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Antonio Bello
Al pozzo di Sichar Appunti sulle alteritĂ
Redazione e cura di Ignazio Pansini
edizioni la meridiana p a g i n e a l t r e
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Indice
Premessa ....................................................................... 7 L’icona di Sichar .......................................................... 9 Quattro motivi per scandalizzarsi ............................. 11 Ha parlato con una donna ........................................ 13 Ha parlato con una samaritana ................................. 15 Ha parlato con una peccatrice .................................. 17 Una donna rotta a ogni avventura ............................ 19 Ha parlato con una scismatica .................................. 21 Gesù di fronte all’alterità .......................................... 23 Protagonista di scambio ............................................ 25 Destinataria di rivelazione ......................................... 27 Soggetto di missione .................................................. 29 Conclusione ................................................................ 31
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Premessa
Il rapporto con l’altro, con il diverso, con coloro cioè che non erano riducibili alla sua norma, il Signore l’ha sfuggito o l’ha cercato? L’ha dribblato o l’ha provocato? L’ha temuto o l’ha desiderato? E quando è avvenuto il confronto con l’altro, Gesù ne ha rispettata l’identità o l’ha violentata? Nelle sue relazioni umane con il diverso, prevale in Gesù il “riconoscimento dell’alterità” o la “smania dell’omologazione”?
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L’icona di Sichar
Per rispondere a queste domande, faremo ricorso ad una icona biblica tratteggiata nel capitolo quarto di Giovanni, ai versetti 1-44. È l’icona del pozzo di Sichar. Sichar è una città della Samaria, sorta all’ombra della città di Sichem che un centinaio di anni prima di Cristo era stata distrutta. Ebbene, fuori della città c’era un podere e presso questo un pozzo. L’aveva fatto scavare Giacobbe “per bere lui coi suoi figli e il suo gregge”, come racconta la Genesi (33, 18). Ebbene, presso questo pozzo un giorno venne a sedersi Gesù, stanco del viaggio che lo stava conducendo dalla Giudea verso la Galilea. E presso questo pozzo avvenne l’incontro memorabile tra Gesù e la samaritana.
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Quattro motivi per scandalizzarsi
Letto il brano giovanneo, potremmo avanzare nei confronti di Gesù quattro capi d’accusa per l’atteggiamento trasgressivo messo in atto nell’episodio accaduto al pozzo di Sichar. Ha parlato con una donna. Ha parlato con una samaritana. Ha parlato con una peccatrice. Ha parlato con una scismatica.
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Ha parlato con una donna
“Benedetto sei tu, nostro Dio, perché non mi hai fatto né pagano, né donna, né ignorante”. Era una formula di ringraziamento che la dice lunga sulla considerazione in cui era tenuta la donna ebrea. Disdicevole era poi, per un rabbino, parlare in pubblico con una donna, fosse pure sua moglie. Per cui la richiesta di Gesù è inaudita per gli usi vigenti al suo tempo. Proprio no: un rabbì non poteva abbassarsi a tanto, dal momento che la donna era considerata di rango inferiore e tenuta in stato di inferiorità per tutta la vita. Un detto rabbinico suona così: “Non si deve star solo con una donna in un alloggio, neppure con la propria sorella o con la propria figlia, a causa dei pensieri degli uomini. Non si deve chiacchierare con una donna sulla strada, nemmeno con la propria moglie e men che meno con una donna altrui, a causa dei pettegolezzi degli uomini”. Anche Dio, secondo la concezione giudaica, non ha parlato, evitandolo, con donne, ma solo con uomini. Per cui la donna non ha bisogno di conoscere la thorà. Rabbì Eleazoro diceva: “Sarebbe meglio che la legge andasse in fiamme, piuttosto che essere data in mano alla donna”. L’atteggiamento di Gesù, quindi, che parla con una donna, è fortemente trasgressivo, al limite dello scandalo. Di qui il versetto 27: “Giunsero i discepoli e si meravi-
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gliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno, però disse: ‘che desideri?’ o ‘perché parli con lei?’”. Un fatto è certo. I discepoli sono sorpresi che Gesù parli con una donna, non tanto che parli con una samaritana.
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Ha parlato con una samaritana
Ed eccoci alla seconda trasgressione di Gesù, non meno grave della prima. Al limite dello scandalo anch’essa: “In realtà i Giudei non mantengono buone relazioni con i Samaritani”. Per quale motivo? Fondamentalmente perché quando gli Assiri, intorno al 700 a.C., invasero la Samaria e ne deportarono la popolazione scelta, in quella zona vennero inviati dei coloni assiri (2 Re, 17). Questi, col passare del tempo, si fusero con la popolazione ebrea rimasta, dando origine a una razza mista che, naturalmente, mischiò anche le credenze. Samaria, perciò, era la regione eterodossa, razza di sangue misto e di religione sincretista. Bastarda, insomma! Sicché chiamare qualcuno col nome di samaritano era uno dei peggiori insulti. L’odio dei Giudei per i Samaritani traspare bene da questo feroce detto rabbinico: “Chi mangia pane dei Samaritani, è come uno che mangi carne di cane”. E chi beve l’acqua? Che assurdo scandaloso che Gesù abbia chiesto a una samaritana: “Dammi da bere!”. Un giudeo autentico avrebbe accettato volentieri qualsiasi privazione piuttosto che toccare con le sue labbra l’orlo di un vaso dal quale avesse bevuto prima un samaritano. I Samaritani erano ritualmente impuri. È davvero il colmo della trasgressione che Gesù accetti di bere al secchio di una donna malata d’impurità!
