NELLE VENE DELLA STORIA
Lettera a Gesù
Prefazione del card. Matteo Maria Zuppi
edizioni la meridiana Luce e Vita
Antonio Bello Nelle vene della storia
Lettera a Gesù
Prefazione del card. Matteo Maria Zuppi
Introduzione di mons. Domenico Cornacchia
edizioni la meridiana paginealtre
Luce e Vita Quaderni 67
Prefazione
Don Tonino Bello ha avuto un’intimità profonda con la Storia. Chi crede in Dio e si affida a Lui è capace di leggere, nelle pieghe della cronaca, i destini dell’umanità, di scrutare i segni dei tempi, di riconoscerli. È importante sapere che veniamo da lontano e imparare a riconoscerne le conseguenze nel cogliere il presente e nel pensare al futuro, anche quando non lo vediamo se non con gli occhi della fede.
Nelle vene della storia passa il destino dell’umanità stessa.
Se proviamo, da questa prospettiva, a leggere la trilogia delle lettere di don Tonino: la lettera a Giuseppe il falegname, poi quella a Maria, la madre di Dio e, infine, quella a Gesù, coglieremo subito l’attualità di ogni pagina di quest’ultima lettera. Capiremo come parole scritte nel 1990 sembrano dettate oggi, perché il presente ha radici nel passato.
L’incontro con Gesù avviene nel deserto, dove l’unica ombra capace, in alcune ore della giornata, di dare sollievo, è la propria. Lì, dove ogni possibilità di relazione con gli altri è negata e dove il silenzio ha, nel rumore del proprio respiro, l’unica certezza di essere abitato, don Tonino incontra Gesù, il figlio di Dio. La scelta del deserto appare al vescovo, in un primo momento, non solo strana, ma anche un po’ incoerente rispetto al mandato per cui il Verbo si è fatto carne. Non doveva forse venire per stare in mezzo agli uomini, l’Emmanuele? Perché dagli uomini è già fuggito? Forse è già stanco di una umanità impazzita e rabbiosa? Il vescovo, però, ha urgente bisogno di incontrare Gesù e, all’inizio della lettera, non importa il luogo dove
questo incontro accada. Ciò che conta è la ragione che lo porta a cercarlo. Ha un bisogno struggente di porgli una domanda: “Vivo solo col presente, o convivo col passato? Da quali falde affiora alla mia coscienza questo bisogno struggente di comunione?”, “Tempi duri per gli aneliti di comunione. A livello pubblico e privato. Precipitano le difese immunitarie della convivenza. E, nonostante il gran parlare, alla borsa dei valori le quotazioni della solidarietà sono quelle più in ribasso”. Ed è solo dopo l’affiorare della domanda, in tutta la sua spasmodica urgenza, che il luogo dell’incontro assume tutta la sua rilevanza. Nell’assenza di ogni cosa e nell’arsura che ricopre le distese aride e inaridite, il luogo assume le ragioni perché la ricerca porti a risposte autentiche.
È Gesù che sceglie di farsi trovare nel deserto: “È incredibile: ma questo deserto, incapace di legarmi agli spazi, compie ora il miracolo di congiungermi con i tempi, e me ne riporta i tumulti, così come le conchiglie di Santa Maria di Leuca, accostate all’orecchio, mi riportano concerti di oceani lontani e profumi di remote scogliere” scrive don Tonino. Come a dirci, dopo averlo capito lui stesso, che bisogna connettersi profondamente a ciò che scorre nel corpo della Storia per vincere la voglia di fuggire dalle responsabilità che abbiamo, abitando un tempo minuscolo del suo tempo infinito.
“Bisogna entrare nel deserto e lasciarsi scavare dalla paura dell’ignoto.” Capisce questo don Tonino prima di scorgere le uniche tre cose, accanto all’orcio con poca acqua, che in quello spazio vuoto fanno compagnia al Figlio di Dio. La bisaccia che sembra vuota. Il rotolo dell’alleanza. Il bastone del pellegrino.
Simboli e segni, questi, per imbastire le risposte, per tornare nel frastuono delle comunità senza la paura di farne parte.
La logica della nudità è il primo abito da indossare per far spazio alla comunione e convivenza. Essere vuoti di tutto ciò che ingombra gli spazi esterni e che appesantisce la nostra capacità di non esserne schiavi e dipendenti.
