Grazia Honegger Fresco Grazia Honegger Fresco
DA SOLO, IO! Il progetto pedagogico di Maria Montessori da 0 a 3 anni
DA SOLO, IO!
Ci sono libri che nascono con il preciso intento di lasciare una traccia il più possibile completa e ordinata di un pensiero educativo che a distanza di tempo corre il rischio di essere propagandato per sintesi e slogan. Questo libro nasce con l’intenzione di ricostruire il lavoro di Adele Costa Gnocchi che di Maria Montessori è stata interprete fedele, acuta e geniale. Raccoglie memorie e indicazioni precise del suo lavoro creativo e si sofferma volutamente sui primi tre anni, offrendo ai lettori la possibilità di attraversare il concetto di educazione dalla nascita come aiuto alla vita, sul cui significato Adele Costa Gnocchi ha lavorato e sperimentato, impostato e declinato il pensiero di Maria Montessori. Sostenere il diritto del bambino al “rispetto”, fare in modo che questo non sia parola vuota, di comodo, ma correttamente impostare un approccio educativo montessoriano fin dall’attesa è quanto queste pagine fanno declinando il pensiero di Maria Montessori e raccogliendo esperienze sperimentabili ancora oggi. Un libro per educatori, genitori, insegnanti affascinati dalla possibilità di un progetto pedagogico basato sull’osservazione, sulla fiducia nelle forze naturali dei bambini e dei ragazzi, in un ambiente liberante, senza banchi, né premi, né voti, come sosteneva la Montessori. Non dal dire al fare, ma dal fare al riflettere, dal dedurre al provare ancora, indicava Maria Montessori. Una via scomoda perché non consente ricette, però una via onesta, fonte di benessere per bambini e per adulti. E di questa onestà il libro è sintesi e provocazione per chiunque abbia voglia e bisogno di cominciare da subito a educare i bambini rispettandoli per quello che sono e non per come li vorremmo noi.
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Grazia Honegger Fresco, allieva diretta di Maria Montessori e di Adele Costa Gnocchi, ha avuto una lunga esperienza di lavoro sia con bambini piccoli e grandi, sia con genitori, educatori e docenti. Con la meridiana ha già pubblicato nella collana Partenze Senza parole (2002), Un nido per amico (2007), Facciamoci un dono (2009) e Accogliere un bambino (2013) e, nella collana Paceinsieme, Radici nel futuro. La vita di Adele Costa Gnocchi (1883-1967) (2001).
copertina disegno di Fabio Magnasciutti In In copertina disegno di Fabio Magnasciutti
Euro 18,50 (I.i.) Euro 18,50 (I.i.)
ISBN 978-88-6153-570-1 ISBN 978-88-6153-570-1
9 788861 535701 9 788861 535701
edizionilalameridiana meridiana edizioni p p a a r r t t e e nn z z e e
Grazia Honegger Fresco
DA SOLO, IO! Il progetto pedagogico di Maria Montessori da 0 a 3 anni
Indice
Parte Prima Riflessioni su “la lunga infanzia umana” Presentazione.................................................... 15 Note storiche.................................................... 17 Il piano pedagogico di Maria Montessori..................17 L’infanzia della nostra specie......................................18
Educazione e pace ........................................... 25 Parte Seconda Pensare al neonato Cominciare dai più piccoli............................... 29 Primi scritti di Montessori sul neonato dal 1915 al 1920......................................30
Note montessoriane (1948-49)......................... 37 Inediti relativi al neonato e ai primi mesi di vita.......37
Altre voci sul parto-nascita ............................. 39 La prima ora di vita: la scientificazione dell’amore di Michel Odent...........................................................40 Quante cose sa fare un neonato di Paola Scavello.....43 Donna madre e donna ostetrica: accudimento crea accudimento di Marta Campiotti........................47 “Sei incinta, non sei malata!” di Chiara Mazzetti......49 Gruppi di donne in aiuto alla maternità....................51
Per il neonato, persona sensibile e in grado di comunicare.................................. 53 Sensibilizzare gli adulti alla cura dei più piccoli........54 Adele Costa Gnocchi, una vita in breve....................54 Il neonato: “una guida” di Adele Costa Gnocchi.......56
La Scuola “Assistenti all’Infanzia Montessori” (AIM)....................... 57 Imparare dall’osservazione: una scuola nuova..........58 Prime annotazioni sui neonati: un esempio...............60 Dall’antropologia........................................................62 Esploriamo le capacità sensoriali del neonato con il contributo di Roberto Fraioli............................62 Come viene accolto oggi un neonato?.......................64
Parte Terza Che cosa abbiamo imparato dai più piccoli Il primo anno di vita......................................... 69 Originalità e unicità di ogni neonato.........................69 Ogni neonato umano è pronto per entrare in relazione con sua madre.........................................70
Il latte: cibo e legame, fonte primaria di vita... 73 La frustrazione è sempre negativa? di Maria Zanetta Pagliarani........................................75 Oggetti per il neonato, in risposta alle sue esigenze......77 Interessi sensoriali nei primi mesi..............................78
“Ogni aiuto inutile è un ostacolo allo sviluppo”.....116 La chiave è la concentrazione...................................117 Mangiare da solo, svestirsi, vestirsi..........................118 Dare confini..............................................................119
Musica per i più piccoli ................................. 121 Attingere al repertorio popolare..............................122 Esperienze musicali al Nido di Francesca Lago........123 Il cestino dei suoni....................................................124 Il piacere di cantare..................................................125 Cantare come?..........................................................125 Le piccole percussioni..............................................126
Crescere è un verbo intransitivo...................... 81
Perché leggere a bambini che ancora non parlano............................................................ 127
Mobilio per il bambino che cresce.............................82 Divezzamento (togliere i vezzi o vizi).........................83 “Mangio da solo!”: prime prove................................84
I primi libri da scegliere con cura............................127 Ancora il periodo sensitivo dell’ordine....................128 Costruire libri di immagini per i piccolissimi..........129
Il periodo sensitivo dell’ordine........................ 87
Oltre la Scuola AIM....................................... 131
Ogni cambiamento improvviso lo disorienta.............88 Il bisogno di continuità, come una bussola...............89
Il Centro Nascita Montessori (CNM) “Educazione dalla nascita come aiuto alla vita.”.......131 Incontri di gruppo e interventi in famiglia..............132 Varie attività del CNM.............................................133 Nuove strutture per i più piccoli..............................134 Punti di incontro con altri gruppi............................135 I Cemea e Gino Pagliarani........................................136 Lo studio dello sviluppo motorio nelle ricerche di Emmi Pikler..............................................................137 L’incontro con Elinor Goldshmied..........................138
Il periodo sensitivo del linguaggio................... 91 Il linguaggio senza parole dei più piccoli...................92 Si può nutrire in molti modi il vocabolario del bambino............................................93
Il periodo sensitivo del movimento................. 95 Indipendenza e originalità..........................................97 Porre limiti alle richieste dei neonati?.......................98 Quando cresce, attenti a “la soglia dell’intervento”..99 Parole per un neonato di Françoise Dolto .................99
Parte Quarta Agli albori del “compito cosmico” Ormai sono in piedi e molto indaffarati!....... 103 I bambini entrano nei Nidi.......................................105 Inventare oggetti per i più piccoli............................106 Il primo abaco...........................................................107 Un cambiamento di rotta.........................................107 Le risposte che aspettavamo.....................................108
L’alfabeto del lavoro umano........................... 111 I piccoli imitano?......................................................112 Non conviene anticipare...........................................114 Che cos’è una presentazione ai piccoli?...................115
L’osservazione paziente di Lina Olivero Traversa................................. 139 Una curiosità: una scuola Montessori per puericultrici in Romania, anni Venti....... 143 Parte Quinta Quali Nidi Premessa: l’impegno di “Percorsi per Crescere”.147 Gli indicatori montessoriani.......................... 151 L’ambientamento............................................ 153 Significato e sua realizzazione..................................153 Il bambino non è una valigia!..................................153
I quattro Nidi................................................. 159 1) Nido “Il Pettirosso” di Caronno Pertusella.......159
2) Nido di Cassano Magnago.................................163 3) Nido comunale di Germignaga, 1980................168 4) Nido “Oreste e Piero Bossi” di Cardano al Campo.........................................173
Fidiamoci dei bambini a cura di Mariangela Gianni........................... 181 Come nasce una relazione di fiducia........................182 a) La ricerca..............................................................184 b) Analisi dei risultati (1-4)......................................185 c) Acquisizioni comuni nei Nidi interessati all’esperienza di cambiamento............189
Riflessioni finali............................................... 191 Un mondo sempre più sordo...................................193 A proposito del sensoriale........................................193 Gli attuali corsi 0-3...................................................194
Bibliografia..................................................... 199 Notizie utili..................................................... 205
Sigle usate nel testo (L’asterisco indica strutture o metodi non più attuali)
* ACNM = Associazione Centro Nascita Montessori * AIM = Assistenti all’infanzia Montessori AMI = Associazione Internazionale Montessori, Amsterdam * BIE = Bureau International d’Education, Ginevra CdB = Casa dei Bambini CEMEA = Centri di Esercitazione ai Metodi di Educazione Attiva CMTE/ NY = Center Montessori Teacher Education/ New York CNM = Centro Nascita Montessori (Roma) * CPO = Centro Pronta Ospitalità (per bambini non accompagnati) * IPAI = Istituto Provinciale per l’Assistenza all’Infanzia * IPI = Istituto Provinciale Infanzia (brefotrofio) di Varese * OMNI = Opera Nazionale Maternità Infanzia ONM = Opera Nazionale Montessori (Roma) * PPO = Psico-Profilassi Ostetrica (F. Lamaze) * RAT = Training Autogeno Respiratorio (U. Piscicelli)
Cominciare dai più piccoli
Nel corso della sua esistenza Montessori ha messo a fuoco ora l’una, ora l’altra delle fasi di sviluppo, seguendo non un percorso lineare, ma quanto andava scoprendo. Ha osservato analogie in comportamenti di piccoli e grandi, in apparenza diversi, secondo un filo conduttore di crescita evolutiva, biologica e psichica insieme, senza mai perdere i contatti con la prima infanzia, di cui parla ripetutamente fin dai suoi primi libri. Come medico aveva anche una formazione pediatrica e una lunga pratica osservativa in varie Maternità del primo Novecento. Ne parla nell’Antropologia Pedagogica (1910): un volume di oltre 400 pagine che raccoglie le sue lezioni al Magistero ad inizio secolo ed è ricchissimo di dati, schemi e immagini. A p. 384 riferisce dei neonati, dei quali... …l’educazione è più difficile [...]. Un esempio luminoso è dato dall’educazione dei neonati. Essi erano gli individui più incomodi per l’impossibilità di educarli con gli antichi mezzi: il neonato piangeva a tutte le ore del giorno e della notte rendendo schiava la madre o chi la sostituiva. Oggi i neonati sono tranquilli, è meraviglioso entrare nella corsia dei neonati nella clinica ostetrica di Roma: vi regna un silenzio assoluto e sollevando i veli bianchi delle culle si vedono i piccini con gli occhi aperti.
La conoscenza, più profonda che nel passato, dell’igiene del bambino, ha fatto interpretare i suoi bisogni, soddisfatti i quali il neonato è tranquillo: la pulizia del corpo, la libertà lasciata ai suoi movimenti, il riposo prolungato in culla e i pasti razionali hanno ottenuto il mirabile fine di far tacere il neonato, di renderlo più robusto e di liberare la madre dalla schiavitù della sua missione: le grida classiche del bimbo in fasce erano una ribellione a sofferenze che l’ignoranza gli imponeva. Oggi il piccino che giace tranquillo nella sua culla, più presto e più facilmente esercita i suoi sensi, un raggio di luce lo colpisce e attira la sua attenzione e con ciò principia la sua educazione, mentre prima la sofferenza data da un’indigestione lo rendeva lungamente estraneo al mondo esteriore.
Ne L’Autoeducazione del 1916 (pp. 7-8) torna sullo stesso tema, ricordando come il pianto dei lattanti fosse per lei espressione delle sofferenze prodotte da assenza di igiene e da modi inadeguati di cura: legati nelle fasce e consegnati spesso a una bambina di pochi anni incapace di responsabilità, non avevano né una stanza né un letto.
e ancora: La scienza dettò regole semplicissime [di ordine e di igiene...] si vide con l’esperienza che i bambini piangevano molto meno o non piangevano affatto, […] si videro persino i neonati nella prima settimana di vita attendere le due ore di intervallo tra poppate successive, tranquilli, rosei, con gli occhi aperti. Contrariamente a quanto sostenuto da taluni biografi (ad esempio Marjan Schwegman e Paola Giovetti) Montessori non ha cominciato a interessarsi al neonato in India nel clima teosofico di allora, ma fin dal principio delle sue ricerche sull'infanzia umana.
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Primi scritti di Montessori sul neonato dal 1915 al 1920 Madre e figlio, Oakland 191520 Nel suo viaggio in California, quando venne invitata a partecipare ai festeggiamenti dell’Esposizione Universale, Maria svolse varie conferenze. Due ebbero luogo a Oakland, vicino a San Francisco, cui intervennero – come dice il titolo – seimila educatici. Ne diamo qui una breve sintesi. Dapprima ricorda la nocività di pratiche del passato come l’uso delle fasce strette attorno alle gambe per farle diventare ben diritte, una cuffia perché le orecchie non fossero sporgenti, tirare il naso del neonato perché crescesse lungo e sottile anziché corto e grosso. Si tentava perfino di bloccare la lingua per farlo cominciare a parlare meglio. Più tardi ecco l’uso delle dande, una sorta di guinzaglio perché il bambino non andasse in giro qua e là, a suo piacere21. Se le madri non avevano tempo per portare a spasso i bambini, in casa usavano il girello22. Ma finalmente – dice Montessori – la scienza ha liberato il bambino di tutti questi mezzi costrittivi, affidando alla Natura il compito di fare il suo corso. Non porre ostacoli allo sviluppo naturale è stato favorito anche dalla diffusione delle cure igieniche e dalla diminuzione di morti infantili, tuttavia nel frattempo abbiamo trascurato l’intelligenza, i sentimenti, il carattere di ciascun bambino, aspetti da cui dipende la vita o la morte dello spirito. Il criterio di libertà non consiste nell’abbandonarlo a se stesso, ma nel “procedere dall’illusio20. a) Journal of Proceeding And Addresses, 53° Annual Meeting, Oakland, California, August 16-17, 1915. b) Six Thousand attend NEA convention/Dr. Montessori Outlines Her System of Modern Education “Oakland Enquires”, Sec. Section pp. 1-12. 1917: testi tradotti in “Vita dell’infanzia”, settembre 2000, n. 7, a cura di A. Scocchera, segnalatici dalla dott.ssa Monica Capponcelli che ringraziamo. 21. Queste però sono tuttora in commercio - si dice - per farlo stare in piedi in anticipo e sostenere i primi passi. 22. I poveri usavano un cesto a cono, come si vede in un acquerello di Roma sparita di Roesler Franz (1880). Cfr. Jannattoni, 1981.
