Augusto Boal IL POLIZIOTTO E LA MASCHERA
Il poliziotto e la maschera, versione italiana del Théâtre de l’opprimé, non è un libro sulle tecniche teatrali ma sugli strumenti per trasformare la realtà. Può servire, quindi, ad animatori, insegnanti, militanti, educatori, conduttori di gruppi, volontari, operatori culturali, sociali e sanitari, persone qualsiasi… a quanti vogliono liberare se stessi e gli altri, da soli e con gli altri, dalle oppressioni che tutti noi subiamo senza sapere come reagirvi... Non è un testo per specialisti, ma una proposta di strumenti (giochi, esercizi, tecniche, linguaggi…) per affrontare, capire e trasformare, le nostre oppressioni... a livello corporeo, psicologico e socio-politico. Nel Teatro dell’Oppresso, infatti, lo spettatore generico viene aiutato a liberarsi della sua passività, dai suoi freni – dal suo poliziotto – per divenire, tramite il teatro – la maschera –, soggetto-protagonista non solo del presente ma anche del futuro. Lo spettatore capace di un atto liberatorio durante una seduta di “teatroimmagine” sarà così pronto a liberarsi della passività anche nella vita reale. Il Teatro degli Oppressi, sebbene nato nella realtà latinoamericana, si è evoluto continuamente anche rispetto a contesti diversi. Boal riesce in queste pagine ad adattare gli stessi strumenti teatrali a realtà tipiche del mondo occidentale in cui l’oppressione si fa più sottile e sofisticata, più fragile è la frontiera tra l’oppresso e l’oppressore e meno manifeste ma altrettanto gravi sono le ingiustizie.
Augusto Boal
IL POLIZIOTTO E LA MASCHERA Giochi, esercizi e tecniche del Teatro dell’Oppresso
Augusto Boal (1931-2009) è stato il fondatore del teatro Arena di San Paolo e ha scritto diverse opere teatrali con Chico Barque. Nei suoi testi, tradotti in trentacinque lingue, espone i metodi presentati nei suoi stage di formazione e diffusi ormai in tutto il mondo. Con la meridiana ha pubblicato Dal desiderio alla legge. Manuale del teatro di cittadinanza (2002), L’arcobaleno del desiderio (2010), Il Teatro degli Oppressi. Teoria e tecnica del teatro (2011) e L’Estetica dell’oppresso. L’Arte e l’Estetica come strumenti di libertà (2011).
In copertina disegno di Silvio Boselli
ISBN 978-88-6153-114-7
Euro (I.i.) Euro 16,50 16,00 (I.i.)
edizioni la meridiana p a r t e n z e
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IL POLIZIOTTO E LA MASCHERA
Augusto Boal
Giochi, esercizi e tecniche del Teatro dell’Oppresso Traduzione di Roberto Mazzini con la collaborazione di Claudia Melli, Carla Volpato e Susanna Lai Illustrazioni di Silvio Boselli
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Note al capitolo I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .54
Indice
Capitolo II Un nuovo sistema di esercizi e di giochi del Teatro dell’Oppresso . . . . . . . . . . . . . . . . . . .56 Due globalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .56 Le cinque categorie di giochi e di esercizi . . . . . . .57 I. Sentire tutto ciò che si tocca . . . . . . . . . . . . . . . .57
Prefazione alle illustrazioni . . . . . . . . . . . . . . .7 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .21 Prefazione alla terza edizione francese . . . . . .33 Capitolo I Il Teatro dell’Oppresso in Europa (1977-1979) . . . . . . . . . . . . . . . . . .38 Teatro-immagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .38 L’amore La famiglia Gli immigrati La vecchiaia La disoccupazione
39 39 39 40 40
Teatro-invisibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .40 Molestia sessuale Il bebé della regina Silvia Razzismo I: il Greco Razzismo II: la donna nera Pic-nic nelle vie di Stoccolma I figli del pubblico
40 42 42 43 43 44
Teatro-forum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .45 Le regole del gioco 45 La riforma agraria vista da una panca pubblica 47 Il processo popolare di un Pide 47 Leader al lavoro, schiava in casa 48 Il rientro al lavoro 48 La centrale nucleare 48
Un’esperienza a Godrano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .50 Lo spettatore protagonista 50 Il femminismo a Godrano 51 Ancora una volta la polizia 51 La famiglia 52 La cooperativa: il personaggio assume il proprio ruolo e rifiuta l’attore 53
1^ serie. Esercizi generali 2^ serie. Le andature 3^ serie. I massaggi 4^ serie. Integrazione 5^ serie. La gravità Orizzontalità Verticalità Sequenza di movimenti rettilinei e circolari
57 60 61 62 65 66 66 66
II. Ascoltare tutto ciò che si ode . . . . . . . . . . . . . .68 1^ serie. Ritmo 2^ serie. Il ritmo della respirazione 3^ serie. Respirazione e voce 4^ serie. Il rumore
68 73 74 74
III. Messa in gioco di più sensi . . . . . . . . . . . . . . .74 Serie del cieco Serie dello spazio
75 78
IV. Vedere tutto ciò che si guarda . . . . . . . . . . . . .79 Esercizi vari Giochi di maschere e rituali Giochi d’integrazione del gruppo Giochi con creazione di personaggi L’invenzione dello spazio e le strutture spaziali del potere
79 81 85 86 88
V. La memoria dei sensi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .90 Note al capitolo II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .91
Capitolo III Sistematizzazione del teatro-immagine . . . . .94 A - Gli esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .95 Sequenza degli specchi Sequenza del modellaggio Sequenza della marionetta
95 98 99
B - I giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .100 C - Le tecniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .101 Illustrare un tema col proprio corpo Illustrare un tema con i corpi degli altri Immagine di transizione
102 104 107
Note al capitolo III . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .107
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Capitolo IV Esercizi più complessi di vario tipo . . . . . . .110 Giochi di dinamizzazione emotiva . . . . . . . . . . . .110 Rompiamo la repressione Esercizi generali senza testo Riscaldamento emotivo Riscaldamento ideologico
110 111 112 114
Esercizi per la preparazione di una scena . . . . . .114 Sequenze di sedute pique-pique . . . . . . . . . . . . .118 Note al capitolo II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .119
Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .121 Organizzazione internazionale del TdO “I.T.O.O.” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .121 Indirizzi nel mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .126
Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .129
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Introduzione “Ter coragem di ser feliz” A. Boal
greche della parola: polis e techné, gestione della comunità, presa in carico dei suoi problemi (che nella democrazia limitata ateniese era la democrazia diretta da parte dei cittadini stessi… molto lontana quindi dal senso attuale della parola, con le sue connotazione per lo più negative). Scopi del Teatro dell’Oppresso
Mentre scrivo questa introduzione sono ancora recenti gli echi dolorosi per la scomparsa di una persona che ha influito anche sulla mia vita, in maniera significativa e a lungo. Parlo di Augusto Boal, l’autore di questo testo nonché fondatore del “Teatro degli Oppressi” (non inventore ma scopritore, come diceva lui, perché ha solo scoperto quello che il popolo già faceva…) che è morto il 2 maggio di questo anno (2009), a Rio de Janeiro, nel pieno della sua attività da un continente all’altro. A Marzo era a New York a ricevere la nomina ad ambasciatore mondiale del teatro per l’UNESCO, riconoscimento del valore della sua opera in mezzo secolo di attività. In quell’occasione fece un discorso che terminava con queste parole: “… Teatro non è solo un evento – è la vita! Attori siamo tutti noi. E cittadini sono coloro che non si accontentano di vivere in società, ma la trasformano.” In ciò è racchiusa l’essenza stessa del Teatro dell’Oppresso. Questa ri-edizione è perciò dedicata a lui, alla sua vita e al movimento teatrale e politico che ha saputo creare nel mondo, all’influenza che ha avuto sul modo stesso di fare teatro politico. “Politico” naturalmente nel senso delle radici
