteggiamento alla pari con me e con Vinicio Marchioni, senza riverenza, anzi, quasi strafottente. Mi ha messo alla prova e allo stesso tempo ha dovuto fidarsi di me. Ha fatto al film il grande regalo di concedersi completamente, era una continua proposta, un continuo stimolo. Ha un istinto incredibile. Che tipo di regista vorresti essere? Proviamo ad arrivarci con un’altra domanda: quale film altrui ti sarebbe piaciuto girare? Sicuramente fra gli ultimi Sister di Ursula Meier, con un personaggio femminile bellissimo che cambia a ogni scena. E tutti i film di Michael Winterbottom: ammiro la sua versatilità, il fatto che non sia troppo “autore”, di quei registi cioè con una cifra stilistica e tematica sempre uguale. Anche a me piacerebbe sperimentarmi nei prossimi film con storie e generi diversi fra loro. Anche a costo di non essere poi riconoscibile? Sappiamo che uno dei tuoi maestri è Gabriel García Márquez, che al contrario ha uno stile inconfondibile. È vero, ma ho avuto la fortuna di lavorarci assieme, al festival dell’Havana, e in quell’occasione l’ho ucciso… Naturalmente in senso metaforico, ho ucciso il padre che lui rappresentava per me da un punto di vista creativo. Abbiamo adattato un suo racconto per un lungometraggio che avrebbe dovuto essere una coproduzione italo-cubana, ma poi i due paesi non si sono messi d’accordo e lo script giace ancora lì in un cassetto. In ogni caso, ora penso di essere pronto per altre cose. Ho capito allora che l’autore può essere molto ingombrante per la storia, invece io preferisco le storie che parlano da sé.
A quale progetto stai lavorando? Sto pensando a due film: uno di genere, una sorta di thriller drammatico, che abbia a che fare con le ombre e il soprannaturale, un po’ alla Night Shyamalan. L’altro, invece, ha un tratto molto realistico e vorrebbe raccontare il nostro tempo, fotografare il disorientamento di una generazione che per la prima volta da quasi un secolo sta peggio di quella precedente. Le ultime gocce di pioggia rigano i vetri. Ma, prima di salutarci, Fabio ci affida una conclusione graffiante: «Io credo nel cinema italiano. Ci credo così tanto che sono arrabbiato con questo cinema italiano: quando vedo le difficoltà che incontrano tanti giovani talenti che conosco bene, mi persuado che è la generazione precedente a farci ostruzionismo, a difendere il suo orticello fatto di film tutti uguali, prevedibili, con i soliti attori giusti, le solite storie borghesi autocelebrative. Se qualcuno di noi entrasse nel giro, qualcuno di loro dovrebbe uscire: ed è evidente che vi si oppongono con tutte le forze».
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- Dossier -
Fabrique ha deciso di presentare ai suoi lettori i giovani attori di talento che faranno il cinema di domani
Professione:
attore
Sono preparati, intelligenti e umili. Visi puliti, espressivi, ma caratteri forti, pronti a lottare per il proprio futuro e a scalciare via ciò che è vecchio e superato. Si sono guadagnati il nostro sguardo e si meritano il vostro giudizio. Ecco a voi in rigoroso ordine alfabetico:
Alan Cappelli Eugenio Franceschini Gabriele Rendina Maria Roveran Greta Scarano Gaia Scodellaro 18
ALL CLOTHES BY LEVI’S GIOIELLI ONE OFF SCARPE EUGENIO FRANCESCHINI ONITSUKA TIGER a cura di Tommaso Agnese, SONIA SERAFINI foto Roberta Krasnig stylist&fashion consultant Stefania Sciortino hairstyle Adriano Cocciarelli @Harumi make up Francesca Mazzi @Harumi
«Comprendere il pieno significato della vita è il dovere dell’attore, interpretarlo è il suo problema, ed esprimerlo è la sua passione». Marlon Brando
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«C
omprendere il pieno significato della vita è il dovere dell’attore, interpretarlo è il suo problema, ed esprimerlo è la sua passione». Con queste parole Marlon Brando sintetizzava il mestiere dell’attore, diventando egli stesso, con la sua strepitosa carriera, simbolo artistico delle generazioni a venire. Questa citazione non è altro che un messaggio e un auspicio a tutti quei giovani che nella recitazione vedono il proprio futuro. Conoscenza della realtà, profondità d’interpretazione e capacità di esprimersi sono gli elementi necessari in questa professione che sempre di più sta perdendo, nel nostro paese, i fasti e la sontuosa qualità di cui un tempo godeva. Se accendiamo la televisione o facciamo un giro in rete, siamo sommersi da tante facce più o meno espressive. Chiunque sembra poter diventare attore in Italia; a volte basta es-
sere di bella presenza oppure semplicemente essere capitati nel posto giusto al momento giusto. Per questo motivo spesso la recitazione non è considerata un vero lavoro, ma un semplice passatempo per chi non ha altro da fare. È così che si perde il significato e la storia millenaria di questo mestiere, e ci si dimentica che dietro un bel viso e un bel corpo ci deve essere altro: un talento e uno studio che ne sostengano le capacità artistiche. In giro ci sono sempre più attori in grado solo d’interpretare se stessi e non di spaziare nella caratterizzazione di un personaggio, di dimostrare quanto una persona capace possa arrivare lontano da sé, dal proprio modo di essere. Uno dei problemi più grandi che affligge questo settore è il sovraffollamento, insieme alla mancanza di una vera selezione, a causa di un sistema che non funziona correttamente (scuole, casting, agenzie, produzioni). Gli attori cinematografici bravi e famosi si possono
Gli attori cinematografici bravi e famosi si possono contare sulle dita di una mano, i soliti noti, ma dietro di loro c’è un mondo che scalpita senza griglie di partenza, con un’unica linea da cui tutti sono chiamati a correre calpestandosi i piedi. di Tommaso Agnese contare sulle dita di una mano, i soliti noti, ma dietro di loro c’è un mondo che scalpita senza griglie di partenza, con un’unica linea da cui tutti sono chiamati a correre calpestandosi i piedi. Curriculum e percorso personale non contano. Agenzie e casting hanno un potere enorme che spesso non permette la scoperta e la promozione di nuovi talenti, attori di grande qualità che nascono nei teatri dimenticati, che non fanno una vita abbastanza mondana da entrare nel giro giusto o che non sono passati per quei pochi programmi televisivi dai quali si pretende di far uscire il futuro del cinema italiano. A ciò si aggiunge anche il numero esagerato di scuole di recitazione, molte dall’indubbio valore e dai costi stratosferici, che promettono il talento anche dove non c’è. Il mestiere dell’attore però non è tutto questo, ed emergere da un contesto simile risulta sempre più difficile. Le scuole di recitazione,
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le agenzie e i casting director dovrebbero stare invece nei luoghi dove nascono le giovani promesse, vicino ai teatri off, alle università, ma anche alle scuole superiori. Ci si dimentica che la professione dell’attore è come quella di uno sportivo: per ottenere il massimo ci vuole un allenamento costante e un buon allenatore. Non basta dire due battute, serve un metodo, che sia quello di Stanislavskij, quello di Meisner ecc. che permetta di avere una base di elementi a cui attingere, che fornisca la direzione per una corretta e indispensabile concentrazione e che insegni come stare in scena e come aiutare con la propria recitazione la riuscita di una pièce o un film. Solo all’interno di questa cornice il talento può avere una continuità e l’attore affrontare sfide sempre più grandi: è qui che la recitazione diventa davvero un mestiere, quando la caratterizzazione di un personaggio è il frutto di un lavoro faticoso sia mentale che fisico.
Alan Cappelli
Alan Cappelli ha 26 anni ed è nato ad Anversa. Ha scoperto la recitazione al liceo, e ha deciso di studiarla al Centro Sperimentale di Cinematografia. L’abbiamo visto muovere i primi passi nella pubblicità della Tim diretta da Gabriele Muccino, passare alla fiction di successo Tutti pazzi per amore e poi esplodere al cinema con Il principe abusivo di Alessandro Siani. Crede che la crisi del cinema italiano si possa combattere con il fare, anche con piccoli lavori da mettere in rete: l’importante è che poi qualcuno “in alto” si ricordi di rovistare nel web alla ricerca dei nuovi talenti…
Eugenio Franceschini
21 anni, nomade da sempre al seguito dei genitori artisti di teatro, debutta al cinema con Bianca come il latte, rossa come il sangue di Giacomo Campiotti, e si fa notare nel cast all star di Una famiglia perfetta di Paolo Genovese, a fianco di Claudia Gerini e Sergio Castellitto. Per i media è un ribelle e un anticonformista, lui smentisce, ma non rinuncia a provocare: dichiara che il cinema italiano è «troppo attaccato alla realtà, che dopo un po’ è noiosa». Noi di Fabrique crediamo nel suo talento: leggete la sua intervista per Cover story.
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Gabriele Rendina
Gabriele Rendina ha 23 anni ed è nato a Roma. È un compositore di musica contemporanea, diplomando al conservatorio di Santa Cecilia; tre anni fa si è avvicinato al cinema e l’incontro con Gianni Amelio, che lo ha scelto per il suo L’intrepido, lo ha portato sul grande schermo. Secondo Gabriele il problema del cinema italiano è proprio nella mancanza di giovani al suo interno. Il futuro? Oltre al cinema, scrivere e comporre musica, sfruttandola come mezzo di comunicazione. Come il suo ultimo lavoro: un’arpa gigante di 110 cavi montata sopra Ponte Garibaldi, tenuti in tensione dalla corrente che li faceva suonare.
