Cittadini globali. Strumenti didattici per la formazione interculturale

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Maura Di Mauro

Bettina Gehrke

CITTADINI GLOBALI

Strumenti didattici per la formazione interculturale

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Maura Di Mauro

Bettina Gehrke CITTADINI GLOBALI

Strumenti didattici per la formazione interculturale

Prefazione di Diego Boerchi
Indice Prefazione di Diego Boerchi ............................... 7 Parte Prima Le IdentItà muLtIcuLturaLI oggI Comprendere e valorizzare le identità multiculturali .................................. 13 Sviluppare le competenze interculturali e di cittadinanza globale .................................. 25 Parte Seconda gLI strumentI dIdattIcI Istruzioni per l’uso: come usare gli strumenti didattici ....................................... 39 PrIme ImPressIonI 1. Prime impressioni ..................................... 43 Scheda “Identikit” .......................................... 46 2. Descrivere – Interpretare – Valutare (D.I.V.) .... 47 Box “Il modello D.I.V.” ................................... 51 Scheda “D.I.V.” ............................................... 52 3. Chiacchierare ................................................ 53 Scheda “Chiacchierare. Istruzioni” .................. 56 4. Gli altri, come mi vedono? .......................... 58 Scheda “Gli altri, come mi vedono?” 61 L’IdentItà (muLtI-)cuLturaLe 5. Mappe del mondo ........................................ 66 Scheda “Riconoscere somiglianze e differenze”.... 69 Scheda “La mia identità multiculturale” ......... 70 6. La mia e la tua identità ................................. 71 7. Identità culturale, radici e appartenenze ..... 73 Scheda “La conoscenza delle proprie radici” 75 8. Io, chi sono? ................................................. 76 Scheda “Io, chi sono?” .................................... 79 Scheda “L’albero dell’identità” 83 9. L’identità (multi-)culturale italiana .............. 85 10. Imparare la lingua per diventare cittadini del mondo .................................................. 88
tra desIderI e obIettIvI 11. Sogni .................................................................... 92 Scheda “Sogni” .............................................. 95 Scheda “Dal sogno all’obiettivo” .................... 98 12. La margherita dei desideri............................... 100 Box “La margherita dei desideri” .................. 102 Box “Il ticket dei desideri” ............................ 102 Scheda “I miei obiettivi personali e professionali” ............................................ 103 dIffIcoLtà neLL’InserImento socIaLe e LavoratIvo 13. Le difficoltà incontrate ............................. 106 Scheda “Le difficoltà di essere ‘stranieri’” ..... 108 14. L’inserimento lavorativo ........................... 110 Scheda “Il lavoro: occupazione o imprenditoria?” 113 Scheda “Imparare ad imparare” ................... 117 andare oLtre gLI ostacoLI 15. Andare oltre gli ostacoli ........................... 122 Scheda “Alcuni consigli” ............................... 125 Box “Siti utili per l’inserimento lavorativo in Italia” ....................................... 127 16. Il gioco “Feeling Italian” .......................... 128 Scheda “Il boardgame e le carte del gioco” ..................................................... 131 Scheda “Il mio piano di sviluppo individuale (PSI)” .......................................... 140 Box “Definire i propri obiettivi” ................... 142 esemPI dI PercorsI dI formazIone “Feeling Italian: Sviluppare le competenze per un’Italia più multiculturale” .......................... 145 “Progetto GRASE – Gender and Race Stereotypes Eradication in labour market access” ..................................................... 146 “Il lavoro giusto” ............................................ 147 Bibliografia ..................................................... 149

Prefazione

Diversi anni fa, mentre andavo a fare lezione a Brescia, incrociai un gruppo di studenti all’uscita da scuola. Tra questi c’era un ragazzo di colore e fui sorpreso dal sentirlo parlare con un incredibile accento bresciano. Non me l’aspettavo e trovai la cosa assai divertente.

Negli anni successivi situazioni di questo tipo mi capitarono sempre più spesso. E oggi, sentire una persona di origine straniera parlare in bresciano, romano o napoletano non mi sorprende più. Ad ogni modo fu quella prima occasione che mi creò stupore e che mi diede l’opportunità di iniziare ad interrogarmi su cosa significhi “essere” italiani.

A distanza di qualche anno da quell’evento fui coinvolto, in qualità di docente esperto di orientamento, in un progetto rivolto a studenti con background migratorio. L’obiettivo del progetto era quello di contrastare il fenomeno della “canalizzazione formativa” nella scelta della scuola secondaria di secondo grado, che vede gli studenti che provengono da una famiglia di origine straniera scegliere molto più spesso un istituto professionale, e molto più raramente un liceo, rispetto a quanto facciano gli studenti autoctoni. Chi progettò la sperimentazione decise di proporre la partecipazione agli studenti “stranieri” di diversi istituti di primo grado.

