Paola Scalari è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista ed esercita a Venezia. Docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia e supervisore alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG Istituto di Milano e di Tecniche di conduzione del gruppo operativo nella consociata ARIELE Psicoterapia di Brescia. Nel 2001 nella 1a giornata dello psicologo è stata insignita dall’Ordine Psicologi del Veneto del primo premio per l’attività professionale svolta e, nel 2014, del riconoscimento di Eccellenza Professionale dalla città di Mestre-Venezia. Da anni è consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe di associazioni, enti ed istituzioni che operano nei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico. Ha pubblicato per le edizioni la meridiana A scuola con le emozioni (2012), Divieto di transito (2005), Adesso basta. Ascoltami! (2004), Fuggiaschi (2005), ConTatto (2008), Padri che amano troppo (2009), Mal d’Amore (2011), Il codice psicosocioeducativo (2013); Parola di bambino (2013) Fili spezzati (2a edizione, 2016), In classe con la testa (2016) e L’ascolto del Paziente (2018). ISBN 978-88-6153-761-3
Euro 18,00 (I.i.) www.lameridiana.it
9 788861 537613
P aola S calari
Conoscere il Gruppo
L’appartenenza ad un gruppo accompagna ogni essere umano dal momento della sua venuta al mondo fino alla conclusione della sua vita. Nasciamo in una famiglia, studiamo in una classe, giochiamo in una squadra, frequentiamo delle associazioni, ideiamo gruppi di lavoro, fondiamo équipe nei servizi sociali e sanitari, promuoviamo collettivi, viviamo in comunità, ci organizziamo dentro a delle istituzioni, siamo cittadini della Polis. Molto spesso però non comprendiamo come funzioni la dinamica del gruppo nel quale siamo inseriti o con il quale ci troviamo a collaborare o, ancora, che abbiamo il compito di coordinare. Le domande che spesso sorgono sul motivo che porta un gruppo, sia esso familiare, sociale, scolastico, associativo o lavorativo, a non raggiungere la sua finalità trovano allora nel testo una narrazione chiarificatrice. Il libro infatti risponde al bisogno di comprendere la struttura e la dinamica dei gruppi per poterli vivere e coordinare, costruire e far evolvere, fondare e interpretare. Il testo narra quindi, in una forma allo stesso tempo leggera e profonda, scientifica e poetica, evocativa e rigorosa come prendersi cura delle relazioni tra le persone che si riuniscono insieme. Ne rivela gli affetti, i sentimenti, i pensieri, i travagli, i sogni e le passioni. La narrazione psicoanalitica applicata a diversi ambiti gruppali porta dunque dentro a una pluralità di storie che suggeriscono come occuparci della sofferenza psichica collettiva prendendocene cura nei diversi campi dove la vita di ognuno si dispiega. Il modello psicosocioanalitico, attraverso la concezione operativa, è il filo rosso che introduce con tatto e pazienza ma anche con risolutezza e tenacia, alla conoscenza di una precisa teoria e tecnica di lavoro con i gruppi. Il gruppo operativo si dimostra una disciplina complessa e innovativa che sviluppa però un metodo dotato di un’intrinseca bellezza che vivifica il sapere, che appassiona all’apprendimento, che incrementa la creatività. Una dimensione dove bene, bello e vero si identificano. E di estetica ed etica i gruppi umani hanno oggi un grande bisogno.
Paola Scalari
Conoscere il Gruppo Spunti e appunti circolari
Paola Scalari
CONOSCERE IL GRUPPO Spunti e appunti circolari Prefazione di Rodolfo Picciulin
Indice Presentazione di Rodolfo Picciulin.............................................. 9 Parte I - Costruire contesti collettivi 1. Sedersi in cerchio .............................................................. 17 1.1 Incontri............................................................................. 17 1.2 Scenari collettivi...............................................................20 1.3 Parole chiave ....................................................................24 2. Menti al lavoro...................................................................... 27 2.1 Un’esperienza comune.....................................................27 2.2 Attacchi e fughe...............................................................30 2.3 La gestione del potere ..................................................... 33 2.4 I principi fondanti .......................................................... 35 2.5 Giochi creativi ................................................................. 39 3. La struttura dei legami..........................................................41 3.1 Contrastare il malessere..............................................41 3.2 L’istituzione malata.......................................................... 45 3.3 Identità gruppale.............................................................. 49 3.4 Dialoghi in gruppo.......................................................... 51 3.5 Il contenitore.................................................................... 55 3.6 Psicoterapia di gruppo.....................................................58 4. Relazioni multiple .................................................................63 4.1 La mente collettiva...........................................................63 4.2 Gruppalità onirica...........................................................66 4.3 Ascolto polifonico............................................................ 69 4.4 Voci dalle istituzioni........................................................77 Parte II - Insiemi intersecati. Familiare, scolastico, sociale 1. Contesti Gruppali ................................................................ 85 1.1 Chiamale emozioni.......................................................... 85 1.2 Il gruppo familiare........................................................... 91 1.3 Connessioni invisibili .....................................................98 1.4 Crescere........................................................................... 101 1.5 Tra il dire e il fare .......................................................... 107