Maria Roveran
Maria Roveran ha 24 anni ed è nata a Venezia. Si avvicina al mondo della recitazione attraverso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, che ha terminato da poco. Grazie ad Alessandro Rossetto vive la sua prima esperienza sul set come protagonista di Piccola patria, e gira poi con Claudio Noce La foresta di ghiaccio. Appassionata di musica e di danza, le piace pensare che lo slancio che sente fra i suoi coetanei possa mettere fine alla crisi che stiamo vivendo. Tutta l’energia che sente intorno vorrebbe fosse canalizzata per fare delle cose, senza lamentarsi troppo di ciò che non va.
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Greta Scarano
Greta Scarano, 27enne romana, inizia la sua carriera da piccolissima nei teatri di Trastevere, si trasferisce in America, dove studia teatro, musica, ballo e canto e approda al propedeutico del Centro Sperimentale; ma proprio quando lo studio si fa più intenso arriva la chiamata da Un posto al sole, che le fa vivere sul campo la teoria appresa. Dopo tanta televisione arriva al cinema con Qualche nuvola di Saverio di Biagio, presentato al Festival di Venezia nel 2011. Prossimamente sarà nel cast della nuova Squadra antimafia, e sul grande schermo nell’opera prima di Michele Alhaique Senza pietà.
Gaia Scodellaro
Gaia Scodellaro, 28 anni, di Napoli, si è formata a New York, dove ha studiato per dieci anni, in particolare il metodo Stanislavskij. Tornata in Italia nel 2005, ha partecipato alla web series di Ivan Silvestrini The chronicles of David Rea, e ha preso parte all’ultimo film del regista, Come non detto. Le piacciono il fermento e la voglia dei giovani, le cose che hanno da dire registi, attori, sceneggiatori. È convinta che tutti i suoi colleghi stiano dando il massimo per ritagliarsi un posticino all’interno del difficile mondo del cinema.
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NUEVO CINE ARGENTINO I film e i registi da tenere d’occhio passati al BAFICI, il più importante festival di cinema indipendente del Cono Sur.
di Roberta Ettori *
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uest’anno si festeggia il 15° compleanno del BAFICI (Buenos Aires Festival Internacional de Cine Independiente), proprio mentre ci troviamo a Buenos Aires per investigare sulla Nueva Ola del cinema argentino che inizia ufficialmente nel 1998 con Pizza, birra, faso (Caetano e Stagnaro). Riflettendo sulle date, è inevitabile notare la simultaneità degli eventi. È proprio in quegli anni che il cinema argentino cominciò a rinnegare la funzione pedagogica che aveva corteggiato dopo il ritorno della democrazia nel 1983. Nel 1995, con la raccolta di corti Historias breves, iniziarono a diffondersi nuovi approcci cinematografici sempre più inclini alla sperimentazione, con opere realizzate da studenti di cinema che sarebbero diventati poi le voci guida del NCA (Nuevo Cine Argentino): Adrian Caetano, Bruno Stagnaro, Sandra Gugliotta, Jorge Gaggero, Tristan Gicovate, Pablo Ramos, Daniel Burman, Lucrecia Martel, Ulises Rosell e Andrés Tambornino. Successi di pubblico e critica che crearono fidelizzazione soprattutto nel pubblico più giovane, che vedeva in questo nuovo modo di fare cinema il seme di un cambiamento generazionale. I “nuovi” cineasti degli anni Novanta non sono riuniti da un vero e proprio manifesto, ma piuttosto dal rifiuto a raccogliere l’eredità di temi, stili e tendenze allora in uso. È un rifiuto degli stereotipi di un cinema basato sulla parola, sulla spiegazione e/o sulla metafora, un distanziamento dal realismo magico, dal costumbrismo (folclore) e dal cinema di denuncia sociale pri-
vo di un’estetica propria. Da un punto di vista narrativo, i nuovi cineasti abbandonano il messaggio morale come presupposto creativo. Al contrario, l’incertezza e l’instabilità tipica della società postmoderna invadono i personaggi, che si ritrovano a vagare in cerca di identità perdute o semplicemente dimenticate, o solo per il gusto di farlo. La messa in scena risente di questa prospettiva di rottura: gli attori, spesso non professionisti, non incarnano più un ruolo, ma si presentano così come sono, dubbiosi e stanchi di far parte
di schemi lontani e sbiaditi. I registi che fanno parte di questa “scuola” sono difficilmente classificabili. Ciò che li lega in maniera più evidente è la necessità di lavorare sulla questione estetica, alla ricerca di uno stile proprio e ben riconoscibile. C’è chi si dedica allo smascheramento dei condizionamenti sociali che si nascondono dietro alla quotidianità, dando rilievo a un linguaggio corporale, a una sinergia quasi viscerale tra l’uomo e i suoi ambienti; ne sono un chiaro esempio i lavori di Lucrecia Martel, La ciénaga (miglior opera prima alla Berlinale nel 2001) e La niña santa (2004). Un altro approccio è di tipo realistico, d’impronta documentaristica, come quello di Pablo Trapero in Mondo grua (1999) e El bonarense (2001). C’è chi invece, partendo da un’idea di frammentarietà esistenziale, riproduce la ricerca dell’identità attraverso la macchina da presa, trasportando lo spettatore in un microcosmo fatto di personalità strappate e ricomposte in ordine sempre diverso, a volte bizzarro e a volte drammatico - vedi Daniel Burman in L’abbraccio perduto (2004).
*Bresciana, 27 anni, già laureata in Lingue e Culture Moderne con una tesi antropologica sui sistemi educativi comunitari in Brasile, è ora laureanda in Cinema e Produzione Multimediale (Università di Bologna) occupandosi in particolare del rapporto tra cinema e studi culturali. Attualmente vive a Buenos Aires.
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PILLOLE DI BAFICI
Breve panoramica sui lavori più interessanti visti al festival. In attesa di trovarli in sala, cercatene degli assaggi su YouTube.
ACÁ ADENTRO
Argentina/ 2013/ 68’/ Mateo Bendesky «Qui dentro» allude alla mente di David, un giovane indeciso e nevrotico. Il film si snoda come un monologo interiore bizzarro, irrefrenabile ed esilarante sulla vita piatta e noiosa di un giovane porteño e sui suoi perché senza risposta. Acá adentro è l’opera prima del giovanissimo Mateo Bendesky (Buenos Aires, 1989), che sorprende non solo per l’inusuale trattamento cinematografico (non ci sono quasi dialoghi, sebbene la parola sia il filo conduttore della storia) bensì per l’ironia sprigionata da un personaggio che di per sé non ha nulla di speciale. Impeccabile l’interpretazione di Iair Said, presente al BAFICI anche come regista (9 Vacunas).
EL LORO Y EL CISNE
Argentina/ 2013/ 120’/ Alejo Moguillansky L’opera di Alejo Moguillansky (Miglior film argentino con Castro, BAFICI 2012) si inserisce nella classica definizione di cinema-dentro-il-cinema: racconta non solo la storia di Loro (“pappagallo”), tecnico del suono alle prese con un documentario sulla danza e con relazioni in procinto di chiudersi o aprirsi, ma anche la storia di un processo creativo e della sua essenza di continuo cambiamento e messa in discussione. Finzione e realtà si mescolano e i diversi elementi (la performance, le riprese audiovisive e la vita degli artisti) si fondono, confluendo in un’opera dinamica e imprevedibile, che riesce a mantenere una fresca spensieratezza, pur toccando questioni esistenziali tutt’altro che semplici. Riconoscimenti: Menzione speciale BAFICI 2013
LA PAZ
Argentina/ 2013/ 65’/ Santiago Loza Liso è un giovane di classe medio-alta che nella prima scena del film esce da un ricovero, forse psichiatrico. Questo personaggio borderline vive nella sua vulnerabilità, dividendosi fra una madre che lo soffoca di attenzioni, un padre assente, la domestica boliviana e la nonna, con le quali ha invece un rapporto di grande empatia. Santiago Loza scommette su un cinema austero, a momenti minimalista, per costruire un melodramma intimista, in cui le immagini dei piccoli gesti acquisiscono un valore che la parola spesso ignora. La Paz non indica solo un traguardo, ma piuttosto un’accettazione e una presa di coscienza, sia da parte del protagonista che dello spettatore. Riconoscimenti: Selezione ufficiale Berlinale 2013, Miglior Film Argentino BAFICI 2013
DESHORA
Argentina-Colombia-Norvegia/ 2013/ 102’/ Bárbara Sarasola-Day Bárbara Sarasola-Day (Salta, 1976) presenta nella sua opera prima una coppia con una relazione di lunga data, ormai logora. L’elemento destabilizzante è Joaquin, un giovane cugino della donna, da poco uscito da un trattamento di riabilitazione per problemi di dipendenza. Da subito la presenza del ragazzo scardina le consuetudini. Qualcosa in lui genera uno squilibrio nella vita della coppia, accentuato da un clima di mistero e inquietudine. Il giovane risveglia fantasie, la tensione sale, finché i desideri più insospettabili salgono in superficie. «Il corpo è per me il veicolo narrativo più forte» spiega la regista, e questo viaggio verso la scoperta del desiderio è infatti fortemente fisico. Riconoscimenti: Panorama Berlinale 2013
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VIOLA
Argentina/ 2013/ 65’/ Matías Piñeiro Viola gira per la città consegnando giornali in bicicletta e, tra una consegna e l’altra, finisce per conoscere un gruppo di attori e attrici che stanno provando la Dodicesima notte di Shakespeare; così pian piano entra anche lei a far parte della pièce. Il limite tra la rappresentazione e la vita si fa sempre più vago e, sulla falsariga della commedia shakespeariana, incontri e scontri conducono lo spettatore sempre più verso l’autenticità di Viola e dell’opera messa in scena. Riconoscimenti: Premio FIPRESCI, BAFICI 2013
F O C U S | S E B A S T i Á n S C H j ae r
«NESSUN RISPETTO PER IL REALE» Sebastián Schjaer, classe 1988, regista, montatore e docente. Il suo ultimo cortometraggio, Mañana todas las cosas, è stato selezionato al Festival di Cannes 2013.
