Antonio Bello è stato vescovo di Molfetta e presidente nazionale di Pax Christi. La sua scelta pastorale, vissuta sull’opzione radicale degli ultimi, e il suo impegno per la promozione della pace, della nonviolenza, della giustizia e della solidarietà, lo rendono ancora oggi, dopo la sua morte, tra i più audaci profeti dei nostri giorni.
3,1 mm
125 mm
Ci vuole audacia. La Vita che state vivendo vivetela in modo denso. Perché non tornerà più. E non abbiate paura di entusiasmarvi per le cose. Molti di voi hanno paura. Hanno paura che un giorno la Storia, il loro futuro possa ridacchiare sul loro presente. Molti hanno paura di esporsi. Per non correre il rischio di subire il contraccolpo di questa disunione tra i sogni di oggi e la realtà di domani, preferiscono non sognare. E questo significa dare le dimissioni dalla Vita. Aver paura di entusiasmarsi oggi, alla vostra età, significa suicidio. Un giorno vi scalderete alla brace divampata nella vostra giovinezza. Non abbiate paura di entusiasmarvi. C'è tantissima gente che mangia il pane bagnato col sudore della fronte dei sognatori. Ci sono tanti sognatori. Meno male che c’è questa dimensione del sogno nella vita: sporgenze utopiche a cui attaccarci. Meno male che ci sono dei pazzi da slegare, da mettere in circolazione perché vadano a parlare di grandi utopie. Quello che è pericoloso, è che le grandi utopie si raffreddino nel cuore dei giovani. Io vi voglio augurare che non abbiate a perdere la dimensione della quotidianità e del sogno. Scavate sotto il vostro lettuccio e troverete il tesoro. Non siete inutili, siete irripetibili.
125 mm
CI VUOLE AUDACIA Parole ai giovani
ISBN 978-88-6153-744-6
Euro 9,00 (I.i.)
la meridiana collana paginealtre
9
85 mm
AntonioBello
85 mm
788861 537446
edizioni la meridiana
Antonio Bello
Ci vuole audacia Parole ai giovani
a cura di Ignazio Pansini
edizioni la meridiana p a g i n e a l t r e
Nella prima edizione, allegato al libro, il lettore trovava il DVD “Come diventare costruttori di pace”. In questa nuova edizione rimandiamo al video disponibile su YouTube. Il video ci fu messo a disposizione da Fabio Bray che usava mostrarlo ai suoi studenti, toccando con mano l’effetto che le parole di don Tonino facevano su di loro. Il video riporta la conferenza tenuta il 16 giugno 1991 ad Einsiedeln in Svizzera, luogo di culto molto noto, meta di pellegrinaggi provenienti da tutta Europa, città mariana, abbazia benedettina. L’incontro a cui prese parte don Tonino si tenne in occasione della formazione e l’aggiornamento del Movimento Laici cattolici in Svizzera. Una perla preziosa. “Don Tonino con la sua sconcertante semplicità – scriveva Fabio Bray nella postfazione alla prima edizione – esortando calorosamente i giovani ad amare la vita nelle sue molteplici espressioni, senza lasciarsi affliggere ed influenzare da quei soggetti che hanno smarrito i sogni e la speranza, disarma soprattutto noi adulti educatori”.
