12,53 mm
Parola di donna
Michele Illiceto
Michele Illiceto, laureato in Filosofia presso l’Università di Bari, insegna Storia della Filosofia Moderna e Contemporanea presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari (sezione ITRA di Molfetta), presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Metropolitano “S. Michele Arcangelo” di Foggia e presso il Liceo “Galilei-Moro” di Manfredonia. Studioso di Heidegger, di Mounier e di Lévinas, è autore di diversi libri su vari temi di antropologia ed etica filosofica e di filosofia della religione. Collabora con numerose riviste di filosofia e di teologia. Si occupa di formazione dei giovani e degli adulti, con particolare attenzione alle famiglie.
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Parola di donna La figura di Maria in don Tonino Bello a porta l l a d a r t n e Dio non nti umani, e v e i l g e d e principal grembo, n u a t s a b i gl libero, e o t a r o m a n un cuore in dicano i l g e h c a r b due lab i ragazza d o t l o v n u “Sì”, rafia del g o e g a l e r e iv su cui riscr di pace futuro fatta eciprocità r i d , à t i n r e di frate alità. e di convivi
“Molti hanno scritto di Maria. Tanti lo faranno ancora. Gli scritti di don Tonino Bello su Maria sono tra quelli che più accompagnano gli incontri, le preghiere, le invocazioni alla Madre di Dio da diversi anni. Respirano di un profumo che piace a molti: credenti e non credenti. Scritti intensi, poetici e profetici con i quali il vescovo di Molfetta strappò l’icona di Maria al cielo portandola nelle strade della sua diocesi, dandole i nomi delle donne le cui storie conosceva e vedeva attraversando, da vescovo, il mondo a lui contemporaneo e cogliendo in esse i segni dell’incarnazione che ancora Dio chiedeva a ognuno e ognuna di accogliere. Queste pagine di Michele Illiceto ci aiutano a evitare che anche l’operazione di incarnazione di Maria fatta da don Tonino, con il passare degli anni, si normalizzi. Ogni testo di don Tonino a Maria è attraversato da una scrittura antropologica, pastorale, poetica, mistica. Per questo ognuno dei quadri che lui tratteggia ci appaiono veri, nostri. Tradurli, nel senso di condurli, ancora di più a noi e ai nostri giorni, è quanto fa l’autore che ci aiuta a capire che il concetto di salvezza è nella deponenza della forza e nell’apertura a un sì generativo e che tutto questo non è mistero di Dio, ma scelta di vita. E anche parola di donna.”
www.lameridiana.it
Euro 18,00 (I.i.) edizioni la meridiana paginealtre
ISBN 978-88-6153-779-8
9 788861 537798
edizioni la meridiana
(dalla Prefazione di Elvira Zaccagnino)
edizioni la meridiana paginealtre
fine te
Michele Illiceto
Parola di donna La figura di Maria in don Tonino Bello
Prefazione di Elvira Zaccagnino
edizioni la meridiana p a g i n e a l t r e
Indice
Prefazione di Elvira Zaccagnino ....................................... 7 Introduzione .................................................................... 11 Prologo ............................................................................. 19 L’inattuale attualità di Maria “Maria, donna dei nostri giorni” ..................................... 25 Il miracolo della vita comincia dalle piccole cose “Maria, donna feriale” ..................................................... 39 Liberare la brace dalla cenere “Maria, donna innamorata” ............................................ 57 Salvare le parole con la Parola “Maria, donna del silenzio” ............................................. 69 Vivere l’essenzialità ed evitare i surrogati “Maria donna senza retorica” ........................................... 75 Oltre la disperazione del ritardo “Maria, donna dell’attesa” ............................................... 91 Prendere l’iniziativa pagando di persona “Maria, donna del primo passo” .................................... 103 Posare gli occhi sulla soglia del Mistero “Maria, donna del primo sguardo” ................................ 115 Tra le case generando speranza “Maria, donna gestante” ................................................ 125
Stazionare nei luoghi di nessuno “Maria, donna di frontiera” ........................................... 135 Ridisegnare le geografie dell’umano “Maria, donna in cammino” .......................................... 147 Ogni comunità non è che una nostalgia della Trinità “Maria, donna conviviale” ............................................. 159 Rendere ospitale l’inospitale “Maria, donna accogliente” ........................................... 167 La libertà dell’amore. Quando obbedire è trasgredire “Maria donna dell’obbedienza” ..................................... 175 Superare la tentazione dell’indifferenza “Maria, donna di parte” ................................................. 185 Rovesciare le gerarchie “Maria, donna di servizio” ............................................. 193 Oltre le giare vuote del nichilismo “Maria, donna del vino nuovo” ..................................... 199 Riempire i canestri vuoti “Maria donna del pane” ................................................. 207 Il coraggio dei miti “Maria donna coraggiosa” .............................................. 217 Credere nel tempo in cui nessuno più crede “Maria, donna del Sabato santo” ................................... 237 Destarsi dal sonno della roccia “Maria, donna del terzo giorno” .................................... 245 Per concludere. Una mariologia pasquale .................... 251
Prefazione
La scelta di pubblicare questo libro appartiene al tempo di tutti noi che stava prima della pandemia. Un tempo nel quale potevamo un po’ tutti attardarci nel pensare alla fede come a un fatto di appuntamenti liturgici e di esercizi di buone pratiche talvolta interpretative delle sfide del Vangelo, agite senza sentirci del tutto fuori posto nel mondo. E con la coscienza a posto. Poi è accaduto che l’Apocalisse si è affacciata alla Storia e ha chiesto alla nostra umanità di fare i conti con tutto. Anche con il senso del sacro e del divino dentro di noi. Con scelte escatologiche dove la salvezza dell’altro, vicino e lontano da me, e del creato non sono opzioni eternamente rimandabili o delegabili. Il senso della vita e della morte, il nostro rapporto con l’altro e l’Alto, il nostro esserci in un mondo in corsa, più da predatori di risorse e di futuro che da custodi del creato è stato interrogato. Ci siamo resi conto, forse, che giocavamo immersi in un presente, quello di prima, con la consapevolezza che bisognava cambiare ma auspicando che altri prima di noi lo facessero. Magari anche per noi. Ci siamo ritrovati denudati, di fronte a un tempo nuovo che, mentre irrompe, rompe e rifà le cose. Un po’ come è accaduto a Maria, la fanciulla di Nazareth che entra nella Storia della Salvezza quando le viene chiesto di far irrompere il futuro, il nuovo testamento, nel suo grembo.
