Educare alla meraviglia

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Matthew Fox EDUCARE

ALLA MERAVIGLIA Reinventare la Scuola, reinventare l’umano

Prefazione di Antonia Chiara Scardicchio Traduzione di Gianluigi Gugliermetto

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Indice

Prefazione di Antonia Chiara Scardicchio ...... 7 Introduzione ................................................. 11 L’educazione scolastica: dono o punizione? Benedizione o maledizione? ......................... 15 Un’educazione basata sullo stupore ............. 25 Un’educazione basata sui nostri antenati ..... 37 Un’educazione basata sulla saggezza ............ 47 La nuova metodologia pedagogica: le “10C” .. 57 Intervista a Matthew Fox di Gianluigi Gugliermetto ............................. 77 Bibliografia .................................................... 79


Prefazione

Onestamente ritengo questo libro una operazione culturale delicata. Per l’esattezza: ancora una volta le edizioni la meridiana dimostrano un tipo particolare di coraggio: vigoroso, onesto, con un senso di cura del mondo che supera un interesse commerciale. Eh sì, perché pubblicare in Italia un testo che colloca al centro della rivoluzione pedagogica sempre più urgente la questione dello Stupore, evidentemente si espone. Si espone innanzitutto all’essere derubricato tra i testi di una certa letteratura che si pensa non necessaria per chi pure educa ed insegna, o tra i testi diafani che ruffianamente cavalcano onde commerciali e si occupano di emozione-felicità-speranza, tutti temi potenti ma contemporaneamente leggeri che vendono sì, ma offrendo contenuti e risposte prêt-àporter che, ahimè, durano il tempo della quiete, ma poi si stemperano al primo vento che ci rigetta nel tormento del non capire, non decifrare, non riconoscere quello che ci sta succedendo. Questo non è mai stato nello stile di questa casa editrice. Fino a qui, ogni pubblicazione è stata dentro scelte culturali, pedagogiche, politiche sempre contraddistinte da due particolari caratteristiche: la prima, la responsabilità. Ogni testo, che per primo e da anni, si è occupato di quel “diafano” spazio che riguarda i temi dell’intangibile, lo ha fatto con rigore e integrità, dentro una irriducibile scelta di cura, subordinando temerariamente la necessità della vendita alla libertà dell’etica. La seconda, corollario della prima: il coraggio. Una forma di sfida non arrogante bensì fiduciosa. Fiduciosa che il “mercato” potesse accogliere

anche testi intrepidi, sì, particolarmente inconsueti per una casa editrice connotata dentro la sua particolare fondazione storica e identitaria. Dentro questa stessa audacia – che per senso di responsabilità genera coraggio – sta l’intera vita e l’intera produzione di Matthew Fox. Ha pagato caro prezzo per questo, e molti di noi lo sanno già mentre leggono questa presentazione e, chissà, forse proprio la sua vicenda umana e teologica sta muovendo ora la curiosità – o forse lo scandalo. Mai prima d’ora il mercato editoriale della nostra nazione aveva accolto una sua pubblicazione in tema educativo. Curiosa circostanza. Racconta molto, forse, più di noi che dell’autore. Ma lascio giudizio e relativa riflessione al lettore e decido piuttosto di spostarmi sul cuore della pubblicazione, sulla questione pedagogica che solleva e sulla proposta che si prefigge di generare. Mi interroga molto la scelta di prendere tutti i fili e scegliere di tenerli insieme dentro la trama che l’autore definisce Stupore. Mi incuriosisce e, soprattutto, mi colpisce che la casa editrice non ne abbia manipolato né titolo né testo, scegliendo di accoglierlo nella sua particolare congiunzione tra forma e contenuto, forma e contenuto complessi poiché capaci di tenere insieme infinitamente grande ed infinitamente piccolo. Perché, francamente, porre lo Stupore al centro di una riflessione non poetica, nella nostra cultura significa posizionarsi dentro una vertigine, quella del pericoloso spazio dell’indefinibile: come si apprende? Come si insegna? Come si misura? Nel tempo della quantofrenia, il richiamo al bisogno di indici, indicatori, prove materiche per ogni questione educativa (così ricondotta prepotentemente dentro i confini della sola istruzione) spinge il lettore meno esperto ed anche il lettore più scafato a considerare effimero un ragionamento attorno allo Stupore. Ad interrogare la questione più approfonditamente, occorre effettivamente riconoscere che EDUCARE ALLA MERAVIGLIA

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Stupore corrisponde ad uno stato di non-conoscenza: si stupisce e sorprende chi non sa. Pubblicare in Italia questo libro significa darsi il coraggio di esporlo in un contesto culturale dove negli ambiti professionali – ma anche nei convivi narrativi familiari ed amicali durante i quali ci raccontiamo le nostre esperienze del mondo – mostrare stupore è variabile d’ingenuità propria di chi deve ammettere che l’accaduto non lo aveva previsto, pensato, saputo. Eh sì: mostrare Stupore – anche durante il notevole salto di gioia ricevendo una festa o un regalo – corrisponde all’esporre mancata conoscenza. “Non me lo aspettavo”, “Non lo sapevo”, “Non potevo neppure immaginarlo”. Come se Stupore fosse il corollario precipuo dell’ignoranza. E difatti così è: epistemologicamente lo Stupore è proprio la forma di conoscenza e di ascolto che assume chi riconosce di non aver capito tutto. Sicché a molti non fa piacere mostrarlo, anche quando prorompe. La bocca aperta e l’occhio spalancato molti preferiscono lasciarli ai bambini. Già da adolescenti ci pare che sia più dignitoso mostrarci non indifesi al cospetto del mondo. E dunque trattenerci nel dirci stupiti (salvo nelle forme e nei modi del cinico che, sebbene agganciato dentro le sue presunzioni di sapere, ama mostrarsi stupito dell’Umano che non comprende). Questo forse è un punto di partenza notevole per interrogarci in educazione: osservare la nostra attitudine a considerare banale, a liquidare come diafano, un discorso che con onestà sveli l’ovvio che ci appartiene; è la presunzione di sapere già, sapere prima, sapere che coincide col solo “finoad-ora-saputo”, a generare tormento, tormento potente, in tutte le relazioni. Poiché implica l’impossibilità di conoscere ancora, di nuovo, oppure, persino, per la prima volta (pur presumendo di conoscere già). L’assenza di stupore nelle relazioni genera mostruosità. Perché impedisce evoluzioni. Ma non ce lo diciamo, non ce lo possiamo dire. Dobbiamo trovare formule ed analisi forbite per 8

