Caro Tonino. Appunti e disappunti

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Questo libro testimonia il rapporto speciale dell’autore con suo fratello don Tonino. La maggior parte degli scritti sono nati sulla tomba nel cimitero di Alessano, il luogo in cui Marcello Bello ha tenuto sempre vivo il dialogo con il fratello condividendo le sue riflessioni in una corrispondenza che, talvolta, assume anche il genere epistolare, un genere caro al vescovo di Molfetta, e che per i due fratelli rappresenta il momento della preghiera, della condivisione intima delle gioie e delle difficoltà del proprio cammino. Nei testi che si succedono in maniera cronologica, il lettore scorgerà in filigrana anche la storia di don Tonino che l’autore ripercorre riempiendo i vuoti nei momenti difficili, il legame forte tra i tre fratelli e le domande talvolta senza risposta, le fragilità imposte dal dolore, con la letizia di chi guarda al Signore con grande speranza come don Tonino ha insegnato a tutti. Queste pagine rappresentano una grande eredità perché insegnano che guardare a testimoni autentici del Vangelo, come don Tonino, può incidere in maniera decisa nelle scelte di vita quotidiana, indicando una direzione significativa all’esistenza di ognuno di noi.

ISBN 978-88-6153-707-1

Euro 16,50 15,50 (I.i.) 9 788861 537071

Marcello Bello

nato nel 1940 ad Alessano, piccolo borgo della provincia di Lecce, è l’ultimo di tre fratelli, Tonino il più grande, Trifone il secondogenito. Sin dalla tenera età si deve confrontare con il dolore conseguente alla morte improvvisa del padre. Con i sacrifici della madre, Maria Imperato, completa gli studi liceali per trasferirsi a Bologna e conseguire la laurea in medicina e chirurgia nel 1968 alla quale seguirà la specializzazione in ginecologia e ostetricia. Tra i fondatori della Fondazione intitolata al fratello, nata per raccontare e conservare il messaggio magisteriale di don Tonino, da venticinque anni è impegnato nella testimonianza del fratello.

MARCELLO BELLO

Appunti e disappunti caro tonino

MARCELLO BELLO,


Marcello Bello

Caro Tonino Appunti e disappunti

Presentazione di Stefano Bello Prefazione di Giancarlo Piccinni


INDICE Presentazione di Stefano Bello 9 Prefazione di Giancarlo Piccinni 11 Musulmani sulla tomba 15 Per l’inaugurazione dell’auditorium di Alessano 17 Don Tonino Bello, un uomo della nostra terra 23 Per la donazione del quadro di don Tonino al Comune di Alessano 27 Per la prima primavera 29 Alle Marcelline di Lecce 33 Intitolazione dell’auditorium di Giovinazzo a don Tonino 37 In ricordo del folle gesto 41 Vi lascio le mie “carte” 45 Il potere dei segni 47 Clandestina tra i profughi 49 Salentinità 51 Per la “V Giornata della Memoria e dell’Impegno” 53 Ricordi famigliari 55 Esperienze in famiglia 59 Relazione agli studenti dell’Istituto Tecnico Commerciale “Gaetano Salvemini” di Alessano 65 Affinché non ci contristiamo più 71 Gli abbiamo creduto perché si è fatto uno di noi 73 In mezzo ai nostri cari 75 L’incubo di nuovi razzismi 77 Sono contento di aver scelto la tua Chiesa 79 Anche gli onori sono castighi di Dio 81 Mai forti di un’arma di offesa 83 Luci di posizione che indicano la salvezza 85 I miei sogni 87 Disegno di Dio o manipolazione degli uomini? 89