Con “studenti stranieri” intendevano “studenti non in possesso della cittadinanza italiana”. La quasi totalità degli studenti a cui era stato proposto il progetto aderì all’iniziativa ritenendo l’intervento di orientamento potenzialmente molto utile per sé. Tuttavia, molti di quei giovani sottolinearono che non si sentivano “stranieri”. Nella maggior parte dei casi erano nati in Italia; parlavano l’italiano come i propri compagni di classe, di cui, oltre alla lingua, condividevano usi e costumi. Fu quella occasione che mi diede l’opportunità di iniziare ad interrogarmi su cosa significhi “sentirsi” italiani. È la cittadinanza a determinare il nostro vissuto rispetto alla nostra identità e al nostro senso di appartenenza, o forse il sentirsi parte di una comunità o di un popolo va oltre il possedere o meno un documento che certifichi la nostra cittadinanza e di conseguenza il possedere dei diritti in quanto cittadini di una nazione? Anche se, certo, i diritti – così come i doveri – in quanto cittadini sono innegabilmente importanti. Questo progetto aveva messo in me in discussione il fatto che esista un’unica percezione o un unico insieme di vissuti e di modi di intendere e di sentire l’identità nazionale. Così come il fatto che la salienza degli elementi dell’identità che noi del progetto attribuivamo ai partecipanti che avevamo selezionato non si sovrapponevano necessariamente con la salienza degli elementi dell’identità che erano invece importanti per i nostri partecipanti.

A seguito dei due eventi appena descritti, ci sono state altre occasioni che mi hanno fatto interrogare sul concetto di identità e, in particolare, di identità culturale.

Come probabilmente molti dei lettori di questo libro, amo viaggiare, visitare posti mai visti, conoscere culture diverse, sentire e parlare nuove lingue, provare cibi e cucine a cui non sono abituato. E per lavoro mi capita spesso di confrontarmi e collaborare con persone di altri paesi e di altre culture. All’inizio non ci facevo caso, ma un po’ alla volta mi sono accorto di essere conside-

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rato dai miei colleghi internazionali “italiano”, con i suoi pro e i suoi contro.

Tra i colleghi “stranieri” c’è sempre qualcuno che manifesta meraviglia e interesse particolare per l’Italia, per la nostra storia e la nostra cultura (compresa, ovviamente, la cultura culinaria), chi ama sentirmi parlare in inglese o spagnolo con la tipica inflessione italiana. Ma anche chi si prepara al peggio, aspettandosi in alcune occasioni, da me in quanto italiano, comportamenti poco rispettosi degli usi e dei costumi locali (all’estero); talvolta attendendosi da me, in quanto italiano, comportamenti fuori luogo.

In queste occasioni, oltre ad interrogarmi su cosa si intenda per identità italiana (se realmente esiste), mi interrogo su quanto “mi piaccia” o meno essere etichettato come italiano e, di conseguenza, “sentirmi italiano” così come percepito o come si attendono gli altri (ad esempio i miei colleghi stranieri).

Pur vivendo in Italia, dove sono nato da genitori italiani, sento sempre di più la necessità di confrontarmi con la multiculturalità e mi accorgo come questo mi spinga a riflettere sulla mia identità culturale: mi sento italiano? Quanto è importante per me l’italianità? È solo l’italianità a determinare la mia identità o ci sono altre variabili o altre dimensioni della mia identità per me altrettanto, se non più, importanti? La mia identità professionale, ad esempio, a cui ho accennato sopra, o il mio essere viaggiatore ed esploratore?

Non c’è dubbio che ogni volta che mi relaziono con una persona di un’altra cultura ho ora la consapevolezza che entrambi, perlomeno nelle prime interazioni, faremo appello soprattutto ai nostri stereotipi, se non ai nostri pregiudizi etnici, per decidere cosa dire o cosa fare, così come cosa non dire e cosa non fare. Ma ho anche la consapevolezza che, superati i primi momenti, con molta probabilità cercheremo di scoprire ciò che ci accomuna, così da rendere possibile la comunicazione tra di noi.

Poter disporre di una lingua comune diventa fondamentale; così come sembra un “sintomo” di una mancata volontà di entrare in relazione con le persone e la loro cultura la scelta di quelle persone che hanno deciso di non impegnarsi ad apprendere una lingua, locale o una “seconda lingua”, sia in chi ha deciso di trasferirsi in un altro paese e risiedervi per un certo periodo di tempo, sia, d’altro canto, in chi lavora costantemente in contesti multiculturali.

Quando scrivo articoli scientifici in inglese, mi accorgo a volte della difficoltà di rendere in un’altra lingua un pensiero, più spesso una sfumatura, che in italiano comunicherei molto facilmente. Dietro ad espressioni quali “Come te lo posso spiegare?” o “Non trovo le parole” è nascosto non solo il desiderio di comunicare un concetto o un’emozione, ma anche il bisogno di farlo in modo tale da veder compresa la propria prospettiva nel rispetto di quella dell’altro. L’altro può infatti comprendere la mia prospettiva solo nella misura in cui sono in grado di adeguare la mia comunicazione al suo modo di pensare e di sentire.

La lingua, e con essa altri linguaggi, come quello del corpo, ad esempio, non ci serve solo per spiegare concetti: comunichiamo anche emozioni, desideri; e grazie alla lingua costruiamo relazioni. Alla nostra nascita abbiamo già alcune funzioni che ci permettono di entrare in contatto con il resto degli esseri umani a partire da chi si prende cura di noi nei primi istanti della nostra vita. Al contrario, però, non nasciamo con la capacità di confrontarci con culture diverse, perché la cultura non è frutto di una evoluzione filogenetica, ma un processo che si assorbe e la si costruisce nel viverla, nel tramandarla (o nell’alterarla) di generazione in generazione.

