“Accanto” è un avverbio molto caro a don Tonino, che amava ripetere e praticare con tutti, con i suoi confratelli vescovi, con i sacerdoti, con i laici e gli ultimi. “Accanto”, come uomo, come amico, come presbitero, gli è stato don Pinuccio che, in questo libro, testimonia la sua esperienza di vita vicino al vescovo della pace. Non siamo di fronte all’ennesimo libro sul vescovo don Tonino, inteso come studio storico, sociale, ecclesiale su un personaggio che ha segnato la vita religiosa italiana del secondo Novecento, bensì alla testimonianza diretta di chi, negli anni, lo ha conosciuto nel suo intimo come amico e che, attraverso la memoria, ha scelto di condividere i momenti più profondi di un uomo che ha accompagnato durante la traversata della sua vita.
ISBN 978-88-6153-885-6
Euro 13,00 (I.i.)
Giuseppe Sacino
(detto don Pinuccio), presbitero della Diocesi di Nardò-Gallipoli. Già parroco, docente di Spiritualità biblica in vari ISSR e di Storia e Filosofia nei Licei Statali, ha predicato corsi di Esercizi Spirituali, da Trieste ad Agrigento, a presbiteri, coppie di coniugi e laiche consacrate.
GIUSEPPE SACINO
ACCANTO A DON TONINO UN RACCONTO DI VITA
ACCANTO A DON TONINO
Giuseppe Sacino
Presentazione di Trifone Bello
Giuseppe Sacino
Accanto a don Tonino Un racconto di vita Presentazione di Trifone Bello
INDICE
Introduzione Presentazione di Trifone Bello
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Come un lampo nella notte 13 Prima traversata – Da Bari a Copertino 15 Seconda traversata – Riflessi di bellezza. Dal Seminario… al Seminario 19 Terza traversata – Portoni spalancati 27 Quarta traversata – Dal seminario alla diocesi 29 Quinta traversata – A Molfetta Giovinazzo Terlizzi Ruvo. La Chiesa sua sposa 33 Nel Seminario Regionale. Ancora una lezione di vita e di amore 37 Sesta traversata – La traversata più profetica e dirompente. Dallo spirito dell’obbedienza (formale) all’obbedienza allo Spirito 39 Settima traversata – Verso la luce 43 A Roma per una visita medica 47 Ottava traversata – Verso il suo Signore donando speranza 49 Alla fonte dell’amore 53 L’ultima traversata – Tutto è compiuto. E “chinato il capo rese lo Spirito” 59 “Mamma perché piangi?” “Tonino è morto così” 61 Pensando al suo funerale 63 Il segreto di riuscita. Punto d’arrivo e di partenza 65 La gioia “La mia gioia sia in voi, piena” 73 Scheda cronologica essenziale
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Introduzione
Un altro libro sul vescovo don Tonino Bello? No, se per libro s’intende uno studio storico, sociale, ecclesiale su un personaggio che comunque lo si voglia giudicare, ha segnato la vita religiosa italiana del secondo Novecento. Perciò non è uno studio nel senso classico del termine, ma è il racconto o, se si vuole, la testimonianza del mio stargli “ACCANTO” come uomo, come amico, come presbitero. Ovviamente parlare di un’esperienza di vita non esclude “incursioni” in altri campi dell’agire umano. Ma questo non è lo scopo principale di questo scritto. “Accanto” è un avverbio di modo che lui amava ripetere e che viveva con tutti, con i suoi confratelli vescovi, con i sacerdoti, con i laici e tra questi privilegiava gli ultimi. Ultimi in senso morale, che dall’incontro con lui sentivano risvegliare nel cuore nostalgie di dignità umana e cristiana. Gli ultimi in senso sociale, economico, cercati da lui con la dolcezza e la fatica con cui il pastore buono va in cerca della pecora smarrita e, trovatala, se la pone sulle spalle1, facendosi concretamente carico dei suoi problemi, delle sue stanchezze esistenziali. Tanti problemi non sempre sono risolvibili, ma è indubbio che farsene carico, allevia il peso di chi li porta. Senza ombra di smentita il vescovo don Tonino ha vissuto e sperimentato nella sua carne fin da giovane questo andare verso l’uomo, il cercarlo, il condividerne gioie e pene. Non ha mai aspettato che i bisognosi andassero da lui. 1
Luca 15,4-7 9
Era lui che li cercava, soprattutto coloro che non erano avvezzi a frequentare i palazzi vescovili. Vivendo così ha anticipato di molti anni quello che continuamente papa Francesco chiede ai pastori: stare in mezzo alle pecore fino ad avere il loro puzzo o il loro profumo, che dir si voglia. Se si vuole, queste pagine possono essere lette e meditate come si può vivere concretamente quanto il Papa insistentemente chiede. A me basta la gioia di far conoscere qualche aspetto particolare di un amico e, personalmente credo, di un “amico santo”. Ma in questo, aspetto con umiltà, obbedienza e gioia, il giudizio della Chiesa. E sono certo che don Tonino è il più contento di tutti per quest’attesa che ha i riflessi luminosi della speranza. Nell’amore.
