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Antonio Bello
Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi Progetto pastorale
edizioni la meridiana p a g i n e a l t r e
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Indice
Prefazione Introduzione
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PARTE I: GLI AMBITI DELLA PAROLA La Parola annunciata
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La Parola celebrata
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La Parola testimoniata
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PARTE II: GLI OPERATORI DELLA PAROLA Il vescovo
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I presbiteri
102
I religiosi
107
I ministri vari
111
I catechisti
112
I laici
119
I laici aggregati in associazioni
121
I laici di Azione Cattolica
124
PARTE III: GLI STRUMENTI DELLA PAROLA Premessa
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La curia
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Gli organi collegiali
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Il seminario e la parrocchia
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Postfazione
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Prefazione
Non posso che rallegrarmi per l’iniziativa di pubblicare questo testo del vescovo Antonio Bello: un progetto pastorale dal titolo programmaticamente impegnativo Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi. Rallegrarmi con chi ha avuto l’idea, con chi ha raccolto il materiale, con chi l’ha ordinato ed ha collaborato alla realizzazione. Don Tonino Bello, con la decisione e la gioia di chi crede al Vangelo, ha sempre lottato contro la mediocrità, reagendo alla rassegnazione dinanzi alla situazione di fatto, rifiutando gli orizzonti limitati e il basso profilo del volo ed ogni cabotaggio di sicurezza. È sempre stato, con gli ultimi e per gli ultimi, un profeta della speranza che non delude, aiutando a riscoprire il miracolo dell’amore di Dio che ognuno porta dentro di sé, ancor più che con le parole, pur luminose e toccanti, con la testimonianza di una vita vissuta come “luminoso poema” anche nei momenti del calvario più duro. Queste pagine, che ci mettono nelle mani l’unica opera organica scritta da lui, possono aiutare ogni comunità ed ogni persona nella Chiesa a rispondere alla lettera apostolica del Papa Giovanni Paolo II, che, alla fine del Giubileo del 2000, dice a tutti i cristiani: “Andiamo avanti con speranza! Un nuovo millennio si apre davanti alla Chiesa come oceano in cui avventurarsi, contando sull’aiuto di Dio”. Queste pagine danno un contributo luminoso e sofferto alla riflessione che la Conferenza Episcopale Italiana domanda alle Chiese che sono in Italia mettendo a tema di riflessione per tutti “la parrocchia”. “La parrocchia – ci dice il vescovo Antonio Bello 9
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– accettando di stare dentro il fiume della storia, non solo è il luogo dove risuona meglio la voce dell’uomo, ma soprattutto dove risuona la voce di Dio”, “è il luogo privilegiato su cui evangelizzazione, santificazione e scelta degli ultimi si definiscono, si raccordano e si incastrano”. E riporta le parole di don Mazzolari: “La parrocchia deve tornare ad essere lo strumento efficiente di una carità senza limiti, come senza limiti sono i bisogni dei parrocchiani, dei vicini che sono pochi, dei lontani che sono molti”. Queste pagine, che non derivano da una elaborazione autonoma e soggettiva, ma da una sorta di scrittura collettiva, sono anche preziosa indicazione di una strada che potrebbe far crescere le nostre comunità verso una vera maturità di fede e verso una dignità di autentica partecipazione. Sono pure avvertimento ad evitare il rischio di teorizzare senza condividere ed esortazione pacata, ma decisa, a credere che il Signore dona lo Spirito senza misura. Questo libro mostrerà, a chiunque lo legga con attenzione, che il vescovo Antonio Bello era davvero, come è stato scritto da lui, “un utopista illuminato con i piedi per terra”. Card. Silvano Piovanelli
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SCHEMA SOMMARIO DEL PROGETTO PASTORALE
Luci di posizione: evangelizzazione, spiritualità, scelta degli ultimi
• Gli ambiti della Parola:
1. La Parola annunciata (scelta della Parola, scelta dei lontani, scelta degli adulti, scelta dell’itinerario catecumenale) 2. La Parola celebrata 3. La Parola testimoniata (una Chiesa che si fa ultima, per stare con gli ultimi e per lottare con loro)
• Gli operatori della Parola:
Il vescovo, i presbiteri, i religiosi, i ministri vari, i laici, i laici organizzati, i laici di A.C.