bit.ly/costruttori_di_pace “Come diventare costruttori di pace” Intervento di don Tonino Bello (16 giugno 1991)
2009 © edizioni la meridiana 2019 © edizioni la meridiana - 2 edizione Via Sergio Fontana 10/C- 70056 Molfetta (BA) - tel. 080/3971945 www.lameridiana.it info@lameridiana.it ISBN 978-88-6153-744-6
Indice
Introduzione ............................................................. 7 Fare luce, non scintille ............................................ 9 GesĂš Signore ci riconcilia con gli ultimi ............... 23 Uniti nella gioia ..................................................... 39
Introduzione
I giovani, soprattutto i giovani. Don Tonino innanzitutto li amava. Amava cercarli, mescolarsi, cantare, stringere le loro mani, incrociare i loro sguardi, ascoltare le loro incertezze, accogliere le loro paure. E liberare i loro sogni. Sprigionare le loro energie. Sapeva che per placare la loro fame di vita bisogna offrire pane, utopia e verità, coerenza, autenticità e testimonianza. Sapeva che per attivare il dialogo era necessario essere prima ancora che dire, esporsi come persona non come maschera del proprio ruolo sociale, rischiare piuttosto che controllare. Insieme ai giovani alla ricerca del senso. Amava andarci così, a bruciapelo, senza alcuna protezione, nemmeno quella offerta dalle parole consolidate della scrittura o della dottrina. Nel dialogo profondo il valore di verità è da ricercare insieme. Solo così il dialogo si trasforma in relazione educativa, si muta in uno scambio che trasforma le persone, le matura, le arricchisce, le fa crescere. Don Tonino, in questo senso, è stato uno straordinario educatore. Come tutti gli educatori ha amato i giovani per quello che potevano diventare non per quello che erano, suscitando un incontenibile bisogno di tirare fuori la parte migliore di se stessi. Ha amato i giovani perché amava la vita. Alcuni dei numerosi interventi tenuti da don Tonino con i giovani in circostanze diverse, sono ora, per la prima volta, raccolti in queste pagine, a testimonianza di questo duplice amore. Tre interventi da leggere e uno da ascoltare e guardare per tornare ad essere audaci. 7
Fare luce, non scintille*
Ogni volta che mi trovo davanti ad un’assemblea come questa, io mi pongo sempre il problema: ma questi ragazzi di che cosa hanno bisogno? Delle mie prediche? Oppure hanno bisogno che io, insieme con loro, mi metta a scrutare l’orizzonte per vedere se spunta l’aurora? Ah! Già qualcuno sta pensando: “È caduto ormai irrimediabilmente nella retorica”. No, no. Spero di non fare questo. Vi dico soltanto che io, quanto più tempo passa, più mi accorgo che le parole, sulle nostre labbra, diventano sterili se non sono accompagnate anche dalla visualizzazione. L’audio non ha più senso, per noi, se non c’è un video. Un video che dia credibilità ai nostri gesti, alle nostre scelte, ai nostri silenzi, alle nostre sofferenze. Non si capisce più niente. I preti adoperano una loro terminologia, i politici un’altra, i sindacalisti un’altra, i tecnici un’altra. C’era un dibattito tra Nuccio Fava, che è un commentatore politico che voi conoscete – l’avete visto alla televisione tante volte – e, – questo sì lo conoscete ancora di più – Nando Martellini, il telecronista sportivo. Nuccio Fava diceva: “Io non riesco a capire perché mai la gente non riesca a comprendere bene certi linguaggi che adoperiamo quando parliamo di equilibri più avanzati. Eppure si adoperano ogni giorno. Sulle *
Incontro con i giovani del Liceo Scientifico di Altamura (09/04/86).
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Antonio Bello