2. Apprendere insieme.............................................................. 111 2.1 Stato dell’arte...................................................................111 2.2 Reti sfilacciate.................................................................114 2.3 Passioni dolorose ............................................................117 2.4 Architetture complesse ..................................................119 2.5 Apprendere per cambiare .............................................122 3. Situazioni circolari............................................................... 127 3.1 La rottura dei legami.....................................................127 3.2 Fantasmi spaventosi.......................................................129 3.3 Parole che curano........................................................... 133 3.4 Frammenti da ricomporre............................................. 135 3.5 Scoperte evolutive..........................................................138 3.6 Rêverie gruppale............................................................ 140 3.7 L’esperienza che crea esperienza.................................... 144 3.8 Condivisioni................................................................... 147 4. Apprendere in gruppo......................................................... 153 4.1 Pensare............................................................................. 153 4.2 Stati mentali....................................................................155 4.3 Conoscere ...................................................................... 158 4.4 Trasformazioni .............................................................. 160 4.5 Contesti .......................................................................... 163 4.6 Imparare ......................................................................... 167 Bibliografia ........................................................................... 171
Presentazione
Comprendere il gruppo Nasciamo fusi nella coppia madre e bambino dove il confine dell’uno è fuso con il confine dell’altra e dove entrambi sono immersi nel mondo paterno che è parte inscindibile di questo insieme. I tre componenti il gruppo primario formano il primo campo gruppale dove la soggettività del singolo è fusa, confusa, inglobata con quella degli altri componenti il nucleo. [...] La bellezza etica della vita sta nel permettere a chi pratica un’attività collettiva una forte e significativa esperienza di una nuova appartenenza che obbliga ad elaborare il vissuto del proprio gruppo primario [...] quindi cura nel senso che modifica, trasforma, cambia la propria modalità di dialogare con il gruppo interno. Stare in gruppo riapre il confronto con le tante voci che parlano da dentro quali echi di ogni incontro significativo.
E sicuramente scrivere queste righe di introduzione al lavoro di Paola Scalari mi rinvia ai tanti momenti vissuti insieme, al vincolo ancora vivo e che rimanda alle vicissitudini della nostra relazione. La passione per il lavoro clinico, sia esso individuale che gruppale e comunitario, e dal comune percorso formativo sviluppato attorno al pensiero psicoanalitico latino americano (Enrique Pichon-Rivière, Josè Bleger, Armando J. Bauleo, Madeleine e Willy Baranger, Leon Grimberg, Marie Langer), alla Concezione operativa di gruppo (Bauleo) e alla teoria delle relazioni oggettuali e, in particolare, al pensiero di Donald Meltzer che per più di vent’anni ha tenuto i suoi seminari e le sue supervisioni a Venezia.
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Nel testo l’autrice descrive la concezione operativa dei gruppi che costituisce la teoria fondamentale alla quale faccio riferimento quando lavoro con gli individui, con i contesti collettivi e con le istituzioni. Il lavoro clinico di matrice gruppale riguarda quindi la psicoterapia individuale, la conduzione di gruppi formativi e terapeutici siano essi formati da una coppia, da una famiglia, da un insieme di persone tra loro estranee o pure dalla Polis.
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Paola Scalari ci suggerisce, riprendendo in particolare il pensiero sviluppato da Bleger, una forma diversa di psicoanalisi volta alla promozione della salute che lo stesso autore chiama psicoanalisi applicata e la cui fondamentale caratteristica è di venire praticata al di fuori del contesto in cui opera la psicoanalisi classica, aprendo prospettive di straordinaria rilevanza non solo nel campo di intervento clinico ma della prevenzione e della psicoprofilassi, permettendo di utilizzare la psicoanalisi su scala sociale. Questo diverso approccio alla clinica pone nuovi interrogativi sulle condizioni di produzione della soggettività (come si diventa così come siamo: identità personale e professionale) e sulle condizioni di possibilità che ne permette il suo sviluppo. Essa implica una idea di soggetto che rompe con la concezione metafisica di un uomo isolato dal suo contesto, frammentato nella sua struttura (mente-corpo) e negato nella sua totalità (rete di relazioni in cui è inserito). A questo proposito Bleger ci propone la teoria degli ambiti, uno schema che tende a rappresentare l’idea dell’essere umano nella sua globalità e unitarietà. In questa ipotesi le diverse prospettive di lettura, quella soggettiva, quella gruppale, quella istituzionale, quella comunitaria, si legano tra di loro e offrono un’immagine a più dimensioni dell’essere umano e del suo sviluppo. Potrei citare un ricordo che è anche un buon esempio per illustrare quello che ho detto finora. Bauleo ci raccomandava di domandarci, di fronte alla persona che incontravamo nel nostro studio o nel nostro servizio, “di quale comunità questa persona è rappresentante, di quale realtà sociale è ambasciatrice, di quale famiglia è portavoce?”. Era un invito netto e chiaro a non ridurre tutto ad una relazione duale, al solo rapporto utente-operatore, paziente-terapeuta, o
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per chi opera in strutture educative, studente-docente. Ovvero: quanto della nostra identità (per il paziente e per noi) è solo nostra e quanto appartiene alla nostra famiglia, all’istituzione a cui apparteniamo, alla nostra comunità. Questa struttura teorica rimanda al pensiero che fu di Pichon-Rivière che fu il maestro di Bauleo. Ora Scalari con Conoscere il gruppo accompagna il lettore ad esplorarla proseguendo la ricerca che fu aperta da questi psicoanalisti argentini. L’autrice lo fa stimolandoci a confrontarci e cimentarci nel teorizzare una psicologia/psichiatria delle relazioni interpersonali capace di creare legami tra individuo e gruppo sociale e di mettere a fuoco la nozione di vincolo, struttura – questa – che ingloba soggetto e oggetto, intrapsichico e interpsichico, in continuo scambio dialettico in cui il paziente diventa emergente di una trama relazionale più ampia in cui è immerso. Pichon-Rivière definisce il gruppo un insieme di persone riunite per costanti di tempo e di spazio che si propone esplicitamente o implicitamente un compito che ne costituisce lo scopo.
