La CARTA STAMPATA del NUOVO cinema italiano
MAGGIO 2013
Numero
2
OPERA PRIMA
EMILIA SENTIMENTALE
I giorni della vendemmia di Marco Righi, un successo grazie al passaparola
Icone
La sola scuola è l’esperienza Parla Marco Bellocchio, “scandaloso” esordiente negli anni ’60
Schermo blu
LA MIGLIORE OFFERTA
Tra vero e falso: gli effetti speciali nel film di Giuseppe Tornatore
CAMMINIAMO
SULLE NOSTRE GAMBE Margherita Vicario Ritratto di una “cantattrice” con le idee chiare
S SoMMARIO
Pubblicazione Edita Dall’Associazione Culturale Indiepercui Via Francesco Ferraironi, 49 L7 (00172) Roma www.fabriqueducinema.it
Direttore EDITORIALE Ilaria Ravarino SUPERVISOR Luigi Pinto DIRETTORE ARTISTICO Davide Manca GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giovanni Morelli Paolo Soellner CAPOREDATTORE Elena Mazzocchi CAPOSERVIZIO Tommaso Agnese REDAZIONE Cristiana Raffa Sonia Serafini Chiara Spoletini PHOTOEDITOR Francesca Fago Comunicazione e Web Consuelo Madrigali Web MASTER Luca Luigetti EVENTI E MARKETING Isaura Costa Delegato Nord Italia Luca Caserta Relazioni sale Katia Folco UFFICIO STAMPA Sara Battelli HANNO COLLABORATO Alessandro Baronciani Gianluca Lo Guasto Asia Ruperto STAMPA Press Up s.r.l. Via La Spezia, 118/C 00055 Ladispoli (RM) Distribuzione Pubblimediagroup di Luca Papi Finito di stampare nel mese di Maggio 2013
La CaRTa STaMPaTa deL NUOVO CINeMa ITaLIaNO
MAGGIO 2013
Numero
2
OPERA PRIMA
eMiLia senTiMenTaLe
I giorni della vendemmia di Marco Righi, un successo grazie al passaparola
IcOnE
La soLa scuoLa è L’esperienza Parla Marco Bellocchio, “scandaloso” esordiente negli anni ’60
SchERMO blu
La MiGLiore oFFerTa
Tra vero e falso: gli effetti speciali nel film di Giuseppe Tornatore
cAMMInIAMO
suLLe nosTre GaMBe IN COPERTINA Margherita Vicario Margherita Vicario RItRAttO dI unA “cAntAttRIcE” cOn lE IdEE chIARE
4 6 10 16 OPERA 12 PRIMA 14 15 20 28 32 36 40 44 46 24 ICONE 48 Marco Bellocchio IL MIO CINEMA? è UN CORPO A CORPO 49 EDUCAZIONE SENTIMENTALE IN EMILIA Morando Morandini intervista per «Fabrique» Marco Righi
EDITORIALE
EQUO MA SOPRATTUTTO SOLIDALE
COVER STORY
MARGHERITA VICARIO UN’ATTRICE CON LA CHITARRA
IN ONDA
QUESTIONE DI FEELING
RADIO2 - NESSUNO è PERFETTO
Speakers’ Corner l’unica soluzione è LA rivoluzione
SPECIALE
DAVID di donatello IL DIVO
RIFF Awards 2013 I VINCITORI E IL PREMIO «FABRIQUE»
SHOOTING CHINA IL CINEMA INDIPENDENTE TRA mercato e censura
DODICI
KarolE di Tommaso PASSIONE È VOCAZIONE
DOSSIER
IL Tax credit SALVERà il cinema?
EFFETTI SPECIALI In effetti, gli italiani sono speciali
MESTIERI IAN DEGRASSI FINAL CUT
MAKING OF SUL SET DE IL MESE DI GIUGNO
graphic noveL
Alessandro baronciani le all star di maria antonietta
DIARIO
GLI EVENTI DI «FABRIQUE» DA NON PERDERE
COME E DOVE
LUOGHI DOVE È REPERIBILE «FABRIQUE»
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E EDITORIALE
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EMA SOPRATTUTTO Q UO SOLIDALE di Ilaria Ravarino
foto Francesca Fago
Diciamolo: oggi siamo tutti solidali. C’è il caffè solidale. Ci sono i negozi solidali, le botteghe solidali, i bazar solidali, le fattorie solidali. Il benessere può essere solidale. Le idee pure. Gli sms lo sono da un pezzo. Anche Mc Donald’s, se vuole, può essere solidale. Quanto ci piace, definirci solidali. E dire che nell’antica Roma essere solidali significava avere un debito: pagare in solidum, vedere cammello. Solidarietà ha una radice concreta. La stessa di soldi e soldati. Sarà per questo che i giovani, più di tutti, sono solidali: nascono con un debito di 32.000 euro e sulle loro spalle pesa l’insolidum pubblico italiano. C’è voluta una rivoluzione, quella francese, perché la parola solidarietà cambiasse di senso indicando un sentimento di fratellanza condiviso. Solidarietà oggi è sforzo attivo nel rispondere alle esigenze di chi cerca aiuto. È sostegno. Comunanza. Fratellanza. Partecipazione. Ci piace molto, definirci solidali. Pochi lo sono per davvero. «Fabrique» è solidale perché sostiene il giovane cinema italiano là dove incontra talenti, e in questo numero i nostri talenti sono donne: la metà del cielo che il cinema mainstream sceglie di ignorare, noi la sosteniamo. Siamo solidali. Perché condivide gli intenti del cinema giovane e la voglia di raccontare un Paese diverso da quello ancora troppo spesso rappresentato in sala o in tv. «Fabrique» mette le proprie energie in comune con festival come il Riff e con tutti i circuiti indipendenti. Con loro siamo solidali. Perché «Fabrique» è vicina a chi cerca di far sentire la propria voce. Molti di noi lavorano nel cinema, ma la logica della competizione cieca e disperata non ci appartiene: chi fa il nostro lavoro è nostro fratello, non un nemico. Con lui siamo solidali. Perché «Fabrique» partecipa per davvero a quest’onda lunga di rinnovamento, alla voglia di cambiamento delle giovani generazioni, e lo fa informando sugli strumenti a disposizione (date un’occhiata al servizio sul tax credit), raccontando cosa avviene dall’altra parte del mondo (la Cina è vicina), raccogliendo i consigli di chi ce l’ha fatta. Marco Bellocchio, per esempio. «Fabrique» è solidale. E voi? Pensateci, la prossima volta che ordinate un caffè.
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Nel servizio Margherita indossa capi Malloni e Cult. Stylist: Katia Folco
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- Cover story -
Margherita Vicario
Un’attrice CON LA CHITARRA Ritratto di una giovane artista che ha già lavorato per grandi produzioni ma non è ancora abituata a stare sotto i riflettori. E che ama la musica e il gioco di squadra: «Quando affronto un ruolo il primo pensiero va sempre alla persona con cui dovrò girare la scena». di Chiara Spoletini foto Francesca Fago
Margherita Vicario, 25 anni, ha maturato l’amore per la recitazione e la sua coscienza critica andando fin da piccola a teatro con la nonna. Recitare è ciò che ama di più, ma anche avere tra le mani una chitarra e raccontare le sue canzoni. Non chiedetele perciò di scegliere tra la chitarra e la macchina da presa.
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Margherita, sei attrice e cantautrice. Come comincia la te “artista”? Ho un po’ paura della parola artista, io sono soprattutto un’attrice. Adoro recitare. Ma a diciotto anni sono entrata in un’accademia di recitazione, la Link Academy, e dopo il diploma, nell’attesa tra un provino e l’altro, cercando di capire cosa volesse dire fare l’attrice, ho abbracciato la chitarra e non l’ho lasciata più. Ho iniziato a suonare, e sentivo questa esigenza con tanta forza che sono riuscita a portare avanti entrambe le mie passioni. Hai cominciato a muovere i primi passi a teatro, poi hai “sterzato” verso la macchina da presa… Quello teatrale è un circuito purtroppo molto chiuso; se non si proviene da scuole di recitazione importanti non si viene neanche presi in considerazione. Mi sono sempre sentita più brava davanti a una macchina da presa, tuttavia mi piacerebbe moltissimo lavorare con i registi teatrali che stimo, Antonio Latella, Valerio Binasco, Mattia Torre. A proposito dei registi con cui hai lavorato, ne ricordi uno in particolare? Il mio primo lavoro è stato un thriller con Lamberto Bava, giravamo a Malta, in inglese: io avevo un ruolo da “cerbiatta”. Nella prima scena dovevo essere turbata, in quella successiva addirittura disperata. Tra la prima e la seconda scena il regista ha cominciato a insultarmi, gridava che non sapevo fare nulla, che facevo troppo rumore e davo fastidio al tecnico del suono… Mi ha fatto venire un
magone tremendo, e quando ha visto che ero “cotta” al punto giusto ha strillato: «Ok, giriamo!». Un grande regista che sfrutta l’emotività della piccola, povera attrice per ottenere dalla scena il risultato che vuole… [ride]
anzi, sono un’attrice che canta quello scrive, credo sia per questo che sento l’esigenza di raccontare le mie canzoni. Sono dei dialoghi in musica, li ho scritti perché un giorno spero di girarli per il cinema.
Rifiuteresti dei ruoli che non ti piacciono o non senti particolarmente adatti a te? Assolutamente no. Il mestiere è anche questo. Per esempio, tempo fa ho girato La terra e il vento di Sebastian Maulucci: interpretavo una ragazza francese e non ero convinta di risultare credibile, ma l’ho fatto comunque e mi sono divertita moltissimo.
Cosa salverà il cinema italiano? Il senso critico di un pubblico esigente, pretenzioso, severo e degli autori che non scriveranno più storie in base agli attori disponibili, ma per raccontare davvero cose importanti e, di conseguenza, scegliendo attori capaci di interpretarle.
Hai preso parte a cast importanti per il cinema nazionale e internazionale, in Pazze di me di Fausto Brizzi e prima ancora nel film di Woody Allen To Rome with love. Quali differenze hai riscontrato tra il set italiano e quello americano? Soprattutto nei tempi. In To Rome with love passava anche un’ora e mezza per un cambio luci, anche sul set dei Borgia accadeva lo stesso. Oltreoceano si dà dignità a ogni reparto, ad esempio il fonico sa che se ha bisogno di tempo per organizzare il proprio lavoro può permettersi di prendersela comoda, anche perché le major non hanno la necessità di girare tante scene tutte insieme. Margherita cantautrice: perché prima di eseguire le tue canzoni le introduci con un racconto? Beh, io sono un’attrice e ho il terrore di essere considerata esclusivamente una cantante:
Un verso di una tua canzone recita: “Un pesce può, se vuole, camminare”. Perché un pesce dovrebbe voler camminare? È un verso molto autoreferenziale, mi fa pensare al mestiere dell’attore – uno strumento che si trasforma per il ruolo che deve interpretare e diventa altro da sé – ed è un inno ad arrischiare anche ciò che non sentiamo nelle nostre corde. Come sopravvive oggi il pesce che vuole camminare? Cooperando, tentando di realizzare i propri sogni ma con gli occhi bene aperti, e tenendo vicino a sé le persone più amate, quelle con cui decidiamo di condividere un pezzo di vita. Quelle che nei momenti bui saranno lì accanto e ti chiederanno: «Posso fare qualcosa per te?», e tu farai lo stesso con loro. Proprio come quando si lavora a un personaggio con un collega. Da soli non si arriva da nessuna parte.
«Attraverso il rapporto con l’altro costruisco il mio personaggio, è questo incontro che mi aiuta a rispondere a tante domande che riguardano l’interpretazione». «In accademia finivo sempre per interpretare l’acida, e in effetti un po’ lo sono anche nella vita: sono cresciuta con quattro fratelli, dovevo difendermi! Sullo schermo invece mi capita spesso di interpretare la “cerbiatta”. Sarà per via degli occhi…».
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IN ONDA
QUESTIONE DI
FEELING Sono ormai due cari amici di «Fabrique» Cecilia Dazzi e Andrea Santonastaso, conduttori della trasmissione su Radio2 Nessuno è perfetto. di Sonia Serafini foto Francesca Fago
A Andrea
C Cecilia
Hanno partecipato alla serata-evento lo scorso marzo, con un’applauditissima trasmissione live dal Macro. Li incontriamo al cinema Nuovo Sacher, dove il padrone di casa Nanni Moretti (che, tanto per non deludere le aspettative, arriva in vespa), ci apre le porte per una puntata in esterna, passata fra chiacchiere confidenziali, aneddoti sul cinema e tante coca-cola.