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Presentazione
Don Pinuccio carissimo, eccomi finalmente con la Presentazione per il tuo libro. Mi scuso per il ritardo, ma sono giorni di grandi notizie e di grandi emozioni... Spero che la troverai adatta alla tua pubblicazione. Ho conosciuto don Giuseppe Sacino 35 anni fa, in occasione della nomina di mio fratello Tonino a vescovo della diocesi di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi. Mio fratello invece, non finisco ancora di “conoscerlo”, anche a distanza di 25 anni dalla sua nascita al Cielo. E il caro don Pinuccio ha contribuito a svelarmi episodi e aneddoti a me finora sconosciuti. Tonino amava perdutamente il mare e mi è piaciuto particolarmente l’accostamento tra i capitoli e le “traversate”. Era proprio così che lui chiamava le lunghe nuotate nel nostro splendido mare... Ancora ricordo quando arrivava a sorpresa a Santa Maria di Leuca dove villeggiavamo, passava da casa, indossava il costume da bagno e ci raggiungeva a mare. Veniva subito accerchiato dai nipoti e dai loro amici, non necessariamente abili nuotatori. Ma Tonino riusciva a rassicurare anche i più timorosi e i più piccoli e riusciva a “trascinarli” nelle lunghe traversate. Tanto è stato scritto di lui ed ogni lettura ci rivela qualcosa di nuovo, qualcosa di inedito, di stupefacente. Come ha detto mons. Agostino Superbo: “ricordarlo è un grande dono di Dio per tutti, credenti e non credenti”. 11
Don Pinuccio carissimo, grazie di cuore per aver condiviso i tuoi ricordi con me e con quanti leggeranno il tuo libro. Tutto d’un fiato, te lo assicuro. Con grande affetto e stima, Trifone Bello
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Come un lampo nella notte
La vita umana è fatta di incontri, formali, occasionali, interessanti, amicali, fraterni, ingannevoli, falsi, buoni, costruttivi, luminosi. Nella vita ho incontrato vescovi, preti, religiosi e religiose, monaci, missionari, laici, credenti e atei, e tutti hanno lasciato una traccia nella mia memoria, qualcuno nel cuore. Ci sono stati poi sei incontri, non di più, che mi hanno segnato, rinnovando nostalgie di Cielo. Due con i loro scritti: don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani. E altri quattro: don Stefano Lamera, innamorato della Parola e dell’Eucaristia, col cuore incandescente, simile al cuore di san Paolo; don Cesare Sommariva che da ricco che era, si è fatto povero per gli operai, perché diventassero ricchi di Cristo e di dignità; Antonio Rosario Mennonna, il mio vescovo, esimio per la sua mitezza e saggezza pastorale. Da ultimo ma non per ultimo, don Tonino Bello, vescovo della pace, costruttore di ponti, testimone della gioia e della speranza. Tutti innamorati della vita, tutti cantori del Vangelo, tutti figli fedeli della Chiesa, tutti, in vario modo, non capiti, talvolta perseguitati o derisi, spesso emarginati. Se posso usare una metafora, sono stati per me – e per moltissimi altri – come un lampo nella notte buia. Un lampo che guizza nel cielo e, se sei vicino al mare, ti fa scorgere orizzonti infiniti, 13
se sei in una valle, ti fa intravvedere cime innevate, se sei nella tua casa, dietro una finestra, per un attimo, vedi la strada di ogni giorno. Ma tutto: orizzonte, vette, strade, tutto improvvisamente è nuovo. Don Tonino, nel quotidiano di moltissimi, compreso il mio, è stato un lampo: di umanità, sacramento dell’incarnazione, di fraternità, verifica della sequela di Cristo, di fede come abbandono filiale – “come di bimbo svezza2 to ” – tra le braccia forti e dolci di Dio che è Padre e Madre. La vita di don Tonino non è stata un far salotto parlando dei poveri, non è stata neppure un guardare il mare da un transatlantico confortevole, ma un “nuotare” nel mare aperto della vita andando faticosamente contro corrente, superando i venti impetuosi delle accuse false e delle incomprensioni nate da gelosie e da incapacità di vedere oltre l’ombra del proprio naso, tendendo sempre la mano a chi, nuotando, non ce la faceva più, fidandosi e affidando sempre la sua vita a Colui al quale venti e tempeste obbediscono3.