Atto vandalico o testimonianza di disagio giovanile 91 Lettera aperta alla città di Milano 93 Silenzi di tomba 95 Scout sulla tomba 99 Giovani e musica per la pace nel Mediterraneo 101 Museo dei sogni 105 Santa Maria, donna del terzo mondo 107 Incontro del Lions Club Santa Croce per il premio nazionale “don Tonino Bello” 109 Diniego traslazione salma a Molfetta 111 Nessuno osi 115 Una Pasqua speciale 117 Messaggio ai partecipanti alla prima edizione di Speleotrekking Salento nella tappa in Alessano 121 Messaggio per il 2° giro podistico 125 Inaugurazione scuola di Turi 127 Per la liberazione della giornalista Sgrena 129 Intervento al 2° meeting dei giovani San Giovanni Rotondo 131 A proposito delle diatribe sul Mimac 137 Articolo per la Gi.Fra. di San Giovanni Rotondo 139 Intervento a San Pancrazio 141 Per il 25° anniversario del riconoscimento de “l’Adelfia” 145 Centro di accoglienza di Otranto: centro di spazzatura? 147


PRESENTAZIONE

di Stefano Bello

Questo libro è una testimonianza speciale del rapporto di mio padre con suo fratello don Tonino. Condivide con il lettore il legame profondo che li legava e di come questo sia cresciuto negli anni, affatto piegato dall’assenza di uno dei due. La maggior parte degli scritti sono nati sulla tomba, nel cimitero di Alessano, il luogo dove mio padre ha tenuto vivo il dialogo con il fratello condividendo le sue riflessioni che hanno tutte un carattere confidenziale, anche quando sono destinate a un incontro pubblico o a un intervento richiesto in occasioni particolari. Una corrispondenza che, talvolta, assume anche il genere epistolare, un genere caro a don Tonino e che per i due fratelli rappresenta anche il momento della preghiera, della condivisione intima delle gioie e le difficoltà del proprio cammino. È una testimonianza speciale dalla quale traspare il forte rapporto umano e spirituale che si era creato tra i due fratelli, sicuramente frutto dell’attenta educazione impartita dalla mamma Maria, donna di sani principi e solidi valori cristiani che le hanno permesso di crescere da sola, con umiltà e saggezza, tre figli. Nei testi che si succedono, il lettore scorgerà in filigrana anche la storia di don Tonino che mio padre Marcello ripercorre riempiendo i vuoti che avverte in momenti difficili, il legame fra i tre fratelli e le domande senza risposta, le fragilità 9


imposte dal dolore, con la letizia di chi guarda al Signore con grande speranza come don Tonino ha insegnato. Tutto ciò ha trasfigurato il modo di osservare la vita di papà e gli ha dato modo di guardare la sofferenza con occhi nuovi. Nella “Lettera aperta alla città di Milano” emerge la profonda interiorizzazione dell’insegnamento di don Tonino. Il perdono come caposaldo dell’esistenza cristiana è il punto più alto di quella lettera scritta per una vicenda che scosse molto la nostra famiglia e nella quale l’insegnamento di don Tonino, fatto proprio da papà per noi figli, rappresentò una grande prova di amore e di autenticità. Questi scritti sono una grande eredità perché ci insegnano che guardare a testimoni autentici del Vangelo, come zio Tonino, può incidere in maniera decisa nelle scelte di vita quotidiana, indicando una direzione significativa all’esistenza di ognuno di noi, partendo proprio da quella che è la testimonianza di chi ha avuto l’opportunità di vivere con lui per 58 anni assorbendone nel tempo lo spirito evangelico. La scelta di pubblicarli è un dono che come famiglia sentiamo di fare a tutti coloro che a noi hanno guardato in questi anni, ricercando tracce di don Tonino e chiedendoci di fare insieme la strada da lui tracciata.

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PREFAZIONE di Giancarlo Piccinni

Sono stato di recente particolarmente colpito da una riflessione di Luigino Bruni, scrittore e giornalista di professione. Chissà quante pagine nella sua vita lui non abbia scritto. Fiumi di inchiostro! Ma solo ora lui dice: “Ho incominciato ad imparare che scrivere non è una faccenda di grammatica e di sintassi. È un’attività dell’anima, di disciplina, un apprendistato all’arte della responsabilità etica della parola”1. Ed io questa responsabilità l’ho vissuta e condivisa con Marcello, compagno di viaggio, di un lungo viaggio che ci ha visto attraversare più volte la nostra regione e non solo, per far conoscere le parole di vita di don Tonino a tantissimi amici. Quanto tempo impiegato per questo obiettivo! E don Tonino ha continuato a dettare la nostra agenda di vita, a ritmare il nostro tempo, più di quanto non lo avesse già fatto quando era fisicamente con noi. Già, il tempo! Lui lo definiva “spazio dell’amore”: e noi questo spazio lo abbiamo riempito di parole e di silenzio, di progetti e di speranze, di sogni e di stupore. Don Tonino, maestro della parola, ha voluto sottoporre a revisione critica anche il suo linguaggio e ha stimolato gli altri a fare altrettanto, perché convinto che “l’adattamento al vocabolario del mondo, l’attenzione alla sua sintassi, lo studio della sua temperie culturale, l’omologazione del suo Bruni L., Confessioni di un non gionalista, in Zaccuri A., Voci del verbo avvenire, Avvenire, Vita e pensiero, Milano 2018.