Andrea e Cecilia, come si passa dalla recitazione alla radio?
A Si parte dalla passione. Bisogna essere appassionati di cinema, di quelli veri, maniacali, talmente tanto che ti viene voglia di parlarne ad altri. E per farlo credo non ci sia modo migliore che un programma radio. Cecilia poi ha la capacità di rendere tutto più semplice: appartiene alla ristretta cerchia di persone che riescono, in maniera scanzonata, a parlare di quest’arte senza risultare pesanti. Lei è il disordine ed io l’ordine.
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C Sì, Andrea ha un’ossessione per il cinema, è un vero nerd: ha doti di grande osservatore, con le quali riesce a capire e spiegare subito un film. Ci completiamo l’uno con l’altro, ma a guidarci è innanzitutto il cuore, da lì passa il primo giudizio su una pellicola, solo dopo subentra la testa.
Com’è nata la collaborazione con «Fabrique»?
C Nella rivista abbiamo còlto subito una modernità e freschezza che la rende diversa da altre pur blasonate testate con cui collaboriamo. Di lì è venuta l’idea di partecipare con un nostro spazio all’evento del Macro lo scorso marzo, come radio ufficiale della serata. «Fabrique» non è “ingessata” come altri magazine, in più è stata creata da ragazzi con talento, dei professionisti, che in questo modo mettono le loro idee “su carta”. Quali progetti pensate di sviluppare assieme a noi?
A Innumerevoli! Nessuno è perfetto e «Fabrique» parlano delle stesse cose e con la stessa lingua, in un ambiente come quello del cinema sempre più in crisi di idee. Sono convinto sia necessario affidare ai giovani
il futuro di quest’arte, e voglio perciò capire come si avvicinano a questo mestiere, che obiettivi si pongono. «Fabrique» ci dà la possibilità di conoscere il lavoro dei nuovi registi, attori, operatori, tecnici. Una boccata d’aria fresca anche per grandi realtà come la Rai, che con questo incontro ha una possibilità in più di promuovere il mondo cinematografico che verrà. Com’è, da attori, intervistare un collega?
C Spesso è molto bello, come oggi per esempio, quando devi rapportarti con persone come Nanni Moretti, che rappresenta per noi un riferimento. Bello ma anche strano, perché ho notato che finisco col diventare più buona: essendo anch’io un’attrice comprendo di più le dinamiche e gli atteggiamenti di chi ho di fronte, e inevitabilmente si scatena in me una specie di istinto di protezione… «Ci capita di emozionarci quando abbiamo come ospiti registi famosi. Che spesso si rivelano però persone disponibili e alla mano, come Bille August, Oliver Stone e il grande Francesco Rosi».
Ci sono dei consigli che vi sentite di dare ai giovani artisti?
A Ai giovani suggerisco di documentarsi, di non dimenticare che questo Paese ha una storia artistica immensa; cercate di approfittarne perché un giorno potrà essere la chiave per scoprire le opere meravigliose del passato e realizzarne di nuove.
C Insistere, con tutte le forze, cercando di non farsi sviare da quello che c’è intorno, andare avanti per la propria strada. E poi restare sempre umili, anche quando si ha successo: Barbara Bouchet mi ha confidato che anche quando si è al top della carriera bisogna sempre sentirsi un gradino più sotto, tenere i piedi per terra. Detto da una grande artista come lei, è un consiglio da non scordare.
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Speakers’ Corner
l’unica soluzione è LA
rivoluzione
«Fabrique» ospita commenti senza censura sullo stato dell’audiovisivo in Italia: la parola a Tommaso Agnese. di Tommaso Agnese (Regista e autore di cinema e teatro) La crisi politico-economica del nostro paese è senza dubbio anche una crisi culturale. I problemi della nostra società si riflettono inevitabilmente nel macrosistema culturale, generando complicazioni che ne impediscono il regolare funzionamento. La cultura dovrebbe essere, soprattutto in Italia, un’immensa fonte d’investimenti e di guadagno e invece resta purtroppo un’area abbandonata a se stessa. Le difficoltà che affliggono il sistema dello spettacolo sono meno conosciute e forse mediaticamente meno interessanti, ma non per questo meno gravi; anzi, sono state capaci di portare alla decadenza un settore che è patrimonio inestimabile del nostro paese. Non c’è uno sguardo che va al futuro e non ci sono presupposti d’innovazione. In questo sistema il cinema è una delle rotelle più difettose: non esiste un ricambio generazionale, non esiste un sistema che concretamente favorisca i giovani emergenti e non esiste un dispositivo di finanziamento che garantisca la creazione di un vero e proprio mercato né di un’industria cinematografica (quasi la metà dei film prodotti ogni anno non trova distribuzione in sala). Purtroppo le medesime carenze del sistema politico affliggono anche il sistema produttivo e distributivo cinematografico: assenza di meritocrazia, oligarchia, e soprattutto una cattiva gestione del danaro pubblico creano ovvie difficoltà all’emergere di nuove figure professionali. A dominare il panorama cinematografico italiano vi è inoltre un’oppressiva assenza di logica e razionalità. Non è possibile che gran parte delle opere prime e seconde, se anche riescono con grandi difficoltà a raggiungere le sale, non arrivino a rientrare delle spese di produzione (solamente il 10% circa delle opere prime riesce a recuperare i costi). Non è possibile che la maggior parte delle distribuzioni italiane distribuiscano le opere prime a dosi omeopatiche, e non è possibile che grandi produzioni possano richiedere allo Stato finanziamenti per milioni
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e invece un giovane debba accontentarsi, se fortunato, di poche centinaia di migliaia di euro che in molti casi non bastano a realizzare film di qualità. La maggior parte delle opere prime, quindi, si arena per mancanza di fondi ulteriori o per assenza di distribuzione. Perché lo Stato non dispone e si assicura che tutto il processo di realizzazione di un film (produzione; distribuzione) in cui ha creduto economicamente, vada a buon fine? L’unica soluzione per ovviare a tutte queste difficoltà è quella di rivoluzionare il sistema, di cambiarlo in maniera radicale. Basterebbe mantenere solo ed esclusivamente i finanziamenti per le opere prime e seconde, valutandone in modo più attento, oltre alla valenza culturale, i possibili risvolti economici e le previsioni d’incasso; garantire ai film finanziati dal pubblico una distribuzione certa con un numero di copie minimo che assicuri un ritorno economico (la maggior parte delle opere prime viene distribuita con una media di 20 copie per film, a fronte delle 750 di pellicole come Benvenuti al nord o le circa 500 del Principe abusivo). Inoltre lo Stato potrebbe garantire incentivi alle produzioni indipendenti che hanno ottenuto successi al box office con prodotti di interesse culturale, escludendo da questi incentivi e dai finanziamenti in genere le grandi società di produzione che non hanno bisogno di sovvenzioni, allargando così il bacino economico a cui possono attingere le produzioni minori. Altro discorso infine riguarda il circuito delle sale cinematografiche e la tutela del cinema nostrano: è necessario che i circuiti di sale garantiscano la presenza di film italiani, non solo dei “cinepanettoni”. Bisogna guardare al futuro, permettere anche alle nuove generazioni di poter esprimere le proprie idee cinematografiche, il sistema deve aprire la porta alla qualità, all’innovazione, alle belle storie che di sicuro non mancano, ma che sono solo nascoste.
Promotion
ROMEUR ACADEMY Dove il talento diventa professione Luca Ward ha prestato la sua voce per il cortometraggio Life
La Romeur Academy è un’accademia di alta formazione, unica riconosciuta da Regione Lazio e Provincia di Roma a rilasciare un diploma di II livello in Filmmaking. Il diploma che si riceve è valido in tutta Europa, per concorsi pubblici e per insegnamento. Ciascun corso è caratterizzato da una predilezione fortemente sostenuta della pratica sulla teoria, nella convinzione che le basi teoriche, pur fondamentali nella formazione di figure professionali specializzate, possano essere sedimentate unicamente accompagnandole passo dopo passo alle loro applicazioni su campo. Per questo, scopo finale del corso per Filmmaker è la realizzazione di cortometraggi,
documentari e servizi giornalistici, realizzati interamente dagli studenti, partendo dalla sceneggiatura fino ad arrivare al montaggio. Paolo Secondino, direttore e responsabile didattico dell’accademia, ci spiega meglio questo aspetto dei corsi: «Il primo obiettivo che si pone Romeur Academy, al di là del corso specifico, è quello di formare professionisti. Traiamo spunto dalle esperienze dei ragazzi con
i quali abbiamo l’occasione di parlare. Troppo spesso, infatti, nei percorsi formativi manca quel tassello fondamentale che è l’esperienza sul campo. Che venga proposta attraverso stage o ore di pratica inserite nel programma didattico, poco importa: l’importante è che i ragazzi entrino in contatto con gli strumenti del mestiere, imparando a maneggiarli con disinvoltura. Quest’anno, con una classe che ha dimostrato un entusiasmo e una voglia di fare unici, stiamo realizzando ben cinque diversi cortometraggi. L’accademia ha messo a disposizione dei ragazzi, divisi in gruppi di lavoro, tutta l’attrezzatura necessaria: fotocamere Canon, cavallettini, microfoni, luci, sistemi Avid media composer per la post produzione ecc. Il prodotto finale è interamente nelle loro mani! Chiaramente docenti e tutor sono a disposizione in caso di difficoltà… ma sono sicuro se la caveranno in modo egregio!». I corti saranno presentati durante il Romeur Festival 2013, evento finale di ogni anno accademico volto a dare visibilità ai lavori dei ragazzi, grazie alla presenza, tra l’altro, di diversi ospiti illustri. Inoltre, a partire da quest’anno, Romeur Academy ha stretto un’importante collaborazione con l’associazione Isola Del Cinema, all’interno della manifestazione Notti sul Tevere di Roma. Grazie a questa partnership esclusiva, i cortometraggi realizzati dalla classe del corso per Filmmaker avranno anche l’occasione di essere proiettati all’interno della manifestazione culturale promossa dall’Isola del Cinema. «Insomma – continua Paolo – i presupposti per farsi strada nel settore cinetelevisivo ci sono tutti, come dimostra la carriera avviata di molti nostri ex studenti. Speriamo di poter continuare a lavorare con la stessa appassionata serietà. I progetti e le partnership si moltiplicano di giorno in giorno. Allargando quanto più questa ‘rete’, contiamo di offrire ai nostri studenti sempre maggiori occasioni di formazione e occupazione. Concludendo, ripeto sempre agli studenti l’unico motto che sento di poter condividere con il cuore, dichiaratamente ‘rubato’ a quel genio che si chiamava Steve Jobs: Stay hungry, stay foolish… il resto sarebbe solo porsi dei limiti».
Direttore Didattico e Artistico: Paolo Secondino - www.romeuracademy.it - Via Cristoforo Colombo, 573 - Roma - numero verde 800 910 410 - info@romeuracademy.it 13
SPECIALE DAVID di donatello
IL DIVO Gian Luigi Rondi incontra «Fabrique» per parlare dell’Oscar del cinema italiano. E di come, dopo cinquant’anni, giovani e donne potrebbero cambiarlo. di ILARIA RAVARINO C’è chi lo ama. C’è chi lo odia. Per qualcuno è il simbolo stesso della passione per il cinema. Per altri è il sintomo del disagio di un’industria, quella cinematografica, cronicamente incapace di rinnovarsi. E tanti devono al suo lucidissimo spirito critico l’intera carriera. Lui, Gian Luigi Rondi , dall’alto dei suoi 91 anni guarda e passa. Da cinquant’anni il decano della critica italiana presiede gli Oscar del cinema nazionale, i David di Donatello: «Fabrique», partner dell’Accademia dei David, è andata a incontrarlo. Il cinema italiano è in crisi? Le difficoltà del nostro cinema sono soprattutto di ordine finanziario e tecnico, non creative. Nel 2012 ho visto molti film che meriterebbero un David, opere di tutto rispetto. Il cinema italiano è vivo. È quello che c’è intorno che non funziona. ph Giuseppe Di Caro
Che Italia raccontano i film più recenti? Sorprendentemente la crisi economica ha influenzato poco i temi scelti dai registi. I film del 2012 hanno a che fare con indagini psicologiche o con la critica, molto ben ragionata, del passato. Non emerge, come ai tempi del neorealismo, la cosiddetta fotografia del paese reale. L’80% del nostro cinema è commedia. Ma il David non sembra amarla. È un problema antico. Il mio amico René Clair
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a Cannes me lo diceva sempre: con le commedie non c’è speranza di vincere. Io penso che le commedie, se di alto livello, meritino come gli altri film. Per esempio il film di Siani non solo è stato un successo, ma mi è piaciuto molto. I registi in cinquina nel 2012 erano over 40. Mancano i giovani o il David non li vede? I giovani autori ci sono, io stesso ne recensisco parecchi. Sono io che ho inventato il premio Opera Prima, e questo premio l’ho portato anche alla Mostra di Venezia. È che non arrivano a essere premiati. Perché per giungere a un certo livello le opere devono essere fatte con una perizia che i giovanissimi spesso non hanno. Non sempre gli esordienti sono meritevoli. Però l’anno scorso tra gli esordienti c’erano anche due autori over 50... Non faccio mai computi anagrafici quando giudico un film. Se i giovani hanno più di quarant’anni vuol dire che l’età anagrafica si è spostata in avanti. Siamo giovani più a lungo. Di registe, ai David, se ne vedono poche... E dire che ne abbiamo così tante, di autrici meritevoli! Penso a Maria Sole Tognazzi o a Francesca e Cristina Comencini, le cui opere denotano una grande maturità. Ma quello che conta è che ci siano bei film in cinquina: non importa che siano realizzati da giovani o da donne. Se vincesse un David a chi lo dedicherebbe? Quest’anno mi hanno proposto un David alla carriera, ho risposto di no. Io voglio continuare a darli, i premi. Non riceverli.