In generale, gestire e costruire relazioni non è cosa semplice. Ma ancora meno semplice è gestire e costruire relazioni tra persone che hanno culture diverse. La capacità di confrontarsi con chi ha una cultura diversa dalla propria, ancora

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troppo spesso, infatti, non viene insegnata. E fino a pochi anni fa, la capacità di gestire relazioni interculturali era una capacità utile solo a coloro i quali viaggiavano molto, missionari, diplomatici o chi lavorava in contesti aziendali multinazionali. Tutt’oggi, nonostante i contesti sempre più multiculturali e globali in cui viviamo, la maggior parte delle persone è “analfabeta dell’interculturalità”. E così, come quando iniziamo a studiare una nuova lingua, apprendere le capacità interculturali è come iniziare un viaggio senza fine: saremo sempre posti di fronte a nuove sfide che saremo in grado di affrontare solo nella misura in cui riconosceremo nelle capacità linguistiche e interculturali un’utilità.

Cittadini globali è un viaggio: verso la consapevolezza dei meccanismi – spesso inconsci – che rendono difficile la comprensione e le relazioni tra persone con diverso background culturale. Ma è anche un viaggio per acquisire quelle competenze necessarie per vivere oggi nelle nostre società, sempre più multiculturali e globali. Cittadini globali è un percorso di formazione, che può renderci più competenti nell’entrare in contatto con gli altri; tutti gli altri, perché nessuno ha una cultura che è esattamente sovrapponibile alla propria.

Cittadini globali è un’opportunità: sia per gli immigrati sia per gli italiani, per rafforzare la propria identità (multi-)culturale, e la propria cittadinanza globale, imparando a conoscere, rispettare e apprendere dalla cultura delle altre persone.

Può sembrare paradossale: ma più conosco persone di altre culture, e più imparo ad interagire con loro scoprendo somiglianze e rispettando le differenze, più mi piace sentirmi sia italiano sia globale.

Diego Boerchi1

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1. Professore Aggregato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Esperto in psicologia dell’orientamento e sviluppo di carriera.

Le Identità multiculturali oggi Parte Prima

Comprendere e valorizzare le identità multiculturali

in luce un paese con dei cambiamenti demografici strutturali in atto. La popolazione italiana si compone oggi, infatti, di circa 59 milioni di residenti, di cui 5,2 milioni sono residenti con cittadinanza straniera (l’8,8% della popolazione locale): 1,3 milioni sono di origine comunitaria (il 90% di nazionalità rumena) e un po’ meno di 3 milioni sono di origine extra-comunitaria, provenendo soprattutto da paesi del Sud-Est asiatico, dall’Africa occidentale, oppure da un paese dell’Europa dell’Est, dall’area balcanica o dall’America Latina1.

Italia, società multiculturale

L’Italia di oggi è un’Italia sempre più multiculturale e globale. Ce lo dicono i dati sulla demografia italiana, così come quelli sulle mobilità internazionali. Ce lo dice il nostro sguardo ogni volta che camminando per le strade delle grandi città o dei più piccoli centri urbani incontriamo persone con caratteristiche somatiche diverse da quelle caucasiche o dalla pelle dei più variegati colori. O, ogniqualvolta osserviamo come la presenza di persone con diversi usi e costumi abbia modificato le insegne e le offerte dei negozi o della ristorazione sul territorio. Ce lo ricordano le nostre orecchie, ogniqualvolta ascoltiamo suoni emessi in lingue poco familiari. Ce lo ricordano anche le moderne forme di comunicazione e di lavoro che, attraverso le nuove tecnologie, ci consentono di connetterci e di interagire in uno spazio virtuale e globale.

La fotografia dell’Italia che i dati statistici ci offrono rispetto alla popolazione residente, mette

Mentre la popolazione italiana subisce una costante contrazione, la popolazione residente di origine straniera è in progressivo lento aumento, in quanto titolare di un permesso di soggiorno o in quanto ha acquisito la cittadinanza italiana (132 mila persone, +2,6% tra il 2020-2021). Tra il 2011 e il 2020 oltre 1 milione e 250 mila persone di origine straniera hanno ottenuto la cittadinanza italiana. Il 1° gennaio 2021 i “nuovi cittadini” per acquisizione della cittadinanza residenti in Italia sono circa 1 milione e 600 mila.

La composizione delle nuove famiglie, sempre più multietnica e multiculturale, rappresenta un esempio di come le identità siano molto più fluide e sfaccettate rispetto a quanto la maggior parte delle persone possa immaginare2. Anche se a ben vedere, i processi di creolizzazione o di fusione tra diverse origini etniche e tradizioni culturali sono una caratteristica distintiva della maggior parte della storia d’Italia. Nel periodo 2014-2019 le famiglie multiculturali sono aumentate del 3,6%. Dei circa 97 mila matrimoni celebrati nel 2020, il 15% è stato un matrimonio misto, in cui almeno uno dei due coniugi non è nato in Italia. Prevale la tipologia sposo italianosposa straniera in quasi il 76% dei casi; a seguire i matrimoni in cui entrambi i partner sono stranieri; più spesso hanno anche le stesse origini3.

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1. ISTAT, 2022. 2. Gehrke, 2021. 3. IDOS, 2022.

All’inizio del 2020 sono oltre un milione e mezzo gli stranieri minorenni residenti in Italia; il 76% è nato in Italia; ma la maggior parte non ha la cittadinanza italiana. Cresce anche il numero delle scuole in cui oltre il 30% degli alunni hanno origine immigrata. Ma il 65,4% degli alunni con cittadinanza non italiana è nato in Italia e nella scuola dell’infanzia questa percentuale sale all’82%4. In Italia, infatti, la cittadinanza la si può acquisire per trasmissione da almeno uno dei due genitori, oppure la si può richiedere al compimento del diciottesimo anno di età, a condizione di aver risieduto ininterrottamente sul territorio.