Bleger parla del gruppo come un insieme di persone con un obiettivo in comune, che tentano di raggiungere operando in équipe, gran parte del lavoro di gruppo consiste, in sintesi, nell’imparare a lavorare in équipe.
Afferma altresì che in ogni gruppo è presente un tipo di relazione che è, paradossalmente, una non relazione, nel senso di una non individuazione, che si impone come sua matrice. La chiama socialità sincretica per differenziarla dalla socialità per interazione, su cui è strutturata la nostra conoscenza della psicologia di gruppo. Sappiamo che l’identità di ognuno di noi o di un gruppo sono determinate dall’integrazione che raggiunge l’io individuale o quello gruppale e che questa integrazione si fonda su una certa immobilizzazione degli stati indifferenziati della personalità o del gruppo. Ed è proprio questa stabilizzazione (depositati nel setting stabilito) che permette la dinamica gruppale centrando il lavoro
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terapeutico o pedagogico sugli aspetti più integrati della personalità e del gruppo (gruppo di lavoro). Possiamo cioè comportarci come individui in interazione nella misura in cui condividiamo una convenzione di norme che sono tacite, ma che esistono, e grazie alle quali possiamo costruire altri modelli di comportamento. Perché si possa interagire deve esserci uno sfondo condiviso. Riprendendo il testo basta non credere che sia sufficiente in una sala per un tempo stabilito e con un obiettivo predefinito per produrre progetti, idee, programmi, saperi condivisi… lavorare in gruppo comporta un processo a spirale attraversato da momenti fecondi e da impasse, da creatività e confusioni senza voler eliminare, evitare, sopprimere, soffocare nessuno di questi opposti stati d’animo. […] Ogni agglomerato di persone non diventa gruppo finché al suo interno non si struttura una specifica organizzazione. La struttura gruppale si basa su quel “lessico gruppale” che crea un particolare codice linguistico attorno al cerchio. È questo “specifico dialetto” che sostiene il passaggio dall’io al noi.
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Potrei allora aggiungere che l’autrice ci rammenta che se osserviamo un gruppo possiamo vedere una organizzazione del lavoro con determinati compiti, obiettivi, ruoli, programmi, tempi di attuazione, spazi per le discussioni e le decisioni. Nello stesso tempo appaiono molte difficoltà, esigenze, confusioni, frustrazioni, conflitti in quanto i membri presenti devono stabilire reciproche relazioni per poter portare avanti un programma di lavoro. Parlare del passaggio da gruppo a équipe significa seguire l’utilità di un processo gruppale che metta in moto lo scambio di informazioni, i legami reciproci tra i membri del gruppo, la messa in discussione e la modifica degli schemi di riferimento, la possibilità di avere uno spazio dove elaborare le ansie e le confusioni che nascono dal lavoro quotidiano. Solo il movimento, irto di difficoltà, con avanzamenti e regressioni, del processo gruppale può sostenere la costituzione di una transdisciplinarietà attraverso una rete di comunicazione e apprendimento dall’esperienza che permette il fluire costante dell’informazione e dell’affettività tra i membri dell’équipe. E solo l’elaborazione collettiva che nasce dal processo gruppale permette la creazione di un codice comune. Lavorare gruppalmente significa potenziare le conoscenze acquisite nella prassi e offrire strumenti operativi di lavoro. Ma – come
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ribadisce nel corso del lavoro l’autrice – non offrono capacità e competenze a chi non le ha. Il processo gruppale ci spinge a studiare, ad approfondire, a ricercare e non a nascondersi dietro l’alibi della sola affettività o delle carenze istituzionali. Leggendo il libro di Paola ho pensato che una volta scomparsi i nostri Maestri, la loro internalizzazione ci convoca. Le riflessioni che Scalari ci porta con questo materiale, a partire dalle diverse pratiche di lavoro nel campo terapeutico ed educativo o relative alla formazione, le immagino collegate alla necessità di confrontarsi con le loro idee, ripartendo dalle loro domande e contraddizioni e raccogliendo, in questo modo, una eredità che sta nel metodo con cui pensare e concettualizzare le osservazioni cliniche. Se il compito dà identità al gruppo, possiamo pensare a questo testo come fatto emergente che segnala i passaggi prodotti da questo confronto? E ancora. Se, come dicevamo all’inizio, il gruppo familiare è primo campo gruppale che struttura il nostro gruppo interno, il libro possiamo immaginarlo come prodotto di un processo di elaborazione che ha trasformato il gruppo primario (interno) in una sorta di équipe interna in funzionamento? Rodolfo Picciulin*
* Psicologo, psicoterapeuta.