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ne alla realtà, imboccare la strada del prendersi cura di lui in modo più completo e preciso”. È riconosciuta universalmente la relazione tra le condizioni raggiunte nella vita fisica e la libertà acquisita: il bambino è oggi trattato “come una piantina da far crescere protetta e alimentata nel migliore dei modi”, ma si trascura il fatto che “quando nasce non ha che potenzialità, deve costruire ogni aspetto di sé in un mondo che perfino per gli adulti è pieno di traversie”. Nasce “più fragile e indifeso di un animale e in pochi anni diventa un adulto partecipe di una società complicata che si regge su diritti acquisiti incorporati in leggi”. Ma quali sono i diritti di colui che arriva tra noi privo di capacità fisiche e mentali pari alle nostre? Il compito materno è allattare, un diritto sacro – incontrovertibile – eppure qua e là contestato e comunque non basta ancora. Il bambino come viene ricevuto? Fino a poco fa nulla era previsto e preparato per il “meraviglioso ospite”, solo da poco si è cominciato a fabbricare lettini, ma niente di più. Non poltroncine o tavoli, non spazzole né toilette. Niente è previsto per lui che si trova “in mezzo a un popolo di giganti”. Solo i bambini ricchi hanno una loro stanza, che spesso diventa “un luogo di esilio”: devono restare lì a giocare, ma i mobili sono pesanti, gli oggetti [di uso quotidiano] grandi per le loro piccole mani. Hanno piccole bambole con la loro casa, salotto, cucina, armadi, mobili... ogni cosa posseduta dall’adulto è lì riprodotta in miniatura. A nessuno viene in mente che la stessa cosa andrebbe fatta per i bambini, ogni oggetto proporzionato alla loro statura, alla forza delle loro braccia. Il bambino non può avere le stesse cose, può solo giocarci, i bambini poveri non hanno nemmeno quelle. “Il mondo viene dato loro sotto forma di gioco, perché nessuno li riconosce come esseri umani.” Il bambino in realtà prova a vivere con le cose che lo circondano, “gli piacerebbe vestirsi da sé, pettinarsi, spazzare veramente un pavimento, possedere sedie, tavoli armadietti e appendiabiti”: non per giungere a un risultato e “assaporare il gusto della vita”, ma per formarsi, pur senza saperlo. “Gli dà piacere appendere i propri abiti a un gancio alla sua altezza, trasportare una sedia con calma, aprire una porta, la cui maniglia sia proporzionata alla sua piccola mano”, si
sviluppa così una vita attiva, come noi abbiamo visto [nelle nostre Case dei Bambini] che suscita tanta meraviglia, come se fosse la rivelazione di una forza spirituale. Ostacolare le sue attività significa “compiere violenza sulla sua stessa vita e noi lo facciamo senza il minimo rispetto...”. Se sta facendo qualcosa, lo interrompiamo; se mangia da solo, subito arriva un adulto che lo imbocca; se sta provando a indossare un abito, ecco l’adulto che lo veste e in modo brusco si sostituisce a lui. Sono considerati come schiavi, persone incapaci di comprendere le intenzioni degli adulti. È come se un grande matematico stesse giungendo a un risultato decisivo e qualcuno arrivasse per imporgli di prepotenza una partita a scacchi. Non è solo l’anima a soffrire ma anche il corpo. A sostenere una nuova relazione tra madre e figlio non c’è più soltanto la medicina e l’educazione igienica, ma una nuova pedagogia alla quale le donne possono formarsi in modo da dirigersi “verso una maternità ad occhi aperti”. Non solo come creatrici, ma “protettrici della prosperità, coloro che proteggono il corpo e la mente della nuova umanità”.
Tutti questi temi Maria li riprende alla grande ne L’Autoeducazione, che pubblica l’anno seguente. Lo si legge nella parte iniziale del volume intitolata “Come riceviamo i bambini che vengono al mondo”. A p. 16 parla delle sgridate inflitte al bambino “perché rompe i giocattoli” e commenta: “Questo fatto di distruggere cose fabbricate per lui ci sembra la prova della sua intelligenza... Va cercando se dentro ci sia qualcosa di interessante... qualche volta li spezza rabbiosamente, come un uomo offeso”. Allora diciamo “che distrugge per cattiveria”. Fulvio, 7 anni, cui uno zio donava sistematicamente modelli di automobiline per farne una collezione, spesso le smontava e ricomponeva i pezzi con frammenti di pongo per creare modellini di sua invenzione. Lo zio, irritato e offeso, non gliene regalò più, mentre Fabio, molto fiero delle sue automobiline, giocava di gusto soprattutto con queste.
In questo libro parleremo di esseri umani agli inizi della vita, ma è interessante ricordare lo sguardo di Montessori attento alle tante forme che prende lungo tutta l’infanzia la lotta tra il bambino e l’adulto, tra il creativo, audace Davide e il potente Golia che non riesce a vedere.
Londra 1920 In questo anno esce il volume di Sheila Hutton Radice The New Children. Talks with Dr. Maria Montessori23, con varie notizie interessanti. Nel IX capitolo intitolato “La psicologia del neonato” riferisce dell’incontro al “Norland Istitute” – il primo dopo la guerra ’15-’18 – in cui Montessori illustra i suoi futuri progetti. Dopo le proposte per i bambini di 3/6 anni vuole avviare studi approfonditi sullo 0-3, dato che “a tre anni i fondamenti della personalità sono già ben radicati”. Una più attenta cura dovrebbe iniziare alla nascita, “allontanando le mani degli adulti dai bambini” e studiando la naturalità dello sviluppo. A tal fine dice di aver proposto da tempo al Governo catalano di fondare un istituto di puericultura24 per studiare a fondo i primi anni. A Barcellona esiste un grande brefotrofio25 che accoglie fino a 600 trovatelli, molti dei quali restano lì fino all’età adulta. Le piacerebbe insegnare alle ragazze come occuparsi al meglio dei neonati. Dice di avere aperto a Barcellona un “centro per lo studio del bambino e la formazione degli adulti”, che include anche la preparazione delle maestre: Un giorno sarà impensabile diventare insegnanti senza una formazione di base che parta dal neonato.
23. Il testo della Radice – I nuovi bambini. Incontri con la dr. Montessori – non è stato pubblicato in Italia, la traduzione dei brani è della curatrice. 24. Nel senso di puer-cultura, conoscenza del bambino, come evidenzierà a fine secolo il socio-psico-analista Gino Pagliarani. 25. Termine che viene da due parole greche: bréfos (neonato) e trefein (nutrire).
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S. Radice si meraviglia che una donna non sposata e senza figli26 dimostri tale sensibilità e capacità nel vedere tante cose sui neonati: come reagiscono alla luce, al colore, ai suoni, alle emozioni non verbali delle persone che li curano. Sanno comunicare con le loro madri: se queste lo sentono, non ne parlano, nel timore di venir derise.
Maria aggiunge che vorrebbe riunire una quindicina di ragazze sui 15 anni e seguirle fino ai 18 per renderle attente alle esigenze dei neonati, lì stesso ricoverati. Riceverebbero una formazione per la vita e i neonati cure migliori. Il tema ritorna nel 1921, quando viene invitata a Lovanio (Belgio) ad alcuni incontri per famiglie con bambini piccoli. Le conferenze su L’éducation de l’enfant en famille, apparse nel ’22 sul periodico La Femme belge, saranno pubblicate in Austria27 nel ’23 con il titolo Das Kind in der Familie28 e in Italia nel ’36, con lo stesso titolo: Il Bambino in famiglia29. In ogni edizione ci sono pagine sul nascere e sul neonato. Sono gli anni in cui vive stabilmente a Barcellona con la famiglia del figlio Mario. Questi ha sposato la giovane americana Helen Christy ed ora hanno due figli: Marilena, nata nel ’19 e Mario Jr. nel ’21. Maria li segue con affettuoso interesse e al tempo stesso li studia. Presso la loro abitazione tiene aperta una piccola Casa dei Bambini guidata da una sua allieva, Maria Antonietta Paolini, ma spesso va alla Maternidad a osservare i neonati. Sebbene Barcellona sia negli anni Venti la sua residenza stabile - risiederà poi a lungo anche a 26. Maria ha sempre mantenuto il più stretto riserbo circa la sua storia personale, allora e in seguito. 27. E non in Germania, come sostiene Scocchera, 1997, p. 73. 28. The Child in the Family (esiste in lingua tedesca), edito in USA da Clio negli anni Novanta, è stato ripubblicato ad Amsterdam nel 2015 con la stessa traduzione in inglese, purtroppo assai antiquata. 29. A lungo non è stato particolarmente apprezzato nemmeno dagli stessi montessoriani, italiani o esteri, anch’essi poco interessati a vedere il valore dei più piccoli.
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Grazia Honegger Fresco
Roma - spesso si sposta per corsi e conferenze in varie città europee. Nel ’23 è a Londra per l’XI Corso Internazionale e dedica ai very little children largo spazio, frutto delle sue osservazioni catalane.
… come un naufrago dopo la tempesta... Pochi anni dopo Maria descrisse il dramma del neonato con la pagina/racconto che inizia con le parole “Mi dissero di un uomo...” Il testo, trascritto per intero qui di seguito, apparve una prima volta in forma di prosa sulla rivista L’Idea Montessori, Natale del 1927. Venne poi riportato allo stesso modo nei testi L’Enfant, (Paris 1936) e nella sua prima edizione in italiano (Bellinzona 1938) intitolata Il Segreto dell’infanzia. Apparve in forma di poesia, dopo la guerra, nell’edizione Garzanti del 1950 e così in seguito è stato mantenuto. Mi dissero di un uomo, vissuto nell’oscurità più profonda; i suoi occhi non avevano visto mai nessun lieve chiarore, come in fondo a un abisso. Mi dissero di un uomo, vissuto nel silenzio; non un rumore, nemmeno impercettibile, era mai giunto al suo orecchio. Sentii parlare di un uomo che era vissuto sempre immerso nell’acqua, un’acqua di strano tepore e che tutt’a un tratto spuntò fuori tra i ghiacci e spiegò polmoni che mai avevano respirato (lievi sarebbero le fatiche di Tantalo al confronto), ma visse. L’aria distese d’un tratto solo i suoi polmoni, ripiegati fin dall’origine. E allora l’uomo gridò. E si udì sulla terra una voce tremante che non si era mai udita, uscente da una gola che non aveva vibrato giammai.
Egli era l’uomo che aveva riposato. Chi potrebbe immaginare che cosa sia il riposo assoluto? Il riposo di chi non fa nemmeno la fatica di mangiare, perché altri mangia per lui e sta nell’abbandono delle sue fibre, perché altri tessuti viventi lavorano per lui, nemmeno i suoi tessuti intimi lavorano a difendersi dai veleni e dai bacilli, perché altri tessuti lavorano per lui. Suo solo lavoro fu quello del cuore, che batteva prima che egli fosse. Sì, mentre ancora egli non esisteva, batteva però il suo cuore, doppiamente di come pulsa ogni altro cuore. E seppi che quello è il cuore di un uomo.
Sono parole con cui Montessori delinea con forza espressiva il cambiamento fisiologico che avviene nel faticoso passaggio dall’utero all’ambiente esterno, dove per il bambino tutto cambia: con evidente emozione descrive la vita nel piccolo mirabile acquario privato che culla e protegge nel corpo materno ogni essere umano e, insieme, la fatica che questi compie nel venire al mondo. Forse un vero e proprio trauma della nascita, come lo definì lo psicoanalista Otto Rank. Qualcuno ha giudicato il brano come “preludio poeticamente non riuscito ed anche inadeguato là dove la Montessori ritiene che l’essere fetale sia del tutto apercettivo”30. È evidente che lei non voleva assegnargli valore scientifico, piuttosto darne una raffigurazione che colpisse l’immaginario degli adulti, ostili a una diversa considerazione del neonato: la sofferenza derivata da modi errati di cura era sotto gli occhi di tutti, eppure nessuno la prendeva in considerazione. Così è ancora oggi, quasi ovunque.
30. Il commento è di A. Scocchera, 1993, p. 78.
...come un “embrione spirituale” Vari studiosi di Montessori più o meno recenti ignorano il tema del neonato o lo considerano di secondaria importanza. Così l’americana Rita Kramer, autrice di una ricca biografia31, che ne accenna solo nell’ultimo capitolo del suo corposo volume. Riferisce che Maria a Londra per il IX Congresso Internazionale 1951 parla del bambino piccolo come the psychic embryo, termine che nei testi italiani era già apparso circa trent’anni prima come embrione spirituale. In italiano il significato suona alquanto diverso. Già nel Segreto dell’infanzia del 1938 Montessori aveva parlato delle prime cure da dare al neonato, tenendo conto della sua vita psichica e a p. 37 (p. 20, 1950) aveva scritto: Il bambino [appena] nato non è soltanto un corpo pronto a funzionare, ma un embrione spirituale che ha direttive psichiche latenti. Sarebbe assurdo pensare che proprio l’uomo, caratterizzato e distinto da tutte le creature per la grandiosità della sua vita psichica, fosse il solo a non possedere un disegno di svolgimento psichico, […] un segreto che non è possibile penetrare se egli stesso non ce lo rivelasse a mano a mano che costruisce se stesso.