Nonostante i numeri dell’immigrazione, a causa del basso tasso di natalità delle donne italiane (1,2 figli per donna: 1,17 per le donne italiane e 1,89 per le donne straniere; tra i più bassi al mondo) e dell’innalzamento del tasso di vita media che coinvolge intensamente la popolazione in processi di invecchiamento, l’immigrazione non riesce a compensare la costante contrazione – a causa di morte o di migrazione all’estero –dei residenti con cittadinanza italiana.

Migranti e lavoro

Degli 8,3 milioni di residenti in Italia con cittadinanza straniera ne risultano occupati circa 2,3 milioni; rappresentano il 55% circa degli aventi l’età per lavorare e il 10% circa del totale degli occupati di tutto il paese. Se si considerano invece tutti i cittadini residenti in Italia ma nati all’estero, ha un lavoro dipendente l’87%. Il tasso di occupazione risulta essere particolarmente elevato soprattutto per quelle comunità che registrano un’elevata partecipazione delle donne nel mercato del lavoro: quella filippina, moldava, peruviana, ucraina, cinese e srilankese.

Risulta invece molto basso all’interno di quelle comunità in cui i tassi di disoccupazione e di inattività della componente femminile sono molto alti: quella marocchina, albanese, pakistana, indiana, tunisina e ghanese. Similmente a quanto avveniva negli anni Sessanta-Settanta nei paesi di immigrazione del NordEuropa, la maggior parte delle persone migranti che arriva e soggiorna in Italia oggi si caratterizza per un livello medio-basso di scolarità e di esperienza professionale (low skills/qualification). Il grado di istruzione delle persone con cittadinanza straniera nel nostro paese è di gran lunga inferiore al grado di istruzione dei cittadini italiani; anche se nell’ultimo anno si è registrato un lieve miglioramento. Circa il 54% possiede solo la licenza media (vs. il 38,2% degli italiani), il 36,2% possiede un diploma di scuola superiore (vs. il 43,1% dei nati in Italia), il 9,9% una laurea (vs 18,7% degli italiani).

I dati sul grado di istruzione si riflettono nei dati sulla partecipazione al mercato del lavoro. Le collocazioni lavorative più frequenti sono infatti nella maggior parte dei casi in settori e mansioni poco attrattive per la popolazione locale, in quanto richiedono un basso livello di qualifica professionale, sono usuranti e non particolarmente ben retribuite, più esposte all’instabilità o con meno garanzie: nei servizi, collettivi e alle persone, nel settore agricolo, in quello delle costruzioni, nel settore alberghiero e della ristorazione, nel manifatturiero e nel commercio5. Più del 40% degli uomini è inserito nel settore nell’industria o dell’edilizia; mentre circa il 40% delle donne è inserito nel settore dei servizi domestici o della cura. Tra i rapporti di lavoro dipendente, il 77% rimane concentrato tra le figure operaie e tra le qualifiche medio basse. Meno dell’8% degli immigrati ha un lavoro qualificato e circa un terzo è sovra istruito rispetto alle mansioni che svolge.

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5. IDOS, 2022. 4. ISMU, 2022.

Parallelamente all’occupazione dipendente si registra un modello di autopromozione e di valorizzazione di sé e delle proprie competenze da parte degli immigrati attraverso la costituzione di forme di imprese autonome. Sono infatti circa 650 mila le imprese a conduzione di persone nate all’estero (le cosiddette imprese “immigrate” o “straniere”), composte da liberi professionisti o titolari di impresa. Rappresentano quasi l’11% del totale delle attività indipendenti del Paese e sono in progressiva crescita rispetto agli anni precedenti. Si concentrano nel settore del commercio (56,4%); un quarto è a conduzione femminile6.

L’etnicizzazione del lavoro

All’interno del mercato del lavoro si riscontra una concentrazione dei diversi gruppi nazionali o delle diverse comunità etniche in specifici settori e ruoli professionali; e, soprattutto, in quei settori produttivi che più soffrono di una sistematica carenza di manodopera locale. Vi è ad esempio una marcata presenza delle lavoratrici dell’est Europa, delle Filippine e del Perù nel lavoro domestico e nell’assistenza alle persone; di dipendenti provenienti dall’India, Ghana, Tunisia, Marocco e Pakistan nell’agricoltura; di dipendenti rumeni e albanesi nell’edilizia; di cinesi nell’industria, soprattutto tessile; di egiziani e di bengalesi nel commercio e nella ristorazione.

L’etnicizzazione di alcune professioni o attività lavorative è un fenomeno di “segregazione lavorativa” piuttosto diffuso, non solo in Italia. Da un lato è dovuto alla carenza di manodopera (labour shortage) in settori e ruoli professionali del mercato del lavoro locale e alla conseguente sovra rappresentazione della forza lavoro migrante in questi stessi settori. Dall’altro è un fenomeno “naturale” dovuto alle dinamiche di tam tam o di passaparola tra i membri delle stesse comuni-

tà etniche culturali che si girano le informazioni rispetto alla ricerca o alla disponibilità in una determinata azienda o in un determinato settore. Talvolta sono le stesse aziende a fidarsi dell’operazione di intermediazione socio-culturale svolta a livello “informale” da parte di alcuni dei propri dipendenti, che, naturalmente, attivano processi di tam tam all’interno della propria rete o della propria comunità. Oppure, in alcuni casi, gioca un ruolo la necessità da parte dell’azienda di selezionare persone appartenenti allo stesso gruppo linguistico-culturale del personale già assunto e stabilizzato, al fine di facilitare, nei nuovi assunti, la comprensione linguistica e culturale e il rispetto delle norme legate alla sicurezza e la necessità di ridurre il rischio di incidenti sul lavoro7

Tali fenomeni, se da un lato facilitano l’inserimento lavorativo dei migranti, dall’altro concorrono alla diffusione di stereotipi e di discriminazioni nelle fasi di ricerca e selezione da parte dei datori di lavoro: non è infrequente, infatti, che alcuni datori di lavoro cerchino persone appartenenti ad un determinato gruppo etnico-culturale in quanto “specializzati” per quelle attività lavorative o per quella mansione. In realtà, a creare la “specializzazione” è la rete o il passaparola che si crea tra le persone immigrate neo-arrivate e quelle stabilizzate da un po’ di tempo.