Il tuo processo creativo inizia da un’immagine o da un messaggio? Fare cinema ha a che vedere con la possibilità di costruire nuove forme per organizzare il mondo, strutturare lo spazio e il tempo in modo che il reale sia modificato. In questo senso, l’idea che il film debba trasmettere un messaggio è molto lontana dalla mia
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visione. Parto piuttosto da un’immagine o da qualcosa che sento la necessità di esplorare, poi il film costruisce il suo cammino. In qualche modo ha una sua vita indipendente. In cosa lo sguardo attraverso la macchina da presa ha cambiato il tuo sguardo verso la vita? Sento che la misura giusta delle cose appare nel momento in cui le si inquadra, cioè quando si decide cosa mostrare e cosa no. È una relazione dialettica alla quale il cinema non potrà mai sfuggire. Dov’è il limite tra finzione e realtà? Quello che chiamiamo “il reale” è un punto di partenza necessario che però si perde velocemente. È come una massa plasmabile, che bisogna distruggere e alla quale non si deve nessun rispetto. I limiti tra documentario e finzione sono sempre più vaghi nel cinema
contemporaneo, anche se già alcuni registi della Nouvelle Vague facevano cose simili negli anni Sessanta. Per quanto mi riguarda amo impostare la finzione come se fosse una ripresa documentaria, sul modello di cineasti che ammiro molto come Cassavetes e i fratelli Dardenne. La verità di un film non è mai esclusivamente legata al reale in quanto tale, ma alla verità propria del film. Che importanza ha avuto per te arrivare alla regia attraverso una scuola di cinema? Da un lato far parte di una produzione in cui si lavora con lo stesso gruppo di persone spinge a guardare al progetto come un’opera collettiva, in cui tutti sono importanti e parte del processo creativo. Dall’altro dà la possibilità di prendersi dei rischi, di sperimentare, cosa non facile in altri contesti.
Outdoor & Fabrique
percezioni urbane e new media URBAN-FABRIQUE/PROIEZIONI-URBANE, UNA RIUSCITA SINERGIA MEDIATICA PER UN CONTEST DEDICATO AL CONNUBIO TRA LA STREET ART E IL NUOVO CINEMA ITALIANO di Sonia Serafini
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he cos’è Outdoor? è un festival di street art che, giunto alla quarta edizione, è ormai un punto di riferimento per artisti e spettatori di tutto il mondo. Ma, ancor prima, è una forma di pensiero nata da un gruppo di ragazzi che ha deciso di fare street art a Roma, e in particolare nel quartiere Ostiense, con attività culturali pubbliche partecipative e permanenti, innescando un meccanismo di riappropriazione degli spazi sociali di vicinato e facendo rinascere fra la gente un senso di aggregazione e valorizzazione. Grazie agli interventi degli street-artists nel tessuto urbano, gli spazi da semplicemente “comuni” diventano “comunitari”, dando vita a uno scambio culturale pubblico, intergenerazionale, per il quale vivere l’arte diventa un fatto quotidiano e alla portata di tutti. La bellezza e la creatività di
Roma sono così lo sfondo di un nuovo tipo di espressione culturale, dove le barriere fra artista e pubblico vengono abbattute e il dialogo fra essi diventa normalità. Negli anni le iniziative realizzate sono state numerose, partendo appunto dall’Ostiense, dove è visibile l’intervento di 15 artisti susseguitisi nelle varie edizioni della manifestazione. Quest’anno Outdoor estende la propria influenza alla settima arte incontrando Fabrique du Cinéma, partner con cui ha lanciato un contest che avrà luogo nella capitale il 14 settembre e che si articolerà in diversi eventi. Il concept alla base di questa iniziativa è raccontare il presente alle generazioni future, valorizzare i fermenti artistici contemporanei e la loro relazione con la città. Il cortometraggio è il mezzo prescelto. URBAN-FABRIQUE/ Proiezioni-Urbane, questo il titolo, è il primo
concorso nazionale di cortometraggi legato all’ambiente metropolitano e a ciò che lo riguarda. Outdoor e Fabrique ritengono infatti che quando la quotidianità si trasforma in arte il modo migliore per coglierla è lo short film, una delle espressioni audiovisive più efficaci, in grado di rappresentare al meglio le potenzialità dei linguaggi artistici collegati ai nuovi media. I corti dei giovani filmaker partecipanti al contest accenderanno dunque i proiettori sulla cultura urbana, sull’arte di strada e i talenti capaci di raccontarla oggi. In ultima analisi URBANFABRIQUE/Proiezioni-Urbane si propone di trasformare in opera d’arte – attraverso pochi fotogrammi – la quotidianità più comune, con i suoi lati meno noti. I lavori finalisti saranno presentati al teatro Palladium, e durante la serata del 14 verranno premiati i vincitori.
L’iscrizione è gratuita e aperta a tutti i filmaker under 35, provenienti da qualsiasi luogo del mondo Entro il 7 settembre 2013 verrà pubblicato l’elenco delle opere ammesse al concorso sui siti www.fabriqueducinema.it - www.out-door.it Inviare i lavori entro il 10 settembre e mandarli via wetransfert a redazione@fabriqueducinema.it con in oggetto “Urbanfabrique”
Agenzia: nufactory.it - Art direction: Gregorio Pampinella - Fotografia: Barbara Oizmud - Model: Rhò 27
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TAVIANI
«QUELLA VOLTA CHE CI GIURAMMO: O CINEMA O MORTE» 28
I fratelli più famosi del cinema italiano raccontano i loro inizi, mettendo a disposizione dei giovani la loro esperienza. Dai cinema di Pisa fino all’Orso d’oro a Berlino, la forza allegra di chi non si è mai arreso. di Boris Sollazzo foto Francesca Fago
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Ci sono incontri con grandi vecchi che ti fanno sentire più giovane. Questo sono i fratelli Taviani, maestri che non smettono mai di essere allievi e che, a chi fa della rottamazione solo un fatto anagrafico, rispondono con la loro voglia giovane. Di cinema e di vita. Quando avete capito che il grande schermo sarebbe stato il vostro destino? Noi, di famiglia borghese e antifascista, dovevamo fare gli avvocati. E finché non ci spostammo a Pisa, dove incontrammo il cinema, la creatività la scoprimmo da bambini sul palcoscenico del Maggio Fiorentino, grazie alla melomania di nostro padre. Che raddoppiava la sorpresa, portando a casa il disco dell’opera che pochi giorni prima avevamo visto a Firenze, come premio di un buon voto a scuola. Lì, nel salotto, noi tre fratelli la rimettevamo in scena. Sorridono, i due, poi raccontano: «Sentivamo già forte il desiderio di spettacolo. E non era facile, perché il fascismo rendeva cupa la nostra adolescenza. Arrivò la Resistenza, arrivarono gli americani “liberatori”: abbiamo cercato di raccontarlo dopo quasi quarant’anni ne La notte di San Lorenzo. In un tempo di nuovo grigio, bisognava ricordarlo soprattutto ai giovani: quando tutto sembra perduto tutto si può salvare, se non sei solo: quell’estate del ’44 ci ha insegnato a capirlo, una volta per sempre».
Paolo (82 anni) e Vittorio Taviani (84), con il loro ultimo lavoro Cesare deve morire, interpretato da detenuti di Rebibbia, hanno vinto nel 2012 l'Orso d'oro al festival di Berlino e 5 David di Donatello, fra cui miglior film e miglior regia.
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E vi diede il coraggio di vivere il sogno artistico del cinema? Abbiamo ricordato più volte quel pomeriggio che bucammo la scuola e ci infilammo nel cinema Italia, mentre gli spettatori che uscivano dal primo spettacolo ci sconsigliavano: non entrate, è noioso, è un film italiano… Entrammo e subito le prime immagini ci aggredirono, assolute, rivelatrici, la stessa emozione che ieri come oggi il cinema provoca in noi. Era Paisà di Rossellini. Comprendemmo più in profondità il senso della nostra esperienza sulle colline toscane in quell’atroce luglio ’44, più di quanto ci fossimo riusciti vivendola. Se il linguaggio del cinema ha questo potere, ci dicemmo, allora il cinema è il nostro linguaggio. E da quel momento ogni nostra energia fu volta a un solo scopo, farlo, il cinema. Sfidando il ridicolo addirittura giurammo: cinema o morte. Ci demmo dieci anni per farcela, altrimenti con gli ultimi soldi avremmo comprato una pistola e ci saremmo ammazzati. Ora ne ridiamo, ma in quel momento era vero: avevamo già vent’anni e sentivamo il bisogno di confermare in questo modo la nostra scelta. Ci sono momenti decisivi nella vita dove il drammatico e il grottesco convivono. Ma sono proprio quei momenti in cui niente ti deve fermare, se ti è chiaro quello che vuoi perché la tua vita abbia senso.
era, ci accolse. Pose una sola condizione: questo documentario dovete saperlo riassumere in tre frasi, se ci mettete di più vuol dire che avete idee confuse. Un insegnamento che non abbiamo mai dimenticato. Ce la facemmo, e Zavattini lavorò con noi! Gratis, naturalmente. Lo abbiamo detto, erano meravigliosi quei giorni del neorealismo. Ma non era certo meravigliosa – come oggi si crede – l’accoglienza che quei film trovavano nel pubblico e nell’opinione generale. Altro che tempi d’oro. Tempi duri, di battaglia, come sempre.