Boal, con la creazione del TdO, si propone di utilizzare gli strumenti teatrali per analizzare e trasformare la realtà, “restituendo al popolo i mezzi di produzione teatrale”. Boal mantiene dunque aperta la questione di come far sì che il teatro (e l’arte in genere) non sia patrimonio di cerchie ristrette, né sottoposto alle mere leggi di mercato, ma che queste potenzialità umane possano essere sviluppate da tutti. In altre parole l’obiettivo è lo sviluppo della “teatralità umana”, cioè della capacità di ogni persona (non solo dell’artista) di usare il linguaggio teatrale, di “essere teatro” 1, usando questo medium2 per conoscere il mondo reale e trasformarlo. Va sottolineato che l’analisi e la trasformazione sono compresenti sia nei giochi ed esercizi di demeccanizzazione, che nell’immedesimazione in personaggi, che nel Teatro-Forum e in ogni altra tecnica del TdO. Durante un esercizio, si possono infatti scoprire proprie potenzialità e limiti; nell’immedesimazione, aspetti nuovi di sé; nel Teatro-Forum si possono capire meglio le dinamiche oppressive, e così via... Parallelamente a queste analisi, si sviluppano anche abilità emotive, corporee, strategiche e progettuali, che costituiscono la trasformazione di sé e la preparazione alla trasformazione della realtà. È importante anche puntualizzare che l’analisi e la trasformazione non vengono intese solo come un processo logico-razionale, ma anche intuitivo, emotivo, sensoriale ed energetico, che si traduce poi in azione teatrale in senso lato. Per rendere possibile l’analisi e la trasformazione della realtà, secondo Boal, l’esperienza di liberaIL POLIZIOTTO E LA MASCHERA
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zione sperimentata nella finzione teatrale non deve essere fine a se stessa, una semplice catarsi, uno sfogo di tensioni con funzione consolatoria. Infatti il TdO porta lo spettatore ad essere protagonista dell’azione drammatica perché ritiene che questo stimoli la successiva “estrapolazione” di quell’esperienza, nella vita reale. Lo “spettattore” (come lo chiama Boal), entrando in scena e reagendo all’oppressione nella finzione teatrale, si arricchisce di idee ed energie, ha la possibilità di capire e trasformare l’oppressione, in una situazione protetta, per poi affrontare con un maggior bagaglio di strumenti ed esperienze l’oppressione reale. La svolta di Boal è radicale rispetto a quel teatro politico che muta i contenuti dello spettacolo, magari pure le forme, ma mantiene la struttura comunicativa classica, dove palco e platea rimangono luoghi incomunicanti, intransitivi3. Per perseguire questi scopi Boal attacca i fondamenti del teatro classico: il rapporto unidirezionale attore-spettatore e il fenomeno della catarsi. Il meccanismo fondamentale della smobilitazione dello spettatore veniva già individuato da Brecht nella catarsi aristotelica; quando l’eroe della Tragedia greca cade vittima dei propri errori (le passioni antisociali) il terrore provato purificherebbe il pubblico da queste stesse tendenze; ma, secondo Boal, gli toglierebbe pure “la voglia di trasformare il mondo”4. L’identificazione nell’eroe è un meccanismo ampiamente usato non solo nella tragedia greca ma, pur con varianti, anche nel teatro, nel cinema, nella TV, nella letteratura...; esso si è mantenuto sino ad oggi5. Brecht, affrontando il nodo della catarsi, risponde con la pratica dello “straniamento” che ostacola l’identificazione dello spettatore col personaggio-eroe e rende visibili invece i dubbi e le indecisioni, le possibilità di scelta del personaggio stesso. Boal ritiene insufficiente tale soluzione, perché limitata alla sfera intellettuale, e propone quindi l’intervento dello “spett-attore” direttamente nell’azione drammatica, non guidato sottilmente 22
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dalla regia (come in un certo teatro di “coinvolgimento”) ma completamente libero di agire per mutare l’azione stessa. Tecnica o metodo? Il TdO non è una tecnica ma un metodo che, basandosi sugli scopi precedentemente accennati, evolve nelle sue tecniche per rispondere sempre meglio alle varie forme di oppressione che la gente vive; si sviluppa quindi come un metodo “aperto”, in divenire, basato su alcune ipotesi di lavoro tra le quali la principale è questa: la prova dell’azione di liberazione, fatta in scena, chiarifica (a livello razionale ed emotivo) i problemi e stimola ad agire di conseguenza nella vita quotidiana. È un metodo aperto perché da quando è nato c’è stata una continua evoluzione: le tecniche si inventano, mutano, si adattano alle diverse situazioni alle quali si lavora, e non viceversa, costringendo la realtà ad adattarsi alla tecnica o eliminando certi “casi difficili”6. Infine, il TdO non vuole indottrinare gli spettattori, ma spingerli ad affrontare in modo più efficace le proprie oppressioni; esso si muove in questa direzione nell’ambito del pensiero di Freire, dell’autonoma e collettiva presa di coscienza e si distanzia dal teatro di agit-prop, ideologico che vuole trasmettere una verità propria. Proprio la “coscientizzazione” di Freire è un elemento basilare del metodo. Il conduttore del TdO assume quindi un atteggiamento “maieutico”, non dà risposte ai problemi, ma aiuta a trovarle fornendo le tecniche e garantendo il percorso. Alcuni lo hanno chiamato problematizzatore o difficoltatore. Non c’è quindi una verità da trasmettere, ma delle verità individuali parziali7 da confrontare. Attraverso questo confronto, quello che il gruppo raggiungerà in una data fase di lavoro, sarà (nell’ipotesi di Boal) la miglior coscienza possibile di
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quel gruppo, in quel momento, in quelle condizioni, su quella data situazione di oppressione. TdO e nonviolenza Ci si può chiedere quali rapporti intrattenga il TdO con la nonviolenza e l’educazione alla pace, visto che in Italia è in questi ambiti che esso ha iniziato a riscuotere un grosso interesse. L’approccio di Boal non esclude la violenza, anzi scambia “nonviolenza” con “passività”, cosa da cui rifugge. Io credo, come già scrissi altrove8, che invece ci siano almeno cinque similitudini tra il metodo del TdO e il pensiero nonviolento9: 1) Il TdO è un teatro politico che non indottrina; l’unico suo presupposto è l’importanza di reagire alle oppressioni; chiede ad ognuno di esercitare il proprio potere, anche se può sembrare minimo, per liberarsi. La nonviolenza “specifica” è chiaramente centrata anch’essa sulla valorizzazione delle risorse individuali e collettive, sulla presa di coscienza del proprio “potere personale”10. 2) Il TdO e la nonviolenza si basano ambedue su di una concezione conflittuale della vita; il conflitto è onnipresente e va affrontato positivamente (qui appaiono senz’altro delle differenze nell’uso dei mezzi e nel rapporto col fine, dato il diverso retroterra culturale); 3) Il TdO e la nonviolenza richiedono la partecipazione e la solidarietà della gente e lavorano per costruirla; nel TdO i casi individuali, mediante identificazione, analogia e risonanza, diventano collettivi11. 4) Ambedue gli approcci si preoccupano del rapporto tra mezzi e fini, non potendosi usare, come diceva Freire, una pedagogia oppressiva per fini di liberazione. 5) La creatività, che facilita la ricerca di soluzioni nei conflitti, è un ulteriore elemento comune. L’innesto con la nonviolenza attiva e il suo uso in molteplici esperienze di educazione alla pace ha sicuramente rinnovato l’interesse e mostrato inaspettate connessioni con una corrente culturale così diversa da quella in cui è nato il TdO.