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Ha parlato con una peccatrice
Questa donna ha avuto cinque mariti e, attualmente, conviveva con un amante. Una situazione a dir poco immorale. Se i cinque mariti con cui ha vissuto siano morti o ella se ne sia separata, non ha molta rilevanza. Sta di fatto che, secondo la concezione giudaica, ci si poteva sposare al massimo tre volte. Il quinto matrimonio era, agli occhi degli ebrei, un peccato, e l’attuale relazione della samaritana con un sesto individuo costituiva un vero adulterio e una vergognosa vita di colpa. Possiamo supporre che anche i Samaritani considerassero illecito contrarre matrimonio così ripetutamente. Ci troviamo senz’altro dinanzi a una donna irrequieta, che ha varcato i limiti del buon costume già sposandosi una quarta e una quinta volta, e che travalica ogni segno convivendo nei legami manifesti dell’adulterio.
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Una donna rotta a ogni avventura
Ebbene, Gesù sa della situazione peccaminosa di questa donna e gliela rivela. Ma non si astiene dal parlare con lei. E si intrattiene in discorsi di alta spiritualità, senza quel disagio che potrebbe provare, ad esempio, un arcivescovo che si fermasse sulla statale 98 a parlare con “una di quelle” e a spiegarle magari una pagina dell’Imitazione di Cristo! Come stile trasgressivo mi pare che Gesù raggiunga il culmine.
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Protagonista di scambio
Dammi da bere. L’incontro comincia con una richiesta di Gesù che, essendo uomo, è solidale con tutte le necessità dell’uomo. Chiede una dimostrazione di solidarietà al livello umano più elementare, che unisce gli uomini al di sopra delle culture e delle barriere politiche, razziali, spirituali, religiose. È come se dicesse: “Io sono come te”. Dare acqua, elemento scarso e quindi prezioso, era un segno di accoglienza e ospitalità. Chiedendola, stanco del cammino, Gesù chiede di essere accolto in Samaria. Gesù che va mendicando un sorso d’acqua, si mette al livello dell’altro. Gli dice: tu mi puoi aiutare. Ho bisogno di te. Mi puoi dare una mano. E, nello stesso tempo, afferma la sua disponibilità a corrispondere con un favore anche più grande. “Se tu conoscessi il dono di Dio, chi è colui che ti chiede da bere, saresti tu a chiederne a lui e ti darebbe acqua viva”. Ecco, qui è affermata la legge forse più importante che può farci superare i guasti della diversità: la reciprocità del dono. Questa legge noi la conosciamo poco. Siamo bravi solo a dare. Mai a ricevere. Che cosa può darmi un terzomondiale, se non un pericolo di infezioni? Quando capiremo che l’altro, il povero, non chiede aiuto, ma chiede scambio? Quando capiremo che dare la pelle per i poveri o
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lasciarsi scorticare vivi per loro vale meno che mettersi sulle spalle una camicia che ci è stata da loro regalata?
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Destinataria di rivelazione
Intanto Gesù le rivela la povertà e l’insufficienza dell’acqua del pozzo di Giacobbe. Questo pozzo rappresenta la legge antica, i vecchi schemi, i particolarismi rituali, le tradizioni di una civiltà che ormai si è sclerotizzata e si è chiusa nella difesa dei suoi valori. Chi beve di quell’acqua ha sete di nuovo. L’acqua che dà Gesù, invece, non darà più sete in eterno. È un’acqua interiore. Non sgorga dalla roccia, come nel deserto. È lo Spirito Santo, gemente nel cuore di ogni uomo che accoglie Gesù. Essendo, allora, in tutti la stessa acqua, si crea l’unità fra tutti. Lo Spirito Santo stabilisce la relazione con Dio come Padre, escludendo ogni particolarismo discriminatorio. In secondo luogo viene rivelata a questa donna la sparizione degli antichi culti e templi, sostituiti dall’amore leale per l’uomo. Gesù parla di un cambiamento radicale. È finita l’epoca dei templi. Il culto di Dio non avrà luoghi privilegiati. Il Dio della legge aveva creato disuguaglianze, discriminazione, inimicizia tra i popoli fratelli. Il Dio Padre, che dà vita e ama l’uomo, fa cadere le barriere, perché egli non dà il suo figlio a un popolo privilegiato, ma al mondo intero. Gesù rivela, quindi, alla samaritana la forza unificante dello Spirito e il superamento dell’alterità nella contemplazione del Padre.
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