«Fa br i q ue» a lle Not ti d’or o Anche quest’anno l’Accademia del cinema italiano - Premi David di Donatello, organizza in collaborazione con l’Accademia francese delle arti e delle tecniche del cinema le Notti d’oro del cortometraggio: il 29 e 30 maggio alla Casa del Cinema saranno proiettati i cortometraggi premiati nei più importanti festival di tutto il mondo (Oscar, César, Bafta ecc.). «Fabrique du Cinéma», partner del festival, sarà presente con un proprio corner in cui gli spettatori potranno trovare la rivista e ricevere informazioni sugli eventi futuri.
Rome Independent Film Festival
RIFF Awards 2013 Si è conclusa la dodicesima edizione del Rome Independent Film Festival (4-10 aprile): vincitori il francese Ombline e gli italiani Aquadro e Transeuropae Hotel.
Grande festa finale all’Animal Social Club con le premiazioni delle 11 sezioni in concorso: anche «Fabrique» ha consegnato il suo premio.
Boom di presenze e di incassi per la dodicesima edizione del RIFF, nell’ormai consueta location del Nuovo Cinema Aquila al Pigneto, che ha visto più di 120 opere in concorso - tra lungometraggi, cortometraggi e documentari - provenienti da oltre 40 Paesi. I RIFF Awards 2013 sono stati assegnati da una giuria internazionale composta tra gli altri da Pascale Faure (responsabile cortometraggi Canal+Francia), Philippe Kreuzer (Bavaria Media GmbH), Heinz Hermanns (direttore del Festival berlinese Interfilm), David Pope (produttore cinematografico, consulente e formatore), Wilma Labate (regista e documentarista) e Nicolas Vaporidis (attore). Il premio per il miglior lungometraggio internazionale è stato assegnato a Ombline di Stephane Cazes, storia di carcere e maternità interpretata da Melanie Thierry, che vince
anche il premio come miglior attrice, mentre per miglior lungometraggio italiano ex-aequo fra Transeuropae Hotel di Luigi Cinque con Pippo Delbono e Beppe Servillo, e Aquadro di Stefano Lodovichi. Sempre per quanto riguarda gli italiani, il miglior cortometraggio è risultato Matilde di Vito Palmieri (selezionato anche alla Berlinale e al Toronto Film Festival), miglior documentario La valle dello Jato di Caterina Monzani & Sergio Vega Borrego, un ritratto di Pino Maniaci, il giornalista autodidatta noto per la sua lotta alla mafia. «Fabrique du Cinéma», che da due anni è partner del festival, ha assegnato il suo premio per il miglior soggetto per sceneggiature a L’invito di Massimo De Angelis, di cui pubblichiamo qui sotto la sinossi. De Angelis vive e lavora a Roma; ha vinto il Premio Solinas 2011 con la sceneggiatura Il mestiere.
L’ i n v i t o | d i M a s s i m o D e An g e l i s Il soggetto vincitore del premio «Fabrique du Cinéma», una storia cruda e magica ambientata nell’Italia del dopoguerra «Abruzzo dell’immediato dopoguerra. È notte in una pietrosa frazione del chietino. Un uomo e una bambina escono dalla loro casa. Li attende un lungo viaggio a piedi in una terra selvaggia, a tratti primordiale, sconvolta da residui umani e materiali del conflitto appena terminato. Lisetta e Giuseppe si incamminano con reciproca diffidenza verso un altro piccolo paese dove sono invitati come compari di nozze. Sono due persone ferite. E il viaggio è lungo un giorno di cammino. Sarà un percorso primitivo e tragico, a volte sorprendente e meraviglioso. Nel corso del viaggio, Lisetta, fragile e sensibile, scoprirà il mondo e le cose attraverso personaggi e luoghi che si alterneranno sullo sfondo di una natura aspra e commovente. Carrozzoni di girovaghi; preti nomadi; reduci di guerra; branchi di cani famelici; paesi senza più voci; guaritrici rurali; ruscelli e piante che parlano e carlinghe precipitate di aerei alleati. Lisetta gracile e calva e con una croce segnata a fuoco sulla schiena. Giuseppe alto e forte. Giuseppe che cammina sicuro nei boschi conoscendo sentieri e scorciatoie. Sa che nel loro paese non torneranno mai più. La guerra lo ha costretto a fare qualcosa di terribile al suo sangue, nella sua casa. Il viaggio è anche una fuga. Da se stessi, dalla miseria. Dal passato. La cerimonia nuziale, agreste e magica è il passo d’addio di Giuseppe con la sua terra e tra lui e la bambina. La bambina a cui ha ucciso il padre, suo fratello».
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- Opera prima -
MARCO RIGHI
EDUCAZIONE SENTIMENTALE IN EMILIA Con I giorni della vendemmia Marco Righi porta sullo schermo il ritratto inedito di un luogo, la provincia emiliana, e di un tempo, la tarda estate del 1984. Sullo sfondo di una campagna calda e matura, il sedicenne Elia incontra l’amore, la rabbia e l’abbandono. Morando Morandini prosegue la sua collaborazione con «Fabrique» incontrando il giovane regista davanti a un caffè. di Morando Morandini foto Francesca Fago, Fabio Cepelli
Marco Righi (30 anni) e Morando Morandini (89 anni) durante l’intervista che si è svolta nella casa milanese del grande critico cinematografico; in molti lo conoscono per l’omonimo Dizionario dei film che Zanichelli pubblica ogni anno dal 1998.
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«Quando ho avviato il progetto non immaginavo che potesse diventare un lungometraggio, poi man mano che giravamo il film ha preso corpo». Alcuni frame e immagini dal set de I giorni della vendemmia, girato in sole due settimane nella campagna di Reggio Emilia. Il film è stato prodotto da Ierà, giovane casa di produzione con sede a Cavriago (RE).
U
na domanda di rito: come è nato il tuo primo lungometraggio? Quando abbiamo girato il film avevo 26 anni, ma l’avevo in testa da molto prima, l’ho scritto intorno ai 23; nel frattempo da Reggio, dove sono nato, mi ero trasferito a Milano per fare studi di regia e montaggio. I giorni della vendemmia è nato in maniera molto spontanea: quattordici giorni di riprese in campagna, una sola location, cinque attori, altrettante comparse. Quando ho avviato il progetto non immaginavo che potesse diventare un lungometraggio, poi man mano che giravamo il film ha preso corpo e, mediando fra esigenze produttive e registiche, siamo arrivati a una durata di 75 minuti (80 con i titoli di coda), il minimo indispensabile per poter parlare di opera prima… Sono due i temi molto presenti: la religione e il sesso. Perché questa scelta? Ancora prima di mettere mano alla parte “intellettuale” del lavoro, inteso come scrittura e sceneggiatura, la mia intenzione era quella di comunicare, raffigurare un’atmosfera precisa, il caldo torrido di fine estate vissuto da un ragazzino nella sua solitudine di una casa rurale, in un contesto familiare abbastanza tipico della provincia emiliana: la nonna
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(che è mia nonna nella realtà), il padre comunista, la madre cattolica. Tutti luoghi e atmosfere per me naturali, fisiologici: con la scelta della scena iniziale di masturbazione, forse ho voluto esorcizzarli. Non è comune oggi ambientare una storia tutta in campagna… A proposito, dove hai girato? Sembra aperta campagna, in realtà siamo a cinque minuti da Reggio Emilia, tra le frazioni di Masone e Massenzatico. In ogni caso il paesaggio campestre è fondamentale nel film, anche nel rapporto al centro della narrazione, l’incontro/scontro fra Elia ed Emilia, la ragazza che viene ad aiutare la famiglia di Elia per la vendemmia. Se lui rappresenta la campagna, lei è la città. La pellicola ruota tutta attorno a Elia, inizia e finisce con lui. Il focus è su di lui, ma ho cercato di aprire e chiudere delle parentesi su altri personaggi: il fratello maggiore, il padre e soprattutto la nonna che, anche se per pochi minuti nell’economia del film, con la sua saggezza è per il nipote un elemento saldo, molto più dei genitori, troppo occupati l’uno con l’ossessione politica l’altra con quella religiosa. E sempre su Elia si chiude il film, perché questa è la sua storia, appunto, la storia di una maturazione sessuale vissuta attraverso l’incontro con una ragazza che poi se ne va: perciò la scena finale è liberatoria, con
- Opera prima/2 -
Un esempio di come oggi si possa fare cinema con pochi mezzi ma con tante idee. Un film «quasi no-budget», come racconta il regista Ciro de Caro, reso possibile da un gruppo di giovani professionisti che hanno creduto nel progetto: ebbene, Spaghetti story è stato presentato al Riff 2013 portandosi a casa il premio della distribuzione. Racconta di quattro giovani adulti desiderosi di cambiare le loro vite: Valerio e Scheggia sognano la loro grande svolta; Giovanna e Serena fingono di essere adulte, ma in realtà non hanno mai osato vivere davvero. L’improvviso incontro con Mei Mei, una giovane prostituta cinese, rimescola le carte. Ciro de Caro è al suo primo lungometraggio, dopo anni di successi in pubblicità. Racconta così la genesi e lo sviluppo del progetto: «Il mio è un film totalmente indipendente, low-budget. Anzi, sarebbe più corretto dire quasi no-budget. Questo perché ho preferito evitare di dover aspettare anni nel tentativo di girare con un vero budget cinematografico, magari correndo il rischio che questo film non vedesse mai la luce. Troppo spesso, infatti, nell’attesa di opzionare un attore famoso per invogliare un produttore o per ricevere il finanziamento che non arriva, i film non vengono prodotti, e le storie che dovrebbero raccontare la nostra generazione non vengono raccontate. È un film molto semplice, girato con l’attrezzatura che poteva entrare nel bagagliaio di un’auto, con una sola ottica (un 50mm), in soli undici giorni, tra difficoltà e imprevisti che, alla fine, sono stati il valore aggiunto del film perché hanno stimolato la creatività e la ricerca di nuove soluzioni. Ne deriva che l’uso quasi esclusivo di un solo campo, della macchina a mano, di pochissimi primi piani e di molti tagli interni si rivela essere non, semplicemente, un’esigenza imposta dalla povertà dei mezzi, bensì una scelta funzionale e, direi, necessaria al racconto di questa particolare storia. Mi piacerebbe che, guardando questo film, altri registi, giovani e meno giovani, si sentissero invogliati a seguire la mia stessa strada, scavalcando i falsi ostacoli che li bloccano, e guardando alla mancanza di mezzi non come a un limite, ma piuttosto come a un’opportunità che ne stimoli ancor più la creatività e ne garantisca la libertà di espressione».
lui che beve, fuma e balla sulla musica di Beautiful Rebel di Jeremy Jay. Forse qui c’è qualcosa di autobiografico. Quando nella vita quotidiana vivo un’emozione molto intensa ho bisogno di sfogarla. Ho notato che i tuoi protagonisti fumano molte sigarette… È una cosa che molti spettatori hanno osservato; in un festival negli Stati Uniti il film è stato vietato ai minori di 14 anni per questo motivo! Ammetto che forse non sono riuscito a ponderare bene tutte le scene, essendo la prima esperienza con un lungometraggio, diciamo che mi è scappata un po’ la mano… Però soprattutto per Emilia il fumo febbrile è anche il sintomo di un non completo adattamento ai ritmi della campagna. I giorni è un film a basso costo: in che modo sei riuscito a trovare i finanziamenti? È stato prodotto da Ierà, giovane casa di produzione fondata da Simona Malagoli: un’amica conosciuta anni fa lavorando nella stessa agenzia di comunicazione. Abbiamo ricevuto anche qualche aiuto da aziende private, ma non abbiamo chiesto i contributi ministeriali. Zero denaro pubblico, insomma. Di qui la scarsità di mezzi a disposizione: per la scena iniziale, ad esempio, avevo previsto un dolly per mostrare l’estensione dei vigneti, ma quando la macchina è arrivata sul set ci siamo accorti che il fuoco non era remotabile, e quindi
Spaghetti story
Nel cast: Valerio Di Benedetto, Cristian Di Sante, Sara Tosti, Rossella D’Andrea, Deng Xueyng, Tsang Wei Min.