La fragilità del lavoro

Dopo il forte calo dell’occupazione registrato nel 2020 a causa del Covid, nel 2021 l’occupazione delle persone con background migratorio registra un’inversione di tendenza: dopo anni in cui il livello occupazionale degli stranieri è stato sempre un po’ più alto rispetto al livello occupazionale degli autoctoni, per due anni consecutivi il tasso di occupazione degli immigrati risulta più basso di quello degli autoctoni (61,4% vs. 62,9%)8.

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7. Di Mauro, 2021. 8. ISMU, 2022. 6. Ibidem.

Nel 2021 il tasso di disoccupazione dei residenti con cittadinanza non italiana è del 14,4% (vs . il 9% il tasso di disoccupazione degli italiani); il tasso di inattività è del 32,4%, inferiore rispetto a quello degli autoctoni (35,9%), con differenze più marcate nel Mezzogiorno9. Anche tra i NEET (Not Engaged in Education, Employment or Training), di cui l’Italia detiene il triste primato a livello europeo, si osserva una sovra rappresentazione dei giovani – e soprattutto delle giovani – con cittadinanza non italiana: sono quasi 300 mila i NEET stranieri. In questo gruppo pesa soprattutto la componente femminile appartenente a quei gruppi etnico-culturali in cui le donne, per tradizione, si dedicano esclusivamente alle attività di cura all’interno dell’ambiente domestico e familiare; in primis il Bangladesh, l’Egitto, il Marocco o il Pakistan10. Spesso sono arrivate in Italia a seguito della regolarizzazione del permesso di soggiorno lavorativo da parte del marito e dei ricongiungimenti familiari. Hanno una bassa conoscenza della lingua locale, un basso livello di istruzione e di qualifica professionale oppure, nel caso delle seconde generazioni, un alto tasso di abbandono scolastico. Un ulteriore dato che mette in luce le caratteristiche di fragilità e il maggiore rischio di esclusione sociale dei migranti nel nostro Paese è quello relativo alle povertà. In Italia, infatti, uno straniero su tre – sia a livello individuale, sia a livello familiare – è in condizioni di povertà assoluta. Inoltre, difficilmente può accedere a misure di welfare o di sostegno al reddito – ad esempio il Reddito di cittadinanza – in quanto, tra i criteri di accesso vi è la necessità di risiedere nel nostro Paese da almeno 10 anni.

Oltre il “soffitto di tela”

I dati su migranti e lavoro rendono evidenti fenomeni di segregazione e di ancora più basso dinamismo della forza lavoro straniera rispetto a quella autoctona. L’occupazione delle persone straniere nel nostro paese avviene per lo più in un mercato del lavoro “secondario”, caratterizzato da lavori manuali, per lo più a bassa qualifica e in funzioni operaie. E tale situazione occupazionale difficilmente muta con l’aumentare del numero degli anni di permanenza in Italia o con l’anzianità; e muta solo parzialmente con l’acquisizione di un titolo di studio: infatti, quasi il 18% dei laureati stranieri (vs. 0,8% degli italiani) svolge una professione a bassa specializzazione e quasi il 14% (vs. 1,4% degli italiani) una professione operaia11.

Un fenomeno, quello che coinvolge la maggior parte dei migranti denominato “soffitto di tela” (o “canvas ceiling”, un fenomeno molto simile a quello del “soffitto di vetro” che coinvolge le donne), per cui quel gruppo di persone residente a livello locale ma nato all’estero rischia di entrare e di rimanere intrappolato negli strati più bassi della struttura occupazionale a causa della bassa mobilità sociale. Tale penalizzazione, che coinvolge anche quella componente di lavoratori con alta qualifica e con laurea, causa un utilizzo parziale delle competenze dei lavoratori stranieri; uno spreco del potenziale di innovazione che tali persone possono apportare ed un conseguente brain waste12 .

Il “soffitto di tela” si riferisce alle sfide sistemiche e multilivello all’interno del sistema paese che ostacolano la sostanziale parità nell’accesso alle opportunità occupazionali, all’inclusione lavorativa e agli avanzamenti di carriera13. Le cause sono rintracciabili a livello:

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11. IDOS, 2022. 12. Ibidem 13. Lee et al., 2020. 9. IDOS, 2022. 10. Caritas, Migrantes, 2022.

a) individuale: ad esempio nella mancanza di conoscenze del sistema paese, nella mancanza di conoscenza della lingua locale, nella mancanza di reti sociali, o in altri ostacoli di tipo psico-sociale quali, ad esempio, il senso di impotenza appreso o pregiudizi interiorizzati;

b) organizzativo: ad esempio le discriminazioni dirette ed indirette causate dagli unconscious bias o dai pregiudizi che agiscono a livello individuale e organizzativo nei processi di recruitment e di selezione sfavorendo le persone con background migratorio;

c) istituzionale: ad esempio le norme restrittive sul rilascio dei permessi di soggiorno o sull’acquisizione di cittadinanza, la mancanza di riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche acquisite nei paesi di provenienza14