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codice espressivo non vanno interpretati come cronolatria, ma sulla linea di quella fedeltà all’uomo di cui si parla tanto nei documenti della Chiesa”. Sapeva parlare, ma sapeva anche tacere, perché è il silenzio che genera la parola: anzi è il suo grembo e al tempo stesso è il suo cuore! È questione di sapienza! Diceva Ernesto Balducci che: “Avere la sapienza vuol dire spesso disimparare a parlare, rinunciare a chiacchierare, accettare il silenzio come luogo di comunicazione, come profondo momento di scambio”! E tu, caro Marcello, questo lo hai sempre saputo, perché hai amato il silenzio. In silenzio abbiamo vissuto la malattia di don Tonino. Lo pensavamo immortale, lo vivevamo nella sua pienezza di vita, poi all’improvviso quella diagnosi: gli altri si affannavano, correvano, a volte anche chiacchieravano. La professione di medico è spesso crudele: ti mette dinnanzi agli occhi la realtà nuda e cruda, ti spegne la speranza! Noi l’arte medica la condividevamo, sapevamo che la malattia avrebbe fatto il suo corso, incurante di tutto, anche delle cure, sarebbe stata devastante e ce lo dicevamo senza parlare. Ma quel silenzio ci consentiva di cercare il senso delle cose. Il senso della vita e della morte, della gioia e del dolore, dell’inizio e della fine. Ma anche il senso di quella Fede che lui ci aveva trasmesso. Il senso della nostra Fede! Quante volte tuo (anzi, nostro!) fratello ci aveva detto che la Resurrezione del Signore è già interna alla sua passione e che la sua gloria già attraversa il suo dolore? Così è stato per lui. Ma solo così noi possiamo spiegare quel sentimento, quello stato d’animo, quelle improvvise lame di felicità che attraversavano il nostro cuore affranto e turbato quando ormai ci preparavamo al suo trapasso. In silenzio abbiamo vissuto molti altri momenti intensi della nostra vita: quando da paziente ti sottoponevi ad un intervento di chirurgia cardiaca e cercavi di scrutare nelle pieghe nel mio volto le mie paure e le mie certezze di cardiologo, ma anche quando, a ruoli invertiti, tu ginecologo, 12


principe di una sala parto, mi hai consegnato tra le braccia, per tre volte, le mie creature appena prelevate dal grembo della mia adorata compagna di vita. Solo un luccichio dei tuoi occhi che mi aprivano il cuore ed una parola appena sussurrata: evviva! Cioè, come diceva don Tonino, che vivano, che abbiano vita! Grazie Marcello anche per questo, ma soprattutto della tua amicizia, grazie per avermi dato l’onore di servirti come tuo cardiologo di fiducia, grazie perché hai condiviso anche con me il progetto della Fondazione, passo dopo passo, giorno dopo giorno, progetto nato nel nostro cuore ancor prima che don Tonino ci lasciasse, perché nulla andasse perso e fosse dimenticato. Quanti incontri, quanta gente: piazze, scuole, biblioteche, chiese, sezioni di partito e di sindacato. Quanti amici vecchi e nuovi. E tutti felici di ascoltare, anzi di toccare (sic!) Marcello e Trifone, i fratelli di don Tonino! E tu a ricordare, innanzitutto, che tuo fratello era un uomo, come tutti, e che le radici della sua fede si erano fortificate in famiglia, dove era cresciuto e si era educato. È lì che in don Tonino è nato il germe della nonviolenza. È in famiglia che ha iniziato a sperimentare che la nonviolenza, come dice Thomas Merton, è un dinamismo di crescita paziente e segreta, nella convinzione che dai semi più piccoli, più deboli e più insignificanti possano crescere gli alberi più grandi. Sempre in silenzio attraversammo con Trifone le strade di Roma per raggiungere il nostro albergo, all’uscita da Santa Marta, dopo aver incontrato papa Francesco quel 14 novembre del 2013. Ma fosti proprio tu, all’improvviso, a interrompere i nostri pensieri segreti dicendo a me e a Trifone: “Prima o poi questo Papa verrà sulla tomba di Tonino!”. Fummo colti da stupore per la tua affermazione quasi quanto alla notizia, cinque anni dopo, dell’avverarsi di quella profezia. Non so ancora se questa tua capacità di abitare il futuro ti appartenga per intero o se invece in parte sia dovu13