Desiderio e urgenza, l’aiuto di grandi vecchi, lo studio, l’impegno. Questa è la ricetta che comunicate ai giovani? Non vogliamo dare ricette, tanto più che poi non vengono seguite. Ai valori cui voi accennate possiamo soltanto aggiungere la pazienza, una delle virtù più difficili e ulceranti. Conosciamo attori, registi, operatori valenti che aspettano con caparbietà una telefonata che tarda troppo ad arrivare. Occorre questa forza in un mondo dove l’universo televisivo berlusconiano vuole convincere i giovani che la realtà è uno show facile e divertente da vivere, togliendo loro l’urgenza di cambiarlo. Ma quello che abbiamo imparato sì, possiamo dirlo: il cinema è un lavoro di collaborazione, una grande avventura collettiva, dove si assommano e si fondono varie creatività. Se pensiamo per esempio a Ultimo Dieci anni. Come li spendeste? tango a Parigi ci rendiamo conto Prima di tutto avevamo una voche la sua bellezza sta nell’incontro glia vorace di vedere, di imparare. tra il talento poetico di Bertolucci e Dopo aver visto e rivisto Ladri di il mistero, lo stupore della sofferenbiciclette, Paisà, La terra trema, di za che riesce a esprimere Marlon alcuni scrivevamo la sceneggiatuBrando. Vale anche per Cesare deve ra, dalle battute alle inquadrature, «Il cinema è un lavoro di collaborazione, una grande avventura morire e Padre padrone. Con un po’ per poi controllare a una ulteriore collettiva, dove si assommano e si fondono varie creatività». di retorica qualche volta abbiamo visione quanto avevamo afferrato. detto che il sangue del pastore sarE molto imparammo. Penso alla carrellata in cui il bambino di Ladri di biciclette vede il padre che do, il sangue dei dannati del carcere si sono mescolati al nostro. Sono viene afferrato dalla folla. Noi scrivemmo: una carrellata lunga, in- momenti, occasioni particolari che bisogna essere pronti a cogliere, finita. Rivedemmo poi il film: la carrellata è breve. Quell’errore ci non dimenticando mai che la fortuna e il caso possono venirti incondisse che una sequenza, un’inquadratura, se ben girata e montata, tro o contro. può durare pochi secondi ma avere nella percezione dello spettatoLa rottamazione ora va di moda. Che ne pensate? re una lunga risonanza. Il rinnovo generazionale è necessario. Per quanto riguarda noi, da tempo non abbiamo più partecipato ai festival mettendo il nostro film E poi arrivaste finalmente a Roma, la città del cinema. A Roma venimmo la prima volta per un giorno e per la precisione a in concorso, per lasciare spazio ai giovani. Abbiamo invece mandaVia Sant’Angela Merici, casa di Zavattini, alle 8,30 del mattino: con to in concorso a Berlino Cesare deve morire in nome dei nostri attori Valentino Orsini volevamo chiedergli aiuto per un documentario che carcerati, che ci hanno confidato: «Mentre partecipavamo al film, ci volevamo girare proprio sulla strage del luglio ’44 nel Duomo di San sentivamo uomini liberi. Vorremmo che là fuori questo si sapesse, si Miniato. Zavattini ci aprì in vestaglia, ci disse che forse era troppo pre- vedesse. Il concorso e magari un premio ci aiuterebbero». Hanno vinsto per la visita di sconosciuti. Ma essendo l’uomo meraviglioso che to, e siamo noi a ringraziarli.
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Valerio Groppa
TENENDO A FUOCO L’OBIETTIVO Conversazione con Valerio Groppa, un regista che ha ben chiaro come concretizzare i suoi sogni di cinema, con un occhio attento alla contemporaneità che ci circonda. I suoi eroi? Un venditore di aspirapolveri e un commissario tabagista (frustrato). di Luigi PanE foto Daniele Cruciani
Un salone inondato di sole, arredato con mobili vissuti e curati, di quelli che capisci subito che se avessero la bocca per farlo, avrebbero più di una storia da raccontare. È qui che Valerio, 34enne regista romano, accoglie noi di Fabrique. Ha all’attivo un videoclip (Semplice, con Lavinia Desideri) e due cortometraggi: il primo, In fondo a destra, è stato girato proprio in questo appartamento – dei nonni – nel quartiere Talenti, e ha avuto un grande successo in giro per festival nazionali e internazionali.
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«Per me la fase della scrittura è molto importante. A volte me ne sto ore al computer solo per sistemare una virgola o spostare una congiunzione». Valerio, fare il regista oggi, decidere di intraprendere questo mestiere in tempi di crisi, che davvero poco spazio danno alla cultura, cosa significa? Bella domanda. Mi viene da pensare che un tempo chi faceva il cinema era visto come un intellettuale, aveva un ruolo sociale e culturale, affascinava le masse. Oggi non è più così. Oggi fare il regista significa molte più cose, ci sono la televisione, le fiction, le web series, e molto spesso per lavorare si devono accettare tanti lavori che non rispecchiano la propria personalità, e alla fine si rischia di perdere la propria strada, di non riuscire più a esprimere il proprio messaggio. Quello che credo bisogna fare oggi, ancor più di ieri, è proprio non perdere mai di vista l’obiettivo finale, e cercare di mettere in ogni cosa che si fa una parte di sé. E il tuo obiettivo qual è? Il cinema. E sto spingendo in questa direzione. È questa la mia strada. Magari c’è chi è più
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Nel futuro di Valerio c’è anche un nuovo videoclip, tratto da una canzone di Francesco Nuti: «Si chiama Marilyn ed è stupenda, struggente nella sua bellezza, l’ultima da lui registrata prima dell’incidente, avvenuto solo tre giorni dopo. Spero possa riaccendere i riflettori su un autore come Francesco che stimo moltissimo».
portato a scrivere per il web, o a girare videoclip, va bene, a ciascuno il suo. E se è vero che all’inizio si deve sperimentare, sapersi trasformare per virtù o necessità, bisogna sempre procedere senza mai scordarsi di dove si vuole arrivare, anche se ciò vuol dire rifiutare qualche proposta. Lo dico con determinazione e senza snobismi. Dopo la scuola di cinema avevo bisogno di concretezza, e così ho cominciato a fare l’assistente sui set, portavo i caffè, è stata un’ottima scuola, ma poi occorre andare avanti. Avere la follia di provarci, essere un po’ rivoluzionari con gli altri e con se stessi, poi… poi magari chissà [ride], finirò per scrivere le previsioni del tempo, ma potrò dire di averci provato fino in fondo. Che rapporto hai con il web, che sta dando, nel bene e nel male, la possibilità a molti di emergere? Il web è una grandissima opportunità per sperimentare. Oggi si può filmare in HD con
Massimo Ghini, Valeria Solarino, Fabio Ferrari e Gabriele Pignotta sul set di Una morte annunciata. «Tutto è partito dal servizio di un tg visto in un bar, in cui si mostrava un omicidio avvenuto in America, con i poliziotti dietro il classico nastro giallo, mentre nel sottopancia dello schermo scorreva una didascalia sulla crisi del nostro paese. Unendo queste due informazioni, è partita la scintilla che mi ha fatto scrivere la sceneggiatura del film, che inizia appunto con l’indagine di un commissario di polizia su un omicidio appena compiuto».
E tu questo gradino si può dire che l’hai salito. Hai girato con attori professionisti del calibro di Massimo Ghini e Valeria Solarino e hai avuto a disposizione una troupe di ragazzi giovani ma di mestiere. Sì, qualche passo l’ho fatto, anche se mi ritengo ancora nell’anticamera di quello che è il lavoro del regista, come lo intendo io. I corti sono un ottimo biglietto da visita, perché se fatti bene sono proprio dei piccoli film, hanno lo stesso linguaggio del cinema: un giovane regista può dimostrare nei fatti le sue capacità tecniche e, se scrive, anche di sceneggiatore.
un telefonino e poi montare e mettere in rete il proprio lavoro, cosa fino a pochi anni fa impensabile. Io però, forse un po’ sognatore e ingenuo, faccio ancora molta differenza tra il prodotto web e il prodotto cinema: per come è immaginata, scritta e costruita una scena, per la cura richiesta nei dettagli, per l’attenzione che si cerca nel pubblico, per il respiro che si può dare all’opera filmica. Ecco, potrei dire che per iniziare, per far vedere cosa si è in grado di comunicare, che sia benedetto il web! Poi però, fatto questo primo gradino, bisogna passare allo step successivo, con un prodotto più professionale.