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PARTE I
Costruire contesti collettivi
Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore. Eschilo
1. Sedersi in cerchio Tutta la mia teoria sulla salute e malattia mentale si incentra sullo studio del legame come struttura. Enrique Pichon-Rivière, Il processo gruppale, dalla psicoanalisi alla psicologia sociale
Incontri Nel mio lavoro di psicosocioanalista la concezione operativa sui gruppi costituisce la teoria fondamentale alla quale faccio riferimento quando lavoro con gli individui, con i contesti collettivi e con le istituzioni in chiave terapeutica o formativa. Il lavoro clinico di matrice analitica riguarda quindi la psicoterapia individuale e la conduzione di gruppi, siano essi formati da una coppia, da una famiglia, da un insieme di persone tra loro estranee o pure dalla Polis. Un desiderio fondamentale per me è stato, negli ultimi anni, come trasmettere questo sapere. Il testo Conoscere il Gruppo vuole essere un contributo in questa direzione. Il volume è costruito, secondo il principio base del processo di apprendimento, così come viene descritto dallo psicoanalista argentino Enrique Pichon-Rivière, con un modello a spirale dialettica. I concetti infatti tornano e ritornano ad essere affrontati, seppure ogni anello li esprima da punti di vista differenti e diversamente articolati. Non viene offerto dunque un percorso lineare, ma un pensiero a spunti, immagini, vignette cliniche, applicazioni pratiche e riflessioni teoriche sui fondamentali saperi che
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ogni individuo sviluppa nei legami con gli altri e con se stesso. Il vincolo tra diversi soggetti, nella sua componente sia manifesta che latente, connette gli esseri umani in un’area trafficata da emozioni inconsce che si manifestano attraverso il modo di agire di ognuno, così come il campo comune consente, sollecita e promuove. Il gioco emotivo tra figura e sfondo, cioè tra individuo e gruppo, è dunque al centro della mia attenzione scientifica. Oggi dare un nome a questi stati d’animo mi pare sempre più urgente visto che il tempo odierno – vissuto con frenesia – allontana drasticamente, crea scontri spaventosi, rompe i legami solidali. Tutti sono sempre più soli e più spaventati. La mancanza di sicurezza crea paura, diffidenza e rifiuto. Attualmente diventa quindi sempre più inderogabile comprendere cosa s’annidi nel narcisismo maligno che sfalda il rapporto tra familiari, colleghi, compagni, consociati, comunità. Nel mondo odierno il diffondersi del disturbo narcisistico della personalità, caratterizzato da idee grandiose e da un costante bisogno di ammirazione, infatti, sta facendo dilagare atteggiamenti di superiorità, arroganza e disprezzo. La competizione si diffonde ovunque poiché ognuno vuole essere migliore degli altri. I portatori di disturbi narcisistici sono impulsivi ed instabili e, facilmente, diventano inarrestabili attaccabrighe. L’anoressico del vivere, che non sa accettare di sottomettersi al principio di realtà rappresentato dalla dipendenza dall’altro, si infuria per ogni nonnulla diventando incapace di nutrirsi nella relazione. Esige infatti apprezzamenti e riconoscimenti senza mai apprezzare e riconoscere chi gli sta accanto. Tende allo sfruttamento degli altri stabilendo rapporti opportunistici. La sua vita affettiva, professionale e sociale è compromessa dalla reazione di coloro che, mal sopportandolo, si tengono a debita distanza per non essere contagiati. L’inconsistenza relazionale così aumenta provocandogli uno stato depressivo cronico che spesso emerge con sfuriate violente o con una prepotente aggressività passiva. Dunque sta male con se stesso perché si sente solo ed è però privo di quell’empatia che gli permetterebbe di costruire buone relazioni con parenti e colleghi. Oggi assistiamo ad un incremento esponenziale di questo stato mentale privo di passioni che si sta depositando nella mente
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collettiva tanto quanto il corpo sociale sta determinando il proliferare di soggetti disturbati da un atteggiamento di natura autoreferenziale. Ci aiutano in questa analisi autori come René Kaës e Thomas Ogden che del malessere odierno sono capaci indagatori e competenti curanti. La disumanità ci assedia e solo il metterci insieme stabilendo legami saldi, solidi e veritieri, permetterà di contrastare questo tempo connotato da invidia, rabbia, rivalità e competizione, cioè da un narcisismo mortifero. Le persone sempre più isolate divengono prive di punti di riferimento. Il sentirsi abbandonate e sole le fa arrabbiare. L’incontrollabile collera diventa ostilità verso gli altri. Il prossimo, del quale avrebbero bisogno, diviene il loro nemico. I cattivi, da cui si sentono circondate, le portano ad aggregarsi in bande delinquenziali, devianti e asociali. Donald Meltzer ha ben spiegato come la mente vada costituendo adolescenzialmente dei rapporti gerarchici che annientano la capacità di pensare. La banda contro qualcuno vince sul gruppo. La distruttività annulla la solidarietà. La mancanza di creatività svilisce la progettualità. La guerra trionfa sulla pace che però, come suggerisce lo psicosocioanalista Luigi Pagliarani, a partire dal pensiero di Franco Fornari, non è assenza di conflitto bensì il saper stare nel conflitto, seppur doloroso, per non trasformarlo in una patologia distruttiva. È infatti dall’incontro copulativo tra idee differenti che nascono nuove opportunità. È dal confronto che ha avvio ogni trasformazione. È necessario quindi fermare il bisogno di omologazione che va alimentando la distruzione dell’Altro vissuto come soggetto limitante la propria affermazione. È urgente coltivare legami esterni che rivitalizzino la vita sociale e vincoli interni che alimentino lo sviluppo della mente. Ritengo pertanto che l’attuale disagio psichico individuale e sociale si annidi attorno alla rottura dei rapporti. Mettere allora le persone in grado di contattare il proprio gruppo interno stabilendo relazioni coi contesti umani è, dal mio punto di vista, l’unica cura possibile. Il gruppo dunque è il contesto privilegiato per contrastare la rottura dei legami con se stessi, con il partner e tra le generazioni. Il collettivo è anche lo strumento per creare progetti di lavoro, interventi sociali, sanitari e scolastici che sappiano essere evolutivi.