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Salmo 131,2. Cfr. Marco 4,35-41. 14
Prima traversata Da Bari a Copertino
Ricordate la Cinquecento degli anni Settanta? Automobile che ha segnato un’epoca. Automobile che quasi tutti potevano permettersi. E immaginate tre persone adulte, giovani, alte, robuste. Tre preti, che facevano parte della nascente Commissione Presbiterale Regionale Pugliese e che ogni tre mesi si ritrovavano a Bari, nella Casa del Clero, con tutti i rappresentanti delle diocesi pugliesi, per dialogare sui problemi del Clero. I tre preti, rappresentanti delle diocesi di Otranto, Ugento, Nardò, di volta in volta mettevano a disposizione la propria Cinquecento per viaggiare insieme. Andata e ritorno da Bari, più di quattrocento chilometri. Tutti e tre, in un’auto piccola come la Cinquecento, per un percorso di centinaia di chilometri e certamente non stavano comodi. Un sacrificio non indifferente, soprattutto per chi sedeva sui sedili posteriori. Educazione voleva che fosse il più giovane a sedersi indietro. Il più giovane dei tre ero io. Ma non ci fu nulla da fare; insistenze varie, motivazioni di opportunità, non smossero don Tonino dalla sua decisione di occupare il sedile posteriore. 15
Notevole sacrificio non solo per le gambe, ma anche per il dorso e le spalle ripiegate in avanti. Quando giungevamo a Copertino, mi sembrava non solo di essermi trasferito da Bari alla mia città, ma di aver fatto esperienza di una “traversata”, come il filosofo e teologo francese, François Varillon, definisce il camminare assieme a un maestro di vita. In tutti i viaggi, se si è in compagnia, si parla del più e del meno, dei vivi e dei morti, di politica o di sport e se a viaggiare insieme sono tre preti, di solito si finisce col mormorare del vescovo e dei confratelli. La traversata no. Non è solo un viaggio. Essa ti spinge a stare sul ponte della nave per ammirare quella realtà stupenda e viva che è il mare; l’acqua del mare, con la nave che, solcandolo, sembra spaccare in due persino gli oceani e invece, qualche momento dopo, essa si ricompone. Le acque che la nave divide e che immediatamente dopo si ricompongono, possono essere metafora della vita? Sì! Possono esserlo. Per me lo sono. La vita in cui non mancano motivi di dolore, di fallimenti, di non senso. Tante, molte volte, l’uomo si sente diviso da Dio, dagli altri, da se stesso. Ma la carità, l’amore, ricompongono le divisioni e ridanno gusto alla vita. Perché la traversata è solo un momento. L’importante è il porto d’arrivo. Porto sicuro se hai vissuto nell’Amore! Porto senza attracchi sicuri, se sei vissuto facendo il male; dividendo, non amando.