Credo che il TdO, inserito in questo ambito nonviolento, e in altri approcci utili ad ampliarne l’efficacia (penso al “Lavoro di Rete”, alla “Psicologia di Comunità”, all’“Educazione popolare”12, ecc.) possa rappresentare un utile strumento di intervento rispettoso delle diverse culture e della complessità dell’azione sociale. Breve storia del TdO13 Alcuni dei passaggi salienti: • 15 marzo 1931, Augusto Boal nasce a Rio de Janeiro. • 1954-56, dopo la laurea in chimica si trasferisce per perfezionarsi negli USA, ma in realtà si dedica al teatro. • Nel 1956 viene chiamato come vice-direttore dal Teatro Arena di San Paolo e vi introduce il “metodo Stanislavskij” per la formazione dell’attore14. Con esso muta radicalmente il rapporto attore-personaggio, l’attore è spinto ad una maggiore interpretazione e immedesimazione, comincia a vivere il personaggio e non semplicemente a mostrarlo. • Negli anni successivi Boal si pone quindi il problema dell’uso sociale dell’arte e della sua funzione politica15, iniziando una sperimentazione che tocca i luoghi del teatro, le forme teatrali, con intuizioni a livello linguistico ed organizzativo. Le sue prime opere teatrali rispettano la “forma classica” ma trattano contenuti popolari, temi sociali sentiti dal popolo; parallelamente vengono creati i “Nucleos”, ovvero agili compagnie che portano il teatro tra la gente, recitando sui camion, per strada, in campagna, affrontando temi sociali. • Primi anni Sessanta: il lavoro di Boal si inserisce in quel forte movimento di riscatto popolare i cui aspetti più conosciuti riguardano l’opera di alfabetizzazione come “coscientizzazione”, proposta da Paulo Freire16. • 1964 e 1968: il processo di cambiamento è però stroncato da due golpe. • 1971: Boal è incarcerato e torturato, il suo gruppo disperso, il teatro chiuso. Espulso pochi mesi dopo in Argentina, Boal vi resterà fino al IL POLIZIOTTO E LA MASCHERA
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1976, continuando a sviluppare la ricerca di un teatro utile al cambiamento sociale. Le condizioni di semi-clandestinità nelle quali opera, lo portano a rispolverare una vecchia forma teatrale che ribattezza Teatro-Invisibile17. • 1973: partecipa ad una campagna di alfabetizzazione in Perù18; qui, dopo aver sviluppato il Teatro-Immagine e la drammaturgia simultanea per rispondere alle nuove sfide, nasce da un fatto casuale il Teatro-Forum: una donna del pubblico, insoddisfatta dell’interpretazione di un attore, sale sul palco e mostra “come si deve fare”. Da qui l’idea di far intervenire il pubblico, sostituendo direttamente gli attori nell’azione teatrale, allo scopo di cercare delle soluzioni ai problemi presentati in scena19. • 1976: Boal è a Lisbona e poi a Parigi; nell’incontro con le società occidentali il TdO si ridefinisce nelle sue forme, per affrontare oppressioni nuove: Boal si rende infatti conto, venendo in Occidente, che spesso colui che si sente oppresso non sa cosa vuole, oppure il suo desiderio è ambivalente, confuso; oppure sa cosa vuole ma non riesce ad agire per ottenerlo, perché qualcosa dentro lo blocca... il Flic (poliziotto). Boal ha quindi viaggiato e lavorato in diversi paesi europei e non, creando a Parigi un centro di diffusione del suo metodo che non ha però resistito al suo rientro in Brasile. • 1979-80: Boal e il CTO Parigi sviluppano delle tecniche chiamate genericamente del Flic-dansla-tête (poliziotto nella testa) sulla base dell’ipotesi che nelle nostre società, il poliziotto che ci blocca non è fuori, ma dentro la nostra testa20. • 1986: a seguito della fine della dittatura, Boal rientra in patria e fonda il Centro do Teatro do Oprimido e inizia a lavorare con vari gruppi oppressi. • Aprile 1991: si svolge a Parigi il 6° Festival internazionale con gruppi di 15 paesi, europei e non. A Novembre dello stesso anno nasce l’A.I.T.O. (Associazione internazionale del TdO) che si proponeva di intervenire nei progetti di educazione popolare dell’UNESCO, ma non decollerà mai per mancanza di risorse. • 1992: Boal viene eletto consigliere alla “Camera 24
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dei Vereadores” della città di Rio De Janeiro (Brasile). Qui inaugura una nuova forma teatrale che chiama Teatro-Legislativo: gruppi di animatori del TdO raccolgono i problemi della gente (nelle favelas, coi “meninos de rua”, coi lavoratori...) e ricercano col Forum le soluzioni che poi vengono portate alla “Camera” sotto forma di proposte di legge; quello che emerge quindi in sede legislativa viene riportato alla gente, sempre con tecniche teatrali, in un meccanismo circolare di partecipazione e controllo dal basso che Boal chiama “democrazia transitiva”21. • 1993: il 7° Festival internazionale del TdO raggruppa decine di esperienze di ogni parte del mondo a Rio de Janeiro. • Maggio 1997 8° Festival internazionale a cui partecipa anche Giolli. • 2002 nasce l’I.T.O.O. (International theatre of the Oppressed Organisation). • 2002: dopo un articolo di Boal su “Under pressure” (la rivista dell’ITOO) si apre una riflessione sull’utilizzo del TdO e viene esplicitata una polemica verso quei conduttori TdO o gruppi che lavorano nelle imprese per far dialogare manager e lavoratori. A seguito della controversia Boal, suo figlio e altri due animatori TdO che gestiscono il sito internazionale scrivono una Dichiarazione dei Principi (vedi appendice), in cui si rafforza l’idea del TdO come strumento di cambiamento. • Negli ultimi anni Boal sviluppa l’ultima sua idea, chiamata “Estetica dell’Oppresso”; ritiene che l’oppresso sia colonizzato culturalmente dalle idee dominanti e dai mass-media e che il TdO debba usare anche altre forme artistiche per espandere e rafforzare una visione alternativa del mondo, del proprio mondo desiderato. • Marzo 2009: l’Unesco nomina Boal ambasciatore mondiale per il teatro. • 2 Maggio 2009: dopo un ricovero in ospedale per complicazioni respiratorie Boal muore a Rio de Janeiro. La notizia rimbalza in tutto il mondo e l’Italia si evidenzia come uno dei paesi dove i mass-media generalmente ignorano la
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notizia, nonostante un’agenzia di stampa li abbia informati. Attuali scenari del Teatro dell’Oppresso A Parigi il GTO di Juliàn Boal agisce col TeatroForum sul tema del lavoro precario. Nel Sud della Francia gli E-chomediens trattano i problemi ecologici. In Inghilterra Adrian Jackson prosegue la sua attività con la compagnia di homeless. In India il gruppo Jana Sanskriti rafforza il suo impatto sociale creando un movimento di contadini che rivendicano la possibilità di una vita dignitosa sulle proprie terre e nel contempo lotta per la liberazione delle donne. In Canada Headlines Theatre Company di David Diamond ha usato il Forum in televisione, all’interno di una campagna di sensibilizzazione sulla violenza in famiglia, articolata in varie iniziative. Attualmente produce Forum che veicola su Internet per aumentare le possibilità interattive. In Austria, Interact ha avviato un’esperienza di Teatro-Legislativo con senza-fissa-dimora portando proposte di legge all’interno del Consiglio comunale di Graz. Per quanto riguarda l’Italia esistono varie realtà che lavorano con il TdO: oltre a Giolli ci sono Livres in alcune regioni, i Liber-attori in Piemonte, Krila a Bologna, Teatri Indifesi a Modena, Laboratorio di Partecipazione a Brescia, Teatro Liquido a Padova e numerosi altri singoli e gruppi informali. Come Giolli abbiamo accumulato un certo ventaglio di esperienze che lasciano intuire l’enorme possibilità d’uso: in comunità per tossicodipendenti, con giovani, insegnanti e genitori di numerose scuole e centri di aggregazione, con gli utenti di alcuni servizi psichiatrici a Colorno e Fidenza (PR), con giovani e gli adulti in conflitto nei quartieri di Modena, nei progetti di sensibilizzazione al problema psichiatrico svolti a Rovato (BS), nel lavoro inter-culturale con giovani palestinesi e israeliani a Bologna, in convegni vari, in progetti di integrazione multi-etnica e di controinformazione a Livorno e Rovigo, nelle prigioni di Pesaro