prime pagine dei giornali ci saranno perlomeno dieci righe dedicate agli equilibri più avanzati. E la gente non capisce. Io vorrei chiederlo all’uomo della strada se sa cos’è un equilibrio più avanzato. Invece voi, cronisti sportivi, parlate di cross, di dribbling, parlate di corner, di offside – eppure sono vocaboli inglesi, stranieri perlomeno – e la gente comprende”. Nando Martellini ha detto: “Sì, va bene. La differenza è questa. Che gli equilibri più avanzati, se io vado a Montecitorio, non li posso riprendere con la telecamera. Oppure se vado a Palazzo Madama non posso riprendere santuari di pietra. I santuari si costruiscono nel cuore – ne farei uno alla Madonna della Paura, alla Vergine della Paura. Perché penso che pure Lei (come me, come te, come tutti voi) ha avuto nel cuore tanta paura. La paura del domani. Anche Lei si è chiesta: che senso ha la vita?”. La vita, la vostra vita, che senso ha? Heidegger dice che è un precipitare giù. L’uomo è un essere per la morte. Siamo destinati alla morte. È un precipitare giù. Ma per noi è un andare verso. C’è un senso. C’è un disegno. Non vi fate prendere da certe mode culturali, quelle lì del catastrofismo, come oggi vengono chiamate. Quelle della civiltà – credo che voi queste cose le afferriate anche dalla stampa vostra, di giovani – rizomatica. Rizoma, sapete che cos’è? Ho visto tante riproduzioni nell’aula di scienze, tanti disegni bellissimi che avete fatto. Rizoma è una specie di tubero contorto, una specie di radice che sta sottoterra, dalle configurazioni impensate, che non ha né fusto né radichette giù. Che significa civiltà rizomatica? 10
Ci vuole audacia
Come dicono questi filosofi, noi oggi siamo proprio come dei rizoma. Non abbiamo più radici nel passato e non abbiamo più uno stelo che indichi una verticalità. Viviamo così. La vita, la trama è una tela con tanti buchi. C’è uno iato. Tra tutte le esperienze degli uomini c’è una discrasia. Non c’è una tela, una trama, un filone conduttore. Non vi lasciate prendere da queste mode culturali. Anche perché oggi sta venendo fuori tutto un modo di pensare la vita, in termini diversi. La vita è interpretata come etica del volto. La vita ha un senso profondo. Io vi dovrei incoraggiare a scoprire non tanto gli scopi penultimi della vostra vita, quanto gli scopi ultimi; quanto le proiezioni ultime, quelle che stanno lì in fondo. Questi sono i temi generatori che voi dovete fabbricare anche nelle vostre elaborazioni culturali, nei vostri dialoghi, anche nel vostro rapporto educativo con i vostri docenti, con i vostri insegnanti. Oggi sono andato a vedere le aule vostre. L’aula dove ci sono le apparecchiature, il gabinetto di lingue, e poi il gabinetto scientifico. Noi quando mai, nel passato, abbiamo avuto tanta disponibilità di mezzi? Eppure oggi c’è questa insoddisfazione di fondo. C’è questa amarezza che a volte si dipinge sul volto della gente, anche dei giovani. C’è questa incertezza del futuro. C’è questa paura nel cuore. C’è l’esperienza della finitudine che voi fate ogni momento, che cioè le cose più belle debbano finire. Che finisca quell’amicizia, che finisca la vita di un vostro caro, che finisca la gioia che state provando attualmente in famiglia per un avvenimento, che finisca anche questo fremito di cose che vi tengono impegnati. C’è l’esperienza della finitudine. Che finisca anche la vostra salute, che finisca la vostra giovinezza. 11
Gesù Signore ci riconcilia con gli ultimi*
Sono stato invitato a parlarvi sul tema: “Gesù Signore ci riconcilia con gli ultimi”, ma sin da quando mi è stato affidato questo tema, a me è venuto in mente di fare un colpo di mano. Ho pensato che avrei potuto spostare i termini della conversazione, ed invece che parlare di “Gesù Signore ci riconcilia con gli ultimi”, parlare di questo tema: “Gli ultimi ci riconciliano con Gesù Signore”. E ad incoraggiarmi in questo colpo di mano è stato anche il pensare che avrei dovuto parlare a dei carismatici, abituati ai colpi di vento dello Spirito, il quale si diverte con quelli che ama. Non so se io ho spostato i termini della conversazione sotto l’urto dello Spirito. So soltanto una cosa: che troverò comprensione in voi, che a questi rovesciamenti siete abituati. Comunque il tema, o lo affrontiamo per dritto – come me lo avete dettato voi – o lo affrontiamo di traverso – come intendo proporvelo io –, richiede assolutamente la spiegazione terminologica di un vocabolo: la parola “ultimi”. Perché si parla di ultimi? Perché a parlare di poveri si corre il rischio che qualcuno ti dica: “Oggi di poveri non ce ne sono più. Oggi stiamo tutti bene”. *
Incontro con il Movimento Carismatico 1985.