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Saltano i suoi piani. Deve riorganizzare la sua esistenza per un concepimento che la scienza non potrà mai spiegare e la dottrina, anche per questo, innalza a dogma. Il Dio degli eserciti affida a una fragile donna il Salvatore. E la salvezza ha inizio. Dio si depone e pone nelle mani di una creatura, una donna, la salvezza del creato. Un Dio strano, bizzarro, illogico. Che si incarna in un tempo, in un luogo, in una comunità, per spiegare che la salvezza per gli uomini e le donne passa dalla biografia di ognuno e di ognuna. Per prima è passata dalla biografia terrena di Maria. Senza il suo “eccomi!” non avremmo avuto il resto. Eppure questo concetto così chiaro ha, nel corso dei secoli di Storia della Chiesa, subito lente mutazioni incoronando un po’ alla volta e sempre di più Maria regina del cielo, consentendo, ancora una volta agli uomini e alle donne di fede, di dar vita allo scisma tra fede e Storia della salvezza nella propria di vita. Molti hanno scritto di Maria. Tanti lo faranno ancora. Gli scritti di don Tonino Bello su Maria sono tra quelli che più accompagnano gli incontri, le preghiere, le invocazioni alla Madre di Dio da diversi anni. Respirano di un profumo che piace a molti: credenti e non credenti. Scritti intensi, poetici e profetici con i quali il vescovo di Molfetta strappò l’icona di Maria al cielo portandola nelle strade della sua diocesi, dandole i nomi delle donne le cui storie conosceva e vedeva attraversando, da vescovo, il mondo a lui contemporaneo e cogliendo in esse i segni dell’incarnazione che ancora Dio chiedeva a ognuno e ognuna di accogliere. Queste pagine di Michele Illiceto che affidiamo al lettore, ci aiutano a evitare che anche l’operazione di incarnazione di Maria fatta da don Tonino, con il passare degli anni, si normalizzi.
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Ogni testo di don Tonino a Maria è attraversato da una scrittura antropologica, pastorale, poetica, mistica. Per questo ognuno dei quadri che lui tratteggia ci appaiono veri, nostri. Tradurli, nel senso di condurli, ancora di più a noi e ai nostri giorni, è quanto fa l’autore che ci aiuta a capire che il concetto di salvezza è nella deponenza della forza e nell’apertura a un sì generativo, che tutto questo non è mistero di Dio, ma scelta di vita. E anche parola di donna. E se nei giorni della pandemia, grazie anche a papa Francesco, abbiamo solo inteso che la fede è questione di quale umanità scegliamo di essere, servire e nutrire, sicuramente per una umanità più aperta e accogliente del femminile nella storia della Salvezza, queste pagine ci aiuteranno a cogliere l’esigenza che fu anche di don Tonino. O almeno noi lo auspichiamo. Elvira Zaccagnino
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Prologo
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. (Lc 2,1-7) Così il Vangelo di Luca delinea il quadro storico-politico entro cui collocare la nascita di Gesù. Un fatto insignificante, posto come tra le righe nel bel mezzo degli eventi che invece contano e che hanno peso. Da una parte i potenti e i dominatori del mondo – quasi tutti maschi – nomi forti che incutono paura e rispetto, posti in un elenco che dal globale al locale delinea il quadro geopolitico del tempo. Dall’altra parte, quasi anonimi e sfuggenti alla cronistoria del tempo, una coppia di innamorati, due sposi che si portano dietro tutta la fragilità e la provvisorietà del loro essere nomadi, gente in cammino, costretta a spostarsi per farsi “censire”, o per sfuggire a chi come Erode li vuole fare morire. Da un lato uomini divinizzati nell’alveo di divinità umane di un paganesimo ormai in declino, dall’altra il Dio
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di Maria e di Giuseppe che sceglie casalinghe e falegnami per rovesciare la logica dei vincenti rispetto a quella dei perdenti. Un Dio che “rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili” (cfr. Lc 1,52). Un Dio che non guarda all’apparenza, ma al cuore (cfr. 1Sam 16,7). Il Dio di Maria è il Dio della storia ma anche il Dio che fa storia, il Dio nella storia. Non un Dio metafisico, astratto, filosofico, concettualizzato, spiegato, ragionato, che si presenta sotto forma di una cartesiana “idea innata”, o come risultato di un aristotelico sillogismo, del quale si cerca la prova razionale per convincere (quasi per costrizione) tutti a credere. Il Dio di Maria è un Dio senza prove che ha scelto di raccontarsi, di incarnarsi e di giocarsi. Di s-velarsi e quindi di es-porsi. Il Dio di Maria è un Dio della storia che dopo la natura ora vuole abitare anche le vicende umane fatte di tempo e di spazio, di luoghi e di volti, di limiti e di possibilità, di lotte e di sconfitte, di cadute