• Gli strumenti della Parola:
1. La curia (persone e uffici) 2. Gli organismi collegiali consultivi 3. Seminario e parrocchia 11
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Introduzione
1. Ragioni di un progetto pastorale Le ragioni di un progetto pastorale sono molteplici. Ne elenchiamo alcune solo per allontanare il sospetto di chi potrebbe vedere in queste formulazioni programmatiche ricerca di efficienze troppo umane, scorie imitative di modelli sociologici, riferimenti a tecniche di sapore aziendale. • Non sfugge a nessuno l’impegno con cui nelle nostre Chiese di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo di Puglia gli operatori pastorali lavorano senza risparmio per il Regno di Dio. Non sfugge, però, neanche l’amara constatazione che i risultati non si commisurano all’impegno di tante energie. Si radicalizza il convincimento che la sola generosità non basta, che è necessario lavorare tutti insieme su progetti organici e che occorre riesaminare in termini unitari la nostra azione pastorale.
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• Le trasformazioni socio-culturali degli ultimi anni hanno spiazzato le nostre metodologie, pur collaudate da antiche esperienze. Come Chiesa, siamo chiamati a far fronte in modo creativo a situazioni nuove. È vero che la sensibilità degli operatori pastorali ha approntato di volta in volta adattamenti su misura. Ma è anche vero che oggi non è più possibile lasciare ai singoli l’estro di questi rammendi. Né, d’altra parte, l’esercitazione di mettere toppe nuove sul vestito vecchio si rivela redditizia. Si sente il bisogno di una 12
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strategia pastorale pensata in termini di globalità. • Anche le acquisizioni della teologia e, in particolare, la rinnovata visione del rapporto Chiesa-Mondo obbligano a spostare l’asse dell’impegno pastorale. Si avverte un po’ da tutti che non si può più giocare di rimessa, che alcune posizioni di contenimento hanno fatto il loro tempo e che è urgente trovarsi d’accordo per progettare una pastorale in termini di missionarietà.
2. Esigenza di un progetto pastorale L’esigenza di un progetto pastorale viene ormai da parecchi anni sottolineata in moltissimi documenti della Chiesa. Basterebbe citare per tutti il Direttorio per il Ministero pastorale dei Vescovi del 1973: “Per una sempre più proficua cura delle anime è indispensabile che il vescovo formuli un piano o programma generale dell’apostolato di tutta la diocesi”1. Confortati, pertanto, dalle premure della Chiesa, accettiamo con fiducia anche noi questo stile pastorale della “pianificazione”. Siamo certi che così aiuteremo meglio il mondo, che ci chiede oggi “risposte nuove a problemi nuovi” (di qui: l’aggiornamento, la conoscenza dell’ambiente, l’approccio con le culture), “risposte antiche a problemi nuovi” (di qui: il ritorno alle fonti, l’approfondimento biblico e patristico, la conoscenza della storia), “risposte nuove a problemi antichi” (di qui: l’adattamento del linguaggio, la riformulazione dottrinale, la ritrascrizione in chiave moderna di certi “segni”).
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3. Limiti del presente progetto pastorale Accanto a queste generiche, e forse un po’ sontuose, dichiarazioni di principio, una iniziale dichiarazione di povertà. Vogliamo evidenziare, cioè, alcuni limiti di questo lavoro. • Anzitutto, un progetto pastorale che voglia essere credibile, nasce da una puntigliosa “lettura sociologica” della diocesi. L’analisi attenta della realtà, infatti, è un momento ineludibile per ogni progettazione. Qui tale analisi manca. Però, viene programmata, anzi, ad essa vuole condurre. • Un progetto pastorale che si rispetti deve essere elaborato da tutte le componenti della Chiesa locale e “deve coinvolgere il più possibile la base”. Le progettazioni centralistiche e dirette dall’alto non soddisfano più. Qui tale coinvolgimento della base è minimo. Però, viene programmata una strategia perché la base sia resa capace di progettare da sé. • Infine, un progetto pastorale organico, che miri alla concretezza, prevede tempi di attuazione abbastanza lunghi: almeno dieci anni. Il progetto è ben diverso dai programmi annuali o dalle campagne di sensibilizzazione. Qui, invece, viene presentato un progetto quinquennale. Segno evidente non solo di una salutare coscienza del limite, ma anche del desiderio di coprire con un progetto quel tempo minimo di congiuntura, durante il quale elaborare un piano di più ampio respiro e di più articolata organicità.
