Benyamin Somay
ISBN 978-88-6153-609-8
Euro 16,00 (I.i) 9 788861 536098
IL VENTO HA SCRITTO LA MIA STORIA
Benyamin Somay è nato in un piccolo villaggio del Kurdistan iraniano nel 1987. Cresciuto in una famiglia di pastori ha lavorato fin da ragazzo come fornaio. All’età di ventidue anni, dopo l’arresto di un amico, ha dovuto lasciare il suo paese per mettersi in salvo in Europa. La sua passione per la giustizia e la libertà lo ha convinto a scrivere la storia della sua vita.
“ Quando sarò vecchio racconterò anch’io una storia ai miei figli. Di questa storia al momento conosco solo l’inizio. La fine non è stata ancora scritta. ”
Benyamin Somay
IL VENTO
HA SCRITTO LA MIA STORIA
Benyamin Somay
Il vento ha scritto la mia storia
edizioni la meridiana
Ringraziamenti L’autore ringrazia gli amici dell’Isola d’Elba per averlo aiutato nella stesura del libro. Ringrazia gli amici di Gallipoli, Verona, Firenze e Imola per i suggerimenti, il sostegno e la grande disponibilità.
2017 © edizioni la meridiana
Via Sergio Fontana, 10/C - 70056 Molfetta (BA) - tel. 080/3346971 www.lameridiana.it info@lameridiana.it
ISBN 978-88-6153-609-8
A mia madre Pakizeh… Ti manderò un bacio con il vento e so che lo sentirai, ti volterai senza vedermi ma io sarò lì Pablo Neruda
Indice
Prefazione di Salvatore Leopizzi....................................... 9 Neychalan. Gli anni della quasi spensieratezza.............. 13 Si deve crescere............................................................... 47 Ostaggio dei trafficanti.................................................... 65 Per le strade d’Europa.................................................... 83 L’Italia che mi ha accolto.............................................. 113 Gallipoli: due religioni una umanità............................. 123 L’Elba e il vento dei curdi..............................................151 Con il cuore in gola........................................................171
Prefazione
di Salvatore Leopizzi
Il vento che scrive la storia “soffia dove vuole e non sai da dove viene né dove va…” (cfr. Gv 3, 8). Così si può dire anche dell’esperienza che il giovane Benyamin Somay ci racconta in questo libro scritto quasi per un impulso irrefrenabile a non tenere solo per sé nello scrigno della propria memoria la sua avventurosa e imprevedibile odissea – ovviamente non ancora conclusa – alla ricerca di una terra promessa o di un’isola che forse ancora non c’è. Il vento, alito di vita e anelito di libertà, ora lieve e carezzevole come una brezza, ora impetuoso e sferzante come un uragano, lo ha spinto a uscire dalla sua terra e a lasciare la sua casa. Un soffio misterioso e irresistibile ha gonfiato la vela dei suoi sogni e lo ha convinto a partire, serbando nel cuore il tesoro prezioso di tutti i suoi affetti: il calore dei volti, dei nomi e delle voci familiari, la bellezza struggente dei paesaggi e delle contrade di un’infanzia troppo in fretta svanita, la fragranza del pane quotidiano impastato e cotto ogni notte nel forno di famiglia. Educato e istruito alla scuola dell’Islam sunnita, Benyamin si sarà sentito anche lui, probabilmente, tra i discendenti del padre Abramo che per fede, obbedendo alle voci di dentro, si avviò verso una meta sconosciuta. O forse a ispirare il suo viaggio sarà stata l’emigrazione esemplare del grande Profeta che dalla Mecca, suo luogo d’origine, diede inizio alla prima egira dirigendosi verso Medina e poi proseguendo sempre oltre… 9
