Dentro l'aula. Tecniche, metodologie e pratiche per gestire classi difficili

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M. Romualdi - D. Antognazza

DENTRO L’AULA Tecniche, metodologie e pratiche per gestire classi difficili

DENTRO L’AULA

Tutti gli insegnanti hanno, prima o poi, classi che amano di più e altre che amano meno, studenti con cui non si riesce a entrare in relazione, giornate in cui nessuno li ascolta, situazioni in cui perdono il controllo, classi e allievi difficili. Questo libro risponde alle domande più frequenti degli educatori che si trovano a dover affrontare “casi difficili”: “Cosa possiamo fare per questi ragazzi?”, “Cosa può dunque fare questo ragazzo per sé?” e “Cosa possiamo fare insieme io e questa persona, perché lui sviluppi il meglio di sé?”. Se la definizione più comune di “gestione della classe” è “l’insieme di azioni che adottano gli insegnanti per cercare di mantenere o ristabilire l’ordine in classe, per motivare e coinvolgere gli allievi e infine per stimolare atteggiamenti cooperativi degli stessi”, gli autori intendono anche sottolineare come sia “un percorso fuori, nella scuola, nella classe, dentro di noi, nei nostri diversi ruoli e nelle nostre emozioni e sentimenti”. Perché gestione significa prima di tutto gestirsi e poi gestire con tecniche e metodologie. Dentro l’aula, soprattutto quando ci ritroviamo da soli con gli studenti, a gestire noi stessi, tutelare il nostro benessere e la classe, le sue emozioni, i bisogni personali di ognuno, risolvere le situazioni di disturbo e soprattutto capire e risolvere i “nostri” casi difficili, senza mai dimenticare lo scopo per cui siamo in classe: insegnare e far apprendere. Fuori dall’aula, appoggiandoci con fiducia a tutte le figure di riferimento che ci circondano. “Gestione dell’allievo e della classe”, perché la finalità principale per ogni docente è quella di lavorare per e con la classe nel creare una buona relazione.

Miriano Romualdi Davide Antognazza

Miriano Romualdi, nato a Forlì nel 1965, ha insegnato in tutti i livelli di scuola dalla primaria alla secondaria di primo e secondo grado. Specialista in tecnologie educative e in problemi di gestione, da tempo lavora presso il Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI di Locarno che si occupa delle abilitazioni e della formazione continua di docenti di tutti i livelli scolastici. Davide Antognazza, pedagogista, studioso e ricercatore sulle tematiche dell’educazione socio-emotiva e applicazione degli studi sull’intelligenza emotiva e sulle life skills nella formazione degli adulti. È docente ricercatore senior presso il Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI di Locarno. Con la meridiana ha pubblicato Crescere emotivamente competenti (2017). ISBN ISBN 978-88-6153-749-1 978-88-6153-749-1 In copertina disegno di Fabio Magnasciutti

Euro 16,00 (I.i.)

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Miriano Romualdi DENTRO L’aula Davide Antognazza Tecniche, metodologie e pratiche per gestire classi difficili

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Indice

Introduzione ................................................................................. 9 Parte Prima Gestire se stessi per gestire gli altri

Un manuale o una dispensa .......................................... L’obiettivo, quello vero ..................................................... L’alfabetizzazione emotiva del docente ............... Dar voce alle proprie emozioni in classe ............ Mindset: riconoscerli per usarli .................................. Ascoltare la propria voce interiore .......................... Pensare positivo, di sé e dei propri scolari ....... Focalizzarsi sulle soluzioni .............................................

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Parte Seconda Gli strumenti di base per la gestione Cosa intendiamo per strumenti di base ............... Il paraverbale e la voce in particolare ................... Altri aspetti del non verbale ......................................... Come procedere per migliorare il proprio non verbale ........................................................ Situazione ideale in classe ...............................................

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Parte Terza Casi difficili: un percorso dal disagio alla relazione attraverso l’“edu-didattica” I casi difficili fanno parte della vita del docente .......................................................... Le situazioni di disturbo e i casi difficili ............. Tipologie di casi gestionali ............................................. Cause, concause e sintomi nei casi 3 ...................... Quale atteggiamento preventivo nell’insegnante? ......................................................................

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Parte Quarta Tecniche, metodi e procedure per la gestione di casi “difficili� Davanti a una situazione critica ................................. 99 Tecniche, metodi e procedure .................................. 101 Il colloquio ............................................................................... 115 Casi difficili: analisi ........................................................... 123 Conclusioni ............................................................................. 135 Bibliografia .............................................................................. 137



Introduzione

Miriano: “Perché io gestivo bene i miei casi difficili?” Ho insegnato in tutti i livelli scolastici per quasi 30 anni, dalle scuole elementari al livello liceale e nelle scuole professionali, e fin dai miei primi anni di insegnamento ho capito che riuscivo a gestire bene le classi e a gestire bene i miei casi difficili. Questo libro nasce in primo luogo dalla mia ricerca di voler capire “perché io gestivo bene le classi difficili?”, “perché gestivo bene i miei casi difficili?”, “cosa facevo senza saperlo?”, “come trovavo il modo di superare le difficoltà di comunicazione e le incomprensioni?”. Questo non significa che non avevo mai problemi, ma che in genere, in qualche modo, li prevenivo e, in base alle discussioni con i colleghi in aula docenti, ne avevo meno degli altri. Dopo anni di studi e di lavoro nella formazione degli insegnanti ho trovato le mie risposte, e dopo molti scambi di idee con Davide abbiamo trovato delle risposte condivise, che vi aiuteranno con “i vostri casi difficili”.