Nel V capitolo32, intitolato “L’embrione spirituale”, parte dal concetto di “incarnazione”: La scienza considera l’essere nuovo come [...] uno sviluppo di tessuti e di organi che compongono un tutto vivente. Allora è carne, non è un’incarnazione di una vita psichica già presente. Oggi si dice: l’educazione deve cominciare dalla nascita. È evidente che la parola educazione non si usa qui nel senso di insegnamento, bensì in quello di aiuto allo sviluppo della vita psichica. Il bambino che si incarna è un embrione spirituale che deve vivere a spese dell’ambiente, ma 31. Kramer, 1976, p. 364. 32. Cfr. Il Segreto, p. 57 capitolo V, 1938 (diventato nell’edizione del ’50, cap. VI, p. 30 e segg.). Si veda inoltre il III capitolo de La mente del bambino, pubblicato in India nel 1949 e in Italia nel 1952.
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come l’embrione fisico ha bisogno di un ambiente speciale quale è il seno materno, così questo embrione spirituale ha bisogno di essere protetto da un ambiente esterno animato, caldo d’amore, ricco di nutrimento, dove tutto è fatto per accogliere e niente per ostacolare (pp. 46-47).
Maria Montessori parla di questo ne Il Bambino in famiglia, a p. 17: L’embrione spirituale è il neonato considerato come spirito individuale che viene al mondo […]. Come l’embrione materno, così questo embrione spirituale ha bisogno di essere protetto da un ambiente esterno, animato, caldo d’amore, ricco di nutrizione dove tutto l’accolga e niente lo ostacoli.
Subito dopo la nascita il bambino deve restare il più possibile con la madre e l’ambiente non presentare ostacoli al suo adattamento. Tali ostacoli sono sopratutto la differenza di temperatura in confronto a quella a cui era abituato nel periodo prenatale, l’eccesso di luce e di rumore perché egli è appena uscito da un luogo di perfetto silenzio e di buio. Deve essere maneggiato con cura, data la sua estrema delicatezza tanto fisica che psichica”. Commenti efficaci si trovano anche in Educazione per un mondo nuovo, edito in India nel ’43, uscito in Italia nel 1970 (ved. p. 59): In passato si pensava che il bambino piccolo non avesse una vita psichica, mentre oggi ci rendiamo conto che l’unica parte di lui [maggiormente] attiva è il cervello.
Si veda anche a p. 65 e segg: Gli psicologi moderni parlano della difficile avventura della nascita e concludono che il bambino deve subire un violento trauma per il terrore. Non si tratta di un terrore consapevole, ma senza dubbio il neonato può sentire la paura, ad esempio quando viene calato troppo rapidamente nel bagno o quando è esposto a una luce troppo forte o sballottato in modo insolito... 34
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Le gatte nascondono i piccoli in un angolo buio e li difendono gelosamente da qualsiasi contatto estraneo, mentre le madri umane hanno in gran parte perduto i loro istinti naturali: non appena il bambino è nato, qualcuno lo viene a lavare, a vestirlo, lo porta in piena luce per guardare il colore degli occhi, esponendolo per ignoranza ad altri traumi e ad altre paure.
Conviene riflettere sulle dieci pagine de Il Segreto dedicate a questi temi, così nitide nel cogliere i bisogni del bambino appena nato, per soddisfarli con il legame profondo e unico con la madre. Forse il termine “spirituale” disturba perché sembra far riferimento a una dimensione religiosa33. Maria lo intendeva come sinonimo di anima? L’intero suo contributo all’educazione supera l’antico contrasto tra anima e corpo (o soma e psiche), comune tra altri studiosi del suo tempo. Kramer avanza l’ipotesi (come al solito, viene da dire) che in Maria la sensibilità ai bisogni del neonato sia nata dal fatto di non aver potuto dare cure materne a un proprio figlio. Qualunque sia stata la motivazione profonda del suo interesse, di fatto è stata la prima studiosa a porre il neonato sotto una luce del tutto nuova, come individuo separato dalla madre, eppure in principio strettamente connesso a lei ed egualmente bisognoso di cure speciali e delicate. Con Il Segreto e con Il Bambino in famiglia siamo alle soglie della guerra 1939-1945. Nel silenzio e nel buio di quegli anni una sua allieva, Adele Costa Gnocchi, si prepara a realizzare a Roma, con sue precise indicazioni, una scuola per lo studio del bambino neonato e dei primi anni. Gli stessi montessoriani italiani ed esteri hanno a lungo ignorato questi scritti e i relativi progetti. Perfino il documentatissimo testo di A. Stoll 33. A proposito di incarnazione e il concetto “contemplato” nel Cristianesimo, è usato da Montessori in modo nuovo e insolito. Silvana Quattrocchi Montanaro, fervente cattolica, rifiutava il termine “spirituale”, cui preferiva l’aggettivo “psichico”, perché sosteneva che fosse più “scientifico”, dimostrando una lettura poco approfondita delle pagine montessoriane. Lo ricordiamo perché si tratta di un equivoco in cui cadono molti.
Lillard, Montessori/the science behind the genius, 2005, li ignora completamente: di fatto parte a considerare l’innovazione Montessori dai 3 anni, cioè dalla Casa dei Bambini.
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La Scuola “Assistenti all’Infanzia Montessori” (AIM)
Lo studio dell’essere umano alle sue origini “come individuo sensibile e in grado di comunicare” era certamente predominante per Costa Gnocchi su tutte le altre tematiche. “Perché lì tutto comincia”, diceva. A partire dagli anni Trenta, interessata ad alcuni scritti e riflessioni di Montessori, aveva cominciato a sentirne urgente lo studio. La conoscenza dei primi anni era allora totalmente assente e le cure ai più piccoli soltanto di tipo igienico-sanitario. Montessori aveva sempre messo al centro del suo lavoro la formazione continua degli educatori e dei maestri. Allo stesso modo Adele era convinta che, per studiare e curare i più piccoli, occorrevano persone preparate in merito. Ne aveva parlato con Montessori, ma la seconda guerra aveva impedito ogni realizzazione. Costretta in quel tempo difficile, continuò a intessere relazioni che dopo il conflitto avrebbero dato i loro frutti. Tornati i Montessori dall’India, nel ’47 Adele sottopose a Maria il progetto di una scuola che preparasse giovani donne interessate a studiare e a rispondere alle esigenze dei neonati58 e dei bam58. Diversamente da quanto taluni sostengono, non si è mai occupata
bini piccoli. Dalla Montessori, subito entusiasta e partecipe, ricevette consigli orali e scritti59 e nel settembre dello stesso anno aprì in forma privata la “Scuola per lo studio del bambino”. Erano gli anni difficilissimi della ricostruzione: rari i mezzi di trasporto, cibo ancora scarso, niente neonati e dai piccoli, così poco apprezzati. Con il sostegno dell’Opera Montessori, allora presieduta da Maria De Unterricter Jervolino, aveva ottenuto alcune stanze a Palazzo Vidoni60 e le aveva arredate con mobili fortunosamente da lei stessa reperiti in locali della ex GIL61 al Foro Italico. Le prime quindici diplomate uscirono nel giugno del 1949. Al termine dello stesso anno la Scuola, con il nome ufficiale di “Assistenti all’Infanzia”62, passò sotto il controllo del Consorzio per l’Istruzione Tecnica, organismo ministeriale allora esistente, creato per garantire qualità a varie istituzioni professionali. Riguardo ai neonati e ai piccoli fino ai 36 mesi risultò importante il contributo di un gruppo di medici: attivi a Roma e riuniti da Adele63, accodella vita prenatale, tema che nella Scuola AIM non era mai argomento di lezioni né di discussioni. Certo era il terreno di partenza, ma di competenza dei ginecologi. Ciò che le stava a cuore era lo studio del neonato. Una volta mi disse che il corpo della donna con il suo bambino in crescita all’interno è qualcosa di quasi sacro di cui non ci si doveva “impicciare”. 59. Cfr. Note Montessoriane. Altri appunti sarebbero dovuti sfociare in un piccolo “carnet maternel” per le madri. Diventò Il neonato con amore 1970, rivolto ai genitori e scritto sotto la sua guida diretta, uscito purtroppo alcuni anni dopo la morte di Adele. A dimostrazione delle buone pratiche della Scuola AIM lì descritte, suscitò un grande interesse tra i genitori, tanto che ebbe nel tempo sette edizioni con la Ferro di Milano e in seguito due edizioni con Red di Como, intitolate Un bambino con noi. 60. La sede era a piano terra – entrando subito a destra – in corso Vittorio Emanuele, 236. Al IV piano aveva sede l’Opera Nazionale Montessori (ONM). 61. Gioventù Italiana del Littorio, organizzazione fascista a carattere sportivo. 62. In seguito entrò nell’uso come “Scuola Assistenti all’Infanzia Montessori” (AIM): Costa Gnocchi in un incontro con ex allieve nel ’54 disse: “Abbiamo adottato la parola ‘assistente’ in base alle leggi, ma non esprime come vorremmo questa nuova figura” (Cfr. Radici nel futuro, pp. 108-109). 63. Tre pediatri, Giuseppe Vitetti e Cesare Pignocco del Brefotrofio, Alberto Durio e il ginecologo Paolo Ungari. In seguito, il pediatra Giorgio Poddine e la ginecologa Alessandra Faraggiana Scassellati, già
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glievano e guidavano le allieve sia nell’IPAI, il grande brefotrofio di Roma e provincia, sia per le osservazioni al parto/nascita e le prime cure ai neonati nella Maternità dell’ospedale romano “San Camillo”, poi in seguito al “San Giovanni e al “Policlinico”. Alla scuola di Costa Gnocchi, erano divenuti molto attenti alla molteplicità dei segnali psicosomatici e alle reazioni sensoriali dei piccolissimi (prima di eventuali sintomi patologici). “Guardate al bambino sano nella sua complessità psichica e fisica”, raccomandava Adele: in senso olistico, diremmo oggi, un’ottica che non era e non è ancora consuetudine fondante nella formazione dei pediatri. Dal ’47, anche in preparazione del “carnet” sopra ricordato, Adele li spingeva a osservare maggiormente i bambini che “stanno bene”. Ai bambini che stanno male tutti pensano e la Medicina ha il piè veloce per la malattia che è un episodio della vita, non [è] la vita. Noi vogliamo occuparci dei bambini che “stanno bene”, [ma] “si sviluppano male”, preparando così, forse pian piano, malattie non solo corporali, ma anche spirituali o deviate.
Nell’agosto del ’49 all’VIII Congresso Internazionale Montessori di San Remo – il primo dopo il conflitto su La formazione dell’uomo nella ricostruzione mondiale – Vitetti e Pignocco presentarono il primo biennio di esperienze della Scuola AIM con i neonati e l’assistenza fornita alle madri dopo la nascita. Ai congressisti, Vitetti ricordò l’emozione di un suo precedente incontro, avuto insieme a Costa Gnocchi e a Pignocco, con Maria Montessori, durante il quale ella “diede i primi consigli e le prime direttive di questo lavoro”64. ricordata nel capitolo precedente. Di Pignocco interessante un suo testo uscito su “Minerva Nipiologica”, giugno 1953 dal titolo Prospettive per uno studio unitario del neonato. 64. Cfr. negli Atti dell’VIII Congresso, pubblicati dall’Opera Montessori nel 1950, le loro relazioni alle pp. 159-185. Al Congresso parteciparono tutte le prime diplomate AIM.
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Le AIM sapevano intervenire anche nel caso di bambini considerati “difficili” già a due o a tre anni, che spesso avevano solo bisogno di attività interessanti e di genitori meno ansiosi e opprimenti: un intervento precoce, ma sempre delicato e rispettoso delle iniziative infantili, era a volte sufficiente per risolvere i problemi.
Imparare dall’osservazione: una scuola nuova Competenza prioritaria delle AIM era sapersi adeguare alla gradualità e unicità di sviluppo – fisico e psichico strettamente collegati – di ogni bambino o bambina, a partire dal nuovo modo di intendere l’accoglienza al neonato e la cura dei piccoli nel primo anno. Una volta chiesero a un bambino di 5 anni che cosa facesse il fratellino appena nato; la sua risposta lapidaria fu: “Piange, dorme e mangia la mamma”. Anche molti adulti hanno dei neonati un’idea altrettanto semplificata: sono più o meno tutti uguali, si dice. Le AIM, osservandoli, con il loro lavoro silenzioso, prudente avevano constatato la grande varietà e originalità degli esseri umani fin dai primi giorni di vita Oltre ai medici alcune docenti montessoriane già esperte65 guidavano le allieve nelle tante attività pratiche, necessarie a completare la formazione delle giovani Assistenti. Il fare sempre unito al riflettere, il capire facendo: progettare e cucire un camicino che non creasse disagio al neonato, una culla che non gli impedisse di guardarsi attorno, una dieta adatta durante il divezzamento, un oggetto di gioco, una raccolta di immagini per il secondo anno: inventare era bene accetto, pur65. Le prime furono Giulia Gorresio André, M. Luisa Pettoello Oliva, Gianna Gobbi, quest’ultima prima di intraprendere il lavoro con Sofia Cavalletti.
ché eseguito con cura. Infine c’era Costa Gnocchi con quel suo modo insolito di condurre le allieve a riflettere su di sé e sull’infante, colui che non ha voce. Non mancava l’attenzione all’armonia dei movimenti: in tal senso svolse lezioni Cecilia Hanau, che da circa vent’anni, in una palestra in via Condotti, teneva corsi di ginnastica ritmica nello stile di Émile Jaques-Dalcroze. La Scuola66 era di grande interesse: i tirocini osservativi dei parti/nascita si svolgevano anche in alcune famiglie (allora era ancora frequente il parto in casa) e nelle grandi “Maternità” già ricordate. Le allieve erano tenute a svolgere un congruo numero di giornate o nottate per assistere ai parti. Scoprivano così – anche se le circostanze non erano sempre favorevoli – l’autoregolazione presente fin dal primo minuto di vita, fenomeno fisiologico della massima importanza e radice primaria di future indipendenze, da rispettare e favorire intervenendo il più delicatamente possibile. In altre giornate seguivano i bambini sia nel reparto pediatrico del Policlinico “Umberto I”, sia i cosiddetti “illegittimi” del Brefotrofio. Quelli che avevano lì le madri mostravano un aspetto sano, erano vivaci, parlavano; gli altri – gli NN67– privati di giochi, parole affettuose, possibilità di movimento, ricevevano sì cure mediche, ma nel quotidiano venivano trascurati al punto che, legati con fasce apposite nei lettini perché “agitati”, avevano spesso piaghe da decubito ed eczemi difficili da eliminare. Tutti ricevevano latte materno, in quanto le madri (nubili) ricoverate con i figli nutrivano al seno anche gli altri, eppure la differenza era evidente: se, dopo essere stati divezzati,
non volevano mangiare, venivano nutriti a forza, anche con un imbuto: la pappa che aveva dentro mescolate verdure, carne, uova, formaggio secondo i giorni – di fatto si presentava come una crema semiliquida sempre dello stesso sapore e colore. Pur nutriti a dovere, non tutti crescevano bene: si riscontravano gravi ritardi nello sviluppo motorio e verbale, considerati ovvi e attribuiti al fatto che i bambini fossero “figli della colpa”, danni particolarmente evidenti nei piccoli ricoverati senza le loro madri, davvero “figli di nessuno”. Il reparto, condotto dalla energica, positiva suor Francesca e guidato dal pediatra Cesare Pignocco, cominciò a cambiare a piccoli passi, grazie alla presenza delle allieve AIM. Del tutto diversi apparivano i bambini di famiglie – ceti medio e alto – che richiedevano per i figli la presenza di un’Assistente o che li conducevano alla “Scuoletta”. Questa del resto ne accoglieva una decina o poco più, di età eterogenea, da uno appena in grado di camminare ad altri fino ai tre anni: luogo privilegiato di osservazioni, forse il più fecondo di scoperte, perché sotto la guida diretta di Costa Gnocchi.