e di risalite, ma anche di desideri e di aspirazioni, di progetti e di nostalgie, di lotte e di sconfitte, di paure e di speranze. Un Dio che vuole abitare quella carne che l’uomo – inebriato da una promessa fallace di dominio e di potere che lo ha fatto diventare avido e superbo – ha reso inospitale anche per se medesimo. Quella carne che, uscita dalle sue mani in un giorno di estasi divina durante la creazione, ora egli se la viene a riprendere entrandovi da straniero e da redentore. Uscita da Dio, la carne ora diventa ciò in cui entra Dio. Ma ci voleva una fessura, uno spazio aperto, un luogo dove la vita non era ancora stata incapsulata e violata, mercificata e calpestata, offesa e spenta. Ci voleva un grembo, e quindi una donna, una ragazza dalla quale poter prendere questa carne rimasta orfana sia della Gloria che della Grazia. Dio ha aspettato tantissimi secoli per trovare un tale luogo che fosse degno di accogliere il suo silenzio e il
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suo abissale e ineffabile mistero. Che potesse accogliere la sua Distanza senza ridurla e la sua Assenza senza dissolverla o oggettivarla. Un luogo delicato ma immenso, un frammento, un respiro, il quale seppur debole fosse in grado di abbracciare l’Infinito e l’Eterno senza tuttavia disperderlo, ma renderlo presente nella forma della Tenerezza e della Misericordia. Maria era stata scelta per rendere presente Dio senza farlo smettere di essere Dio. Altri hanno accarezzato una tale idea, ma sono caduti nella grande seduzione-tentazione del diabolico, il quale ha fatto credere che si potesse rendere presente Dio, cosificandolo in un idolo fatto di dominio e di potere: È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino? [...] Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male. (Gn 3,1.4)
Essere come Dio è il più grande desiderio dell’uomo. Ma c’è chi lo desidera per prenderne il posto. Maria no! Dio infatti è fascinazione che rischia di trasformarsi in seduzione, qualora dimenticassimo il fatto che siamo solo uomini e che, pur essendo fatti a immagine e somiglianza di Dio, non possiamo prenderne il posto. Troppe volte Dio, oltre ad essere ciò che è, ha rappresentato per l’uomo anche una tentazione: quella di farsi Dio al posto di Dio e contro Dio. Essere come Dio senza Dio. Tentazione che sempre si trova accovacciata alla porta della nostra anima quando ci dimentichiamo l’umano che siamo per rendere divino ciò che divino non è. Quando Maria ha incontrato Dio è rimasta al suo posto. La sua umanità è rimasta tale dall’inizio alla fine. Se Maria non avesse mantenuto in modo pieno lo statuto del21
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la propria umanità, Dio non avrebbe potuto incontrare in lei quell’umanità per la quale era venuto e di cui ha voluto rivestirsi. Maria aveva capito qual era il suo posto e il suo compito: nel suo corpo, tutto umano e pienamente femminile di sposa e di madre, fare incontrare Dio con quella umanità che era uscita da Lui medesimo. Ecco il miracolo che Maria rappresentava agli occhi di Dio: un talamo in cui lo sposo divino avrebbe potuto incontrare l’umanità come sua sposa perduta: “Ecco, l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2,16). Dio ha aspettato Maria per molti secoli e ora Maria finalmente dà compimento all’attesa di Dio. E così, ad un Dio che era in attesa di una tale donna, ora è la donna che viene colta in attesa di Dio. Ecco l’incarnazione: due attese che si incontrano e si intrecciano per compiersi in un reciproco abitarsi. Infatti, può attendere Dio nel proprio grembo solo chi, come Maria, ha messo in attesa quello stesso Dio che, dopo aver cercato per secoli un luogo di tale portata, ecco che ora, avendolo trovato, sta per venire. Se è vero che l’attesa di Dio precede quella di Maria, è pur vero che è l’attesa di Maria a portare a compimento quella di Dio. È forse questo il significato della frase pronunciata dall’angelo quando dice: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1,30). Se Maria ha trovato grazia agli occhi di Dio, Dio ha trovato in Maria ciò che da secoli cercava: in Maria Dio ha ritrovato la Grazia che aveva ritirato dal mondo. In lei la natura incontra la Grazia per essere elevata e trasfigurata. Compiuta. Amata senza più interruzioni, rimandi o sospensioni. In Maria la Grazia incontra la Grazia. E ciò avviene nella natura di una donna colta in tutta la sua femminilità. O meglio, in un angolo dove la natura non era decaduta. Perché la Grazia era lì da sempre. Dio, che l’aveva ritirata dal mondo dopo il peccato, ha creato un luogo, una sorta di “arca”, in cui poterla custodire fino a quando, venuta 22