Ma più verosimilmente oso pensare che nella sua identità di curdo avrà sentito sul collo il respiro minaccioso di un potere abusivo che continua a tarpare al suo popolo le ali della libertà, soffocando perfino i più elementari diritti umani e civili delle persone. Con una dose di coraggio di poco maggiore alla somma delle sue paure, Benyamin ha deciso di sciogliere gli ormeggi e prendere il largo, da clandestino, per mete incerte e orizzonti sconosciuti. Con paziente fiducia e intelligente fatica ha valicato confini geopolitici, ha superato barriere legali e culturali, custodendo sempre nello zaino solo le sue radici vitali da trapiantare e far germogliare altrove. In una sorta di corsa ad ostacoli ha affrontato rischi e pericoli di ogni genere, col costante e generoso impegno a dare aiuto e soccorso ai suoi compagni di avventura; ha attraversato il mercato nero dei trafficanti di merce umana, i fili spinati delle dogane e delle polizie di frontiera, senza però mai barattare la sua dignità per un piatto di lenticchie. I morsi della fame, l’arsura della sete, il pericolo di assideramento per il freddo, schiacciato tra altri corpi tremanti e atterriti sul fondo di un gommone… sono i traumi indicibili e le ferite indelebili che accomunano ormai le storie anonime della turba dolente di innumerevoli profughi. Anche lui, come tanti, si è sentito in più occasioni sfiorare dall’ala severa e inesorabile della morte. Peregrinazioni e trasferimenti sono qui raccontati insieme con le oscillazioni costanti tra luci di speranza e tenebre di sconforto: dall’Iran alla Turchia, dalla Grecia all’Italia, dalla Francia alla Danimarca e poi ancora il ritorno obbligato in Italia. Nei momenti più angosciosi e drammatici, Benyamin tuttavia ha avvertito la presenza misteriosa e consolante di Colui che, seppur indicato con nomi diversi, viene comunque 10
invocato come Dio-Amore, Dio-Misericordia, difensore dei poveri e sostegno dei diseredati. In questa luce di provvidenza religiosa egli legge anche l’incontro, apparentemente casuale, con il nome e con il volto di don Tonino Bello a cui è intitolato il Centro di prima accoglienza di Otranto dove finalmente è approdato dopo la gelida traversata notturna tra le due sponde dell’Adriatico. Proprio lì in quel posto di transito ci racconta di aver trovato una prima porta aperta e di aver intravisto uno sguardo di solidale benevolenza. Così don Tonino è diventato, col passare del tempo e con altre sorprendenti coincidenze, un amico speciale che lo ha sostenuto nei momenti di crisi, un’ala di riserva nei giorni in cui ha avuto la tentazione di considerarsi un’inutile “pietra di scarto” o uno dei tanti sognatori falliti. È riuscito pian piano a farsi abbracciare da un grande arcobaleno di persone, intrecciando, col suo stile aperto e gioviale, relazioni di profonda amicizia e di scambievole fiducia. Col suo carattere di giovane caparbio e altruista, aperto a ogni espressione culturale e disponibile al dialogo con tutti, si è mostrato sempre pronto a dare una mano nelle situazioni di povertà e di bisogno, coinvolgendosi fino in fondo anche a costo di grandi sacrifici. In Italia – ripete spesso – ora siamo noi la sua seconda famiglia allargata, con sedi geograficamente dislocate: Brindisi, Gallipoli, Isola d’Elba, Firenze, Verona e poi ancora… non si sa. Il vento che, come lo Spirito, soffia e conduce dove vuole, continuerà a scrivere la sua storia. Lo stesso vento certamente potrà scrivere in parte anche la storia di quanti, incontrando Benyamin o solo leggendo il suo racconto, si lasceranno interrogare e affascinare da tanta umanità “in uscita”, quella che ci schiude le porte di un 11
mondo ancora inedito ma certamente possibile: un mondo senza muri e senza respingimenti, senza esclusi e senza schiavi, senza armi e senza veleni. Il mondo che diventa una sola grande casa dei popoli dove tutti siedono alla stessa tavola e condividono i tanti beni della vita, dipingendo cosĂŹ la bellezza della pace e gustando finalmente la “convivialitĂ delle differenzeâ€?.