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La conoscenza del gruppo operativo può rappresentare la strada privilegiata per umanizzare la vita personale e la realtà professionale. Imparare a stare nei gruppi diviene dunque un imperativo per poter costruire realistiche speranze di cambiamento nei rapporti familiari, lavorativi e sociali. Creare un futuro migliore allora significa sedersi in cerchio per capire e incrementare legami umani capaci di rispettare l’Alterità.
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Scenari collettivi La concezione operativa è una lente di ingrandimento attraverso la quale osservare la fatica che, oggi, coniugi, genitori, educatori, operatori, professionisti e cittadini qualsiasi affrontano quando si mettono insieme per una precisa finalità. La metodologia del gruppo operativo, quindi, può orientare teoricamente e tecnicamente mentre l’osservazione del campo analitico può arricchire la nascita di personaggi inediti che veicolano il mondo interno ed infine la co-narrazione può costruire originali nessi di senso. Nella conversazione a più voci le trame si articolano e si sviluppano in modo imprevedibile senza che nessuno possa erigersi a detentore di verità assolute. Il gruppo operativo è quindi democratico. La struttura complessa della concezione operativa si definisce attraverso la compresenza di un insieme di persone, un coordinatore e una finalità dichiarata esplicitamente che mettono in moto un compito manifesto ed uno latente. Sarà grazie alle interpretazioni dell’inconscio collettivo che gli ostacoli emotivi che si frappongono alla realizzazione del compito verranno riconosciuti e rimossi. L’interpretazione come chiarimento emotivo, la segnalazione del vissuto come analisi del punto d’urgenza della vicinanza dell’implicito e dell’esplicito e il dare nome a pensieri che non lo avevano come elaborazione degli elementi impensabili sviluppano quella trasformazione narrativa che è la sola che può curare. Essere in più co-narratori e co-pensatori è la forza del gruppo. L’osservazione del campo, l’analisi del transfert e controtransfert da parte del coordinatore offrono perciò nomi, narrazioni, evoluzioni ai vissuti emotivi che emergono attraverso il discorso gruppale. Questo atteggiamento aiuta la creazione del gruppo come contenitore del vissuto dei membri che lo frequentano. Ognuno, sen-
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tendosi appartenente ad un collettivo, esprime liberamente quei contenuti personali ed intimi che vanno a costituire la profondità dell’esperienza condivisa. Comprendere il bisogno d’amore e l’odio che non viene mitigato dalla tolleranza sbloccano le rotture relazionali. Ogni sentimento intollerabile, come l’insicurezza, la rabbia, l’invidia, la cattiveria, l’angoscia, diviene un vissuto depositato in chi vive accanto. Costui cioè viene a possedere tutte le qualità negative che non si possono riconoscere come appartenenti ai propri stati d’animo. Questo meccanismo inoltre funziona nel mondo interno anche per parti diverse di sé rendendo intollerabile vivere in pace con se stessi. Gli altri, o parti identitarie avvertite come differenti e perciò non integrabili, sono quindi il ricettacolo delle proiezioni di ciò che non si sente ammirabile nella propria persona. Queste parti vissute come estranee divengono, internamente ed esternamente, il nemico per eccellenza. L’appartenenza ad un gruppo coordinato con tecnica operativa rimette in ordine questo meccanismo proiettivo. È il gruppo infatti che, moltiplicando i legami con gli altri, mette in evidenza i modi distorti di stare in relazione tra le persone per giungere a curare i vincoli interni di ognuno. Ed ancora l’analisi di questi legami tra le diverse rappresentazioni dei personaggi che compongono il gruppo interno di ognuno permette ad ogni analizzato di stare meglio con se stesso e con gli altri. Nel