Fabrique du cinéma n°6 2014

Page 1

LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO ESTATE

2014

Numero

6

OPERA PRIMA

SMART COMEDY

“Smetto quando voglio”: la nuova commedia italiana scintilla

ICONE

SOPHIA 80

“Mi piacciono le cose difficili e ho ancora un sogno da realizzare”

DOSSIER

EUROPROGETTAZIONE

Quello che c’è da sapere sui finanziamenti UE per il cinema

È TEMPO D’ESTATE, DI TANTI PICCOLI FESTIVAL DA NORD A SUD, DI FILM SOTTO LA LUNA Sarà Matilda Lutz, attrice 23enne, la nostra splendente stella-guida nel cinema giovane che ci piace



S

ESPERANTO

NON SOLO CINEMA

13 ANNI LIBERI

CORTI DAL MONDO

SOMMARIO

STRANE LEZIONI DI CINEMA

Pubblicazione edita dall’associazione culturale Indie per cui Via Francesco Ferraironi, 49 L7 (00177) Roma www.fabriqueducinema.it

Registrazione tribunale di Roma n. 177 del 10 luglio 2013 DIRETTORE RESPONSABILE Ilaria Ravarino SUPERVISOR Luigi Pinto DIRETTORE ARTISTICO Davide Manca GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giovanni Morelli CAPOREDATTORE Elena Mazzocchi STRATEGIC MANAGER Tommaso Agnese REDAZIONE Sonia Serafini Chiara Spoletini PHOTOEDITOR Francesca Fago COMUNICAZIONE E WEB Consuelo Madrigali WEB MASTER Luca Luigetti EVENTI E MARKETING Isaura Costa Simona Mariani DELEGATO NORD ITALIA Luca Caserta RELAZIONI SALE Katia Folco UFFICIO STAMPA Sara Battelli STAMPA Press Up s.r.l. Via La Spezia, 118/C 00055 Ladispoli (RM) DISTRIBUZIONE Luca Papi

GIOVANI GIURATI CRESCONO

14 OPERA PRIMA SYDNEY SIBILIA PER UNA NUOVA COMMEDIA ITALIANA

LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO 2014

Numero

6

OPERA PRIMA

SMART COMEDY

“Smetto quando voglio”: la nuova commedia italiana scintilla

ICONE

SOPHIA 80

“Mi piacciono le cose difficili e ho ancora un sogno da realizzare”

DOSSIER

EUROPROGETTAZIONE

Quello che c’è da sapere sui finanziamenti UE per il cinema

È TEMPO D’ESTATE, DI TANTI PICCOLI FESTIVAL DA NORD A SUD, DI FILM SOTTO LA LUNA Sarà Matilda Lutz, attrice 23enne, la nostra splendente stella-guida nel cinema giovane che ci piace

IN COPERTINA Matilda Lutz

MATILDA LUTZ

TAIWAN WAVES

COLLETTIVO INCEPTION

ACTORS STUDIO

ALDO IULIANO

EUROPROGETTAZIONE

RUSSIAN ARM

ANDREA IERVOLINO

SUL SET DI HOPE LOST

Finito di stampare nel mese di maggio 2014

ESTATE

4 MONDOCLIP 6 RIFF 7 MAREMETRAGGIO 8 LOW BUDGET 10 GIURIE GIOVANI 11 COVER STORY 12 MONDO 18 AMOREOGGI 22 CINEMA E MODA 26 FUTURES 36 DOSSIER 40 MACRO 44 MESTIERI 48 MAKING OF 50 GRAPHIC NOVEL 52 EFFETTI SPECIALI 54 DIARIO 57 DOVE 58 EDITORIALE

CASE

32 ICONE SOPHIA LOREN ASSOLUTAMENTE DIVA

LA REALTÀ AUMENTATA SUL SET

GLI EVENTI DI FABRIQUE

COME E DOVE FABRIQUE

3


E EDITORIALE

speranto di ILARIA RAVARINO foto ROBERTA KRASNIG

Transmediale, crossmediale, contaminata. Come l’esperanto.

Oppure impura, confusa e incoerente. Come la lingua che parla un emigrato che non torna a casa da troppo tempo. Una cosa è certa: il cinema italiano, oggi, parla una lingua nuova. Fabrique, in questo numero, prova a tradurla per voi. Fuor di metafora, la lingua del nuovo cinema italiano non è più (solo) l’italiano. È inglese, francese, spagnolo, tedesco: un mix di idiomi che si incontrano su set di film pensati per il mercato internazionale, figli di produzioni coraggiose (date un’occhiata al nostro dossier, Italia vs Italy) e distribuzioni alternative su piattaforme globali. È la lingua degli attori, che studiano e viaggiano mettendosi alla prova oltre i confini nazionali. Succede a Matilda Anna Ingrid Lutz, la brava attrice sulla nostra copertina. E il suo esempio è illuminante. Ma il linguaggio sta cambiando anche a un livello più profondo. La contaminazione è ormai parola d’ordine dei giovani autori: ecco la tv che racconta il cinema (vedi Low Budget), il fumetto che forma gli autori (vedere Fulgenzio di Aldo Iuliano, per credere) o il web che entra nella pelle dei film. Per dire: per Smetto quando voglio (opera prima di questo numero), il regista Sydney Sibilia si è lasciato ispirare, tra le tante cose, persino da Instagram. Imparare una nuova lingua però è inutile, se nessuno la capisce. E se i grandi festival mostrano ancora diffidenza, sono le arene più piccole (realtà come Cartoons on the Bay, Biografilm o Maremetraggio e il Riff, di cui parliamo qui) a mostrarsi aperte alla comprensione. Un lavoro importante, il loro. Perché permette agli autori di praticare parole e forme che nessuno ha mai provato a pronunciare. Scriveva Ludwik Lejzer Zamenhof, l’inventore dell’esperanto, che la lingua è l’arma più potente a disposizione dell’uomo per superare le differenze tra i popoli. L’esperanto nacque nel 1887, il cinematografo solo due anni prima. In attesa che la (nuova) lingua del cinema italiano aiuti il paese a ricomporre le sue contraddizioni, noi, intanto, proviamo a capirla.

In fondo basta solo fare pratica. E non aver paura di sbagliare.

4


camicia stampata e pantaloni WHAT’S INSIDE YOU shoes TRENTA7

5


Immagini tratte da lavori di Mauro Russo, astro nascente del videoclip italiano. *giornalista, blogger, produttore audiovideo e musicista

MONDOCLIP

NON SOLO CINEMA. DA OGGI FABRIQUE APRE UNA FINESTRA ANCHE SULL’EFFERVESCENTE MONDO DEI VIDEOCLIP, IN CUI GIOVANI PROFESSIONISTI SCALDANO I MOTORI. di DAVID COLANGELI *

I

n principio fu MTV. Negli anni Ottanta, con il passaggio di testimone tra radio e tv come medium privilegiato, divenne una necessità per le etichette musicali investire in un prodotto visibile sulle reti televisive, così da assicurare curiosità e invogliare all’acquisto di un lp. Ora MTV è costretta a trasmettere reality di adolescenti incinte o coatti miliardari amanti della vita notturna. Perché? Perché il clip si è spostato sulla rete. In tv, se ci passa, è solo per un piccolo voice over di Mollica il sabato pomeriggio. E solo se sei uno dei “vecchi” della musica: i giovani musicisti non ne hanno bisogno, di MTV. Realizzando una serie di videoclip per la mia band o per altri, ho pensato spesso alle differenze tra il vecchio e il nuovo modo di produrre e fruire. Entrambe perennemente “in crisi”, l’industria cinematografica e quella discografica devono da tempo confrontarsi con un generalizzato abbassamento dei costi di produzione: un fenomeno tale per cui oggi chiunque, armato di buona volontà e con una spesa minima, può realizzare il suo progetto. Aggiungiamo che a oggi esistono corsi e università per lavori che trent’anni fa non ne avevano bisogno. Per fare lo sceneggiatore bisognava, banalmente, essere un genio e sgobbare. Conoscere gente giusta e avere un’occasione. Così per un regista. Ora bisogna essere lo stesso un genio e sgobbare, conoscere gente giusta e avere l’occasione. Ma adesso che nella professione dell’audiovisivo si può “imparare” anche a scuola, tutti possono essere artisti, e avere, apparentemente, quell’occasione. Il cinema e la musica godono, fuori dalle sale e dai palazzetti dello sport, di ottima salute. Il mercato si è semplicemente spostato. E l’esempio lampante è proprio l’espandersi di piccole produzioni “smart” che con un piccolissimo budget riescono a tirare fuori un lavoro di qualità e immediatamente disponibile. La prova è appunto la quantità di band emergenti e relativi video che proliferano sulla rete: la forma videoclip, incontro formale tra musica e cinema, paradossalmente non soffre delle rispettive crisi dei suoi due mercati generanti. Il risultato? L’artista (o la band) ha del materiale, di maggiore o minor valore, ma comunque “vivo” sulla rete. Il giovane regista può sperimentare, volenterosi aspiranti produttori esecutivi si sporcano le mani riciclandosi attrezzisti. Un allontanamento dalla forma “troupe” per avvicinarsi, invece, alla forma “collettivo”. E, cosa fondamentale, il videoclip

6

è un prodotto a uso e consumo di un cliente che paga, sia si tratti dell’artista medesimo sia della di lui etichetta. Inoltre porti a casa un po’ di esperienza immediatamente spendibile. Dopo un videoclip le tue competenze sono là, all’aperto, su internet. E se sei bravo, saranno loro a venirti a cercare. Non occorre certo elencare le produzioni che dal web adesso hanno contratti in Rai o che hanno un’agenda di clip da realizzare che farebbe invidia a qualsiasi produzione iscritta al registro delle imprese cinematografiche. Se lavori tanto e bene, con 3 set da un giorno e mezzo (la notte al montaggio e alla sincronizzazione) al mese, senza svalutare troppo il tuo lavoro ma sapendo scendere a compromessi in maniera intelligente, puoi pagarti una stanza da fuorisede. Il rischio insomma è che la figura del “filmmaker” tradizionale sia relegata per sempre a un mondo e a un modo di comunicare. Mentre oggi che si preferisce investire su professionalità e “personaggi” del web, una buona (e conclamata dalla rete) abilità nella gestione del mezzo espressivo può e deve essere l’abbrivio di una carriera da professionista. È il caso del salentino Mauro Russo, entrato nel mondo dei video da pochi anni e già richiestissimo dai big (Rocco Hunt, Gemelli diversi, Tiromancino). Ha appena finito un corto horror in inglese e ha all’attivo tanti videoclip, una web serie e una sceneggiatura di prossima realizzazione. In questo percorso, racconta, «mi ha sempre aiutato la passione per il cinema e la voglia di lasciare qualcosa che tutti possano vedere e giudicare, nel bene o nel male. Ci ho sempre creduto e continuo a farlo». Sull’idea del clip come vivaio per il cinema ha le idee chiare: «Verissimo. Il mio slogan è sempre stato “faccio i videoclip per fare palestra, per un film futuro”».


CHAMÉNI

di DOMENICO MODAFFERI (Reggio Calabria, 1988)

Bodo Kox

Sogni di gloria

13 ANNI LIBERI VINCE LA POLONIA DEI SENTIMENTI CON THE GIRL FROM THE WARDROBE. PER L’ITALIA, EX AEQUO SOGNI DI GLORIA E CI VORREBBE UN MIRACOLO. ASSEGNATI ANCHE I PREMI FABRIQUE.

S

i è aggiudicato il premio per il miglior film straniero del RIFF 2014 il film polacco The Girl From The Wardrobe, di Bodo Kox, mentre per gli italiani vittoria ex aequo fra Sogni di gloria, di Patrizio Gioffredi (collettivo John Snellinberg), e Ci vorrebbe un miracolo di Davide Minnella. Kermesse fra le più amate dal pubblico romano, la 13a edizione del RIFF conferma la tendenza di anno in anno alla crescita di presenze e incassi. Lo scorso marzo per un’intera settimana il Rome Independent Film Festival ha visto in programmazione, presso il Nuovo Cinema Aquila di Roma, più di 100 opere in concorso - tra lungometraggi, cortometraggi e documentari - provenienti da oltre 40 Paesi. I RIFF Awards, il cui valore ammonta a un totale di circa 50.000 Euro, sono stati assegnati da una giuria internazionale, oltre che ai ti-

Happy Goodyear

toli già citati, alle seguenti opere fra le altre: No Burqas Behind Bars di Nima Sarvestani (miglior film documentario internazionale), Happy Goodyear di Laura Pesino ed Elena Ganelli (miglior film documentario italiano). Il premio per il miglior cortometraggio italiano è andato a L’impresa di Davide Labanti e menzione speciale a Sassiwood, di Antonio Andrisani e Vito Cea. Nell’ambito del festival è stato attribuito, come di consueto, anche il premio Fabrique al miglior soggetto per sceneggiatura di lungometraggio e/o cortometraggio: vincitori Domenico Modafferi (lungometraggio), Valerio Vestoso (cortometraggio), David Fratini e Andrea Virili (soggetto cinematografico). Riportiamo qui a fianco le sinossi dei tre lavori premiati, che i lettori possono leggere per esteso sul sito di Fabrique.