Com’è avvenuto il tuo debutto dietro la macchina da presa? Dopo la scuola di cinema ho avuto la fortuna di incontrare Marco Belardi della Lotus Film, che cercava giovani per uno stage nella sua casa di produzione. Con lui ho fatto l’assistente alla regia per Immaturi, Immaturi 2 e altri progetti. Nel frattempo ho sempre scritto molto, e quando sono arrivato alla sceneggiatura di In fondo a destra, è stato proprio Marco a spingermi a girarla, presentandomi alla BlumaLab, una costola della Lotus. Il corto è andato molto bene, ha partecipato a numerosi festival, e così ho preso fiducia in me stesso e ne ho scritto un secondo. Quali mezzi tecnici hai avuto a disposizione? Entrambi i corti contavano più o meno sul-
lo stesso budget, circa 5.000 euro, e lo stesso tempo di lavorazione di due giorni. Ho girato con una Canon 5d e ho avuto a disposizione una vera troupe cinematografica con reparti di ragazzi giovani, ma, ci tengo a sottolinearlo, professionisti, che hanno un enorme talento e che hanno lavorato sodo e non certo con paghe da cinema. Parliamo quindi di due piccoli miracoli produttivi, e se non fosse stato anche per i big che hai citato, che sono venuti gratis e hanno dato il massimo, non avrei mai raggiunto i risultati che ho ottenuto. Quanto è importante per te la storia? Assolutamente determinante. Se non sento di avere una buona storia, che mi convince appieno, rimando il progetto piuttosto che girare. Per me la fase della scrittura è molto importante. A volte me ne sto ore al computer solo per sistemare una virgola o spostare una congiunzione. Solo quanto sento che la storia è pronta e matura al 100%, entro nella fase delle riprese. Chiudiamo con una domanda banale, ma sempre efficace. Che consiglio daresti a un ragazzo alle prime armi, magari appena iscritto a una scuola di cinema, che vuole intraprendere la carriera di regista? Anche la mia risposta forse sarà banale: consiglio di crearsi un proprio percorso e cercare di percorrerlo nel migliore dei modi, sempre tenendo a fuoco l’obiettivo.
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- Dossier -
On demand chiedi e ti sarà dato
INIZIAMO UN VIAGGIO NELLA DISTRIBUZIONE DEL FUTURO, DAL DCP AL VOD. NELLA SPERANZA CHE LE COSE CAMBINO. IN MEGLIO. di Alessandro De Simone foto Michele Iacobini illustrazione GIOVANNI MORELLI
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ffermare oggi che dal 1° gennaio del 2014 la pellicola sparirà in Italia è pericoloso. Teoricamente è così, c’è una normativa europea che prevede la conversione tutta delle sale cinematografiche del regno in formato digitale per la vigilia del nuovo anno. Ma già si parla di proroghe, lamentele, finanziamenti che non arrivano, meglio andarci con i piedi di piombo. Ciò non toglie che il mercato audiovisivo in Italia sia ancora enormemente arretrato, e non parliamo solo di distribuzione classica (ovvero il film che arriva nelle sale), ma di tutta la filiera. I punti da analizzare non sono pochi. Prima di tutto la sala e le sue potenzialità, nella sua forma tradizionale di luogo di fruizione del prodotto cinematografico, ma anche come hub di multiprogrammazione per prodotti diversi, dalla musica allo sport. Poi i canali derivanti dalle nuove tecnologie, il VOD (Video On Demand) nelle sue declinazioni più particolari, dai player sostenuti da enormi investimenti (vedi Cubovision o Chili Tv) a quelli che hanno fatto scelte diverse (Own Air). In tutto questo, la parte più importante la fa il contenuto che deve essere di qualità e possibilmente inedito, così da rendere la fruizione un evento speciale. Non sono un caso i grandi successi come la riedizione di Akira o il documentario su Bruce
Springsteen, che in una sola giornata di programmazione hanno incassato molto più di quanto riesca a fare un film italiano nel corso di tutta la sua vita in sala. Già, il cinema italiano. Quello che maggiormente trarrebbe beneficio da un ammodernamento della catena distributiva e al tempo stesso, nella sua parte più istituzionale, quello che fa del suo meglio per far sì che ciò non accada, per ragioni spesso ignote e sospette. Le conseguenze di questa poca lungimiranza sono davanti agli occhi di tutti: dalla mancanza di un reale concetto industriale del cinema alla pochezza, se così la si può definire, della quota di prodotto venduto sui mercati esteri, un male assoluto per le produzioni nostrane. Si tratta di argomenti da affrontare in maniera attenta, soprattutto parlando con quei player che a oggi si sono messi in gioco e stanno provando la sfida del futuro, a ogni livello. Partiamo dalla base, intesa soprattutto come disponibilità di budget, con realtà che sono però già radicate e che stanno guardando molto avanti nei loro rispettivi campi d’interesse: Own Air e Distribuzione indipendente. VOD e sala cinematografica, ma come vedremo parlando con Alfredo Borrelli e Giovanni Costantino, queste due filosofie della fruizione possono essere molto vicine.
[Il viaggio nelle nuove forme di distribuzione continua nel prossimo numero di Fabrique]
O W N A IR | L A N E T F L I X I T A L I A N A Alfredo Borrelli è uno dei pochi professionisti italiani che sa cosa voglia dire affrontare la sfida del digitale, facendo una comunicazione in rete efficace e intelligente e guardando sempre all’innovazione. L’apertura di Own Air, piattaforma Video On Demand d’autore, era quasi una naturale conseguenza, a cui sono state applicate le specificità del lavoro di web marketing e comunicazione di Estrogeni, l’agenzia da cui nasce il progetto.
Alfredo, cinema d’autore e indipendente: la scelta sta pagando? Partiamo dal fatto che questo è un mercato che non esiste, perché l’utente italiano non ha la cultura del VOD. Per questo ci siamo spostati dal primo concept del Never Seen on Screen al download legale di cinema già passato in sala. Il business comunque non è il download, che è solo uno strumento attorno al quale abbiamo costruito una serie di
attività collaterali. Da qui nasce l’esigenza di produrre, ma soprattutto di concepire operazioni di co-marketing, dalla vendita di pacchetti aziendali alle smartbox che per primi abbiamo proposto in termini di prodotto audiovisivo, fino alle convenzioni con le grandi aziende. E poi c’è un progetto a cui teniamo particolarmente che è la collaborazione con le biblioteche che sta dando ottimi riscontri.
Download e non streaming: come mai? Perché quando l’Italia diventerà un paese civile e la banda larga funzionerà davvero e per tutti allora ci confronteremo anche con lo streaming, oltretutto con un sistema che permetterà all’utente di poter vedere il film già durante il caricamento del file. Own Air è anche produttore di contenuti. Mi piace dire che siamo il Netflix italiano, tutto
quello che abbiamo raccolto l’anno scorso l’abbiamo destinato alla produzione scegliendo dei temi sociali importanti, com’è stato per Il secondo tempo, Generale, Suicidio Italia, che ha vinto anche il Globo d’oro per il miglior documentario. Sono temi rivolti alla realtà quotidiana che dobbiamo vivere da cittadini, da imprenditori, da sognatori talvolta, e ci piace non farceli sfuggire.
Avete mai pensato di portare Own Air in sala, proiettando sul grande schermo direttamente dalla rete? Sì, ci abbiamo pensato e l’idea di dare fisicità al virtuale ci piace molto, partendo dal mercato più complicato, e lo stiamo facendo anche lavorando con altre realtà. Stiamo costruendo un cartello con Cineama e Distribuzione Indipendente per poter dare una circuitazione ai nostri film in tutte le declinazioni possibili.
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D I | D i st r i bu z i o n e I n d i p e n de n te Nel giugno del 2011 Alessandra Sciamanna, Daniele Silipo e Giovanni Costantino fondano Distribuzione Indipendente, un circuito alternativo dove poter dare visibilità a opere underground che non trovano spazio nelle sale tradizionali.
La mission di DI è molto semplice e ce la racconta proprio Giovanni Costantino, presidente della società. «Il circuito dei cinecircoli e dei cineclub conta circa millequattrocento sale, di cui quattrocento d’essai, schermi che fanno capo a nove diverse associazioni che oltretutto proprio in questo periodo si stanno
unendo in un’unica federazione. Una ricchezza culturale che permette di raggiungere la periferia e le province con prodotti che non riuscirebbero a entrare nella normale circuitazione». Il film con cui ha esordito DI fu il dimenticato Dorme, opera prima di Eros Puglielli, a cui hanno fatto seguito molti
altri film di nicchia che però hanno avuto grande successo nei festival internazionali. «Siamo riusciti a dare visibilità ad autori come Mimmo Paladino, Ivan Zuccon, Edo Tagliavini con il suo Bloodline, film che è entrato in selezione ai David di Donatello nonostante non avesse avuto la programmazione minima in sala di prima visione
come da regolamento. Un segnale importante». Il sistema di programmazione di DI è semplice, un noleggio della copia a prezzo popolare che permette così di operare in maniera molto efficace sul territorio. Ma l’ambizione e la speranza è quella di riuscire a creare un sistema ibrido e virtuoso, su cui si sta già lavorando.