e Reggio Emilia, con gli agenti di custodia di Lauro (AV) e Pozzuoli (NA). Oggi il TdO è quindi diffuso in più di 100 paesi e innumerevoli sono le applicazioni in diversissimi campi e intrecciando la pratica con quadri pedagogici, psicologici, politici di vario tipo. Nella precedente prefazione del 2005 descrivevo i rischi di una involuzione del TdO in Italia se non avesse saputo radicarsi nei movimenti sociali, ma anche le grandi possibilità che si aprivano stante la grande voglia di partecipazione reale. Oggi, nel 2009, in un clima politico italiano sempre più asfittico, credo sia necessario una maggiore politicizzazione del TdO, che esca dalla nicchia del teatro educativo fatto nelle scuole, per la prevenzione, nei centri psichiatrici, nelle carceri… e si occupi anche dei temi sociali e politici rilevanti, dato il clima di involuzione su tanti aspetti che davamo per scontati. Non parlo di tornare all’agit prop, o ad un teatro trasmissivo, ma di esplorare il tema per esempio dell’insicurezza, della riforma Gelmini e delle tante riforme in atto sotto questo governo. Riforme che intaccano le condizioni di vita della maggioranza della popolazione che peraltro sembra presa dalla “falsa coscienza” e trova capri espiatori nei diversi, negli immigrati, nei detenuti… La morte di Augusto lascia un vuoto… ma anche un rischio, che si scateni la disgregazione o la lotta per la supremazia nel mondo TdO, così come è successo in altri ambiti sociali. Boal riusciva a tenere insieme con la sua autorevolezza modi anche molto diversi di fare TdO, ma ora che non c’è più può succedere non che scompaia il TdO, che anzi è vitale in varie parti del mondo, ma che si sprechino energie nella lotta di potere, per quanto contraddittorio appaia rispetto al metodo stesso, o che predominino le tendenze collusive del TdO, quelle che mettono da parte i principi per poter sopravvivere economicamente. IL POLIZIOTTO E LA MASCHERA
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La morte di Augusto lascia un vuoto… può portare ad una disgregazione del movimento variegato mondiale, alla prevalenza di tendenze a usare in modo tecnicista o riparativo il TdO, ma anche può aprire a scenari diversi. Punti di forza attuali sono alcune esperienze profondamente radicate nella società, in particolare quella di Jana Sanskriti in India che da più di 30 anni organizza i contadini poveri e lavora sul tema dell’oppressione della donna, creando un movimento rivendicativo forte che si dilata al di là del teatro. La strada è aperta alle nuove sfide della globalizzazione, Boal ha collaborato a Porto Alegre al Bilancio partecipativo, Diamond in Canada mischia TdO con TV e Internet, l’esperienza del Legislativo viene provata in piccolo anche in Europa; le profonde differenze che sono emerse negli incontri internazionali (tra gruppi indiani, africani, europei, ecc.) testimoniano la vitalità e adattabilità di questo metodo ai diversi universi culturali con alcune preoccupazioni per usi che ne stravolgono in senso ultimo. Le contraddizioni Senza esaurire l’argomento e rischiando di fare una schematizzazione rigida, tra le tante esperienze di TdO a livello mondiale possiamo individuare alcune tendenze principali: 1) gruppi e singoli che mantengono lo spirito originario politico del TdO, vogliono lavorare il più possibile con gli oppressi, hanno una visione critica della società capitalista, si sentono parte di un movimento per “un altro mondo possibile”, non accettano o quasi compromessi, scelgono con chi lavorare come committente e come gruppo, hanno nei loro progetti obiettivi di trasformazione sociale. Alcuni si ispirano al marxismo, altri alla nonviolenza, altri all’approccio di comunità, al sindacalismo di base, alla coscientizzazione di Paulo Freire. Alcuni preferiscono creare dei movimenti di cui il TdO è un promotore, altri preferiscono 26
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lavorare con le minoranze oppresse e le loro associazioni di base, fornendo lo strumento di intervento. La pratica sociale che attuano può radicarli bene nella realtà oppressiva oppure staccarli come intellettuali non organici e avanguardie estremiste. 2) Gruppi e singoli che sembrano allontanarsi dai principi del TdO; paiono infatti più legati al sopravvivere economico e quindi accettano molti compromessi rispetto alle finalità del lavoro, fino a lavorare con manager per facilitare la gestione dei conflitti con i lavoratori, o ad affinare le abilità dei poliziotti nella repressione, o a convincere loro concittadini a non usare il preservativo. Non necessariamente sono partiti con questa idea, ma la lunga pratica sociale di compromessi per la sopravvivenza spinge facilmente in un adeguamento teorico conseguente. 3) Gruppi e singoli deboli a livello di analisi teorica dell’oppressione, oppure ingenui che confondono metodo e tecniche e dichiarano di fare TdO perché usano magari approssimativamente il Teatro-Forum o alcuni giochi descritti nei testi… che scivolano in un lavoro di mera facilitazione del dialogo tra oppressi e oppressori, di semplice attivazione, di mutua comprensione. A volte sono difficili da distinguere dal gruppo 2 e le due caratteristiche si mescolano. La loro pratica sociale unita alla debolezza teorica li può trascinare verso il gruppo 2. 4) Gruppi e singoli che lavorano soprattutto in campo educativo e usano il TdO come strumento di attivazione del dibattito, il Forum come dibattito di idee e i laboratori come palestra di sviluppo di abilità sociali e comunicative. Confondono l’idea di “dialogo” in Boal e Freire col semplice parlare tra persone e non come rispetto reciproco dei bisogni e quindi lotta per un egual potere. Un utilizzo perciò riduttivo delle potenzialità del TdO, anche se corretto dal punto di vista strettamente tecnico. La loro pratica sociale li può portare a sminuire gli altri aspetti del TdO e a totalizzare l’educazione come rapporto principale per il cambiamento, mentre anche Freire ammoniva
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che l’educazione va accompagnata dai cambiamenti sociali, altrimenti non è sufficiente. Se è vero che la coscienza nasce dalla pratica sociale (pratica lavorativo-produttiva, pratica di lotta politica e pratica scientifica) e ne diviene a volte la falsa coscienza, dobbiamo porre grande attenzione alle nostre pratiche di TdO e non sottovalutare il fatto che una pratica compromissoria o debole o errata può portarci fuori dallo spirito del TdO anche senza che quasi ce ne accorgiamo. Negli ultimi anni Augusto aveva iniziato a porre il problema delle deviazioni dallo spirito originario del TdO in almeno due occasioni: • Con la creazione della Dichiarazione dei Principi nel 2002: una carta che i gruppi che si richiamavano al TdO dovevano accettare (ma in realtà non c’è mai stata la strutturazione di una sorta di “albo professionale” del TdO e la dichiarazione è rimasta tale). • Sempre nel 2002, una serrata critica a chi usava, in Francia, il TdO per far andare d’accordo imprenditori e operai. Ma nel contempo Augusto non ha mai spinto in questa direzione di condanna, lasciando prendere il suo metodo a spizzichi dagli stage, senza dare un corpo organico di formazione: non è mai esistita una scuola dove imparare il metodo, ognuno si è arrangiato da sé, magari dopo aver letto un libro e quindi con tutti gli equivoci che può comportare; … ma anche con una grande libertà inventiva e una scarsa ortodossia che hanno arricchito il metodo stesso. Come in tutta la realtà, se vista in modo dialettico, anche il movimento del TdO non è esente da varie contraddizioni che ne complicano la pratica: 1° contraddizione Poiché anche in questo campo valgono le leggi del mercato, di conseguenza i gruppi che seguono con più coerenza lo spirito originario del TdO sono ai margini economicamente e rischiano la scomparsa o un lavoro poco profes-