Sassiwood

Calabria, 1348. Nelle vite semplici di Leone, un giovane pastore, e di sua sorella Lidia, malata di peste, irrompe Niceo, un uomo affascinante e misterioso. Lo sconosciuto, dopo avere sospinto Leone lontano da casa verso la prospettiva di un pellegrinaggio salvifico, usa violenza nei confronti della donna e si insedia in casa. Lidia, pur inizialmente combattuta, si innamora segretamente di Niceo e della sua mondana visione dell’esistenza; Leone, per effetto di un cammino tortuoso e pieno di orrori e drammatici incontri, diventa un folle fanatico religioso. Il ritorno a casa di Leone vede esplodere un conflitto insanabile tra fratello e sorella, tra due visioni estreme e contrastanti della vita, che sfocia in tragedia. MALATEMPORA NIGHT

di VALERIO VESTOSO (Benevento, 1987) Alla vigilia della bancarotta italiana, tre senatori profittano dell’omertà notturna per riunirsi e pianificare la loro fuga in Libia. Intendono abbandonare la Penisola prima che la rivoluzione civile prenda piede e li travolga. Ma i ricordi e le ambizioni personali ostacoleranno non poco i loro obiettivi. All’esterno dell’appartamento che li ospita, il Paese dorme, non sospetta di niente, confortato dal più noto sonnifero in circolazione: l’ottimismo. SANTO VITO

di DAVID FRATINI (Terni, 1977) e ANDREA VIRILI (Terni, 1972) Schiappa è un delizioso paesino inventato, immerso nelle nebbie della pianura padana e in quelle delle ciminiere della Polyfan. A Schiappa, da che si ricordano tutti, non è mai successo niente. Vito è nato a Schiappa e ha sempre vissuto qui con la mamma Teresa; anche se si veste da metallaro da quando aveva quindici anni, non ha mai fatto male a una mosca, e ama le sue galline. Spesso Vito pensa ad Anna, la sua compagna d’asilo, rimasta vedova da qualche anno, che a messa a volte gli lancia delle occhiate strane. Ma Schiappa è un paesino inventato e allora può succedere che Vito, tenuto in poco conto dai feroci compaesani, si scopra improvvisamente capace di fare degli strani miracoli...


MAREMETRAGGIO FEATURING FABRIQUE T

aglia il traguardo della sua 15a edizione l’International ShorTS Film Festival organizzato dall’associazione Maremetraggio in programma a Trieste dal 28 giugno al 5 luglio 2014. Per festeggiare i suoi primi quindici anni il festival del cortometraggio più noto d’Italia proporrà sette giorni dedicati alle nuove promesse del cinema italiano e internazionale, secondo la formula che ne ha decretato il successo. Due le sedi di proiezione: la prima, un maxi schermo all’aperto in centro città, che proporrà una maratona sotto le stelle dedicata ai migliori corti a livello internazionale, in gara per vincere il premio Punto Enel al miglior corto di 10.000 euro e molti altri riconoscimenti. La seconda, per gli amanti del lungometraggio, sarà lo schermo del Teatro Miela, riservato a una ristretta rosa di opere prime italiane, scelte tra le più “invisibili”. In questa edizione il festival ha avviato una

8

AL VIA IL 28 GIUGNO LA NUOVA EDIZIONE DEL CELEBRE FESTIVAL TRIESTINO DEDICATO AI MIGLIORI SHORT FILM DA TUTTO IL MONDO, QUEST’ANNO IN PARTNERSHIP CON FABRIQUE.

collaborazione con Fabrique, con cui condivide un importante obiettivo: quello di offrire un’occasione di visibilità ai giovani talenti del nuovo cinema italiano. Al festival triestino sono infatti passati con i loro corti registi che si sono poi saputi distinguere nel panorama cinematografico italiano, come Luca Miniero e Paolo Genovese, Antonio Morabito, Marco Simon Puccioni, Giulio Manfredonia, Fabrizio Bentivoglio e Giacomo Ciarrapico. Insieme alla nostra rivista il festival promuove l’iniziativa “Un’altra chance”, che consentirà a un corto italiano, scelto tra una rosa di opere brevi proposte da Fabrique, di entrare nella selezione 2014 di Maremetraggio. L’attenzione ai giovani talenti italiani sarà dimostrata ancora una volta dal festival triestino con la sua “prospettiva” dedicata agli attori italiani emergenti, una scommessa sul loro futuro che quest’anno raddoppierà. Dopo i successi ottenuti negli anni passati con Alba Rohrwacher, Michele Riondino, Andrea Bosca e Luca Marinelli, la star della Prospettiva 2014 sarà la magnetica Elena Radonicich, già protagonista della cover story sul numero 4 di Fabrique. La retrospettiva del festival è dedicata alla splendida Francesca Neri, attrice e produttrice che ha fatto la storia del cinema italiano e spagnolo, memorabile protagonista di Carne tremula (1997) di Pedro Almodovar e Pensavo fosse amore… invece era un calesse (1991) di Massimo Troisi. Francesca Neri sarà a Trieste per incontrare il pubblico nei giorni del festival. Maremetraggio proporrà inoltre un focus dedicato alla cinematografia giapponese, cui sarà interamente dedicata una serata del festival. Per la Japan Night saranno proposti, in collaborazione con lo Short Shorts Film Festival di Tokyo, una selezione di cortometraggi giapponesi, mentre insieme all’associazione italogiapponese Yu Jo si esploreranno le arti del Paese del Sol Levante.



LE IDEE DI SUCCESSO SONO

LOW BUDGET UN RIMEDIO ALLA DISOCCUPAZIONE? INVENTARE UN MODO NUOVO DI FARE LEZIONI DI CINEMA.

di SONIA SERAFINI

F

ederico Tolardo e Antonio Pisu sono i creatori di Low Budget. Si definiscono: disperati, annoiati e troppo belli per essere veri! Un bel giorno, spronati dalla voglia di arrivare e dalle rate dell’affitto, si sono rimboccati le maniche e hanno deciso di scrivere un soggetto per un corto. In sei mesi hanno costruito una serie di ben dodici episodi che racconta di quattro ragazzi (Federico Tolardo, Antonio Pisu, Piero Cardano e Francesco La Mantia) alle prese con i problemi comuni dei trentenni: affitto, disoccupazione, lavoro precario, monotonia. Inizialmente nata per il web, la serie è stata subito notata da I-mage di Giovanna Cucinotta e da Studio Universal, che l’hanno prodotta e distribuita in tv, per la regia di Matteo Giangaspro. A Roma, in una casa in via Alessandria, Antonio, Federico, Piero e Ciccio, aspiranti attori/

Zombie, scene di guerra, viaggi nel tempo, gangster movie, 007 finiscono tutti nel magma di citazioni cinematografiche della serie.

10

sceneggiatori, tentano di inventare una trama per un film seduti attorno a un tavolo. E puntata dopo puntata le trame si susseguono in un crescendo caotico di trovate e colpi di scena. L’idea innovativa alla base della serie è che ogni puntata “spiega” le tecniche di narrazione usate nei film, mostrando ad esempio la differenza tra flashback e flashforward, audio originale e doppiaggio, parodia e commedia. Involontarie lezioni di cinema, o cinema geneticamente modificato, come piace definirlo a Tolardo & C. Ma c’è di più. La cosa assurda è che tutto quello che i quattro immaginano si materializza. La cosa ancora più assurda è che non mettendosi mai d’accordo, nessuna delle trame ha una fine. O meglio, ogni fine ha un nuovo inizio. Low Budget potrebbe essere insomma la storia di “storie non portate a termine”. Storie low budget, ovvero senza impegno, originali e non, spesso improvvisate. E allo stesso tempo, cinefile, intelligenti e smaliziate.


QUANDO

LESONOGIURIE GIOVANI DAVID E LEONCINO D’ORO, GIOVANI GIURATI CRESCONO. di TOMMASO RENZONI foto FRANCESCA MARINO

L’

Agiscuola, un punto fermo nei rapporti tra il mondo della scuola e il mondo dello spettacolo, organizza anche quest’anno il premio David Giovani: un’occasione per avvicinare i ragazzi al cinema e aiutarli a formare uno sguardo assieme critico e appassionato verso il testo cinematografico. Attraverso una selezione nei licei di tutta Italia vengono individuati i giovani giurati, che nelle settimane successive partecipano a proiezioni e incontri con critici e autori, al termine dei quali assegnano il loro David. «Far parte della giuria David Giovani è una circostanza a dir poco fortunata da vivere. L’atmosfera è di consapevolezza e fruizione cosciente dell’arte, gli spunti di riflessione scritti dai ragazzi vengono spesso ripresi all’interno dei dialoghi con attori, registi, sceneggiatori. Si acquisisce un’ottica nuova e quando si arriva al momento di scrivere su un foglio il titolo del film che si ritiene meritevole, si è diventati un altro tipo di spettatore» spiega Marco Patrizi, che è stato giurato del David Giovani a Roma e poi selezionato per la giuria del Leoncino d’Oro. Perché infatti al termine di questa esperienza, dopo aver redatto una recensione di uno dei film partecipanti, i giurati accedono alla seconda fase della selezione: gli elaborati vengono passati al vaglio e per ventisei di loro si aprono le porte della giuria Giovani di Venezia, che partecipa al festival con lo stesso accredito e gli stessi privilegi della giuria ufficiale e assegna il premio Unicef e il Leoncino d’Oro (lo scorso anno rispettivamente a Philomena e Sacro Gra). Emilia Agnesa, che nella giuria di Venezia rappresentava i giovani della Sardegna, ricorda: «Dal punto di vista culturale quanto umano fare la giurata del Leoncino d’oro ha rappresentato un’occasione unica nella vita di una giovane cinefila come me. Permettere a dei ragazzi di vivere l’entusiasmo di una première cinematografica a Venezia o anche solo potersi confrontare nel giudizio di un film che assieme a pochi altri “eletti” si visiona per primi in Italia non ha prezzo».

Sì, perché i giurati durante la mostra hanno un denso programma di incontri con gli autori delle opere in concorso, lì per portare testimonianza di quel mestiere meraviglioso che è il cinema. «In questi anni ho visto molti ragazzi scoprire attraverso l’esperienza della giuria la passione del vedere e del fare cinema, sentendosi parte del processo. Molti di loro hanno poi deciso per un percorso di studi legato al cinema», commenta Andrea Papale, uno dei coordinatori del premio. «Il tempo libero era il più delle volte occupato da serate trascorse tutti insieme, che culminavano nella voglia di vedere l’ennesima proiezione, perché, benché non obbligati dal vincolo del nostro “nobile” ruolo, andare al cinema era e rimane il tramite che ci ha permesso di conoscerci, un collante fortissimo che ci ha unito: noi leoncini della 66a Mostra del Cinema», conclude Emilia. E anche per me è stato così, giurato giovane di Venezia 64 e poi studente della Scuola Nazionale di Cinema.

*sceneggiatore, ha studiato al Centro Sperimentale di Cinematografia

11


- Cover story -

C’ MATILDA ANNA INGRID LUTZ tuta ricamata VALENTINO

C’ERA UNA VOLTA

MATILDA Nella sua borsetta rosa conserva soddisfazioni come un ruolo da protagonista in un video dei Phoenix diretto da Sofia Coppola. Questa giovane principessazingara (leggendo saprete perché) incanterà presto il cinema italiano.

di CHIARA SPOLETINI foto ROBERTA KRASNIG Stylist STEFANIA SCIORTINO Assistente stylist FRANCESCA CAPPA Hairstyle Simone APPETITO@HARUMI Make up Giovanni PIRRI@HARUMI

12

era una volta una principessa. Quando era bambina, il suo papà, fotografo di moda, amava ritrarla insieme ai suoi tre fratelli come fossero attori o modelli. La principessa bambina si divertiva immensamente, e dava tutta se stessa in quel gioco. Quella principessa oggi ha 23 anni e muove i primi passi nella vita vera per realizzare il suo sogno, diventare un’attrice. Si chiama Matilda Anna Ingrid Lutz e ha sostituito i vestiti ingombranti che portava a palazzo con dei jeans, un giubbotto di pelle e comode scarpe da ginnastica con le quali gira il mondo. Ma quando la incontro in piazza di Spagna, in un’assolata mattina romana, mi confida inaspettatamente che da ragazzina si vergognava perfino di chiedere un bicchiere d’acqua al bar. «Pensavo non avrei mai potuto fare l’attrice. Finita la scuola mi sono presa un anno sabbatico e sono volata a New York da mio padre. Ho seguito un corso alla New York Film Academy dove ho conosciuto Anna Maria Cianciulli, che insegna Meisner Technique, lì ho iniziato ad appassionarmi». Molti dei suoi compagni di corso combattevano contro la stessa timidezza, lo stesso imbarazzo nel doversi aprire, mostrare. Insieme a loro Matilda ha vinto i suoi timori, affrontando le difficoltà, il disequilibrio, il cambiamento. Quando è tornata a Milano e ha proseguito gli studi con Michael Rogers ha capito che, di recitare, non poteva più fare a meno. Per fortuna! Sono cominciate infatti ad arrivare in poco tempo le prime conferme, e a poco più di vent’anni Matilda vanta diverse presenze sul piccolo schermo. È protagonista di Fuoriclasse e Crossing Lines, senza trascurare la grande passione per il cinema, anche quello che “parla inglese”. A pellicole italiane come L’ultima ruota del carro, di Giovanni Veronesi, alterna infatti anche partecipazioni in film come Somewhere beautiful di A. Kodagolian. Studio e lavoro, Matilda non si ferma un attimo neanche per respirare, si sposta continuamente dall’Italia all’America per lavorare e nel tempo libero scrive sceneggiature, studia gli accenti. È certamente lei la persona giusta che può rispondere a una domanda che da un po’ mi gira nella mente. Le chiedo se c’è qualcosa che il giovane cinema italiano può imparare dal meraviglioso parco giochi che è l’America, e lei senza neanche pensarci mi risponde: «Il rischio. L’Italia deve imparare a rischiare di più, avere il coraggio di puntare su attori sconosciuti, su sceneggiatori che sono ai loro primi lavori. E mi piacerebbe che qualche volta gli attori noti accettassero dei ruoli diversi da quelli che generalmente interpretano, che si affidassero di più a registi esordienti». E mi conferma che lei, pur essendo molto giovane, i suoi rischi se li prende volentieri, tanto da aver preso parte a un’opera prima tutta italiana del giovane regista Tommaso Agnese, che l’ha scelta come protagonista di Mi chiamo Maya. «Mi sono trovata più che bene, Tommaso è stato un maestro. Abbiamo girato di seguito per settimane e a questi ritmi talvolta capita che sia più difficile restituire ciò che la sceneggiatura richiede. Un giorno, durante le riprese, è successo anche a me, Tommaso ha capito la mia difficoltà, ha dato due minuti di pausa ed è venuto a parlarmi. Mi ha trasmesso l’emozione che cercavo per quella scena, senza nemmeno dovermi guardare negli occhi. Beh, ha chiamato il ciak e la scena era buona. Che cosa potevo chiedere di più?». Sotto un viso d’angelo si nasconde una tipa tosta, una che non teme niente e che fatica un po’ a rispondermi quando le chiedo cos’è, appunto, che le fa più paura di questo mestiere. Mi sorride: «Non sapere più dov’è casa. Anche se inizio a pensare che casa non è da dove vengo ma è qualcosa che sto ancora cercando. Mia mamma dice che sono una “gipsy lover”. Potessero inventare una dimora mobile non avrei più paure… Una scatolina che quando vuoi apri e si trasforma in una casa gonfiabile. Essere un po’ gipsy, devo ammettere, mi affascina».


tuta suede e cerchietto VALENTINO anello

13


- Opera prima -

SYDNEY SIBILIA Probabilmente nemmeno nei suoi sogni Sydney Sibilia era arrivato a immaginare che il suo film d’esordio avrebbe riscosso tanto successo: Smetto quando voglio è stato visto da più di 600.000 spettatori, superando i 3 milioni e 600 mila euro di incasso. Davvero niente male. di LUCA OTTOCENTO foto RICCARDO RIANDE e ANDREA PIRRELLO

14

PER UNA NUOVA

COMMEDIA ITALIANA


15


Due immagini di Sidney durante l’intervista nella sua casa romana. Per il suo primo lungometraggio ha arruolato un cast di nomi eccellenti come Edoardo Leo, Valeria Solarino, Paolo Calabresi, Pietro Sermonti, Neri Marcorè, tutti al top della forma.