«In autunno inizieremo a distribuire anche in collaborazione con i circuiti tradizionali, scegliendo le sale a seconda della tipologia di prodotto che avremo a disposizione. E poi c’è la partnership con Own Air, che diventerà ancora più stretta, con i nostri titoli che potranno essere fruibili sulla piattaforma VOD in contemporanea all’uscita».
diretta. Basti pensare all’algoritmo con cui Netflix determina i gusti dei suoi utenti, suggerendo loro quali prodotti scegliere» continua Cassandro. «Netflix è già all’avanguardia in questo senso, avendo prodotto serie di successo come House of cards, candidato
addirittura agli Emmy, fornito allo spettatore in un’unica soluzione, pronto per il Binge Viewing, ovvero la fruizione consecutiva di tutte le puntate. E dopo la serie con Kevin Spacey ha continuato a produrre». Ma Netflix non è l’unica a darsi da fare in questo senso. «Amazon ha
prodotto una serie di pilot e il destino di queste serie lo deciderà direttamente il pubblico, esponendo il gradimento o meno attraverso la piattaforma. E altri esempi seguiranno, semplicemente perché l’attuale modello di business, quello dei blockbuster, non è più sostenibile».
W IR E D | L A N E T F L I X «George Lucas, seguito dopo poco da Steven Spielberg, ha già predetto la fine del modello attuale dell’industria cinematografica, immaginando una fruizione basata sull’on demand e lontana dalla sala». Le parole del signor Guerre stellari ce le riporta Daniele
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Cassandro, caposervizio entertainment di Wired edizione italiana, che nel numero di ottobre dedicherà uno speciale proprio ai nuovi colossi, che portano il nome di Netflix, Hulu e Amazon, tanto per citare i più famosi. «Il contenuto sarà realizzato a misura dell’utente e poi venduto in forma
- Effetti speciali -
I MOSTRI
ABITANO NELLA RETE
Le web series puntano a una qualità sempre maggiore, anche grazie agli effetti visivi digitali. L’esempio di una produzione horror realizzata da un team di giovani creativi, nell’analisi del nostro esperto di VFX. di Gianluca Lo Guasto foto CHOKE
*Gianluca Lo Guasto è VFX supervisor di Choke, che con mBanga, studio d’animazione indipendente nato a Roma nel 2006, ha curato gli effetti visivi digitali della web series Geekerz.
Geekerz è una nuova web series horror in otto puntate prodotta da Fuorisync, in associazione con Netaddiction e Tangram film. Gli effetti di uno sparo (in questa pagina) e la testa mozzata di uno zombie (pagina accanto) sono il risultato di un lavoro in CGI.
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a qualche anno la distribuzione delle serie italiane è uscita dai confini della televisione per irrompere nel mezzo di comunicazione più diffuso: il web. I motivi che hanno spinto i produttori a questa nuova strategia di mercato sono facilmente individuabili: il circuito web gode di maggiore libertà, bypassando le censure e le consuete logiche di comunicazione del piccolo schermo, e fornisce la possibilità di inventare nuove regole e nuovi linguaggi espressivi. Tutto a costi contenuti. Ancora una volta, insomma, la rete si è rivelata un laboratorio dove sperimentare e fare emergere nuovi talenti. È il caso della Fuorisync, un gruppo di giovani creativi del video per il web capitanato dal regista Michele Bertini Malgarini e dal produttore Matteo Benedetti. Geekerz è la loro ultima fatica, prodotto in associazione con Netaddiction, società leader nell’editoria online specializzata nel settore dei videogiochi, e Tangram film. Si tratta di una commedia horror rivolta a un pubblico giovane, che in otto episodi racconta un’invasione di zombie, tema classico del cinema horror, dando però una lettura totalmente originale del topos del morto vivente. La serie andrà in onda sul sito www.multiplayer.it. Considerando il budget ridottissimo (21mila euro circa) Bertini Malgarini ha girato l’intera serie in soli 15 giorni e si è avvalso degli effetti visivi digitali per risolvere molti snodi della trama. Il primo shot che analizzeremo è la scena della moltiplicazione degli zombie. Quello della moltiplicazione è uno degli effetti più richiesti nei video e nei film: una scena di massa composta da comparse reali costa molto (tanti attori da coinvolgere, tanti costumi e tanto trucco e parrucco), perciò si ricorre spesso agli effetti digitali per ovviare al problema. Per comporre la scena in Geekerz avevamo a disposizione una quindicina di comparse travestite da zombie e, per raggiungere l’effetto desiderato dal regista, era necessario girare dieci sequenze. In casi come questo la difficoltà principale delle riprese è il tempo a disposizione: nell’arco di un’ora la luce cambia radicalmente e in questo intervallo i dieci ciak dovevano essere chiusi. A tale scopo è fondamentale la supervisione sul set e la preparazione della scena con uno storyboard. In ogni ripresa il gruppo di comparse veniva posizionato in punti diversi del set con l’avvertenza a non sovrapporsi tra una ripresa e l’altra. In alcuni casi la sovrapposizione era invece voluta per simulare una calca, e nel processo di post produzione (compositing) è stata risolta con una minuziosa mascheratura. La location (il cortile della medievale Rocca di Albornoz) ci ha aiutati molto dal punto di vista dell’illuminazione: tre quarti della scena erano in ombra e quindi questa porzione non subiva grossi cambiamenti. Nelle parti colpite dal sole invece abbiamo dovuto apportare delle minime correzioni di colore; di regola il compositor non deve mai apportare modifiche di colore o illuminazione della scena perché andrebbe a incidere sul lavoro del direttore della fotografia, ma quando più scene devono essere “matchate” (da matching: accoppiare) l’intervento sulla luce diventa necessario. Il tempo di lavorazione richiesto è stato di un giorno e un solo operatore impiegato, e mezza giornata per le rifiniture e il rendering finale. Torno a sottolineare il fatto che la supervisione sul set e la preparazione della ripresa con uno storyboard è indispensabile per alleggerire il lavoro in post produzione: piccoli errori sul set incidono tantissimo nel lavoro che dovrà affrontare il compositor. La seconda scena su cui ci soffermeremo è quella della casa in fiamme di Lorenzo (l’amico “infetto” di Luca Mersichetti, il protagonista della serie), dove il fuoco e il fumo sono interamente ricostruiti in CGI (computer generated imagery). Bisogna sapere che l’inserimento di elementi come fuoco, polvere, acqua (i cosiddetti particellari) è una delle operazioni che richiede più impegno. Il procedimento si divide in due fasi: la prima comprende test e simulazioni a bassa risoluzione per individuare le corrette reazioni delle forze fisiche delle particelle rispetto agli agenti atmosferici circostanti. Una volta ottenuto il risultato voluto si passa alla seconda fase, che consiste nella realizzazione di altri test per raggiungere la luminosità e la colorazione più corrette. In ultimo si passa al rendering finale. Ovviamente più sono i focolari da creare e più aumentano tempi di lavorazione e di rendering.
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Altri esempi di effetti visivi tratti da Geekerz. Nella sequenza di immagini in alto: la moltiplicazione degli zombie nel cortile del castello. In basso: anche il fuoco e il fumo che escono dalle finestre della casa sono stati ricreati digitalmente.
ROMA CREATIVE CONTEST
A SETTEMBRE È DI MODA IL CORTO Si apre la terza edizione del Roma Creative Contest, dedicato ai cortometraggi di tutto il mondo: un festival sempre alla ricerca di linguaggi e talenti non convenzionali.
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l Roma Creative Contest cresce, e si conferma sempre più uno spazio privilegiato per presentare lavori originali, spesso e volentieri fuori dagli schemi del cinema mainstream. Del resto il cortometraggio rappresenta oggi la forma più libera di espressione artistica nell’audiovisivo, perché non destinato a una distribuzione di tipo commerciale e quindi non sottoposto a vincoli creativi; ciò fa dei corti la rivelazione autentica della visione dei loro autori. E il Roma Creative Contest è infatti creatività e spettacolo: una realtà giovane che vuole recuperare la capacità di stupire e stupirsi. Un festivallaboratorio aperto alla sperimentazione, all’underground, alle nuove tecnologie e alla commistione tra le diverse forme artistiche. In collaborazione con il Teatro Vittoria di Roma e con il patrocinio della Commissione Europea, per il terzo anno l’associazione culturale Images Hunters, sotto la direzione artistica di Brando Bartoleschi e Lorenzo Di Nola, offre dunque al pubblico romano un’ampia panoramica delle nuove tendenze dello short film italiano e internazionale.
Con la prima edizione del 2011 il festival si è presentato all’ambiente cinematografico nazionale come luogo di incontro per i giovani registi, professionisti del settore e appassionati, ottenendo un riscontro entusiasta da parte di partecipanti, pubblico e media. La seconda edizione del 2012 ha aperto le porte al resto del mondo con una sezione internazionale dedicata ai corti di animazione. La “golosa” novità dell’edizione 2013 è che, oltre a riconfermare le sezioni degli anni passati, la rassegna allarga il suo sguardo al mondo del web, inaugurando una nuova sezione competitiva dedicata alle web series. L’obiettivo del Contest è sempre e comunque la ricerca di opere in grado di raccontare delle storie con linguaggi e contenuti innovativi, capaci di mostrare un uso consapevole e brillante del mezzo cinematografico e una scrittura sorprendente e ironica. Come gli scorsi anni, la manifestazione si svolgerà presso il Teatro Vittoria di Roma nel corso di quattro domeniche consecutive: 15-22-29 settembre e 6 ottobre 2013 (finale). Nel corso delle serate si cercherà di creare un
ambiente dove i giovani artisti e gli addetti ai lavori italiani e stranieri possano scambiarsi idee, materiale e contatti, sia tra di loro che con aziende specializzate nel settore, fondando i presupposti per una rete di scambio interattiva. Una giuria di specialisti assegnerà i premi: nelle scorse edizioni ne hanno fatto parte nomi come Pupi Avati, Mattia Torre (regista e sceneggiatore, Boris), Paola Randi (regista, Into Paradiso), Paolo Carnera (D.o.P., ACAB) e Marco Saitta (sound designer, Diaz). Tre le sezioni in concorso: Cacciatori di immagini: sezione aperta a tutti i cortometraggi italiani di finzione. Il tema è libero. Durata massima: 20 minuti. Corti di animazione (concorso internazionale): sezione aperta a cortometraggi provenienti da tutto il mondo. Accoglie corti di animazione in 2D, 3D e stop motion. Durata massima: 15 minuti. Web series: sezione aperta alle web series italiane. Durata massima: 20 minuti.