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Dall’aver sentito parlare di lui, al primo incontro personale con lui è stata la mia prima traversata, una traversata interiore, fascinosa. Dall’ascolto al dialogo, franco e fraterno, è nata la mia seconda traversata: dall’incontro occasionale all’amicizia vera con lui. Per lui, anche nell’umano, la mediocrità non aveva spazi e le relazioni amicali erano profonde. Col passare degli anni avrei gioiosamente scoperto che la sua amicizia, la sua fede, il suo amore a Gesù, alla Vergine, al Papa, alla Chiesa, agli uomini e alle donne che incontrava, non era un sentire solitario da “proteggere” dagli altri, ma confluiva in una generosa condivisione con tutti, soprattutto con i poveri e gli emarginati. Il suo sapere non banale, la sua cultura solida, come il suo sorriso sempre accattivante, la parola forbita e semplice, la capacità instancabile dell’ascolto che faceva sentire a proprio agio l’interlocutore, erano doni che egli seminava a piene mani e soprattutto il popolo semplice, percependoli, ne faceva incetta. Dialogando con lui si finiva sempre per “volare alto”, verso “il sogno” di una nuova umanità che concretamente si manifestava in scelte di vita. Con lui ho sperimentato sempre più che la vita spirituale non è un vago sentire religioso ma un seme che lasciato cadere nel cuore, lentamente germoglia e si fa strada anche tra le pietre dell’esistenza, tra le pieghe e le piaghe di un cuore ferito.
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Quarta traversata Dal seminario alla diocesi
Mons. Michele Mincuzzi mi racconta delle resistenze che don Tonino ha sempre presentato, con garbo ma con chiarezza e fermezza, alle varie proposte pastorali che lui, suo vescovo, faceva al suo sacerdote tanto stimato e amato da tutti, tra le quali la più importante, canonicamente parlando, era quella di nominarlo vicario generale in sostituzione di mons. Antonio De Vitis, ormai anziano e – a parere dei consiglieri dello stesso vescovo – superato. La Diocesi aveva bisogno di un ringiovanimento, di una scossa. Secondo tutti i confratelli il sacerdote più capace per questo delicato servizio era don Tonino. Saputolo, don Tonino, scrive al vescovo una lettera perché dice: “Penso che sulla carta potrò fermare meglio il tumulto che mi agita”9. Quella lettera rivela il grande cuore e la profonda sensibilità umana, cristiana ed ecclesiale che lo distingue. Egli, infatti, scrive che l’eventuale cambio “non trova” motivi impellenti né germina da improcrastinabili urgenze pastorali, che giustifichino in qualche modo l’immancabile “mortificazione” di un sacerdote carissimo a tutti. Con la libertà dei figli – libertà che mons. Mincuzzi apprezzava e sosteneva, lui che per la sua parresìa10 pagava l’emarginazione – don Tonino invita il vescovo a dare più fiducia e più coraggio Ibidem. Parresìa, cioè “dire tutto, franchezza”. Parresìa di Gesù nella predicazione, dell’uomo verso Dio, del discepolo tra i discepoli e nel mondo. Oggi parresìa può denotare il coraggio nella testimonianza cristiana. 9
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all’anziano vicario, a vincere la di lui ritrosia, a smontare le reazioni istantanee di difesa, ad aiutarlo a impegnarsi con più gioia. E aggiunge testualmente: “Eccellenza, il bene che le voglio è di gran lunga superiore alla mia stima, che pure è tanta. È per questo che le ho scritto, senza farmi precedere dal ritegno di sorpassati timori riverenziali”11. Anche quando la Conferenza Episcopale Pugliese, nella persona del suo presidente mons. Guglielmo Motolese, arcivescovo di Taranto, gli propone di essere rettore nel nuovo Seminario Regionale Liceale di Taranto, declina l’invito adducendo quattro motivi: 1. la sua precedente esperienza di vicerettore e poi di rettore nel Seminario di Ugento non sarebbe stata utile alla formazione dei seminaristi perché tale esperienza non è “filtrata da una esperienza pastorale che ne abbia eliminate le scorie”12; 2. gli stessi vescovi, invece di scegliere quale educatore di futuri pastori un uomo di sperimentata formazione pastorale, riscoprono un “fossile” (per certi compiti) animato tutt’al più da buona volontà; 3. la diocesi di Ugento ha pochi sacerdoti e l’invito ad andare a Taranto: “scaricherebbe sulle spalle dei confratelli, già tanto oberate, un eccesso di fatiche che finora ha sostenuto la mia persona”13; 4. un discorso affettivo che ha un peso rilevante, anche se non preminente: la sua mamma ormai ottantenne e malata. La mamma Maria, che pur avendo il diritto di avere il figlio in casa almeno la notte, ha rinunciato volentieri Ivi, p. 344. Ivi, p. 339. 13 Ibidem. 11 12