Davide: “Cosa significa educare?” Ho viaggiato, letto e approfondito con piacere per anni i temi della psicologia e dell’educazione. Iniziando a lavorare nel sociale in doposcuola e centri giovanili, con bambini e adolescenti classificati con “svantaggio socio-culturale”, mi ero preliminarmente posto una domanda: “cosa hanno questi bambini e adolescenti per essere qui?”, nell’errata convinzione che, conosciute le cause di un problema, si possa avere pronta la soluzione. Sentendomi educatore, la mia domanda si è poi modificata in: “Cosa posso fare io per questi ragazzi?”, scontrandosi comunque con il fatto che qualcosa si può fare, ma non certo tutto. Sorse allora la nuova domanda: “Cosa può dunque fare questo ragazzo per sé?”, domanda che toglieva però importanza al ruolo di educatore, lasciando cadere anni di studi e di esperienze. Il risultato finale di questa passeggiata nei miei pensieri è ora una nuova domanda, anzi la domanda finale, che mi pongo ora di fronte a bambini e adolescenti, che propongo ai nuovi educatori, e che formulo oggi ai futuri docenti, soprattutto se confrontarti con classi e allievi difficili: “Cosa possiamo fare insieme io e questa persona, perché lui sviluppi il meglio di sé?”. Abbiamo scritto questo libro in due, perché da anni lavoriamo insieme; siamo simili, ma diversi, come potete comprendere dai due aneddoti precedenti, ma nel nostro lavoro di formatori ci siamo trovati spesso a dover rispondere alle stesse domande, di anno in anno, poste da docenti in formazione che cercavano risposte, istruzioni sul “come si fa”. Senza voler essere esaustivi e definitivi, questo testo è il nostro tentativo di dare una risposta. Esso considera l’insegnante come un professionista che agisce consapevolmente nella gestione della classe e nella relazione con i suoi allievi, utilizzando varie tecniche, metodi e procedure. dentro l’aula

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A scuola: ma quante cose devo fare? Questa è prima la domanda che assilla ogni docente. Devo fare tutte queste cose? Preparare i materiali, scegliere il metodo adatto, insegnare, gestire, tenere riunioni con i genitori, tutta la parte amministrativa, la formazione continua anche obbligatoria, le riunioni e le correzioni… E se a questo si aggiungono le classi difficili, i nostri casi difficili in classe, come possiamo gestirci e poi gestire? Il testo vuole aiutarci a lavorare a lungo con passione e con il piacere di entrare dalla porta della scuola ogni mattina, elaborando soluzioni per affrontare i nostri casi difficili, in particolare quando si è in classe da soli.

E la prima cosa da fare? “Sapere” quali sono le priorità Il famosissimo studio o metastudio di Hattie (2009) Visible learning, che ha analizzato migliaia di ricerche in tutto il mondo, dimostra che in realtà poche cose a scuola migliorano l’apprendimento dell’allievo. Nello studio si esprime con “1” l’indice di correlazione positiva massimo e con “-1” indice di correlazione negativa massima. Quindi 0.72 indica una correlazione positiva molto alta tra due variabili. “0” indica due variabili non correlate, il che significa nessun influsso sull’apprendimento. Secondo Hattie hanno un influsso positivo sul successo scolastico degli allievi quattro fattori: • la relazione con l’allievo (0.72)1; • l’aggiornamento professionale del docente (0.62). Dal momento che la preparazione di1. Per altre informazioni sul tema consultare: Hatzfeld, Thorsten, Kern, 2014.

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sciplinare ha un’incidenza quasi nulla (0.009), si tratta quindi di aggiornarsi molto sul piano pedagogico; • la coesione della classe (0.53); • la gestione della classe (0.52). Tre di questi fattori sono centrali in questo testo: 1) la relazione con ogni allievo, 2) l’aggiornamento professionale in ambito pedagogico (e il manuale ha anche questa finalità) 3) la gestione della classe. Troverete quindi questo, strategie e consigli per migliorare il vostro benessere, l’ambiente classe e il rapporto con allievi e casi difficili in tutte le sue componenti, relazione e gestione, apprendimento e didattica.

Diverse definizioni di gestione Per entrare nel merito del manuale vorremmo ora definire e delimitare il gestire come concetto. Vi sono molteplici definizioni di “gestione della classe”, in generale però in quasi tutte compare il concetto di azioni che adottano gli insegnanti per cercare di mantenere o ristabilire l’ordine in classe, per motivare e coinvolgere gli allievi e infine per stimolare atteggiamenti cooperativi degli stessi2. Definiamo ora cosa intendiamo per gestione della classe in questo lavoro. Questa era la nostra prima definizione e ci piaceva: L’organizzazione e gestione della classe concerne le condizioni e le modalità adottate dall’insegnante per consentire alla classe di risultare un contesto ordinato, positivo e cooperativo nel quale gli allievi partecipano attivamente e 2. Emmer, Stough, 2001.


sono profondamente coinvolti emotivamente nelle attività che svolgono. Vivono quindi in una rete di relazioni profonde e positive che permette loro di collaborare, criticare, mediare e condividere saperi, vissuti ed emozioni. Tale contesto è determinante per il raggiungimento degli obiettivi e delle competenze fondamentali definite da ogni curricolo scolastico.