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decifrare la sciarada del mondo, il crac dell’educazione. Una delle incredibili caratteristiche della riflessione di Matthew Fox – che è come se accompagnasse il lettore dall’inizio alla fine dentro un ragionamento ritmico, chiaro, senza sconti – è difatti, questa incredibile sua coraggiosa genuinità, la particolare semplicità con cui scrivendo espone, si espone, senza retorica chiama per nome processi e responsabilità, identificando il cuore della questione educativa nella nostra incapacità di stare nel mondo in ascolto e contemplazione ovvero dentro provvide ed operose ignoranza e curiosità (laddove curiosità sta per posizione filosofica, la postura di chi cerca l’Umano, ostinatamente, anche dove latita e lo Stupore di buon grado cederebbe il passo un po’ all’arroganza del cinismo un po’ alla disperazione della resa). Anche qui, a proposito di genuinità e candore, ci imbattiamo in un tratto di questa pubblicazione che culturalmente in Italia rischia di essere frainteso, ricondotto ai modi di chi non ha ferreo studio e fondato scientifico approfondimento: ed invece qui, incredibilmente, la semplicità e la trasparenza della forma comunicativa di Fox sono l’approdo di una ricerca poderosa, sono la forma matura e sapiente di una conoscenza vasta, poliedrica, lungimirante e robusta che, però, sceglie di darsi lo stile della divulgazione e dell’affabulazione per scelta, scelta filosofica, scelta politica. Perché no, non è il potere l’obiettivo di chi ha scritto questo libro. L’obiettivo è la bellezza, mi scappa da scrivere, pensando a Gregory Bateson ed a come avrebbe amato la rivoluzione e la ricerca di Fox attorno alla connessione, al ricondurre ogni peccato a uno solo: quello di separazione. Non intendo, allora, proporre in questa presentazione una sintesi dei contenuti del libro, evidenziando quelli che, a mio parere, sarebbero i più rilevanti, né cedere alla tentazione di indicare una traccia di lettura piuttosto che un’altra, richiamando la letteratura scientifica internazio-


nale che questa scrittura richiama. Questo libro non ne ha alcuna necessità. E neppure mi assumo il carico di raccontare al lettore chi è Matthew Fox, indomito ricercatore, appassionato d’Umano e Bellezza, coraggioso cercatore di Vero, teologo di carne e spirito, mistico giocoso: non ha bisogno di una presentazione accademica, quest’uomo, non ha bisogno di una accademica introduzione, questo scrittore. E allora qual è il senso di questa prefazione? E soprattutto: cosa distingue una premessa “scientifica” da una accalorata, emozionata, pregiudicata nella sua ammissione di compromissione patica? Forse Gregory Bateson direbbe che le premesse della prima non prescindono ma riposano sulla seconda. Chissà. Fatto sta che, assumendo questa scrittura nel medesimo stile delle edizioni la meridiana, di credibile ed onesto posso scrivere solo questo: la mia gratitudine. Sono grata a chi ha scritto con coraggio questa nuda esposizione. Particolare esposizione, esposta sì, ed anche, insieme, esponente: perché chiama il lettore non solo alla lettura ma anche a una compromissione, provocando un coinvolgimento che non è solo intellettuale ma è un viaggio metariflessivo, intimo, e al contempo professionale. Il che è poi il senso ed il cuore della generazione di ogni competenza nell’educare: ha da passare dal vaglio onesto della nostra integrale implicazione, della nostra auto-osservazione. Il che vuol dire: stupirsi senza sosta della complessità propria, non soltanto del reale. Accettare che non solo l’altro o il mondo abbiano rivoli di luci ed ombre e molteplici implicazioni creativamente da considerare per una progettazione educativa che accolga e faccia risuonare l’Umano, gli Umani. Accettare il non-ancora-saputo, il sempre-dasapere. Lo Stupore come postura, interiore ma tangibile, di chi considera l’educazione né meccanicismo né improvvisazione ma forma vitale del nostro esistere – fecondati, fecondi – nel mondo. Chi lo insegna? Dove si studia? Chi lo misura?

Il primo passo io l’ho imparato molti anni fa da Matthew Fox. E da allora non l’ho più dimenticato. Non è il saputo-una-volta-per-tutte a generare educazione, educatori, rivoluzioni. Vale la pena restare un po’ con la bocca aperta, al cospetto di noi stessi. E del mondo che abitiamo, che siamo. Così, come se un libro fosse, al contempo, un esercizio di meditazione e una traversata nel fango. E così muovere da una apparente banalità – educare allo stupore? Già immagino certe alzate di sopracciglia! – per scoprirne l’intuizione mistica, scientificamente scomoda, eppure: scientificamente rilevante. (L’unica cosa che vale la pena di scrivere prima di leggere un libro di Mattew Fox è un invito al coraggio. Allo stare. Esposti.) Antonia Chiara Scardicchio1

1. Ricercatrice e docente di Pedagogia Sperimentale presso l’Università degli Studi di Foggia.

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Introduzione

Tutti sanno che oggi il sistema educativo è nei guai. Non è soltanto un problema americano, come testimonia il Dalai Lama quando dice che l’educazione è in crisi in tutto il mondo. Ha ragione? Il Dalai Lama è un cittadino globale più di me. Viene dal Tibet, ha vissuto in India dal momento del suo esilio e ha anche viaggiato molto, sia nel cosiddetto “primo mondo” sia nel cosiddetto “terzo mondo”. È un uomo onesto che percepisce le cose a fondo. Per questo, quando il Dalai Lama dice che l’educazione è in crisi in tutto il mondo, io lo sto ad ascoltare. Quello che so e che vedo ogni giorno è questo: dove vivo e lavoro, la città di Oakland in California, l’educazione è davvero in crisi. Uno studio dell’Università di Harvard ha scoperto che il 52% degli studenti delle scuole superiori di Oakland non finisce il corso di studi. Non è molto diverso nello stato della California in generale, o nel resto degli Stati Uniti. Bill Gates, manager generale di Microsoft, lo dice in maniera molto netta: Le nostre scuole superiori sono obsolete. Sono state strutturate cinquant’anni fa per far fronte ai bisogni di un’altra epoca. Oggi, anche quando funzionano esattamente come previsto, le nostre scuole superiori non insegnano ai nostri figli ciò che dovrebbero conoscere. Francamente, sono terrorizzato dalla forza-lavoro del futuro2.

Io stesso ho studiato e tenuto conferenze in Europa abbastanza da sapere che anche lì si avverte questa crisi. Recentemente ho incontra2. Gates, 2005.

to una psicologa specializzata nell’età evolutiva, la quale mi ha detto che vede sempre più bambini che presentano sintomi post-traumatici causati dalla scuola stessa! I sintomi che presentano i bambini traumatizzati dalla scuola sono gli stessi, mi ha detto, di quelli dei soldati traumatizzati dalla guerra. In altre parole, andare a scuola spesso produce i sintomi tipici di chi si è trovato in un campo di battaglia. Qualche conforto può derivare dal fatto che, come insegna il Dalai Lama, uomo molto saggio, la crisi dell’educazione che ci troviamo ad affrontare non è un problema locale, o un problema nordamericano, o un problema europeo... è un problema della nostra specie. Perché l’educazione è in crisi dappertutto? Si tratta di un problema della specie perché noi, come specie homo sapiens, ci troviamo a metà tra due mondi. Ci sentiamo perduti tra il mondo moderno e il mondo postmoderno, e tra il mondo premoderno o indigeno e i mondi moderno e postmoderno. Ricordiamoci, tra l’altro, che nonostante gli sforzi organizzati della modernità in quanto a genocidi, schiavitù, guerre e persecuzioni, i popoli indigeni non sono scomparsi del tutto, anzi sono ancora con noi sia in senso fattuale sia come memoria interna al nostro sangue e alle cellule del nostro corpo. Come specie, oggi ci troviamo in una crisi profonda. Siamo una specie a rischio estinzione che mette a rischio di estinzione se stessa, il nostro pianeta, il nostro futuro. Tuttavia siamo anche, come ha detto di recente un famoso scienziato “l’unica specie capace di prevenire la propria estinzione”. Ma siamo in grado di farlo? Il nostro sistema educativo ci mette in grado di assolvere a tale compito? Scrivo questo manifesto che ora avete tra le mani perché ho fatto parte di istituzioni scolastiche per tutta la vita e mi sono sempre occuEDUCARE ALLA MERAVIGLIA

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pato di inventare una pedagogia che fosse orientata verso la saggezza e non soltanto verso la conoscenza. Credo che i giovani, ma anche gli adulti, vogliano proprio questo, la saggezza. Purtroppo né i più piccoli né i più grandi crescono in saggezza attraverso la scuola. Uno studio recente sugli studenti universitari dell’Università della California, Los Angeles, afferma che l’80% degli studenti non è contento dei corsi che frequenta.