Il Roma Creative Contest nasce per sondare le nuove tendenze registiche del panorama italiano e internazionale e individuarne i talenti. Il concorso è aperto a tutti.
www.romacreativecontest.com info@romacreativecontest.com - tel +39 328.7820729 / +39 327.0926192 Direzione Artistica: Brando Bartoleschi (brando@romacreativecontest.com) - Lorenzo Di Nola (lorenzo@romacreativecontest.com) 43
Simone Isola, Laura Tosti, Paolo Borgna, Simona Giacci e Ermanno Guida, i cinque soci di Kimerafilm. Si sono conosciuti al corso di produzione del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
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- Mestieri -
KIMERAFILM
È POSSIBILE UN NUOVO CINEMA ITALIANO?
Il cinema nostrano può rinnovarsi solo puntando sui giovani talenti. Ne sono certi i produttori di Kimera, che aggiungono: «è sempre più urgente una riforma radicale dell’intero sistema».
di Luca Ottocento foto Paolo Palmieri 45
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a Kimerafilm rappresenta una delle realtà produttive e distributive più interessanti emerse nel panorama del cinema italiano degli ultimi anni. Fondata nel 2009 da ragazzi conosciutisi al Centro Sperimentale, nei primi quattro anni di attività si è mossa con passione e tenacia dando vita e visibilità, nonostante gli ostacoli incontrati, a opere indipendenti di giovani e interessanti cineasti. Impegnata nella produzione tanto di film di finzione quanto di documentari Kimera si è da subito fatta notare grazie a Et in terra pax, l’ottimo lungometraggio d’esordio di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini vincitore nel 2011 di una menzione speciale ai Nastri d’argento. Fabrique ha incontrato Simone Isola, uno dei fondatori della Kimerafilm, negli uffici della società a Testaccio. La vostra prima esperienza è legata a Et in terra pax, presentato con successo a Venezia alle Giornate degli autori e in molti altri festival del mondo. Come è nato questo progetto per diversi aspetti innovativo? Quando ancora non avevamo costituito la Kimera, già girava la bella sceneggiatura di Matteo e Daniele, che apprezzavamo da tempo per i loro cortometraggi. Appena nata la società, quindi, abbiamo subito
Le difficoltà che si incontrano sono tantissime e gli spazi di manovra molto limitati. Ci si scontra quotidianamente con un sistema fondato su logiche che rendono estremamente complicato far arrivare al cinema una proposta coraggiosa e non convenzionale. Le difficoltà, poi, aumentano ulteriormente se si cerca di valorizzare i giovani talenti. Per cambiare davvero le cose sarebbe necessario riformare in profondità tutto il sistema su cui si basa il cinema italiano, a partire dal meccanismo dei finanziamenti pubblici fino alla distribuzione, passando per l’insegnamento del cinema nelle scuole. Non solo si dovrebbero premiare maggiormente i progetti di qualità, ma sarebbe fondamentale costituire un circuito di distribuzione nazionale che si occupi esclusivamente di veicolare al pubblico le opere finanziate. In assenza di un cambiamento radicale, che sempre più si avverte come prioritario, le produzioni indipendenti saranno costrette a operare inseguendo delle sporadiche contingenze favorevoli, nell’assoluta impossibilità di dare continuità al loro lavoro. Nonostante l’oggettiva avversità delle condizioni, attualmente avete diversi progetti in cantiere. Cosa ci puoi dire a riguardo? Abbiamo appena prodotto con Arcopinto la nuova opera di Daniele
« Non solo si dovrebbero premiare maggiormente i progetti di qualità, ma sarebbe fondamentale costituire un circuito di distribuzione nazionale che si occupi esclusivamente di veicolare al pubblico le opere finanziate». iniziato a lavorare per mettere su questo film a bassissimo costo, andando alla ricerca di compartecipazioni e fondi privati. Quasi subito si è unito a noi Gianluca Arcopinto, nostro insegnante del Centro Sperimentale. E così dopo qualche mese siamo riusciti a partire con le riprese, nonostante il Ministero non ci avesse accordato il finanziamento. Il film, tra l’altro, è stato uno dei primi a essere girato con la videocamera digitale ad altissima definizione Red One. La cosa che mi rende più orgoglioso di aver prodotto Et in terra pax, è che i giovani sotto i trent’anni che lo hanno realizzato, molti dei quali erano usciti da poco dal Centro o erano ancora allievi, hanno avuto la rara possibilità di esordire in Italia come capo reparto prima dei quarant’anni. Sono fermamente convinto che se anche le produzioni più grandi iniziassero ad affidare la realizzazione di film a giovani competenti e appassionati, il nostro cinema ne uscirebbe enormemente arricchito. Quali sono gli spazi, in Italia, per le produzioni indipendenti come la vostra? E quanto è difficile investire su progetti originali in cui i giovani sono protagonisti?
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Gaglianone, il cui titolo provvisorio è La mia classe, che racconterà la vita di alcuni ragazzi di origine non italiana e il loro rapporto con l’insegnante Valerio Mastandrea. Il film affronterà temi molto presenti nell’attuale dibattito sociale del nostro paese e sarà presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Giornate degli Autori. Recentemente abbiamo poi concluso il documentario di Annarita Zambrano L’anima del Gattopardo, una coproduzione italo-francese cui hanno partecipato anche Rai Cinema e Ciné+, che riflette sulla Sicilia di oggi a partire dalle suggestioni offerte dalle opere di Tomasi di Lampedusa e Visconti. Sempre con la Francia abbiamo coprodotto Rosso cenere, il documentario di Adriano Aprà che andrà al Festival di Locarno. Stiamo inoltre collaborando al documentario di Luca Guadagnino su Bernardo Bertolucci, Bertolucci on Bertolucci, e in autunno partiranno le riprese di un altro documentario di cui curerò la regia dedicato alla figura di Alfredo Bini, il produttore che permise a Pier Paolo Pasolini di esordire nel cinema. Infine, sono in fase di sviluppo i nuovi film di Botrugno e Coluccini e di Gianfranco Pannone.
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- Making of -
SUL SET DE
LA DIVA foto di Veronica Parusso
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Cortometraggio realizzato in cinque giorni di ripresa a Genova, in cinque location diverse più esterni in camera car con Red Epic X e una serie di ottiche Zeiss t 1.3. SCRITTO E DIRETTO DA Carlo Ballauri CAST Silvia Pernarella Enzo Paci Massimo Viafora Gabriele Falsetta Durata 15 minuti PRODUZIONE Cavalieri della Notte con Logical Box recording studio
In collaborazione con Genova-Liguria Film Commission
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Camera Car, steady montata con Carmount su pickup che precede l’automobile. Red Epic e radio fuochi: FOX.
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Make up artist al lavoro, sull’attrice illuminazione: Barfly kinoflo a tubi freddi, Red Epic su pewee.
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Esterno notte. 2.5kw hmi riflesso su telaio 2x2; 2kw tungsteno con frost 251 su torretta 3mt controluce auto. All’interno 1.2kw hmi.
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Red Epic su pewee e jimmy, l’assistente operatore segue il fuoco con la “frusta”.
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Scena del ballo con effetto fumo e steadycam.
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PRODUTTORE Martina Cloro DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA Davide Manca MONTAGGIO Carlo Ballauri Musiche originali Filippo Quaglia ART DIRECTOR Consuelo Pecchenino FONICO DI PRESA DIRETTA Alberto Parodi
Scena finale, l’attrezzista lancia della vernice rossa sulla ballerina.