lavoro terapeutico questa concezione mi permette di vedere come si muovono le diverse rappresentazioni di persone – o parti di esse – che abitano la mente del paziente individuale o gruppale osservando come interagiscono, evolvono, confliggono e si accordano. Nel lavoro formativo, condotto con il modello psicosocioanalitico, la teoria mi permette di dare uno sguardo alle dinamiche dei gruppi di lavoro mentre intervengo su come ogni operatore si muove nel campo relazionale con l’utente e con i colleghi. Nella pratica professionale la visione analitica mi offre una lente per osservare ed intervenire nelle istituzioni e nella vita comunitaria. La concezione operativa fonda perciò la sua matrice in un sapere psicoanalitico che rimane aperto non solo all’incontro con l’evoluzione del pensiero sull’inconscio, ma anche con le altre discipline che possono arricchirlo. Filosofia, pedagogia, semiologia, cibernetica, narratologia, linguistica, sociologia e teorie sull’ap-
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prendimento diventano pertanto campi di studio che hanno punti di incontro con la conoscenza dell’inconscio. Negli anni Ottanta la mia pluriennale esperienza formativa in un gruppo coordinato da Bauleo mi ha permesso di apprendere la potenza del gruppo operativo e di trovare modo di applicarlo nella clinica individuale, nella formazione collettiva e nell’analisi istituzionale. Giovane psicologa, lavoro in un Consultorio familiare che la legge 405 del luglio 1975 ha promosso nel territorio nazionale per aiutare le donne, le famiglie, la comunità sociale. Perplessa e dubbiosa mi chiedo con quali strumenti intervenire in una famiglia che sta per formarsi o per separarsi, con una coppia che ha appena adottato un bambino o nella complessa realtà dell’affido familiare, nel percorso nascita o nella scelta di non mettere al mondo un figlio. Ed ancora sento che mi risulta complesso capire dove sto andando quando opero per un minore in difficoltà che vive in una famiglia negligente e ancor più condividerlo con assistenti sociali, pedagogisti e figure sanitarie che formano l’équipe multidisciplinare. Allora, spinta dal pensiero basagliano, che in quegli anni aveva promosso la legge 180, voglio intervenire nel Territorio, stare con le persone là dove esse vivono, operare democraticamente, ma non so come fare. Non ultimo provengo da una breve, intensa e rivoluzionaria esperienza di insegnamento condivisa con Berto e mi pare sia necessario fare prevenzione dentro a questa istituzione, ma non so quale metodo possa essere il migliore affinché la parola promozione del benessere e della salute mentale non rimanga una vuota affermazione. Fu allora che una collega mi suggerì di avvicinarmi agli psicoanalisti argentini da poco tempo emigrati in Italia, alcuni per scelta politica ed altri perché duramente perseguitati dalla dittatura che imperava nel loro Paese. Fu attraverso di loro che scoprii la potenza e la duttilità della concezione operativa che, applicata all’individuo, ai gruppi e alle istituzioni, divenne la mia guida intellettuale in tutti gli interventi che andavo promuovendo. Il gruppo di matrice psicosocioanalitica divenne il concetto chiave della mia professionalità che, condivisa con Berto e apprezzata da psicoanalisti come Bauleo, Bolognini e Pagliarani, divenne infine anche la matrice teorica e tecnica di un far scuola ed educare che concepisce la classe come un gruppo. Avevo fatto la mia scelta di campo.
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Poiché la teoria del gruppo operativo ha una matrice psicoanalitica, così come essere un’analista si impara stendendosi nel lettino, altrettanto, lavorare con i contesti collettivi si apprende attraverso l’esperienza formativa. Chi non è stato un integrante di un gruppo operativo, dunque, non sa come si fa a lavorare in una équipe o a far divenire un insieme di “Io” un “Noi”.