Per superare il “soffitto di tela” occorre intervenire con azioni sistemiche e su tutti i livelli. Ad esempio a livello individuale attivando servizi dedicati alla ricerca attiva del lavoro, servizi di orientamento e di accompagnamento all’inserimento lavorativo per migranti (di career counseling) o di formazione e sviluppo di competenze specifiche; a livello organizzativo attraverso strategie e misure di Diversity, Equality & Inclusion (DEI) per facilitare l’inclusione lavorativa e la valorizzazione delle competenze dei migranti; a livello istituzionale favorendo il matching tra la domanda di lavoro del mercato e l’offerta di lavoro “migrante” al fine di ridurre i periodi di disoccupazione e di inattività. Le attività e gli strumenti di formazione presenti all’interno di questa pubblicazione possono essere usati sia con persone con background migratorio, sia con gli operatori dei servizi o con chi si occupa di recruitment e selezione, soprattutto per intervenire a livello individuale e a livello organizzativo.

La necessità di orientamento e di accompagnamento all’inserimento lavorativo è un bisogno rilevato di recente anche dall’UNICEF attraverso il

sondaggio U-Report on the Move, da cui è emerso che oltre l’85% dei giovani con background migratorio richiede: più informazioni sull’orientamento professionale in un Paese diverso da quello di origine, strumenti utili per cercare lavoro, contatti a cui rivolgersi in caso di bisogno, informazioni sui diritti dei lavoratori. Non è infrequente, infatti, che soprattutto quei migranti che arrivano attraverso vie illegali, stentino a comprendere i meccanismi e i percorsi per un inserimento lavorativo regolare. Inoltre, insieme allo spaesamento dovuto al percorso traumatico del viaggio e allo shock interculturale all’arrivo, molti migranti hanno spesso poco chiari i propri obiettivi lavorativi o di sviluppo professionale; prevale in loro una visione di breve termine, orientata al guadagno immediato e all’urgenza della sopravvivenza, ma senza prospettive progettuali di crescita o di investimento sulla propria ri-qualificazione professionale. A queste difficoltà si aggiungono, spesso, la scarsa conoscenza della lingua locale, la mancanza di consapevolezza rispetto alle skill possedute, alle skill necessarie per un determinato ruolo o a quelle da aggiornare perché non adeguate o obsolete; un’eccessiva adattabilità al mercato del lavoro che induce ad accettare anche situazioni di lavoro non regolarizzate15.

Facilitare l’inserimento lavorativo e al tempo stesso l’inserimento sociale dei migranti è un’attività professionale che si realizza all’interno di processi relazionali intrinsecamente interculturali. Il possesso di competenze interculturali da parte degli operatori o dei consulenti che svolgono l’attività di orientamento o dei servizi di accompagnamento all’inserimento lavorativo è uno degli elementi chiave che facilitano l’inserimento lavorativo stesso da parte dei migranti, così come i processi e le strategie comportamentali di adattamento al contesto di lavoro16.

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15. Di Mauro, 2021. 16. Roy et al., 2020.
14. Ibidem.
Gli strumenti didattici Parte Seconda

Istruzioni per l’uso: come usare gli strumenti didattici

• persone straniere appena arrivate o residenti in Italia o in altro paese di migrazione o, in generale, partecipanti con background migratorio all’interno di percorsi rivolti a facilitare o velocizzare l’inclusione lavorativa e sociale e di empowerment personale;

• studenti che vogliono approfondire o specializzarsi sui temi delle migrazioni e del multiculturalismo;

• formatori, operatori sociali o volontari che lavorano con persone con background migratorio, in percorsi di formazione progettati al fine di sviluppare la loro sensibilità e la loro capacità di gestire relazioni con persone di diverso background culturale e di conseguenza migliorare l’efficacia dei servizi erogati a beneficiari con background migratorio;

Questa raccolta di strumenti didattici è stata pensata come una cassetta degli attrezzi per tutti quei professionisti che lavorano nell’ambito della formazione interculturale, nell’erogazione di servizi rivolti all’inclusione sociale e lavorativa di persone con background migratorio e nella promozione della diversità e dell’inclusione negli ambienti educativi e di lavoro.

All’interno di questa seconda parte è possibile trovare: 17 attività didattiche, 17 schede contenenti strumenti o esercitazioni, 5 box con contenuti specifici, uno per ogni capitolo o tema di intervento. Ogni capitolo è infatti dedicato ad un tema importante per il processo di sviluppo della consapevolezza di sé e per facilitare l’inserimento sociale e lavorativo di persone con background migratorio.

Le esercitazioni e gli strumenti proposti possono essere utilizzati all’interno di percorsi e/o attività di formazione rivolte a:

• formatori, operatori sociali o studenti, italiani o stranieri, in percorsi di formazione progettati al fine di sviluppare la loro sensibilità, le loro conoscenze e competenze legate al diversity & inclusion management, così da contribuire alla costruzione di società e organizzazioni multiculturali ed inclusive.