Una parola su di me Mi sono interessato al sistema educativo da quando sono entrato nella scuola all’età di cinque anni. Da allora a oggi, quasi settant’anni dopo, non c’è mai stato un periodo della mia vita durante il quale non sia stato coinvolto nella scuola come studente, come insegnante, come amministratore scolastico o come tutte queste cose allo stesso tempo! Ho studiato in un contesto post-universitario in tre nazioni diverse e ho insegnato e tenuto conferenze in molte nazioni in diversi continenti, spesso insegnando agli insegnanti. Da diversi punti di vista, la mia formazione personale è stata alternativa e fuori dagli schemi. Forse è per questo che mi sento ispirato e pronto a parlare francamente su questo argomento. Ciò che presento in queste pagine come soluzione della crisi educativa attuale non è una semplice teoria, ma è basata sulla pratica, specialmente sull’esperienza acquisita in modo consapevole negli ultimi quarant’anni. All’inizio inventai l’Istituto di cultura e spiritualità del creato al Mundelein College a Chicago. Dopo sette anni trasferii questi corsi all’Holy Names College a Oakland, in California, per la durata di dodici anni. In seguito trovammo casa presso il New College in California e la Naropa Uni12

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versity di Oakland, fondando alla fine un nuovo istituto che chiamammo Università della spiritualità del creato3. Ultimamente, a opera di alcuni dei miei ex-studenti, è stato avviato il Fox Institute con sede a Boulder, in Colorado. La pedagogia che oggi impieghiamo è stata messa alla prova, con risultati importanti, da ormai quattro decenni. I miei corsi sono sempre stati una sorta di laboratorio pedagogico e questo libro rappresenta un sommario di ciò che ho imparato. Oggi il mio desiderio è di fare dono ai più giovani di ciò che ho appreso in tutti questi anni grazie al mio lavoro educativo con gli adulti4. Oggi scrivo questo manifesto perché la nostra specie si trova a un punto di svolta. Non abbiamo più tempo da perdere. Dobbiamo reinventare il nostro modo di vivere su questa Terra. L’apprendimento e l’educazione sono una parte profonda ed essenziale di questo cambiamento. È venuto il momento di prendere la pedagogia che ho elaborato per classi di adulti (le scuole che ho diretto finora offrivano dei diplomi di master o di doctor of ministry) e di allargarla a tutte le età. È anche venuto il momento di utilizzare i media e le nuove tecnologie allo scopo di superare la semplice ricerca della conoscenza o del potere fine a se stesso per andare verso la saggezza e il potere come servizio alla comunità. Gran parte dei linguaggi postmoderni (per esempio: i video, l’uso delle immagini, il dj e vj, il rap) sono forme di intrattenimento, ma nascondono un immenso potenziale educativo. Anche se tutti gli studenti che hanno ricevuto un diploma dalle mie scuole sono adulti, molti di loro sono poi andati a insegnare ai più giova-

3. Per maggiori dettagli sulle attività educative dell’autore cfr. Fox, 2015. In particolare pp. 91-171, 259-73 [N.d.T.]. 4. Nonostante l’insistenza di Fox sull’aver lavorato soprattutto con gli adulti, all’interno della sua biografia è presente un episodio molto significativo relativo al suo metodo di istruzione con i ragazzi: si veda Fox, op. cit., pp. 98-100 [N.d.T.].


ni, a inventare nuovi curricula per loro, a scrivere libri sull’educazione primaria e secondaria e in alcuni casi hanno aperto delle scuole. In altre parole, ciò che abbiamo appreso attraverso l’educazione degli adulti può davvero essere applicato a tutte le altre età della vita. A tutti deve essere offerta la possibilità di un approccio postmoderno all’educazione, in quest’epoca postmoderna. Non dimentichiamo che la saggezza postmoderna comprende la saggezza dei popoli premoderni. Un’ultima nota personale: ho compiuto 73 anni, quindi sono entrato nella fase della vita in cui posso dirmi “anziano”. Non mi interessa scrivere in maniera accademica ed elaborata quello che ho appreso in quarantatré anni di insegnamento. Voglio affrontare le questioni centrali di petto, direttamente, e per questo scrivo un manifesto.

Reinventare l’umano L’educazione è talmente essenziale per la nostra specie che una maniera fondamentale per reinventare la specie è reinventare l’educazione. L’espressione “reinventare l’umano” – che è nel sottotitolo di questo libro – l’ho presa da padre Thomas Berry, autore di The Dream of the Earth, The Great Work, e The Universe Story5. Ricordo quanto fui colpito dalla sfida posta da Berry quando lo ascoltai diversi anni fa, avendolo invitato a tenere una conferenza presso il nostro Istituto di cultura e spiritualità del creato. La sua è una visione vasta e profonda. Da quando ho sentito per la prima volta il suo pressante invito all’azione, la verità del suo annuncio profetico non è stata minimamente scalfita dai fatti. Anzi, le notizie quotidiane sullo scioglimento della calotta polare, sulla riduzione 5. Berry, 1990; 1999; 1992.

dello strato di ozono che ci protegge dagli effetti mortali dei raggi solari, sulla distruzione delle foreste pluviali, sull’impoverimento della vita negli oceani, sul depauperamento del terreno coltivabile, sulla scomparsa di alcune specie animali (dagli elefanti agli scimpanzé, dagli orsi polari a molte altre specie) a una velocità impressionante, non sono notizie che si possono prendere alla leggera. Tutto questo riguarda la nostra specie e in che modo il nostro prendere controllo della Terra è avvenuto a un prezzo molto alto per la Terra stessa, per le sue creature, e per noi stessi che cerchiamo di sopravviverci. Le guerre infuriano, spesso nel nome di ideologie religiose. L’avidità del capitalismo vittimizza la Terra. È chiaro che il nostro cervello rettiliano, in combinazione con il nostro cervello creativo e logico, è una realtà famelica e disastrosa per il pianeta. È necessario mettere sotto controllo la nostra avidità. È necessario mettere sotto controllo le nostre tendenze guerresche. È necessario mettere sotto controllo le nostre spese militari. Il nostro sistema educativo deve mettersi al passo con le grandi questioni della sopravvivenza. Questo infatti è il tema del mio libro: reinventare l’umano, reinventando l’educazione.