66. Fino al 1958 fu biennale, anche se dopo il ’50 o ’51 propose un terzo anno di specializzazione a chi voleva dedicarsi ai neonati in modo prioritario. 67. NN, dal latino nomen nescio, lett. “non conosco il nome”, ovvero figlio di padre ignoto. Essere un NN – e tale risultava sui documenti – era allora marchio infamante per tutta la vita. L’abolizione di “arbitrarie categorie di figli illegittimi e naturali” fu merito della senatrice socialista Lina Merlin, in sede di Assemblea Costituente dopo il ’46.
68. I primi in Italia a fabbricare il materiale in uso nelle Case dei Bambini e nelle Scuole Elementari secondo precise indicazioni di M. Montessori, erano stati i fratelli Bassoli a Gonzaga a lei raccomandati da Maria Maraini Guerrieri Gonzaga, sua grande amica. Ai Bassoli subentrò il falegname Baroni; venne quindi creata la Cooperativa Falegnami di cui divenne presidente e promotore Giuseppe Marangon. Intelligente ed energico quanto riservato, la trasformò in seguito nella Gonzagarredi che ha guidato con grande capacità fino ad anni recenti. Fu lui a interessarsi
Piccoli mobili adatti Nella Scuola AIM venne sempre data grande attenzione alla ricerca di un mobilio su misura dei bambini. Dopo molte osservazioni e prove nella “Scuoletta” e nel reparto al Brefotrofio, si progettarono tavoli e seggioline con braccioli, adatti a bambini del secondo anno. Queste vennero prodotte su nostro modello dalla Cooperativa Falegnami di Gonzaga (Mantova) 68.
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Come già aveva previsto Montessori per le CdB, i requisiti di base erano e sono tuttora gli stessi, anche per le Primarie: – tavoli singoli (alcuni doppi da usare solo dopo i tre anni); – dimensioni proporzionate alla misura del corpo infantile; – solidità e insieme grande leggerezza (scelta del legno, qualità della fabbricazione); – lavabilità; – niente gommini sotto le gambe di sedie e tavoli (la loro presenza funge da verifica indiretta del modo di muoversi). Il primo mobile importante è la seggiolina, ampia, molto comoda e con i braccioli allo scopo di favorire al massimo la seduta indipendente anche per bambini prima dei 12 mesi. Il piano di seduta è di 35x35 cm, alto da terra non più di 20 cm, corrispondenti all’altezza dal tallone all’incavo del ginocchio, in modo che i piccoli possano alzarsi e sedersi facilmente da soli e secondo i ritmi personali (bisogna guardare le loro espressioni le prime volte che scoprono come farne uso per cogliere il piacere che provoca in loro). ll tavolino sarà in proporzione: 40x40 cm, alto 35, in modo da arrivare parallelo alla base del torace ed essere pienamente comodo durante i pasti o altri momenti di attività. Quando il bambino non è seduto, la sedia può essere posta in ordine sotto il tavolo69. Anche il letto è pensato in funzione della possibile indipendenza. Misure: 90x130 cm di lunghezza (potrà essere usato anche oltre i tre anni); altezza da terra 10 cm, con un materasso in crine per primo alla costruzione di un mobilio adatto ai più piccoli secondo le indicazioni AIM. 69. Col tempo la seggiolina a braccioli originaria, molto costosa da fabbricare, è stata sostituita da un’altra, ideata da Marangon, che ha avuto molto successo ed è stata adottata pressoché in tutti i Nidi. (Cfr. “Il quaderno Montessori”, XXXIII, 2016, n. 131, pp. 18-19).
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o in lana spesso non più di 10 cm. In totale 20 cm che permettono anche a 9-10 mesi di salirvi e uscirne secondo i ritmi personali (oggi nei Nidi più evoluti i letti a sbarre sono scomparsi a favore di lettini bassi, ovviamente di misure minori per motivi di spazio). Molto utile è anche la presenza di un tappeto non peloso, formato “preghiera”, com’è in uso presso gli Arabi, più ampio di uno scendiletto: vi si può mettere il piccolo di pochi mesi in alcuni momenti di veglia perché possa muoversi più liberamente che dentro una culla e sarà utile negli anni a venire per giocare, leggere e altro ancora. È ovvio che l’uso di questi oggetti richiede pazienza e delicato aiuto da parte degli adulti: l’effetto però, ancora una volta, è di tranquillità e benessere per piccoli e grandi.
Prime annotazioni sui neonati: un esempio Nel secondo anno di frequenza della Scuola le AIM cominciava il tirocinio osservativo in sala parto. Ecco gli appunti di una delle più giovani, tra le prime a recarvisi anche di notte, grazie al consenso dei suoi genitori. Lunedì 14 febbraio 1949 Da alcuni giorni alterno al Brefotrofio l’ospedale del Littorio70: ho visto vari parti, sia uno normale, sia con forcipe e uno podalico. Ogni volta una grande emozione. Vedo che pure le ostetriche con la faccia burbera, un po’ di emozione la provano. Noto quanto spesso i bambini nascano sporchi di sangue, di liquido amniotico, di muco. Quando si eseguono pulizie parziali con ovatta e 70. È il “San Camillo”, inaugurato da Mussolini il 27 ottobre 1929: nei primi anni dopo la guerra conservava ancora il titolo fascista.
panni alquanto ruvidi, i bambini vengono voltati qua e là senza riguardo e piangono forte e a lungo. Se poi hanno molta vernice caseosa soprattutto sul dorso, vengono strofinati con una spazzolina apposita, azione che li fa urlare ancora di più (ma loro dicono:“Strilla, strilla, che ti fa bene!”). Questo accade anche per la fasciatura dell’addome. Qualche ostetrica li lava sotto l’acqua corrente, ma mi pare anche peggio: il getto è forte e loro annaspano nell’aria gridando. Manine e piedini si raffreddano immediatamente. Sabato 19 febbraio 1949 Un altro bambino è nato con forcipe: come al solito aveva due lividi sulla faccia per la stretta delle branche e il tumore da parto sulla testa. È stato rianimato con un bagno caldo e uno freddo. Ha urlato moltissimo chiudendo gli occhi credo anche per la violenza della luce dai finestroni e del riflettore. In genere ai neonati è assai difficile aprire gli occhi per la profilassi71. Converrebbe aspettare che li aprissero da soli (abbassando la luce), senza forzarli, ma lì hanno tutti fretta. Domenica 20 febbraio 1949 Ho proposto all’ostetrica di lavare io il bambino appena nato e me lo ha dato volentieri. L’ho fatto con le dovute regole: delicatezza e lentezza dei movimenti. Acqua a temperatura corporea, immersione lentissima, asciugamano tenuto in caldo sul termosifone. Due minuti nemmeno e il bambino nell’acqua si è calmato e ha smesso di piangere. L’ostetrica è venuta a vedere se fosse successo qualcosa. Mercoledì 23 febbraio 1949 Oggi due parti fisiologici e un terzo gemellare, una vera emozione. Ormai mi occupo io dei neonati e delle prime cure profilattiche (“Così con te smettono di strillare”, mi hanno detto). Ne sono felice. Sono venuti anche due ostetrici, scettici e increduli, a guardare, mentre facevo il bagno a un neonato tranquillissimo. Ieri ho girato molto per le corsie, sono di quaranta 71. Si tratta della profilassi oftalmica, a protezione da infezioni di varia origine. Ancora sul letto del parto gli occhi dei bambini venivano aperti a forza e disinfettati con liquido adatto.
letti circa. Le donne, abbandonate a loro stesse, tengono i bambini nei loro letti, coperti da non poter respirare, fasciati come i putti di Luca della Robbia. Parlo con le puerpere, ben contente di trovare qualcuno con cui dialogare, e indico loro quel poco che ho imparato sull’orario libero e sulle cose che il bambino sa circa il succhiare e il dormire. Una madre che ha avuto già quattro figli, oggi mi ha detto: “Signori’, ho aspettato a attaccallo la prima volta fino a che l’ha detto lui piagnendo. Poi me sò regolata l’istesso. Adesso se sveja da sè ogni quattro ore: io jé vado dietro”72.
Simili constatazioni – moltiplicate – orientarono il lavoro con i neonati. Si vide subito l’effetto del diverso trattamento nelle grandi Maternità pubbliche, presente, anche se spesso mascherata, nelle costose cliniche private (in nome della salvezza del neonato!) e la quieta, raccolta atmosfera dei parti in casa, dove l’orologio è dimenticato e tutto si muove sui tempi del bambino e della donna73. Un’altra allieva AIM (1950) annota: Durante il tirocinio in ospedale ho visto quanto sia diversa la situazione nelle corsie dei bambini [all’epoca sempre con le madri]: arrivano le infermiere a dire che è ora della poppata. Certi piccoli non si svegliano subito e non hanno voglia di succhiare. Una volta una di loro dette un pizzicotto alla gamba del neonato perché aprisse gli occhi. Ovviamente il piccolo urlò e poi si lasciò consolare dal seno. Protestai, ma lei mi zittì dicendo che ero solo una “pivella” e potevo solo imparare da lei. Per fortuna la madre capì e in seguito protesse lei il figlio.
Molti anni sono trascorsi da quelle prime osservazioni, oggi convalidate da numerose ricerche in campi diversi, eppure troppi presidi ospedalieri 72. La frase di questa madre – io gli vado dietro – divenne proverbiale tra le Assistenti AIM perché del tutto consona al loro modo di agire. Testo pubblicato su “Il quaderno Montessori” n. 63, Anno XVI, 1999, pp. 1112. Le madri allora restavano in ospedale almeno otto giorni. 73. Oggi il divario appare ulteriormente aumentato con l’adozione pressoché generale dell’ossitocina sintetica (che accelera il parto) e dell’epidurale. Sono pratiche che, per vari motivi, rendono più arduo l’instaurarsi dei primi contatti più intimi tra madre e neonato.
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continuano a non dare valore alle sensibilità dei neonati. Il primario di un’importante neonatologia italiana arrivò qualche anno addietro a negarle del tutto. Maria Montessori nella IV conferenza del Corso nazionale, Roma 1950, dopo aver descritto comportamenti dei mammiferi superiori – in particolare quello dell’isolarsi delle femmine prima e dopo il parto con i loro cuccioli - ricordava come tale costume fosse ancora riscontrabile presso gruppi umani non raggiunti dalle nostre abitudini. [Per loro] “i primi giorni di vita rivestono eccezionale importanza. È stato osservato che in India le donne tengono i loro neonati a contatto con il proprio corpo: in quel contatto continua lo scambio che si è attuato tra madre e figlio nel periodo prenatale. Da noi la civiltà ha distrutto molti dei costumi che furono propri dell’umanità intera nei periodi più antichi e che si ritrovano ancora presso popoli che consideriamo meno evoluti. Nelle attuali cliniche i bambini appena nati vengono separati dalle loro madri cui vengono restituiti solo al momento di lasciare la clinica. Gli psicologi però sono del parere che tale allontanamento del neonato dalla madre possa avere ripercussioni sulla vita psichica del bambino. È vero che il neonato è inconscio, ma è anche vero che si può essere inconsci e avere un’intensa vita psichica. Non esiste forse una psicologia dell’inconscio?...
Dall’antropologia Anche questa scienza può offrire spunti di riflessione. Leggiamo ad esempio le testimonianze di studiosi come Catherine Berndt sugli aborigeni australiani o Colin Turnbull sugli Mbuti – i pigmei dello Zaire – entrambe di una trentina di anni addietro, circa il rapporto tra legame affettuoso madre/bambino da fine gravidanza ai primi anni e sviluppo di comportamenti cooperativi e non-aggressivi74 negli 74. Cfr. Il buon selvaggio, a cura di Ashley Montagu, Elèuthera, Roma
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adulti. In questi casi non è solo la protezione materna a creare il clima rassicurante e paziente, ma l’intero villaggio: una sintonia di pensieri e di modalità che non espone mai il piccolo a cambiamenti improvvisi e dolorosi75. Le modalità in auge negli anni Cinquanta, tese sempre a separare il bambino dalla madre, al presente si sono attenuate: grazie agli antibiotici è diminuito il rischio di contagi e i piccoli vengono dati alle madri appena nati, anche se questa è talora considerata più una moda “new age” che effettiva considerazione per i vissuti del neonato e della donna. (È necessaria comunque un’atmosfera accogliente perché l’incontro le risulti gradito e non imposto.)