“Vorrei spiegarla”, scrive don Tonino, “anche alle mie comunità cristiane, al cui interno ci si frantuma spesso per problemi di prestigio, ed è più facile rinunciare alla ricchezza dei beni che a quella del proprio punto di vista.”
“E sarebbe opportuno”, incalza, “che vi meditassero anche i responsabili dei popoli della vecchia Europa, perché oggi è facile parlare di Casa comune, ma se ognuno pretende di entrarvi con tutto il suo mobilio senza rinunciare a nulla, diventerà impossibile evitare le prevaricazioni di chi sa organizzarsi meglio, a danno dei più poveri.”
La logica dell’alleanza è il monile da esibire, disincrostato da tutti i nostri accomodamenti di circostanza e dal nostro buonismo, che ci porta a dire a una parte di umanità che non c’è posto per lei, con il diritto che ci prendiamo di poter decidere che solo noi abbiamo il diritto di esistere in questo mondo e in questo tempo.
“Razzisti – scrive don Tonino – proprio non siamo, e forse neppure intolleranti con loro. Ma ci fanno paura. Probabilmente perché sono l’icona di un rapporto con l’altro che non sappiamo gestire.”
Quella paura che ci porta a chiudere, ancora oggi, le frontiere e a lasciar cadere in mare anche bambini innocenti, sentendoci però differenti da Erode.
La logica della trascendenza per fare ritorno nel mondo: è una logica carsica, ma c’è. “Dalle viscere dell’umanità prorompe il sussulto di uno pneuma universale che scavalchi le immagini di tutte le teofanie storiche, e provochi una convivenza nuova tra le genti
fondata sulla pace, sulla giustizia e sulla salvaguardia del creato.”
Gesù non parla. Mostra le poche cose che ha con sé e queste diventano risposta. Perché è attraverso i segni che il mistero della salvezza ci indica la strada. La straordinarietà di don Tonino è nell’aver compiuto per primo quel passo nel deserto, nell’aver visto negli oggetti, i segni e il significato affidato loro, per noi, dal Salvatore. Come a dire che non è dalle parole gridate che passa la Salvezza, ma dalla nostra capacità e volontà di leggerla nella realtà delle cose.
L’incontro finisce. È il momento del commiato. Le risposte alla domanda che lo aveva portato a cercare Gesù, don Tonino le ha trovate.
“Ecco, vedi, sotto i tuoi piedi è già spuntata una ginestra. La colgo, perché voglio portarmela come presagio di una imminente primavera che già incombe sulla storia.”
Quella ginestra, dopo aver letto il libro, ci è consegnata da don Tonino perché possiamo anche noi vedere e leggere come un segno che “A Sud è spuntato l’arcobaleno”.
Come non dire ancora Grazie a questo vescovo innamorato dei poveri e profeta di Pace. Come non dirlo oggi, quando la logica della violenza e della guerra sembra conquistare i cuori di tanti e di addormentare le coscienze. Grazie don Tonino a grazie al suo coraggio di combattere sempre e fino alla fine la logica della violenza e della guerra, anche quando sembra non serva a niente e non convenga.
Card. Matteo Maria Zuppi
Introduzione
La “Lettera a Gesù”, scritta dal Venerabile Vescovo don Tonino Bello nel dicembre 1989 – dopo la “Lettera a Giuseppe” (1987) e la “Lettera a Maria” (1988) – viene ridata alle stampe in una nuova ed elegante veste tipografica, alla vigilia del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025, concludendo così il progetto pensato dalle due case editrici “Luce e Vita” e “la meridiana” di riproporre ai lettori di questo tempo la trilogia dei dialoghi che il santo pastore immaginò di avere con i tre protagonisti principali del compimento della storia della salvezza.
Dopo aver parlato con Giuseppe nella sua bottega di falegname e aver dialogato con Maria nella casa di Giovanni ad Efeso, don Tonino cerca Gesù trovandolo nel deserto, stupito dal fatto che questo incontro avvenga in un luogo solitario, invece che nell’intreccio di volti e di voci protagonisti “della comunione nelle vene della storia”.
Il dialogo con Gesù rivela una sorprendente attualità, che trascende lo spazio e il tempo penetrando nella storia dell’umanità e seminando germi di salvezza nelle intricate e contraddittorie vicende che coinvolgono donne e uomini di ogni tempo.