L’educazione riguarda gli adulti La crisi dell’educazione non riguarda principalmente i bambini, nel senso che sforzarsi di preparare la migliore lezione di quarta elementare non risolverà la crisi di cui stiamo parlando. Questa è una crisi che riguarda gli adulti tanto quanto i bambini, anzi di più. I bambini seguono gli adulti, e se gli adulti non sanno più che EDUCARE ALLA MERAVIGLIA

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cosa significa essere un adulto, di sicuro i bambini non impareranno a diventarlo. Se gli adulti non trovano il senso della loro vita, difficilmente i bambini potranno trovarlo da soli. Se gli adulti smettono di imparare, sarà molto difficile per i bambini trovare la forza per studiare e apprendere. Quindi io adopero la parola “educazione” non per parlare principalmente dei bambini, ma per parlare di tutto ciò che imparano gli adulti, o che credono di aver imparato, e di ciò che essi insegnano ai bambini, ai giovani e agli altri adulti. Dopo tutto i bambini al ritorno a casa da scuola trovano un mondo di adulti, non soltanto i genitori ma anche nonni, zii e zie, politici e giornalisti, personalità televisive, preti, registi di film e pubblicità. Tutti gli adulti sono continuamente coinvolti nel processo educativo. I bambini guardano e imparano, o cercano di imparare. Non c’è niente di più naturale dell’apprendimento. Esso è per la mente ciò che il cibo è per il corpo. Avviene ogni giorno. Può essere divertente e delizioso, ma è anche una necessità. Infatti la nostra mente si chiude, la nostra anima si inaridisce e il nostro cuore avvizzisce se ci viene negata la possibilità di imparare, proprio come il nostro corpo si spegne se gli viene negato il nutrimento necessario del cibo. Abraham Heschel ha detto: “Non è vero che imparare serve a vivere, perché imparare è vivere”. Questo significa che quando smettiamo di imparare smettiamo di vivere. Essere vivi significa imparare. Purtroppo devo dire con tristezza che ho incontrato molte persone, tra cui alcune in posizione di potere e di considerevole responsabilità, che avevano smesso di imparare da molto tempo. Questo significa, però, che quando impariamo facciamo il pieno di vita! Una delle prove principali del fatto che l’educazione è in crisi è questa: pochi tra gli studenti o gli insegnanti la trovano ancora divertente o deliziosa, o giocosa, o accessibile. 14

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L’educazione scolastica: dono o punizione? Benedizione o maledizione?

Uno dei pregiudizi comuni che rendono nociva l’educazione è che gli studenti non hanno voglia di imparare, che non sono contenti di imparare o che non sono contenti punto e basta. Secondo questo modo di pensare, l’educazione deve essere punitiva. La scuola diventa una sorta di medicina disgustosa che si deve prendere fino a quando si riesce a scappare via. Oppure una punizione per i nostri peccati (o per il peccato di Adamo ed Eva). L’educazione, quindi, è punitiva. Se partiamo da questi presupposti finiamo per ritrovarci con quello che abbiamo adesso: l’educazione come punizione, come dovere, la scuola come luogo dell’assenza della gioia e del sorriso. Oltretutto, l’educazione è costosa! Il peccato originale è come una profezia che si avvera necessariamente: se inizi col pessimismo è probabile che finirai col pessimismo. Questo pessimismo ha forgiato in gran parte la coscienza moderna. Per esempio, Cartesio, uno dei filosofi moderni più importanti e la cui influenza negli ambienti accademici occidentali è ancora pervasiva, agiva a partire dalla propria angoscia, avendo perso ogni speranza da giovane quando il suo eroe, il re di Francia, venne assassinato.

Se, invece, crediamo che l’educazione sia un piacere, che la verità e l’estasi vadano a braccetto, allora l’educazione è una benedizione. Lo psicologo Ernest Becker ha parlato di ciò che egli ritiene essere la questione principale che distingue le filosofie educative. Si tratta della sua filosofia della persona umana: Qual è dunque, l’orientamento di base del nostro curriculum, il punto fondamentale dal quale deriva tutto il resto, la singola visione in cui consiste il nostro intero corso di studi, quella che risveglia la curiosità più intensa, che soddisfa profondamente la mente e allo stesso tempo la elettrizza? Qual è questa verità? È la grande verità di Rousseau, quella che lo fece cadere a terra in deliquio, che lo fece piangere di turbamento, di gioia e di scoperta, inzuppando di lacrime tutto il suo abito, la verità che egli piangendo lancia come sfida all’uomo moderno, la verità che ci tormenta da duecento anni a questa parte e che ora tocca a noi prendere sul serio come metro di misura di tutta la pedagogia e che è questa: l’essere umano è buono. L’essere umano è buono, ma la società lo rende cattivo. Questo è stato il messaggio di Rousseau, un messaggio di valenza mondiale e storica, e che è particolarmente interessante come orientamento educativo. Questa affermazione è il principio unificante di tutto il nostro curriculum, è il principio della nostra teoria generale dell’alienazione, che la individua come sintesi genuina di conoscenza6.

Nel mio libro In principio era la gioia ho sostenuto che ciascuno di noi è una benedizione7. Anche se all’epoca questo mio insegnamento fece infuriare il Vaticano, ho dimostrato che esso rappresenta l’insegnamento più antico e più saldo della spiritualità ebraica, inclusa la spiritualità del Gesù storico. Gli ebrei non credono al peccato originale, e nemmeno i musulmani, i buddisti, i popoli indigeni, gli unitariani o i cristiani ortodossi. Non ci credono nemmeno, come ho scoperto, la maggior parte dei genitori. Fu sant’Agostino, durante l’epoca della cristianizzazione dell’Impero romano, a porre in esse6. Becker, 1967, p. 254. 7. Fox, 2011.

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re la nozione di peccato originale. È strano che la Chiesa d’Occidente abbia preferito l’insegnamento di Agostino a quello di Gesù e dei suoi antenati ebrei, degli stessi autori biblici, per così tanti secoli. È strano che i costruttori di imperi, dall’epoca di Agostino ad oggi, abbiano dato per scontato il peccato originale nell’istruzione dei loro sudditi. Ma forse non è strano per niente. Forse un’ideologia basata sul peccato originale è ottima per far funzionare un impero in modo efficiente. Forse un’istruzione basata sulla benedizione originaria darebbe a troppa gente l’energia necessaria per mettere in questione le strutture politiche, per sviluppare le proprie capacità critiche e creative, per superare il senso di colpa per il fatto di essere persone umane, sessuali, creative e responsabili, per abbandonare uno stile di genitorialità punitivo. Nel suo libro The Great Turning: From Empire to Earth Community, lo studioso ed esperto finanziario David Korten dice che la “vera guerra culturale” che stiamo vivendo è quella tra la l’ideologia dell’impero, a cui gli esseri umani si sono dedicati per 6500 anni, e la cura per la Terra come comunità di viventi. Korten critica le scuole che formano i giovani [...] per farne servitori obbedienti delle istituzioni imperiali, ma non per servire la vita e per diventare leader di una comunità umana vitale, né per assumere ruoli di architettura sociale in una nuova era storica. C’è poco da stupirsi che così tanti giovani si ribellino, smettano di frequentare la scuola e si avviino verso sesso, droga e violenza come tentativo disperato di stabilire una qualche forma di relazione che affermi la loro esistenza, anche se in forme effimere e in fin dei conti autodistruttive8.