sionale perché basato sul volontariato. Altri che sono più accomodanti riescono, smussando il proprio lavoro, a ottenere cospicui finanziamenti, salvo rinunciare alla trasformazione della realtà. Come conciliare impegno continuo e professionale con la scarsità di mezzi economici, senza scivolare verso compromessi inaccettabili? 2° contraddizione Ci si dichiara a favore degli oppressi, ma in Occidente non sono oggi così ben identificabili e soprattutto non sono gli oppressi a richiedere l’intervento, ma enti e istituzioni che hanno interesse al controllo sociale e allo status quo e che chiedono di lavorare con i gruppi più marginali. Alcuni gruppi TdO sciolgono la contraddizione selezionando i committenti, altri non dando importanza alla cosa, insistendo sul valore assoluto del metodo. Altri ancora lavorano con gli oppressori giustificando che in questo modo mettono dei semi di critica nelle loro menti. 3° contraddizione Il concetto che è un “Teatro che tutti possono fare” è un equivoco sorto da una frase di Boal; in realtà ci sono due livelli del fare TdO, uno è quello che fanno direttamente gli oppressi mettendo in scena i propri problemi (e qui la frase ha senso), l’altro è il TdO fatto da gruppi di attivisti che vogliono sensibilizzare gli oppressi (e allora è richiesta una certa dose di professionalità). Quindi TdO per tutti, semplificando la formazione e sciogliendola in mera diffusione delle conoscenze tecniche o professionalizzazione del metodo con conseguente restrizione agli addetti ai lavori? Alcuni gruppi risolvono la contraddizione scegliendo una sola delle due vie. Queste contraddizioni principali potrebbero portare ad un’involuzione del TdO se gestite male o non gestite, oppure ad un salto di qualità. Si tratta a mio avviso di costruire una rete di gruppi e singoli dove prevalga la collaborazione sulla competizione, il confronto sul lavoro isolati, l’aiuto reciproco sulla concorrenza, l’approfondiIL POLIZIOTTO E LA MASCHERA
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mento del lavoro e la continuità sull’episodicità, il collegamento con vari movimenti sociali, sul fare tutto da soli. Ma una rete dove si scelga con chiarezza se aderire ai principi a scapito del ritorno economico e se puntare a un metodo approfondito o scivolare nel tecnicismo. Giolli cercherà di dare il proprio piccolo contributo in tal senso. Alcuni recenti elementi positivi, dopo la fondazione a novembre 2008 della nostra cooperativa, sono i due incontri nazionali tra gruppi e singolarità della scena italiana che hanno iniziato a confrontarsi (Casaltone di Parma - settembre 2008 e gennaio 2009). Questa edizione Questa 4° edizione arriva a soli 4 anni di distanza dalla terza, mentre l’applicazione e diffusione in Italia del TdO seppur ampia è schiacciata dalla carenza di risorse economiche dovuta alle politiche del Governo, ai tagli ai servizi sociali, alla generale involuzione delle pratiche di intervento sociale; gli interventi TdO sono in generale ancora piuttosto limitati nel tempo e l’impatto sociale è minimo rispetto alle potenzialità, mentre più ampio è quello culturale, anche se deve scontrarsi con un contesto socio-politico regressivo, in cui l’approccio della “coscientizzazione” fa a pugni coi veicoli politici dominanti. Forme apparentemente simili ma stravolte nelle finalità, quali il Teatro d’Impresa, il teatro di improvvisazione e la TV delle candid camera, dei reality show e dei Grandi Fratelli, sembrano indicare come forza emergente il bisogno di partecipazione e coinvolgimento in una società sempre più asfittica di incontri genuini e minacciata dalla guerra infinita. Oggi, a maggior ragione, ritengo che il TdO debba dare il suo contributo, basato com’è sull’integrazione dialettica di ragione ed emozione, serietà e leggerezza, necessità politiche e vissuti personali, obiettivi dei leaders e degli strati sociali interessati al cambiamento verso nuovi modelli di 28
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sviluppo sociale, di relazioni internazionali, di convivenza. È sempre più necessario ricostruire una voglia di trasformazione a partire dalla società civile, che affronti i grandi problemi senza facili “ricette”, ma con la passione della ricerca continua. L’esperienza di questi anni indica che il TdO può dare il suo piccolo contributo a questo processo. Traduzione e struttura del testo Boal è stato in Italia negli anni Settanta, senza lasciare però tracce permanenti; il suo primo libro tradotto da Feltrinelli non ha avuto successo editoriale, né nacquero gruppi che usassero stabilmente il TdO. Dall’autunno 1988, quando “La nave dei folli” organizzò il primo stage italiano con Rui Frati del C.T.O. di Parigi, il TdO ha cominciato a diffondersi nel nostro paese. Nel Gennaio 1993 usciva la prima edizione di questo libro; la seconda edizione nel 1996, la terza nel 2005 e ora questa, dopo 20 anni di esperienze che il nostro gruppo ha condotto, riprendendo un metodo che in Italia era allora pressoché sconosciuto e ancor meno praticato. Nel suo primo libro italiano22 Boal raccontava le esperienze sudamericane, questo invece raccoglie il lavoro svolto negli anni Settanta in Europa, ma non si occupa delle problematiche del Flic che sono trattate nell’Arcobaleno del desiderio, né dell’Estetica dell’Oppresso, che stiamo pensando di pubblicare. È stato composto con parti di due testi francesi23 tradotti dal portoghese tra il 1978 e il 1980 a Parigi dove Boal ha vissuto fino al 1986. Non li ho tradotti integralmente, sia perché alcune pagine erano già nel testo italiano precedente, sia perché giudicate non più interessanti dall’Autore, che meglio le ha sviluppate in un altro testo24. Restano quindi le pagine relative alla descrizione degli esercizi e al racconto di esperienze fatte in Europa. Nella traduzione ho cercato di restare il più fedele possibile all’originale nella scelta dei ter-
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mini, mentre qua e là ho completato il pensiero dell’autore (ad esempio, dove la spiegazione di alcuni esercizi non risultava abbastanza chiara). Ho lasciato invece le formulazioni di pensieri politici, anche se datate e opinabili, per dare uno spaccato del clima politico in cui questo lavoro teatrale si è svolto e della personalità dell’autore. Rispetto alle altre edizioni, questa non ha modifiche nella parte scritta da Boal, mentre sono stati aggiornati: l’Introduzione, il Glossario e gli indirizzi, e l’Appendice dove ho messo lo Statuto della cooperativa Giolli fondata nel 2008, come sviluppo della precedente omonima associazione. Altre precisazioni più specifiche, delle scelte e difficoltà incontrate, le troverete nelle note. Il libro intreccia parti teoriche a descrizioni tecniche, esemplificazioni ad episodi concreti; in alcuni punti esso risulterà stimolante soprattutto per chi ha già assaggiato il TdO e sente il bisogno di un apporto tecnico per approfondirlo, non solo teoricamente ma anche (e la strada è più feconda) attraverso la prassi, sperimentandolo nella realtà di oggi. Personalmente credo che il TdO funzioni in ambiti molto diversi tra loro, da quello educativo a quello culturale, da quello “terapeutico” a quello politico, a quello sociale... È uno strumento molto versatile. Questo libro può servire perciò a quanti… animatori, insegnanti, militanti politici, educatori, conduttori di gruppi, volontari, operatori culturali, sociali e sanitari, persone qualsiasi... vogliono liberare se stessi e gli altri, da soli e con gli altri, dalle oppressioni che tutti noi subiamo senza sapere come reagire. Roberto Mazzini di GIOLLI cooperativa sociale Tortiano, 1° Luglio 2009
Note all’Introduzione 1
Boal distingue tra “essere teatro” e “fare teatro”. Solo alcuni “fanno teatro”, nel senso che sono attori, registi, drammaturghi... svolgono una professione; tutti gli uomini invece “sono teatro”, cioè possiedono la capacità di “vedersi in azione”, di autoosservarsi, capacità che il TdO cerca di esaltare, rendendo lo spettatore “protagonista” dell’azione drammatica.