ta all’empatia che tu vivi con l’amato pastore. So però che questo è uno dei motivi che mi predispone sempre ad ascoltarti con attenzione particolare. Ed accanto a questo mi ha sempre affascinato quel tuo disincanto che ti fa prendere le distanze da tutto ciò che appare, da quanti si propongono come i vincitori della storia. Sì, quel tuo dissenso, quasi aprioristico, verso tutto ciò che è costituito, verso l’ordine nella nostra società: quasi a ricordare che dove c’è l’ordine spesso manca la grazia, che una cosa è la cultura altra cosa è la sapienza, perché solo la prima è corrosa dal tempo. La cultura spesso ci colloca tra i primi posti e crea una graduatoria tra gli uomini. La sapienza appartiene a quanti vedono gli ultimi portatori della salvezza. Non di un mondo altro ma del nostro mondo. Questa la lezione che tuo fratello ci ha lasciato. Di essa ci hai detto che non dobbiamo essere solo custodi, ma dobbiamo anche cercare di essere eredi. Sii certo, caro Marcello, che continuerò a dedicarmi con passione a questo impegno che insieme a Trifone e a tanti amici abbiamo partorito: altre pagine come queste insieme scriveremo certi, però, che “la parola scritta è seconda, perché prima c’è il dono di una voce, di una parola, di uno spirito”2.

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Ibidem. 14


MUSULMANI SULLA TOMBA

Dalla tomba di don Tonino, 17 settembre 1993

Lo hanno sentito quasi come un dovere il fatto di venire a trovarti qui, nella tua terra. Il gruppo di profughi bosniaci, ospiti di un centro di accoglienza di Giovinazzo, hanno voluto così rifare il “pellegrinaggio” di solidarietà che tu facesti all’incirca un anno addietro portandoti a Sarajevo. Come te, anche loro sono arrivati “armati” solo della loro speranza di pace e del desiderio di tornare ad essere presto uomini liberi in un Paese libero. Ad accoglierli si è riversata al cimitero buona parte della popolazione alessanese insieme alle autorità civili e religiose. Forse c’era anche un po’ di curiosità in questo fatto nuovo: un camposanto cristiano invaso dai musulmani! Un tempo avremmo gridato: “Mamma li turchi”; ieri eravamo tutti lì in atteggiamento religioso, a sentirli pregare nella loro lingua il loro Dio. E hanno cantato per te, Tonino, come profeta dei nostri giorni, come convinto assertore della nonviolenza e della solidarietà gratuita. Immagino che ieri, insieme alle anime dei nostri cari estinti che aleggiavano in questo cimitero, si saranno unite, per ringraziarti, anche quelle delle migliaia di donne e bambini delle numerose fosse comuni, che si aggirano ancora oggi come angeli poveri e smagriti per le strade martoriate di Sarajevo. E già li intravedo, quasi in dissolvenza, questi angeli smagriti con una sola ala aggirarsi sgomenti per le case se15