Questa, invece è la nostra ultima definizione, che completa la prima e che ci ha guidati in questo lavoro. La prospettiva è quella del punto di vista dell’insegnante in classe da solo o fuori dalla classe con le sue emozioni e la sua unicità: La gestione è un percorso fuori, nella scuola, nella classe e nei suoi vari spazi, e dentro di noi, nei nostri diversi ruoli e nelle nostre emozioni e sentimenti. Gestione significa prima di tutto gestirsi. Dentro l’aula, soprattutto quando ci ritroviamo da soli con gli allievi, dobbiamo gestire noi stessi, tutelare il nostro benessere e gestire la classe, le sue emozioni, tutelare i bisogni personali di ognuno, risolvere le situazioni di disturbo e soprattutto capire e risolvere i “nostri” casi difficili, senza mai dimenticare lo scopo per cui siamo in classe: insegnare e far apprendere. Fuori dall’aula, appoggiamoci con fiducia a tutte le figure di riferimento che ci circondano.

Due binomi: gestione per la relazione e didattica per l’apprendimento ossia l’edu-didattica In questo lavoro abbiamo, inizialmente, avuto molti dubbi se parlare di gestione o relazione, o di entrambi questi concetti. Gestione e relazione sono termini fondamentali nella professione del docente. A volte divengono termini tra loro antitetici: in effetti non diventa talvolta più difficile “gestire” una persona con cui si ha un’ottima relazione?

Il concetto di relazione non lo definiamo di proposito, dato che ognuno dovrebbe adattarlo a se stesso, ai suoi bisogni e necessità reali del contesto scolastico in cui si trova ad operare. Abbiamo scelto quindi di parlare all’inizio principalmente di gestione, in particolare perché tale termine aderisce al meglio al linguaggio condiviso dai nostri colleghi docenti. La critica che molti (o quasi tutti) i docenti rivolgono ai pedagogisti e agli specialisti del settore (psicologi, logopedisti, assistenti sociali…) è di non essere pratici, di non dare soluzioni reali e di credere inoltre che tutto sia risolvibile. Bello parlare di relazione, ma poi? Entro in classe e dico ai miei allievi: “Dai ragazzi creiamo una bella relazione fra noi da oggi”. “Dai diventiamo amici”. Nel concreto, dopo aver fatto tante riunioni con specialisti o persino dopo aver seguito un bellissimo corso sulla relazione e sulla gestione, quando si entra in classe e si chiude la porta, i docenti spesso sentono ancora di essere privi di strumenti e di soluzioni vere, in special modo di fronte a casi difficili o complessi. Per questo parleremo preferibilmente di “gestione dell’allievo e della classe”, anche se una della finalità principali di ogni docente è quella di lavorare per e con la classe nel creare una buona relazione. Quindi, innanzitutto, gestione per la relazione e indirettamente una buona relazione per una migliore gestione. Abbiamo inoltre messo in evidenza il collegamento tra i due binomi relazione/gestione e apprendimento/didattica, introducendo un nuovo concetto e un termine, quello di “edu-didattica”. Questo nuovo concetto vuole rendere chiaro l’apporto della didattica nel prevenire e risolvere problemi gestionali e l’apporto della relazione e della gestione nel migliorare l’apprendimento e la didattica.

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Nella parte sull’edu-didattica cerchiamo di fornire su questi aspetti soluzioni pratiche e concrete, sperimentate sul campo da noi e da altri specialisti e colleghi, che siano duttili e comprensibili per tutti.

Dunque, perché questo libro? Tutti noi abbiamo classi che amiamo di più e altre che amiamo meno, allievi con cui non riusciamo a entrare in relazione, giornate in cui nessuno ci ascolta, situazioni in cui perdiamo il controllo, classi e allievi difficili. Per queste situazioni vi invitiamo a leggere questo testo e a sperimentare almeno in parte alcune delle tecniche e dei consigli in esso contenuti e, soprattutto, a evitare certi atteggiamenti e comportamenti difensivi della “vecchia scuola”: urla, minacce, lezioni piatte e noiose… Allo stesso tempo leggetelo per evitare di non dormire turbati dai “vostri casi difficili” in classe. Non vi daremo soluzioni facili e preconfezionate, ma vi aiuteremo a sviluppare una teoria della pratica Bourdieu (2012): un habitus che vi permetta di gestire in modo diverso tante situazioni diverse, tante classi diverse e soprattutto i nostri casi difficili. Nel farlo facciamo riferimento in particolare ad allievi con un’età che va dai 9 ai 16 anni e con un focus particolare sulla scuola secondaria di primo grado e sul primo biennio della secondaria di secondo grado, fasi in cui l’adolescenza porta a grandi mutamenti fisici (pubertà) e sul piano cognitivo a un’entrata lenta e tortuosa nel mondo degli adulti.

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Le parti Il nostro lavoro si divide in quattro parti principali, ognuna suddivisa in capitoli. Nella Parte Prima ci prepariamo con il mindset ad entrare in classe e a vivere con la classe, a vederci e a prepararci a risolvere i nostri problemi e quelli dell’allievo. Nella Parte Seconda partiamo da consigli e strumenti di gestione pratici di base come il non verbale, il paraverbale e la voce. Andremo nel dettaglio di parte di questi strumenti di base per infine esercitarci a cambiare alcune cattive abitudini legate al paraverbale in particolare. Nella Parte Terza definiamo, analizziamo e cerchiamo di prevenire e in parte di affrontare con un approccio sistemico i nostri casi difficili. Si parte anche in questo caso dal gestirsi per poi gestire i nostri casi difficili che chiamiamo casi 3 “difficili”. Un ruolo importante nella prevenzione e nella risoluzione dei casi 3 “difficili” lo svolge l’“edu-didattica”. Nella Parte Quarta, l’ultima, presentiamo tecniche metodi e procedure per affrontare i nostri casi difficili in situazione critica e per risolverli in maniera definitiva. Vi sarà spazio anche per uno studio di nostri casi 3 “difficili” che mostrerà l’applicazione concreta degli strumenti teorici. Buona lettura e buon lavoro a tutti!



