Dissipare l'ombra di Caino new.qxp
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Antonio Bello
Dissipare l’ombra di Caino Appunti sulla nonviolenza
Redazione e cura di Ignazio Pansini
edizioni la meridiana p a g i n e a l t r e
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Indice
Premessa ...................................................................... 7 Il testo .......................................................................... 9 Il commento .............................................................. 11 La protesta di Caino ................................................. 15 Il delitto ..................................................................... 17 Il giudizio di Dio ....................................................... 19 La sentenza ................................................................ 21 Appendice ................................................................. 23 Le conclusioni ........................................................... 25
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Premessa
Più che dissipare l’ombra di Caino, dobbiamo accoglierla. Perché ci talloni in termini critici. Perché censuri le violenze quotidiane di cui siamo protagonisti. La sua non è un’ombra dalla quale ci dobbiamo liberare. Si dice: “non voglio neanche vedere l’ombra di te” quando uno ci sta sullo stomaco: dissipare l’ombra di Caino potrebbe significare “sotterrarla”, proprio come lui ha fatto con Abele. Invece noi l’ombra di Caino non dobbiamo scrollarcela di dosso, ma dobbiamo accoglierla. Dio gli mette un segno, gli fa un tatuaggio particolare: “Chiunque t’ammazza, ricordati che la pagherà cara”. È una pagina splendida della preistoria sacra. Dobbiamo accogliere l’ombra di Caino e dissipare, semmai, lo spirito di Caino che è in noi.
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Il testo
Il racconto di Caino e Abele (Gen 4, 1-16) è di una incredibile densità emotiva. Vuole rispondere a una delle domande cruciali della storia umana: da dove viene la violenza? perché mai si verifica così spesso quell’adagio che l’uomo è davvero lupo per l’altro uomo? Diciamo subito che non si tratta di un racconto storico, ma di un racconto delle origini. Cioè Caino e Abele sono dei prototipi, non dei personaggi necessariamente esistiti. L’autore sacro proietta alle origini ciò che si presenta come esperienza generale della vita umana. Noi occidentali quando vogliamo renderci conto delle cause profonde di certi fenomeni usiamo simboli spaziali, diciamo sempre “alla radice di questo malanno c’è...”, oppure “nel profondo di questa situazione c’è...”. Gli orientali invece adottano simboli temporali, “in principio”, “all’inizio”. In questo quarto capitolo della Genesi, in forma narrativa, in chiave simbolica, con personaggi prototipici collocati proprio in tempi primordiali, si vuol dare una spiegazione dell’odio e della violenza fratricida, del perché sorge la violenza, questa tragica esperienza della umanità. Il racconto è molto lineare: Adamo ed Eva vengono cacciati dal Paradiso. Eva comincia a rispondere del suo nome (Eva infatti significa “madre dei viventi”). Conosce Adamo e genera due figli. La fraternità poi
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è ridotta esemplarmente a due persone; è un simbolo, un prototipo. La fraternità infatti (e questo è molto importante) introduce la differenziazione di cultura (uno è pastore l’altro contadino), di culto o di altare, e anche di accoglienza da parte di Dio, che gradisce il dono di uno e non gradisce con lo stesso empito di esultanza il dono dell’altro. Ma invece che esserci la convivialità delle differenze, come noi definiamo la pace, c’è il rifiuto della differenza da parte di Caino, il quale soprattutto rifiuta l’ultima, cioè che Dio faccia questa discriminazione, ed allora cova rancore. Dio interviene con un ammonimento paterno e grave, segno cioè che non accantona, non mette tra parentesi Caino, continua a volergli bene, ad accettarlo. Caino non ascolta, ammazza il fratello – è il momento più tragico – e Dio interviene di nuovo, gli fa un interrogatorio, dice “dov’è tuo fratello? ”: è la domanda culminante di questo capitolo. Caino si scusa, c’è la sentenza, la condanna e poi (la cosa che a me fa senso, bellissima) il limite al castigo: “nessuno ti potrà ammazzare”. Caino infatti dice: “Allora chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere”; e Dio replica: “No, non ti deve ammazzare”. Caino si allontana. Poi in pochi versi si racconta la discendenza di Caino e l’escalation della violenza. Proprio il quarto capitolo ci vuole raccontare l’irrompere e la scalata della violenza nella storia umana... che esplode nel canto di Lamech.