midistrutte e abbandonate della loro città martoriata alla ricerca di te per aggrapparsi alla tua “ala di riserva”. In un clima sicuramente più rilassato ci siamo poi ritrovati nella sala parrocchiale dove i nostri compaesani avevano allestito una grande unica tavola per consumare il pasto preparato dalle loro donne. Ognuno di noi, che eravamo seduti insieme alla stessa tavola, ha avuto modo di raccogliere le loro testimonianze, le loro lacrime, le loro confidenze e soprattutto la loro meraviglia nel vedersi accolti con tanto calore da gente per loro sconosciuta, mentre in patria erano odiati e combattuti dai loro stessi fratelli. E anche qui, Tonino, non ho potuto fare a meno di ricordare uno dei tuoi tanti “ritornelli”: “Non basta condividere il pane con chi non ne ha per sfamarsi; bisogna anche sedersi alla stessa mensa per consumarlo insieme”. Quando, questa sera, rimboccherò le coperte a Stefano e Federica, penserò a te che, da lassù, darai il bacio della buona notte a tanti bambini, orfani di tutto, che si aggirano per le case sventrate di Sarajevo alla ricerca di un riparo dalla notte.

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PER L’INAUGURAZIONE DELL’AUDITORIUM DI ALESSANO 8 dicembre 1993

Carissimo Tonino, scusami se con la presente ti distrarrò per un poco dalla contemplazione del volto di Dio, in cui penso che ora sarai perennemente immerso; ma la gente, il tuo popolo, i tuoi “poveri” vogliono sentir parlare di te e della tua vita, del tuo operato in mezzo a noi. Questa sera è toccato a me prendere la parola e per questo, sapendo tu quanto io sia scarso nell’arte oratoria, mi perdonerai se ricorro allo stile epistolare del resto a te tanto caro. Una montagna di ricordi mi tornano alla mente; ma naturalmente non starò qui a registrarli tutti come facesti tu per tenermi sveglio alla guida quella sera quando, in una delle tue tante peregrinazioni su e giù per l’Italia, ti accompagnai da Molfetta ad Ancona e viceversa con conferenza, dibattito e veglia di preghiera per il decennale della morte del vescovo Romero inclusi. I ricordi più pregnanti, fino alla tua ordinazione sacerdotale, sono quelli dell’attesa: c’era sempre una gran festa quando rientravi per brevi periodi dal Seminario di Ugento prima e poi da Molfetta e poi da Bologna, ci preparavamo con giorni e giorni di anticipo, io e Trifone, e tu ci ricompensavi di queste attese con una presenza sempre nuova e più ricca, che integrava la pur straordinaria educazione sociale, culturale e religiosa che ci impartiva nostra madre. 17


Poi, per un po’ di tempo, ci siamo persi di vista e il tramite che ci univa (tu per continuare a donarmi e io per ricevere) è stata sempre la presenza saggia ed umile della mamma che con la sua serenità e i suoi sacrifici ci ha spalancato la via all’umanità. Di quanto intenso e fecondo sia stato questo tuo periodo avevo solo una pallida idea, me ne sto rendendo pienamente conto solo ora che mi accingo a mettere in ordine le tue “carte”, la tua eredità, da cui vengono fuori le tue grandi battaglie (non c’è che dire: sei sempre stato in trincea!) nella campagna contro il divorzio, in quella contro l’aborto e contro la droga. E mentre eri impegnato nella crescita sociale e religiosa del tuo mondo fatto di giovani, mi facevi capire l’importanza e la necessità del ritorno alla terra d’origine, il nostro Sud, da cui bisognava sradicare l’acquiescente passività con l’indispensabile contributo di ciascuno di noi; della bellezza della famiglia, che, secondo te, è il primo laboratorio di giustizia e di pace. E così anch’io me ne tornai dalla tua cara Bologna, dove come te avevo completato i miei studi. Ed ebbi modo di seguirti più da vicino. Incominciasti così, forse anche con un po’ di timore, la tua missione nella città di Tricase che, in poco più di tre anni, riuscisti a plasmare sulla cadenza della tua parola non disgiunta dai tuoi gesti; fino al punto che, quando arrivò la “brutta” notizia del tuo trasferimento ad altri incarichi, ne pianse l’intera popolazione insieme a te. Forse in molti, tra coloro che ti stimavano come prete dai gesti concreti, in quel lontano autunno di quattordici anni fa, avranno temuto che la Mitria mummificasse la tua personalità; una risposta tranquillizzante arrivò dopo appena pochi giorni del tuo episcopato, quando si diffuse la notizia che eri stato denunciato alla magistratura per aver partecipato ad un blocco stradale organizzato dai lavoratori delle acciaierie di Giovinazzo, minacciati di licenziamento. A fatica ti allontanasti dalla riva per prendere il largo; e 18