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La concezione operativa è dunque una cosa seria, complessa ed articolata che richiede di saper coniugare la teoria psicoanalitica, intesa come la capacità di far emergere e dare un corpo narrativo all’inconscio, con la teoria sui gruppi terapeutici o formativi. Devo all’appassionante incontro e al lavoro assieme a Mimi Langer la convinzione che costruire gruppi con la popolazione per difendere i diritti umani sia imprescindibile nell’etica professionale. La nozione base sulla quale ho a lungo lavorato si fonda allora sull’idea di identificazione proiettiva come incrocio relazionale da decifrare in ogni contesto gruppale rendendo ciascun partecipante capace di farsi carico della proprie emozioni senza che queste vengano depositate massicciamente non solo nel coordinatore, ma anche nei diversi membri del gruppo. La mia ricerca sull’interpretazione del processo gruppale dunque ha coniugato il sapere offertomi dalla concezione operativa con lo studio del campo analitico quale struttura emotiva nella quale nascono pensieri che non sono né del terapeuta né dell’individuo che parla, bensì sono sia del gruppo che del coordinatore. Gli autori, che hanno sviluppato una teoria del campo, si sono fermati ai personaggi-pittogrammi-sequenze narrative che entrano in scena nella stanza d’analisi dove un paziente incontra un terapeuta. Hanno cioè osservato che lo scambio affettivo di entrambi i mondi interni produce vibrazioni emotive che danno vita ad importanti rappresentazioni che condensano il transfert e il controtransfert delle due persone presenti nella stanza. La domanda che mi ha orientato dopo queste letture è stata: “Quando i transfert sono multipli, e delle volte anche i controtransfert essendo il gruppo una struttura che può essere co-coordinata o può vedere la presenza di uno o più osservatori, quale campo emotivo fa da humus ai diversi personaggi-racconti che lì emergono?”. Sappiamo che i costrutti narrativi hanno una valenza per tutto il gruppo, si potrebbe dire che sono il sogno sognato da tutti i presenti e che quindi non appartengono al singolo, ma al collettivo. Questo però non basta. Mi pare che dovremmo comprendere meglio come nasca nella mente di un individuo il personaggio-racconto che veicola il mondo interno di tutti e come il coordinatore/psicoterapeuta lo debba interpretare. Questa appartenenza collettiva della narrazione di ognuno è dovuta al modo in cui comunicano le parti inconsce. Sarebbe interessante capire di più come un singolo si incarica di parlare per tutti guardando
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alle resistenze ad esporsi degli altri integranti o anche alla spinta che questi mettono in campo per far emergere quello specifico soggetto. Sappiamo però che il terapeuta-coordinatore abbisogna di una vasta cultura sia per poter mantenere vivo il film costruito in comune sia per tenere una sapiente regia dello sviluppo delle sequenze narrative ed infine per introdurre elementi simbolici capaci di trasformare il senso che i diversi pittogrammi veicolano. Il gioco tra individualità e collettività rimane dunque il mio campo di ricerca clinico.
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Parole chiave La concezione operativa adopera alcune definizioni di cui vorrei provare a precisare il significato. Con la parola coordinatore intendo lo psicosocioanalista che legge il latente e il manifesto in un gruppo che si è radunato per perseguire una finalità terapeutica o formativa. E qui viene di conseguenza la necessità di precisare che l’apprendimento è l’elemento concettuale che, facendo cambiare, scontorna ciò che è terapeutico da ciò che è formativo. Imparando dunque si cambia e, cambiando, si cresce emotivamente ed intellettivamente modificando in continuazione la propria identità. È in questa capacità di trasformazione che sta non solo il benessere della persona, ma anche il buon funzionamento dei gruppi. Pichon-Rivière direbbe che la malattia è lo stereotipo. Da qui discende che la capacità di non costruire verità rigide e definitive può permettere di vivere nuovi legami vivificanti che portano a stare meglio nella famiglia, gruppo primario, e in tutti i gruppi che, a partire da questo, costelleranno la vita. La classe scolastica sicuramente rappresenta nell’età evolutiva la grande opportunità di frequentare nuovi contesti umani. Il divenire un gruppo classe aiuta tutti i ragazzi ad attrezzarsi emotivamente per formare una famiglia capace di stare insieme. L’esperienza tra i banchi di scuola prepara a operare nei gruppi di lavoro facilitando il procedere dei diversi compiti che essi si danno. La vita collettiva dunque entra nella mente del singolo portando anche la struttura del pensiero ad essere un dialogo a più voci. Solo la sapiente capacità di discutere nel gruppo interno che abita nel mondo psichico di ognuno rende capaci di superare gli inevitabili conflitti che fanno parte dell’esistenza.
CONOSCERE IL GRUPPO
I diversi ambiti formativi o terapeutici vengono a differenziarsi attraverso il compito. Il compito rappresenta una nozione complessa che niente ha a che fare con l’esecuzione di qualcosa di pratico. Essa va concettualizzata piuttosto come finalità per la quale ci si incontra. Orienta quindi il lavoro interpretativo del coordinatore poiché, per chi analizza il gruppo, è diverso se davanti ha un’équipe di lavoro che vorrebbe operare meglio o un insieme di persone che gli hanno chiesto di stare bene psichicamente. Il compito è più vicino all’insight che all’esecuzione di un lavoro. Rappresenta dunque più uno sgretolarsi di difese che l’adoperarle per procedere rigidamente verso la meta. È una intuizione che alleggerisce la mente. Si potrebbe dire che il compito latente è un pezzo di inconscio gruppale che, attraverso la narrazione manifesta, diventa conoscibile. Va quindi chiarito che questo processo può avvenire solo dentro ad un setting. Il setting però va inteso non solo attraverso le coordinate spazio temporali che ne