abbiamo dovuto smontare tutto con grande rammarico. In genere comunque sono piuttosto rigido nella scelta dei mezzi: non amo la steadycam, qui ho impiegato carrelli, treppiedi e camera a mano solo nella scena in cui vedono le immagini di Enrico Berlinguer. Hai in mente un’altra storia che ti piacerebbe realizzare? C’è un altro progetto, questa volta vorrei fare però i passaggi giusti, fare la richiesta di contributi al Ministero e così via, produrlo, insomma, in modo più convenzionale. Nella nuova storia c’è ancora la campagna, ma in maniera meno preponderante: racconta una riconciliazione con un luogo, un ritorno. Ed è ancora legata a dei personaggi giovani. I giorni della vendemmia ha avuto un’intensa vita nei festival, vincendo premi al Valdarno Cinema Fedic, Milano International Film Award, Stresa, Grenoble. C’è stato un buon riscontro di pubblico e critica. Abbiamo ottenuto anche un premio dalla Fice come film del 2012 più votato dal popolo di Internet e ora speriamo nei David di Donatello. Nel 2012 non eravamo ancora eleggibili perché uscendo con solo tre copie in Emilia Romagna non avevamo sufficienti città capozona, per l’edizione 2013 siamo perfettamente in regola: sostenuti dal passaparola abbiamo raccolto circa 25.000 spettatori in quasi 100 città d’Italia.
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Asia Ruperto, laureata in Lingue e Civiltà Orientali, lavora tra Roma e Pechino, dove collabora alla realizzazione di progetti di scambio tra l’Italia e la Cina. Da cinque anni si occupa dell’organizzazione del festival di cinema asiatico di Roma AsiaticaFilmMediale.
SHOOTING
CHINA
Il cinema indipendente cinese fra soft power, mercato e censura: una realtà in continua evoluzione di Asia Ruperto
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I wish I knew, Jia Zhangke, 2010; The Ditch, Wang Bing, 2010; 11 Flowers, Wang Xiaoshuai, 2011; Lanterne rosse, Zhang Yimou, 1991; Li Xianting.
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erzo maggior produttore di film e secondo mercato al mondo: lo scorso anno, le vendite ai box office hanno fruttato alla Cina un giro d’affari di circa tre miliardi di dollari, con una crescita superiore al 30%. Industria culturale, tendenza mainstream, soft power: gli elementi che stanno alla base di questo successo mostrano una Cina che vuole imporsi come valida alternativa al dominio americano della cultura di massa. Ma anche in un Paese in cui il potere centrale detta le linee guida per la realizzazione di un’opera cinematografica e i box office quelle per i finanziamenti, gli spazi e i canali indipendenti per fare cinema non mancano. Tra interessi economici e censura sempre maggiori, difficoltà di budget e di distribuzione, esiste una realtà fatta di registi che continua a manifestare la propria autonomia attraverso le sue opere. In Cina il linguaggio del cinema indipendente ha avuto uno sviluppo coerente, scandito da fasi significative: un’autentica autonomia cinematografica è sorta dalla combinazione di circostanze sociali, politiche ed economiche che affondano le loro radici nel periodo post Tiananmen. L’estetica della documentazione, l’esigenza di registrare la nuova condizione socio-politica e formulare un insieme di verità oggettive sono i fattori determinanti della nascita del cinema indipendente. È dai problemi sociali e dalla crisi di un’intera generazione di giovani che nasce, dunque, un gruppo di registi chiamato sesta generazione e ribattezzato urban generation. Abbracciando l’estetica e l’etica del cinema a basso costo e autoprodotto, questi cineasti segnano la fine della cosiddetta “era Gong Li”, proponendo temi ben distanti dal ricco repertorio letterario proposto da quelli della quinta generazione (Chen Kaige, Zhang Yimou e altri). La loro attenzione si concentra sulle vicende della nuova Cina piena di contraddizioni. Come spiega Zhang Yuan, figura di riferimento del gruppo: «Il nostro modo di vedere le cose è completamente diverso da quello dei cineasti della quinta generazione. Loro sono degli intellettuali che hanno passato la loro giovinezza nelle campagne; noi, invece, siamo dei cittadini. Loro hanno conservato un lato un po’ romantico; noi no. Io faccio film perché m’interesso alla realtà sociale, è nell’oggettività che trovo la mia forza». Tramite le sue prime opere Mum
(1992), Beijing Bastards (1993) e East Palace, West Palace (1996), Zhang Yuan ha sostanzialmente inaugurato un nuovo modo di fare cinema, portando, per la prima volta sullo schermo, alcuni temi tabù quali la prostituzione, la droga, l’omosessualità. Ha mostrato il volto quotidiano dei centri urbani di una Cina in pieno fermento, i meccanismi innescati dalla scelta del Partito di rispondere all’improvvisa crescita del Paese con progetti di riedificazione d’intere aree che hanno determinato il cambiamento del profilo della città. L’indipendenza non è però necessariamente rivolta solo contro il sistema o le istituzioni, ma è una vera e propria presa di coscienza dell’autonomia del proprio io. Se infatti in East Palace, West Palace l’omosessualità è soprattutto una metafora dei rapporti fra l’individuo e il potere, in Fish and Elephant (2001) la giovane regista Li Yu affronta l’omosessualità femminile per quello che è: un amore fatto di sentimenti naturali e semplici, momenti dolorosi e complessi. Destinati a una circolazione illegale, spesso sotto forma di dvd pirata, i film indipendenti assumono presto l’etichetta di underground e iniziano a catturare l’attenzione dei festival e dei circuiti cinematografici internazionali, interessati a scoprire un mondo insolito celato dietro censura e propaganda. Grazie a questo, all’uso di videocamere elettroniche e a una funzionale rete di piccoli finanziatori privati, Zhang Yuan e con lui autori importanti come Wang Xiaoshuai, Wu Wenguang, Ning Ying, Lou Ye riescono a originare un nucleo forte e compatto intorno a cui si sviluppa una vitale e prolifica corrente in grado di unificare autonomia produttiva e autonomia espressiva. Da un punto di vista estetico, i registi indipendenti iniziano a includere anche nuovi linguaggi, come il videoclip e soprattutto il documentario, che rispecchia la predilezione per un approccio diretto con la realtà filmata, in cinese xiangchang, accompagnata da un senso di urgenza e responsabilità sociale. È Wu Wenguang con Bunming in Beijing: The Last Dreamers (1990) a segnare l’inizio di una documentaristica innovativa e sperimentale, in cui racconta la delusione e l’inconsistenza della vita di cinque artisti (lui compreso), destinati a lasciare Pechino per mancanza di speranze e opportunità. In ogni caso, gli elementi più importanti che accomunano le opere ap-
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parse dopo il 1990 sono uno spiccato approccio individualistico e la volontà di affermare le proprie idee, tendenze rese possibili dall’introduzione del digitale. Economiche e trasportabili, le videocamere digitali hanno segnato l’inizio di un nuovo modo di fare cinema e di raggiungere il pubblico. Eredità che, negli ultimi anni, è stata raccolta da autori come Hu Jie, Xu Xin, Cui Zi’en e Zhao Liang che hanno prodotto opere con una forte connotazione sociale, diventando i testimoni dei profondi cambiamenti della Cina contemporanea. I loro lavori, oltre a essere stati girati in digitale, sono in qualche modo legati a due realtà più o meno recenti, ma già consolidate nel panorama cinematografico indipendente cinese: il Fanhall Studio e la Li Xianting Film School. La prima, fondata da Zhu Rikun nel 2001 [vedi box], è una delle più attive case di produzione e distribuzione private. La seconda è invece un’organizzazione non profit creata dal critico d’arte Li Xianting nel 2006 con lo scopo di promuovere la cinematografia indipendente, attraverso un archivio permanente e una scuola privata. Entrambe sono situate a Songzhuang, nella periferia est di Pechino, che è attualmente la più grande e famosa comunità di artisti in Cina. È qui che ogni anno si organizza il Beijing Independent Film Festival che, insieme al China Independent Film Festival di Nanchino, è la più completa e interessante rassegna di cinema indipendente in Cina. La Li Xianting Film School, sebbene abbia a sua disposizione risorse molto limitate e non possa garantire un diploma formale, ha creato un ambiente aperto che incoraggia i suoi studenti a esplorare in modo autonomo e libero le proprie attitudini. I corsi sono tenuti secondo la formula del workshop; la parte teorica è abbinata a una consistente parte pratica, che si conclude con il progetto finale della produzione di un corto. Accanto a tutto ciò, è da segnalare l’emergere di una diffusione cinematografica indipendente che si rispecchia nella nascita di circoli e spazi alternativi dove organizzare proiezioni e dibattiti, favorita dall’uso crescente del web e dei social network, divenuti un canale di approfondimento diretto e personale (come dimostra ad esempio il numero di visualizzazioni dei documentari postati da Ai Weiwei). Prefigurare il futuro dei registi e del cinema indipendente cinese non è possibile. Se infatti questo è certamente un momento favorevole per il mercato cinematografico mainstream, è invece meno certo se e come il cinema indipendente possa continuare a innovarsi sia in termini di contenuti che di stile, tra interessi economici e censura sempre maggiori. Tuttavia, se i cineasti continueranno a rivendicare per se stessi una posizione di responsabilità e centralità, anche il circuito dell’industria cinematografica commerciale dovrà cambiare direzione e rivolgersi a registi che propongono opere indipendenti in grado di rappresentare le dinamiche di una realtà in continua trasformazione.
«L’indipendenza non è necessariamente rivolta solo contro il sistema o le istituzioni, ma è una vera e propria presa di coscienza dell’autonomia del proprio io». A colloquio con Zhu Rikun
fanhall studio: una realtà attiva e dinamica a favore del nuovo cinema cinese. ne parliamo con il fondatore zhu rikun, una delle maggiori figure nel panorama della produzione e distribuzione indipendente, oltre che consulente di importanti festival nazionali e internazionali. Qual è oggi il ruolo di Fanhall? Fanhall è una casa di produzione e distribuzione, un luogo di ritrovo e discussione, uno spazio per proiezioni e incontri. Il nostro obiettivo è stimolare lo sviluppo del cinema indipendente, favorendo il dialogo tra registi e pubblico. Ci occupiamo del processo di ricerca e gestione dei fondi per la produzione delle opere e, una volta finite, della loro distribuzione in vari modi, per esempio attraverso il circuito dei festival internazionali.
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Le opere prodotte dal Fanhall Studio sono girate unicamente in digitale? Sì. Alla fine degli anni Novanta, l’introduzione del digitale ha portato un cambiamento sostanziale nel cinema indipendente, per la possibilità di essere molto più vicini ai soggetti ripresi. La videocamera digitale ha permesso di registrare scene comuni in luoghi pubblici, in modo apparentemente casuale e ha permesso agli autori indipendenti e non professionisti di realizzare opere dai costi contenuti e trovare circuiti di diffusione alternativi a quelli ufficiali, bypassando così la censura connessa alla distribuzione nelle sale. Come vedi il futuro delle produzioni indipendenti? La situazione generale è complessa. La censura è una difficoltà reale e molti registi temono i possibili problemi in cui si può incorrere nel girare opere indipendenti. Ciò potrebbe nuocere alla loro creatività. Personalmente mi auguro che i giovani cineasti persistano nel resistere alle limitazioni imposte dal sistema. Perché l’arte può contribuire al processo di conoscenza, e intendo l’arte vera e autentica, non quella che persegue un profitto, che ha lo stesso effetto del controllo esercitato dal governo, in quanto distorce la realtà.