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Sui media, la loro funzione e la caratteristica dei diversi linguaggi: Mc Luhan M., Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1967 Olson D., Linguaggi media e processo produttivi, Loescher, Torino 1979 Una interessante prospettiva per la musica: Stefani G., Insegnare la musica, Guaraldi, Firenze 1977
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Castri M., Per un teatro politico. Piscator, Brecht, Artaud, Einaudi, Torino 1973
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Le fasi dettagliate della tragedia greca sono analizzate in: Boal A., Théâtre de l’opprimé, La Découverte, Paris, 1985, pp. 81-122 Tradotto in parte in: Boal A., Il Teatro degli Oppressi, Feltrinelli, Milano 1977
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Per approfondimenti sul concetto di catarsi cfr. Boal A., Il Teatro degli Oppressi, op.cit.
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Per una critica delle “tecniche psicoterapeutiche” come riduzioni del campo di indagine e auto-giustificazione vedi: Piro S., La scacchiera maledetta, Tempi Moderni, Napoli 1980 Mazzini R., Teatro dell’oppresso e terapia: connessioni, in “Animazione Sociale”, Settembre 1989, n. 21, pp. 77-80 Come spiega molto chiaramente R. Castel: “I ‘problemi psicologici’ non sono mai... ‘puramente psicologici’ ma anche economici, sociali, politici, ecc. È la psicologia che li psicologizza... La psicologia è la ripresa di questi problemi umani nel linguaggio esclusivo dell’individualità e della soggettività e la delega a un terzo dell’incarico di risolverli.” in Castel R., Le psychanalysme, 3° ed., (1° ed. Maspero 1973), IL POLIZIOTTO E LA MASCHERA
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Flammarion, Paris 1981, p. 119 (trad. it.: Lo psicanalismo, Einaudi, Torino 1975, pp. XI-291). Cfr. anche il documento “Carta per un’arte che attraversi i muri”, prodotta dal “Coordinamento delle attività teatrali ed espressive contro l’emarginazione”, nel gennaio 1991, ove si puntualizza la differenza tra effetti terapeutici dell’arte e del linguaggi artistici (nel momento in cui restano autonomi, nella loro specificità di medium). Tra il molto che potrebbe essere letto suggerirei: Piro S., Le tecniche della liberazione. Una dialettica del disagio umano, Feltrinelli, Milano 1972, pp. 192 Doise W. - Deschamps J.C. - Mugny G., Psicologia sociale, Zanichelli, Bologna 1981, pp. 424 Doise W., Livelli di spiegazione in psicologia sociale, Giuffré, Milano 1989, pp. IX-240 Sève L., Marxismo e teoria della personalità. Proposte per una psicologia concreta, Einaudi, Torino 1973, pp. 568 7
Gandhi M., Antiche come le montagne. I pensieri del Mahatma sulla verità la non violenza la pace, Mondadori, Milano 1987, pp. 264 Gandhi M., Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973, pp. CXXXVII-407
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Mazzini R., Teatro dell’oppresso ed Educazione alla Pace, in “Azione Nonviolenta”, Novembre 1989, n. 11, pp. 17-19
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La nonviolenza a cui faccio riferimento è quella “attiva”, “specifica” “conflittuale”, e non intimista; per questa distinzione cfr.: Novara D., Scegliere la pace. Guida metodologica, EGA, Torino 1989 (3° ed.), p. 85 (contiene anche una bibliografia ragionata)
10 Sul concetto di potere personale cfr. fra l’altro: Patfoort P., Costruire la nonviolenza, edizioni la meridiana, Molfetta-Bari, 1992 11 Boal A., L’arcobaleno del desiderio, edizioni la meridiana, Molfetta 1994 è il testo che espone queste ricerche. 12 In Italia, sull’Educazione popolare ispirata a Freire, a mia conoscenza, sono solo le esperienze di D. Dolci in Sicilia: Dolci D., Chissà se i pesci piangono, Einaudi, Torino 1973, pp. XI-267
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id., Non esiste il silenzio, Einaudi, Torino 1974, pp. V-246 E anche di Giulio Girardi col sindacato a Torino e la comunità di San Benedetto di Genova, e di don Gino Piccio in Irpinia, Friuli e Piemonte. Sul lavoro di rete: Croce, Mauro e Merlo, Roberto, La rete sociale, in “Animazione Sociale”, n. 16, anno XIX, apr. 1989 Martini, E.R. e Sequi, R., Il lavoro nella comunità, NIS, Firenze 1988 Maguire, L., Il lavoro di rete, ed. Centro Studi M.H.Erikson, Trento 1987 Folgheraiter F., Verso nuove prospettive di lavoro sociale e di sua teorizzazione: il lavoro di rete, in “Rassegna di Servizio Sociale”, n. 2, anno XXIX, apr-giu 1990, pp. 3-46 Speck R.V. - Attneave C., La terapia di rete, Astrolabio, Roma 1976 13 Per approfondire vedi: Schininà G., Storia critica del TdO, edizioni la meridiana, Molfetta 2002 14 Stanislavskij K.S., La mia vita nell’arte, Torino, Einaudi, 1963 id., Il lavoro dell’attore, Laterza, Bari 1968 15 Castri M., Per un teatro politico. Piscator, Brecht, Artaud, Einaudi, Torino 1973 16 Freire P., La pedagogia degli oppressi, EGA, Torino 2002 Altri testi successivi sono in parte tradotti e in parte no in Italia; tra gli italiani: Freire P., L’educazione come pratica della libertà, Mondadori, Milano 1973 Gadotti M., Leggendo Paulo Freire. Sua vita e opera, SEI, Firenze 1995 Gadotti M., Freire P., Guimarães S., Pedagogia: dialogo e conflitto, SEI, Firenze 1995 17 Questo ripescaggio di un utensile che era già stato patrimonio per es. dei gruppi agit-prop della Repubblica di Weimar (Casini-Ropa E., Il teatro agit-prop nella Repubblica di Weimar, in: Lacis A., Professione: rivoluzionaria, Feltrinelli, Milano 1976) non è un furto perché, come dice Boal, il TdO è solo la sistematizzazione delle forme spontanee della teatralità popolare, a scopo di liberazione. 18 La vicenda è raccontata in: Boal A., Méthode Boal de théâtre et de thérapie.