Lo storico H.G. Wells lo aveva già detto 65 anni fa: L’umanità rimarrà com’è finché non ci metteremo a ragionare insieme, e se non lo faremo, il declino sarà inevitabile. La nostra specie potrebbe terminare la sua strana anche se 8. Korten, 2005, p. 248.

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indubbiamente ricca storia come l’ultima delle grandi scimmie, la più intelligente. Una grande scimmia davvero molto intelligente, ma non abbastanza; in grado di sfuggire da quasi tutto, ma non dalla propria confusione mentale9.

L’educazione è parte della nostra confusione mentale o è parte della nostra strada per uscirne? Secondo Korten, quando l’impero ha preso il posto della comunità come scopo delle società umane, abbiamo perso la strada e abbiamo distorto l’insegnamento, ma anche la vita familiare, l’economia, la politica e la religione. Tradizionalmente, sia nella tradizione biblica sia nell’Induismo e nell’Oriente in generale, l’insegnamento era visto come un’opera di misericordia e di compassione, vale a dire come una strada per alleviare l’ignoranza e sollevare il velo che distorce la nostra relazione con la realtà. Dobbiamo chiederci se oggi l’educazione solleva questi veli di distorsione o se contribuisce a infittirli. Come è noto, in cinese la parola “crisi” significa anche “opportunità”. La crisi dell’educazione e la crisi che sta di fronte alla nostra specie non sono soltanto sfide, ma anche opportunità che ci spingono a riconoscere chi siamo come specie, che cosa ci stiamo a fare su questo pianeta, che cosa vogliamo per i nostri figli e i nostri nipoti, dove vogliamo arrivare e come vogliamo arrivarci. Si tratta, in poche parole, di una questione morale, perché la moralità consiste in null’altro che questo: dove vogliamo andare e quali sono i mezzi che adoperiamo per andarci.

L’educazione come patologia A volte la cura per il male dell’ignoranza risulta peggiore del male stesso. Molti di noi hanno storie orribili da raccontare sulla loro esperienza scolastica. 9. Wells, cit. in Becker, op. cit., p. 59.


Nella sua essenza, tutto l’insegnamento riguarda l’essere adulto. Infatti, all’interno del sistema educativo troviamo degli adulti che insegnano ai bambini e degli adulti che insegnano ai giovani, cioè in poche parole degli adulti che formano le successive generazioni. In questo senso, tutto il sistema educativo è davvero il rito di passaggio della nostra cultura e noi lo riconosciamo come tale, perlomeno nel momento in cui finiamo un ciclo scolastico e festeggiamo. Negli Stati Uniti e in altri Paesi di tradizione anglosassone, ogni titolo scolastico e universitario viene conferito durante una cerimonia. Tutti indossano abiti inusuali (che assomigliano a paramenti sacerdotali), si muovono in processione, ci sono musica e discorsi esortativi (che assomigliano a sermoni). Nonostante questi aspetti rituali, le università, in particolare, possono essere luoghi pericolosi. Conosco un ingegnere il quale aveva organizzato un convegno sull’intreccio tra tecniche ingegneristiche ed ecologia presso la sua università, mettendo al centro l’esperienza valoriale. Quest’uomo venne assalito fisicamente nei corridoi del suo dipartimento da un altro docente il quale non poteva sopportare l’intreccio tra ingegneria, moralità e spiritualità che era emerso durante il convegno. Ne aveva una paura enorme. Come ha detto Ernst Becker, oggi le nostre università producono competizione, separatezza, odio, guerra; potremmo chiamarle in qualsiasi modo, ad esempio, “incubatrici per pulcini” oppure “uni-asilinido”, ma non università. Una istituzione degna di questo nome non è ancora sorta in nessuna regione di questo pianeta10.

Una vera università insegnerebbe, ad esempio, la pace e il senso della comunità, perché risveglierebbe tutti coloro che la frequentano all’esperienza della gioia e del significato di essere parte dell’universo, anzi una porzione dell’universo stesso che pensa e che rende grazie. 10. Becker, op. cit., p. 258.

A proposito della coscienza frammentata tipica dell’università contemporanea, il biologo David Orr dell’Oberlin College scrive: Abbiamo frammentato il mondo in pezzetti che chiamiamo “discipline” e “sotto-discipline”, sigillandole ermeticamente le une dalle altre. Come risultato, dopo 12, o 16, o 20 anni di studio, la maggior parte degli studenti finiscono il loro percorso senza aver acquisito alcuna integrazione, senza avere un senso generale dell’unità delle cose. Le conseguenze per la loro personalità e per il pianeta sono enormi11.

Mark Gonnerman, dell’Università di Stanford, ha invocato la nascita di una “uni-versità” che sostituisca l’attuale “multi-versità”. Fin dal 1956, Kenneth Boulding ha osservato che l’universo del discorso si sta spezzettando in un multi-verso, e nei momenti più neri sembra che non ci sia altro da fare che attendere che il progresso scientifico giunga a ingripparsi e arenarsi in una palude di reciproca incomprensibilità. A causa del nostro orgoglio intellettuale, stiamo costruendo una nuova torre di Babele12.

Becker lo dice in maniera ancora più esplicita: Il grande ostacolo è l’università moderna, che non è un luogo di vero apprendimento. Non importa quanto la facciamo diventare accessibile, quanti dormitori vengono costruiti, quante borse di studio vengono assegnate dal Congresso e dai singoli stati, il fatto terribile rimane lo stesso: l’università americana esiste per preparare dei candidati a svolgere delle mansioni all’interno del sistema industriale/commerciale degli Stati Uniti. Non si tratta più di una istituzione professionale o vocazionale, e nemmeno davvero educativa. È un luogo dove si passano quattro anni o più per acquisire per mezzo di azioni meccaniche il diritto di vedersi assegnati i posti di lavoro migliori. È una formazione adeguata alla società come è, invece che per gli ideali di una società come potrebbe essere. Sono studi di alto livello organizzati come un’impresa commerciale, organizzati cioè secondo le migliori regole di una burocrazia che si auto-riproduce, come profetizzato da Max Weber13. 11. Orr, cit. in Gonnerman, 2003, p. 417. 12. Boulding, cit. in Gonnerman, op. cit., p. 439. 13. Becker, op. cit., p. 18.