LA STORIA Katrina, una giovane immigrata ucraina costretta a ballare nei locali notturni per guadagnarsi da vivere, diventa all’improvviso la ballerina più richiesta nei teatri italiani. È infatti il soggetto ossessivo dei dipinti di Angelo Fabris, un pittore ubriacone che ritrae le entreneuse dei night da due soldi vestite da geishe. Fabris, fino a poco tempo prima sconosciuto, ha ottenuto fama internazionale in seguito alla sua scomparsa. Nonostante le sue remore, Katrina viene convinta da un agente teatrale senza scrupoli a intraprendere un tour per commemorare l’artista e sfruttare commercialmente il fatto di cronaca. Per la diva le luci della ribalta sono ormai vicine; la sera della prima del grottesco show, tuttavia,
nel camerino della ragazza arriva un pacco contenente dei nuovi bozzetti ancora freschi firmati Fabris, che la raffigurano in abiti rituali giapponesi mentre compie l’harakiri... L’IDEA La diva vuole portare nel nostro paese le atmosfere rarefatte del noir d’essai asiatico degli ultimi vent’anni, mescolandole con gli archetipi ipersaturati delle graphic novel anglosassoni. Lo spunto tematico è il viaggio di un’eroina dark contemporanea disposta a tutto per raggiungere il successo. Le influenze artistiche del regista uniscono al tema orientale della violenza quello del grottesco surreale nostrano, da Fellini agli esempi più caratteristici degli anni ’70, come Ferreri e Petri. Lo scopo è quello di rileggere il tema dell’immigrazione in chiave
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onirica, senza tuttavia abbandonare la forte struttura narrativa propria del thriller psicologico. IL REGISTA Genovese di nascita, studia e lavora a Roma, Milano e all’UCLA di Los Angeles. Stabilitosi a Hollywood, per due anni realizza corti, sperimentando l’uso della pellicola in 16 e 35mm e lo zero cost delle digitali 5d e 7d Canon. Nel 2011 assieme a Erica Sterne, personal assistant e aiuto regia di Wes Craven, forma un production team per la realizzazione di videoclip con l’utilizzo di camere digitali RED in alta definizione. Tornato in Italia fonda insieme a Martina Cloro la casa di produzione I Cavalieri della Notte: La diva è il primo prodotto della neonata società.
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Scena dell’hangar: la location è illuminata due 1.2kw hmi con telai di frost 251.
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“Magic hour”: illuminazione con luci al neon.
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Luce chiave 1.2kw hmi dietro a telaio di frost 251, controluce un 125hmi sun par sospeso su balaustra, ai vetri gelatina ND9.
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Macchina da presa in posizione sopraelevata. Illuminano la scena un sagomatore da 2kw e un kinoflo tubi caldi (3.200 K) 4x120.
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La troupe al completo.
Color and post by e-motion, fatta con il sistema Pablo della Quantel in tempo reale con footage 5k.
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ALESSANDRO BARONCIANI nato nel 1974 e originario del pesarese, lavora tra Pesaro e Milano come art director, illustratore e grafico pubblicitario anche per case discografiche come Universal, Mezcal e La Tempesta, firmando le copertine di gruppi e cantautori come Bugo, Perturbazione, Tre Allegri Ragazzi Morti. Cura una rubrica a fumetti sulla storia della musica su «Rumore magazine». http://alessandrobaronciani.blogspot.it/
Histoires du cinéma
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DIARIO GLI eventi di Fabrique
13 GIUGNO
Party stellare per l’uscita del secondo numero di Fabrique all’Aranciera di San Sisto Ancora uno strepitoso successo per gli eventi di Fabrique a Roma: la festa per la presentazione del numero 2 ha visto partecipare più di duemila persone, che dalle 19 a notte fonda hanno assistito a performance live di teatro, arte e musica. A fare gli onori di casa Margherita Vicario (in copertina) attrice e cantante, che ha regalato agli spettatori il suo show musicale, Marco Cocci con il suo dj set, il regista Marco Righi, e poi Claudio Gioè, Regina Orioli, Giuseppe Maggio e altri ancora.
14 GIUGNO
Gran soirée ai David Partner dell’Accademia del cinema italiano, Fabrique è presente con un suo corner alla cerimonia di premiazione dei David di Donatello: alla parata di stelle sul tradizionale red carpet si è aggiunta quella di attori, attrici e registi premiati e non che si sono fatti fotografare volentieri con una copia della rivista…
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NEWS Giugno-luglio
I luoghi del cinema Nella splendida location del Castello Aragonese Fabrique ha partecipato a IschiaFilmFestival, concorso internazionale dedicato al cinema e ai suoi luoghi: fra i premiati delle scorse edizioni Vittorio Storaro, Mario Monicelli e Abel Ferrara. 25 luglio
Caccia alla “volpe” Si inaugura una nuova importante partnership: in occasione dell’uscita del film Wolverine: l’immortale, Fabrique è scelta come media partner della Fox per l’evento di presentazione a Roma, presso La Bibliotechina. Guest d’eccezione: Boosta dei Subsonica. 14 settembre
Street art e short film Serata finale e premiazione del contest URBAN-FABRIQUE/ Proiezioni-Urbane promosso da Outdoor e Fabrique: un concorso per cortometraggi riservato a filmaker under 35 che ha per oggetto la città e gli spazi urbani visti e proposti in modo inedito. www.out-door.it Settembre-ottobre
Corti per giovani talenti Terza edizione del Roma Creative Contest, il festival di cortometraggi da tutto il mondo: quest’anno si inaugura la sezione dedicata alle web series. Come nelle passate edizioni, Fabrique consegnerà il suo “Premio del pubblico”. La premiazione si svolgerà il 6 ottobre al Teatro Vittoria di Roma. www.romacreativecontest.com
FABRIQUE DU CINÉMA N°2
La CaRTa STaMPaTa deL NUOVO CINeMa ITaLIaNO
MAGGIO 2013
Numero
2
OPERA PRIMA
eMiLia senTiMenTaLe
I giorni della vendemmia di Marco Righi, un successo grazie al passaparola
IcOnE
La soLa scuoLa è L’esperienza Parla Marco Bellocchio, “scandaloso” esordiente negli anni ’60
SchERMO blu
La MiGLiore oFFerTa
Tra vero e falso: gli effetti speciali nel film di Giuseppe Tornatore
cAMMInIAMO
suLLe nosTre GaMBe Margherita Vicario RItRAttO dI unA “cAntAttRIcE” cOn lE IdEE chIARE
La CARTA STAMPATA del NUOVO cinema italiano SCARICA GRATUITAMENTE IL N°1 DAL NOSTRO SITO 0 SCRIVICI A REDAZIONE@FABRIQUEDUCINEMA.IT
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DOVE
Come e dove Fabrique CINEMA ROMA AZZURRO SCIPIONI | 06.39737161 | Via degli Scipioni, 82 CASA DEL CINEMA | 06.423601 | Largo Marcello Mastroianni, 1 CINEMA DELLE PROVINCE | 06.44236021 | Via delle Province, 41 EDEN FILM CENTER | 06.3612449 | Piazza Cola di Rienzo, 74 FARNESE | 06.6064395 | Piazza Campo De Fiori, 56 GREENWICH | 06.5745825 | Via G. Battista Bodoni, 59 INTRASTEVERE | 06.5884230 | Vicolo Moroni, 3 MADISON | 06.5417926 | Via G. Chiabrera, 121 MAESTOSO | 06.786086 | Via Appia Nuova, 416 NUOVO CINEMA AQUILA | 06.70399408 | Via L’Aquila, 66 NUOVO OLIMPIA | 06.4818326 | Via in Lucina, 16a NUOVO SACHER | 06.5818166 | Largo Ascianghi, 1 POLITECNICO FANDANGO | 06.36004240 | Via G. Battista Tiepolo, 13 QUATTRO FONTANE | 06.4741515 | Via Quattro Fontane, 23 TIBUR | 06.4957762 | Via degli Etruschi, 36 ------------------------------------------------------------------------------------------------CINEMA FUORI ROMA KING | 095.530218 | Via A. De Curtis, 14 Catania ------------------------------------------------------------------------------------------------TEATRI TEATRO VALLE | Via del Teatro Valle, 21 ------------------------------------------------------------------------------------------------LOCALI ROMA BAR DEL GAZOMETRO | Via del Gazometro, 20/24 BIG STAR | Via Mameli, 25 CAFFÈ LETTERARIO | Via Ostiense, 95 CATERING BIKER’S BAR | Via W. Tobagi, 49 DOLCENOTTE | Via dei Magazzini Generali, 15 DOPPIO ZERO | Via Ostiense, 68 DVISION Roma GIUFÀ | Via degli Aurunci, 38 KINO | Via Perugia, 34 HARUMI | Via Cipro, 4m/4n HARUMI | Via della Stazione di San Pietro, 31/33 LA TANA DEL BIANCONIGLIO | Via B. Bossi, 6 LE MURA | Via di Porta labicana, 24 MAMMUT | Via Circonvallazione Casilina, 79 ------------------------------------------------------------------------------------------------LOCALI FUORI ROMA IL FRANTOIO | Via Renato Fucini 10, Capalbio (GR) OSTELLOBELLO | Via Medici 4, Milano PIADE IN PIAZZA | P.zza Meda 5, Milano ------------------------------------------------------------------------------------------------SCUOLE CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA | Via Tuscolana, 1520 CINE TV ROSSELLINI | Via della Vasca Navale, 58 GRIFFITH | Via Matera, 3 NUOVA ACCADEMIA DI BELLE ARTI | Via C. Darwin, 20 Milano ROMEUR ACCADEMY | Via Cristoforo Colombo, 573 SCUOLA D’ARTE CINEMATOGRAFICA GIAN MARIA VOLONTÉ | Via Greve, 61 ------------------------------------------------------------------------------------------------LIBRERIE LIBRERIA DEL CINEMA | Via dei Fienaroli, 31 ------------------------------------------------------------------------------------------------FESTIVAL Calabria Film Festival Festival Internazionale del Cinema di Roma LXX Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia Rome Independent Film Festival Visioni Italiane Cineteca di Bologna ------------------------------------------------------------------------------------------------LUOGHI ISTITUZIONALI Film Commission Genova MIBAC Ministero per i Beni e le Attività Culturali | Via del Collegio Romano, 27
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