N

on solo il pubblico ma anche la critica, in maniera pressoché unanime, ha riservato all’opera prima di Sibilia un’accoglienza assai positiva. E meritatamente. Quello del trentaduenne regista salernitano, trasferitosi a Roma dopo aver realizzato il primo corto Iris Blu (2005) con Cristiana Capotondi, è infatti uno dei debutti cinematografici più interessanti dell’anno. Anche se chi conosceva i suoi corti poteva ipotizzarne l’arrivo sul grande schermo (Oggi gira così del 2010 era un gioiellino di scrittura e tempi comici), Smetto quando voglio sorprende per la capacità di intrattenere lo spettatore con intelligenza attraverso una lunga serie di trovate esilaranti, senza mai perdere ritmo. Solo il tempo ci dirà se dal fortunato caso di questo film – che racconta con piglio scanzonato le vicende di un gruppo di ricercatori precari intenti a sbarcare il lunario costituendo una banda di spacciatori di smart drugs – potrà nascere lo spazio per una nuova commedia italiana. Nell’attesa, noi di Fabrique salutiamo con entusiasmo questa operazione riuscita e coraggiosa, cercando di scoprirne di più proprio con l’autore.

«VOLEVAMO TRADURRE ANCHE SUL PIANO VISIVO L’IDEA DI UNA COMMEDIA DIVERSA DAL SOLITO. IL COLPO D’OCCHIO È FONDAMENTALE. PREFERIVAMO RISCHIARE DI SBAGLIARE PIUTTOSTO CHE ADERIRE A UNA SOLUZIONE STANDARD, E CI SIAMO ISPIRATI ALL’ESTETICA IPERSATURA DELLA SERIE INGLESE UTOPIA ». 16

Qual è la storia produttiva di Smetto quando voglio e come sei riuscito nell’impresa di farti finanziare il film da Fandango? Oggi gira così era piaciuto molto a Domenico Procacci, che mi aveva invitato a metter su un gruppo di scrittura. Con Valerio Attanasio avevamo già scritto il nuovo soggetto e presto abbiamo iniziato a lavorare alla sceneggiatura insieme ad Andrea Garello. Inizialmente dubitavo che il progetto sarebbe davvero andato in porto, ma dopo la consegna della prima stesura mi sono reso conto che le cose si stavano sviluppando in maniera positiva. Nel gennaio 2012 il film è stato calendarizzato e successivamente sono iniziati i contatti con Rai Cinema e il percorso per il finanziamento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Hai trovato difficoltà nel passare dalla forma del cortometraggio a quella del film? Da dove è nata e come hai sviluppato l’idea di base? In una primissima fase avevo in mente una serie di situazioni e personaggi che avrei poi voluto legare tra loro attraverso un filo narrativo. Ben presto però mi sono reso conto che questo metodo, che avevo ampiamente utilizzato nei corti, non era proficuo per un lungometraggio. Ora era fondamentale capire subito di cosa e di chi volevo parlare, concentrandomi poi su alcuni personaggi e sul loro arco di trasformazione. Raggiunta questa consapevolezza, mi sono imbattuto in un articolo di giornale in cui erano intervistati due netturbini romani che, pur laureati in filosofia, erano contenti del loro lavoro. Ciò che mi colpiva era la loro serena rassegnazione. Siamo dunque partiti da questa suggestione andando a cercare altre storie simili (molte delle quali ci hanno più o meno direttamente ispirato per il film), per poi sviluppare intorno a esse un mondo coerente e verosimile dove le persone più intelligenti vivono ai margini.


Quali sono stati i vostri modelli narrativi? Inizialmente abbiamo fatto un elenco di alcuni film e serie televisive a cui volevamo ispirarci: ne facevano parte Limitless, Big Bang Theory, Snatch, Romanzo criminale e 21, dal quale abbiamo ripreso la struttura circolare. Nonostante la storia di Smetto quando voglio giri intorno all’elaborazione di una droga sintetica, tra i riferimenti non c’era Breaking Bad, di cui avevo sentito parlare ma che non avevo ancora visto. A un livello più inconscio e generale, credo poi di essere molto legato a un certo tipo di cinema americano degli anni ’80 e ’90 con cui sono cresciuto. Penso a film come Ritorno al futuro, Salto nel buio e Navigator, con quelle loro sceneggiature prive di sbavature. Qual è stato invece il tuo approccio alla regia? E, rimanendo sull’aspetto visivo, cosa ti ha portato alla scelta di una fotografia così satura? Ancora oggi mi sento principalmente uno sceneggiatore, oltre che un intrattenitore. E la messa in scena la penso sempre come qualcosa che deve essere funzionale alla storia. In Smetto quando voglio ho sempre cercato di evitare uno stile invasivo per non rischiare di scivolare nell’autocelebrazione e perdere di vista ciò che conta davvero: la storia e i personaggi. La regia in fondo non è altro che uno degli aspetti di

un lavoro molto più ampio. Per quanto riguarda invece la fotografia, la volontà era quella di tradurre anche sul piano visivo l’idea di una commedia diversa dal solito. Il colpo d’occhio è fondamentale. La maggior parte degli spettatori ormai scelgono se andare a vedere o meno un film dopo aver guardato il trailer sul web. Volendo evitare la fotografia satura al punto giusto del cinema italiano e partendo dalla consapevolezza che preferivamo rischiare di sbagliare piuttosto che aderire a una soluzione standard, ci siamo ispirati all’estetica ipersatura della serie inglese Utopia di Dennis Kelly. Puoi già dirci qualcosa sul tuo prossimo film? Attualmente sto ancora seguendo Smetto quando voglio. Per tornare a scrivere ho sempre bisogno di sentirmi un po’ orfano. A un certo punto arriverà il momento in cui non mi vedrò più legato al primo film e inizierò a lavorare seriamente al nuovo. Comunque farò senz’altro un’altra commedia: l’idea è quella di concentrarmi su qualcosa di un po’ matto. Spero di spiazzare gli spettatori lasciandoli increduli. In ogni caso, cercherò di seguire la strada più difficile, consapevole che per il secondo film ci sarà molta aspettativa da parte del pubblico. Che non voglio in alcun modo deludere.

17


18


- Mondo -

TAIWAN WAVES

STRETTI FRA L’EREDITÀ DELLA CULTURA CINESE E L’INCERTEZZA DEL FUTURO POLITICO, I GIOVANI REGISTI DI QUEST’ISOLA-(NON)-NAZIONE CERCANO NUOVE STRADE PER CONIUGARE SUCCESSO E QUALITÀ.

Courtesy ARS Film Production

di STEFANO CENTINI

19


S

ono anni di silenzioso tumulto quelli che vive il cinema di Taiwan, anni di rivoluzione in cui i suoi giovani registi, che raccolgono il testimone di una generazione pluridecorata – la new wave di Tsai Ming Liang e Ang Lee – hanno un compito ancora più arduo: interrogarsi sul tema universale dell’identità, sul rapporto con il passato storico e culturale della loro nazione, e soprattutto a deciderne, in un certo senso, il suo futuro. tico Mei-Hua di Liu Chia-Chang), e di cinema inserito nel contesto socio-intellettuale durante l’epoca di transizione dalla legge marziale alla democrazia (Hou Hsiao-Hsien e Tsai Ming-Liang). Per la nuova generazione taiwanese, il compito è dunque di superare la contrapposizione tra cinema d’arte e commerciale, convincendo gli spettatori che un cinema di qualità che parli a tutti è possibile. Con storie e personaggi presi dall’esperienza quotidiana e nei quali ci si possa riconoscere, un appeal visivo di giochi di luce fotografici e motivi musicali accattivanti (non a caso il protagonista di Cape No. 7 è il leader di un gruppo musicale). Un impegno vòlto ad affermare il ruolo sempre più determinante che il cinema di Taiwan sembra giocare sullo scenario asiatico. Nell’affannata rincorsa alla conquista del secondo maggior box-office del pianeta, quello del gigante della Cina continentale, i giovani registi taiwanesi sembrano infatti aver scelto di giocare un ruolo inedito: rivendicare la loro libertà creativa e la capacità d’espressione conquistata con l’affrancarsi dal regime militare di Chiang Kai-Shek. Una generazione in grado di sfruttare il sistema di incentivi statali e la capacità di confezionare prodotti cinematografici per sconfiggere la potenza finanziaria dell’ingombrante vicino. Ma come può questa isola di circa 23 milioni di abitanti diventare un piccolo Davide capace di vincere Golia? E come può Taipei reinventarsi quale nuovo centro culturale nel mondo “sinofono”, opposto alla centralità finanziaria di Pechino o Shanghai?

Le immagini sono tratte da: Warriors of the Rainbow (1-5), Au revoir Taipei (2-3), Cape No. 7 (4-6-7), Return to Burma (8-9)

5

20

Courtesy ARS Film Production

2

Courtesy ARS Film Production

1

Courtesy Atom Cinema

Courtesy ARS Film Production

Dietro a questa grande responsabilità si celano però anche spensieratezza e desiderio di reinventare i generi. Tutto è iniziato nel 2006, quando Wei Te-Sheng ha riportato il pubblico in sala con il suo primo successo autoprodotto, Cape No.7. Cinque anni, e Wei è riuscito a costruire un kolossal da più di 20 milioni di dollari coprodotto da John Woo, Warriors of the Rainbow, in concorso a Venezia 69 (2011). Wei Te-Sheng è divenuto così il capostipite di una nuova stirpe di autori che cerca di restituire vitalità all’industria e alla creatività cinematografica dell’isola, puntando allo stesso tempo al pubblico locale e a una qualità che permetta di essere conosciuti all’estero. È il caso di Arvin Chen, cresciuto negli Stati Uniti e ritornato a Taiwan per il suo film d’esordio, Au Revoir Taipei, e il successivo, Will You still Love me Tomorrow (2013), che con la leggerezza di una semi-commedia romantica meditano sull’assurdità e l’instabilità della vita urbana. Lo stesso vale per Chang Jung-Chi che con Touch of the light ha conquistato il pubblico di diversi festival (in Italia al FAFF Udine e al Family Film Festival di Fiuggi) con una storia di formazione sull’importanza del commettere errori. Sembra dunque che il compito di questa generazione di cineasti sia di consolidare il complesso reticolo cinematografico e identitario che col sovrapporsi delle epoche si è formato a Taiwan. Un reticolo fatto di cinema popolare e di propaganda durante l’era di colonizzazione giapponese o di dittatura del Kuomingtang (come i film di cappa e spada di King Hu o i melodrammi Li Hsing, o il classico patriot-

6


INTERVISTA A MIDI-Z

Courtesy ARS Film Production

Nato nel 1982, Midi-Z è arrivato a sedici anni a Taiwan per studiare visual design. COME PENSI CHE TAIWAN ABBIA INFLUENZATO IL TUO LAVORO? Io sono stato fortunato, e sono sicuro che posso fare cinema solamente perché sono arrivato qui; rispetto a molti altri in Asia Taiwan è un paese dove la popolazione gode di molta libertà, non solo dal punto di vista politico o artistico ma anche dal punto di vista delle risorse. Per me infatti è stato fondamentale sfruttare biblioteche, cineteche e così via, tutto ciò che di colpo venendo qui mi è divenuto accessibile e che ha partecipato in maniera sostanziale al mio processo creativo. QUALI SONO I VANTAGGI E GLI SVANTAGGI DELL’ESSERE OGGI UN REGISTA A TAIWAN? Taiwan è un luogo dove si accentrano diverse culture, e che richiama persone diverse da tutto il sud-est asiatico per il suo essere al centro della cultura cinese ma anche capace di assimilare tutto il resto. In questo tipo di paesi sono possibili due scenari: uno è un eccesso di particolarità, l’altro che tutte le particolarità si annullino. Trovo che Taiwan sia in un certo senso persa in questa sorta di schizofrenia. Ovviamente questo è anche un bacino prezioso dove trovare idee e ispirazione per i miei film, ma può diventare anche una specie di ostacolo se il frastuono di tutte queste culture diventa assordante. Ma in ogni caso è stimolante, e crea un tipo diverso di cinema. Se voglio puntare al box-office, posso sempre andare in Cina continentale, o a Hollywood. Però per me il senso ultimo del cinema è sempre stato: se non hai niente, solo una stanza e due attori, come fai a fare un buon film? ED È ANCHE PER QUESTO CHE I TUOI FILM SONO UNA VIA DI MEZZO FRA LA FINZIONE E IL DOCUMENTARIO? Senza dubbio, abbiamo girato Return to Burma con un buget totale di diecimila dollari americani e con una troupe di tre persone, me compreso (il produttore è finito per diventare anche uno degli attori!). Ero colpito dal fatto che tutti i miei compatrioti volevano andarsene, io invece volevo fare un film su qualcuno come me, qualcuno che voleva tornare dopo essere mancato per dieci anni. Soprattutto se il ritorno poteva coincidere con un evento davvero straordinario per la Birmania, le prime elezioni dopo anni. Dunque ho pensato di usare la mia prospettiva e quella delle persone accanto a me per raccontare a chi non conosceva il mio paese quello che stava succedendo. QUALI PENSI SIANO LE SFIDE CHE INCONTRANO I GIOVANI REGISTI A TAIWAN? Circa tre o quattro anni fa ero piuttosto preoccupato che il cinema taiwanese potesse prendere una piega troppo commerciale, mi accorgevo che molti miei coetanei cercavano di fare film per convincere il pubblico a tornare in sala, mirando al botteghino piuttosto che alla qualità. Poi mi sono ricreduto: negli ultimi due anni ho visto tanti diversi tipi di prodotti, non solo commerciali ma anche ottimi documentari, film artistici o impegnati. Credo che un cinema sano abbia bisogno di questo, di una certa diversità dei generi, e il nostro compito è fare sì che questa diversità non si esaurisca.