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Il commento
Vediamo allora di ripercorrere le tappe del brano. La nascita di Caino
Eva dà alla luce il primo figlio. La sua è la prima maternità umana. Caino significa “lancia”, nome emblematico. “Ho acquistato un uomo dal Signore” è il grido della prima madre. Questo riferimento al Signore è frequentissimo nelle maternità della Bibbia: basterebbe ricordare Rachele, Lia, le donne sterili... un figlio è una grazia del Signore. La nascita di Abele
“Poi partorì ancora suo fratello”. Ecco appare per la prima volta la parola “fratello”, che in questo brano ricorre sette volte. Il secondo figlio si chiamò Hebel che significa “alito”, “soffio”, “vuoto”: qualcosa cioè senza consistenza. È un nome che fissa l’effimero della vita, senza discendenza e senza tempo. È importante il comparire della parola “fratello” per la prima volta accanto al nome proprio Hebel. Vedete, il primo figlio Caino allarga la famiglia in senso verticale (Adamo-Eva-figlio), il secondo figlio allarga invece la
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famiglia in senso orizzontale, perché instaura la fraternità (Adamo-Eva-figlio più fratello). Fratello è un nome reciproco: anche Caino diventa fratello, acquista cioè una relazione con la nascita dell’altro. Ci tengo a sottolineare che la parola fratello è adoperata sette volte perché ci dice proprio qual è l’idea primordiale che soggiace a questo testo. Il tema della fraternità è dunque il tema centrale che si concentra, si densifica in questa coppia archetipa di fratelli. La differenziazione
La nascita di Caino, la nascita di Abele. La nascita di “lancia” e la nascita del “soffio”. Vediamo ora tre differenziazioni. La prima è una differenziazione di cultura: uno è contadino l’altro è pastore. Caino succedette a suo padre che era contadino: Dio pose l’uomo nel giardino perché lo “coltivasse e lo custodisse”. Caino, succedendo nel mestiere a suo padre, è destinato anch’egli a coltivare il giardino e la terra. Abele, invece, inaugura una nuova cultura, quella del pastore che, storicamente, è più antica di quella del contadino. La seconda differenza è di culto. Il culto è strettamente condizionato dalla cultura. Ogni cultura fa sorgere il culto su misura, e di qui la pluralità di altari. L’autore sacro sembra già intravvedere dei segni molto inquietanti nel fatto che ciascuno presti la sua adorazione a Dio separatamente dall’altro. Caino offre i frutti della terra, Abele il frutto del suo gregge. Tutto normale in apparenza, eppure la diversità tra i due è così profonda 12
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che si manifesta nella peculiarità degli atti religiosi. La terza è la differenza di accettazione da parte di Dio. “Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta”. E qui non immaginate quante pagine siano state scritte dai Padri della Chiesa per difendere Dio, perché sembra quasi che sia il Padreterno a fare le discriminazioni e che quindi le violenze debbano risalire a Lui. La risposta più giusta, quella che è accreditata dagli autori, dagli esegeti, sul perché Dio preferisse Abele, sembra la seguente: Dio preferisce Abele perché è il minore (parte dagli ultimi, per fare una traduzione nel linguaggio contemporaneo). Se cercate nella Bibbia, in molti casi è così: così fu per Isacco nei confronti di Ismaele, come fu per Giacobbe nei confronti di Esaù. Questa preferenza del Signore per il più piccolo è percettibile continuamente... anche Giuseppe è il più piccolo tra i fratelli, preferito a tutti. Anche Davide è il più piccolo. In conclusione, la fraternità ha introdotto una triplice differenziazione: di cultura, di culto e di accoglienza divina. Bisogna accettarla. La differenza va accettata. Non si discute. Noi la discutiamo troppo. Va accettata, non va respinta...
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La protesta di Caino
Egli non accetta differenze. Ed allora in Caino sorge un rancore così forte così sordo che ne è sfigurato persino nel volto. Il Signore disse allora a Caino: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te e la tua bramosia, ma tu dominala...”. Dio qui dimostra che non ha rifiutato Caino, anzi gli dedica più attenzione che ad Abele, al quale non ha mai parlato. Caino è il primogenito nella preoccupazione di Dio. Dio gli parla benevolmente, mettendolo in guardia dal pericolo del peccato che gli fermenta nel cuore. Lui non è, quindi, rifiutato da Dio. Deve solo accettare la differenza. La violenza entra perché non si accoglie la diversità.
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Il delitto
Qui il racconto precipita con un impeto che corre verso la catastrofe... righe rapidissime. “Caino disse al fratello Abele: andiamo in campagna. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise”. L’uomo che diventa lupo contro l’altro, e l’uccide. Ciò che è tremendo in questo versetto della Bibbia è la descrizione scarna, spoglia, della morte primordiale, della morte violenta. La frase è di una concretezza lapidaria. L’autore ha dato all’atto nefando l’unica espressione che fosse adatta: quella della rapidità. In una parola è descritta la prima morte dell’umanità, che è una morte violenta. Conclusione
Ogni omicidio è un fratricidio. Nel linguaggio biblico l’insegnamento fondamentale è questo: ogni omicidio è fratricidio. Questo omicidio è accaduto perché non si è voluto accogliere il posto e la funzione del fratello. Quando non accolgo l’altro, compio sempre un omicidio.
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Il giudizio di Dio
Dio accusa mediante una domanda fondamentale, che è l’acme di questo racconto. E in questa domanda c’è la parola “fratello”: “dov’è tuo fratello?”. Il problema di Dio, del rapporto con gli altri si pone come problema sociale. Caino si scrolla di dosso questa schiacciante domanda che gli pesa come un macigno. Domanda che però era anche una grazia che gli veniva offerta da Dio, e che gli avrebbe permesso di rispondere confessando. Ma Caino replica con una bugia e una insolente spiritosaggine: “Non lo so, sono forse il guardiano di mio fratello?”. La cosa più grave non è la bugia, ma è grave la rinuncia formale a essere custode del fratello. Allora riprese Dio: “Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!”.
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