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L’educazione moderna e la mancanza di senso Nel nostro tempo la mancanza di senso ci assale da ogni parte. In Scandinavia, ma anche in altre parti del mondo, le persone che hanno un impiego ritengono che la mancanza di senso sia il loro problema principale. Dalle forti reazioni che ha provocato il mio libro The Reinvention of Work ho appreso l’onnipresenza della mancanza di senso nel nostro tempo14. Le persone cercano un senso nel loro lavoro, nelle loro vite, ma non lo trovano. Questa discussione è sorta anche nel contesto di un convegno di leader culturali che ho presieduto in Finlandia e in un incontro tra lavoratori e imprenditori al quale ho partecipato a Ginevra. Gli studi indicano che anche quando (o forse soprattutto quando) si ha la sicurezza dello stipendio e della pensione, come accade in alcuni Paesi europei, la mancanza di senso e la depressione sono in agguato. Uno studio condotto in Germania afferma che causa principale delle assenze dal luogo di lavoro è la depressione. Ora, dal momento che le università sono il luogo dove le persone vengono formate a una professione, dobbiamo chiederci se queste istituzioni educhino al senso oppure al non-senso. Fin da quando ho lanciato una nuova università (in seguito alle risposte che ho ricevuto riguardo al mio libro sul lavoro) ho imparato questa lezione: quando la creatività e la cosmologia fanno parte degli studi, il senso riaffiora. Non possiamo infatti reinventare il lavoro senza reinventare l’educazione, che del lavoro è molto spesso l’incubatrice. Molte persone che hanno frequentato i nostri corsi post-laurea (professori, ingegneri, assistenti sociali, terapeuti, artisti, preti, imprenditori, ecc.) sono arrivati con l’anima stanca, ma alla fine del percorso sono rinati, svegli, rinvigoriti e pronti di nuovo a impegnar14. Fox, 1995.

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si nella loro attività. Credo che la nostra pedagogia, che si è sviluppata nel corso di questi ultimi quarant’anni, si sia dimostrata ancora una volta in grado di instillare significato e di inspirare gli studenti a riprendere la vita e il lavoro con nuovo vigore e con un senso più profondo del proprio scopo. Becker ha detto che con l’essere umano, il significato è diventato cosciente; la sua concezione generale della vita determina come egli vede le singole parti della vita stessa. L’essere umano infatti è l’animale che crea senso15.

Ma se siamo animali che creano senso, i nostri sforzi educativi sono all’altezza del loro compito? Veniamo educati al senso delle cose? I nostri corsi scolastici, dalle elementari ai corsi più avanzati, sono capaci di far emergere questo senso? E quali specifici significati vengono trasmessi? Nella lingua inglese, la parola meaningful (significativo/a) è molto interessante. Assomiglia alla parola grateful (grato/a). Sono entrambe parole composte con la desinenza -ful. Infatti non ci sono mezze misure nel senso come nella gratitudine. O la tua vita ha senso oppure non ce l’ha. O sei grato oppure sei ingrato. Noi viviamo in una cultura che ci priva di senso. Ma deve proprio essere così? Stiamo crescendo i nostri figli privandoli di senso sempre di più? Non si può fare altrimenti? C’è da chiedersi se la mancanza di senso non inizi proprio nell’educazione. Becker analizza la situazione in questo modo: Il problema della mancanza di significato nella vita moderna non è un problema di mancanza assoluta, ma relativa; essa è causata da una compressione, da una ristrettezza, da un orizzonte e una prospettiva limitati, tipici di una visione del mondo che sollecita energie troppo superficiali, troppo immediate, troppo aduse a scopi banali e di routine. La mancanza di senso 15. Becker, op. cit., p. 126.


dell’uomo moderno è il problema di come vivere, di che cosa fare oltre a vivere semplicemente la vita in maniera del tutto feticista. Per usare l’espressione di Agostino, è il problema di non essere capaci a guardare in alto e a guardare in profondità. Nikos Kazantzakis ha confessato che, essendosi impegnato nella ricerca della pace della mente per mezzo della ricerca dei significati più alti, non riuscì a raggiungere il suo scopo se non quando la sua vita e il suo lavoro si radicarono nel senso più profondo della creazione. Che cosa può essere la felicità per un uomo, se non accorgersi che la vita è un dono e non un peso? Per questo motivo l’uomo moderno si lamenta in modo pietoso del peso della vita: egli non ha niente di “ultimo” a cui dedicarsi, niente di infinito per cui assumersi delle responsabilità; niente che lo trascenda in modo da poter essere davvero coraggioso. Non ha che se stesso e i suoi oggetti di consumo, luccicanti e distraenti; alcune (poche) persone amate che stringe a sé con un certo affanno; la durata della sua vita; la sua pensione; il suo posto in una catena di cose puramente biologiche e finanziarie16.

Sono d’accordo nel dire che la mentalità moderna è lamentosa. Penso anche che molti insegnanti e accademici sono particolarmente lamentosi e si comportano da prime donne che si aspettano di essere servite e riverite, anziché rendersi utili. Il patriarcato crea persone lamentose. Conosco accademici che amano credere di essere dei “decostrutttori postmoderni” ma non fanno assolutamente nessuno sforzo di ricostruzione. Persone come queste si lamentano e si lagnano, elevando a nuove vette l’arte verbale del cinismo. Come i bambini, sono capaci di distruggere gli oggetti senza saperli aggiustare. Si aspettano un salario importante e garantito semplicemente perché si presentano al posto di lavoro. Ma mi accorgo anche che, tra i giovani, la mentalità postmoderna può andare molto al di là del lamento e desidera farlo. Vuole divertirsi e, nei casi migliori, vuole la giustizia e vuole sognare quei grandi sogni che rendono la giustizia possibile. Vuole avere a disposizione delle 16. Ivi, p. 212.

tele più grandi per dipingere una vita più piena. L’era moderna ci ha instradato verso il sapere e le conoscenze specifiche, e non si può dire che si tratti di poca cosa. Siamo in grado di costruire ponti sicuri e aerei che ci trasportano da una parte all’altra del globo a velocità inaudite; possiamo lanciare missili che ci portano sulla Luna e possono portare le nostre strumentazioni su Marte, sulle lune di Titano e ai confini della Via Lattea. E questi sono risultati splendidi! Ma l’era moderna non ci ha dato nessun significato. Senso e significato provengono dalle tradizioni sapienziali, non dal sapere e dalla conoscenza. Il mondo premoderno era molto più attrezzato del mondo moderno a fornire significati e il suo sistema educativo era tutto orientato al senso delle cose. Dunque il nostro compito, oggi, è quello di incorporare la sapienza e la pienezza premoderna del senso con il vasto deposito della conoscenza moderna. È l’educazione in grado di far questo? Ovviamente non l’educazione nello stato attuale. Dobbiamo parlare della sua forma, ovvero della nostra scelta di mettere vino nuovo in otri vecchi (oppure vino ricco e antico in otri nuovi). Le forme dell’educazione moderna escludono di fatto ogni significato. Ma le forme antiche ci mostrano la via! Si tratta delle forme del rito, dell’arte, della meditazione, della celebrazione, della memoria, del canto meditativo, cioè di ciò che lo psicologo Otto Rank chiama “l’irrazionale”. In questo momento storico i popoli indigeni del Sud America pregano perché “i sogni del Nord” cambino. I sogni di industrializzazione e di consumismo che guidano la nostra economia e che spogliano la Terra, deprivandoci del nostro futuro come specie. Quali sono i sogni della nostra scuola? Sono sogni vecchi e stanchi? Il sogno per cui se vinci tu perdo io? Possiamo cambiare il modo in cui l’educazione sogna? Possiamo sognare quel tipo di EDUCARE ALLA MERAVIGLIA

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sogni che fa Sharif Abdullah quando parla di “creare un mondo che vada bene per tutti”17?