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la “pienezza del tempo”, la potesse di nuovo riprendere. Questo luogo è certamente lei, la ragazza di Nazareth. E da lì dove la Grazia si era nascosta, ora finalmente può nascere Colui che è l’autore della Grazia, il Figlio amato del Padre, per essere non più solo Figlio di Dio, ma anche Figlio dell’uomo. Per ridare la Grazia a chi la Grazia l’aveva perduta. Lui, che nato da donna nella pienezza del tempo (Gal 4,4), ora finalmente avrebbe portato il tempo a pienezza. E così, in Maria, Colui che è l’Inizio (“In principio era il Verbo”) e la fine, il Primo e l’Ultimo, l’Alfa e l’Omega, finalmente incontra con colui che, anche se solo creatura, è pensata e amata, cercata e attesa. E Noi, come Maria, stiamo in mezzo, nel “tra” dei tempi. In quel tempo la cui pienezza è già cominciata nel suo grembo di donna, di sposa e di madre. *** Qui l’espressione “Elogio del femminile” va inteso nel senso che il femminile è un principio che prima che alla donna appartiene a Dio. È un lato del divino che, accanto al maschile, Dio ha posto nell’umano come segno e traccia per arrivare a Lui. Maschile e femminile in comunione tra di loro e nella loro complementarietà sono stati da Dio posti come segno unitario della sua comunione, interezza e completezza. Posta in Eva, il femminile ritorna in tutte le donne di sempre e in particolar modo in Maria, colei nella quale Dio coniuga al femminile l’intera umanità. È significativo che in don Tonino ogni titolo mariano sia preceduto dalla parola “donna” proprio a sottolineare quel principio femminile che in Maria trova la sua massima espressione, come ci ricorda S. Paolo che definisce Gesù come colui che è “nella pienezza dei tempi è nato da donna” (cfr. Gal 4,4).
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L’inattuale attualità di Maria “Maria, donna dei nostri giorni”
Alcune figure di umanità sono talmente grandi che non sono circoscrivibili solo nel breve tratto di tempo nel quale sono vissute, ma hanno a disposizione le durate di sempre, tutti i giorni che sopravvivono alla stanchezza del divenire, per poter far riaccadere di nuovo e sempre quello che è accaduto a loro affinché anche altri ne possano beneficiare. Ad esse non basta lo spazio breve della propria vita per lasciarsi contenere e così trapassare per poi finire nel dimenticatoio, nell’oblio che cancella dalla memoria la loro storia. Ci sono grandezze che debordano i tempi, i giorni, i mesi, gli anni, i secoli, perché sono come dei frammenti di eternità lasciati cadere nel breve corso dei secoli, poste come tracce di un Dio che camminando nella storia vuole porsi al fianco degli uomini di ogni epoca per lasciare segni indelebili del suo farsi vicino e prossimo. Di tutte queste figure Maria è di certo la più grande. Lei si pone al centro del tempo, al centro della storia perché colui che da lei è nato è il centro di tutto6. Infatti, lei ha vissuto i suoi giorni ma non c’è stato giorno in cui Dio, fin dalla creazione del mondo, non abbia pensato a una come lei. Non abbia pensato a Lei. A una che fosse il controcanto di Eva. La sua elevazione. La sua trasfigurazione e quindi anche il suo compimento. La nuova Eva per una nuova creazione, qualora la prima fosse stata ferita. Cfr. Cullmann O., Cristo e il tempo. La concezione del tempo e della storia nel Cristianesimo primitivo, EDB, Bologna 1977.
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Nata nei giorni di Dio, e da sempre nei suoi pensieri, vissuta nei suoi giorni, Maria è anche “donna dei nostri giorni”. Arriva fino a noi. Vive in mezzo a noi, passando tra noi con quel bambino in braccio, per presentarlo, secondo la tradizione, non più al tempio fatto da mani d’uomo, ma all’unico tempio che siamo ognuno di noi, costruiti coi mattoni della fede dall’azione di quello Spirito che prima di noi ha reso tempio lei, eleggendola a dimora divina, affinché ognuno possa vivere i propri giorni con lei e come lei alla sequela del figlio che l’ha resa Theotókos. Di tutto questo se n’è accorto don Tonino, il quale ci presenta Maria come donna calata e immersa nei vissuti umani comuni a lei e a noi, immersa nei nostri giorni e intrisa di profonda umanità. Maria – scrive il vescovo di Molfetta – la vogliamo sentire così. Di casa. Mentre parla il nostro dialetto. Esperta di tradizioni antiche e di usanze popolari. Che, attraverso le coordinate di due o tre nomi, ricostruisce il quadro delle parentele, e finisce col farti scoprire consanguineo con quasi tutta la città. Vogliamo vederla così. Immersa nella cronaca paesana. Con gli abiti del nostro tempo. Che non mette soggezione a nessuno. Che si guadagna il pane come le altre. Che parcheggia la macchina accanto alla nostra. Donna di ogni età: a cui tutte le figlie di Eva, quale che sia la stagione della loro vita, possano sentirsi vicine.