Esploriamo le capacità sensoriali del neonato Con il contributo di Roberto Fraioli 76 Il tatto è il primo senso che il bambino sviluppa nell’utero. Nei 90 minuti seguenti al parto il neonato è in uno stato di forte attenzione e riesce a percepire tutto ciò che lo circonda specialmente attraverso il tatto. È quindi consigliabile che nelle prime due ore il bambino sia in contatto con il corpo della mamma, possibilmente pelle a pelle. Come è ovvio, il contatto diretto subito dopo il parto può essere reso impossibile dalle condizioni di salute della madre o del neonato o dalla necessità di effettuare accertamenti urgenti. Può accadere che bambini appena nati siano messi dentro culle termiche e affidati alle attenzioni 1987. Tra parentesi quadre due aggiunte tratte dalle esperienze AIM. 75. Si tratta di ricerche di grande interesse risalenti agli anni Settanta, oggi probabilmente già annientate dal modello occidentale vincente, come è già accaduto in passato con i nativi americani o con i popoli che al Nord e al Sud del mondo vivevano in modo pacifico. Una vicenda delle più recenti accaduta sotto i nostri occhi è stata l’aggressione della Cina sul Tibet, con l’imposizione dei propri modelli, la distruzione sistematica dei loro simboli e dei luoghi a loro più sacri e i bambini da subito inseriti per obbligo in strutture anonime di cura, secondo il modello cinese. 76. Ringraziamo sentitamente Fraioli per la sua disponibilità.
di medici e infermieri. Se la madre non fosse in grado di accogliere subito il bambino tra le sua braccia, la cosa migliore da fare sarebbe affidare il bambino al papà per il quale, forse, il contatto diretto al momento della nascita è ancora più importante, in quanto è in assoluto il primo contatto con suo figlio. Diversi studi hanno dimostrato che, se i genitori rimangono da soli con il loro bambino subito dopo la nascita, quest’ultimo si tranquillizza e smette di piangere più rapidamente. [Un massaggio delicato può aiutare a creare questo legame, specialmente nei casi in cui bambino e genitori siano stati separati e allontanati alla nascita (ad esempio in caso di taglio cesareo o di nascita prematura). Attraverso il contatto si aiuta la realizzazione di questa prima tappa dello “stare uniti”, dell’attaccamento reciproco, indispensabile per affrontare in modo sereno i successivi “distacchi” e quindi la crescita della relazione]. L’olfatto è un altro senso molto utilizzato dal neonato: sia lui, sia la mamma utilizzano l’odore per riconoscersi. Il primo latte (colostro) ha un odore molto simile a quello del liquido amniotico e il neonato, riconoscendolo, si sente protetto e al sicuro come nell’utero. Un’attività fondamentale per il primo legame è iniziare l’allattamento subito dopo il parto. In tal modo il bambino aumenta le difese immunitarie e la mamma aumenta la quantità di ossitocina e prolattina nel proprio circolo sanguigno. Anche la vista, sebbene in misura minore, è utilizzata dal neonato per percepire ciò che gli sta attorno. I suoi occhi sono in grado di mettere a fuoco entro una distanza che varia fra i 17 e i 30 cm, sufficienti per consentirgli di visualizzare il volto del genitore che lo tiene in braccio. Sembra che nei primi mesi di vita sia attratto in modo particolare da cose rotonde e scure a contrasto, come la forma del viso e gli occhi del padre o della madre.
L’udito riveste una certa importanza nello sviluppo del primo legame. Il neonato riconosce facilmente la voce della madre, già udita nell’utero e, a sua volta, cerca di attirarne l’attenzione emettendo suoni (pianto). [Ci sono prove interessanti circa il fatto che il neonato reagisce positivamente a melodie ascoltate spesso durante la gestazione]77. Il gusto: le papille gustative iniziano a formarsi quando il feto ha 7/8 settimane e sono funzionanti entro i nove mesi di gestazione. Una varietà di sapori viene trasmessa al feto attraverso il liquido amniotico; i neonati allattati al seno percepiscono molto presto attraverso il latte materno i sapori dei cibi e delle spezie di cui la madre si nutre. Una constatazione tratta dalle esperienze AIM con i neonati è il loro costante bisogno di calore. Ogni volta che vengono spogliati con poca precauzione rispetto a un eventuale sbalzo di temperatura, reagiscono con pianti acuti e contrazione degli arti che denotano dolore, forse paura. [Per evitare improvvise perdite di calore nelle prime settimane, le AIM si assicuravano che in principio, per i cambi come per il bagno, l’ambiente fosse almeno sui 24° (anche con riscaldamenti momentanei), spogliavano il bambino con gesti cauti parlandogli, verificavano che l’acqua del bagno fosse a 38° e che ci fosse lì accanto un asciugamano morbido e tiepido (basta una borsa calda al suo interno, per attenuare lo sbalzo di temperatura uscendo dall’acqua, decisamente non piacevole, ma sopportabile se minimo). Altrettante cautele qunado lo portavano all’esterno, proteggendo la testa – in particolare nel primo mese – con una cuffietta di lana nella stagione fredda e ventosa e di cotone leggero quando la temperatura esterna era elevata].
77. Cfr. T. Verny e J. Kelly, 1989. L’apparato uditivo è il primo organo sensoriale formatosi durante la gestazione all’ottava settimana e diventa attivo dalla fine del sesto mese. Questo spiega la sensibilità al linguaggio e alla musica, esistente già in utero.
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Il primo anno di vita Il bambino è attivo sin dal seno materno. L’attività delicatamente coltivata deve continuare in ogni età: solo attraverso l’attività il nuovo nato potrà conquistare l’indipendenza e perciò la vera libertà, quella dei figli di Dio Adele Costa Gnocchi
Originalità e unicità di ogni neonato Ciascun essere umano che nasce è una sorpresa, una novità assoluta, misteriosa, imprevedibile. Con il suo corredo genetico, unico, segnato nelle impronte digitali, nell’iride e, pare, perfino sulla lingua, è agli inizi totalmente dipendente dalla madre, eppure sensibile alla relazione con lei. “Parla” con un linguaggio non verbale e ben presto si rivela creativo nell’uso del proprio corpo e in seguito con gli oggetti, con modalità originali e diverse da ogni altro, rappresentante unico e sempre nuovo della nostra specie. Allo stesso modo non ci sono due foglie identiche, né due funghi, due moscerini, due rondini, nemmeno – è stato accertato – due fiocchi di neve... La diversità – o meglio biodiversità, da poco messa in luce – è il grande segreto della Natura. Solo coppie
di fratelli o sorelle omozigoti, nati da uno stesso uovo, ne sono esenti. Eppure, se crescono lontani l’uno dall’altro, in luoghi del tutto diversi, qualche differenza emerge. Come mai? Questo accade perché ogni essere umano, con il proprio patrimonio genetico – che nessuno può togliergli o modificare – entra in contatto con l’ambiente, vi si adatta, ne assorbe le sfumature più minute, il linguaggio che vi si parla, gli usi, la memoria storica e le caratteristiche geografiche. È il grande lavoro dell’infanzia, fin dalla nascita. Si può dire che ogni individuo vivente sia costruito per metà da un corpo guidato dalle mirabili – e solo sue – spirali di DNA e per metà dal suo adattamento all’ambiente: la margheritina dei nostri prati è un’asteracea, come la stella alpina che si è adattata al freddo delle alte montagne limitando il numero dei petali e rivestendoli di peluria. Ovviamente in millenni di evoluzione. L’essere umano ha ben altre capacità e forza di adattamento rispetto a un organismo vegetale o animale, foss’anche un orango o uno scimpanzé, i più vicini ad un umano. Una ricca massa cerebrale, direttrice d’orchestra di ogni assorbimento e azione, la posizione eretta, le mani in grado di costruire strumenti, la possibilità di parlare sono qualità uniche tra i viventi: non per niente la specie umana ha avuto in migliaia di anni espansione massima in ogni continente. Ogni nuovo essere umano è un anello prezioso in questa rete di individui, difficilmente misurabile. Chi diventerà – se positivo o distruttivo, generoso o avido, attivo o contemplativo... – dipenderà da molti fattori, ma se alla nascita lo accogliamo con amore, pazienza, conforto, poniamo fin dal principio basi nonviolente di apertura e di coraggio. La vita porterà in seguito mille cambiamenti, ma quel tesoro iniziale, fondante, glielo dobbiamo assicurare.
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Ogni neonato è pronto per entrare in relazione con sua madre Ecco delineato l’inizio dell’infanzia. È in sintesi ciò che, con Montessori, si è constatato sui primi anni di vita. D’altra parte non esistono modelli, schemi, regole pedagogiche per “educare”. Solo l’osservazione costante e obiettiva può guidarci nella ricerca degli aiuti migliori per ogni bambino o bambina. Lo scopo è che possano esprimere al meglio la propria originalità via via che crescono e diventare – malgrado eventuali difficoltà, timori, incertezze e perfino tragedie – individui equilibrati e costruttivi. Alla base di tutto c’è l’amore protettivo dei genitori nei confronti del figlio. Si riscontra già in numerose specie animali, per istinto, si dice, in realtà sono in azione particolari ormoni che guidano e modificano il comportamento usuale per attivare la cosiddetta cura della prole, un periodo di estrema protezione dei figli – pulcini o cuccioli – che si svolge secondo modalità tipiche di ogni specie e sottospecie. Si direbbe un periodo sensitivo che ha inizio quando due adulti, femmina e maschio, diventano genitori e che si conclude non appena il figlio può cavarsela da solo. Questo comportamento, determinato dal corredo genetico, riguarda anche noi umani. La nostra infanzia comincia da un impressionante punto di partenza... [il piccolo] giace inerte e a tale rimarrà a lungo, bisognoso di cure come un infermo78.
È il tempo della massima protezione, del latte materno, le cure, le abitudini per la creazione di quel primo legame madre/figlio, radice di tutti quelli che verranno, di ogni altro che potrà venire in seguito. A passi minimi, in un percorso di maturazione fisica e psichica lungo almeno quin78. Cfr. Il Bambino in famiglia, op. cit,. p. 17.
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dici anni, anticipato o prolungato a seconda delle culture, il figlio costruisce, se possibile, la propria indipendenza.
“Segui il bambino” Di che cosa si nutre l’amore parentale – quello della madre in primo luogo – se non della tenerezza che suscita il neonato e dell’esigenza sempre urgente di nutrirlo, consolarlo, cullarlo? Nelle esperienze AIM con bambini le cui madri erano disponibili a seguire il loro neonato anziché imporgli orari, era comune notare come i piccoli trovassero facilmente da soli una regolarità di alternanza: risveglio, poppata, sonno breve, tranquilli momenti di veglia, ancora sonno, poppata, rari i pianti, ben presto consolati... Che cosa occorreva? Ambiente molto quieto, luci moderate, uscite in esterno rinviate, brevi e silenziose le eventuali visite. Nei primi giorni non c’era altro da fare: “Segui il bambino”, propone Montessori e in questo le AIM sostenevano le madri. Nel giro di due, tre settimane i neonati assumevano un’alternanza regolare di intervalli di circa tre ore, che aumentavano nei bambini di maggior peso alla nascita. Il controllo del benessere era da valutare anche dall’emissione regolare di feci e urina e dalla crescita di peso dopo il recupero del calo fisiologico iniziale. Piccoli movimenti – la testa e gli arti subito mobili – e nelle ore di veglia, quiete e occhi già aperti e vigili. Daria, sei giorni, trattata in ospedale con gesti grossolani e veloci, urlava ogni volta che veniva cambiata (“Urla sempre questa qui” era stato il commento dell’infermiera). La madre, appena tornata a casa, la cambia con gesti calmi e poche parole rassicuranti: è sufficiente perché lei si mostri del tutto tranquilla e così anche nei giorni seguenti.
La madre ha bisogno di grande ma discreto appoggio nel periodo del puerperio, a volte facile,
a volte complesso per l’avvio dell’allattamento, la protezione del seno e altro ancora. Questo anche perché la suzione non diventi l’unico, sbrigativo mezzo consolatorio. Laila, tre giorni, appare inquieta ma si calma quando la madre tenendola in braccio le parla. Appare subito attenta ai suoni: al quarto giorno arresta il pianto quando il padre suona per lei qualcosa alla chitarra.
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Ormai sono in piedi e molto indaffarati Io desidero poter conquistare un quieto angolo del cuore del mio bambino e osservarlo nel suo vero mondo. So che le stelle parlano con lui e che il cielo si ferma sul suo capo, divertendolo con le nubi leggere e con gli arcobaleni. Ogni cosa che sembra muta e incapace di muoversi avanza verso la sua finestra con vassoi carichi di lucenti giocattoli… Rabindranath Tagore (premio Nobel 1913)102
Da tempi antichissimi si è indotti a pensare che la prima infanzia, passaggio obbligato nella crescita, sia qualcosa di puerile, di poco significativo. Eppure tutta la ricerca dal Novecento a oggi – nei settori psicologico, psicoanalitico, neurologico, antropologico, etologico, neuro-scientifico – dimostra il contrario. Maria Montessori in particolare ha dato valore alle primissime fasi dell’esistenza con osservazioni inedite sul neonato e sul suo legame con la madre, sui periodi sensitivi come sulle conquiste indipendenti di ogni bambino, “attivo dalla nascita, sensibile e in grado di comunicare”. Da non molti anni abbiamo cominciato a capire 102. Da La luna crescente, Carabba editore, Lanciano 1921.
che ogni essere umano, per la salvezza dell’intero pianeta, ha sue precise responsabilità nei confronti della biosfera e delle altre specie viventi che Montessori, come abbiamo visto nel primo capitolo, ha definito “compito cosmico”. La disponibilità ad esso non si acquista di colpo nell’età adulta, ma si costruisce passo passo, favorendo tutte le potenzialità del bambino dalla nascita. I piccoli nei primi anni di vita sono esseri straordinari – come dice anche il poeta Tagore – ma le loro capacità di natura biologica e psichica sono tuttora ignorate, svalutate, represse. Ogni volta le loro azioni, fattori costruttivi della mente, sembrano ripercorrere pietre miliari del cammino della specie e della storia umana e ciascuna di esse merita di essere riconosciuta. Come ogni adulto, anche ogni bambino assolve senza saperlo a un proprio speciale “compito cosmico” che emerge con particolare evidenza nel secondo anno di vita103. Perché parlarne in un testo centrato sulla primissima infanzia? Dopo lunghi anni trascorsi nell’ambito AIM a osservare l’attività dei più piccoli con il contributo diretto e indiretto di tanti, colleghi e studiosi, è confermato il fatto che i piccolissimi non giocano con questo e quell’oggetto a caso o perché, data la loro immaturità, non sanno fare altro, ma usano (ignari) le loro capacità in vista dell’età adulta, preparandosi ai “compiti” della specie. Dal primo mese si mostrano attivi nel rapporto con il seno materno, con la vivacità dei sensi, la sensibilità acutissima a ogni improvviso cambiamento e, in seguito, con le proprie mani. 103. Della prima elaborazione di questo testo esiste una traduzione in inglese, curata dalla californiana Karin Roberta Slabaugh, in collaborazione con Fulvio Honegger. Karin, diplomata AMI 0-3, dopo aver lavorato una decina d’anni con i più piccoli, ha voluto cercare le origini del lavoro Montessori in questo settore e ha così scoperto Adele Costa Gnocchi, la Scuola AIM e il CNM, del tutto ignorati nel corso AMI da lei frequentato in America. Questo l’ha portata a riflettere sull’incongruenza del parlare in nome di Montessori e al tempo stesso trattare i piccoli in modo prescrittivo e rigido, come le era stato insegnato. Molte delle tematiche affrontate insieme nelle nostre discussioni sono presenti in questo capitolo.