4. Tre luci di posizione Anche se le scelte concrete verranno esplicitate lungo tutto il percorso, già in questa introduzione sentiamo il bisogno di 14
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indicare tre opzioni di fondo, che devono costituire come la temperie generale entro cui si svolgerà il nostro cammino. Saranno quasi le “luci di posizione” della nostra Chiesa in questo suo percorso quinquennale. • Privilegiare l’evangelizzazione. La qualità della vita cristiana presso le generazioni future porterà il segno della convinzione con cui oggi accogliamo questa scelta. Per le nostre Chiese locali si tratterà di un trapasso difficile, perché accompagnato dal rimpianto per qualche cosa che dovremo pure avere il coraggio di lasciare. • Ristabilire il primato della spiritualità. È difficile definire che cosa essa sia, ma non è difficile percepire che essa è la grande assente nelle nostre comunità. Solo la riscoperta del “profondo”, con un deciso recupero della vita interiore e dei valori che l’accompagnano, darà alle nostre Chiese i tratti delle icone: finestre dell’eterno aperte sulla storia. • Partire dagli ultimi. È ormai entrato nella coscienza teorizzante della Chiesa il convincimento che i poveri sono il punto di partenza di ogni servizio da rendere all’uomo. Ora si tratta di passare concretamente, armi e bagagli, dalla loro parte, se è vero che solo partendo dagli ultimi si potranno creare le premesse di una organica cultura di vita. Saremo capaci di prevedere e controllare gli smottamenti del terreno che tale passaggio comporta?
5. Articolazione del presente progetto pastorale Sul piano metodologico, articoleremo in tre parti il presente progetto: • nella prima parte prenderemo in esame i grandi ambiti inter15
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comunicanti tra loro, entro cui si esprime l’impegno pastorale della Chiesa: la Parola annunciata (evangelizzazione, catechesi), la Parola celebrata (liturgia), la Parola testimoniata (carità); • nella seconda parte, passeremo dagli ambiti alle persone, cioè agli operatori della Parola: vescovi, presbiteri, religiosi, ministri vari, catechisti, associazioni e gruppi ecclesiali; • infine, tratteremo delle strutture portanti, che potremo anche chiamare gli strumenti della Parola, attraverso cui si veicola l’azione pastorale: dagli Uffici di Curia, agli organismi di partecipazione, alla parrocchia.
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PARTE PRIMA: GLI AMBITI DELLA PAROLA
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La Parola annunciata
Situazione e scelte di fondo 6. Priorità dell’annuncio L’annuncio di Gesù Cristo morto e risuscitato costituisce il compito essenziale della Chiesa. Se volessimo puntellare con i documenti ufficiali questa frase, sprecheremmo le citazioni. Si parla dell’annuncio come “primo impegno” delle nostre comunità, come “scelta preferenziale” per il loro reale rinnovamento, come “momento centrale” di ogni loro dinamismo. Dalla letteratura pastorale corrente emerge anche che l’annuncio non è un settore dell’impegno pastorale, ma “il fondo, la struttura portante, l’asse, il cuore” dell’attività pastorale della Chiesa. Constatazione. Di fronte a siffatte dichiarazioni di principio, le nostre Chiese di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo, pur convinte in teoria che l’annuncio deve stare al vertice di ogni loro preoccupazione pastorale, avvertono praticamente di essere in forte ritardo su questo cammino. Non riescono ancora a investire nell’unico grosso affare, per il quale sono competenti a negoziare, tutte le loro risorse. Stentano a vendere “tutti gli averi” per comprare il campo dov’è nascosto il tesoro, o per acquistare la perla di grande valore. Appesantite dall’impianto tipico della civiltà cristiana e da un apparato ancora marcatamente sacrale, le nostre Chiese faticano a dare smalto 18
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all’annuncio, e a conferirgli i tratti di quella hilaritas, cioè di quella “gioia contagiosa” di cui parla Sant’Agostino, e che si accompagna sempre alle buone notizie, sconvolgenti e rivoluzionarie.
7. L’annuncio ai lontani Anche se sul piano lessicale c’è una fluttuazione di termini, i concetti però sono chiari. “Evangelizzazione” propriamente detta è il primo annuncio della salvezza a chi, per ragioni varie, non ne è a conoscenza o ancora non crede. “Catechesi”, invece, è l’esplicitazione sempre più sistematica della prima evangelizzazione. Constatazione. Le nostre Chiese, che pure stanno compiendo uno sforzo generoso sul piano della catechesi, oggi, reduci da un clima di cristianità, hanno perso l’attitudine del primo annuncio, sono fuori allenamento per ciò che riguarda la missione ai lontani, sono impreparate a fronteggiare l’incalzante paganesimo di ritorno. Purtroppo, si moltiplicano i non credenti, cresce il numero dei non praticanti “di lungo corso”, aumenta a vista d’occhio lo spessore della indifferenza religiosa, si dilata la fascia di gente che non ha più alcun rapporto con la Chiesa, prende consistenza il fenomeno della diserzione ad altre confessioni religiose. Di fronte a questa situazione, le nostre Chiese avvertono non solo il disagio di aver le armi spuntate, ma anche il bisogno di ridefinirsi come comunità in stato di missione.