Maria, nostra contemporanea, di certo non viene per essere onorata e venerata. Osannata e soltanto celebrata. Quasi adorata. Troppa venerazione le ha fatto male, provocando un enorme danno sia a lei che a noi. Facendocela vedere come una creatura celeste già bell’e pronta, una certa tradizione ha finito per allontanarla da noi, dalla nostra umanità. L’ha talmente allontanata da noi che involontariamente ci ha dato la scusa per allontanarci da lei. E, 26
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da lei, allontanarci da Lui. Ma Maria ci rincorre, ci insegue per raggiungerci nella fitta e densa caligine della nostra vita di tutti i giorni. Allontanandola dalla nostra attualità si è finito per rendere Maria inattuale, e quindi inadatta ai nostri tempi. Incapace di dirci qualcosa su quel figlio del quale lei è stata la prima discepola e che, prima di morire, dalla croce, ci ha affidati a lei affidandola a noi: “Donna ecco tuo figlio. Figlio ecco tua madre” (Gv 19,28). Una certa forma di lontananza ha compromesso la sua vicinanza. Troppo celeste per poter dialogare con noi che invece, parafrasando Nietzsche, siamo soltanto “umani, troppo umani”, e quindi soltanto terrestri. Don Tonino coglie questo inghippo teologico che a volte ha finito per falsare l’icona di Maria nella storia della salvezza, rendendola inattuale proprio a causa di una esagerata sacralizzazione che si è fatta di lei. Come a dire che c’è un sacro che va contro il Sacro e che forse bisognerebbe destrutturare il primo (che si rivela falso) a vantaggio del secondo (che invece si rivela vero). A noi pare che le letture di mons. Bello vadano proprio in questa direzione: desacralizzare Maria per risacralizzarla in una forma nuova, per dirci che la sua santità è una santità a portata di mano anche per noi. Per cui, proprio perché inattuale, Maria resta attuale. Da qui il titolo straordinario che egli conferisce alla madre di Gesù: “Donna dei nostri giorni”. *** Per don Tonino Maria è donna dei nostri giorni perché abita il nostro tempo e perché, più che le chiese, ella abita i nostri luoghi. Anche i luoghi poco sacri e poco avvezzi alla religione e alle liturgie. Scrive infatti:
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Vogliamo immaginarla adolescente, mentre nei meriggi d’estate risale dalla spiaggia, in bermuda, bruna di sole e di bellezza, portandosi negli occhi limpidi un frammento dell’Adriatico verde. E d’inverno, con lo zaino colorato, va in palestra anche lei. E passando per corso Umberto, saluta la gente con tenerezza. E ispira in chi la guarda nostalgie di castità. E conversa nel cerchio degli amici, sul viale Pio XI, la sera. E rende felici gli interlocutori, che la ripagano con sorrisi senza malizia. E va a braccetto con le compagne, e ne ascolta le confidenze segrete, e le sprona ad amare la vita.
Insomma, Maria che si fa compagna di viaggio di tante donne che portano il fardello bello ma faticoso di mariti stanchi e di figli complicati. E che fanno questo per resilienza e non per sottomissione o per poca stima di sé, ma per ricucire legami e relazioni improntati al reciproco riconoscimento e alla reciproca cura e custodia. Don Tonino ci aiuta a sdoganare Maria dagli spazi sacri di una religiosità atrofizzata, poco capace di parlare di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio, per riconsegnarla alla vita di tutti i giorni che in sé e di per sé sono già sacri. Risacralizzare Maria fuori dal sacro è risacralizzare la vita perché è diventata generatrice di vita, avendo lei generato Colui che è “l’autore della vita” (At 3,15), anzi Colui nel quale “era la vita […] e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre” (Gv 1,4-5). Perché grazie a lei “veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9), Colui per mezzo del quale “tutto è stato fatto […] e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste” (Gv 1,3). Insomma, come dice don Tonino, “portare luce nel cortile” quale luogo di prossimità e di familiarità perduta. Maria, che in sé portava il Verbo fatto carne, umanizza ancora oggi le nostre strade, aprendole alla continua incarnazione di un Dio nel quale è ancora possibile credere, come faceva lei quando, passando per quelle del suo 28
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villaggio a Nazareth, portava dentro di sé quel Dio che le scoppiava dentro come un tesoro geloso, nascosto in un campo per avere il quale aveva venduto tutto (Mt 13,4446). Allo stesso modo, dice don Tonino, potremmo fare esperienza di lei nel mentre passa per le strade del centro storico e si ferma a conversare con le donne di via Amente. O incontrarla al cimitero, la domenica, mentre depone un fiore ai suoi morti. O mentre il giovedì si reca al mercato, e tira sul prezzo anche lei. O quando alla mezza, con tutte le altre madri davanti al Manzoni, attende che il suo bambino esca da scuola per portarselo a casa e ricoprirlo di baci.