Parte Gestire se stessi Prima per gestire gli altri


Un manuale o una dispensa

re” le nostre/vostre ricette strategiche di gestione della classe: come si usa dire, in pedagogia non ci sono ricette, ma sappiamo bene quali siano gli ingredienti utili per ottenere un buon risultato. A voi dunque la scelta dei dosaggi e dei tempi di cottura, ricordandovi che in questo strano e affascinante mondo della scuola l’insegnante non è solo il cuoco, ma è lui stesso un ingrediente, anzi è l’ingrediente principale e più importante per imbandire la tavola dell’apprendimento degli allievi.

Queste prime riflessioni vogliono essere sulla gestione di sé come docente in classe, in quanto il sapersi gestire rappresenta la condizione principale e imprescindibile per poter poi gestire quello che accade fuori da noi, dunque nell’aula in cui insegniamo. Lungi da noi l’idea di spingervi ad intraprendere un processo di auto-analisi a fini terapeutici, vogliamo iniziare dando voce qui ad alcune nostre riflessioni di docenti, riflessioni che ci sono state utili per “affinare” le nostre abilità professionali. Abbiamo inoltre ripreso da altri testi o dai suggerimenti dei colleghi una serie di concetti che potranno essere utili a chi si avvicina alla nostra professione con l’idea che, per poter essere insegnanti efficaci e soddisfatti per lungo tempo, occorre un mix di predisposizione naturale e di esercizio costante. Ci piace pensare a questa parte, ed in generale a tutto il nostro testo, come a una “dispensa”, come ad una lista di elementi utili per “imbandi-

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L’obiettivo, quello vero

Prima di tutto, individuiamo il nostro obiettivo di docente che, entrando ogni mattina in classe, si appresta ad interagire con almeno 20 allievi in piena fase di sviluppo. L’aspettativa non può sicuramente essere quella di avere una classe “in cui non vola una mosca” e dove tutti “partecipano sempre con entusiasmo, aspettando il loro turno di parola ed intervenendo in maniera pertinente”. Questa classe non esiste. Più ragionevolmente, meglio avere in testa un’idea di classe dove per la maggior parte del tempo della lezione vigano condizioni di apprendimento adeguate, cioè ci sia un rispetto delle regole nei momenti in cui queste favoriscono attenzione e apprendimento, dove ognuno si possa esprimere liberamente, dove il docente possa svolgere il suo lavoro senza consumarsi in continui richiami, ma anche senza indulgere eccessivamente nel ricercare un silenzio continuo e assoluto, o fanta-

sticando su come: “senza quei due o tre allievi, la classe sarebbe diversa!”. Anche in questo caso, la speranza sarebbe infondata: a parte rari casi, non ci scegliamo né la classe né gli allievi a cui insegneremo, occorre gestire il gruppo che ci viene assegnato! Elemento fondamentale, da sempre conosciuto ma solo recentemente teorizzato con più precisione, per poter interagire in maniera adeguata con gli allievi, riconoscendone il ruolo di soggetti destinatari del nostro insegnamento, è la capacità di gestire noi stessi dentro la classe o, più tecnicamente, di saper ascoltare i propri pensieri e gestire le proprie emozioni in situazione d’aula. Non ci soffermeremo troppo in questa parte sul tema della regolazione delle emozioni1, ma occorre riflettere sul nostro modo di “stare” e “sentire” quando ci si trova a dover entrare in aula, oppure durante una lezione. Una sana ansia “da prestazione”, soprattutto all’inizio della carriera, è spesso solo segnale di quanto ci stia a cuore quello che stiamo facendo (e quindi vogliamo farlo bene). Altri stati d’animo spiacevoli come ruminazione di pensieri negativi, eccessive difficoltà con alcuni allievi e, soprattutto, la chiara e frequente percezione di non riuscire a gestire quello che succede in aula, dovrebbero invece far suonare un campanello di allarme sulla necessità di modificare le proprie idee ed il proprio punto di vista, o anche di arrivare a chiedere qualche aiuto, al collega, al direttore o, in casi più specifici, anche a qualche specialista. Se ci si trova all’inizio del proprio percorso lavorativo, non sembra inoltre eccessivo suggerire una riflessione personale sul fatto che si stia intraprendendo la giusta scelta. La stragrande maggioranza dei docenti in formazione dichiara infatti di aver scelto la professione “per vocazione”: restando in tema di “chiamata”, è evidente 1. Matarazzo, Zammumer, 2015.