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Neychalan Gli anni della quasi spensieratezza Bambino, se trovi l’aquilone della tua fantasia legalo con l’intelligenza del cuore. Vedrai sorgere giardini incantati e tua madre diventerà una pianta che ti coprirà con le foglie. Fa’ delle tue mani due bianche colombe che portino la pace ovunque e l’ordine delle cose. Ma prima di imparare a scrivere guardati nell’acqua del sentimento Alda Merini (poetessa italiana), Il bambino
Lungo i sentieri dei monti Zagros Neychalan è un paese del Kurdistan dell’est (Rojhilat), in Iran, dove in estate il caldo brucia i campi, togliendo il cibo agli animali. Nell’inverno precedente alla mia nascita mio nonno Sabri, pastore da generazioni, aveva chiesto al capo del villaggio di Kay, di unirsi ai pastori locali per la transumanza. A primavera, in quella primavera del 1365 del calendario persiano, 1987 nel calendario cristiano, partimmo di prima mattina, io ero al primo viaggio della mia vita, viaggiavo nel grembo di mia madre, la giovane Pakizeh. Giunti nel villaggio di Kay montarono le tende 13
nel punto concordato e formarono il piccolo accampamento dove per sei mesi avrebbero fatto base mio nonno, mia nonna Sormeh, la mamma, la mia sorellina di un anno Nasrin, ed io che, naturalmente, non potevo che seguire mia madre. Mio padre, Mohammad Rashid, trascorse quel periodo sui prati che verdeggiano sui monti della catena Zagros confinanti con la Turchia, era infatti necessario tenere lontano gli animali dal villaggio, dove tutti i terreni erano coltivati. Condivise quei sei mesi con altri due pastori di Kay; assieme conducevano un gregge di 500 pecore, quelle della mia famiglia e quelle del villaggio. Erano sempre in cammino, lungo un tragitto collaudato nei secoli e che prevedeva tre diversi punti di contatto con la gente del villaggio. Ogni mattina, l’intera famiglia camminava per oltre due ore per raggiungere il posto convenuto con mio padre, dove avrebbe trovato lui e il suo gregge. Pakizeh portava mia sorella sulle spalle e me in grembo; ma portava anche la sua quota di altri generi: c’era il cibo per i pastori, il cambio dei vestiti ed altre cose ancora, di volta in volta richieste da mio padre. Un’organizzazione impeccabile. Raggiunto il gregge procedevano alla raccolta del latte, della lana e si prendevano cura degli animali. Mia madre mungeva una quantità di pecore che le sembrava non finire mai e la fatica, che sentiva quando si chinava e si alzava per passare da pecora a pecora, le ricordava la mia presenza. Mia nonna tosava gli animali mentre mio padre, che li conosceva uno ad uno, indicava a mio nonno quelli che aveva notato essere sofferenti o feriti. Alla fine di questo lavoro si stabiliva quale sarebbe stato il luogo di appuntamento per l’indomani. Ci volevano altre due ore di cammino per scendere a valle, carichi di un grande contenitore pieno di latte posto dentro un sacco di iuta portato sulle spalle. Tanta fatica per una ragazza esile come lei che però era forte, tenace, temprata dalla vita... ed 14
ebbe cura di me, nonostante la sfida che la vita le aveva posto. Il latte era il fardello più pesante, ma c’era anche la lana e gli animali feriti e da curare; l’accampamento era infatti anche una piccola clinica, dove operava mio nonno. Tornati a Kay mia madre e mia nonna facevano lo yogurt e il latte, e filavano la lana; mio nonno curava gli animali e faceva altre faccende. Ogni due, tre giorni, quando i prodotti ottenuti erano in quantità tali da giustificare la loro vendita al mercato, si recavano nei paesi vicini a vendere, o barattare, quanto era stato prodotto. Oltre 12 chilometri che facevano ogni giorno per sei mesi. Si alzavano all’alba e si coricavano a sera, come dite anche voi in Italia lavoravano “dalle stelle alle stelle”. Dormivano molto poco, per il sonno c’era l’inverno. Per sei mesi mia madre, ed io dentro di lei, facemmo questa vita e mi piace immaginare che la passione per il cammino e per la corsa sia germogliata in me in quei mesi in cui percorsi oltre 2000 chilometri nella pancia di mia madre. Sono figlio di una pastora e sono maturato dentro di lei nei mesi più duri dell’anno. Giunse intanto la fine di settembre e per gli animali iniziava il periodo del calore, niente latte e la stagione fredda si avvicinava. Era il momento di tornare a Neychalan. Ma prima mia madre avrebbe dovuto mettermi al mondo. Sulla strada di casa c’è il villaggio di Darband, dove Pakizeh era nata e dove vivevano i suoi genitori, i miei nonni materni, Rahim e Sonia. L’intera comitiva si fermò per una settimana ospite nella casa materna. Sono nato fra quelle mura, tra le mani di mia nonna e, subito dopo, di mia madre. Dicono fossi un bimbo tranquillo, molto somigliante a mio padre. Dopo una settimana, quando la mamma si era ripresa dalle fatiche di mettermi al mondo, siamo tutti partiti per Neychalan, per la nostra casa.
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Benyamin Somay
ISBN 978-88-6153-609-8
Euro 16,00 (I.i) 9 788861 536098
IL VENTO HA SCRITTO LA MIA STORIA
Benyamin Somay è nato in un piccolo villaggio del Kurdistan iraniano nel 1987. Cresciuto in una famiglia di pastori ha lavorato fin da ragazzo come fornaio. All’età di ventidue anni, dopo l’arresto di un amico, ha dovuto lasciare il suo paese per mettersi in salvo in Europa. La sua passione per la giustizia e la libertà lo ha convinto a scrivere la storia della sua vita.
“ Quando sarò vecchio racconterò anch’io una storia ai miei figli. Di questa storia al momento conosco solo l’inizio. La fine non è stata ancora scritta. ”
Benyamin Somay
IL VENTO
HA SCRITTO LA MIA STORIA