Maria rende luoghi i non-luoghi anonimi del nostro tempo postmoderno. E sfida noi credenti che quando passiamo per le nostre strade non sappiamo dare sapore né colore ai luoghi che abitiamo, ma usiamo le chiese per scappare dalla vita e trovare un riparo consolatorio. Noi che, quando entriamo in chiesa, lasciamo il mondo fuori e, quando torniamo nel mondo, lasciamo Dio dentro, chiuso in chiesa. Maria entra nei nomi cancellati e calpestati dei nostri giorni. Entra nei senza-nome di oggi. Si inserisce in quella che altrove il vescovo di Molfetta ha chiamato “l’agonia dei nomi”7. È presente nei nostri appelli e “nelle nostre liste anagrafiche”. Negli elenchi degli esclusi laddove i nomi sono stati ribaltati o peggio dimenticati, o sostituiti da numeri in serie come nei Lager o nei Gulag. O in fondo ai mari dove milioni di naufraghi sono annegati nell’abisso dei senza nome. Lei che sa che Dio ha disegnato il nome di ciascuno sul palmo della sua mano (cfr. Is 49,16), vuole
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Bello. A., Scritti di pace, 4, Mezzina, Molfetta 1997, pp. 210-211.
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ridare nome a chi questo nome l’ha perduto come traccia di un’appartenenza originaria che nessuna tragedia potrà mai recidere. Lei che sa che Dio ci chiama per nome e che in virtù di ciò apparteniamo a Lui (cfr. Is 43,1), entra nei nostri nomi e riannoda la nostra genealogia ad una nostalgia interiore che ci fa traccia di un Dio che ci è passato dentro. Perché Dio è la memoria dei nomi dimenticati. Dei volti cancellati. “Il mio nome è una domanda”8 aveva scritto E. Jabès. Ed è lì che Dio può intrufolarsi come possibile risposta. Come senso ultimo a cui agganciare la mia esistenza vuota. In fondo, Maria non ha cognome perché così può prendere in prestito quelli nostri rendendoci suoi parenti. Proprio a riguardo di ciò una volta fece una scoperta che si rivelò per lei dolorosa e gioiosa al tempo stesso. Marco ci racconta che un giorno giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo [Gesù]. Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: “Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano”. Ma egli rispose loro: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre (Mc 3,31-35)
Maria scopre che nei suoi giorni entrano i giorni di tutti gli altri, anche quelli di oggi, quelli nostri i quali in quel tempo non ancora c’erano. Comprende che bisogna cominciare a pensare ad una famiglia allargata nella quale entrano tutti, nessuno escluso come in una grande e distesa parentela universale. La parentela di Maria non è fatta
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Jabès E., Il libro delle interrogazioni, Marietti, Genova 1995, p. 103.
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di fratelli che dimenticano di essere popoli chiamati a vivere insieme, ma di popoli che diventano fratelli, secondo il sogno di Isaia tanto caro a don Tonino. Proprio perché senza cognome, il vescovo di Molfetta, giocando molto su queste dinamiche attuali, afferma che a Maria potremmo “darle uno dei nostri cognomi: Salvemini, Tattoli, Minervini, Gadaleta, Carabellese, Altomare, De Candia, Pansini... e pensarla come alunna di un nostro liceo, o come operaia in un maglificio della nostra città, o dattilografa nello studio del commercialista di fronte, o commessa in una boutique di corso Margherita”. Come noi eravamo lì con lei, ora è lei ad essere qui con noi. Come noi eravamo dentro ai suoi giorni, ora è lei ad essere nei nostri. Don Tonino pensa a Maria come a una donna che abita la sua femminilità abitando le nostre professioni, i nostri ambienti di lavoro, i luoghi di aggregazione sociale e di formazione culturale e di educazione, per tessere lì, nei meandri della complessità, le fila di un’umanità che si fa domanda per Dio. Domanda di Dio. Domanda in Dio. Maria, ancora oggi, nel suo grembo o in braccio, porta il Verbo di Dio nei luoghi senza Dio. *** Maria è donna dei nostri giorni non solo nel mentre percorre le nostre storie individuali, ma anche perché, come maestra di socialità e di cittadinanza, frequenta i nostri luoghi comunitari diventati poco comunionali. Molto privati e poco pubblici. Infatti, dice don Tonino, non la vogliamo ospite. Ma concittadina. Interna ai nostri problemi comunitari. Preoccupata per il malessere che scuote Molfetta. Ma contenta anche di condividere la nostra esperienza spirituale, contraddittoria ed esaltante. Fiera per lo spessore culturale della nostra città: per le sue chiese, 31
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per la sua arte, per la sua musica, per la sua storia. E gioiosa di appartenere al nostro ceppo di contadini, di naviganti, di esuli inguaribilmente stregati dalla loro terra natale.