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che questa sia spesso ascoltata nel giusto modo, ma non sono comunque rari i casi in cui la persona che si sente “prescelta” per questo lavoro, abbia invece frainteso alcuni segnali, confondendo l’amore genuino per una materia con l’abilità, necessaria in questo ambito, di poterla insegnare a chi sta crescendo. Andiamo ora a presentare alcune strategie di gestione di se stessi: visto che non siamo tutti uguali, non tutte le strategie proposte andranno bene per tutti (questo vale per ogni passaggio di questo testo). Resta il fatto che, di solito, possiamo con meno difficoltà controllare noi stessi ossia gestirci, piuttosto che gestire “i nostri casi difficili” (per la definizione di casi difficili vi rimandiamo alla Parte Terza, al Capitolo “I “casi difficili fanno parte della vita del docente”: casi che mettono “noi” in difficoltà). Il modo corretto di utilizzare queste strategie è quello di leggerle, rifletterci per qualche tempo, sceglierne qualcuna e poi provare, verificando in quale modo ci sentiamo più a nostro agio nella necessaria attività di gestire positivamente noi stessi, per poter gestire la nostra classe e i nostri allievi.

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L’alfabetizzazione emotiva del docente

fondamentale nel suo modo di valutare mentalmente e affrontare praticamente le varie situazioni. Soprattutto, questa valutazione è la causa, spesso inconsapevole, del modo in cui percepiamo e reagiamo emotivamente a quanto succede intorno a noi. Le emozioni in classe ci sono, sono presenti indipendentemente dalla nostra volontà, si comportano come un ospite un po’ particolare: se ci dimentichiamo di occuparci di lui, sarà lui ad occuparsi di noi, esercitando un’influenza, non sempre piacevole, sul nostro modo di percepire e agire. Ecco alcuni spunti su cui riflettere, per alfabetizzarci alle nostre reazioni in classe.

Il primo tassello della gestione di sé è conoscersi, conoscere come ci sentiamo, in quanto le competenze emotive vanno considerate meta-competenze, sono cioè fattori che influenzano il nostro modo di attivare e utilizzare le nostre conoscenze. Occorre quindi avere: • la consapevolezza delle proprie emozioni e dei propri stati d’animo; • un’adeguata capacità di esprimere le proprie emozioni; • la capacità di comprendere le emozioni degli altri; • la capacità di gestirsi in situazioni di attivazione emotiva; • la capacità di gestire situazioni di attivazione emotiva.

• Comprendiamo cosa suscitano le nostre emozioni? Cosa ci imbarazza, ci fa arrabbiare, ci rende ansiosi, ma anche cosa ci tranquillizza, ci rende felici, ci soddisfa? • La questione della regolazione delle emozioni è legata al conoscere modi per calmarsi, oppure per soprassedere a pensieri emotivamente stressanti, o anche a trovare strategie che ci rilassano e ci permettono di dare il meglio di noi. Siamo in grado di descrivere cosa ci è utile in queste situazioni? • Le emozioni sono tutte da accettare (anche se a volte sono spiacevoli…), ma non tutti i comportamenti che fanno seguito ad una emozione sono accettabili. La rabbia può avere una funzione positiva quando ci spinge a fare qualcosa, o può essere un segnale che un certo limite è stato superato: non è sbagliato farsi vedere arrabbiati, è sbagliato arrabbiarsi con un allievo non riferendosi al suo comportamento, ma a lui come persona. Potrebbe rovinare una relazione il prendersela con qualcuno per quello che è, e non per quello che fa.

Un docente in classe è confrontato prima di tutto con il suo mondo interiore, che svolge un ruolo

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Parte Casi difficili: Terza un percorso dal disagio alla relazione attraverso l’“edu-didattica”


I casi difficili fanno parte della vita del docente

In questa parte lavoreremo su alcuni aspetti fondamentali della gestione: • sulla definizione dei “nostri casi difficili”; • sulle cause dei sintomi di disturbo che manifesta l’allievo o la classe difficile; • su noi stessi come concausa dei problemi; • sul controllo delle nostre emozioni e reazioni in classe; • su regole di prevenzione “edu-didattiche” (generali e specifiche).

Dalla “lezione disturbata” all’allievo “disturbato” e al docente in difficoltà In un libro molto interessante per la gestione dei casi difficili Der gestörte Unterricht (2018), ovvero La lezione disturbata, molto usato nei paesi

di lingua tedesca e che citeremo spesso, Winkel usa una prospettiva diversa dalla nostra, vede il docente da fuori, e in effetti parla di lezione disturbata. La lezione disturbata si verifica quando l’insegnamento e l’apprendimento si interrompono e divengono insopportabili e inumani per i vari attori coinvolti1.

Definizione che accogliamo con molto interesse, ma che non utilizziamo, dato che al centro del nostro percorso ci troviamo “noi docenti”. D’altra parte, però, Winkel, e questo rientra pienamente nel nostro percorso, sottolinea come siamo passati dal 1970 al 2020 attraverso fasi antitetiche riguardo alla gestione e alla disciplina in classe. Negli anni Settanta si parlava di “problemi di disciplina” a scuola, per i quali il docente era responsabile e veniva colpevolizzato se non sapeva mantenere la disciplina in classe dato che aveva gli strumenti sanzionatori per farlo. Oggi, nel 2020, si parla di “disturbi di comportamento dell’allievo” legati al vissuto extrascolastico, per i quali il docente non si sente più responsabile. Il docente, quindi, se ha problemi di gestione, risulta anche professionalmente non colpevole, poiché i problemi comportamentali vanno curati da specialisti, e lui non è uno specialista, né ha più a disposizione gli strumenti sanzionatori degli anni Settanta. Rimane però una costante tra ieri e oggi: il fatto che il docente in difficoltà è solo in classe con i suoi casi difficili e deve comunque trovare delle soluzioni per gestire se stesso, gli allievi, la classe e i suoi casi difficili. Cosa dobbiamo fare per gestire i nostri casi difficili in classe? E soprattutto quando siamo di fronte a casi difficili? 1. Winkel, 2018, p. 29.