Passare dall’educazione diseducativa all’educazione consapevole Il problema o la crisi che l’educazione ci presenta è questo: sia l’educazione diseducativa sia l’educazione buona sono possibili. La diseducazione è una forma di istruzione che non è capace di educere, un verbo latino che significa “trarre fuori”, ossia portare alla luce le capacità migliori e più nobili di ogni individuo: le nostre capacità di gioia e di meraviglia, di stupore e condivisione, il nostro amore per la vita, la giustizia e la compassione. Il sistema educativo attuale è consapevole oppure è irriflessivo? Contribuisce a colmare i discenti di stupore e di fiducia in se stessi oppure li aliena e li priva di forza? Un sistema educativo consapevole aumenterebbe, ad esempio, la nostra capacità di silenzio e di contemplazione. Accrescerebbe la nostra capacità di avere a che fare con il caos e di sopportare lo stress, la nostra capacità di lasciar andare, di lasciar essere e di perdonare. Farebbe crescere la nostra capacità creativa e anche la nostra relazione con i chakra inferiori, dai quali sorge il nostro amore per la terra, la nostra capacità di compassione, la nostra capacità di passione e sdegno etico indirizzati verso un uso positivo. Questo è ciò che viene ottenuto per mezzo della consapevolezza, senza la quale non c’è che una scuola stupida e irriflessiva. Una scuola consapevole si occupa di ciò che Tommaso d’Aquino chiamava “l’atto umano 17. Abdullah, 1999.

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più nobile” e cioè la gioia. Sì, la gioia e l’educazione devono andare a braccetto. Dobbiamo scoprire, sviluppare e nutrire le nostre capacità più nobili. Anche questo è parte di una scuola consapevole. Il dominio dell’educazione diseducativa ci fa stare nell’ambito della malattia. Possiamo infatti parlare, in questo caso, di istruzione come patologia. Questa malattia si estende alla famiglia, alle comunità e alla società intera (che Clarissa Pinkola Estes ha definito come “famiglia di famiglie”). Quando l’educazione diventa patologica, diventa anche costosa, perché nessuno è contento di lavorarci e quindi richiede soltanto di essere compensato con un salario più alto, invece che dalla soddisfazione che deriva dal lavoro stesso18. Ci troviamo di fronte a infelicità e depressione da lavoro, a suicidi, alla noia patologica, all’assoluta assenza di gioia. Ci troviamo di fronte al desiderio di potere, che si esprime ad esempio nell’“adultismo” cioè il risentimento da parte degli adulti (separati dal loro fanciullo interiore) nei confronti dei più giovani, che vengono dominati per il semplice motivo che sono più giovani. Ci troviamo di fronte alla mancanza di anziani saggi e alla conoscenza come sostituto della sapienza. Solo la metà di uno dei nostri sette chakra viene educato! Gli altri sei e mezzo vengono ignorati, e cioè il cuore, lo sdegno morale, la creatività, la compassione, la relazione con il cosmo e con la terra19. I problemi principali dell’educazione non nascono dai sindacati, dagli insegnanti, dagli stanziamenti per l’istruzione, ma dalle università, nelle quali troppo spesso gli studenti vengono diseducati riguardo alla vita, al lavoro e all’apprendimento. Dall’università la diseduca18. In questa frase si avverte in modo particolare il contesto statunitense dell’autore, il quale però ci tiene a chiarire di non essere affatto contrario a una retribuzione dignitosa per gli insegnanti [N.d.T.]. 19. Per un’analisi della connessione tra i chakra e lo sviluppo morale, cfr. il capitolo “La nuova metodologia pedagogica: le ‘10C’”.


zione scende verso il basso a cascata. Per questo motivo, la cura deve partire dall’università. L’università deve curare se stessa. Il problema che ci sta di fronte è globale ed è causato dalla nostra specie, ma le sue espressioni sono locali. Un vero e proprio genio della politica ha detto durante una seduta del Congresso degli Stati Uniti che “tutta la politica è locale”. Sono convinto che l’educazione deve sempre essere locale, se non altro perché riguarda i nostri figli, le nostre tasse, le nostre comunità, i nostri talenti, il nostro tempo20. Inoltre, tutti noi abbiamo le nostre idee sull’educazione. Ogni adulto, ogni cittadino, può raccontare delle storie terrificanti (o anche positive) riguardo alla sua esperienza scolastica. Le situazioni di abuso all’interno del sistema educativo sono una realtà che deve essere esaminata e di cui si deve parlare apertamente. Nell’ambito dell’istruzione superiore può facilmente prevalere una forma di sadomasochismo, e quando questo avviene, tali situazioni di abuso vengono trasmesse alla generazione successiva, proprio come avviene con l’abuso sessuale sui minori. Quando l’educazione diventa punitiva, è necessario intervenire. Per fortuna ci sono alternative, come una formazione basata sulla meraviglia anziché sulla punizione21. Janet Holmgren, presidentessa del Mills College di Oakland, in California, ha affermato di recente che “è straordinario quanto l’istruzione superiore sia l’istituzione più conservatrice della nostra società”. Si tratta di una frase molto rivelativa. Non è forse venuto il momento di cambiare? Il sistema educativo è un luogo dove si rispetta, si conserva e si apprende il passato, ma è anche un luogo che ha bisogno di critica, e

specialmente di autocritica, come anche di sogni e di obiettivi che possano dare una forma al futuro e che possano liberare la creatività e l’immaginazione necessarie per far diventare tale futuro una realtà. Il sistema educativo è talmente importante per la nostra società che non sottoporlo a un esame critico equivale a non dargli importanza. Il sistema educativo deve trovare un equilibrio tra stare “nel mondo” e stare “fuori dal mondo”. Il suo scopo non è soltanto conservare ma anche ispirare. Non soltanto conservare ma anche servire.

20. Anche in questo caso, è importante tenere presente il contesto statunitense, dove le tasse locali vanno a finanziare le scuole presenti sul territorio, provocando così il fenomeno delle scuole povere nei quartieri poveri [N.d.T.]. 21. Per il tema della meraviglia nell’educazione, cfr. il capitolo “Un’educazione basata sullo stupore” e seguenti.

Mentre negli affari è l’efficienza a guidare le decisioni, lo stesso metodo

Il denaro e l’educazione Il denaro è una questione rilevante per l’educazione, ma non è quella centrale. Al limite, il nostro atteggiamento di fronte a tale questione è indice dell’interesse che abbiamo davvero nei confronti dei nostri figli, se ci rifiutiamo di spendere denaro per la loro istruzione. Di solito, le proprie scelte di spesa riflettono le proprie priorità. Robert Freeman è stato un uomo d’affari nel ramo delle tecnologie informatiche per vent’anni. Poco dopo essere giunto alla carica di vicepresidente delle vendite di una grande industria del settore, si licenziò e decise di diventare insegnante di economia e storia nella scuola superiore della città di Los Altos, in California. In questo modo apprese che insegnare è molto più difficile che fare affari perché coltivare l’intelligenza umana è una delle cose più difficili al mondo. È una faccenda molto più complessa e richiede molto più tempo che produrre dei widget o organizzare delle nuove campagne pubblicitarie.