8. L’annuncio agli adulti Già quattordici anni fa il Documento di base osservava: “Per molti i termini catechismo o catechesi evocano un insegnamento 19
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rivolto quasi esclusivamente ai fanciulli, senza sviluppi nelle età successive. Crescerebbe così l’uomo e non crescerebbe in lui il cristiano. Occorre invece comprendere che, in tutte le età, il cristiano ha bisogno di nutrirsi adeguatamente della Parola di Dio. Anzi, gli adulti sono in senso più pieno i destinatari del messaggio cristiano... Nel mondo contemporaneo, pluralista e secolarizzato, la Chiesa può dare ragione della sua speranza, in proporzione alla maturità di fede degli adulti1. Potremmo ricorrere anche qui al sostegno di tantissime altre citazioni. Ne riportiamo solo una che mette a fuoco il problema centrale della catechesi degli adulti: “È questa, la principale forma di catechesi, in quanto si rivolge a persone che hanno le più grandi responsabilità e la capacità di vivere il messaggio cristiano nella sua forma pienamente sviluppata... La catechesi sarebbe davvero vana se si arrestasse proprio alle soglie dell’età matura”2. Constatazione . Nelle nostre Chiese locali la catechesi è rivolta quasi esclusivamente ai fanciulli. Da una indagine fatta dall’Ufficio Catechistico Interdiocesano lo scorso anno, risulta che, dopo la Cresima (ricevuta in quinta elementare), solo il 20% dei ragazzi prosegue l’itinerario catechistico nelle associazioni ecclesiali varie. Percentuale, che poi si sfalda ulteriormente man mano che si sale verso la giovinezza. La situazione è preoccupante e impone d’urgenza non tamponamenti passeggeri, ma radicali cambi di mentalità. Non solo non funziona “lo svincolo ferroviario dell’adolescenza, ma mancano i binari per l’età adulta”. Né ad attenuare il vuoto della catechesi permanente possono bastare gli espedienti molteplici della catechesi occasionale, per altro disarticolati e spesso estemporanei.
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CEI, Il rinnovamento della catechesi, n. 124. Catechesi Tradendae, n. 43
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9. L’annuncio non come indottrinamento ma come cammino Nei documenti del Magistero è divenuta persino luogo comune l’affermazione che la catechesi è in funzione non tanto dei sacramenti da ricevere, quanto della vita cristiana da far maturare. “Educare al pensiero di Cristo, a vedere la storia come lui, a giudicare la vita come lui, a scegliere e ad amare come lui, a sperare come insegna lui, a vivere in lui la comunione con il Padre e lo Spirito santo. In una parola, nutrire e guidare la mentalità di fede: questa è la missione fondamentale di chi fa catechesi a nome della Chiesa”3. Scopo della catechesi è quello di educare dei discepoli, tematizzando la conversione e il rapporto personale con Cristo. Constatazione. Nonostante i notevoli passi in avanti che si stanno compiendo, nelle nostre Chiese locali permane ancora un preoccupante residuo di mentalità che vede la catechesi orientata unilateralmente verso i sacramenti. Tra gli operatori pastorali probabilmente questa mentalità si va dissolvendo, ma permane ancora nella gente, che considera la catechesi solo come indottrinamento e non come un “vero e proprio apprendistato cristiano”.
10. Conseguenza e scelte Una prima conclusione fortissima s’impone subito dopo questa panoramica. Le nostre Chiese devono impostare ogni loro azione pastorale tenendo presenti queste quattro linee di fondo e interrogandosi continuamente su di esse. • Scelta della Parola, cioè scelta prioritaria della evangelizzazione. Occorrerà chiedersi, in modo permanente, come
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Il rinnovamento della catechesi, n. 38.