Non possiamo solo “vivere”, lasciandoci tentare dal mettere al primo posto nelle nostre relazioni l’individualismo, il conflitto nelle relazioni, il proprio tornaconto che rende egoisti. È urgente imparare a “convivere”, per riscoprire la bellezza del camminare insieme per sperimentare la logica dell’essenziale, costruire alleanze educative che salvano le persone, aprirsi all’incontro con l’Altro che permette di accet-
tare e accogliere l’altro. Fu proprio il tema proposto dalla Pro Civitate Christiana di Assisi, “Quando vivere è convivere”, a ispirare don Tonino nell’intrecciare il dialogo con Gesù intravedendo la sua presenza salvifica nelle vene della storia.
L’Anno Santo 2025 è ormai alle porte e Papa Francesco ci suggerisce di essere “pellegrini di speranza”. La “Lettera a Gesù” che don Tonino Bello ci consegna e che in questa nuova pubblicazione è impreziosita dalla sapiente presentazione del Cardinale Matteo Maria Zuppi, Presidente della CEI, ci aiuterà sicuramente a intraprendere un pellegrinaggio interiore, un cammino spirituale che, con parole e opere e con gesti personali e comunitari di carità operosa, possano rendere credibile la nostra vita in Cristo.
+ Domenico Cornacchia
Vescovo di Molfetta - Ruvo - Giovinazzo - Terlizzi
Premessa
Assisi, dicembre 1989.
Conclusione del Convegno giovanile sul tema: «Quando vivere è convivere», dove partecipo per la terza volta.
Il fascino della «trilogia» ha avuto il suo peso.
Visto, infatti, che nei due anni passati avevo costruito il mio intervento fingendo di parlare con Giuseppe artigiano nella bottega di Nazareth, e con Maria al termine dei suoi giorni nella dimora di Efeso, mi è parso giusto stavolta, non fosse altro che per ragioni di simmetria, intrattenermi con Gesù nella distesa del deserto.
Il Signore mi ha ripagato facendomi scoprire nella logica della nudità, della alleanza, e della trascendenza, il segreto del «convivere».
Soprattutto in tempi di esodo, come il nostro. Chi sa che, accettando anche tu quella logica simbolizzata dalla bisaccia vuota, dal rotolo dell’alleanza, e dal bastone del pellegrino, non possa vedere il deserto della tua vita mutarsi in giardino?
+ don Tonino, vescovo
«Ero venuto in cerca di te, dopo aver percorso quasi duemila anni a ritroso, nella certezza che mi avresti potuto suggerire i rimedi adatti contro un male oscuro che sta travagliando la civiltà da cui provengo.»
Caro Gesù, ho faticato non poco a trovarti. Ero persuaso che tu stessi laggiù, dove il Giordano rallenta la sua corsa tra i canneti, e i ciottoli, scintillando sotto il velo tremante dell’acqua, rendono più agevole il guado.
C’è tanta folla in questi giorni che si accalca lì, sulla ghiaia del greto, per ascoltare Giovanni, il profeta di fuoco che non si lascia spegnere neppure nel fiume.
Immerso fino ai fianchi dove il letto sprofonda e la corrente crea mulinelli di schiuma, invita tutti a entrare nell’acqua, per rivivere i brividi di un esodo antico e mantenere vive le promesse, gonfie di salvezza.
In un primo momento, conoscendo la tua ansia di vivere con la gente, e sapendo che la tua delizia è stare con i figli dell’uomo, pensavo di trovarti in quell’alveare di umanità brulicante sugli argini.
Qualcuno, però, che pure ti ha visto uscire dal Giordano, grondante di acqua e di Spirito, e mescolarti tra la turba di pubblicani e peccatori, di leviti e farisei, di soldati e prostitute, mi ha detto che da qualche giorno eri scomparso dalla zona.
Ora, finalmente, ti ho trovato. Ed eccomi qui, accanto a te, non so bene se condotto anch’io dallo Spirito, in questo misterioso deserto di Giuda, tana di fiere e landa di ululati solitari.
Perché, proprio tu, nel deserto?
Sono contento, Gesù, di sentire il tuo respiro rompere il sovrumano silenzio che ci sovrasta: così mi sembrerà più perdonabile il sacrilegio delle mie parole che, sia pur mormorate, frantumano l’immobilità allucinante di questa solitudine.