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Classi parallele: da una bella esperienza a una orribile esperienza George Lapassade, nel suo libro L’autogestione pedagogica. Ricerche istituzionali (1980), evidenzia la differenza tra la scuola come luogo istituzionale e la classe come luogo relazionale che vive anche di aspetti informali, personali, comunitari in cui si deve rendere possibile un’autogestione di tipo emotivo e personale. Saper gestire la classe, le sue emozioni, i bisogni personali di ognuno, le situazioni di disturbo e soprattutto i “propri” casi difficili, probabilmente è per l’insegnante l’ostacolo più complesso da superare, non solo durante la sua formazione professionale ma anche lungo tutto il corso della sua carriera. A volte si crede di aver trovato la ricetta giusta, il giusto equilibrio tra gestione e didattica, in una classe tutto funziona a meraviglia poi si entra nella classe parallela e niente più funziona. La lezione che nella classe precedente avevamo realizzato in un’ora tra l’entusiasmo dei ragazzi, avanza a fatica e solo dopo sforzi estremi si arriva a qualche scarso risultato tra innumerevoli richiami, inutili minacce, discussioni e scambi di improperi e insulti tra i vari sottogruppi della classe.

I nostri casi difficili I casi difficili fanno, indubbiamente, sempre parte del nostro percorso professionale e della vita scolastica e vanno vissuti come tali: “ci sono” e “li avremo anche in futuro”. Dietro il caso difficile vi sono, senza dubbio, un allievo o vari allievi in forte situazione di disagio e questo non dobbiamo mai dimenticarlo, dato che è compito precipuo delle scuole, di tutti gli ordini e grado, garantire il benessere degli allie62

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vi e creare le condizioni migliori per l’apprendimento di ognuno. Mancini e Gabrielli2 riportano questa definizione di disagio: uno stato emotivo, non correlato significativamente a disturbi di tipo psicopatologico, linguistici o di ritardo cognitivo, che si manifesta attraverso un insieme di comportamenti disfunzionali (scarsa partecipazione, disattenzione, comportamenti prevalenti di rifiuto e di disturbo, cattivo rapporto con i compagni, ma anche assoluta carenza di spirito critico), che non permettono al soggetto di vivere adeguatamente le attività di classe e di apprendere con successo, utilizzando il massimo delle proprie capacità cognitive, affettive e relazionali.

Parliamo, però nel nostro caso, principalmente di “casi difficili” e non di allievi in situazione di disagio, perché assumiamo il punto di vista del docente. Con questo manuale trattiamo due tipi di situazioni che vive il docente: • principalmente quella del docente che si confronta con i suoi “casi difficili” e, in moltissime situazioni, si ritrova completamente solo o è da solo in attesa dell’intervento di supporto esterno; • secondariamente anche la situazione del docente coinvolto dall’istituzione nella risoluzione di casi difficili conclamati e riconosciuti. Anche in questo caso dopo i colloqui con l’allievo, i genitori e i team, il docente è in aula, quasi sempre, da solo con i suoi casi difficili e deve riuscire a insegnare, a tutelare gli altri allievi e a tutelare il suo benessere. Il docente che non dorme pensando a un allievo che non riesce a controllare o che è impaurito dal dover entrare in una classe, va aiutato e deve uscire al più presto da questa situazione. In que2. Mancini, Gabrielli, 1998.


sti casi l’influsso negativo dei “nostri casi difficili” sulla nostra qualità di vita, anche fuori dalla scuola, è eccessivo e pericoloso.

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Le situazioni di disturbo e i casi difficili

Prima di entrare nel tema casi difficili: chiediamoci quante e quali sono le situazioni di disturbo durante una lezione? Ci riferiamo a un’ora di lezione osservata dal punto di vista del docente? Su questo tema si trovano tanti studi e forse nessuno di questi corrisponde veramente alle nostre reali situazioni in classe, ma ci forniscono, comunque, un quadro interessante. Tanto per fare degli esempi basandoci su dati raccolti da osservatori esterni presenti in classe durante una lezione di 1 ora, che può variare dai 45 ai 55 minuti: • nel 1958 Tausch3 riportava da 15 a 25 situazioni di disturbo per ogni ora di lezione;

3. Tausch, 1958.

• nel 1979 Tausch4 riportava una situazione di disturbo ogni 2 o 3 minuti, quindi circa 20/25 per 50 minuti; • studi più recenti di Krause5 riportano ancora circa 20 situazioni per ogni ora. Il numero di situazioni di disturbo rimane dunque costante e quasi invariabile nel tempo, a differenza di quello che si potrebbe pensare, ossia che la scuola di una volta fosse più ordinata e disciplinata di quella di oggi. Probabilmente vi erano più punizioni, un tempo anche corporali, che non avevano però una grande efficacia sull’attenzione in classe e sul comportamento. Ma torniamo ad oggi. Supponiamo, quindi, che oggi vi siano in un’ora tra 20 e 25 situazioni che potenzialmente potrebbero disturbare la lezione. A questo si devono sommare tutte le mani alzate degli allievi, che ci pongono domande legate alla disciplina scolastica o gli interventi legati ad altri tipi di richieste, come l’andare in bagno o parlare di temi extrascolastici. 20 interruzioni per la gestione più 20 interruzioni per la didattica renderebbero dunque una lezione impossibile. Il nostro primo obiettivo è, perciò, quello di ridurre i nostri interventi gestionali al minimo. Gran parte di queste situazioni di disturbo si risolvono, in genere, velocemente con uno sguardo, con un cenno, con la prossemica o con una discussione dopo la lezione. La maggioranza di queste, anzi, rientra nella norma da sé: “due allievi parlano tra loro, terminano di parlare e riprendono a seguire le attività”, mentre noi insegnanti le ignoriamo o persino non le percepiamo. Possiamo già a questo punto rettificare il numero di situazioni di disturbo vissute dal docente. 4. Tausch, 1979, p. 374. 5. Krause, 2004.