delimitano la cornice fungendo da inquadramento dell’esperienza, ma anche come atteggiamento mentale del coordinatore che procede sempre analiticamente. E procedere analiticamente comporta mantenere sempre attiva la tensione ad interpretare. La funzione interpretativa consiste in un lavoro speciale per il quale sono necessari anni ed anni di preparazione poiché è necessario saper ascoltare ciò che viene raccontato e, nello stesso tempo, ascoltare ciò che non viene raccontato. Da questo particolare ascolto deriva una continua attenzione a ciò che la propria mente produce siano esse idee, immagini, sensazioni, percezioni. Lo psicoterapeuta, mettendo insieme tutti questi elementi che prendono forma anche grazie alla sua preparazione professionale, dà forma all’interpretazione. Lo psicoterapeuta gruppale, allora, interpreta attraverso il discorso manifesto quanto di latente gli pare di intuire, intravedere, sentire, veder nascere. Lo fa per mettere al mondo idee non ancora nate e per costruire rappresentazioni da partorire. Luigi Pagliarani direbbe che il terapeuta fa da levatrice al nascere del discorso gruppale. Nel dare senso al racconto collettivo il coordinatore coglie alcuni emergenti. Con il termine emergente, o come affermava Bion – fatto scelto –, si va delineando quel pensiero, quella azione, quella sequenza narrativa che meglio di tutte sta portando alla
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Paola Scalari
luce il sentire emotivo inconscio. L’emergente è quindi il vettore che rende cosciente il mondo inconscio di ogni collettivo. Esso è perlopiù costituito da un dire o un tacere, da un agito o da un lapsus, da un atto mancato o da un sogno. Un gruppo esiste dunque se un insieme di persone si incontra dentro un preciso inquadramento di cui fanno parte gli integranti, il compito e il ruolo del coordinatore come interprete del latente. L’esperienza di incontro relazionale nel collettivo entra nella mente di ogni partecipante e va a modificare il gruppo interno primario costituito dai vincoli assorbiti nel mondo familiare. Quando analizziamo un individuo, dunque, scopriamo il suo gruppo interno che è frutto degli incontri con una pluralità di gruppi esterni. Quando partecipiamo ad un gruppo operativo la struttura familiare di ognuno emerge attraverso la dinamica corale del collettivo. I vissuti di dipendenza e interdipendenza, di scambio dialogante o sordo, di ruolo rigido o mobile, in un gruppo emergono infatti con prepotenza portando alla luce le strutture infantili e permettendo di modificarle.
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Paola Scalari è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista ed esercita a Venezia. Docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia e supervisore alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG Istituto di Milano e di Tecniche di conduzione del gruppo operativo nella consociata ARIELE Psicoterapia di Brescia. Nel 2001 nella 1a giornata dello psicologo è stata insignita dall’Ordine Psicologi del Veneto del primo premio per l’attività professionale svolta e, nel 2014, del riconoscimento di Eccellenza Professionale dalla città di Mestre-Venezia. Da anni è consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe di associazioni, enti ed istituzioni che operano nei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico. Ha pubblicato per le edizioni la meridiana A scuola con le emozioni (2012), Divieto di transito (2005), Adesso basta. Ascoltami! (2004), Fuggiaschi (2005), ConTatto (2008), Padri che amano troppo (2009), Mal d’Amore (2011), Il codice psicosocioeducativo (2013); Parola di bambino (2013) Fili spezzati (2a edizione, 2016), In classe con la testa (2016) e L’ascolto del Paziente (2018). ISBN 978-88-6153-761-3
Euro 18,00 (I.i.) www.lameridiana.it
9 788861 537613
P aola S calari
Conoscere il Gruppo
L’appartenenza ad un gruppo accompagna ogni essere umano dal momento della sua venuta al mondo fino alla conclusione della sua vita. Nasciamo in una famiglia, studiamo in una classe, giochiamo in una squadra, frequentiamo delle associazioni, ideiamo gruppi di lavoro, fondiamo équipe nei servizi sociali e sanitari, promuoviamo collettivi, viviamo in comunità, ci organizziamo dentro a delle istituzioni, siamo cittadini della Polis. Molto spesso però non comprendiamo come funzioni la dinamica del gruppo nel quale siamo inseriti o con il quale ci troviamo a collaborare o, ancora, che abbiamo il compito di coordinare. Le domande che spesso sorgono sul motivo che porta un gruppo, sia esso familiare, sociale, scolastico, associativo o lavorativo, a non raggiungere la sua finalità trovano allora nel testo una narrazione chiarificatrice. Il libro infatti risponde al bisogno di comprendere la struttura e la dinamica dei gruppi per poterli vivere e coordinare, costruire e far evolvere, fondare e interpretare. Il testo narra quindi, in una forma allo stesso tempo leggera e profonda, scientifica e poetica, evocativa e rigorosa come prendersi cura delle relazioni tra le persone che si riuniscono insieme. Ne rivela gli affetti, i sentimenti, i pensieri, i travagli, i sogni e le passioni. La narrazione psicoanalitica applicata a diversi ambiti gruppali porta dunque dentro a una pluralità di storie che suggeriscono come occuparci della sofferenza psichica collettiva prendendocene cura nei diversi campi dove la vita di ognuno si dispiega. Il modello psicosocioanalitico, attraverso la concezione operativa, è il filo rosso che introduce con tatto e pazienza ma anche con risolutezza e tenacia, alla conoscenza di una precisa teoria e tecnica di lavoro con i gruppi. Il gruppo operativo si dimostra una disciplina complessa e innovativa che sviluppa però un metodo dotato di un’intrinseca bellezza che vivifica il sapere, che appassiona all’apprendimento, che incrementa la creatività. Una dimensione dove bene, bello e vero si identificano. E di estetica ed etica i gruppi umani hanno oggi un grande bisogno.
Paola Scalari
Conoscere il Gruppo Spunti e appunti circolari