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L’Arc-en-ciel du désir, Ramsay, Paris 1991, pp.10-15 (trad. it.: L’arcobaleno del desiderio, edizioni la meridiana, Molfetta 1994) 19 Vedi la prefazione di Boal in questo testo. 20 Cfr. anche: Foucault M., Microfisica del potere. Interventi politici, Einaudi, Torino 1977, pp. VIII-194 ed anche le analisi della Scuola di Francoforte. 21 Boal A., Dal desiderio alla legge. Manuale del teatro di cittadinanza, edizioni la meridiana, Molfetta 2002 22 Boal A., Il teatro degli oppressi. Teoria e tecnica del teatro latinoamericano, Feltrinelli, Milano 1977, pp. 237 (esaurito) 23 Ho usato: Boal A., Jeux pour acteurs et non-acteurs. Pratique du théâtre de l’opprimé, Maspero, Parigi 1978, pp. 212 anche nell’ultima edizione. id., Jeux pour acteurs et non-acteurs, La Découverte, Parigi 1991, pp. 259 id., Stop! C’est magique. Les techniques actives d’expression, Hachette, Parigi 1980, pp. 197 24 Boal A., L’arcobaleno del desiderio, op.cit.
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Prefazione alla terza edizione francese1
È più di un anno che sono arrivato in Europa, terza tappa del mio esilio. Mi si è subito chiesto se credevo che le tecniche del Teatro dell’Oppresso, che erano state immaginate e realizzate in America latina, potevano essere utili e applicabili qui, in Europa. Ho spontaneamente risposto di sì, che lo credevo. Ora, dopo un anno di piccoli tentativi, di esperienze, di lavoro, posso dire con certezza di sì. Il Teatro dell’Oppresso è realizzabile anche qui. Perché? È vero che tutte le forme di questo teatro (teatroinvisibile, teatro-forum, teatro-immagine, teatromito, teatro-feuilleton, teatro-giornale, ecc.) sono state inventate come risposta. Una risposta estetica e politica all’intollerabile repressione che si esercita oggi su quel continente insanguinato che è l’America latina; dove ogni giorno decine di uomini e donne sono assassinati dalle dittature militari che opprimono tanti popoli; dove uomini e donne del popolo sono fucilati nelle strade, cacciati dalle piazze pubbliche; dove le organizzazioni popolari proletarie e contadine, studentesche e artistiche, sono sistematicamente smantellate e distrutte, dove i loro leader sono imprigionati, torturati, uccisi o esiliati. È vero: è là che è nato il Teatro dell’Oppresso! Un uomo è stato castrato sulla pubblica piazza nella città di Otusco in Perù; un compositore ha avuto le mani tagliate nello stadio nazionale di
Santiago; un contadino ha avuto la pelle tagliata e ricoperta di miele affinché il suo corpo fosse divorato dalle formiche: questo è successo nella regione di Pernambouc, in Brasile; all’università di La Paz, in Bolivia, gli studenti sono stati chiusi in un recinto e mitragliati da aerei a volo radente; a Tlatelollo, sulla piazza delle Tre Culture, in Messico, trecento studenti sono stati uccisi a colpi di cannone tirati da carri armati guidati da soldati drogati. È là che è nato il Teatro dell’Oppresso! 50.000 morti in 15 giorni: Cile. 50.000 morti in 15 mesi: Argentina. 500.000 morti di fame, morte lenta, silenziosa, poco spettacolare: Brasile. Un uomo è morto affogato nella sua cella in Paraguay; imputridiva nell’acqua che gli saliva fino alle ginocchia. E sapete che uno dei principali prodotti d’esportazione di Haiti è il sangue umano? Chi produce quel sangue? Chi lo raccoglie? Chi lo compra? A quale prezzo? L’America latina è un continente rosso: fiumi di sangue. È là che è nato il Teatro dell’Oppresso! Quando mi domandavano se questo poteva servire anche qui, in Europa, io rispondevo di sì. Io rispondo sì. Certamente qui non ci sono, attualmente, tante atrocità, in tali proporzioni. In ogni caso non dopo il nazifascismo. Ma ciò non impedisce che ci siano, anche qui, degli oppressori e degli oppressi. E, se c’è oppressione, c’è necessità di un Teatro dell’Oppresso, cioè di un teatro liberatore. Lasciamo esprimere gli oppressi, perché solo essi possono mostrarci dov’è l’oppressione. Lasciamo che siano loro stessi a scoprire il proprio cammino di liberazione: che siano loro ad allestire le scene che dovranno liberarli. Chi dice che in Europa non ci sono oppressi è un oppressore. Anche qui ci sono delle donne, dei neri, degli emigrati, degli operai, dei contadini: loro non dicono che l’oppressione non esiste. È vero che si tratta di un’oppressione diversa, è vero anche che i metodi di lotta per venirne a capo saranno diversi. Il Teatro dell’Oppresso non è una serie di ricette, di procedimenti liberatori, un catalogo di soluzioni già conosciute: è soprattutto un lavoro concreto su una situazione concreta, in un IL POLIZIOTTO E LA MASCHERA
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momento dato, in un luogo determinato. È uno studio, un’analisi, una ricerca. Se qui l’oppressione è più sottile, può essere che i mezzi per combatterla debbano essere più sottili; se è più sofisticata, dovremo forse trovare delle forme più sofisticate; se è più complessa, meno manichea, l’analisi che potremo fare sarà forse essa stessa più complessa, anche se utilizziamo le stesse tecniche del Teatro dell’Oppresso. Una cosa è certa: se l’oppressione esiste bisogna farla cessare. Questo libro è una «conseguenza necessaria» del Théâtre de l’opprimé2 recentemente pubblicato. Quello era un libro teorico, dove cercavo di spiegare le ragioni e la necessità di queste forme, di queste tecniche, di questi metodi, di questi procedimenti. Questo libro è essenzialmente pratico; vi descrivo gli esercizi e i giochi per la preparazione del teatro-forum. Comprende anche alcuni esercizi realizzabili da attori di spettacoli convenzionali. L’origine di questi esercizi è varia. Molti sono stati elaborati a partire da giochi popolari latino-americani. Altri a partire dalla pratica teatrale dei nostri gruppi: certi li abbiamo inventati, altri adattati. In ogni caso descrivo gli esercizi e i giochi come noi li abbiamo utilizzati nella nostra pratica e non nelle loro versioni originali. Il Teatro dell’Oppresso è sempre un dialogo: noi insegniamo e apprendiamo. In quest’edizione ho aggiunto cinque esercizi che ho recentemente imparato qui in Europa. Siccome suppongo che non tutti i lettori di questo libro abbiano letto il precedente, mi propongo di richiamare qualche concetto base: 1. Il Teatro dell’Oppresso ha due princìpi fondamentali: in primo luogo aiutare lo spettatore – individuo passivo, ricettivo, depositario3 – a trasformarsi in protagonista di una azione drammatica, in soggetto, in creatore, trasformatore; in secondo luogo a cercare di non accontentarsi di riflettere sul passato, ma di preparare il futuro. Basta col teatro che non fa che interpretare la realtà: bisogna trasformarla! 2. Solo la trasformazione dello spettatore in protagonista può impedire al teatro di avere una funzione catartica. Lo spettatore, capace di un atto 34