Ecco allora Maria donna di comunità e cittadina impegnata, che ci insegna che la politica comincia da quello che ciascuno di noi può fare per la propria comunità. Per vivere, in quanto essere di natura sociale, la propria responsabilità sia individuale che comunitaria. Lei cammina accanto a noi tra le nostre divisioni e le nostre fratture, per aiutarci a superare quelle situazioni di individualismo e di atomismo sociale che creano competizione e isolamento, per farci scoprire invece la bellezza del vivere insieme (cfr. Sal 133). Ma soprattutto Maria abita i nostri giorni per “contagiarci della sua speranza” e contrastare il vuoto che ci attanaglia, per “farci sentire, con la sua struggente purezza, il bisogno di Dio”. In un mondo senza Dio, lei si fa carico di questa nostra inquietudine e ci aiuta a fare discernimento perché possiamo capire che cosa veramente ci manca. Viene ad abitare le nostre interruzioni, le nostre sospensioni, i nostri “Sentieri interrotti” come li ha definiti Heidegger. Per tale ragione abita i nostri giorni per “spartire con noi momenti di festa e di lacrime. Fatiche di vendemmie e di frantoi. Profumi di forno e di bucato. Lacrime di partenze e di arrivi”. Maria, secondo quando ci dice il salmo, abita i nostri giorni sia nella stagione della semina, quando, portando la semente da gettare, nel nostro andare ci viene il pianto, sia nella stagione del raccolto, quando, nel nostro tornare, ci scoppia dentro il giubilo, nel mentre portiamo i nostri covoni (cfr. Sal 126,5-6). Maria abita i nostri giorni come tessitrice di legami sfilacciati, di relazioni spezzate, per aiutarci a superare i sospetti e le diffidenze, le sciocche e inutili rivalità, ma anche quel clima di indifferenza e di abbandono che ci impedisce di sentirci un unico vicinato capace di essere inclusivo 32
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e partecipato, accogliente e caloroso. Riguardo a questo potremmo vederla, dice don Tonino, come una vicina di casa, dei tempi antichi. O come dolcissima inquilina che si affaccia sul pianerottolo del nostro condominio. O come splendida creatura che ha il domicilio sotto il nostro stesso numero civico. E riempie di luce tutto il cortile.
Maria ci insegna ad abitare i luoghi caldi delle nostre prime socializzazioni; i primi giochi infantili dove i bambini, che più non giocano per strada ma che spesso restano soli in casa, potrebbero cominciare a sperimentare le prime sfide della vita. I luoghi conviviali della nostra città che invece si sono trasformati in ambienti di cui nessuno più si prende cura. Laddove si hanno i primi confronti e i primi scontri per imparare a perdonare, ad accettare l’altro e la sua diversità, per fermarsi e aspettare chi è rimasto indietro. Per risanare quel senso civico che rischia di cedere il posto al cinismo dilagante che ci sta mettendo gli uni contro gli altri. Lei ci direbbe oggi di riqualificare i quartieri facendo in modo che nessun luogo urbano possa scadere a livello di periferia dimenticata, dimessa e lasciata a se stessa, che rischia di discarica collettiva di cui nessuno si prende cura. Perché le città dove abita l’uomo sono anche città dove abita Dio. Luogo suo e luogo nostro (Cfr. Francesco, Esortazione apostolica Evangelium gaudium 24 nov 2013, nn. 71-75). Maria è donna dei nostri giorni perché, avendo predetto che tutte le generazioni l’avrebbero chiamata beata, ci ha promesso che “tra queste generazioni c’è anche la nostra”, che vuole cantare la sua lode “non solo per le cose grandi che il Signore ha fatto in lei nel passato, ma anche per le meraviglie che ancora continua a operare tramite lei e in lei nel nostro presente”. Maria sarà dei nostri giorni 33
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se le daremo il permesso di destare in noi la capacità di meravigliarci per le grandi opere che il buon Dio a modo suo ancora va compiendo anche se non in modo eclatante, ma con la forza delle piccole cose e con la gradualità che distingue la sua pedagogia. È donna dei nostri giorni perché sa stare a cavallo di tutte le generazioni. Donna intergenerazionale, che non avendo età, con la sua prossimità temporale può essere percepita come “coetanea dolcissima di tutti”. Il suo stile di vita è paradigma per ogni epoca. Anche perché ha saputo essere donna del cambiamento che sa stare negli anni che fanno da ponte tra una generazione e un’altra. E che, mentre intuisce il nuovo che sta nascendo, riesce a mantenere legami stretti con quello che di buono il passato può ancora darci. Lei è colei che mentre guarda al futuro porta a compimento quanto nel passato era nella forma della promessa. Donna che, mentre provoca il presente a fare brevi incursioni in un futuro che tarda a venire, rallenta il passo di chi, troppo veloce, a quel futuro vuole arrivare da solo pensando solo a se stesso. La vera devozione a Maria, dice don Tonino, è poterla sentire vicina ai nostri problemi. Non come Signora che viene da lontano a sbrogliarceli con la potenza della sua grazia o con i soliti moduli stampati una volta per sempre. Ma come una che, gli stessi problemi, li vive anche lei sulla sua pelle, e ne conosce l’inedita drammaticità, e ne percepisce le sfumature del mutamento, e ne coglie l’alta quota di tribolazione.