Promotion
CINEAMA LA COMMUNITY DI CHI AMA IL CINEMA La ricerca di soluzioni alla crisi del cinema, evidenziata dalle statistiche sul calo degli spettatori e dall’affacciarsi di nuovi modelli produttivi e distributivi, vede Cineama in prima fila. Terenzio Cugia di Sant’Orsola, amministratore unico della società, ci racconta la genesi, i progetti e i risultati di cineama.it. La prima domanda è d’obbligo, Terenzio: cos’è cineama.it? È una piattaforma e una community dedicata a chi fa e a chi ama il cinema. È una finestra aperta sul mondo del cinema indipendente, dei cortometraggi e delle web series che vuole dar spazio ai progetti innovativi in genere. Cineama.it è anche un luogo dove poter trovare collaboratori e professionisti per realizzare i propri progetti: compilando il proprio profilo professionale appaiono in bacheca tutti gli annunci di ricerca pertinenti. Attualmente conta più di 15.000 iscritti. Siamo attivi anche nella promozione e distribuzione
di film, in particolare tramite quella che noi chiamiamo la “distribuzione social”. Ovvero? Si tratta di un servizio rivolto alle case di produzione e distribuzione che può affiancare ma a volte anche sostituire il tradizionale processo di promozione, comunicazione, distribuzione. Attraverso l’attività di social media marketing e marketing territoriale Cineama crea l’identità online del film, contribuendo alla sua conoscenza e diffusione all’interno della rete. Segue l’individuazione di uno specifico target di riferimento sulla base dei temi trattati dal film e di altri elementi di richiamo (regista, musiche, cast). Abbiamo sviluppato anche un’app Facebook che permette di richiedere la visione di un dato film nella propria città, dimostrando per esempio agli esercenti l’esistenza di un potenziale pubblico per la propria sala. Quali film avete promosso e distribuito fino adesso? Per citarne solo alcuni, Una separazione, Oscar come miglior film straniero 2012 (Sacher Distribuzione), Appartamento ad Atene, il film italiano con maggiori riconoscimenti ai festival internazionali nel 2012 (L’Occhio e la Luna), Alì ha gli occhi azzurri, premio per la migliore opera prima al Festival Internazionale del Film di Roma 2012 (Bim Distribu-
zione), The Summit - I tre giorni della vergogna (Minerva Pictures). Qual è l’idea di base da cui siete partiti nello sviluppo del progetto Cineama? Il progetto è nato dall’intuizione che internet porterà a rivoluzionare tutti i campi, nessuno escluso. Nello specifico volevamo applicare le pratiche e gli strumenti del web e dei social media per trovare nuovi modelli di produzione, promozione e distribuzione cinematografica. Il concetto base è che lo spettatore partecipi ai progetti sin dalle prime fasi, che diventi “spetta-attore” e non più soggetto passivo. Riteniamo che almeno in parte gli utenti potranno presto scegliere quali film vedere nella propria sala di riferimento, tramite un processo democratico “dal basso”. Questa visione ci ha portato a vincere il bando Media quale “miglior progetto pilota” nella distribuzione film europea assieme al nostro partner, La 7eme Salle di Parigi. Sappiamo che curate anche la programmazione di un canale Cubovision. Sì, siamo molto fieri del canale “Cameo”, dedicato a film d’autore prevalentemente internazionali. La maggior parte dei film sono dei gioielli mai distribuiti in Italia, che siamo andati a reperire in giro per il mondo. La scelta di mandarli in onda in lingua originale con sottotitoli è controcorrente, ma speriamo che il pubblico di cinefili apprezzi la novità. Abbiamo creato un blog - cameo.cineama.it – curato da Gabriele Niola, esperto di cinema e tecnologie e da Maria Giorgia Vitale, blogger cinefila, per presentare alcuni dei film proposti, e discutere di festival e rassegne indie, oltre che occuparsi di produzione indipendente in Italia e all’estero.
www.cineama.it - Terenzio Cugia: info@cineama.it - Tania Innamorati: tania.innamorati@cineama.it 23
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Marco Bellocchio
IL MIO CINEMA? è UN CORPO A CORPO
Una lunga corte per convincerlo a incontrarci: Marco Bellocchio, icona di generazioni di cineasti, racconta a «Fabrique» il suo cinema di oggi incardinato su personaggi e attori e definisce i difetti che vede nei giovani. Pochi consigli e molto senso pratico. Senza dimenticare i sogni. di Cristiana Raffa foto Francesca Fago
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Non è vero che oggi si esordisce tardi. Con pochi mezzi moltissimi giovani fanno il loro primo lungometraggio”. Marco Bellocchio rifiuta l’assioma dell’Italia Paese per vecchi. Sprofondato nella sedia di fronte alla sua scrivania, gira su stesso mentre ci pensa. Risponde svogliato al telefono che squilla spesso, s’illumina se dall’altra parte c’è una voce amica o qualcuno che riesce ad attirare velocemente la sua attenzione. E poi riprende il discorso: «Quando avevo vent’anni io fare un film era davvero un’impresa, era tutto fisicamente pesante, rigido, servivano mezzi enormi e produzioni serie. Il problema semmai oggi è la qualità. E poi avere la possibilità di far vedere il proprio lavoro, in questo senso le rassegne e i festival sono molto importanti».
Sul set di Bella addormentata (2012): Bellocchio spiega la scena a Toni Servillo e Roberto Herlitzka (a destra), Maya Sansa e Piergiorgio Bellocchio (in basso). Alla finestra, il direttore della fotografia Daniele Ciprì.
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A Bobbio, in provincia di Piacenza dove lei è nato, ne ha uno tutto suo di festival: qual è il suo obiettivo? A Bobbio non facciamo scoperte, presentiamo autori che si sono già conquistati un piccolo spazio, anche se esordienti. Non importa che siano o meno invisibili per il grande pubblico. Il nostro festival serve ad approfondire e a incontrare chi fa buon cinema. Lì dirige anche laboratori pratici, cosa insegna ai ragazzi? Io cerco solo di divertirmi, non mi interessa insegnare nel senso classico della parola. Posso coinvolgere i ragazzi solo girando un piccolo film con loro, creando una troupe che metta tutti alla prova. Mi piace e credo che loro possano imparare sul campo. Sicuramente è esperienza e dunque sempre preziosa. Cerco di trasmettere loro che il nostro lavoro è un confronto, uno scontro. Bisogna saper coinvolgere e convincere le persone che collaborano, sedurle. Vale nel piccolo documentario come nel film complesso. Dove si impara a fare cinema oggi? Ai miei tempi c’era una distanza tale tra il volerlo e il poterlo fare che era necessario andare a imparare nei luoghi della sacralità come il
Centro Sperimentale. Ora non c’è neanche più bisogno di andare lì per capire come si deve fare un film, le nozioni elementari del girare si acquisiscono anche altrove. Una prima esperienza pratica si può fare facilmente. Essere dentro alla materia cinematografica e coltivare un talento è altra cosa. Ci riescono in tanti oggi a fare un primo lungometraggio, con un linguaggio cinematografico di base anche accettabile perché l’abc si impara in poco tempo e qualche soldo per una piccola produzione si racimola tra amici e parenti, ma sono operazioni molto spesso destinate al fallimento. Che difetti riscontra negli esordienti? Il punto debole dei giovani autori è che sottovalutano il rapporto con gli attori (che spesso sono anche mediocri). Far recitare gli attori è una cosa che sanno fare in pochi. E poi le sceneggiature sono deboli. Invece i produttori si innamorano delle buone sceneggiature, anche se sono state scritte da sconosciuti. Potendolo fare con pochi mezzi bisogna dunque buttarsi o è meglio aspettare e puntare sul progetto giusto? Meglio buttarsi. Tutto serve per accumulare esperienza e per capire. Io ho fatto due saggi di diploma al Centro Sperimentale che erano assolutamente introversi e ingenui dal punto di vista della comunicazione, ma anche sulla base di quella esperienza poi ho potuto girare I pugni in tasca. Un film che è stato apprezzato perché all’epoca era forte, fu uno scandalo. Ecco, un film forte, un manifesto che anticipò i temi della contestazione. Andò a Locarno, fu distribuito all’estero. Lei aveva appena 26 anni. Se fosse un ventenne adesso, all’esordio, lo rifarebbe un film politicamente impegnato? I temi politici e il cinema di denuncia a questo punto sono superati. La televisione e internet sono mezzi infinitamente più potenti e più veloci. Oggi col cinema si ha solo la possibilità di inventare cose nuove perché niente fa più scandalo. All’epoca certo che I pugni in tasca fu dirompente rispetto al perbenismo delle relazioni familiari, come scandaloso fu Diavolo in corpo dell’86. Un atto deciso fu anche Marcia trionfale, del ’76, una denuncia della naia e del nonnismo. Ma già da L’ora di religione in poi la dimensione scandalistica era superata perché era finita la rabbia. Ora racconto storie che sono un corpo a corpo con i personaggi, perché il cinema in questa fase storica può solo approfondire e creare. Pensa di fare ancora tanti film? Non bisogna perdere tempo, è vero, ma non sono disposto a fare come molti dei miei colleghi che accumulano film per fare numero alla fine di una lunga carriera. Io preferisco pensarci bene, scegliere solo ciò che mi piace davvero e puntare sull’equilibrio. Si può dire soddisfatto? Ha realizzato i suoi sogni da ventenne? Ho fatto molto di quello che avrei voluto fare, non tutto, ma va bene così (Va bene così potrebbe anche essere il titolo dell’autobiografia a cui sto lavorando). In questa fase un regista deve capire quello che può fare e trovare un modo per farlo. Ci vuole molto pragmatismo, la realtà offre pochi mezzi perché è tutto più povero, la società intera è più povera. Che non significa umiliare i propri sogni, ma elaborare delle visioni che ti permettano di realizzarli.
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KAROLE DI TOMMASO
PASSIONE È VOCAZIONE
È la prima regista donna indicata da «Fabrique» tra le dodici giovani promesse del cinema italiano. Molisana doc, autrice di corti d’arte e narrazione, secondo il suo maestro Daniele Luchetti Karole Di Tommaso è regista per passione. Per talento, aggiungiamo noi. Per vocazione, puntualizza lei. di Ilaria Ravarino foto PAOLO PALMIERI
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Il suo nome non le piaceva e così se l’è cambiato. Volitiva Karole, all’anagrafe Karol, nata in un paesino di 1200 anime dal nome combattivo, Guardialfiera, e trasferita a Roma seguendo una passione che lei descrive con una parola che non ammette compromessi: “vocazione”. Assistente alla regia nel prossimo film di Daniele Luchetti, regista dei cortometraggi Palma e Sorelle, entrambi realizzati col sostegno del Centro Sperimentale di Cinematografia, Karole Di Tommaso si prepara a esordire al lungometraggio con due film: Oggi spose e L’ospite italiano.
«Non credo nella regia impositiva, non collaborativa. Cerco di essere pronta a ricevere impulsi dall’esterno».
Quando hai deciso di dedicarti al cinema? Già a 13 anni sentivo il bisogno di esprimermi, di comunicare. Passavo le ore ad ascoltare le anziane che si raccontavano storie davanti al camino. Il cinema però non è arrivato subito. Quando me ne sono andata a Roma, è stato per frequentare l’Accademia di Belle Arti.
Quando è arrivato il Centro Sperimentale? Dopo l’Accademia ho cominciato un percorso da artista classica e subito dopo mi sono trasferita a Venezia per seguire un master in cinema e realtà. Poi, proprio quando stavo per stabilirmi in Canada, mi hanno chiamata dal Centro Sperimentale: ero stata ammessa.
L’Accademia è stata una tappa utile nella tua formazione? Là ho ricevuto una delle lezioni più importanti, quando dopo aver lavorato per mesi a una scultura il mio insegnante mi chiese di distruggerla. Mi disse: se credi di essere un’artista, puoi rifarne un’altra. Mi ha insegnato a non affezionarmi mai a quello che produco.
In Palma racconti una storia di provincia. Avrei voluto farne molti episodi, almeno dieci. Mi piace l’idea di raccontare il mondo attraverso gli occhi di chi arriva dalla provincia. Chi viene dal niente è più stimolato dall’esterno e il suo incontro con l’altro è esplosivo. La provincia è un vastissimo territorio del non visto dove i cliché non esistono ancora.
I film, però, sono fatti per rimanere. Ma l’approccio è lo stesso. Non credo nella regia impositiva, non collaborativa. Cerco di essere pronta a ricevere impulsi dall’esterno.