è disastroso quando si tratta di suscitare l’intelligenza e il carattere morale dei ragazzi e delle EDUCARE ALLA MERAVIGLIA

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ragazze. Bisogna ricordarsi che l’intelligenza e il carattere si formano a partire da una gestione molto cauta della complessità, dell’ambiguità e dell’incertezza, nel contesto di un ambiente sicuro, paziente e attento. Questo è l’opposto dell’efficienza. I bravi insegnanti – sottolinea Freeman – costano di più ed è giusto che sia così. Essi possiedono una combinazione magica di empatia, intelligenza, capacità di soluzione dei problemi, pazienza e perseveranza, ovvero gli stessi tratti caratteriali che vorremmo vedere svilupparsi nei nostri figli.

Quando ci rifiutiamo di spendere denaro per l’educazione, voltiamo le spalle alle speranze dei nostri ragazzi e ragazze. Robert Freeman ne parla in questi termini: Quanti genitori sono pronti a consegnare i loro figli ad aziende il cui scopo principale è quello di trarne profitto? Quanti di loro si accontentano volentieri di cattivi insegnanti, di classi numericamente gigantesche, di una scuola completamente dominata dalla routine? Eppure, siccome si tratta di ricavarne un profitto, la visione che ci offre una scuola privata di massa è proprio questa!22

Suscitare il bisogno di insegnare agli ignoranti Da qualche tempo vado ripetendo che la nostra società è così squilibrata che abbiamo finito per separare quasi completamente la giustizia dalla legge, il commercio dalla responsabilità per il creato, la religione dalla spiritualità e il sistema educativo dall’apprendimento. Per il resto, siamo abbastanza in forma. È possibile tornare a unire tra loro l’educazione e l’apprendimento? Mi appassiona discutere di 22. Freeman, 2005. La “scuola privata di massa” è una realtà negli Stati Uniti. Il riferimento quindi è alla grande diffusione di scuole superiori e università private che in molti casi (anche se certamente non in tutti) sono asservite al sistema produttivo, anziché favorire il pensiero critico [N.d.T.].

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un tema così importante, cioè il futuro della nostra specie come lo si può leggere nelle forme di istruzione che promuoviamo o che tolleriamo, nella forma di un manifesto. Scrivo cioè in modo molto diretto perché la nostra specie non ha più tempo da perdere! Ad essere onesti, anch’io personalmente sento di non avere più tempo da perdere. Dopo quarantatre anni di insegnamento agli adulti, desidero esprimere chiaramente che cosa ho imparato sulla formazione alternativa e su come si può applicare ai più giovani ciò che ho imparato lavorando con gli adulti. All’età di 73 anni mi rendo conto che il tempo passa anche per me e che è giunto il tempo di trasmettere ciò che ho imparato sull’educazione a un’altra generazione di insegnanti. È il mio compito come “anziano”. Oggi siamo tutti ignoranti, ma questa è una buona notizia! Nessuno ha tutte le risposte. Nessun individuo e nessuna tribù umana, nessuna religione e nessuna cultura, nessuna nazione e nessun sistema economico. E nessuna modalità di insegnamento. Noi siamo, come specie, sull’orlo dell’estinzione oppure sul nascere di qualcosa di profondamente nuovo e profondo che incorpora alcune profonde verità che provengono dal passato. Possiamo scegliere. In quanto cittadini, in quanto attori sul palcoscenico cosmico chiamato Madre Terra, possiamo scegliere. L’ignoranza è universale. Ciascuno di noi viene al mondo abbastanza ignorante. Fa parte della genitorialità sollevare il velo dell’ignoranza, ed è anche il compito della società. Dopo tutto “c’è bisogno di un intero villaggio”. Ciascuno ha le proprie opinioni riguardo al sistema scolastico, almeno per alcuni aspetti, proprio come ciascuno ha le sue opinioni riguardo all’economia, alla politica e alla religione. L’educazione in fondo è un fenomeno universale. Tutti quanti siamo andati a scuola o abbiamo smesso di andarci, l’abbiamo amata o odiata, o forse abbiamo trovato un compromes-


so. La maggior parte di noi ha dei figli a scuola o che non vogliono più andare a scuola, che vogliono continuare a studiare oppure no, che sono contenti dei loro studi oppure no. Parte delle nostre tasse serve a finanziare il sistema scolastico e i politici fanno grandi discorsi sull’educazione. A volte doniamo del denaro a una scuola. Molte persone lavorano in un contesto educativo o fanno parte di consigli scolastici, mentre molti altri lavorano indirettamente per il mondo della scuola e dell’università o se ne aspettano dei benefici come, ad esempio, la qualità del personale che fa ingresso nel mondo del lavoro. Il sistema educativo ci riguarda tutti. Tutte le tradizioni spirituali del mondo rendono onore all’educazione, considerandola una pratica spirituale sia per gli allievi sia per i maestri. Il profeta Isaia annovera l’insegnamento agli ignoranti tra le opere di compassione. La Chiesa, di conseguenza, elenca tale insegnamento come una delle sette opere di misericordia. L’insegnamento è un atto spirituale, un’opera di compassione essenziale. L’Induismo insegna che il sollievo dell’ignoranza è parte del sentiero verso l’illuminazione. Anche il Buddha vide la causa dei travagli dell’umanità nell’ignoranza e l’illuminazione come la via oltre l’ignoranza. Tutti i popoli indigeni hanno le loro maniere, che includono sempre riti e cerimonie, per insegnare ai giovani qual è il loro ruolo sociale e il loro posto nel cosmo. Abraham Heschel ha detto che “dobbiamo educare non soltanto la mente ma anche l’anima”. L’era moderna praticamente ha bandito la parola “anima” dal discorso educativo, e i risultati di questa scelta sono ben visibili. In molti casi l’educazione scolastica è diventata senz’anima. Questa mancanza di consapevolezza interiore produce antropocentrismo, misoginia, materialismo, avidità, competizione, consumismo, iper-razionalismo e giochi di potere. “Serve a produrre una cittadinanza passiva utile all’impero”, come dice David Korten. L’era

moderna ha praticamente ucciso in Occidente il senso del percorso educativo. Ma il sistema educativo può essere aggiustato. La ricerca della sapienza, e non soltanto della conoscenza, è una necessità ormai urgente. Fino a questo punto abbiamo messo in luce alcune delle questioni principali che compongono l’attuale crisi dell’educazione, che è una crisi globale. D’ora in avanti, nel resto di questo libro, esploreremo quale possa essere la medicina adatta per i nostri sforzi educativi che si trovano in una condizione di sofferenza. Lo faremo in quattro fasi designate, a partire dall’acronimo A.W.E. nel modo seguente: 1. nel secondo capitolo “Un’educazione basata sullo stupore” (awe in lingua inglese significa “stupore”); 2. nel terzo capitolo “Un’educazione basata sui nostri antenati”, a partire dalla lettera A come ancestral, un’educazione basata sulle tradizioni ancestrali; 3. nel quarto capitolo “Un’educazione basata sulla saggezza”, a partire dalla lettera W come widsom, un’educazione basata sulla saggezza; 4. infine, nel quinto capitolo “La nuova metodologia pedagogica: le ‘10C’”, a partire dalla lettera E come education, esploreremo i dieci concetti fondamentali per la rivoluzione educativa.

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