Courtesy Atom Cinema

Una delle possibili risposte è forse nella capacità che i giovani registi hanno sviluppato nei confronti del genere documentario. Con il supporto della televisione pubblica PTS, autori come Shen Ko-Shang, Zero Chou, Yang LiChou o Hung Yi-Hao hanno scelto di usare le vite dei loro personaggi per interrogarsi sull’evoluzione del loro paese con un’immediatezza ben più difficile da raggiungere in Cina, se non per problemi di censura per il posto più marginale che occupa il documentario. Taipei si è così trasformata in un luogo dove modernizzare e ridiscutere l’eredità culturale cinese che vive oltre le frontiere della Cina continentale. Per questa sua prerogativa, la città continua ad accogliere generazioni di registi di nazionalità diverse, che condividono la medesima eredità linguistico-culturale. Come in passato è stato per Tsai Ming-Liang, arrivato a Taiwan dalla Malesia, in questi anni è la volta di Midi-Z, giovane regista birmano che dopo aver vissuto e studiato cinema per dieci anni a Taipei ha esordito con un primo lungometraggio, Return to Burma (2011), presentato a diversi festival internazionali tra cui Rotterdam e Busan [vedi box]. Grazie a lui il pubblico internazionale ha potuto scoprire un paese fino ad allora quasi assente dagli schermi, la Birmania, seguendo le storie di diversi personaggi la cui vita vera si intreccia con la finzione. La scelta di una prospettiva più vicina al quotidiano rischia però di rinchiudere il panorama del cinema taiwanese in una vetrina troppo piccola: rischi evidenziati negli ultimi due o tre anni da film anche commerciali incentrati su vicende prettamente locali e parlati in dialetto taiwanese (Night Market Hero, David Loman). Dunque, dopo aver riportato il pubblico locale in sala, la sfida per i nuovi autori sarà trovare un punto di vista attraverso cui descrivere il proprio quotidiano, non separandosi né dalle radici culturali né dal mondo circostante, ma sfruttandoli per ricercare la vera universalità del cinema.

Courtesy ARS Film Production

7

8

Courtesy Flash Forward Entertainment

4

Courtesy Flash Forward Entertainment

3

9

21


NEW ROMANTIC IL COLLETTIVO INCEPTION CENTRA IL BERSAGLIO PARLANDO DELL’AMORE IN TEMPI DI CRISI. DAI CORTOMETRAGGI AL CINEMA (PASSANDO PER IL WEB E SKY)

22


C

on Amoreoggi un gruppo di filmmakers giovani e indipendenti realizza una commedia nuova e inaspettata, arrivata da poco dalla tv alle sale cinematografiche. Partiti dalla richiesta di Sky di realizzare un prodotto per San Valentino, «abbiamo provato a inventare una commedia romantica-non romantica che trattasse il backstage dell’amore» spiegano Giancarlo Fontana e Giuseppe Stasi, i due registi del collettivo Inception. Sono quattro le storie che si sfiorano senza toccarsi pur abitando tutte il presente. Racconti che con diverse chiavi di lettura, con un approccio nuovo e dinamico, mostrano il sentimento e le difficoltà che incontra ai nostri tempi, alle prese con la crisi, i tabù, la tirannia dei media/social/reality e delle apparenze. Ma è un film frizzante, che gioca con le fragilità e i problemi di una generazione e riesce a renderli con spensieratezza. Esordienti i due under 30 alla regia, Fontana e Stasi, autori di soggetto e sceneggiatura insieme a Marco Lupo Angioni e Daniel Franchina e con la collaborazione di Andrea Bassi alla scrittura. Nel cast nuovi talenti e volti già noti: Andrea Bosca, Sara Zanier, Alessandro Tiberi, Edoardo Purgatori, Giancarlo Fontana, Giulia Lapertosa, Mily Cultrera di Montesano, Ugo Piva. «Volevamo giocare su toni agrodolci, spaziando dal reale al surreale, dalla serietà allo scherzo», affermano Angioni e Franchina, produttore esecutivo e autore, dalla scrittura ironica e coinvolgente che si è guadagnata i cameo di Neri Marcorè, Caterina Guzzanti, Enrico Bertolino, Gianluca Vialli, Fabio Caressa e Rocco Siffredi. Originalità e freschezza accompagnate da una grande abilità tecnica che ha permesso la realizzazione di un prodotto di qualità nonostante il low budget. Amoreoggi è costato 400.000 euro, fino a dieci volte meno di altre commedie, grazie alle tecnologie e a una nuova organizzazione del lavoro. «Siamo – dicono i ragazzi di Inception – dei fanatici delle nuove tecnologie digitali “leggere” e del lavorare secondo lo stile dei pionieri della settima arte», ovvero tanto entusiasmo e sperimentazione senza troppo seguire regole e dogmi. «Fondamentale è stato però avvalerci dell’esperienza di veterani del settore soprattutto per logistica, amministrazione e sicurezza».

Mario

Luisa e Andrea

Paride

Mimmo

4 S T O R I E D ’A M O R E Con Andrea e Luisa (Andrea Bosca e Sara Zanier) si racconta, nell’era della flessibilità, l’amore che reagisce a contatto con la crisi: la coppia ha trovato una felice e non scontata alternativa alla precarietà, alla difficoltà di sbarcare il lunario con la frustrazione che ne consegue. Secondo capitolo: l’incontro casuale tra Mimmo (Giancarlo Fontana) e la bellezza angelica che immagina sarà l’amore della sua vita (Mily Cultrera di Montesano), la tenera caparbietà con cui la cerca fino allo sfinimento nei social network, e finalmente il ricongiungimento per

mezzo di un avvoltoio che cerca carne per il suo reality show. Poi c’è Paride (Edoardo Purgatori) che, abbandonato dalla storica fidanzata (Giulia Lapertosa), si dedica alla cura del suo corpo fino a diventare un narciso metrosexual. E Mario Marinelli (Alessandro Tiberi), gay e calciatore di serie A, che sull’ottusità dell’ambiente e la visione stereotipata che gli altri hanno di lui proverà a far vincere l’amore per il proprio compagno.

23




- Cinema e moda -

Actors a cura di TOMMASO AGNESE E SARA BATTELLI foto ROBERTA KRASNIG Stylist STEFANIA SCIORTINO / Assistente stylist FRANCESCA CAPPA / Hairstyle Simone APPETITO@HARUMI / Make up Giovanni PIRRI@HARUMI

26


studio

Nuovi volti, corpi, storie da raccontare anello

occhiali da sole SUPER by RETROSUPERFUTURE速

27


{

Recitare ha a che fare con emozioni delicate. Non è come indossare una maschera. Ogni volta che un attore recita non si nasconde, ma mostra se stesso. JEANNE MOREAU

L

avorare con le emozioni non è cosa semplice, conoscerle e sperimentarle è il lavoro dell’attore. E la qualità principale di ogni giovane attore deve essere l’energia e la voglia di imparare a comprendere e sperimentare nuove emozioni, di lanciarsi nel profondo della propria anima per scavare e raccogliere impensabili sensazioni e meravigliose sfumature. Questo deve essere l’unico scopo del giovane apprendista attore, non il desiderio di diventare famoso, non la ricerca dell’approvazione, ma la voglia di trasmettere sensazioni pure, di comunicare attraverso il proprio corpo, di vivere vite e storie lontane e avvicinarle a chi non le ha mai vissute o a chi le vuole semplicemente ammirare. La bellezza di recitare è solo questo: parole scritte che attraverso un’elaborazione mentale e fisica si trasformano in immagini vive, in persone allo stesso tempo reali e fittizie. Sono le capacità dell’attore che rendono verisimile ciò che non è reale. Fabrique persegue questa purezza di stile e di carattere nei dossier che propone ai suoi lettori. Cerchiamo attraverso un’indagine nel mondo

28

dello spettacolo di raccontare prima di tutto persone, ragazzi intelligenti e concentrati sul proprio lavoro, che amano quello che fanno e tutto il resto è solo una conseguenza, nulla di più. Spesso ci concentriamo sulle agenzie di attori che aiutano i giovani a emergere nel difficile mondo del cinema, suggerendo percorsi mirati che portano i ragazzi a seguire studi e a imparare le basi del proprio lavoro fino a farli debuttare. Agenzie e uffici stampa che vanno premiati perché insegnano l’umiltà e le difficoltà che si possono incontrare nell’ascesa artistica di un talento. In questo numero però, per dimostrare ancora una volta la nostra indipendenza, la nostra autonomia di giudizio e di selezione, vogliamo presentarvi degli attori e delle attrici che hanno accettato di collaborare con noi semplicemente perché condividono i nostri stessi ideali: la voglia di imparare, l’umiltà, l’energia e la speranza che il futuro sia cinematograficamente più ricco e vario del presente. Ma questo forse in parte dipende anche da tutti noi, che lottiamo per costruire qualcosa di nuovo. (Tommaso Agnese)


Simona Tabasco

G ug l ielm o Po g g i

20 anni, studi di recitazione prima con Gisella Burinato e poi al Centro Sperimentale. Un’esperienza tv (Fuoriclasse 2), nel ruolo di coprotagonista, sta ora finendo un film per la regia di Edoardo De Angelis nel quale interpreta la figlia ribelle di Luca Zingaretti. «Non sono mai stata la bambina alla quale domandi: cosa vuoi fare da grande? E lei risponde: l’attrice. Al massimo rispondevo che volevo fare la ballerina... A un certo punto mi sono resa conto che avrei potuto provare a recitare, e adesso, senza nessuna aspettativa, mi trovo con qualcosa di magico e prezioso fra le mani, da prendere anche con molta cautela. È un mestiere che ti mette in gioco tutti i giorni, sfida la tua autostima e la tua capacità di previsione, perché non sai mai che cosa ti riserva il futuro. Ma c’è anche, inutile nasconderlo, la sfida economica, dato che si tratta comunque di un lavoro precario».

tuta LUCIO VANOTTI bomber COMEFORBREAKFAST sneakers PUMA anello

Guglielmo Poggi 23 anni appena compiuti, diplomato alla Corrado Pani e diplomando al CSC. Ha recitato in Viva l’Italia di Massimiliano Bruno, Smetto quando voglio di Sidney Sibilia e in teatro in Romeo e Giulietta, regia di Luigi Proietti. Dice ironicamente di sé: «Ho scelto di fare l’attore perché sarei un pessimo medico (non conviene affidare il bisturi ai creativi); perché mi piace dormire fino a tardi ma svegliarmi alle 5 per la convocazione è come andare a scartare i regali la mattina di Natale; o solo per abdicare a me stesso, per allontanare per poco il cinismo». Obiettivi (al condizionale) per il futuro di giovani attori come lui? Cercare di fare categoria, trovare le persone con cui creare un percorso comune senza vedere i colleghi come nemici, salvare il teatro e la buona drammaturgia in via d’estinzione, ritornare a fare invidia agli attori americani...