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Nei corti il lavoro sul sonoro è una cifra del tuo linguaggio. Perché? Il sonoro per me è un elemento forte di ricerca. In una società come la nostra, bombardata da immagini sempre più banali, il sonoro
crea come uno strappo con la realtà, è l’elemento che al cinema più di tutti fa vivere allo spettatore un’esperienza, avvolgendolo come una madre. È il 3d delle emozioni. Come lavori con gli attori sul set? Costringere un essere umano a provare emozioni è una cosa che mi imbarazza, soprattutto se i sentimenti da mettere in scena non sono piacevoli. Per questo cerco di mettere i miei attori in trappola... Cioè? Per esempio in Palma, dove ho fatto recitare mia madre: l’ho trattata malissimo perché era l’unico modo per metterla a disagio. Per Sorelle invece ho bendato gli attori e ho lasciato che si toccassero, che si conoscessero al buio. Preferisco che nella preparazione del film gli attori facciano cose che non c’entrano nulla con la storia. Voglio che incontrino così i personaggi, poi, una volta sul set, sapranno da soli cosa fare. È un po’ come andare a cavallo: il cavallo sa quello che deve fare, bisogna solo dargli qualche colpetto ogni tanto. L’importante è che non sia un brocco. Bisogna fare una buona spesa per avere un buon risotto. Perché in Sorelle hai scelto una suora come protagonista? Perché l’amore fra religiosi è una cosa che mi sorprende. È un mistero che mi interessa carpire. Quando vedo un prete, o una suora, non mi serve sapere se sia buono o cattivo. Ma voglio capire come abbia fatto a rimanere integro. Trovo mostruoso il tabù cui si sottopongono, la repressione.
Le registe italiane faticano a emergere: sei pronta? L’ambiente è molto maschilista e più in generale il cinema è pieno di vanitosi. Vado avanti con la forza di chi fa semplicemente le sue cose conquistandosele. In un mondo di gerarchie maschili si è spiazzati dalla dolcezza e dall’umanità delle donne. Io non pretendo, faccio. Non sgomito e trovo ripugnante chi lo fa. Fare la regista in tempo di crisi: ti senti choosy? Per niente. Non sono ricca e mio padre è in cassa integrazione. Non so se ho talento: sicuramente ho la vocazione. Quello che so fare è raccontare storie. Ci metterò tanto a farlo? Pasolini ha impiegato 16 anni per Accattone, perché io dovrei mettercene di meno? In che modo vorresti cambiare il cinema? Portando l’umiltà nel raccontare storie semplici ma necessarie. Il film che ti ha cambiato la vita? Il gattopardo di Luchino Visconti. Ero piccola, avevo la febbre e stavo guardando un vhs di Cenerentola. Poi ho cambiato canale e ho trovato un film con dei costumi più belli di quelli del cartone e mi sono fermata a guardarlo. Solo da grande ho realizzato che era Visconti. Cosa è rivoluzionario oggi? Restare. Il cinema è rivoluzione? Credo più nel pensiero che nella rivoluzione. Oggi, in fondo, tutti possono dirsi rivoluzionari.
Per te è indispensabile essere anche sceneggiatrice? No, l’essenziale è che io capisca i personaggi e le emozioni da veicolare, che conosca insomma i materiali della costruzione e le persone cui la affido. Una ragazza madre in Palma, una suora in Sorelle: ami le storie al femminile? Parlo di cose che conosco. Per esempio le storie su cui sto lavorando adesso, i due lungometraggi. In Oggi spose racconto di due ragazze che se ne vanno in Canada per sposarsi. L’ospite italiano invece è la storia di una giovane donna che durante un viaggio in Tunisia dopo la maturità viene rapita e portata in un albergo di lusso, finendo per conoscere se stessa e la propria sessualità. Sono storie che mi appartengono. Molto da vicino.
«Il sonoro per me è un elemento forte di ricerca. In una società bombardata da immagini sempre più banali, crea come uno strappo con la realtà». 31
IL TAX CREDIT SALVERÀ IL CINEMA?
Dopo anni di silenzio delle istituzioni sulle difficoltà del cinema e di finanziamenti erogati con il contagocce, oggi c’è uno strumento che va in controtendenza: si chiama tax credit, è ancora poco conosciuto ai più ma non ai produttori e distributori cinematografici, che grazie a esso negli ultimi tempi hanno potuto tirare un po’ il fiato.
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di ELENA MAZZOCCHI illustrazioni PAOLO SOELLNER
i tratta di un meccanismo per il quale è possibile detrarre dalle tasse una quota del 15% del costo complessivo di produzione di un film (è il cosiddetto tax credit interno); quota che sale a un invitante 40% per gli investitori esterni, cioè imprese estranee alla filiera cinematografica che decidono di finanziare una pellicola (tax credit esterno). Per accedere a questo beneficio fiscale è necessario avere dei requisiti di «eleggibilità culturale» predisposti dal Ministero dei Beni Culturali, cosa però diversa dall’«interesse culturale» disciplinato dalla “Legge cinema” del 2004. Inaugurato nel 2008, e perfezionato da altri interventi legislativi nel 2009 e nel 2011, il tax credit è oggi un successo consolidato: nel 2012 su 129 film prodotti interamente con capitali italiani, ben 79 hanno richiesto il credito d’imposta (dati Mibac-Anica aprile 2013), cioè una percentuale del 61%. Uno degli elementi vincenti di questo strumento è la flessibilità: il produttore può infatti decidere di far valere il credito con il fisco quando gli è più necessario, magari in un momento di maggiore ristrettezza di cassa, il che gli consente di programmare gli investimenti anno per anno nella maniera più funzionale alle sue esigenze. In più, proprio per la sua natura, il tax credit contribuisce a rendere le imprese del settore più stabili nel tempo ed efficaci e trasparenti sotto
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il profilo fiscale e contabile. Marianna De Liso, capo di produzione e socia di una società giovane come Kinesis Film (nata nel 2010), ha sfruttato il tax credit per sostenere un genere difficile come il documentario: ma opere come Il silenzio di Pelešian, su uno sconosciuto ma straordinario cineasta armeno girato da Pietro Marcello (suo La bocca del lupo, vincitore del Torino Film Festival 2009), sono state proiettate con successo ai festival di Rotterdam e Karlovy Vary. «Certo – sottolinea Marianna – resta difficile competere in un panorama internazionale in cui i documentari di più alto livello, ad esempio quelli danesi, hanno budget di 4-500.000 euro, ben lontani da quelli nostrani che si attestano sui 100-150.000». Se con Pelešian Kinesis ha potuto usufruire del credito d’imposta a film già finito, con S.B. Io lo conoscevo bene di Giacomo Durzi e Giovanni Fasanella – un ritratto senza sconti del Silvio nazionale – il credito è arrivato in corso d’opera, appena finite le riprese: «È stato un grande aiuto “in tempo reale”» spiega Marianna. Tuttavia, secondo i dati presentati dal recente rapporto Mibac-Anica, in genere i film low budget ricorrono ancora poco al tax credit: su 36 film costati meno di 200.000 euro, solo 2 ne hanno fatto richiesta, tra quelli nella fascia fino a 800.000 solo 15 su 25, mentre nella
2012
1,99
milioni di euro Costo medio dei film 100% nazionali
166
Film italiani prodotti di cui
129
al 100% nazionali
79
Numero di film 100% nazionali per i quali è stato richiesto il tax credit interno
Tax credit esterno
89
numero totale delle imprese coinvolte (erano 44 nel 2011)
Tax credit esterno, principali settori merceologici:
87 milioni di euro
51,76%
attività finanziarie e assicurative
Ammontare complessivo richiesta tax credit interno + esterno
10,44%
servizi di informazione e comunicazione
9,66% commercio all’ingrosso e al dettaglio
Tutti i numeri del Tax Credit Dati Mibac-Anica aprile 2013
fascia 1-3,5 milioni e oltre quasi tutti sono ricorsi a questo strumento. Segnale, forse, di una certa estemporaneità di molti progetti a basso costo assolutamente da superare. Ma il vero elemento di novità introdotto da questa normativa è il tax credit esterno, che permette a imprese non appartenenti al settore cinematografico di immettervi capitali, attratte dal consistente beneficio fiscale del 40%, da una partecipazione ai ricavi del film (che per legge non può comunque superare il 70%, mentre l’apporto finanziario dell’investitore esterno deve essere inferiore al 50%) e da un evidente ritorno in termini di comunicazione e visibilità. Finora sono stati soprattutto i grandi istituti di credito a tentare questa strada, in prima linea Banca Nazionale del Lavoro (tradizionalmente legata al cinema, tende a finanziare più progetti di medio budget) e Intesa San Paolo (incline a sostenere pochi film a grosso budget, vedi This must be the place di Paolo Sorrentino). Tuttavia, più che su questi grossi investitori, il cinema indipendente si sta orientando verso realtà minori come le microimprese, che affondano le loro radici sul territorio. Martha Capello, giovane produttrice (32 anni) che per passione ha fatto il salto dall’ingegneria elettronica al cinema, chiarisce: «Occorre un nuovo approccio, per esempio bisogna guardare al livello
regionale. È lì che possiamo trovare imprenditori locali disposti a investire in un film “piccolo”, che però è in grado di dare loro una visibilità immediata nella loro zona». Un tema questo, della necessaria apertura alle microimprese, condiviso da Marianna Deliso, «rafforzandolo magari anche con un accorto product placement». Del resto, in un momento in cui i finanziamenti diretti dello Stato si riducono sempre più, sono i fondi regionali che vengono in soccorso al cinema, ed è gioco-forza che le produzioni si rivolgano a un territorio specifico, collaborando con le locali film commission (come è il caso della regione Lazio, oggi in prima fila nel finanziamento di audiovisivi). «Al di là dei risultati immediati, il tax credit esterno è un’ottima occasione per gli operatori del comparto cinematografico di cambiare mentalità, cominciare a staccarsi dal finanziamento diretto e trovare nuove, necessarie alternative», chiarisce Martha. «Se devo trovare investitori esterni, sono costretto a lavorare in profondità su un’idea, a eliminare tutti gli elementi che non mi convincono e probabilmente non convinceranno l’imprenditore a cui mi rivolgo. Prima forse eravamo troppo chiusi nel nostro mondo. L’imprenditore attento guarda invece alla sostanza del progetto, alla sua credibilità e spendibilità sui mercati internazionali».
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C’è però ancora molto da fare per rendere questo strumento più aderente alle esigenze del cinema giovane: finora infatti a beneficiare del tax credit esterno sono state soprattutto le grosse produzioni. Immagini di film prodotti da associati AGPC: Adagio Film Non dissolverti! (ph Angeles Parrinello, Luca Coassin); Arancia Film L’uomo che verrà (ph Cosimo Forte); Movimento Film Notizie dagli scavi (ph Massimiliano Cilli); Martha Production Lucy in the sky (ph Giuseppe Petitto).
Pur essendo una misura relativamente recente, il tax credit si sta insomma rivelando una chiave di volta che apre il settore cinematografico al dialogo con altri comparti industriali e lo proietta al centro di una dinamica evoluta. E la collaborazione che si crea in questo modo è un primo passo verso la realizzazione di progetti fondati sempre più sul contenuto, piuttosto che sul mezzo. Tutti gli addetti ai lavori concordano, ad esempio, che non si può più pensare nei termini classici di film per la sala, ma occorre declinare un’idea secondo tutti gli strumenti disponibili della comunicazione web: app, clip, video on demand, in cui fin dall’inizio il produttore costruisce il progetto pezzo per pezzo, dialogando anche con i potenziali investitori esterni. C’è però ancora molto da fare per rendere questo strumento più aderente alle esigenze del cinema giovane: finora infatti a beneficiare del tax credit esterno (quello in grado di attirare maggiori investimenti) sono state soprattutto le grosse produzioni, con budget superiori a 1,5 milioni di euro. Il mondo delle aziende sembra ancora poco interessato a investire nel cinema, e la crisi economica certo non aiuta le piccole e medie imprese a investire, anche in un film a basso budget. Perciò, invita Marianna De Liso, «è necessario lavorare di più per pubblicizzare questo strumento, vantaggioso certo per noi ma anche per le aziende. In questo dovrebbero darci una mano le associazioni di categoria, come Confindustria. Po-
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trebbe essere utile mettere in piedi dei tavoli di discussione, anche con le istituzioni». Far conoscere il tax credit fuori dal circuito degli investitori tradizionali come le banche è sicuramente il primo passo; un altro fronte è quello di aumentare l’aliquota per il tax credit interno dal 15% al 25%. È la proposta dell’Associazione giovani produttori cinematografici (AGPC), presieduta proprio da Martha Capello, che raccoglie 100 giovani realtà del settore. «Premesso che siamo stati felicissimi dell’introduzione di un sostegno al cinema che avesse un’impostazione automatica, ora è il momento di ripensare l’aliquota e puntare al 25%, richiesta di cui ci siamo già fatti promotori presso le sedi istituzionali», spiega Martha. Altro nodo da sciogliere: attualmente se il piccolo produttore è anche distributore del film, seppure in poche sudate sale, deve rinunciare al tax credit interno o per la parte produttiva o per quella distributiva. Sempre sotto il profilo distributivo, un altro ostacolo è che per accedere al beneficio i film devono uscire in sala, cosa molto difficile per opere prime, corti ecc., e perciò talvolta i produttori sono costretti a pagarsi di tasca propria la cosiddetta “uscita tecnica”. «Invece – propone infine Martha – vista l’importanza del web nella diffusione degli audiovisivi, chiediamo di equiparare, almeno per i corti e i documentari, il video on demand all’uscita in sala. Sarebbe una grande rivoluzione». * Ringraziamo Giovanni di Pasquale per il contributo fornito alla preparazione di questo dossier.