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far emergere questo primato; su quali spazi investire un coraggio maggiore; da quali fronti operare opportune ritirate strategiche; in quali modi aiutare la Parola a farsi ancora carne e venire ad abitare tra noi. • Scelta dei lontani, cioè, in ultima analisi, scelta missionaria. Occorrerà interrogarsi, in modo permanente, sul ruolo fondamentale delle nostre Chiese: se esse esistono come tende di parcheggio e di protezione per chi da sempre vi sta dentro, o come accampamenti di speranza e di salvezza per chi da tempo o da sempre ne sta fuori. • Scelta degli adulti: forse è il passaggio più costoso, perché non è un semplice trasloco. Non significa lasciare spazi già coperti per trasferirsi su altre fasce di età. Le posizioni occupate occorre mantenerle e, anzi, rafforzarle. Ma è necessario anche rispondere all’invito del Signore e della Storia: “Allarga lo spazio della tua tenda; stendi i teli della tua dimora senza risparmio; allunga le cordicelle, rinforza i tuoi pioli, poiché ti allargherai a destra e a sinistra...”4. Quali dispositivi sapranno mettere in atto le nostre Chiese con urgenza? • Scelta del catecumenato, cioè scelta della catechesi come itinerario di formazione graduale e progressiva, come esperienza che ha come scopo non tanto quello di indottrinare in vista dei sacramenti, quanto quello di operare, in coloro che si preparano a ricevere i sacramenti, un cambio di mentalità e di costumi. O interpretiamo la catechesi come scuola preparatoria alla vita cristiana e introduzione alla vita religiosa liturgica, caritativa e apostolica del popolo di Dio, o saremo costretti a verificare in modo permanente la vanità dei nostri sforzi. 4
Isaia 54, 2-3.
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Scelta della Parola: indicazioni operative 11. Non si annuncia solo con le Parole Dissipiamo un equivoco. La Parola non si annuncia con le parole soltanto. Si annuncia anche con la vita, con i gesti, con la prassi. Anzi, quando la vita, i gesti, la prassi hanno un’anima e non si staccano da Gesù Cristo, diventano il veicolo privilegiato della Parola. La Chiesa, perciò, evangelizza non solo quando predica, ma anche quando contempla, quando prega, quando ama, quando serve in silenzio, quando si spoglia per i poveri, quando soffre per essi. “Evangelizza non solo per quello che dice, ma soprattutto per quello che è e che fa”. Il guaio è che nella Chiesa molte parole non sono seguite dai fatti, e molti fatti non sono attraversati dalla Parola.
12. Un esame sulla nostra eloquenza e sulla nostra retorica Le nostre Chiese di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo di Puglia dovrebbero mettersi sotto inchiesta permanente, per verificare la loro “eloquenza” e non la loro “retorica”. Parlano di Lui, morto e risuscitato? Sono “ossessionate” dall’annuncio del Regno? Fanno emergere dai loro riti la “buona notizia” che Dio è Padre e chiama tutti a un destino di salvezza? Fanno esplodere nei loro gesti le contraddizioni del mondo “vecchio”? Sbloccano a sufficienza le cinture del rito, per liberare il messaggio e farlo “correre veloce”? O si estenuano spesso nella custodia del “sacro”, nella conservazione del “deposito”, nella vigilanza sul “talento” sotterrato? Quanto annuncio rivoluzionario rimane ancora sotto certi battesimi, cresime e prime comunioni? Quali radicalità di conversione sono ancora sottese da certe celebrazioni di matrimonio? Quale spessore di autenticità di fede attraversa l’ap23
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parato di certe feste e di tante processioni? Che fare perché le “ossa aride” di tanti gesti religiosi si rianimino sotto il soffio di un annuncio liberatore? Può sembrare una ingenuità collocare queste domande tra le indicazioni operative. Ma, a ben pensarci, non sarà una esercitazione sprecata sottoporsi comunitariamente a un esame che non potrà, alla lunga, rimanere improduttivo.
13. Purificare dalle scorie la religiosità popolare Per valutare meglio la portata di annuncio espressa da alcuni gesti rituali, potrà essere utile promuovere nel corso dei prossimi tre anni una indagine sulla “religiosità popolare” nel nostro territorio. I risultati ci aiuteranno a rettificare eventuali prevenzioni, a dare un’anima di Vangelo là dove essa manca, a correggere aspetti fuorvianti, a eliminare con coraggio e gradualmente il materiale di risulta che non avesse molto da spartire con la fede. Sarà compito dell’Ufficio Liturgico condurre, con le dovute tecniche di ricerca, l’indagine in questione e tradurre in atto le conclusioni pastorali.
14. Parola e sacramenti Fare la scelta della Parola comporterà un cambio radicale di mentalità a proposito di una certa prassi, spesso accomodante, circa l’amministrazione dei sacramenti. Per usare il linguaggio paradossale: non basta per l’ammissione alla Prima Comunione saper la differenza che intercorre tra il pane normale e l’Ostia consacrata. Purtroppo, tanti nostri interventi pastorali di tipo minimalistico non hanno le condizioni giuste di celebralità. 24