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Appena cominciano a stare seduti, si interessano agli oggetti che trovano alla loro portata, li esplorano leccandoli e succhiandoli e quando cominciano a stare sicuri sui due piedi, sono attratti dai tanti modi con cui oggetti diversi entrano in rapporto tra loro. Sono tutte iniziative messe bene in luce anche da Elinor Goldschmied, come vedremo appresso. È il periodo iniziale dello “studio” dinamico degli oggetti, basato sul “dentro e fuori”. Si dice “passano il tempo”, no, “lavorano” e intensamente. Se nel primo anno sono presi dal compito di conquistare linguaggio e posizione eretta, nel secondo cominciano a prepararsi per tempo ad abilità di cui usufruiranno molti anni più tardi. Non hanno bisogno che gli oggetti vengano predisposti davanti a loro, essi stessi li scovano in casa, nel giardino, sulla spiaggia, ovunque si trovino. La maturazione di esseri con un cervello così complesso e adattabile agli habitat più differenti come è quello umano esige un’infanzia tra le più lunghe e insieme una innata capacità creativa con un primo abbozzo di mentalità scientifica che ogni bambino manifesta – se non viene impedito – provando e riprovando un’azione finché gli riesce bene, quindi esercita la stessa con altri oggetti e poi con altri, finché inventa altro e ricomincia con prove analoghe. Il bambino di questa età non ha intenzioni, ma si esprime agendo con ciò che trova: parla attraverso le sue iniziative se gliene diamo la possibilità. Come i lupacchiotti si preparano alla loro abilità di futuri cacciatori mordicchiandosi tra loro, saltando e rincorrendosi (anche i cuccioli di cane e di gatto domestici lo fanno, al pari di molti altri in natura), così i nostri piccoli con loro originalissime modalità si preparano alle tante attività umane “allenandosi” al loro “compito cosmico”. Pensiamo ad esempio a un bambino di 18 mesi che, ormai sicuro in posizione eretta, veda oggetti che gli piace afferrare e scopre come usarli: cose che entrano ed escono in ogni modo possibile, aperture e chiusure, contenitori e contenuti tra i più vari. Indaffaratissimo nel leva e metti, infila 104
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e sfila, riempi e vuota… ripete a esaurimento per sperimentarne poi altre varianti. Sara, 15 mesi, mette la chiave in una serratura; un bastoncino nella serratura, il bastoncino tra gli elementi del termosifone, il bastoncino per battere sul termosifone, sull’armadietto, sul tavolino, per infilarlo diritto tra le mele appena arrivate in cucina con la spesa… Mimma, 12 mesi, trova un righello di plastica da 10 cm: lo inserisce nelle fessure di uno sgabello, nei fori di una rete, tra i libri di uno scaffale basso, perfino nel videoregistratore.
Ecco un esempio di notevole capacità osservativa e logica in un’età precoce. Riccardo, 22 mesi, mentre i suoi sono seduti all’esterno di un bar, osserva intensamente un grosso lucchetto – oggetto per lui sconosciuto – che chiude raso terra la saracinesca di un negozio lì vicino; dopo un poco prende le chiavi dell’auto dei genitori appoggiate sul tavolino e tenta di infilarne una nel lucchetto senza ovviamente riuscirvi.
Le esplorazioni continuano per più giorni, secondo tempi, ritmi e ripetitività del tutto personali e ogni volta con molta concentrazione: il bambino appare totalmente preso da ciò che sta facendo, dimentico di quanto accade intorno. Se, di fronte a certe sue insolite esplorazioni, l’adulto reagisce irritato, il piccolo ha l’aria di meravigliarsi della sua disperazione e continua imperterrito a provare. Acquista sempre maggiore sicurezza: profondamente assorto, quasi fosse uno scienziato allo studio, correggendosi da solo per spontanea esigenza di perfezionamento, anche se non è in grado di prevederne l’esito. Agli inizi del III capitolo de L’Autoeducazione Maria Montessori descrive proprio una sequenza del genere, osservata casualmente in una bambina di nemmeno 3 anni alle prese con un incastro solido: lo riempie e lo vuota per circa mezz’ora, senza mai distrarsi. Maria invita gli altri bambini a cantare, a fare un po’ di rumore, ma la piccola
continua. Lei la prende, la sposta con tutto l’incastro, ma niente ferma il suo lavoro. Dopo 45 minuti o poco più smette tutta soddisfatta e felice, andando altrove. Montessori racconta che per lei è stata l’osservazione decisiva circa i poteri della prima infanzia, resi possibili dalla libera scelta, l’assenza di giudizi e l’ordine: la scoperta del legame tra ripetizione spontanea e concentrazione e, insieme, dei primi segnali di un agire indipendente.
I bambini entrano nei Nidi A quasi cinquant’anni dalla legge 1044 per l’apertura di asili-nido comunali, una certa idea di Nido a impostazione montessoriana ha cominciato a diffondersi nel nostro Paese. In realtà, quelli in cui si attuino davvero le linee guida montessoriane – in particolare la principale “Osserva il bambino” – sono ancora rari. Comporta la rinuncia a imporre questo o quello, mettersi al servizio della sua inventiva e del suo sviluppo, riconoscendo il bisogno di attività individuale, pur trovandosi in un gruppo. È scelta delicatissima che per l’educatore comporta aver risolto il conflitto tra l’ignoto che viene da ogni bambino e il bisogno di certezza, tipico di noi adulti, tra l’esigenza multiforme e continua di esplorare propria dei piccoli e la nostra staticità. Valentina B., educatrice nel micronido di “Percorsi per Crescere” a Calcinate del Pesce (Varese) con otto bambini, di cui la metà del secondo anno, racconta (2014): Avevo preparato un’attività di infilo104: una scatola con alcuni bastoncini colorati da inserire in una tavoletta forata e loro che fanno? Li infila104. Una delle attività predilette dai piccoli del secondo anno è infilare/ sfilare. Nei Nidi si osservano molte varianti, ad esempio: castagne o catenelle in una scatola; grosse perle o bottoni in un cordoncino; inserire bastoncini in un foro; mettere chiavi o conchiglie in un sacchetto.
no nei forellini del coperchio sull’acquario delle tartarughe d’acqua che abbiamo nella sala. Li rimettevo a posto e qualcuno di loro li infilava lì di nuovo. Che vuoi? Li ho lasciati fare. Ho deciso di riportarli nella scatola quando erano andati a casa perché potessero farlo ancora il giorno dopo e così è successo. Qualche tempo dopo hanno smesso.
Se ci sono più bambini, ognuno persegue la propria sperimentazione, ma nel frattempo si osservano tra di loro e, pur così piccoli, cominciano a cooperare, come nell’esempio che segue, riferito ancora da Valentina: Ci hanno regalato una macchinina in legno con camioncino attaccato, molto stilizzati, ma loro hanno capito subito che cosa fossero. Rino di 15 mesi è andato a prendere un fagiolo dalla scatola dei travasi e lo ha messo sul camioncino. Dopo poco Tommy, di 16 mesi, ha raccolto un fagiolo da terra e l’ha aggiunto all’altro. A lungo hanno giocato insieme, muovendo avanti e indietro la macchinina e il camioncino dietro, alternandosi senza parole, cosa che mi ha meravigliato, visto che ne hanno pochissime.
Se si dispongono ad altezza di bambino alcune serie di oggetti (ciascuna in un diverso contenitore), i piccoli sono in grado di usarli per inventare combinazioni sempre nuove, differenti da un bambino all’altro, a volte accordandosi in giochi a due come nel gioco colto tra due bambini (i loro nomi sono fittizi) di circa 36 mesi105. Luigi ha in mano un lungo tubo di cartone che saggia in vari modi; Sandra si avvicina, lo esplora con lui, prende alcune nocciole e le infila nel tubo, le guarda cadere fuori, ne ascolta il rumore, le raccoglie, le infila di nuovo… ora è lui che gliele porge perché le faccia scorrere nel tubo... si alternano. C’è sintonia tra loro, una sorta di esperimento non verbalizzato. Altri bambini 105. Gioco fotografato da Margherita Vertolomo, coordinatrice del Nido del Cedro, Roma CNM, oggi non più esistente. La sequenza è stata pubblicata su “Il quaderno Montessori”, A. XXVII 2010, n. 107 ed è stata la prima documentazione di uno scambio senza parole tra bambini prima dei tre anni.
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entrano ed escono, ma il gioco continua. Tentano di sostituire le nocciole con fili, ma questi non li soddisfano, tanto che tornano alle nocciole...
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Occorrono educatori raffinati e ricchi di interesse per reperire materiali semplici che valorizzano azioni infantili, in apparenza insignificanti.
Osservazioni simili indicano che il lavoro a coppie non può che essere l’evoluzione di quello individuale, un punto d’arrivo che si basa comunque sull’intesa e sull’inventiva spontanee dei soggetti e che non esclude attenzione reciproca molto intensa. Il gioco a tre o a quattro comincia molto più tardi, intorno ai 4-5 anni. Per questo riunire i piccoli in gruppi di otto e proporre a tutti la stessa attività (come si usa nella Scuola d’Infanzia) significa richiedere di aderire passivamente a una proposta dall’esterno e quindi un anticipo forzato, anche se condotto con modi garbati: tutte capacità proprie di età successive. Tra il secondo e il terzo anno possono fare altro: varianti del dentro e fuori. In altri termini le attività di travaso: spostare da un recipiente a un altro; versare, riempire; vuotare con le mani o con uno strumento (cucchiaio, passino, imbuto). Travasare elementi grossi come noci, turaccioli, blocchetti di legno (se ancora portano cose alla bocca106), in seguito nocciole, ghiande, semi di ciliegia, farina di mais, sabbia… fino all’acqua (meglio evitare l’uso di pasta, riso e altri alimenti perché il bambino colga la diversità tra materiale di gioco e ciò che mangia, oltre l’ovvio rispetto che si deve al cibo). Ogni proposta risulta più interessante, nitida, se è separata dalle altre, ciascuna in un contenitore adatto per forma, dimensione e manovrabilità in modo che il bambino, fatta la sua scelta, possa facilmente trasportare il tutto – e in una volta sola – , nel posto che preferisce. Altri oggetti possono essere scatole, robuste bottiglie a bocca larga, cilindri di diversi materiali e dimensioni; rametti, frutti legnosi raccolti nei boschi, conchiglie, bottoni, anelli, bigodini, tubetti e così via.
Molti lamentano il fatto che i piccoli del primo anno, teneri e deliziosi, diventano “insopportabili”107 non appena raggiungono la posizione eretta; in realtà questo avviene perché il tipo di esplorazione che intraprendono con gli oggetti di casa crea fastidio, preoccupazione e viene quindi ostacolato. È già l’inizio di quella “lotta tra l’adulto e il bambino” su cui Montessori ha più volte richiamato l’attenzione. Si crea così nei piccoli uno stato tra irritabilità e insicurezza, manifestato con pianti, gesti aggressivi, perdita progressiva della capacità di concentrarsi, difficile da recuperare in seguito. Altri, “drogati” dal ciuccio, perdono interesse e intraprendenza. Non è cosa di poco conto, dunque. Attenti alla noia!, raccomandava Costa Gnocchi. Nella Scuola AIM era apparso ben chiaro il bisogno di essere attivo del piccolo bambino, dalle prime scoperte sensoriali nei primi mesi a un crescendo di azioni. Il gesto di guardarsi le mani muovendo le dita a 4 mesi o il trarre oggetti fuori da un contenitore e metterli dentro a 14, sono segnali dello stesso bisogno di scoprire le qualità delle cose, la funzione e il loro comportamento dinamico. In altre parole un inconsapevole chiedersi: che cos’è?/a che serve?/come si muove? Le allieve cercavano di rispondervi creando oggetti, soprattutto in risposta all’attività più evidente: il “dentro e fuori” in tutte le varianti possibili con la passione per i buchi in cui inserire cose diverse.
106. Goldschmied suggeriva alle educatrici di non fidarsi solo dell’occhio nella valutazione degli oggetti, ma di provare loro stesse mettendoseli in bocca per saggiarne la facilità o meno a inghiottirli.