Sim on a Tab a s c o

maglia COMEFORBREAKFAST giacca con zip LUCIO VANOTTI sneakers PUMA

29


Na d ir C a s ell i

Nadir Caselli 25 anni, ha studiato nella scuola “teatro a vista” di Francesca e Silvia Rizzi, e l’abbiamo vista sul grande schermo fra gli altri in La peggior settimana della mia vita, Posti in piedi in paradiso, Benvenuto presidente. Recita fin da piccola, ma non avrebbe mai pensato potesse diventare un lavoro: «Fortunatamente è stato il lavoro a trovarmi, a 18 anni, per un film ambientato in Toscana, tramite un’agenzia di moda di Firenze. So di essere fortunata: fare l’attrice mi permette di vivere contemporaneamente l’aspetto onirico, emotivo, visionario della vita e quello concreto, quotidiano e reale». Nadir non si fa troppe illusioni, vista la situazione critica del nostro paese, che ostacola la voglia di fare dei suoi coetanei: «Gli obbiettivi di chi fa cinema, come in molte altre professioni, sono difficili da raggiungere, e forse ancora più difficili da coltivare. Sono sicura però che l’impegno di oggi di tutti i lavoratori dello spettacolo (e non) porterà a un cambiamento positivo».

top e gonna COMEFORBREAKFAST blazer LUCIO VANOTTI sneakers PUMA

30

Jo ele An a st a si

Joele Anastasi 25enne diplomato alla Link Academy di Roma, per due anni frequenta il laboratorio di teatro alla Biennale di Venezia con l’argentino Claudio Tolcachir e la spagnola Angelica Liddell; inoltre lavora con Luciano Colavero alla Paolo Grassi di Milano e con il maestro Nicolaj Karpov. «Sono attratto da artisti che pur nascendo come attori sono diventati anche autori e registi dei propri lavori», rivela, perciò è impegnato anche come drammaturgo e regista della compagnia Vuccirìa Teatro fondata insieme a Enrico Sortino. Ma non sono mancate esperienze in video e tv, tra le quali il corto Un tempo per la musica di Giuseppe Cardaci. L’arte, spiega, forse è solo una reazione alla propria incapacità di stare al mondo: la protesta per una società che vorremmo diversa. «E provare a essere autentici è la sfida più grande per noi oggi. Questo mestiere credo sia una lotta continua, per esistere e per “resistere”. E per farlo bisogna accettare i continui cambiamenti. La nostra professione cambia perché la società cambia».

camicia lunga e cappotto COMEFORBREAKFAST pantaloni LUCIO VANOTTI sneakers PUMA


Jo s afat Vag ni

Esther Elisha Diplomata alla Paolo Grassi di Milano, 33 anni, ha lavorato negli ultimi due film di Guido Lombardi (Là-Bas e Take five), e come protagonista in Neve di Stefano Incerti, «un set molto duro, che però mi ha insegnato molto». In teatro sta per cominciare le prove di Good People con Michela Cescon, diretta da Roberto Andò. È passata anche in televisione (Il commissario De Luca) e siamo impazienti di vederla per la prima volta in una commedia per il cinema, Pizza e datteri di Fariborz Kamkari. «È sempre più difficile vivere di questo mestiere e ho l’impressione che si rischi di non passare il testimone della conoscenza e dell’esperienza da una generazione all’altra; la scarsità di mezzi rischia di lasciare spazio a un impoverimento qualitativo preoccupante. Ciò detto, sono molti i giovani di talento e innamorati del cinema in tutti i reparti, tecnici, artistici e produttivi, perciò abbiamo le carte in regola per superare questo duro momento».

abito lungo e cappotto smanicato COMEFORBREAKFAST sneakers NIKE anello

Josafat Vagni 28enne diplomato all’Accademia Corrado Pani, negli ultimi due anni è stato impegnato in teatro nella pièce brillante Conosci i Parker? (regia di Stefano Messina), al cinema in Come non detto di Ivan Silvestrini nel ruolo di protagonista, e in Acab di Stefano Sollima. Alla domanda di rito sul perché abbia scelto di fare l’attore, risponde con umorismo e disincanto: «Perché dopo la crostata di more è ciò che mi viene meglio. Per egocentrismo in una prima fase, per risparmiare in una seconda (l’analisi costa di più degli stage di metodo…). Scherzi a parte, questo mestiere ti offre una miriade di occasioni per “cercare” dentro e fuori il personaggio, puoi conoscere il mondo e chi lo abita. Aspetto che questa diventi veramente la mia professione, cioè che mi dia da vivere con continuità, poi in caso potrò soffermarmi sull’impegno civile dell’attore e sul suo ruolo nella società moderna... Per ora la mia vera sfida è fare di un sogno un lavoro».

pantaloni e cappotto COMEFORBREAKFAST blazer LUCIO VANOTTI sneakers PUMA

Simona Tabasco

E sth er El ish a 31


- Icone -

SOPHIA LOREN

ASSOLUTAMENTE

DIVA Un’ora di attesa, sette minuti a disposizione per parlarle. «Sono stanca», dice lei alla seconda domanda. Ma è solo una posa. Tanto per saggiare il terreno, tanto per provocare.

di ILARIA RAVARINO foto UPGRADEARTIST

32


33


O

spite del festival di Cannes per La voce umana, il mediometraggio diretto dal figlio Edoardo Ponti, Sophia Loren ha voglia di scherzare. Il giorno successivo alla nostra intervista terrà una lezione di cinema nel Palais del festival da tutto esaurito, seducendo il pubblico e incantando i fotografi senza risparmiarsi nessun vezzo. Incluse le lacrime. E un abito da capogiro. Marcello Mastroianni, scelto quest’anno dal festival come volto ufficiale, la guarda dall’alto dei poster mentre Loren festeggia il ritorno a Cannes, che nel 1966 la volle addirittura presidentessa di giuria. «Marcello è nel mio cuore – dice la diva, il mito, l’icona – Abbiamo lavorato insieme per vent’anni. Trovarlo qui è stata la cosa più bella di questo festival».

Immagini tratte dal film La voce umana, diretto da Edoardo Ponti e prodotto da Massimiliano Di Lodovico e Rai Cinema.

34

È tornata a Cannes con il film di suo figlio. Come si è sentita a recitare per lui? È stato meraviglioso. È un regista attento e meticoloso. Abbiamo provato il monologo come se fosse una pièce teatrale. Confesso che è stata la prima volta in vita mia in cui ho fatto delle prove per un ruolo. È difficile, oggi, immaginarla alle prese con il panico da provino. Ne ricorda qualcuno particolarmente emozionante? Certo, quando De Sica mi chiamò per il casting de L’oro di Napoli. Tremavo dall’emozione. Lui si limitò a fare due chiacchiere con me in napoletano, e dopo poche frasi già mi aveva scelta. Non ci potevo credere. Posso dire che per tutti gli anni della nostra collaborazione, da allora, non c’è mai stato uno screzio, un’incomprensione. Ci bastavano poche parole nella nostra lingua e io sapevo cosa fare. C’è stato un periodo della sua carriera in cui ha pensato di non farcela? I primi anni sono stati il periodo più duro. Pensavo solo a trovare lavoro per portare a casa un po’ di soldi per mia madre e noi figlie. Non guardavo neanche i copioni, mi bastava che ci fosse l’opportunità di lavorare. Poi tutto è cambiato, come in una favola. Quanto ha contato la bellezza nel suo successo? La bellezza non è importante. Devi essere “interessante”, cioè diversa da tutte le altre. Io, per esempio, non sono mai stata bella. Il suo pubblico non la pensa così... Intendo: non sono mai stata una bella bambolina. Anzi, quando ho cominciato mi dicevano che non ce l’avrei mai fatta perché non ero abbastanza fotogenica. Dicevano che la mia bocca era troppo grande, che avrei dovuto rifarmi il naso. Io, piuttosto, me ne sarei tornata a Pozzuoli. La mia faccia non l’avrei mai cambiata. Com’è riuscita allora a imporre il suo ideale di bellezza? Devo ringraziare i fotografi e i registi che hanno capito come valorizzarla. Lei, che è un’icona del nostro cinema, come convive col suo mito? Benissimo, visto che non mi sono mai considerata tale. Come ricorda l’Oscar per La ciociara, nel 1960? Il problema è che i premi mi mettono una grandissima agitazione: se penso di vincere non vinco. Così, quella sera, non mi sono nemmeno presentata. Sono rimasta in Italia, sveglia fino alle sei del mattino. Dato che non era successo nulla me ne sono andata a dormire. E a quel punto è suonato il telefono e dall’altra parte c’era Cary Grant che urlava: «You won, Sophia! You won!». Ho cominciato a saltare sul letto come una pazza. A proposito di colleghi: con chi si è trovata meglio sul set? Cary Grant era una persona squisita, Gregory Peck un gran professionista e Charlton Heston era molto serio. Tra i contemporanei il mio preferito è Daniel Day Lewis: in assoluto il più bravo in circolazione. È solo per lui che ho accettato di girare Nine, un film che in teoria doveva ispirarsi a 8 e mezzo di Fellini... ma di Fellini non c’era proprio niente. C’è un collega con cui invece non si è trovata a suo agio? Marlon Brando, con cui feci La contessa di Hong Kong di Charlie Chaplin. Il primo giorno di riprese si è presentato sul set con 45 minuti di ritardo. Chaplin era furioso, lo rimproverò minacciando di sostituirlo. Brando si è scusato, e nell’incredulità generale ha tirato fuori la sua vera voce: una vocina sottile sottile, tutt’altra cosa rispetto a quella che sfoderava sul set. Stava sulle sue e mangiava tutto il tempo, esclusivamente gelati. Non mi stupisce che sia diventato così grosso alla fine. Era un grandissimo interprete, ma di certo non un simpaticone. Vede un’erede tra le attrici della nuova generazione? Beh...


«OTTANT’ANNI, CHE CI POSSO FARE? GLI ANNI PASSANO PER TUTTI. FORTUNATAMENTE STO BENISSIMO, HO TANTA ENERGIA E VOGLIA DI FARE. VEDIAMO CHE SUCCEDE. SICURAMENTE FARÒ UNA BELLISSIMA FESTA».

È un no? Non saprei, per dirlo dovrei vedere tanti di quei film... Posso dire con sicurezza che mi è piaciuto molto il film di Sorrentino. Sono felice che abbia vinto l’Oscar. Un successo così grande avrà senz’altro delle ricadute positive per il nostro paese. Come giudica il cinema italiano di oggi? Bene. Abbiamo tante cose da dire, siamo bravi e belli. Ci mancano i soldi, purtroppo. Che ne pensa della crisi? A me l’Italia sembra sempre bella. Spero che prima o poi questa crisi, che non fa soffrire solo noi, si risolva. Ma non voglio parlare di politica, non mi compete, non saprei farlo.

Cosa la porta ancora sul set? L’entusiasmo e la voglia di buttarmi in una battaglia, anche se non so come andrà a finire. Le cose difficili mi piacciono. E, facciamo le corna, fino a ora mi sono sempre riuscite. Ha un sogno professionale ancora da realizzare? Sì c’è, ma non lo posso dire. Si tratta di una cosa importante per me, una cosa che non ho mai fatto. Ci devo pensare bene. Si avvicina un compleanno importante, quello degli ottant’anni. Festeggerà? Ottant’anni, che ci posso fare? Gli anni passano per tutti. Fortunatamente sto benissimo, ho tanta energia e voglia di fare. Vediamo che succede. Sicuramente farò una bellissima festa. Qual è la lezione più importante che ha imparato? La mia vita non è stata facile. Ma sono arrivata a questa età anche perché sono sempre stata circondata da persone che mi amano, che mi stimano, che mi fanno sentire orgogliosa di me. Certo, adesso capisco che devo contare le ore, perché ogni secondo è importante: ogni istante è prezioso.

35


- Futures -

ALDO IULIANO

L’IMMAGINE SULLA CARTA E L’IMMAGINE IN MOVIMENTO Aldo Iuliano è entrato da autodidatta nel mondo del fumetto e del cinema. Ora si appresta a fare il grande salto con il primo lungometraggio, con l’aiuto di una giovane produttrice e dell’inseparabile fratello sceneggiatore. di GIOVANNA MARIA BRANCA foto PAOLO PALMIERI

36


37


Aldo Iuliano, 34 anni di Crotone, una laurea in Scienze della Comunicazione. Fulgenzio, il corto che ha girato nel 2012, ha ottenuto un ottimo riscontro nei festival ed è addirittura stato acquistato per la distribuzione in Giappone.

«NON SONO D’ACCORDO CON CHI PENSA CHE UN REGISTA DEVE SPECIALIZZARSI IN UN GENERE. INVECE PENSO CHE UN REGISTA DEBBA ESSERE IN GRADO DI USARE IL GENERE CHE MEGLIO SI ADATTA ALLA SUA STORIA». Cominciamo con il tuo primo film… È un passo avanti dopo una quindicina di cortometraggi, dopo cioè molta esperienza che mi ha aiutato a capire cos’è il cinema e come si fa. Non ho la pretesa di dire che sono un regista, credo che prima occorra aver fatto almeno due o tre film. Quindi dico solo che ho fatto tante cose, perché ne avevo voglia e perché per me è una necessità. L’idea del film è nata su una panchina: io e Andrette Lo Conte – la co-fondatrice della mia casa di produzione Freak Factory, nonché bravissima attrice con cui ho sempre lavorato – eravamo seduti di fronte al cinema Adriano. Lei mi ha accennato a uno spunto che aveva in mente, io ho aggiunto un’immagine visiva e da lì abbiamo cominciato a costruire tutto. Poi la palla è passata a mio fratello Severino, sceneggiatore professionista: lui ha individuato la chiave della storia, e ci siamo resi conto che avevamo qualcosa che poteva funzionare. Con i corti mi è piaciuto sperimentare tutti i generi. Non sono d’accordo con chi pensa che un regista deve specializzarsi in un genere: poi lo si etichetta sotto quella categoria, una prassi che fa comodo soprattutto all’industria. Invece penso che un regista debba essere in grado di usare il genere che meglio si adatta alla sua storia. Nel caso del mio film, che si intitolerà In utero, siamo partiti da un genere drammatico e siamo arrivati a strutturare un thriller con venature quasi horror.