Ma perché mai, Signore, ti sei venuto a cacciare qui dentro, dove il sole arroventa la sabbia, e il vento che soffia dalle alture del Negheb te la sfarina sugli occhi, e l’unica ombra è la tua che non può darti riparo, e gli arbusti sono rappresi come coaguli sanguigni, e i rari ciuffi d’erba sembrano croste annerite dal tempo, e le tenebre si popolano di paure, e devi attendere la notte perché i latrati delle iene, pur forieri di incubi sinistri, ti diano almeno il senso della compagnia?
Come mai sei fuggito dal consorzio degli uomini e sei venuto a segregarti tra queste dune, fantasmi mutevoli a ogni folata dello scirocco, proprio tu che sei sceso qui in terra per introdurre gli stimoli della comunione nelle vene della storia, e per riunire i figli che erano dispersi, e per fare di tanti un popolo solo, e per abbattere i muri della vergogna e strappare le cortine delle nostre frontiere?
Perché proprio tu, che neppure nella tregua della tua vicenda umana hai smesso un solo istante di convivere nella dimora trinitaria, e che nel sostanziale «convivere» col Padre e con lo Spirito sperimenti le ragioni ultime del tuo «vivere» eterno... perché, proprio tu sei precipitato in questo appartamento di desolazione, a mordere l’arena della solitudine e a misurare il lento filtrare della sabbia nella immota clessidra del
deserto? Vedo che hai accanto una brocca colma d’acqua di fiume.
Ti provoca aneliti di cielo: «O Dio, tu sei il mio Dio... di te ha sete l’anima mia, come terra deserta, arida, senz’acqua».
Ma chi sa quante volte, in questi giorni, quell’orcio di creta, che forse tu stesso hai impastato con le tue mani, ti ha richiamato corse con i compagni verso il lago per raccogliere le argille, volti di vasai bruciati dalle fornaci, terraglie appese alle pareti di casa tua e ancora profumate di minestra.
Perché hai abbandonato Nazareth, dove per trent’anni non solo hai fatto le prove generali di come Dio possa convivere con l’uomo, ma hai anche vissuto la dolcezza dei legami terreni, gli ineludibili trasporti delle parentele, lo spasimo crocifiggente e tenero delle amicizie?
Ma come ti ha retto l’animo a barattare, con questa piana inospitale senza orme e senza odori, il tuo villaggio di pecorai, profumato di verbene e di stabbio, di genziane e di formaggi rappresi?
Come hai fatto a recidere d’un colpo la trama di un’esperienza umana, la cui ricchezza di relazioni con le cose e con la gente ti aveva sedotto, sino al punto di non poterne più fare a meno?
Ricordi quante volte, nelle notti di primavera, seduto sul limitare di casa, chiamavi le stelle per nome nel desiderio di assicurarti se, rispondendo «eccoci» e brillando di gioia, come è scritto nei salmi, ti riconoscessero ancora come loro signore?
E poi, invece, trascurando la seduzione del firmamento, ti lasciavi subito distrarre dalle nostre povere
«I miti di certe leggi di mercato che alla dignità dell’uomo antepongono la produzione, e che sulla salvaguardia dell’ambiente privilegiano la salvaguardia del portafoglio, sono la più netta dichiarazione di guerra che distrugge alla radice la logica dell’alleanza.»
“Vieni nel mio giardino. L’inverno se ne andrà. Il fico metterà fuori i primi frutti. Sulle viti sbocceranno le gemme. E la voce della tortora si farà udire di nuovo nella campagna.
Ti aspetto, Signore. Non tardare. Ora la pioggia è cessata. Ma il vento mi riporta insieme flebili belati, ululi lontani, e riverberi di muggiti.
Chi sa che non siano l’agnello e il lupo, o la pantera e il capretto, o la mucca e l’orsa, che cominciano a far le prove della convivenza? Può darsi.
Dal suolo si leva una fragranza di polvere spenta. Nella pozza qui accanto si riflette ancora un corteggio di nuvole. Ma a Sud, l’orizzonte si è schiarito. E sulla curva del cielo splende l’arcobaleno.
Maranathà.
Arrivederci, Gesù.”
Euro 8,00 (I.i.)
la meridiana Luce e Vita collana paginealtre collana Quaderni 67
ISBN 979-12-5626-042-3