107. Il terribile secondo anno, the terrible two’s, come dicono gli americani.
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Inventare oggetti per i più piccoli
Gli indicatori montessoriani
Le coordinatrici dei Nidi che qui di seguito raccontano sinteticamente la storia del loro impegno educativo171 formano con Grazia Honegger Fresco un gruppo di riflessione e di scambi che insieme abbiamo chiamato il “Roseto”. Dopo aver cercato di sintetizzare i punti di svolta (che cosa ha spinto al cambiamento, che cosa lo ha determinato) e le caratteristiche di ciascuno dei Nidi, abbiamo deciso di esaminare le modalità specifiche dell’ambientamento, punto di partenza essenziale ai fini del benessere di ogni persona coinvolta nella struttura Nido (bambini, genitori, educatrici, il personale nel suo insieme); di valutare la storia del proprio gruppo su una base comune, quella degli indicatori montessoriani che segnano il passaggio da una situazione centrata sul lavoro degli adulti ad un’altra centrata sui bisogni e sugli interessi dei bambini. La risposta delle colleghe è stata vivace e particolareggiata172. 1) I bambini a) Ogni bambino è attivo fin dalla nascita, da rispettare nelle sue manifestazioni; b) riconoscere in ogni bambino il bisogno prio171. Tutti comunali e in provincia di Varese, sono qui elencati in ordine di azione di cambiamento con la collaborazione di “Percorsi”: Caronno Pertusella, Cassano Magnago, Germignaga, Cardano al Campo (comunale dal 1977). 172. In corsivo correzioni e aggiunte proposte dalle coordinatrici.
ritario di continuità e stabilità nelle relazioni e nei particolari dell’ambiente (il posto delle cose), il bisogno di cura del suo corpo e del suo animo; c) mai addestrarlo o spingerlo ad anticipazioni di sorta; d) ogni bambino considerato nella sua originalità e diversità; e) ogni bambino come persona sensibile che comunica in modo empatico e non verbale; f) riconoscere a ogni bambino i suoi tempi personali di attenzione e di sviluppo, come pure la sua capacità di trovare da sé ciò che lo interessa; g) al tempo stesso riconoscere il bisogno di regole e di contenimento; h) importanza di ambientamenti graduali, protetti da figura affettiva stabile, in ogni situazione di ambientamento. 2) Le educatrici a) orientate a un grande rispetto del corpo e delle emozioni di ogni bambino; b) orientate alla fiducia nelle potenzialità e sensibilità dei bambini, capaci di osservazione sistematica, empatica e obiettiva; c) in grado di confrontare nel gruppo le proprie osservazioni, in un’ottica di ricerca e di collaborazione: autosservazione prima, condivisione poi; d) essere in contatto collaborativo e costante con i genitori; e) essere stabile punto di riferimento per un numero previsto di bambini a seconda dell’età; f) essere responsabile degli spazi di gioco e di cura; g) controllare il tono di voce, il modo di parlare e di rivolgersi a ogni bambino, la lentezza nei movimenti, nei gesti, a volte anche nella parola; h) nei primi due anni evitare al massimo situazioni a gruppo intero. Raggiungere a gradi la situazione del pranzo; i) esempio continuo e costante; j) la documentazione come risorsa e non come fatica.
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3) L’ambiente a) Organizzazione dell’ambiente in funzione delle capacità reali dei bambini, dei loro interessi, delle iniziative e del bisogno di stabilità; b) armonia, ordine, sobrietà di colori; niente decorazioni superflue, visibilità delle proposte; eventuali immagini significative per i bambini (anche riproduzioni d’arte) ad altezza dei loro occhi; c) scelta accurata degli oggetti per qualità, quantità, tipologia, tipo di materiale, in quale contenitore, tipo di attività favorita dagli oggetti stessi, disposti come e dove; d) aiuti indiretti all’indipendenza (fin dal primo anno) attraverso gli indumenti (vestibilità, allacciature), il supporto su cui si pone il bambino che ancora non cammina perché non vi affondi; studiare i mezzi che favoriscono l’attività motoria e l’esperienza dalla cura al corpo del bambino alla cura di sé; e) aiutare al massimo il linguaggio, scelta di immagini, canti, filastrocche, racconti, raccolte di immagini, ma soprattutto attraverso il dialogo frequente, affettuoso, che permetta al bambino anche di pochi mesi di prefigurarsi a poco a poco ciò che gli accadrà; f) proteggere la “libera scelta”, la ripetitività spontanea delle azioni e la concentrazione; g) proteggere e favorire le capacità autocorrettive (ovvero l’innata spinta dell’essere umano all’esattezza e al compimento delle proprie azioni); h) rispondere al crescente interesse per l’acqua e le attività domestiche cui i bambini mostrano appena raggiungono la posizione eretta; i) favorire ogni possibile incontro con la natura in risposta a loro nuovi interessi: piante, orto, voci, suoni, rumori, odori, animali, giardino… 4) I genitori, la famiglia (Indicatori proposti da Cardano, come ampliamento del gruppo 2/e) a) Ogni famiglia è unica e si rinnova a ogni nascita; b) curare anzitutto l’accoglienza, il sentirsi attesi; 152
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c) ascolto attento, disponibile, privo di ogni giudizio o pregiudizio; d) valorizzare il bambino all’occhio del genitore; e) linguaggio chiaro e condiviso nel gruppo di lavoro; f) obiettivo chiaro e condiviso, pur evidenziando differenze; g) la fiducia come unica strada possibile; h) la rete di sostegno; i) il Nido come luogo di riferimento, di crescita, di incontro.
L’ambientamento
Significato e sua realizzazione Uno degli aspetti centrali che si desume dagli indicatori Montessori è l’esigenza di riflettere a fondo sull’ingresso dei bambini al Nido, occasioni di grandi sofferenze per loro e di preoccupazioni per le famiglie come per le educatrici. Il bisogno di continuità su cui Montessori ha messo con tanta forza l’accento, è al culmine nel periodo in cui un bambino entra in una struttura collettiva – una scuola d’infanzia come in una Casa dei Bambini – e ancor più in un Nido. Quanto più è piccolo, tanto più rifugge dai cambiamenti ed esige stabilità. Questo comportamento precoce è stato evidenziato anche da Pikler e da Goldschmied: entrambe propongono modelli organizzativi che assicurino a ogni bambino la stabilità di chi ne ha cura, in assenza temporanea o totale della madre. Goldschmied parla espressamente di educatrice di riferimento, da lei definita persona-chiave per il benessere della persona infantile. Pikler organizza Lòczy su tale stabilità, ottenendo quei risultati di sicurezza e di indipendenza che rivelano direttamente lo stato di benessere dei bambini, malgrado il loro stato di orfani173. 173. Nei Nidi aziendali gestiti dal CNM e coordinati da M. Pia Fini già negli anni Ottanta – pur mantenendo la rotazione del personale nei limiti fissati dalle leggi vigenti – si assicurava ai bambini il massimo della continuità con educatrici stabili e responsabili di piccoli gruppi, creando
Il bambino non è una valigia! L’ingresso di un bambino in una collettività può essere per lui fattore di crescita solo a condizione che sia attuato in piena consapevolezza e nel rispetto delle sue esigenze: ogni frettolosità, ogni arrangiamento per comodità o urgenze di noi adulti – di casa o di Nido – possono causare gravi malesseri che comporteranno difficoltà a ogni futuro ingresso o uscita, nei rapporti con i coetanei, nelle reazioni di fronte a difficoltà e nel fermare l’attenzione sui giochi, sia pure accuratamente scelti. Questa fase di passaggio da una condizione familiare, già stabile con ritmi, relazioni e abitudini, a un’altra completamente diversa, è stata chiamata ambientamento e poggia essenzialmente su tre fattori: • estrema, cauta lentezza prima di arrivare alla separazione per rispettare il bisogno di continuità nelle esperienze quotidiane (periodo sensitivo dell’ordine); • un’educatrice stabile di riferimento174; • collaborazione stabile e continua con la madre o con chi in sua vece accompagnerà il piccolo giorno per giorno. Sull’ambientamento sono state rivolte alle coordinatrici dei quattro Nidi varie domande: 1. Da quando nel vostro Nido l’inserimento è diventato ambientamento? Nel Nido di Caronno P. il passaggio al termine “ambientamento” cominciò dal 1985, negli altri tre Nidi entro il 1992. Quando il 6 dicembre 1971 venne promulgata – anche in accordo con i genitori – un clima di grande calma e operosità. 174. E. Goldschmied negli anni Novanta indica così la persona che segue un gruppo stabile di 5 o 8 bambini e che è di riferimento per ciascuno di loro e relative famiglie, al fine di evitare frequenti e casuali cambi di persona, dichiarati indispensabili in molti Nidi, di fatto quanto mai negativi per i bambini e per i loro genitori. Cfr. Goldschmied, 2008.
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la legge 1044 che istituiva gli asili nido comunali, erano ancora in auge le regole ONMI a carattere prevalentemente sanitario. Era usuale parlare di “inserimento” riferito all’ingresso di un bambino in un asilo nido organizzato secondo le vecchie abitudini, dure a morire, di coccole e sgridate, lodi e minacce. A metà degli anni Ottanta, le responsabili che nel CNM conducevano alcuni Nidi romani ebbero chiaro che il termine era superato e del tutto incongruente rispetto a ciò che offrivano ai bambini. La parola “inserimento” dà l’idea di qualcosa (un cuneo?) o qualcuno che venga “infilato”, immesso, in condizioni di “passività”, di comportamento subito. Anche il termine “adattamento” ha in tal senso una connotazione negativa. Quando si parla di “inserire un bambino al Nido”, senza rendersene conto, si sottintende che lo si porta lì, piangerà un po’, ma prima o poi si abituerà: il bambino, come peso o intralcio, subisce decisioni e azioni di vari adulti, genitori compresi. Viceversa il termine “ambientamento” corrisponde a un’idea di partecipazione attiva al proprio sviluppo, come può essere quella di un seme o di una pianta, la cui crescita avviene per forze interne, in risposta o in opposizione alle condizioni ambientali di vita. Il significato profondo delle parole non è mai casuale. Fin dalle esperienze della Scuola AIM risultava chiaro che, per assicurare a ogni bambino il massimo benessere possibile in un luogo sconosciuto, lontano dalle persone per lui significative, fosse indispensabile un educatore sensibile, rispettoso, in grado di interpretare la sua voce muta, i desideri e le paure. Eppure ancora oggi questa modalità è messa in discussione. Col tempo è risultato altrettanto importante accogliere con il bambino i familiari che lo accompagnano, con tutte le loro abitudini e le ansie del caso.
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2. Da quando l’ambientamento da individuale è diventato di gruppo? Per vari anni si è introdotto nei Nidi un bambino alla volta con il genitore, poi ci si è resi conto che tale regola prolungava in modo eccessivo l’ingresso di molti piccoli. Intorno ai primi anni Novanta è stata introdotta la modalità a gruppi di 4/6 bambini al massimo con i loro genitori, realizzata con la collaborazione diretta di questi ultimi. È risultata più rassicurante e nei bambini ha promosso una partecipazione attiva, una sorta di certezza acquisita a poco a poco senza la paura dell’abbandono, risparmiando vissuti destabilizzanti e dolorosi. Anche sotto i 18 mesi possono entrare insieme cinque piccoli, che formeranno poi un intero gruppo, con l’educatrice di riferimento, con una collega in appoggio. I criteri qui descritti sono risultati egualmente validi per piccole strutture (Nidi/famiglia e micronidi), anche se in questi luoghi i tempi d’ingresso e il numero degli adulti sono vari in rapporto a quello dei bambini e degli spazi a disposizione. In ogni caso si cerca di mantenere alta l’attenzione ai criteri di continuità, con l’approccio graduale del personale a ciascun bambino, considerando la sua originalità e unicità. Qualunque sia la dimensione del Nido, sono essenziali almeno due incontri tra i genitori e l’educatrice di riferimento prima che il loro bambino entri, per visitare lo spazio, conoscere le abitudini, i criteri educativi, sapere come comportarsi durante l’ambientamento e, soprattutto, parlare del figlio, che cosa fa a casa, che cosa predilige, con che cosa gioca, ecc. È meglio che il piccolo non sia presente quando si parla di lui. Se da un lato tutto questo può costituire l’inizio di una sua ulteriore crescita, al tempo stesso è l’avvio tra genitori ed educatrice di una delicata relazione, che si rivelerà a gradi sempre più significativa. Dopo ogni incontro lei prenderà nota di quanto è stato detto
per preparare nel modo migliore l’accoglienza al bambino quando entrerà. Nel caso in cui l’ingresso di bambini nuovi sia condiviso tra due educatrici, entrambe saranno presenti agli incontri con i genitori in assenza dei bambini e separatamente prenderanno nota di quanto ciascuna avrà colto, per confrontarsi, mettere in comune le osservazioni e poi tenerne conto in egual misura. La coerenza tra loro è basilare perché ogni bambino si senta rassicurato e protetto da entrambe175. 3. Quali sono i criteri-base per organizzare l’ambientamento? In generale sono criteri di accessibilità ai materiali, opportunamente decisi e predisposti, per favorire la “libera scelta”; di rispetto della continuità e delle ripetizioni spontanee, in modo da dare sicurezza in una fase della vita in cui ogni novità improvvisa, ogni disturbo nella concentrazione nei giochi provocano sensazioni di instabilità e il timore di essere abbandonato (lo dimostra il fatto che, in condizioni simili, per altro frequenti nella maggioranza dei Nidi, i piccoli reagiscono con pianti spesso inconsolabili fino al vomito, ricorso continuo al ciuccio, atteggiamenti aggressivi verso altri bambini, comportamenti assai rari in Nidi diversamente orientati). Educatrici allenate a osservare e a non sottovalutare alcuna reazione infantile, si accorgono facilmente di segni di difficoltà emersi nei bambini e possono regolarsi di conseguenza. 4. Dal punto di vista organizzativo, il numero e i tempi degli ingressi dei bambini da ambientare dipendono dalla lista d’attesa e dalla disponibilità di presenza dei genitori nel Nido, correlata 175. Nel giugno 2016 la rivista “Bambini” ha pubblicato la proposta di un “inserimento” di tre giorni, affidato totalmente al genitore all’interno del Nido. Prima di imitare simile procedura (pare abituale in taluni Nidi svedesi) conviene riflettere seriamente sui delicatissimi bisogni espressi dai bambini.
ai permessi e ai loro tempi di rientro al lavoro o da altri fattori? a) Gradualità della separazione (tempo presunto 2 settimane, 3 in alcuni casi). b) L’educatrice di riferimento modula il proprio intervento (indiretto o diretto), tenendo conto che, malgrado siano presenti altri bambini, ogni ambientamento (ovvero: relazione, attenzione e cure) è comunque individuale, sia con i singoli bambini, sia con i loro genitori. c) Si riconosce alla madre (fidando che sia lei a condurre l’ambientamento) la competenza sul suo bambino: sarà lei a stabilire quanto tempo stare nel Nido con il figlio; successivamente concorderà con l’educatrice quando cominciare con il pranzo, condurre il bambino al sonno, iniziare a salutarsi. Lo lascerà serenamente se sente che è in buone mani e che può fidarsi dell’educatrice; capisce di non togliere nulla al figlio e che il legame con lui resta inalterato. d) Tutti i genitori dei bambini in ambientamento si conoscono tra loro e si sostengono a vicenda nell’esperienza (Caronno)176. 5. Si sono adottati altri criteri? a) È sempre meglio che non ci siano gruppi divisi rigidamente per età (primo, secondo e terzo anno), ma, a parte i bambini dei primi mesi, è preferibile che si trovino insieme piccoli e grandi (es. 18-24 mesi o 22-36) in una condizione più naturale; b) eterogeneità del gruppo dei bambini per età, famiglie, censo, ecc.; c) dare molta importanza alla storia del bambino, così come viene presentata dai genitori; d) nessuna educatrice di riferimento ha nel proprio gruppo figli propri, di parenti o di amici; e) non si affidano bambini in ambientamento a educatrici inesperte; se fosse indispensabile la loro presenza, devono agire esclusivamente 176. Indichiamo così commenti ulteriori di singole coordinatrici.