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liberatore durante una seduta di teatro-forum, è in realtà incitato a realizzare tale atto nella vita corrente (anche se è stato capace di realizzarlo solo nella finzione teatrale). Se ha potuto fare ciò nel corso di una seduta sarà pronto, più tardi, a farlo nella vita reale. La catarsi purifica (sopprime) nello spettatore quel qualcosa di perturbante, d’inquietante, suscettibile di trasformare – poco che sia – la società. Anche il teatro brechtiano finisce per essere catartico. Bisogna inventare una parola che sia l’esatto contrario di catarsi, perché è quello l’effetto che si propone il Teatro dell’Oppresso: esso accresce, ingrandisce, stimola il desiderio dello spettatore di trasformare la realtà. Esso dinamizza, autoattiva. 3. Affinché il Teatro dell’Oppresso sia utile ed efficace, bisogna che sia praticato massicciamente: uno spettacolo qui o là, una volta o l’altra, è insufficiente. Bisogna che questo sia un metodo di azione politica largamente praticato. Noi abbiamo fatto uno spettacolo di teatro-invisibile contro la molestia sessuale nella metropolitana di Parigi: ma bisognerebbe che un’organizzazione femminista preparasse cinquanta gruppi che recitassero la stessa scena cinquecento volte su tutte le linee della metropolitana. Così si potrebbe trasformare questa realtà. 4. Affinché sia praticato massicciamente bisogna che noi comprendiamo che l’attività artistica è naturale per tutti gli uomini e tutte le donne. Sono le repressioni che noi soffriamo a causa della nostra «educazione» che ci limitano e riducono la nostra capacità di espressione. I bambini danzano, cantano e dipingono. In seguito, la famiglia, la scuola, il lavoro li reprimono e loro finiscono per convincersi di non essere né danzatori, né cantanti, né pittori. Tuttavia dobbiamo accettare il fatto che tutti gli uomini sono capaci di fare tutto ciò che un uomo è capace di fare. È evidente che non tutti lo faranno con la stessa genialità, ma tutti potranno farlo! Tutti possono fare teatro, anche gli attori. Si può fare teatro dappertutto, anche nei teatri! 5. Brecht ha detto che il teatro dev’essere messo al servizio della rivoluzione! Non è al servizio: è parte integrante della rivoluzione, è la preparazione della
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rivoluzione, è il suo studio, la sua analisi, la prova generale della rivoluzione. Il Teatro dell’Oppresso deve sempre portare alla costruzione di un modello di azione futura: quando tale fatto si presenterà, saranno da prendere tali misure. Ecco perché è importante che i temi scelti siano dei temi reali, veri, urgenti. Se la settimana prossima dev’esserci uno sciopero, si può analizzare, attraverso le tecniche del Teatro dell’Oppresso, come organizzarlo. Se domani le donne devono organizzare una manifestazione pubblica, è oggi che la devono provare. L’urgenza del tema fa sì che gli spettatori siano molto più creatori, perché sanno che il problema esiste e che bisogna risolverlo subito. Temi generici, astratti, lontani, ecc. sono inutili per questo tipo di teatro. La «lotta di classe» o la «liberazione delle donne» in generale, nell’astratto, sono inutili. Lo «sciopero di lunedì prossimo», la «creazione di un nido d’infanzia nel quartiere» sono dei temi concreti. Il Teatro dell’Oppresso non mostra solo immagini del passato, ma prepara anche e principalmente dei modelli d’azione per il futuro. Tutti gli spettatori devono essere coscienti che il tema trattato si riferisce a qualcosa che sta effettivamente per succedere. Che accadrà. Così bisogna prepararsi! Non basta aver coscienza che il mondo dev’essere trasformato: bisogna trasformarlo! Per questo compito immenso le tecniche del Teatro dell’Oppresso possono aiutare un poco. Augusto Boal
Note alla prefazione 1. Questa parte è tratta dal libro Jeux pour acteurs et non-acteurs, La Découverte, Paris 1983; solo successivamente ho avuto l’ultima edizione, quella del 1991, da questa ho preso nuovi esercizi, inserendoli nelle categorie corrispondenti (N.d.T.). 2. Boal si riferisce qui al suo testo Théâtre de l’opprimé, La Découverte, Paris 1985; è lo stesso parzialmente tradotto nell’italiano e già citato: Il Teatro degli oppressi (N.d.T.). 3. Col termine «depositario» Boal allude probabilmente a Freire quando contrappone la «concezione depositaria» dell’educazione a quella «dialogica». Secondo la prima, l’educatore-alfabetizzatore possiede tutta la conoscenza e la travasa, la deposita nell’educando; in base alla seconda concezione la conoscenza è una ricerca comune e collettiva svolta dal gruppo di educatori-educandi.
Parigi, 1981
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Augusto Boal IL POLIZIOTTO E LA MASCHERA
Il poliziotto e la maschera, versione italiana del Théâtre de l’opprimé, non è un libro sulle tecniche teatrali ma sugli strumenti per trasformare la realtà. Può servire, quindi, ad animatori, insegnanti, militanti, educatori, conduttori di gruppi, volontari, operatori culturali, sociali e sanitari, persone qualsiasi… a quanti vogliono liberare se stessi e gli altri, da soli e con gli altri, dalle oppressioni che tutti noi subiamo senza sapere come reagirvi... Non è un testo per specialisti, ma una proposta di strumenti (giochi, esercizi, tecniche, linguaggi…) per affrontare, capire e trasformare, le nostre oppressioni... a livello corporeo, psicologico e socio-politico. Nel Teatro dell’Oppresso, infatti, lo spettatore generico viene aiutato a liberarsi della sua passività, dai suoi freni – dal suo poliziotto – per divenire, tramite il teatro – la maschera –, soggetto-protagonista non solo del presente ma anche del futuro. Lo spettatore capace di un atto liberatorio durante una seduta di “teatroimmagine” sarà così pronto a liberarsi della passività anche nella vita reale. Il Teatro degli Oppressi, sebbene nato nella realtà latinoamericana, si è evoluto continuamente anche rispetto a contesti diversi. Boal riesce in queste pagine ad adattare gli stessi strumenti teatrali a realtà tipiche del mondo occidentale in cui l’oppressione si fa più sottile e sofisticata, più fragile è la frontiera tra l’oppresso e l’oppressore e meno manifeste ma altrettanto gravi sono le ingiustizie.
Augusto Boal
IL POLIZIOTTO E LA MASCHERA Giochi, esercizi e tecniche del Teatro dell’Oppresso
Augusto Boal (1931-2009) è stato il fondatore del teatro Arena di San Paolo e ha scritto diverse opere teatrali con Chico Barque. Nei suoi testi, tradotti in trentacinque lingue, espone i metodi presentati nei suoi stage di formazione e diffusi ormai in tutto il mondo. Con la meridiana ha pubblicato Dal desiderio alla legge. Manuale del teatro di cittadinanza (2002), L’arcobaleno del desiderio (2010), Il Teatro degli Oppressi. Teoria e tecnica del teatro (2011) e L’Estetica dell’oppresso. L’Arte e l’Estetica come strumenti di libertà (2011).
In copertina disegno di Silvio Boselli
ISBN 978-88-6153-114-7
Euro (I.i.) Euro 16,50 16,00 (I.i.)
edizioni la meridiana p a r t e n z e