All’interno di questa raccolta di strumenti didattici trovi:

• indicazioni su come usare il video “Feeling Italian. Citizens in a Multicultural Society” soffermandoti su ciascun singolo capitolo, e di conseguenza sui singoli temi che affronta – come stimolo per gestire attività ed esercitazioni;

• la descrizione di altre attività ed esercitazioni didattiche sviluppate da noi all’interno del percorso di formazione “Feeling Italian. Sviluppare le competenze per un’Italia più multiculturale” realizzato con giovani con background migratorio e con status di rifugiati o richiedenti asilo all’interno del progetto

“Feeling Italian”;

39 CITTADINI GLOBALI

• la descrizione di alcune attività ed esercitazioni didattiche sviluppate da alcune colleghe a partire dal libro Feeling Italian all’interno di percorsi educativi dedicati all’insegnamento della lingua e della cultura italiana e allo sviluppo di competenze interculturali;

• alcuni esempi di progettazione di corsi o di moduli in cui poter utilizzare le attività e gli strumenti didattici proposti. Gli esempi riportati nella parte finale del workbook non sono esaustivi, ma solo delle proposte intese a stimolare ulteriormente la creatività di chi le userà.

• la tipologia di partecipanti a cui proporre l’attività descritta ed eventuali domande per guidare l’attività di debriefing in considerazione della tipologia di partecipanti;

• alcuni suggerimenti rispetto alla conduzione dell’attività o in considerazione del target di partecipanti a cui si propongono le attività;

• i contenuti da trattare durante una lezione, un modulo o un percorso di formazione in cui può essere proposta l’attività descritta;

• le letture consigliate per l’approfondimento dei contenuti da trattare durante la lezione o il modulo all’interno della quale l’attività didattica può essere inserita.

Per facilitare l’utilizzo degli strumenti didattici contenuti in questa pubblicazione troverai:

• il titolo dell’attività didattica descritta;

• il titolo dell’attività didattica basata sull’utilizzo del video “Feeling Italian. Citizens in a Multicultural Society”;

• il titolo della scheda con l’esercitazione o lo strumento da poter usare per svolgere l’attività descritta o per svolgere attività didattiche ulteriori o alternative;

• il titolo del box con un breve approfondimento di contenuti;

• gli obiettivi che si possono conseguire con l’attività proposta;

• il materiale didattico necessario per svolgere l’attività;

• il tempo necessario al facilitatore per condividere le istruzioni su come svolgere l’attività, il tempo stimato per svolgerla e il debriefing in plenaria;

• le istruzioni per chi conduce l’attività proposta;

• le indicazioni su come condurre l’attività di debriefing in plenaria: come condurre la discussione di gruppo a seguito dell’esercitazione svolta e/o temi chiave da affrontare;

Ti invitiamo a sperimentare il materiale e gli strumenti didattici proposti e a condividere scrivendoci a:

feelingitalianproject@gmail.com.

Saremo felici di confrontarci, di integrare e sviluppare ulteriormente quanto fatto sino ad ora.

40 Maura Di Mauro - Bettina Gehrke

Prime impressioni

Prime impressioni

Attività individuale e di gruppo

Obiettivi

• Aumentare la consapevolezza dei partecipanti sui propri stereotipi e pregiudizi (verso i migranti, membri di determinati gruppi etnici, persone di colore, uomini e donne...).

• Aiutare a decostruire stereotipi e pregiudizi.

• Stimolare lo sviluppo di atteggiamenti etnorelativi verso la diversità (quali la sospensione di giudizi, l’apertura, la curiosità, l’empatia…) e di competenze interculturali.

Materiale didattico

• Video “Feeling Italian. Citizens in a Multicultural Society” – I PROTAGONISTI [Minuti: 00.01.09 – 00.01.59].

https://vimeo.com/ondemand/feelingitalian

In questi minuti il video fornisce un identikit e solo alcune informazioni dei quattro protagonisti.

• Scheda “Identikit”.

• Lavagna a fogli mobili.

• Pennarelloni.

• Penne.

Tempi

Istruzioni 5 min. + attività 15-25 min. + debriefing 20-30 min.

Istruzioni

• Consegnare ai partecipanti la Scheda “Identikit”.

• Proiettare la sezione del video “I protagonisti” [Minuti: 00.01.09 - 00.01.59].

• Chiedere ai partecipanti di usare la colonna di destra della Scheda “Identikit” per rispondere individualmente e/o in sottogruppo (o prima individualmente per poi confrontarsi in sottogruppo) alle seguenti domande:

– Chi sono i protagonisti del video?

Cosa ti dicono i loro nomi?

Cosa immagini della loro storia? Perché?

Cosa sai dei paesi o delle città da cui provengono?

43 CITTADINI GLOBALI
1

Debriefing in plenaria

• Facilitare la discussione e il confronto rispetto alle risposte fornite e in considerazione delle informazioni effettive che si hanno dei quattro protagonisti attraverso i pochi minuti di video proiettati; delle informazioni supposte o delle storie immaginate dei protagonisti.

• Fare domande per far riflettere sulle ragioni per cui sono state date determinate risposte.

• Far annotare sulla lavagna a fogli mobili eventuali stereotipi, per fare in modo che i partecipanti ne prendano consapevolezza e li riconoscano come tali.

• Fare domande che aiutino a decostruire eventuali stereotipi e pregiudizi emersi.

• Utilizzare il modello D.I.V. (vedi Box “Il modello D.I.V.”) per far riflettere su come le descrizioni che facciamo di persone o situazioni siano talvolta impregnate di giudizi, aspettative culturali, sguardi etnocentrici verso l’altro, a partire da “etichette” o categorie che usiamo nell’esprimerci.

• Stimolare la curiosità a cercare notizie e ad informarsi rispetto ai paesi e alle culture delle persone con background migratorio con cui si lavora.