Dei corti che hai realizzato quello che ha avuto più successo e girato di più tra i festival è stato Fulgenzio. Com’è nato? Anche in quel caso l’idea era di fare uno step in più, stavolta di produzione. Eravamo in Spagna sempre io, Severino e Andrette, cercavamo la scintilla per un cortometraggio. Tra le varie proposte mi è piaciuta quella di Fulgenzio perché mi dava la possibilità di affrontare la commedia, genere in Italia ormai abusato, e la sfida era proprio tirar fuori qualcosa di non visto e non sperimentato. Fulgenzio nasce da un’idea semplice: una sposa all’altare decide di non sposarsi più perché il marito ha un secondo nome ridicolo. È una sorta di variazione sul tema dell’apparenza. L’impianto visivo è western, perché in fondo si tratta una grande sfida tra le parti: marito, moglie, prete, genitori... Il tutto con venature dark. Anche con la colonna sonora abbiamo fatto un bel lavoro, perché l’abbiamo registrata in una chiesa dell’Ottocento con un organo antico, ed è quindi assolutamente diegetica, in linea con la storia. Fulgenzio è stato il primo lavoro in cui ci siamo messi a tavolino e abbiamo detto “ok, non giochiamo più, ragioniamo anche di produzione”. Ed è andata molto bene, l’abbiamo portato in giro per i festival, tra cui quello di Clermont-Ferrand: ma la cosa più interessante è che è stato comprato per il mercato giapponese. Un bel traguardo: in Italia per distribuire un cortometraggio si spendono soldi, invece è bastato portare Fulgenzio all’estero perché venisse acquistato. In che modo il tuo background di fumettista dialoga con il cinema? E come mai hai deciso di dedicarti alla regia? Il fumetto è una grandissima educazione all’immagine: quando padroneggi la figura nello spazio, la prospettiva, riesci a inseguire le visioni che hai quando leggi una sceneggiatura. È una questione di controllo, è tenere in un certo senso l’immagine con le briglie. Quando disegni sei un po’ direttore della fotografia, po’ attore, po’ regista. Insomma, ti rendi conto di parecchie cose... però sei da solo. Naturalmente ti confronti anche con altri colleghi, con i libri ecc., ma il cinema è stata l’evoluzione naturale. Cerchi altri strumenti: il suono, l’immagine in movimento. Comunque il fumetto non deve invadere il cinema: il cinema è un linguaggio, bisogna conoscerlo per trovare il giusto equilibrio. Perché un giovane regista come te ha sentito l’esigenza di fondare una casa di produzione? E come ti rapporti con il mondo produttivo italiano? Non troppo bene, a dire il vero. Forse il motivo per cui non ho ancora fatto il mio primo film è perché non mi ci sono confrontato come si deve, sono un po’ polemico in questo. Quindi ho pensato che il primo sforzo avrei dovuto farlo io per cercare di farmi conoscere, senza dover troppo mediare in anticipo. Porto avanti quello che vorrei fare e poi vedo se qualche produttore si può interessare. La casa di produzione è nata perché per In utero abbiamo fatto domanda al Ministero per lo sviluppo sceneggiature, e abbiamo vinto. Questo ci ha permesso di credere ancora di più nell’idea. Io non sono portato per fare il produttore, quindi lascio tutto in mano ad Andrette: serve avere talento anche in quello. Servono dei produttori giovani che abbiano un approccio coraggioso, e io in lei l’ho trovato.

38



- Dossier -

NEW SYSTEM PRODUCTION, LE STRATEGIE EUROPEE 20142020

ITALIA VS ITALY IL KNOW-HOW DELLE NUOVE PRODUZIONI

40


TRA PROMOZIONE E CONTINUITÀ, IL NUOVO CINEMA TENTA DI SUPERARE L’IDIOMA ITALICO PER VARCARE PIÙ AGILMENTE I CONFINI. di SIMONA MARIANI

D

a qualche anno i produttori italiani tendono a realizzare lungometraggi in lingua inglese per il mercato estero. L’uso dell’inglese sta diventando un passaggio indispensabile, ma la circuitazione europea dei nostri prodotti è ancora scarsa e l’impiego dei fondi europei a sostegno del cinema tra i più bassi d’Europa. LA TAVOLA ROTONDA DI FABRIQUE Quali sono le possibilità di sostegno dei nuovi programmi targati Ue? Si è aperta con questa domanda la tavola rotonda organizzata da Fabrique nel marzo scorso. A moderare l’incontro presieduto da Giuseppe Massaro, direttore di Media Desk Italia (Ufficio di rappresentanza in Italia del Programma MEDIA dell’Unione europea), Lino Damiani, esperto di europrogettazione. Tra le produzioni intervenute: Nedioga di Pierpaolo Cortesi per il film Watch Them Fall di Kristoph Tassin, Gabriele Albanesi per Surrounded di Federico Patrizi, Ambi di Andrea Iervolino per Sights of Death di Alessandro Capone, Look Inside di Erica Fava per Tender Eyes di Alfonso Bergamo, West 46th Film di Alessandro Parrello per The Sweepers di Igor Maltagliati e per il cortometraggio 41° Parallelo è intervenuto il regista Davide Dapporto. Un incontro nato dal desiderio di fornire ai giovani talenti italiani la possibilità di incontrarsi e confrontarsi con esperti di europrogettazione, destinato alle organizzazioni, alle imprese e ai professionisti che operano nel settore culturale, creativo e audiovisivo, per offrire una panoramica delle principali opportunità che l’Unione europea offre in questo ambito nel corso del nuovo Programma Europa Creativa/Sotto-programma MEDIA (2014-2020). L’info-day è stato il momento per discutere di varie esperienze e fare il punto sulla situazione dei finanziamenti al settore cultura che, come sappiamo, in Italia vengono tagliati di anno in anno nell’errata convinzione che il settore non possa generare ricchezza. Al contrario l’Unione, con i nuovi programmi, sceglie di puntare anche sul cinema e l’industria culturale e creativa per stimolare la ripresa della crescita economica e dell’occupazione. L’EUROPA SCOMMETTE SU CINEMA E CULTURA In effetti la cultura ha un potenziale di crescita enorme: secondo studi europei, nel periodo 2000-2007 le industrie culturali hanno registrato un incremento del tasso d’occupazione pari al 3,5% annuo, a fronte dell’1% del totale dell’economia Ue. Si tratta quindi di dati che lasciano intravedere un buon potenziale di crescita per il comparto

culturale che a oggi costituisce il 4,5 % del Pil dell’Unione e dà lavoro a circa 8,5 milioni di persone. Per il nuovo programma quadro, pensato per il settore audiovisivo, culturale e creativo si è scelto di stanziare ben 1,46 miliardi di euro (con un incremento del 9% rispetto agli attuali finanziamenti), di cui 824 milioni al sottoprogramma MEDIA, destinato principalmente a facilitare l’accesso al credito bancario di piccoli operatori. I numeri parlano chiaro e il nuovo programma che sarà in vigore fino al 2020, secondo le stime della Commissione europea porterà a beneficiare di questo nuovo sostegno oltre 250.000 artisti e operatori culturali, i cui lavori potranno varcare più facilmente i confini nazionali, e più di 800 film europei, la cui distribuzione nel mondo verrà sostenuta in sala e online, anche attraverso aiuti al doppiaggio e alla sottotitolazione. Ne trarranno vantaggio anche 2.000 cinema, a condizione che scelgano di dedicare almeno il 50% della loro programmazione a film europei. Ma cosa serve al cinema italiano per “fare sistema” all’estero? Sicuramente, per rilanciare i film italiani sul mercato internazionale bisogna investire al più presto sulla promozione e sul marketing, offrendo maggior sostegno economico ai distributori esteri e lavorando sulle nuove aree culturali e geografiche che esprimono una forte domanda di consumo made in Italy, favorendo l’alfabetizzazione cinematografica e promuovendo nuove forme di distribuzione, così da consentire la nascita di nuovi modelli di business. IL NUOVO PROGRAMMA EUROPA CREATIVA In questo ambito il sostegno dei nuovi programmi europei sembra decisivo. Giuseppe Massaro, invitato a presentare Europa Creativa/Sotto-programma MEDIA (2014-2020), ne illustra le caratteristiche innovative: «Il programma sostiene le società di produzione europee indipendenti in varie fasi che vanno dallo sviluppo dell’opera audiovisiva destinata al cinema, tv o web, alla produzione, attraverso differenti forme di sostegno come lo Sviluppo di Singoli Progetti, sviluppo di un Catalogo di Progetti (slate funding), sostegno alla Programmazione Televisiva e sostegno allo Sviluppo di Videogames. Questi contributi intervengono in diverse fasi della produzione, supportando la prima fase di sviluppo di progetti dedicati al mercato europeo e internazionale e presentati da società di produzione indipendenti, in particolare Pmi; promuovendo la fase della diffusione transnazionale delle opere audiovisive europee, destinate al cinema, alla tv e al web; agevolando e facilitando le co-produzioni europee e internazionali di opere audiovisive».

41


LE CIFRE IN GIOCO Risulta pertanto vasto il campo d’azione all’interno del programma, tante le categorie dei progetti eleggibili tra cui: lungometraggi di finzione (importo massimo del contributo finanziario erogabile 60.000 euro), opere di animazione (importo massimo del contributo finanziario erogabile 60.000 euro) e documentari creativi destinati in primo luogo al cinema di una durata minima di 60 minuti (importo massimo del contributo finanziario erogabile 25.000 euro), fiction (one-off o serie) di una durata totale minima di 90 minuti (importo massimo del contributo finanziario erogabile 50.000 euro, nel caso di una fiction con un budget di produzione pari o superiore a 1,5 milioni di euro, o 30.000 euro se inferiore). Inoltre diversi contributi sono destinati a opere di animazione (one-off o serie) di una durata totale minima di 24 minuti e documentari creativi (one-off o serie) di una durata totale minima di 50 minuti destinati in primo luogo alla diffusione televisiva o su piattaforme digitali. A ogni modo il contributo finanziario concesso è non superiore al 50% dei costi ammissibili presentati dal produttore. Tra i quali: acquisizione dei diritti d’autore; attività di ricerca di materiale di archivio; scrittura della

sceneggiatura, compreso il trattamento, fino alla versione definitiva; ricerca e identificazione dei tecnici principali e casting; preparazione di un budget di produzione e di un piano finanziario; ricerca e individuazione di partner industriali, coproduttori e finanziatori; preparazione del piano di produzione fino al termine; strategie iniziali di marketing e di sfruttamento dell’opera; realizzazione di un trattamento video o di un pilota. Le application per partecipare al Programma Europa Creativa vanno redatte in lingua inglese, e in questo, pensare a dei progetti che parlino perfettamente british aiuta in una corretta pianificazione ed efficienza delle candidature. Il contributo di Media Desk Italia è fornire un supporto ai produttori nella fase della compilazione delle domande e una consulenza specialistica per i progetti che intendono essere presentati. Vogliamo far crescere il nostro cinema e in questo la mission di Europa Creativa è chiara e incoraggiante: sostenere l’industria della cultura attraverso la creazione di un nuovo pubblico europeo, capace di accedere a opere straniere e di accrescere, in un circolo virtuoso, la cultura stessa quale patrimonio comune dell’Unione Europea. Siamo pronti. Let’s go!

SITO DI MEDIA DESK ITALIA www.media-italia.eu/home/ FORMULARI CANDIDATURE PROGETTI SINGOLI www.media-italia.eu/bandi/316/bando-eac-s30-2013-sviluppo-progetti-singoli.htm

EUROPA CREATIVA/SOTTO-PROGRAMMA MEDIA (A cura di Giuseppe Massaro, direttore Media Desk Italia)

42

CONFERME E NOVITÀ

CHI PUÒ FARE DOMANDA?

PRINCIPALI NOVITÀ PER LO SVILUPPO DI SINGOLI PROGETTI

• Confermate la maggior parte delle azioni MEDIA 2007 • Azioni indirizzate a specifici soggetti della catena audiovisiva del valore (es. produttori, distributori ed esercenti). Come?  Fornendo skills per la creazione di networks  Sostenendo lo sviluppo di opere audiovisive  Sostenendo la distribuzione di film europei non-nazionali sulle diverse piattaforme  Incoraggiando nuovi business models  Agevolando l’accesso ai mercati e promuovendo la cooperazione e le coproduzioni internazionali  Sostenendo la film literacy e l’audience development

Società e organizzazioni attive in:  Formazione per professionisti dell’audiovisivo  Produzione cinematografica,TV, di contenuti digitali e di videogames  Distribuzione cinematografica e vendita di film  Organizzazione di mercati e altri eventi  Fondi di coproduzione internazionale  Iniziative di film literacy

• Definizione più chiara di quando presentare la domanda: almeno 8 mesi prima dell’entrata in produzione • Apertura a progetti pensati per piattaforme digitali (lineari e/o interattive) • Tutta la documentazione online. Stop al cartaceo • Importo forfettario del finanziamento e conseguente semplificazione budget ed adempimenti contabili • Nuove soglie di finanziamento per tipo di opera:  Animazione 65.000 euro  Documentario di creazione 25.000 euro  Opera di fiction (cinema e tv):  30.000 Budget di produzione < 1,5 milioni  50.000 Budget di produzione > 1,5 milioni



RUBRICA MACRO

I SEGRETI DEL CINEMA D’AZIONE

RUSSIAN

ARM

Sempre più spesso nei film e nelle pubblicità notiamo delle riprese tanto spettacolari da indurre lo spettatore a chiedersi come possano essere state realizzate. In questa puntata di Macro ci occuperemo di una delle attrezzature che ha reso possibili questi risultati: il Russian Arm.

di LUCA PAPI

N

elle pagine di Macro apparse nei numeri scorsi di Fabrique abbiamo analizzato gli obbiettivi e i filtri ottici, strumenti strettamente correlati alla ripresa cinematografica che ricoprono un compito fondamentale nella realizzazione di un prodotto audiovisivo, ovvero la composizione dell’immagine e la determinazione del quadro. Ma è importante comprendere che il linguaggio cinematogra-

44

fico si avvale di molte tecniche combinate tra loro, che ci permettono di ottenere delle sequenze video che abbiano un determinato significato narrativo o descrittivo, e tutto ciò anche attraverso i movimenti della macchina da presa. Da molti anni si eseguono movimenti di macchina attraverso delle attrezzature professionali che permettono di muovere la Mdp in avanti, indietro e lateralmente attraverso dei carrelli


su binario; movimenti in alto e in basso attraverso un braccio chiamato Crane; o attraverso i CameraCar, dove la Mdp è montata su automezzi consentendo di effettuare delle riprese di mezzi in movimento. Ma sempre più spesso oggi, nei film e nelle pubblicità, notiamo delle riprese sempre più complesse, che inducono lo spettatore a chiedersi con quali mezzi possano essere state realizzate. In questa puntata di Macro ci

occuperemo proprio del tipo di attrezzatura che ha reso possibile questo tipo di riprese, nota come Russian Arm. Questa nuova e sofisticata strumentazione è infatti in grado di realizzare riprese ad altissima velocità attraverso l’ausilio della tecnologia remotata, che ha permesso di ridurre i rischi a cui erano esposti gli operatori e i macchinisti e di ottenere sequenze straordinarie tecnicamente perfette.