ti portasti a Molfetta col tuo zaino privo di oro e di argento ma ricco di tanta umiltà e povertà. Ti presentasti col pastorale e la croce di legno d’ulivo, dono dei tuoi compaesani; con al dito la fede matrimoniale della mamma come anello pastorale e con lo stemma raffigurante la croce alata di Alessano con un chiarissimo programma come motto “ascoltino gli umili e si rallegrino”. Anche dai molfettesi, popolo orgoglioso della propria cultura e delle sue antiche tradizioni, sconcertati in un primo tempo dalla povertà dei tuoi “segni del potere”, ti facesti subito amare per la fecondità della tua parola e per la essenzialità dei tuoi gesti. Ed ora vivono anche loro l’attesa della splendida stagione della “fioritura della primavera che inonderà il mondo”. Poi, quando nel 1985 il tuo maestro e discepolo monsignor Bettazzi ti propose alla presidenza nazionale di Pax Christi, diventasti la voce più inquieta e trascinante del pacifismo cattolico. Hai impresso una svolta determinante all’associazione e il tuo gridare a voce alta la pace, l’antirazzismo, l’accoglienza delle diversità, la convivialità delle differenze, il riscatto del nostro Sud e di tutti i Sud del mondo ha varcato i confini della tua diocesi e della nazione. Grazie a te, Molfetta è diventata da allora la culla dove si sono riposte le speranze dell’umanità non violenta, il punto di riferimento dove convergono gli ideali di tanti giovani che, nonostante tutto, guardano ad un futuro di bontà e di onestà riflettendosi nella trasparenza dei tuoi occhi e del tuo stile di vita. Ho pianto e ho compartecipato alla tua sofferenza per l’incomprensione e la solitudine in cui ti sei ritrovato durante la guerra del Golfo e nella polemica sull’installazione degli F16 in terra di Puglia. Mi sono inorgoglito di essere tuo fratello quando hai riempito la tua casa di sfrattati, di immigrati, di disperati, di giovani in cerca del senso del vivere; e non ho più avuto modo di venire a trovarti per imparare ancora da te. 19


Ho condiviso la tua pena e la tua tristezza quando ti ho visto dagli schermi televisivi, in pieno agosto, in mezzo ad una fiumana di profughi albanesi, là, sul molo del porto di Bari, a denunciare con passione l’assenza dello Stato, già impegnato nella più proficua attività di Tangentopoli, attirandoti addosso anche l’ira e il sarcasmo del Ministro degli Interni. Ti ringraziamo tutti per il tuo tanto soffrire sulla tua cattedra del dolore vissuto con grande dignità. Sei stato uomo fino in “cima” nella tua sofferenza quando, dalla penombra della tua camera, come gli antichi patriarchi, hai alzato la mano benedicente sul capo di tutti coloro che si inginocchiavano al tuo capezzale, dai tuoi confratelli ai vecchi coinquilini d’episcopio; e da ognuno di loro ti sei fatto benedire. Hai trasmesso in noi tanta pace e tanta serenità e non abbiamo più paura. Quella notte, nella veglia della tua Resurrezione, mi sono ritornati alla mente gli interrogativi della tua bellissima cantica pasquale Che faranno gli alberi stanotte quando suonano a stormo le campane? Le piante del giardino spanderanno insieme come turiboli d’argento la gloria delle loro resine? E gli animali del bosco ululeranno i loro concerti mentre in Chiesa si canta l’Exultet? Come reagirà il mare che brontola sotto la scogliera all’annuncio della Resurrezione? L’Angelo dalle bianche vesti farà tremare le porte dei postriboli? Oltre i cancelli del cimitero sussulteranno, sotto il plenilunio, le tombe dei morti? E le montagne, non viste da nessuno danzeranno di gioia intorno alle convalli? 20