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a lui, perché il figlio servisse la Chiesa in libertà. “Però, – scrive don Tonino a mons. Motolese – ora io non posso rinunciare al dovere di starle vicino almeno la notte. Lasciarla sola non mi sembrerebbe giusto”14. Due conclusioni di struggente attualità: – la capacità, il coraggio, la parresia di don Tonino nell’affermare che per educare i “futuri pastori” ci vogliono educatori di sperimentata formazione pastorale e non certi animatori o educatori che dir si voglia, che qualche anno appena dopo aver terminato gli studi, ritornano in seminario come educatori. Costoro, anagraficamente, sono giovani, ma don Tonino non teme di chiamarli “fossili”. – Mi domando: è proprio la “sapientia cordis” che nasce da una valida e prolungata esperienza pastorale che manca lì dove si educano seminaristi e si “sfornano preti che sembrano fatti in fotocopia”15? Preti che nel corso degli studi di teologia hanno chiesto contributi economici alle diocesi di origine e una volta diventati preti, vivono da piccoli borghesi? – il compito mai esaurito della madre nella vita di un figlio, soprattutto di un figlio prete. La mamma di don Tonino: un punto fondamentale, una pietra miliare nella formazione umana e nel cammino di fede dei figli: Tonino, Marcello e Trifone. Mamma Maria morirà appena tre anni dopo – il 15 novembre 1981 – recitando l’Ave Maria. Un evento che segna la vita dei suoi cari che le sono attorno. 14 15
Ibidem. Giovanni Bosco (Santi) Epistolario, Torino 1959, 4,202.204-205.209. 31
“La mamma muore – mi dice sorridendo mons. Mincuzzi – e Tonino non ha più scuse. Lo sai? Per ben due volte ha avuto la proposta di diventare vescovo – sarebbe andato in Calabria in una zona difficile – però a causa dell’assistenza morale alla mamma, ha sempre rifiutato. E il rifiuto è stato accolto il 22 giugno 1980. Dopo la morte della mamma, il cardinale Sebastiano Baggio gli ha telefonato personalmente e gli ha detto: ‘Non ci sono più scuse. Ora devi obbedire’. E la nomina ufficiale è giunta il 10 agosto 1982, appena nove mesi dopo la morte di mamma Maria”, conclude sorridendo il vescovo. Si concludeva così la quarta traversata: dal seminario di Ugento a Molfetta, da presbitero a vescovo. Lo attendeva la sua nuova diocesi. E lo Spirito, che ancora una volta lo investe e lo consacra, continua a soffiare su di lui fino a diventare un vento forte, impetuoso, capace di portare via le foglie secche e aiutare i nuovi germogli a fiorire.
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“Accanto” è un avverbio molto caro a don Tonino, che amava ripetere e praticare con tutti, con i suoi confratelli vescovi, con i sacerdoti, con i laici e gli ultimi. “Accanto”, come uomo, come amico, come presbitero, gli è stato don Pinuccio che, in questo libro, testimonia la sua esperienza di vita vicino al vescovo della pace. Non siamo di fronte all’ennesimo libro sul vescovo don Tonino, inteso come studio storico, sociale, ecclesiale su un personaggio che ha segnato la vita religiosa italiana del secondo Novecento, bensì alla testimonianza diretta di chi, negli anni, lo ha conosciuto nel suo intimo come amico e che, attraverso la memoria, ha scelto di condividere i momenti più profondi di un uomo che ha accompagnato durante la traversata della sua vita.
ISBN 978-88-6153-885-6
Euro 13,00 (I.i.)
Giuseppe Sacino
(detto don Pinuccio), presbitero della Diocesi di Nardò-Gallipoli. Già parroco, docente di Spiritualità biblica in vari ISSR e di Storia e Filosofia nei Licei Statali, ha predicato corsi di Esercizi Spirituali, da Trieste ad Agrigento, a presbiteri, coppie di coniugi e laiche consacrate.
GIUSEPPE SACINO
ACCANTO A DON TONINO UN RACCONTO DI VITA
ACCANTO A DON TONINO
Giuseppe Sacino
Presentazione di Trifone Bello