Con persone con background migratorio

Durante l’attività di debriefing chiedere:

– Provengono dal tuo stesso paese o no?

– Quali somiglianze o differenze immagini rispetto a te e alla tua storia? Perché?

Con formatori, operatori sociali e volontari

Durante l’attività di debriefing chiedere:

– Lavori con persone simili ai protagonisti di questo video o diverse? Perché?

– Ti informi sui paesi o sullo stile di vita dei luoghi da cui provengono i beneficiari dei tuoi servizi? Come? Quali informazioni ti può essere utile avere?

Con studenti

Durante l’attività di debriefing chiedere:

– Hai in classe compagni o conosci persone che provengono dagli stessi paesi dei quattro protagonisti del video?

– Ti informi sui paesi o sullo stile di vita dei paesi da cui provengono i tuoi compagni o le persone straniere che conosci? Come? Attraverso quali canali?

Suggerimenti

• Prima di proporre questa attività è possibile invitare i partecipanti a creare il proprio identikit a partire da una propria foto o un proprio disegno; successivamente si può chiedere cos’altro di sé aggiungerebbero per descriversi.

• Può essere utile mostrare delle mappe e cercare i paesi e le città di provenienza dei protagonisti del video o dei partecipanti alle attività formative; oppure mostrare delle foto o dei brevi video dei paesi e delle città menzionate.

44 Maura Di Mauro - Bettina Gehrke

Contenuti da trattare durante una lezione o un modulo di formazione

• Stereotipi, pregiudizi, unconscious bias.

• Identità etnico-culturale, colore della pelle e tratti somatici.

• Somiglianze e differenze con altre persone.

• Unicità di ciascuna persona e delle storie individuali.

• Fenomeni e storia delle migrazioni legate ad alcuni gruppi etnici (quelli dei protagonisti del video, ma anche quelli a cui appartengono i partecipanti del corso).

• Il modello D.I.V.

• Atteggiamenti etnocentrici ed etnorelativi verso la diversità.

• Strategie per andare oltre stereotipi e pregiudizi e aprirsi alla conoscenza e allo scambio con l’altro.

45 CITTADINI GLOBALI

Scheda IDENTIKIT

• Chi è?

• Cosa ti dice il suo nome?

• Cosa immagini della sua storia? Perché?

• Cosa sai del paese o delle città da cui proviene?

• Chi è?

• Cosa ti dice il suo nome?

• Cosa immagini della sua storia? Perché?

• Cosa sai del paese o delle città da cui proviene?

• Chi è?

• Cosa ti dice il suo nome?

• Cosa immagini della sua storia? Perché?

• Cosa sai del paese o delle città da cui proviene?

• Chi è?

• Cosa ti dice il suo nome?

• Cosa immagini della sua storia? Perché?

• Cosa sai del paese o delle città da cui proviene?

46 Maura Di Mauro - Bettina Gehrke

Cosa significa “sentirsi” italiani? È la cittadinanza a determinare il vissuto rispetto alla propria identità, o il sentirsi parte di una comunità va oltre il possesso di un documento che certifichi i diritti in quanto cittadini di una nazione?

In un’Italia sempre più multiculturale e globale si fanno sempre più forti le riflessioni sul multiculturalismo e sulla convivenza in contesti caratterizzati dalla compresenza di più culture.

L’identità di ognuno di noi non è solo culturale, ma sempre multi-culturale, in quanto influenzata e contaminata dalle altre identità culturali con cui si viene in contatto. L’identità è ciò che ci distingue dagli altri, ma è anche ciò che ci fa sentire parte di una collettività. Ha a che fare con le percezioni, con le autorappresentazioni di sé e con i sentimenti associati alla partecipazione ai riti, alle tradizioni e alle interazioni in specifici contesti e situazioni culturali. Cittadini globali propone strumenti e percorsi di formazione che consentono lo sviluppo di competenze interculturali e di cittadinanza globale, competenze necessarie, oggi, per vivere e per entrare in contatto con gli altri in modo più competente. Condivide strumenti e percorsi per l’empowerment di persone con background migratorio e per la facilitazione di processi di inclusione in una società sempre più multiculturale. Cittadini globali rappresenta l’opportunità di un viaggio, per imparare a conoscere, rispettare e apprendere dalla cultura delle altre persone rafforzando la propria identità (multi)culturale e la propria cittadinanza globale; ma anche per focalizzare ed impegnarsi, in modo sostenibile, nello sviluppo di progetti personali, professionali e verso la comunità, a livello locale e/o globale.

Maura Di Mauro, formatrice e consulente interculturale, specializzata sui temi della diversità, inclusione e sostenibilità, è docente di Intercultural Management presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Sui temi dell’inclusione lavorativa dei migranti, la diversity & inclusion e le competenze interculturali e globali ha scritto diverse pubblicazioni e ha creato diversi strumenti per la formazione esperienziale.

Bettina Gehrke, professoressa di Cross-Cultural Management e Leadership Responsabile presso l’Università Bocconi, è appassionata di pedagogia interattiva e di autosviluppo; sta sviluppando metodi innovativi di insegnamento per diventare “cittadini globali” attraverso lo sviluppo delle competenze e delle abilità necessarie per assumere nuove prospettive ed immaginare nuove soluzioni per uno sviluppo globale e sostenibile.

ISBN 978-88-6153-947-1

In copertina disegno di Fabio Magnasciutti

Euro 16,50 (I.i.)

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(I.i.)
In copertina disegno di Fabio Magnasciutti

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