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in appoggio a colleghe che abbiano già condotto nel tempo vari ambientamenti; f) grande valore ha la preparazione della sala, con la scelta di oggetti semplici, di facile uso. Per i bambini che ancora non si spostano si può preparare il “cestino dei tesori”, avendo eliminato qualsiasi materiale che possa risultare ansiogeno per i genitori.
in seguito. La prima settimana - e finché il genitore è presente – si svolge di pomeriggio, in uno spazio che non interferisce con la giornata degli altri bambini presenti al Nido; si scelgono fasce orarie che non prevedano la compresenza di bambini nuovi con gli altri e stanze non utilizzate in quel momento e in seguito facilmente riconosciute dal nuovo arrivato (Cardano).
6. Quali orari durante l’ambientamento? Il tempo più lungo va dalle 9 alle 13, il più breve è di 2 ore (a parte i momenti iniziali con i genitori, puramente esplorativi), fino a 3/4 ore. In definitiva l’orario non si stabilisce a priori, ma si delinea di volta in volta, con la massima elasticità possibile.
9. Come si accolgono i genitori la prima volta di vero inizio? Oltre a quanto già detto da Caronno, ecco le pratiche adottate negli altri Nidi: la prima accoglienza è con la coordinatrice (che ha già incontrato in precedenza la coppia o il singolo genitore). Si sbrigano velocemente le pratiche burocratiche, quindi la coordinatrice propone di depositare nell’armadietto previsto giacche o altro, si accerta che il cellulare sia spento e infine li accompagna con il bambino nella stanza in cui l’ambientamento ha inizio. Questo passaggio avviene con una coppia alla volta (Cardano). Dentro la stanza l’educatrice, seduta in posizione tale da avere la visuale su ogni lato, cerca con i modi opportuni di metterli a loro agio [in precedenza sono stati informati della necessità di parlare a voce bassa, non chiamare il figlio da lontano, non interferire nelle sue scelte e nemmeno in quelle degli altri]. Nella sala dei più piccoli le mamme trovano poltroncine basse e comode per tenere i figli in braccio, allattarli (Cassano). Sul tavolo coperto da una tovaglia i genitori trovano sempre acqua e bicchieri, caramelle o altri generi di conforto (Germignaga).
7. Come si prepara l’ambiente per i bambini nuovi? L’ambiente è preparato secondo criteri di accoglienza: angoli visibili, confortevoli, facili da raggiungere, a giusta distanza dal tavolo con le sedie dove sono i genitori. Le proposte di gioco rispondono il più possibile a quanto riferito da loro, secondo le diverse età: • per i piccoli che stanno sdraiati: pezzuole, nastri colorati, sonagli di legno costruiti nel Nido; • per quelli che stanno seduti: oggetti da portare alla bocca; • per quelli che si spostano: oggetti che rotolano, barattoli di varie misure con oggetti da mettere dentro e fuori, pupazzetti morbidi cuciti dalle educatrici o dalle mamme, scatola in cui inserire una pallina e simili; • i più grandicelli trovano in un piccolo spazio adiacente anche dentro, gradini per salire e scendere, pedane, rotoli, quadricicli... (Germignaga). 8. Dove e come avviene l’ambientamento? Nei quattro Nidi l’ambientamento si svolge nell’ambiente in cui i bambini vivranno anche 156
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10. Che cosa fanno e dove stanno i genitori durante l’ambientamento? All’inizio i genitori – presenti in un angolo della sala dove i figli cominciano a prendere contatto con cose e persone – trovano su un tavolo giornali e riviste. Quando poi familia-
rizzano con la situazione, si presentano loro alcuni quaderni preparati dal personale appositamente per questo momento [illustrano attività svolte dai bambini in anni precedenti]. In seguito si propone di preparare a loro volta un quaderno del proprio bambino, con materiale messo a disposizione, al quale, se vogliono, possono aggiungere fotografie di famiglia che il piccolo potrà poi vedere. In questo quaderno sarà raccolta la sua storia al Nido (Germignaga). Si propone anche di cucire le fettucce con il nome ai suoi asciugamani e indumenti, segnare con un particolare contrassegno la scatola che conterrà le sue cose. Sono a disposizione attività su come preparare strisce di cartoncino con i segni su cui tagliare per i bambini che cominciano a usare le forbici; eseguire semplici riparazioni non rumorose per non disturbare. È prevista un’altra educatrice che promuove il dialogo tra i genitori, offre loro generi di conforto (caffè, biscotti), letture specifiche, mostra come costruire piccoli giochi da tavolo (tombole di immagini e altri appaiamenti) (Caronno). 11. Che cosa fanno intanto altri bambini già da tempo nel Nido? La giornata dei bambini già ambientati non viene modificata, perché per i primi sette/dieci giorni, ogni nuovo ingresso avviene fuori dal turno di lavoro dell’educatrice, cioè dopo esser stata l’intera giornata con i bambini dell’anno precedente (in questo caso i nuovi cominciano nel primo pomeriggio) (Cardano). Mentre l’educatrice di riferimento si occupa dei nuovi bambini a lei affidati, le colleghe sono con gli altri che gradualmente potranno condividere i momenti di gioco, lo stare a tavola e a dormire, mentre il cambio resterà individuale per i più piccoli (Caronno). I bambini già ambientati vengono informati
qualche giorno prima dell’arrivo dei nuovi, si dicono i loro nomi. Si prepara con loro l’accoglienza con piccole attenzioni come il posto a tavola con stoviglie e posate, la sedia per i loro genitori (Cassano). 12. Come si avvia la separazione? Il tempo è concordato con il familiare presente. Dato che i tempi sono individuali, non accade mai che escano tutti contemporaneamente. Durante le prime separazioni il genitore può sostare in una saletta attigua dove trova un divano, riviste, libri, può accedere alla macchina per caffè, tè o altra bevanda, parlare con la coordinatrice, rivolgerle domande che nella sala con i bambini non vengono poste per non disturbarli. Lo sguardo, il sorriso, l’avvicinarsi del bambino, come risponde ai delicati contatti con l’educatrice, se porta o accetta l’offerta di giochi: sono i principali indicatori di un interesse verso di lei, di un contatto che si va rafforzando (Cassano). Per i piccolissimi anche l’espressione del viso, il corpo che non si irrigidisce al contatto ma “si lascia andare”, sono segnali che il bambino non è più in una condizione di difesa, ma è disposto ad affidarsi a una persona via via più familiare. Il tempo del gioco, della concentrazione si allunga, mentre diminuisce il bisogno di stare sempre vicino alla madre o di sentirne lo sguardo. L’ambiente non è più uno spazio sconosciuto: il bambino trova punti di riferimento nei materiali che preferisce finché le proposte di gioco non sono più una scoperta casuale; sa che cosa lo interessa e dove lo può trovare (Cardano). L’educatrice nota quanto tempo il bambino rimane lontano dalla mamma, senza nemmeno guardarla, ma valuta anche i sentimenti espressi da lei. Le prime separazioni avvengono quando il bambino si allontana con l’eduDA SOLO, IO!
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catrice in una stanza attigua, mentre la madre resta nella sala, la saluta: “Ciao mamma, vado a giocare con...”. Lo si fa anche con bambini che ancora non parlano: in tal caso è l’educatrice che saluta al loro posto (Germignaga). 13. Fate in modo che nessun bambino pianga? a) Il fatto che un bambino manifesti o no sofferenza al momento di separarsi dipende da più fattori: la delicatezza con cui l’ambientamento si è svolto, la sincerità dei rapporti con il genitore che accompagna il bambino, la gradualità dei passaggi, la continuità dell’esperienza; quindi non “facciamo” niente in proposito. La tranquillità del bambino è il risultato dell’intera esperienza. Tuttavia può accadere che qualcuno, malgrado tutto, pianga, anche per poco177. Importante è cercarne le ragioni insieme al genitore presente (Germignaga). Condivido, comunque sono facilmente consolabili, non si disperano nei giorni a seguire (Caronno). Ci sono bambini che non riescono a superare facilmente le frustrazioni, con loro occorre – diversamente da come si agisce con gli altri – una vicinanza costante, parole rassicuranti, canzoncine... Evitiamo i dolciumi (Cassano). Le energie impegnate negli ambientamenti (25 in media ogni anno) sono tante: ad esse dedichiamo sempre molto tempo di riflessione e di confronto. Altrettanto per le variabili di pianto. Cerchiamo comunque di sostenere le emozioni del bambino e di non lasciarlo solo. (Cardano). b) A volte però succede che alcuni piccoli piangano e i motivi possono essere vari: la storia personale del singolo bambino, le 177. Parere espresso anche dagli altri Nidi.
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sue abitudini, il contesto familiare e culturale, ad esempio il fatto di essere a casa sempre al centro dell’attenzione di vari adulti o di venir soddisfatto prontamente a ogni minima richiesta (Cassano). Accade se il momento del primo saluto è stato troppo anticipato o forse per la prima volta gli si chiedeva di salutare la mamma, mentre era abituato a vederla in un dato posto e ora non la trova più e non riesce a lasciarsi attrarre da altro. Talvolta è il genitore che non ha come sostenerlo, essendo egli stesso in difficoltà per la separazione. Viceversa il disagio dell’educatrice ha modo di stemperarsi nelle riunioni di gruppo, parlandone con le colleghe (Cardano). L’educatrice si fa carico di un disagio del genere. Ad esempio dice alla madre: “Non lo sta abbandonando, lo tenga un po’ con Lei, lo saluti e poi me lo dia... Vada tranquilla, vediamo come va, poi Le telefono”. Le parole consolanti possono essere tante. L’importante è non lasciare soli né il piccolo, né l’adulto (Caronno) Nei legami affettivi ogni separazione provoca dolore: i piccoli sentono come noi, ma non possono farsene una ragione. Non è facile per un adulto, perché dovrebbe esserlo per loro? L’essenziale è la gradualità, il progressivo allontanamento con l’aiuto di nuovi interessi (Germignaga).
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DA SOLO, IO! Il progetto pedagogico di Maria Montessori da 0 a 3 anni
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Ci sono libri che nascono con il preciso intento di lasciare una traccia il più possibile completa e ordinata di un pensiero educativo che a distanza di tempo corre il rischio di essere propagandato per sintesi e slogan. Questo libro nasce con l’intenzione di ricostruire il lavoro di Adele Costa Gnocchi che di Maria Montessori è stata interprete fedele, acuta e geniale. Raccoglie memorie e indicazioni precise del suo lavoro creativo e si sofferma volutamente sui primi tre anni, offrendo ai lettori la possibilità di attraversare il concetto di educazione dalla nascita come aiuto alla vita, sul cui significato Adele Costa Gnocchi ha lavorato e sperimentato, impostato e declinato il pensiero di Maria Montessori. Sostenere il diritto del bambino al “rispetto”, fare in modo che questo non sia parola vuota, di comodo, ma correttamente impostare un approccio educativo montessoriano fin dall’attesa è quanto queste pagine fanno declinando il pensiero di Maria Montessori e raccogliendo esperienze sperimentabili ancora oggi. Un libro per educatori, genitori, insegnanti affascinati dalla possibilità di un progetto pedagogico basato sull’osservazione, sulla fiducia nelle forze naturali dei bambini e dei ragazzi, in un ambiente liberante, senza banchi, né premi, né voti, come sosteneva la Montessori. Non dal dire al fare, ma dal fare al riflettere, dal dedurre al provare ancora, indicava Maria Montessori. Una via scomoda perché non consente ricette, però una via onesta, fonte di benessere per bambini e per adulti. E di questa onestà il libro è sintesi e provocazione per chiunque abbia voglia e bisogno di cominciare da subito a educare i bambini rispettandoli per quello che sono e non per come li vorremmo noi.
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Grazia Honegger Fresco, allieva diretta di Maria Montessori e di Adele Costa Gnocchi, ha avuto una lunga esperienza di lavoro sia con bambini piccoli e grandi, sia con genitori, educatori e docenti. Con la meridiana ha già pubblicato nella collana Partenze Senza parole (2002), Un nido per amico (2007), Facciamoci un dono (2009) e Accogliere un bambino (2013) e, nella collana Paceinsieme, Radici nel futuro. La vita di Adele Costa Gnocchi (1883-1967) (2001).
copertina disegno di Fabio Magnasciutti In In copertina disegno di Fabio Magnasciutti
Euro 18,50 (I.i.) Euro 18,50 (I.i.)
ISBN 978-88-6153-570-1 ISBN 978-88-6153-570-1
9 788861 535701 9 788861 535701
edizionilalameridiana meridiana edizioni p p a a r r t t e e nn z z e e