- Effetti speciali -
IN EFFETTI, GLI ITALIANI SONO SPECIALI Quando si parla di effetti visivi digitali pensiamo subito a immagini di kolossal con alieni, esplosioni catastrofiche o città del futuro nate da menti geniali e rese possibili grazie alla cgi (computer-generated imagery). Ma la vfx (Digital Visual Effects) è soprattutto uno strumento, invisibile, che serve a simulare la realtà. di Gianluca Lo Guasto foto Storyteller
Gianluca Lo Guasto è VFX supervisor di Choke, un team di giovani professionisti esperti nel settore degli effetti visivi digitali. Choke si occupa di servizi per il cinema, la televisione e l’advertising, come digital visual effects, concept design, motion graphic.
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In questa e nella pagina seguente alcune scene de La migliore offerta prima e dopo l’opera degli effetti visivi digitali. Nell’immagine a sinistra si scorge dietro le spalle di Geoffrey Rush un bluescreen, in quella a destra un aeroporto interamente ricostruito al computer.
S
in dagli inizi questo è stato il suo scopo ed è proprio in questo obiettivo che sono racchiuse le sue potenzialità: riprodurre con la computer grafica ciò che è impossibile realizzare sul set. La cultura della VFX nasce negli Stati Uniti per diffondersi rapidamente in tutto il mondo: l’Inghilterra ne è il centro europeo, mentre lo “scettro del potere” asiatico lo detiene l’India. Altre realtà non meno importanti le troviamo in Nuova Zelanda dove opera la Weta Digital di Wellington, laboratorio ricco di talenti che ha dato vita ai mondi fantastici raccontati nella trilogia del Signore degli anelli. E l’Italia? Non sta ferma a guardare. Anche le produzioni cinematografiche nostrane sono ricche di interventi in digitale, e anno dopo anno la qualità e le tecniche impiegate si avvicinano a quelle delle grandi produzioni hollywoodiane. Ne è un magnifico esempio La migliore offerta, l’ultimo film di Giuseppe Tornatore. L’effetto digitale, invisibile, tocca livelli altissimi grazie all’attenta supervisione di Mario Zanot, VFX supervisor di Storyteller: sfido chiunque a riconoscere quali, tra le centinaia di sfondi rappresentati, siano background reali o digitali. Qui la Digital Visual Effects diventa soprattutto strumento di collegamento tra posti
diversi e lontani. Per esempio Villa Colloredo Mels Mainardi, dispersa tra le campagne venete, viene inserita in un contesto metropolitano: si dà così allo spettatore l’impressione di trovarsi in un’unica location, mentre i campi e i controcampi del regista contribuiscono ad accentuare l’illusione. O ancora l’aeroporto che nel film compare alle spalle di Virgil Oldman, interpretato da Geoffrey Rush: anch’esso è frutto di una minuziosa ricostruzione in post produzione, generata da milioni di poligoni in CGI ottenuti grazie a preziose ore di lavoro. Fermiamoci un momento ad analizzare questa inquadratura, un campo lungo con
una leggera carrellata sull’attore. Oldman è al telefono, seduto su una poltrona in attesa dell’imbarco, e alle sue spalle si intravedono sulla pista aerea alcuni velivoli in movimento pronti al decollo. Data la vicinanza dell’attore allo sfondo, e l’ambiente chiuso, la soluzione adottata per simulare l’areoporto è stata un bluescreen: il bluescreen, infatti, produce meno spill rispetto al greenscreen (lo spill è la luce colorata che emana di riflesso un oggetto quando viene illuminato). La prima fase del lavoro su questo effetto speciale è consistita nel “bucare” il bluescreen con i keyer, cioè i plug-in dei software di compositing: se il bluescreen è illuminato seguendo i giusti canoni, l’operazione è molto veloce. La maggior parte delle volte, però, non è così. Ecco perché il supervisore degli effetti svolge un compito fondamentale: piccoli errori sul set comportano ore e ore in più in post produzione. Ma il suo lavoro spesso è anche quello di combattere con registi e macchinisti cocciuti, e il tempo non è mai abbastanza. Non ci crederete, ma i peggiori bluescreen e greenscreen si trovano nelle produzioni americane dove il tempo è davvero molto denaro. L’operazione successiva è il tracking: il movimento della camera è stato tradotto in codici binari e tramutato in camera virtuale, posizionata infine in uno spazio tridimensionale. Nel frattempo, gli addetti alla computer grafica si sono occupati di realizzare in digitale l’aeroporto e gli altri elementi necessari,
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modellando, texturizzando e illuminando la scena. Una volta inserita nell’ambiente la camera virtuale, si passa al rendering. La composizione si conclude con l’assemblaggio di tutti gli elementi: il background virtuale va a sostituire il telo del bluescreen, e dopo un attento matching dei colori e la renderizzazione finale il miracolo è compiuto. Questo è, molto in sintesi, quello che succede dietro a un’inquadratura del genere. Sono serviti quattro operatori e più di venti giorni di lavorazione per pochi secondi di ripresa. Potrebbero sembrare tanti, ma quante persone e quanto tempo sarebbero serviti per ricostruire anche solo in parte un aeroporto, cioè una location in cui non è permesso girare? Probabilmente molti produttori avrebbero risolto il problema eliminando dalla sceneggiatura la scena. Eppure è proprio in quei pochi secondi che Tornatore racconta il personaggio di Rush, e quell’inquadratura ne rappresenta la sintesi perfetta. Sarebbe stato come dire a Picasso di usare una tela più piccola per realizzare Guernica. Un altro effetto visivo ancora più invisibile è l’eliminazione di cavi, monitor e attrezzature, operazione fondamentale ai fini della coerenza narrativa di un film. La rimozione dei cavi è un effetto molto richiesto e presente in tutte le produzioni che prevedano scene d’azione, in cui gli attori vengono agganciati per motivi di sicurezza a cavi d’acciaio successivamente eliminati in post produzione.
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Ne La migliore offerta i cavi da rimuovere erano quelli dell’automa assemblato su richiesta di Oldman/Rush: per dare l’impressione che il robot si muovesse in maniera indipendente era necessario eliminare i cavi elettrici usati per governarlo e i sottili fili di nylon serviti a sostenerlo. In questo caso le operazioni da compiere non sono complesse, a meno che la camera in movimento non crei un parallasse. Croce e delizia dei compositor, il parallasse è il fenomeno secondo il quale un oggetto sembra spostarsi rispetto allo sfondo se si cambia il punto di osservazione. Un esempio è il paesaggio visto dal finestrino di un treno: gli elementi più lontani sembrano muoversi più lentamente rispetto a quelli più vicini, e ciò avviene proprio perché l’asse dell’osservatore è in movimento. Ritornando al nostro automa, la maggior parte delle inquadrature che lo riguardava presentava questo fenomeno, aggravato dalla distorsione della lente. Per risolvere si è dovuto ricorrere ancora una volta al 3D, ricostruendo al computer una serie di elementi tra cui le pareti sullo sfondo, il tavolo da lavoro e alcuni degli attrezzi appesi al muro. Aerei in CGI, acquazzoni torrenziali, esplosioni: oggi gli effetti visivi digitali sono davvero risolutivi. Ne guadagnano gli attori, che evitano di correre pericoli inutili sul set, i produttori, che vedono diminuire notevolmente i costi, ma soprattutto i registi, che hanno la possibilità di dare sfogo alla loro inventiva eliminando ogni ostacolo che ponga limiti alla creatività.
In alto, la villa in cui si svolge la storia nella sua collocazione reale e, accanto, sullo sfondo suburbano ricreato digitalmente. Sotto, la facciata della medesima villa inserita in un contesto tratto da un’altra location. In basso, i cavi che muovono l’automa visibili nella prima immagine sono scomparsi nella seconda.
- Mestieri -
IAN DEGRASSI
FINAL CUT
Il lato oscuro del cinema passa per le mani di artisti poco noti al grande pubblico: uno di essi è il montatore. Ian Degrassi, giovane romano di origine triestina, è riuscito a ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto all’interno di una professione di cui ci rivela luci, ombre e passioni. di SONIA SERAFINI foto PAOLO PALMIERI 40
«Il compito del montatore è sottile, talvolta si esercita con precisione millimetrica sul gesto di un attore oppure su una pausa. Un buon montaggio non incide solo a livello strutturale, è propedeutico all’intelligibilità del testo, del film».
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Incontro Ian un martedì di sole primaverile, al Centro Sperimentale di Cinecittà, scuola storica di cinema e fabbrica di mille talenti. Come nasce la tua passione per questo lavoro? Risale all’infanzia: sin da piccolo in casa ho respirato un’aria artistica, i miei genitori sono entrambi attori e mio nonno era un pittore e poeta futurista. Diciamo che è stato uno sbocco naturale dell’ambiente in cui sono cresciuto. Da grande, dopo gli studi universitari, mi sono orientato verso il cinema, perché possiede un linguaggio stratificato e complesso che mi attrae. Ma la scelta vera e propria della professione di montatore è coincisa con l’ingresso al Centro Sperimentale, perché da una parte mi garantiva una prospettiva di lavoro, dall’altra, dopo molti anni di studi teorici all’università, volevo “sporcarmi le mani”, fare qualcosa di pratico. Sentivo che quello del montatore è il mestiere che più mi si avvicina, perché implica sia un lato intellettuale, di scrittura, sia un lato tecnico. Un compositore di colonne sonore una volta mi ha detto che il suo lavoro dà una struttura, un senso al film. Diresti lo stesso anche del tuo? Sì, però è un compito più oscuro e sottile, che talvolta si esercita con precisione millimetrica sul gesto di un attore oppure su una pausa. Un buon montaggio non incide solo a livello strutturale, è propedeutico all’intelligibilità del testo, del film. Dipende poi dal regista con il quale ci si trova a collaborare: alcuni sono più autoritari, amano imporre il proprio stile, altri ti concedono più libertà. Ma in linea di massima il rapporto è equilibrato, con molto dialogo, ci si confronta e si scambiano le idee, proprio come farebbero due colleghi. La “fuga dei cervelli” da noi non riguarda solo la ricerca scientifica. Gli attori, per esempio, sognano sempre lavorare all’estero: quello di andare via sembra essere un po’ il male della nostra generazione. Tu credi che si possa di nuovo far brillare il cinema italiano? Ne sono convinto, conosco tanta gente capace, sceneggiatori, registi, autori di storie poco commerciali che purtroppo faticano a vedere la luce, o se ci riescono, si devono arrangiare con budget molto limitati. Tuttavia anche a me piacerebbe lavorare con cineasti stranieri: ho una vera e propria adorazione per Paul Thomas Anderson (mi taglierei la falange di un dito per collaborare con lui…), ma ci sono anche registi italiani che considero dei riferimenti culturali, nomi come Sorrentino
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Ian ha firmato il montaggio di vari film: Nauta, Taglionetto e Workers - Pronti a tutto. Suo anche l’editing della serie televisiva Il clan dei camorristi con Stefano Accorsi, trasmessa lo scorso inverno da Canale 5.
e Garrone, i massimi esponenti della nostra cinematografia. L’attrazione per il cinema americano deriva anche dal fatto che se nel tuo Paese c’è una crisi istituzionale e dunque culturale e artistica, è naturale volgere lo sguardo ad altre realtà. Perché proprio Paul Thomas Anderson? Fra tutti i registi affermati è l’unico che conserva un atteggiamento pionieristico, mirato alla ricerca dell’ontologia del cinema. Dà all’immagine il primato sul dialogo e ciò che viene inquadrato rinvia sempre a qualcos’altro, non si esaurisce mai in una piatta autoreferenzialità. Riesce a mettere a nudo le contraddizioni della società americana per mezzo di personaggi paradigmatici e grandi affreschi, parlando per metafora. Pensi che anche nel tuo settore ci sia bisogno di un ricambio generazionale, oppure un giovane che si avvicina a questo mestiere riesce a trovare la sua strada? Ritagliarsi uno spazio è molto difficile. Il Centro Sperimentale ti dà una formazione e una rete di contatti che ti consentono di iniziare, anche solo con uno stage. Uscito dalla scuo-
la ho fatto tanta gavetta come assistente, ora fortunatamente riesco ad andare avanti solo come montatore, e sono riuscito a firmare alcune opere finite in sala e una serie televisiva [Taglionetto, Workers, Il clan dei camorristi]. Il lavoro però non è mai costante, ci sono tante pause e allora torni a montare piccoli progetti, dai corti ai documentari. Il ricambio generazionale? Ancora non lo vedo, tutti i giovani montatori collaborano quasi solo con giovani registi. Il mio ruolo poi non si può improvvisare, serve una conoscenza approfondita del mezzo tecnico. Quali consigli pratici daresti a chi vuole avvicinarsi a questa professione? Oggi non sono più necessarie imponenti e costose attrezzature tecniche: sono sufficienti dei buoni software, alla portata di tutti. Io uso Avid e Final Cut, principalmente Avid, che è la derivazione più fedele del montaggio analogico, del “taglio” fisico della pellicola. Con questi strumenti anche un giovane esordiente può iniziare a montare sul suo computer, sono tanti i progetti a basso costo che ormai nascono così.