Quando, in quell’assolata giornata del 12 agosto 1991, dagli schermi televisivi rimbalzò la notizia della tua proposta di “dar vita ad una grande forza di pace soprannazionale che invadesse le zone di guerra”, capii veramente, forse anche con un brutto presentimento, che stavi raggiungendo il momento supremo della tua profezia e del tuo sacrificio, sì, il tuo sacrificio per tutta l’umanità, perché in quel momento sei diventato veramente l’uomo planetario. Proprio tre anni fa, più o meno di questi giorni, ci hai tenuti col fiato sospeso e incollati per una intera settimana davanti al televisore, finché non abbiamo sentito dalla tua voce, da quel teatro di Sarajevo illuminato dalla fioca luce di poche candele, che “l’ONU dei potenti si ferma alle quattro del pomeriggio, mentre l’ONU dei poveri si muove anche di sera”. Ed ora Tonino, che con l’ostinatezza di noi meridionali ci hai additato la strada liberatoria verso la salvezza facendoci intravedere il tempo in cui il lupo e l’agnello, la pantera e il capretto, la mucca e l’orsa coabiteranno pacifici, liberaci dal pericolo che tutta la forza prorompente della tua profezia possa essere imprigionata in un cliché di santità che potrebbe “normalizzarti”, ora che non sei più con noi. Nessuno osi pensare che, con la tua morte, sia tutto finito. In questa tomba, che hai voluto nella tua cara Alessano, non ci sono resti, ma semi che daranno frutti abbondanti come hanno promesso le migliaia di ragazzi e ragazze che ti hanno detto: “Ciao don Tonino, continueremo a sognare ad occhi aperti cieli nuovi e terre nuove”. Rimani ancora “il folle di Dio” e “il pastore diverso”. Tutti qui stasera dai più giovani ai più anziani che hanno voluto sentir parlare ancora di te, tutti i tuoi poveri, ad uno ad uno, ti diciamo: “Ti voglio bene”. Ciao, Tonino, un bacione forte forte Marcello P. S. appena incontri la mamma e papà abbracciali da parte mia e di Trifone e ringraziali di averti donato a noi. 21


Questo libro testimonia il rapporto speciale dell’autore con suo fratello don Tonino. La maggior parte degli scritti sono nati sulla tomba nel cimitero di Alessano, il luogo in cui Marcello Bello ha tenuto sempre vivo il dialogo con il fratello condividendo le sue riflessioni in una corrispondenza che, talvolta, assume anche il genere epistolare, un genere caro al vescovo di Molfetta, e che per i due fratelli rappresenta il momento della preghiera, della condivisione intima delle gioie e delle difficoltà del proprio cammino. Nei testi che si succedono in maniera cronologica, il lettore scorgerà in filigrana anche la storia di don Tonino che l’autore ripercorre riempiendo i vuoti nei momenti difficili, il legame forte tra i tre fratelli e le domande talvolta senza risposta, le fragilità imposte dal dolore, con la letizia di chi guarda al Signore con grande speranza come don Tonino ha insegnato a tutti. Queste pagine rappresentano una grande eredità perché insegnano che guardare a testimoni autentici del Vangelo, come don Tonino, può incidere in maniera decisa nelle scelte di vita quotidiana, indicando una direzione significativa all’esistenza di ognuno di noi.

ISBN 978-88-6153-707-1

Euro 16,50 15,50 (I.i.) 9 788861 537071

Marcello Bello

nato nel 1940 ad Alessano, piccolo borgo della provincia di Lecce, è l’ultimo di tre fratelli, Tonino il più grande, Trifone il secondogenito. Sin dalla tenera età si deve confrontare con il dolore conseguente alla morte improvvisa del padre. Con i sacrifici della madre, Maria Imperato, completa gli studi liceali per trasferirsi a Bologna e conseguire la laurea in medicina e chirurgia nel 1968 alla quale seguirà la specializzazione in ginecologia e ostetricia. Tra i fondatori della Fondazione intitolata al fratello, nata per raccontare e conservare il messaggio magisteriale di don Tonino, da venticinque anni è impegnato nella testimonianza del fratello.

MARCELLO BELLO

Appunti e disappunti caro tonino

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