Il Russian Arm, originariamente chiamato Autorobot, è stato progettato e sviluppato in Ucraina dall’azienda FilmoTechnic a opera dell’ingegnere Anatoliy Kokush, vincitore di due premi Oscar al merito tecnico-scientifico. Un altro premio di cui può fregiarsi il RA è il CinecAward rilasciato dall’associazione Cinematografica Bavarese, sempre per l’innovazione tecnologica nelle riprese cinematografiche. Il RA ha cambiato radicalmen-

te il modo di effettuare shoots in movimento, ha ispirato registi e direttori della fotografia di tutto il mondo nella realizzazione delle più spettacolari scene d’azione. L’alta velocità dell’automobile ma soprattutto del sistema remotato (meno di 6 secondi per effettuare un 360° completo) sono il segreto di molte scene dei più spettacolari film recenti come la serie di Mission Impossible, Fast & Furious e The Italian Job.

45


RUBRICA MACRO

IL RUSSIAN ARM È STATO PROGETTATO DALL’INGEGNERE ANATOLIY KOKUSH, VINCITORE DI DUE PREMI OSCAR AL MERITO TECNICOSCIENTIFICO.

Alcune immagini dell’interno del veicolo sul quale è montato il RA: da qui seguono i movimenti due operatori, il regista e il direttore della fotografia.

Non solo inseguimenti mozzafiato, ma anche incredibili sequenze di film di fantascienza come Transformers sono il risultato del Russian Arm. Naturalmente questa nuova tecnologia richiede figure altamente specializzate per essere gestita e impiegata sui set, in modo da garantire alle produzioni i più elevati standard di professionalità, esperienza e sicurezza. La squadra è composta da un Precision Driver, un Russian Arm operator e un Flight Head operator, tutti english speaking, coordinati e allenati da decine di giornate passate insieme sui set interna-

zionali. Noi di Fabrique abbiamo potuto conoscere da vicino questo straordinario mezzo grazie alla collaborazione di Movie People, che è la proprietaria e concessionaria esclusiva in italia, e al sempre prezioso sostegno di D-Vision Italia. Il Russian Arm è composto da un braccio (Crane) di 4/6 mt di lunghezza e da una testa remotata (Flight Head) sulla quale viene montata la macchina da presa, comandati distintamente da due operatori, uno per il Crane e uno per la Flight Head, dall’interno del veicolo, dove possono eseguire in totale comfort e sicu-

rezza le operazioni di ripresa. All’interno del mezzo possono essere ospitati anche il regista e il direttore della fotografia, in modo da supervisionare in tempo reale il risultato delle operazioni. Il Russian Arm viene equipaggiato e montato su Mercedes ML 63 AMG, che permette di avere un ambiente stabile e sicuro per attrezzature e operatori. Il sistema giro-stabilizzato del braccio consente di mantenere la camera stabile mentre si viaggia ad alte velocità su strade sconnesse e fuoristrada, e proprio il design leggero del Crane permette al Russian

Arm di essere montato sul tetto di quasi tutti i più famosi CameraCar, navi, treni o qualsiasi piattaforma mobile adeguata, con un tempo di installazione di circa 2 ore. Il Russian Arm può supportare fino a 50 kg di peso, ha un peso complessivo di 250 kg ed è in grado di operare a velocità superiori a 120 km/h con il Crane sbracciato lateralmente; sono questi gli elementi tecnici che danno vita a sequenze video fino a poco tempo fa impensabili, e che sicuramente in futuro continueranno a stupirci con nuove e spettacolari imprese cinematografiche.

Si ringrazia per la collaborazione Movie People e D-Vision Italia.

46



- Mestieri -

ANDREA IERVOLINO

ROMA-HOLLYWOOD ANDATA E RITORNO

A 26 anni è un produttore e distributore di livello internazionale. Ha portato a Cinecittà attori del calibro di Rutger Hauer e Michael Madsen. Il segreto? Cominciare molto presto.

foto ROBERTA KRASNIG 48


Nelle immagini: Monika Bacardi, Andrea in una pausa sul set insieme a Rutger Hauer e Stephen Baldwin, e in basso, con Michael Madsen.

Andrea, qual è stato il percorso che ti ha portato a diventare un produttore e un distributore? Ho iniziato la mia carriera da produttore a 16 anni partendo da zero con film indipendenti a bassissimo costo che portavo di mattina nelle scuole con una mia organizzazione distributiva chiamata Cine School Day. Poi dopo un paio d’anni ho iniziato a produrre film italiani con attori noti: nei miei primi film “industry” c’erano nomi del livello di Maria Grazia Cucinotta, Franco Nero e Maurizio Mattioli. Dopo tanti film italiani, con la mia socia Monika Bacardi ho cominciato a produrre film per il mercato mondiale e quest’anno abbiamo completato pellicole con star come Al Pacino, Danny Glover, Michael Madsen, Daryl Hannah, Danny Trejo e i fratelli Baldwin. In base a quali criteri scegli i tuoi progetti (ad esempio la storia, il genere, la possibilità di lavorare con giovani autori)? Il mio primo criterio è l’istinto, e poi ovviamente un curato e attento studio del mercato. Io punto sopratutto a film di giovani autori e registi perché ho 26 anni e credo in noi giovani!

Per un cinema come quello che proponi, quali sono a livello distributivo le difficoltà in Italia e nel resto del mondo? Quali mercati esteri ti appaiono più promettenti? Premesso che “tutto il mondo è paese”, quando fai un buon film non hai problemi distributivi se hai una solida industria alle spalle. Certo è che il cinema come primo passaggio distributivo ormai è un concetto vecchio nel quale personalmente non credo più. Sono convinto che per tanti film convenga andare direttamente sulle piattaforme digitali evitando la sala. Il mestiere del distributore è sicuramente molto più difficile di quello del produttore, perché un film più o meno tutti potenzialmente riescono a farlo, ma la distribuzione richiede studio e conoscenza dei territori. Un film può fare 1 dollaro in un paese ma 10 milioni in un altro, quindi è importante conoscere bene la “domanda” per poter posizionare l’offerta, applicando strategie di vendita che vanno studiate a tavolino volta per volta sulla base del genere, del cast e della storia. I mercati più promettenti adesso sono senz’altro Asia, Australia e paesi europei come la Germania, che ancora non ha vissuto la forte crisi del dvd. Comunque tutti i miei film escono negli Stati Uniti con la mia società di distribuzione Ambi Distribution, e questa uscita per me rappresenta il 50% del profitto. Le ultime produzioni Ambi segnano un passaggio importante: film girati in Italia con un cast hollywoodiano. Com’è nata questa idea? E quali le difficoltà di produrre/distribuire prodotti di questa portata? Difficoltà non ce ne sono, bisogna solo lavorare tanto. Sicuramente la cosa più ardua è convincere le star a partecipare al progetto, soprattutto quando scegli giovani registi come faccio io. È qui che il mio lavoro di produttore diventa fondamentale. Gli ultimi lavori che abbiamo prodotto sono 2047. Sights of Death, per la regia di Alessandro Capone con Michael Madsen e Rutger Hauer, Hope Lost di David Petrucci con Danny Trejo e Mischa Barton, The Humbling con Al Pacino diretto da Barry Levinson. Sono orgoglioso di dire che questi film adesso sono in distribuzione mondiale. Progetti futuri, a livello nazionale e internazionale? Sto lavorando al mio primo film di animazione per il mercato mondiale che si chiamerà East End, di cui uno dei registi e autori è Federico Moccia. Mentre in estate gireremo con un cast americano, ma per adesso è tutto top secret...

«IL MESTIERE DEL DISTRIBUTORE È SICURAMENTE MOLTO PIÙ DIFFICILE DI QUELLO DEL PRODUTTORE, PERCHÉ UN FILM PIÙ O MENO TUTTI RIESCONO A FARLO, MA LA DISTRIBUZIONE RICHIEDE STUDIO E CONOSCENZA DEI TERRITORI». 49


- Making of -

SUL SET DI

HOPE LOST foto di MASSIMO RIGHETTI

1

SCRITTO DA Francesco Trento, Damiano Giacomelli, Francesco Teresi, Loretta Tersigni DIRETTO DA David Petrucci CAST Danny Trejo Michael Madsen Mischa Barton Francesca Agostini Daniel Baldwin Alessia Navarro Diego Pagotto Francesco Acquaroli DURATA 100 minuti PRODUZIONE Ambi Pictures, Cosetta Turco

2

Il regista mostra il campo all’operatore.

5

Il capo elettricista punta il par 64 e il 300w fresnel da americana.

6

Gaffer, con 1.2kw hmi riflesso su poli 2x1.

9

Mischa Barton in scena.

10

Macchina a mano, telaio di frost 216 per la finestra.

50

DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA Davide Manca MONTAGGIO David Petrucci SCENOGRAFIA Sara Santucci MUSICHE ORIGINALI Piero Antolini FONICO DI PRESA DIRETTA Guido Spizzico TRUCCO/FX Lorella De Rossi COSTUMI Piero Risani

Macchina su pewee e astaboom con kinoflo 2x120.


LA STORIA Sofia (Francesca Agostini) è una ragazza di vent’anni che conduce una vita monotona in un piccolo villaggio della Romania: lavora in fabbrica e sogna un’esistenza diversa, fantasticando sui personaggi delle soap italiane che guarda in tv. Una notte in discoteca incontra Gabriel (Andrey Chernishov), che lavora in Italia come produttore; quella stessa notte partono per l’Italia con la promessa di un provino per un reality. Ma è tutta una menzogna, in realtà Gabriel la vende a uno sfruttatore italiano, Manol (Michael Madsen). Inizia così per Sofia una vita d’inferno, in cui la ragazza è costretta a prostituirsi sotto lo sguardo attento di Marius (Danny Trejo). Nonostante tutto, Sofia riesce a trovare uno spiraglio di luce grazie all’amicizia con Alina (Mischa Barton), una prostituta che lavora con lei, e con Eva (Alessia Navarro), una cliente molto particolare dal passato oscuro.

L’IDEA Hope Lost nasce da un corto girato nel 2012 dal regista in Romania, A mani nude. Il corto ha posto le basi per un successivo mediometraggio, AKA, che con il suo stile innovativo ha convinto i produttori e il Ministero dei Beni Culturali a investire nella realizzazione del lungometraggio. L’intento è quello di dar vita a un thriller psicologico che faccia riflettere su come una ragazza comune che sogna un futuro migliore possa rimanere intrappolata nella macchina della prostituzione, alla mercé di gente senza scrupoli disposta a tutto. Girato in quattro settimane, Hope Lost è un’opera dalle tinte forti e dai toni acidi che regala anche momenti di poesia, senza tralasciare scene d’azione e capovolgimenti. IL REGISTA David Petrucci è nato a Roma nel 1978. Figlio dell’artista Vincenzo Petrucci, cresce respirando arte. A 17 anni si trasferisce a Londra, dove vive

3

per dieci anni formandosi come filmmaker e partecipando ai principali film festival inglesi. Il feedback è positivo e David comincia a lavorare con importanti emittenti televisive fino al 2005, quando la Sony lo recluta come video artist a Pinewood Studios per una serie televisiva. Tornato a Roma, nel 2010 inizia le riprese di Canepazzo, scritto da Igor Maltagliati. Un film di genere con Franco Nero e Tinto Brass, realizzato con una troupe super ridotta che vede David ricoprire numerosi ruoli tecnici (produzione, fotografia, riprese e montaggio). Il film, nato come una sorta di esperimento, raggiunge la prima serata nel palinsesto televisivo e la distribuzione homevideo internazionale. Nel 2013 il regista realizza la web serie Sinners, ispirata alla Commedia dantesca, molto apprezzata dal pubblico oltreoceano. Hope Lost rappresenta il suo debutto cinematografico internazionale.

4

1 kw fresnel con gelatina sodio attraverso telaio di frost 251.

7

Quadrato di rosco per riflesso sugli occhi dell’attore.

8

Churry picker con 6kw hmi.

11

Operatore su foxcrane.

12

Danny Trejo pronto per una scena di combattimento con lo stunt.

Regista, attore e organizzatore generale.

51


ALESSANDRO BARONCIANI NATO NEL 1974 E ORIGINARIO DEL PESARESE, LAVORA TRA PESARO E MILANO COME ART DIRECTOR, ILLUSTRATORE E GRAFICO PUBBLICITARIO ANCHE PER CASE DISCOGRAFICHE COME UNIVERSAL, MEZCAL E LA TEMPESTA, FIRMANDO LE COPERTINE DI GRUPPI E CANTAUTORI COME BUGO, PERTURBAZIONE, TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI. CURA UNA RUBRICA A FUMETTI SULLA STORIA DELLA MUSICA SU «RUMORE MAGAZINE». http://alessandrobaronciani.blogspot.it/

52


HISTOIRES DU CINÉMA

53


- Effetti speciali -

EFFETTI NATURALI

REALTÀ AUMENTATA SUL SET LA

di SONIA SERAFINI foto PAUL SCALA

DIMENTICATE IL CARO VECCHIO GREENSCREEN, LA POST PRODUZIONE E TUTTO CIÒ CHE RIGUARDA GLI EFFETTI SPECIALI CHE SIETE ABITUATI A VEDERE SUL GRANDE SCHERMO. NASCE, GRAZIE ALLA COLLABORAZIONE FRA BCAA (LUCA BIADA & ALESSANDRO CORSETTI), LO STORYTELLER FRANCESCO VERSO E IL REGISTA DANIELE ANZELLOTTI, IL PROGETTO FLUSH.