- Making of -
SUL SET DE
Cortometraggio realizzato in tre giorni di ripresa a Benevento, girato con una Red MX e una serie di ottiche Zeiss speed t1.3 SCRITTO E DIRETTO DA Valerio Vestoso CAST Nello Mascia Claudia Vismara Rosario Giglio Durata 14 minuti PRODUZIONE Mente Plastica, in collaborazione con Camerastylo Film
IL MESE DI
GIUGNO foto di Marco Megueni
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Con il sostegno della Film Commission Regione Campania e il patrocinio della Provincia di Benevento
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L’assistente operatore prepara le bandelle di riferimento per le ottiche. Follow focus Arri f3, mattebox 4x565 Arri.
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Il regista, la segretaria di edizione Valeria Anci, l’aiuto regia Riccardo Quarta, l’assistente alla regia Giacomo Cavallo.
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Sala trucco: la make up artist Giovanna Stasi al lavoro.
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Red MX su jimmi jib 9mt con testa remotata in posizione plonge.
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Storyboard scena 04.
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DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA Davide Manca MONTAGGIO Marco Careri Musiche originali Luca Aquino COSTUMI Noemi Bengala SCENOGRAFIA Micol Rosso Fonico di presa diretta Federico Tummolo
Controluce: Kinoflo 4x120 su asta boom a sbraccio; 1.2Kw hmi su telaio gridcloth; 1 tubo di Kinoflo 1x120, 200w hmi per back.
LA STORIA Una coppia di coniugi quarantenni arriva in un desolato ristorante della provincia campana per saldare il conto del pranzo di comunione della propria figlia, svoltosi un mese prima. Il gestore del locale, don Antonio, è un settantenne burbero ma loquace, che ama raccontare aneddoti e storielle. Ma la cortesia reciproca cessa non appena si arriva alla questione principale: il conto da pagare. Don Antonio non intende piegarsi a concedere uno sconto sul prezzo pattuito, per il quale ha sostenuto tutte le spese; i due coniugi, dal canto loro, pretendono un occhio di riguardo, poiché hanno consumato solo parte del pranzo, a causa di un misterioso incidente che ne ha
impedito la continuazione. Amareggiato dalla loro caparbietà, don Antonio preferisce regalare l’intero pranzo, pur di non avere più a che fare con esponenti di una generazione chiusa in sé stessa e indifferente alle ragioni degli altri. L’IDEA «Il mese di giugno nasce dalla volontà di cogliere gli aspetti più nascosti della provincia italiana, il kitsch spacciato per elegante, la vanteria travestita da esperienza, la perenne, ossessiva devozione ai riti e alle cerimonie religiose divenuta ormai mera abitudine. Il ristorante è l’emblema, il luogo fisico in cui questi temi si aggrumano, nel solco dell’attitudine tutta italiana che vede in una tavola imbandita un buon motivo
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per dimenticarsi di tutto quello che accade intorno. Il cortometraggio intende inquadrare l’essenza della provincia attraverso un’ottica decadente, silenziosa, distante anni luce dal folklore e dai luoghi comuni. È il disincanto finale l’aspetto più affascinante della festa». IL REGISTA Nato a Benevento nel 1987, ha lavorato nell’advertising (per Acea e Telecom Italia), in teatro (con Ugo Gregoretti) e in ambito musicale, dirigendo i videoclip di Ashram, Corde Oblique, Riotown, Oniric e il backstage di Mario Biondi & Duke Orchestra at Umbria Jazz. Nel 2012 gira il booktrailer Al mio paese (vincitore del ViDay di Roma) e ottiene la Menzione Speciale del Premio Solinas - Talenti in Corto.
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Controluce: Kinoflo 2 tubi (temperatura colore 5.600° kelvin), luce chiave: 200 hmi Desisti, riflesso su polistirolo 1x1.
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Red MX con 50mm zeiss t1.3, su piattina “california”, luce chiave 1.2KW Arri riflesso su poli, riempimento Kinoflo 2x60 5.600° kelvin.
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Effetto pioggia a cura di Mauro Geldi e Mario Del Porto.
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Valerio Vestoso spiega la scena all’attore Nello Mascia, dietro loro un 200w hmi.
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Still life cinematografico 85mm t1.3 file raw.
Post produzione. Color correction su Da Vinci Resolve, colorist Edoardo Rebecchi - Redigital.
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ALESSANDRO BARONCIANI nato nel 1974 e originario del pesarese, lavora tra Pesaro e Milano come art director, illustratore e grafico pubblicitario anche per case discografiche come Universal, Mezcal e La Tempesta, firmando le copertine di gruppi e cantautori come Bugo, Perturbazione, Tre Allegri Ragazzi Morti. Cura una rubrica a fumetti sulla storia della musica su «Rumore magazine». http://alessandrobaronciani.blogspot.it/
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DIARIO
GLI eventi di «Fabrique»
14 MARZO
«Fabrique» presenta il numero 1 al Factory di Testaccio Per il lancio del numero 1 «Fabrique» organizza un grande evento presso la struttura espositiva Factory nel complesso museale del Macro a Testaccio. Proiezione di corti, videoinstallazioni, musica live con gli Astenia e dj set con Enrico Silvestrin sono alcuni dei momenti della serata, che ha visto anche la partecipazione dal vivo della trasmissione radio Nessuno è perfetto. Fra gli ospiti: Alan Cappelli, Marco Cocci, Fabrizio Falco, Claudio Noce, Michele Riondino, Francesca Valtorta, Daniela Virgilio.
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NEWS MARZO
«Fabrique» si allarga La rivista è presente a due festival di cinema indipendente: Cortinametraggio, dedicato ai corti e ai booktrailer, e Visioni Italiane a Bologna. 11 APRILE
RIFF AWARDS Nella serata conclusiva dei Riff Awards 2013 viene assegnato il premio «Fabrique» per il miglior soggetto per sceneggiatura a Massimo De Angelis. 4 MAGGIO
SERATA TARKOVSKIJ Festa di chiusura della rassegna dedicata a Andrej Tarkovskij progettata da Tauron Entertainment e Ciak 2000. «Fabrique», partner dell’evento, consegna il suo premio per la migliore recensione a un film del grande regista russo. LUGLIO
ISCHIA E ROMA CREATIVE «Fabrique» partecipa a IschiaFilmFestival, dedicato al cinema e alle sue location (29 giugno-6 luglio): fra i premiati delle scorse edizioni Vittorio Storaro, Mario Monicelli e Abel Ferrara. Il Roma Creative Contest, di cui «Fabrique» è ormai partner consolidato, ritorna con quattro serate (15-22-29 settembre e 6 ottobre) all’insegna del giovane cinema indipendente. L’iscrizione è gratuita, ma non c’è tempo da perdere: il termine per la presentazione dei corti è il 31 luglio (www.romacreativecontest.com). AGOSTO-SETTEMBRE
«FABRIQUE» sbarca al lido Save the date: saremo al Festival di Venezia, dove presenteremo il numero 3 della rivista con un evento assolutamente imperdibile!
FABRIQUE DU CINÉMA N°1
La CaRTa STaMPaTa deL NUOVO CiNeMa iTaLiaNO
FEBBRAIO 2013
Numero
1
OPERA PRIMA
CON LA CAMERA A SPALLA
Morando Morandini intervista l’autore di “Alì ha gli occhi azzurri”
IcOnE
UN DIRITTO DA DIFENDERE
Roberto Faenza insegna ai suoi studenti a non smettere di lottare
DOssIER
FESTIVAL FACTORY
Come i nuovi festival aiutano i giovani talenti e fanno guadagnare
LAVORARE SODO LAVORARE TUTTI (I GIORNI) FABRIZIO FALCO Capofila dei nuovi attori impegnati
La CARTA STAMPATA del NUOVO cinema italiano SCARICA GRATUITAMENTE IL N°1 DAL NOSTRO SITO 0 SCRIVICI A REDAZIONE@FABRIQUEDUCINEMA.IT
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DOVE
Come e dove «Fabrique» CINEMA ROMA AZZURRO SCIPIONI | 06.39737161 | Via degli Scipioni, 82 CASA DEL CINEMA | 06.423601 | Largo Marcello Mastroianni, 1 CINEMA DELLE PROVINCE | 06.44236021 | Via delle Province, 41 EDEN FILM CENTER | 06.3612449 | Piazza Cola di Rienzo, 74 FARNESE | 06.6064395 | Piazza Campo De Fiori, 56 GREENWICH | 06.5745825 | Via G. Battista Bodoni, 59 INTRASTEVERE | 06.5884230 | Vicolo Moroni, 3 MADISON | 06.5417926 | Via G. Chiabrera, 121 MAESTOSO | 06.786086 | Via Appia Nuova, 416 NUOVO CINEMA AQUILA | 06.70399408 | Via L’Aquila, 66 NUOVO OLIMPIA | 06.4818326 | Via in Lucina, 16a NUOVO SACHER | 06.5818166 | Largo Ascianghi, 1 POLITECNICO FANDANGO | 06.36004240 | Via G. Battista Tiepolo, 13 QUATTRO FONTANE | 06.4741515 | Via Quattro Fontane, 23 TIBUR | 06.4957762 | Via degli Etruschi, 36 ------------------------------------------------------------------------------------------------CINEMA FUORI ROMA KING | 095.530218 | Via A. De Curtis, 14 Catania ------------------------------------------------------------------------------------------------TEATRI TEATRO VALLE | Via del Teatro Valle, 21 ------------------------------------------------------------------------------------------------LOCALI ROMA BAR DEL GAZOMETRO | Via del Gazometro, 20/24 BIG STAR | Via Mameli, 25 CAFFÈ LETTERARIO | Via Ostiense, 95 CATERING BIKER’S BAR | Via W. Tobagi, 49 DOLCENOTTE | Via dei Magazzini Generali, 15 DOPPIO ZERO | Via Ostiense, 68 DVISION Roma GIUFÀ | Via degli Aurunci, 38 KINO | Via Perugia, 34 HARUMI | Via Cipro, 4m/4n HARUMI | Via della Stazione di San Pietro, 31/33 IL FRANTOIO | Via Renato Fucini 10, Capalbio (GR) LA TANA DEL BIANCONIGLIO | Via A. da Giussano, 36 LE MURA | Via di Porta labicana, 24 MAMMUT | Via Circonvallazione Casilina, 79 ------------------------------------------------------------------------------------------------LOCALI FUORI ROMA IL FRANTOIO | Via Renato Fucini 10, Capalbio (GR) OSTELLOBELLO | Via Medici 4, Milano PIADE IN PIAZZA | P.zza Meda 5, Milano ------------------------------------------------------------------------------------------------SCUOLE CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA | Via Tuscolana, 1520 CINE TV ROSSELLINI | Via della Vasca Navale, 58 GRIFFITH | Via Matera, 3 NUOVA ACCADEMIA DI BELLE ARTI | Via C. Darwin, 20 Milano ROMEUR ACCADEMY | Via Cristoforo Colombo, 573 SCUOLA D’ARTE CINEMATOGRAFICA GIAN MARIA VOLONTÉ | Via Greve, 61 ------------------------------------------------------------------------------------------------LIBRERIE LIBRERIA DEL CINEMA | Via dei Fienaroli, 31 ------------------------------------------------------------------------------------------------FESTIVAL Calabria Film Festival Festival Internazionale del Cinema di Roma LXX Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia Rome Independent Film Festival Visioni Italiane Cineteca di Bologna ------------------------------------------------------------------------------------------------LUOGHI ISTITUZIONALI Film Commission Genova MIBAC Ministero per i Beni e le Attività Culturali | Via del Collegio Romano, 27
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