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Antonio Bello
Si parla di ultimi. Si parla di ultimi perché? Perché gli ultimi ci sono sempre. Vedete, in questo momento, mentre noi stiamo parlando, si stanno concludendo i campionati mondiali di ciclismo su strada, a Montello in Veneto. Arriverà qualcuno prima, arriverà Moser, Saronni. Non so. Però anche in una gara veloce, anche se vanno a 46 chilometri orari, ci saranno gli ultimi, stasera. Domenica scorsa, a quest’ora (oh, non pensate che io perda il tempo alla televisione!), nel circuito di Zandvoort c’è stata una gara di Formula Uno. Anch’essa per il campionato del mondo. Ci sono state delle macchine che sono arrivate prima, ma ci sono state anche le ultime. Pure lì le ultime. Sì, anche a 200-300 all’ora ci sono gli ultimi. Ci sono gli ultimi anche nelle gare che fanno le suore all’asilo – non loro, i bambini –, le fanno fare ai bambini. Ci sono anche lì gli ultimi. Ci sono gli ultimi anche nelle corse coi sacchi. Gli ultimi ci sono sempre. E noi, come Chiesa, dobbiamo stare con gli ultimi. Chi sono gli ultimi? Sono i poveri. Quelli di ieri e quelli di oggi. Quelli che vanno in divisa e quelli che vanno in borghese. In divisa: i poveri di ieri, quelli che hanno la livrea della povertà di sempre. Sono gli accattoni. Sono i barboni. Sono quelli che non hanno dove dormire. Sono quelli che vengono a bussare a casa tua perché vogliono qualcosa. Sono questi mentecatti che tante volte troviamo agli angoli delle nostre strade, questa gente avvilita. Gli ubriachi, le prostitute. I poveri di sempre. Questi hanno la livrea. Hanno la divisa. Te ne accorgi che sono poveri. 24
Ci vuole audacia
Ma poi ci sono i poveri nuovi, i poveri di oggi. Che vanno vestiti in borghese, con l’abito tagliato su misura dai sarti della nostra civiltà contemporanea. Che di povertà non hanno nulla. Forse hanno soltanto un piccolo segno da cui tu ti accorgi: una tristezza profonda negli occhi. Quelli che hanno il portafoglio gonfio e il cuore vuoto. Quelli che non sanno rapportarsi con nessuno. Quelli che non riescono a parlare. Quelli che vengono superati sempre. C’è tanta gente che viene superata! Quanta gente sta sul porto, vede partire tutti i bastimenti e lei rimane sempre lì. Questi sono i poveri di oggi. La gente incapace di parlare. La gente timida. La gente che ha avuto un profondo esaurimento nervoso e adesso ha paura di tutto. La gente che non trova un cane che gli dica “buongiorno, amico mio”. La gente che a Natale non riceve nessuna cartolina. I poveri di oggi sono questi che vivono una vita squallida, senza progetti, senza ideali. Che hanno tutto nella vita, hanno una macchina – la macchina della vita – che ha la carrozzeria buona, ma non sanno dove andare. Gente senza progetti. Gente senza amore. Quanta gente c’è che non sa amare! Perché la tragedia non è non essere amati, è non amare. Non essere amati, forse, ha segnato i poveri di ieri. I poveri di oggi sono quelli che non sanno amare. Ecco, questi sono gli ultimi. Come si fa a dire che la Chiesa parlando degli ultimi fa del razzismo? Non fa del razzismo. Perché – se la Chiesa deve occupare la zona degli ultimi e stare con loro, patire con loro – in quella zona lì, un giorno o l’altro, tutti passeranno. 25
Antonio Bello è stato vescovo di Molfetta e presidente nazionale di Pax Christi. La sua scelta pastorale, vissuta sull’opzione radicale degli ultimi, e il suo impegno per la promozione della pace, della nonviolenza, della giustizia e della solidarietà, lo rendono ancora oggi, dopo la sua morte, tra i più audaci profeti dei nostri giorni.
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Ci vuole audacia. La Vita che state vivendo vivetela in modo denso. Perché non tornerà più. E non abbiate paura di entusiasmarvi per le cose. Molti di voi hanno paura. Hanno paura che un giorno la Storia, il loro futuro possa ridacchiare sul loro presente. Molti hanno paura di esporsi. Per non correre il rischio di subire il contraccolpo di questa disunione tra i sogni di oggi e la realtà di domani, preferiscono non sognare. E questo significa dare le dimissioni dalla Vita. Aver paura di entusiasmarsi oggi, alla vostra età, significa suicidio. Un giorno vi scalderete alla brace divampata nella vostra giovinezza. Non abbiate paura di entusiasmarvi. C'è tantissima gente che mangia il pane bagnato col sudore della fronte dei sognatori. Ci sono tanti sognatori. Meno male che c’è questa dimensione del sogno nella vita: sporgenze utopiche a cui attaccarci. Meno male che ci sono dei pazzi da slegare, da mettere in circolazione perché vadano a parlare di grandi utopie. Quello che è pericoloso, è che le grandi utopie si raffreddino nel cuore dei giovani. Io vi voglio augurare che non abbiate a perdere la dimensione della quotidianità e del sogno. Scavate sotto il vostro lettuccio e troverete il tesoro. Non siete inutili, siete irripetibili.
125 mm
CI VUOLE AUDACIA Parole ai giovani
ISBN 978-88-6153-744-6
Euro 9,00 (I.i.)
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