Maria non è la donna delle risposte facili, sempre disponibili, costruite in serie, il bancomat della Grazia che fa miracoli senza la fatica dell’attesa o della sequela fatta di maturazione umana e spirituale, ma è la donna che in tutta la sua femminilità custodisce le domande per dare alle 34
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risposte il tempo di maturare. Il tempo di cambiare. Maria è donna problematica non perché le piace complicare le situazioni, ma perché laddove domina l’ovvietà lei alza la posta in gioco, problematizzando le sterili e comode semplificazioni. Perché quando si tratta dell’umano la posta in gioco si fa alta e Dio non rimane indifferente al rischio del suo declino. O, peggio, della sua definitiva scomparsa. La pelle di Maria è piena di cicatrici come anche il suo cuore, se è vero che, come le ha preconizzato il vecchio Simeone, anche a lei un giorno una spada le avrebbe trapassato e trafitto l’anima (Lc 2,35). Due anime trafitte quelle della madre e del figlio, perché esposte alla logica dell’amore che li porta, ciascuno a modo suo, ad offrire se stessi. A dare la vita per non perderla, ma per ritrovarla e in essa ritrovare tutti coloro che la vita l’han perduta. Ecco allora che l’operazione ermeneutica compiuta da don Tonino consiste nell’avere avvicinato Maria alla nostra quotidianità per rendere la nostra contemporaneità spazio sacro in cui ripetere ogni giorno – nei nostri giorni – il miracolo che è accaduto a lei: il miracolo della incarnazione, quello della croce e quello della resurrezione. Perché, senza incarnazione – come senza resurrezione – il cristianesimo è davvero morto. Inutile e insignificante. Alienante e illusorio. Fallito e superato. Ma per instaurare con lei questo rapporto di vicinanza temporale è necessario che ci liberiamo dal pericolo di pensare che le esperienze spirituali vissute da [lei] duemila anni fa siano improponibili oggi per noi, figli di una civiltà che, dopo essersi proclamata postmoderna, postindustriale e postnonsoché, si qualifica anche come postcristiana
e che, in quanto tale, dopo aver proclamato la “morte di Dio” va sempre più proclamando la “morte dell’uomo”. 35
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Per noi che siamo passati, come ci ha detto il teologo Johann Baptist Metz9, da un Dio-senza-mondo a un mondo-senza-Dio, Maria, ci insegna, con l’esperienza dell’incarnazione del figlio, a dare spazio sia al mondo che a Dio, e quindi a combattere la unilaterale visione sia di un Dio senza mondo sia di un mondo senza Dio. E fare questo sia per amore del mondo sia per amore di Dio. Di quel Dio il quale “ha tanto amato il mondo da dare suo figlio” (Gv 3,16). Se Maria è donna dei nostri giorni sa che viene ad abitare un periodo caratterizzato dal relativismo, dove i valori vengono costruiti a colpi di interessi di parte e di principi basati più sull’utile e sul conveniente piuttosto che sul bene, sul vero e sul bello. Nell’epoca dei capricci e del predominio dell’etica individualistica, nell’epoca dell’ipersoggettivismo, Maria, secondo don Tonino, può farci comprendere che la modestia, l’umiltà, la purezza sono frutti di tutte le stagioni della storia, e che il volgere dei tempi non ha alterato la composizione chimica di certi valori quali la gratuità, l’obbedienza, la fiducia, la tenerezza, il perdono. Sono valori che tengono ancora e che non andranno mai in disuso.
Nel variare delle opinioni, Maria, con la sua semplicità e con la sua femminilità, ci può fornire “l’edizione aggiornata di quelle grandi virtù umane che l’hanno resa grande agli occhi di Dio”. Una tale investitura, per don Tonino, le è stata conferita da Gesù stesso quando, dandola a noi come “nostra madre” l’ha “costituita non solo conterranea, ma anche contemporanea di tutti. Prigioniera nello stesso frammento di spazio e di tempo”. Nessuno, perciò, può addebitare a Maria “di-
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Metz J.B., Sulla teologia del mondo, Queriniana, Brescia 1969.
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stanze generazionali, né gli è lecito sospettare che [lei] non sia in grado di capire i drammi della nostra epoca”. In virtù di questa investitura ricevuta dal suo stesso figlio, possiamo chiedere a lei di mettersi accanto a noi, e ascoltarci mentre le confidiamo le ansie quotidiane che assillano la nostra vita moderna: lo stipendio che non basta, la stanchezza da stress, l’incertezza del futuro, la paura di non farcela, la solitudine interiore, l’usura dei rapporti, l’instabilità degli affetti, l’educazione difficile dei figli, l’incomunicabilità perfino con le persone più care, la frammentazione assurda del tempo, il capogiro delle tentazioni, la tristezza delle cadute, la noia del peccato.
Un elenco di fragilità che chi, in qualità di discepolo ha deciso di seguire il figlio suo, non può fingere che non esistano, ma di cui, al contrario, deve sapersi farne carico. E allora che cosa possiamo chiedere a Maria “donna dei nostri giorni” se non di restare attuale, di anticiparci con le sue vedute ispirate dalla Grazia di cui era piena? Di sforare il tempo per porsi in una prossimità che ci sproni ad essere come lei sì da non perdere gli appuntamenti con quel divino che si è fatto vicino a lei e ora anche a noi? E allora possiamo anche noi rivolgerci a lei con le stesse parole di don Tonino e chiederle di far sì che non ci sia mai un appello in cui risuoni il nostro nome, nel quale, sotto la stessa lettera alfabetica, non risuoni anche il suo, e non ti si oda rispondere: “Presente!”. Come un’antica compagna di scuola.
Per vedere Maria in ogni suo figlio e nostro fratello, per prepararci a vedere il Figlio suo Gesù in ogni Maria, nostra madre e nostra sorella. 37
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