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La maggior parte dei docenti non considera alcune situazioni “un disturbo” e quindi riduciamo idealmente il numero degli interventi gestionali a circa 10 per ora lezione. Tutto questo ci permette di concentrarci sulle situazioni gestionali più complesse. Tra queste i casi difficili sono, in realtà, pochi o molto pochi.

Disturbi sonori e visivi (in- Scarso impegno terni o esterni all’aula) • mancanza di materiale • aereo che sorvola scuola

• guardare dalla finestra

• luci troppo fioche o forti

• non fare o terminare

• rumori fuori dalla porta • ticchettio dita • versi con la bocca • telefono che squilla

Situazioni di disturbo Nella tabella, che segue, tentiamo di dare un’indicazione delle varie tipologie di situazioni di disturbo, che si presentano durante una lezione. I fenomeni sintomatici che indicano una situazione di disturbo sono svariati e questa tabella vuole solo essere indicativa e assolutamente non esaustiva, infatti per ogni tipologia si possono immaginare altre casistiche6. Cinetiche • lasciare l’aula

Disturbi disciplinari e sociali

• alzarsi

• ritardo

• stare in piedi

• rovinare materiali sco-

• dondolarsi • giocare con o lanciare oggetti • rifiutarsi di sedersi • rifiutarsi di andare alla lavagna

lastici • rovinare materiali propri • rovinare materiali di altri allievi • sporcare (mangiare in aula) • bere (se non è permesso) • offendere i compagni • prendere materiale ad altri • urlare (scoppi di ira) • essere sempre impreparato • rubare oggetti

6. Sul tema rimandiamo a Winkel, 2018, da p. 19.

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esercizi • non voler collaborare con alcuni compagni • chiudere gli occhi

• musica da telefono • il brusio o rumore di fondo nell’aula • stress acustico che incide negativamente sull’apprendimento

Rimane una grande soggettività nel determinare e nel definire questi fenomeni di disturbo. Gli approcci interculturali rendono questa soggettività chiaramente visibile. Alcune di queste situazioni potrebbero non essere una situazione di disturbo, se osservate nell’ambito di altre culture o nel quadro di approcci scolastici particolari. Per quanto riguarda altre culture, ad esempio “chiudere gli occhi” o “inemuri” in Giappone è un comportamento accettato e indica la totale concentrazione dell’allievo nei confronti del docente. Il concetto di “inemuri” in giapponese indica il sonnecchiare al lavoro o a scuola ed è il segno distintivo dei grandi lavoratori. Mentre se questo accadesse in Europa vi sarebbe certamente una reazione del docente, a volte, anche brusca. Per quanto riguarda altri approcci: nelle scuole steineriane, ad esempio, “alzarsi senza permesso” non dovrebbe quasi mai rientrare tra le situazioni di disturbo. Ma torniamo alla nostra tabella. Ognuna di queste situazioni presa singolarmente e a una certa distanza temporale dalle altre non pone


gravi problemi, salvo alcune come l’allontanarsi dall’aula senza permesso. In un caso difficile vi è un numero maggiore di questi “sintomi”, all’interno di una classe, da parte di un gruppo o di un singolo, infatti: • una stessa situazione si ripete con frequenza; • le situazioni hanno maggiore durata; • la classe o l’allievo accumulano, nell’ora di lezione, varie tipologie e casistiche. Quindi per fare qualche esempio: • Marco si alza ogni 5 minuti per 5 o 6 volte in un’ora lezione; • Giulia si alza e si rifiuta di sedersi per diversi minuti; • Luca prima si alza, poi tira un aeroplano di carta verso la finestra, poi chiede di bere e, infine, si rifiuta di fare l’esercizio. Il discriminare, se e quando una situazione di disturbo richiede un intervento, rimane qualcosa di soggettivo e dipende in gran parte dal carattere, dall’esperienza e dallo stile gestionale del docente. Alcuni docenti richiedono silenzio più spesso di altri, per molti, invece, due allievi che chiacchierano per breve tempo non richiedono interventi. A queste situazioni descritte nella tabella, si aggiungono ovviamente tutte le situazioni che avvengono fuori dalla classe negli spazi comuni, che la scuola e i docenti devono gestire, che sono innumerevoli. Non le trattiamo specificamente nel nostro testo, perché, spesso, in questi casi i docenti e la direzione intervengono collegialmente e il docente le vive con ansia minore. Ovviamente nella risoluzione del caso difficile vanno prese in considerazione e analizzate anche dal docente singolo.

Elenchiamo alcune fra le situazioni di disturbo a scuola, che avvengono fuori dalla classe: • infrangere le regole (urlare dove non è permesso); • sporcare o danneggiare materiali scolastici (allagare i bagni); • minacciare e picchiare altri allievi; • danneggiare materiali di allievi e docenti; • non rientrare dopo la pausa; • non venire a scuola; • usare i social per offendere o creare falsi profili di compagni.