54


C’

era una volta una storia su carta, che è diventata digitale e si è trasformata poco dopo in un audiolibro. Questa storia ha poi incontrato la New Media Agency BCAA, e ora potrebbe diventare una web serie o un lungometraggio. Questa storia è Flush, e racconta di una nuova droga di cui tutti avremmo bisogno: il silenzio. Flush vuol dire “risucchio”, ed è quella condizione di passaggio che porta dal fastidio del rumore alla serenità del silenzio assoluto. Il progetto è nato dall’incontro dello scrittore Francesco Verso con i ragazzi di BCAA, Luca e Alessandro. Insieme hanno sviluppato una sceneggiatura dove la narrazione è stata adattata alla possibilità di riprodurre effetti di scena in tempo reale. Ovvero, rispetto a quello che accade normalmente sul set dove l’attore deve recitare immaginando una realtà solo proiettata su un greenscreen, nel caso di Flush l’interazione tra effetti speciali e recitazione avviene nel momento stesso in cui parte il ciak.

55


Immagini da Blood, spettacolo realizzato nel 2013 da BCAA con Jean Abreu Dance e finanziato dall’Arts Council of England di Londra: una celebrazione della strana bellezza della vita e l’esplorazione quasi scientifica di un uomo della sua carne e del suo sangue, fino alla scoperta di una pacificazione interiore. 17 le date in tutta l’Inghilterra, compresi due spettacoli alla Royal Opera House. La stessa tecnologia è stata impiegata anche in ambiti più commerciali per clienti come Enel, Diesel, Telecom, Alitalia, Segafredo. www.jeanabreudance.com

Cosa unisce la storia di Flush alla tecnologia di BCAA? FRANCESCO: La sintonia con BCAA deriva dal fatto di guardare al futuro nello stesso modo, con un’attenzione particolare al rapporto tra l’uomo e i suoi dispositivi di “potenziamento sensoriale”. In Flush, ad esempio, abbiamo sviluppato interfacce sensoriali che potremmo benissimo usare tra qualche anno, come è già successo con il mouse e il touchscreen, proiezioni 2D/3D facilmente manipolabili e adatte agli scopi più diversi, come modificare un rumore da una galleria di effetti acustici, suonare più strumenti con il corpo, monitorare il funzionamento di pali della luce mediante una specifica applicazione georeferenziata. Provenienti dalle performance teatrali contemporanee, queste nuove forme d’interazione recitativa sono note come Interfacce Naturali (NUI: natural-user-interface) e consentono di fondere il tempo della recitazione con la post produzione. In questo modo la scena viene interrotta poche volte, l’attore non ha bisogno di immaginare l’effetto speciale ma lo vive in prima persona; tutto ciò fa sì che il pathos del momento venga mantenuto. Lo scopo è dare maggiore realismo e credibilità alla scena. Questa tecnica rende il concetto di effetto speciale superato, poiché da semplice complemento realizzato in post produzione, si fa coprotagonista e “recita” insieme all’attore.

scena consente all’attore di scegliere queste “suonerie” è rappresentata visivamente da una proiezione, che scaturisce dall’oggetto stesso e si integra nella scenografia, ricostruita in virtuale nel programma stesso: una tecnica nota come Projection Mapping, che usualmente noi di BCAA impieghiamo per proiezioni su palazzi, eventi e installazioni museali. Per rendere tutto ciò possibile in scena sono utilizzati dei videoproiettori, ognuno con delle caratteristiche diverse in base alle esigenze (lunghezza focale, intensità luminosa, risoluzione).

«L’ATTORE NON HA BISOGNO DI IMMAGINARE L’EFFETTO SPECIALE MA LO VIVE IN PRIMA PERSONA; TUTTO CIÒ FA SÌ CHE IL PATHOS DEL MOMENTO VENGA MANTENUTO».

Come si producono tecnicamente questi effetti? LUCA: Partendo dall’idea che si vuole realizzare, per ogni tipo di interazione viene preparato un software che risponde all’attore. Servono tecnologie di motion capture che permettono al software di recepire in tempo reale e interagire con la gestualità dell’attore. In base all’esigenza scenica vengono usati diversi hardware in grado di catturare i movimenti del personaggio, che vanno dalla capacità di catturare un singolo dito fino a più attori assieme. La parte di visualizzazione è scritta principalmente con le DirectX (librerie grafiche in tempo reale, usate, per esempio, nei videogiochi di ultima generazione) che servono a modellare e animare oggetti 3D, grazie ai quali creare le parti che poi vengono proiettate. Per Flush abbiamo inventato una società futuribile, la R.U. More?, che vende la personalizzazione sonora di qualsiasi dispositivo elettronico: immaginate che il vostro frullatore invece di riprodurre il suono consueto possa suonare qualsiasi suoneria (il miagolio di un gatto o il clacson di una macchina). L’interfaccia che sulla

56

Quando è nata BCAA e perché? ALESSANDRO: È nata nel 2007 dall’incontro di tre professionisti io, Mirko Arcese e Luca Biada: lavoravamo in un’altra società, ci siamo uniti perché ci siamo resi conto che non esisteva una cosa del genere in Italia, la motion capture markerless. Ci piaceva l’idea di essere coinvolti nella creazione e nello sviluppo di prodotti e servizi innovativi, come appunto l’integrazione di sistemi di motion capture, audio, animazione, comunicazione, web e multimedia. Non è stato facile: all’inizio ci hanno preso per dei sognatori e dei visionari, ma il tempo ci ha dato ragione. I nostri progetti mirano a costruire esperienze intense, utilizzando le migliori tecnologie e soluzioni personalizzate, sfruttando in maniera multimediale i sensi umani. Al momento stiamo sviluppando installazioni permanenti in musei, locali e strutture pubbliche, e installazioni temporanee per spettacoli, concerti, teatro e tutto ciò che è interdisciplinare e cross-mediale, lavorando con artisti, musicisti, cantanti, pittori e attori: un’esperienza unica. In che modo il vostro progetto si collega al cinema, e quali nuove prospettive apre all’esperienza visiva dello spettatore? DANIELE: Il progetto vuole portare una ventata di novità nel cinema italiano: credo sia la prima esperienza riuscita di VFX in realtime. Porterà un cambiamento anche per lo spettatore, che invece dei soliti VFX aggiunti in post produzione avrà davanti agli occhi la verità, come l’abbiamo vissuta noi sul set. Anche relativamente ai costi parliamo ovviamente di cifre inferiori alla lavorazione in post, in quanto, a livello estetico, non c’è da intervenire sull’interfaccia per renderla realistica, dato che è già reale. Inoltre questi effetti sono realizzati in pre produzione e quindi il rischio di “perdere soldi” è praticamente quasi escluso da un business plan.


DIARIO GLI EVENTI DI FABRIQUE

900 DI QUESTI GIORNI Quinto numero e quinto evento di Fabrique in uno dei luoghi simbolo dell’intrattenimento capitolino: Spazio 900 all’Eur. E questa volta abbiamo superato noi stessi: folla delle grandi occasioni, tanti nomi del jet set cinematografico e non, proiezioni di cortometraggi, mostre, musica dal vivo e djset. Prima della festa una tavola rotonda sulle principali opportunità di sostegno che l’Unione Europea offrirà nel corso della nuova programmazione 2014-2020 nell’ambito dell’audiovisivo. Fra gli ospiti del workshop: Giuseppe Massaro, direttore di Media Desk Italia, il giornalista Lino Damiani, esperto di europrogettazione, e molti giovani produttori italiani. Giulia Michelini, Valeria Solarino, Claudia Gerini, Adriano Giannini, Alessandro Rak e The Jackal sono alcuni degli amici che hanno voluto festeggiare con noi.

DICEMBRE 2013

Lucca Effetto Cinema

La critica cinematografica è viva o morta? Abbiamo cercato di rispondere al quesito nella tavola rotonda organizzata nel corso del programma d’incontri “Lucca Effetto Cinema”. Insieme a Fabrique sul palco critici, giornalisti e blogger (fra cui Federico Frusciante e Gianluca Pelleschi di spietati.it).

57


NEWS APRILE 2014

CASE HISTORY FABRIQUE Dedicato al progetto Fabrique un appuntamento del ciclo Wifi Art al Circolo degli Artisti di Roma, in collaborazione con Stanza 101. Focus: il nostro nuovo modo di fare comunicazione editoriale, dalla carta stampata al web, una sinergia per la promozione del giovane cinema italiano.

28 GIUGNO5 LUGLIO 2014

SHORTS FILM A TRIESTE Al via Maremetraggio International ShorTS Film Festival, il festival del cortometraggio più noto d’Italia, dedicato alle nuove promesse del cinema italiano e internazionale. Quest’anno partner di Fabrique con l’inziativa “Un’altra chance”, che permetterà a un corto scelto dalla rivista di partecipare alla rassegna e concorrere ai numerosi premi.

GIUGNOSETTEMBRE 2014

IL KINÉO PREMIA I GIOVANI TALENTI Da quest’anno Fabrique è nella giuria del prestigioso premio Kinéo Giovani Rivelazioni, destinato a un giovane attore e una giovane attrice, che verrà assegnato alla Mostra del cinema di Venezia. Prima tappa delle selezioni, con la presentazione delle nomination: Taormina FilmFest.

FABRIQUE DU CINÉMA

LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO GENNAIO FEBBRAIO MARZO

Numero

2014

5

OPERA PRIMA

NAPOLI, CITTÀ DELL’ANIMA

“L’arte della felicità”: quando il Sud è un passo avanti

ICONE

GIULIANO MONTALDO

Sessant’anni di cinema vissuti con coerenza e il sorriso sulle labbra

DOSSIER

PRODUCT PLACEMENT

Consigli per gli acquisti? Acqua passata. Ora si guarda al PP

DRITTO AL

BERSAGLIO FRANCESCO FORMICHETTI NON HA DUBBI

recitare è la mia vita E COME LUI SONO IN TANTI I RAGAZZI CHE PUNTANO TUTTO SUL LORO TALENTO

LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO SCARICA GRATUITAMENTE TUTTI I NUMERI DAL SITO 0 SCRIVICI A REDAZIONE@FABRIQUEDUCINEMA.IT

SCARICA L’ A PP GRATUITAMENTE PER SMARTPHONE E TABLET

WWW.FABRIQUEDUCINEMA.IT Like us www.facebook.com/fabriqueducinema

58

DOVE

Come e dove Fabrique

CINEMA ROMA CASA DEL CINEMA | 06.423601 | Largo Marcello Mastroianni, 1 EDEN FILM CENTER | 06.3612449 | Piazza Cola di Rienzo, 74 FARNESE | 06.6064395 | Piazza Campo De Fiori, 56 GREENWICH | 06.5745825 | Via G. Battista Bodoni, 59 INTRASTEVERE | 06.5884230 | Vicolo Moroni, 3 MADISON | 06.5417926 | Via G. Chiabrera, 121 MAESTOSO | 06.786086 | Via Appia Nuova, 416 NUOVO CINEMA AQUILA | 06.70399408 | Via L’Aquila, 66 NUOVO SACHER | 06.5818166 | Largo Ascianghi, 1 POLITECNICO | 06.36004240 | Via G. Battista Tiepolo, 13 QUATTRO FONTANE | 06.4741515 | Via Quattro Fontane, 23 TIBUR | 06.4957762 | Via degli Etruschi, 36 ------------------------------------------------------------------------------------------------CINEMA FUORI ROMA KING | 095.530218 | Via A. De Curtis, 14 Catania ------------------------------------------------------------------------------------------------TEATRI TEATRO VALLE | Via del Teatro Valle, 21 ------------------------------------------------------------------------------------------------LOCALI ROMA BAR DEL GAZOMETRO | Via del Gazometro, 20/24 BIG STAR | Via Mameli, 25 CAFFÈ LETTERARIO | Via Ostiense, 95 CATERING BIKER’S BAR | Via W. Tobagi, 49 DOLCENOTTE | Via dei Magazzini Generali, 15 DOPPIO ZERO | Via Ostiense, 68 DVISION Roma GIUFÀ | Via degli Aurunci, 38 KINO | Via Perugia, 34 HARUMI | Via Cipro, 4m/4n HARUMI | Via della Stazione di San Pietro, 31/33 LA TANA DEL BIANCONIGLIO | Via B. Bossi, 6 LE MURA | Via di Porta labicana, 24 MAMMUT | Via Circonvallazione Casilina, 79 ------------------------------------------------------------------------------------------------LOCALI FUORI ROMA IL FRANTOIO | Via Renato Fucini 10, Capalbio (GR) OSTELLOBELLO | Via Medici 4, Milano PIADE IN PIAZZA | P.zza Meda 5, Milano ------------------------------------------------------------------------------------------------SCUOLE CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA | Via Tuscolana, 1520 CINE TV ROSSELLINI | Via della Vasca Navale, 58 GRIFFITH | Via Matera, 3 NUOVA ACCADEMIA DI BELLE ARTI | Via C. Darwin, 20 Milano ROMEUR ACCADEMY | Via Cristoforo Colombo, 573 SCUOLA D’ARTE CINEMATOGRAFICA GIAN MARIA VOLONTÉ | Via Greve, 61 ------------------------------------------------------------------------------------------------LIBRERIE LIBRERIA DEL CINEMA | Via dei Fienaroli, 31 ------------------------------------------------------------------------------------------------FESTIVAL Calabria Film Festival Festival Internazionale del Cinema di Roma LXX Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia Rome Independent Film Festival Visioni Italiane Cineteca di Bologna ------------------------------------------------------------------------------------------------LUOGHI ISTITUZIONALI Film Commission Genova MIBAC Ministero per i Beni e le Attività Culturali | Via del Collegio Romano, 27




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.