I casi difficili: casi che mettono “noi” in difficoltà Decidere se un caso è difficile o meno potrebbe apparire una scelta oggettiva. In alcuni casi lo è in altri no. Ad esempio, se un allievo minorenne esce di frequente dall’aula senza permesso o se disegna una bandiera dell’Isis, una situazione osservata in una classe nel 2017, o insulta regolarmente un compagno per il colore della pelle, tutti i docenti interverrebbero o dovrebbero intervenire in base ai regolamenti della scuola e alle leggi. In altri casi non è affatto facile determinare se quello che accade rientra in una situazione difficile. Dopo quanti giorni e quante volte il nostro “Marco che si alza” è il sintomo di un caso complesso o dopo quanti minuti “Giulia che non si vuole sedere” lo diventa? Cosa altro devono fare Marco e Giulia per essere per noi un caso difficile? Una nostra definizione: Un caso difficile è sempre tale se incide negativamente sulla didattica del docente e gli impedisce di lavorare in classe come previsto. Il docente inoltre fatica a comprendere il caso,

dentro l’aula

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che genera in lui reazioni istintive di rabbia o persino di paura e di sconcerto. Tali sentimenti lo accompagnano anche fuori dalla scuola nel suo tempo libero.

Il caso difficile è certamente un caso che mette “noi” in difficoltà e a volte mette in difficoltà tanti colleghi o tutta la sede. Allargando lo sguardo a tutte le persone coinvolte nel caso difficile, una sua ulteriore caratteristica precipua è che almeno uno degli attori coinvolti ha enormi difficoltà nel sopportare la situazione e nel controllare le proprie reazioni istintive. Quindi, oltre che dal punto di vista del docente, il disagio possiamo vederlo dal punto di vista dell’allievo o del genitore. Docente – Cosa può fare il docente con allievi che urlano frasi oscene ripetutamente in classe e che si sente privo di autorità? Allievo – Cosa può fare l’allievo che non riesce a stare seduto e deve sfogare le sue energie e che non riesce a non aggredire i compagni? Genitore – Cosa può fare il genitore che è stato chiamato a 20 colloqui e che, nonostante i suoi sforzi, non trova modo di aiutare il figlio e si sente in colpa verso tutti? Ci concentriamo, nel testo, sui casi difficili visti dal nostro punto di vista di docenti, coscienti che i problemi a scuola rappresentano situazioni difficili per allievi o genitori e che il loro punto di vista va tenuto egualmente in conto.

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M. Romualdi - D. Antognazza

DENTRO L’AULA Tecniche, metodologie e pratiche per gestire classi difficili

DENTRO L’AULA

Tutti gli insegnanti hanno, prima o poi, classi che amano di più e altre che amano meno, studenti con cui non si riesce a entrare in relazione, giornate in cui nessuno li ascolta, situazioni in cui perdono il controllo, classi e allievi difficili. Questo libro risponde alle domande più frequenti degli educatori che si trovano a dover affrontare “casi difficili”: “Cosa possiamo fare per questi ragazzi?”, “Cosa può dunque fare questo ragazzo per sé?” e “Cosa possiamo fare insieme io e questa persona, perché lui sviluppi il meglio di sé?”. Se la definizione più comune di “gestione della classe” è “l’insieme di azioni che adottano gli insegnanti per cercare di mantenere o ristabilire l’ordine in classe, per motivare e coinvolgere gli allievi e infine per stimolare atteggiamenti cooperativi degli stessi”, gli autori intendono anche sottolineare come sia “un percorso fuori, nella scuola, nella classe, dentro di noi, nei nostri diversi ruoli e nelle nostre emozioni e sentimenti”. Perché gestione significa prima di tutto gestirsi e poi gestire con tecniche e metodologie. Dentro l’aula, soprattutto quando ci ritroviamo da soli con gli studenti, a gestire noi stessi, tutelare il nostro benessere e la classe, le sue emozioni, i bisogni personali di ognuno, risolvere le situazioni di disturbo e soprattutto capire e risolvere i “nostri” casi difficili, senza mai dimenticare lo scopo per cui siamo in classe: insegnare e far apprendere. Fuori dall’aula, appoggiandoci con fiducia a tutte le figure di riferimento che ci circondano. “Gestione dell’allievo e della classe”, perché la finalità principale per ogni docente è quella di lavorare per e con la classe nel creare una buona relazione.

Miriano Romualdi Davide Antognazza

Miriano Romualdi, nato a Forlì nel 1965, ha insegnato in tutti i livelli di scuola dalla primaria alla secondaria di primo e secondo grado. Specialista in tecnologie educative e in problemi di gestione, da tempo lavora presso il Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI di Locarno che si occupa delle abilitazioni e della formazione continua di docenti di tutti i livelli scolastici. Davide Antognazza, pedagogista, studioso e ricercatore sulle tematiche dell’educazione socio-emotiva e applicazione degli studi sull’intelligenza emotiva e sulle life skills nella formazione degli adulti. È docente ricercatore senior presso il Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI di Locarno. Con la meridiana ha pubblicato Crescere emotivamente competenti (2017). ISBN ISBN 978-88-6153-749-1 978-88-6153-749-1 In copertina disegno di Fabio Magnasciutti

Euro 16,00 (I.i.)

9

788861 537491

edizioni la meridiana p a r t e n z e


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