Dio mio, perché... abbandonato?

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Luigi Bettazzi

Luigi Bettazzi

Dio mio, perche’... abbandonato?

Dio mio, perche’... abbandonato?

Itinerari di spiritualita’

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Luigi Bettazzi

Dio mio, perchĂŠ... abbandonato? Itinerari di spiritualitĂ Traduzione di Cristiana Santambrogio

edizioni la meridiana p a g i n e a l t r e

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Indice

Avvertenza al lettore 7 Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

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Dio mio, Dio mio, perché Ti ho abbandonato?

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Se non diventerete come i bambini…

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Avvertenza al lettore

Mentre era ormai al termine l’elaborazione di questo scritto è stata pubblicata l’Esortazione Apostolica di Papa Francesco Gaudete et exsultate, sul tema della santità per tutti, incentrata sulla preghiera costante, guidata dalle Beatitudini evangeliche, con suggerimenti per l’oggi. Tante considerazioni collimano – ma sviluppate ed esposte in maniera eminente – con osservazioni a cui ho alluso, dal discernimento come grazia alla “parresia” come audacia e fervore, allo gnosticismo e perfino all’umorismo (o al “liberaci dal Maligno” anziché liberaci dal male). Allora? Avrei dovuto eliminare il libro e rimandare tutto al Documento di Papa Francesco. Nella ineluttabilità della prima decisione esorto comunque tutti alla seconda, tanto la Gaudete et exsultate è bella, è traboccante, è stimolante: davvero dà “gioia ed esultanza”. + Luigi Bettazzi

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Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

La frase è l’inizio del Salmo 21 (secondo la numerazione della traduzione Vulgata di san Girolamo; nell’originale ebraico è il Salmo 22) che presento nella sua integrità: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido! 2

Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me. 3

Eppure tu sei il Santo, tu siedi in trono fra le lodi d’Israele. 4

In te confidarono i nostri padri, confidarono e tu li liberasti; 5

a te gridarono e furono salvati, in te confidarono e non rimasero delusi. 6

Ma io sono un verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente. 7

Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: 8

“Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama!” 9

Sei proprio tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai affidato al seno di mia madre. 10

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Al mio nascere, a te fui consegnato; dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. 11

Non stare lontano da me, perché l’angoscia è vicina e non c’chi mi aiuti. 12

Mi circondano tori numerosi, mi accerchiano grossi tori di Basan. 13

Spalancano contro di me le loro fauci: un leone che sbrana e ruggisce. 14

Io sono come acqua versata, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si scioglie in mezzo alle mie viscere. 15

Arido come un coccio è il mio vigore, la mia lingua si è incollata al palato, mi deponi su polvere di morte. 16

Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi. 17

Posso contare tutte le mie ossa. Essi stanno a guardare e mi osservano: 18

si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte. 19

Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto. 20

Libera dalla spada la mia vita, dalle zampe del cane l’unico mio bene. 21

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Salvami dalle fauci del leone e dalle corna dei bufali. 22

Tu mi hai risposto! 23 Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea. Lodate il Signore, voi suoi fedeli, gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe, lo tema tutta la discendenza d’Israele; 24

perché egli non ha disprezzato né disdegnato l’afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma ha ascoltato il suo grido di aiuto. 25

Da te la mia lode nella grande assemblea; scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. 26

I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano; il vostro cuore viva per sempre! 27

Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra; davanti a te si prostreranno tutte le famiglie dei popoli. 28

Perché del Signore è il regno: è lui che domina sui popoli! 29

A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere; 30

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ma io vivrò per lui, 31 lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunceranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: “Ecco l’opera del Signore!”. 32

Il mio antico interesse per questo Salmo è riemerso fortemente di fronte al richiamo della frase di Gesù in croce come radice della spiritualità del Movimento dei Focolari, in particolare della sua fondatrice, la trentina Chiara Lubich. L’ha fatto “l’Osservatore Romano”, domenica 16 luglio 2017, con un lungo articolo di Florence Gillet intitolato “Due termini in apparenza contradditori”, ma col sopratitolo “La riscoperta di Dio in Chiara Lubich”. Florence Gillet racconta che agli inizi del Movimento (ed era un gruppo di ragazze che, a Trento, durante la guerra, si trovavano a leggere il Vangelo e a pregare), in casa di una di loro, Doriana Zamboni, bloccata da un’infezione al volto presa durante visite ai poveri, il Cappuccino che portava la Comunione a Chiara, convinta che l’angoscia maggiore provata da Gesù durante la passione fosse stata nell’Orto degli ulivi1, dichiarò che invece per lui era il grido sulla croce: e di qui Chiara lo scelse come ideale suo e di tutto il gruppo. “Gesù abbandonato”, proprio perché Parola rivelata, Era a quel tempo una spiritualità diffusa. Luigi Gedda, poi Presidente nazionale dell’Azione Cattolica, aveva istituito una “Società degli operai”, con due centri di spiritualità chiamati “Getsemani”, uno in Piemonte e uno in Campania. Ivi, ad esempio un giovane partigiano cattolico, Gino Pistoni, trovò quell’approfondimento cristiano che lo portò ad un gesto di eroica carità verso un fascista ferito e ad una eccezionale aspirazione al momento della morte. (Russo C., Pistoni G., Un testamento scritto con il sangue, Elledici, Torino 1944). 1

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porterà a un’intelligenza più profonda del mistero di Dio (“svuotatosi della sua divinità, come allora si intendeva la “Kenosis” – Fil 2,7); Chiara scriverà: “S’è contemplato in Lui immediatamente il vertice del suo amore perché culmine del suo dolore. In Gesù abbandonato è rivelato infatti tutto l’amore di Dio”. Dal desiderio allora di andare incontro a Gesù abbandonato, presente in ogni dolore, si giunge a trovare nel dolore abbracciato per amore di Gesù la vita, la gioia: il dolore si trasforma in amore. Gillet, ne “l’Osservatore Romano”, illustra questo itinerario di spiritualità citando molte dichiarazioni di Chiara su Gesù abbandonato2, “immensa aurea miniera di luce e d’amore, perché ‘crocifisso’ – così scrive Gillet – è il risorto, l’abbandonato da Dio è Dio che ci dona lo Spirito d’Amore che lega il Padre al Figlio e ci comunica la sua figliolanza”. A questa mistica pasquale di “abbracciare l’abbandonato” segue l’amare e abbracciare tutta l’umanità che soffre, dai primi poveri di Trento alle persone lontane dalla fede, dalla Chiesa perseguitata nell’Est europeo alle divisioni della cristianità. E così la spiritualità di Gesù abbandonato diviene la fonte e la forza per una vita di amore concreto, rivolto ai fratelli e alle sorelle più poveri e più sofferenti, ma anche ispiratore di un impegno sociale concreto per rendere la convivenza umana più giusta e più solidale verso tutte le povertà e le emarginazioni! E possiamo allora affermare – come attesta fr. Gillet – che: “sull’abbraccio sincero e di amore puro di Gesù abbandonato Chiara fa un’esperienza sorprendente, impensabile, di salvezza, giustificazione, di pienezza di Spirito Santo, di ereditare la figliolanza divina. Ha lo stupore di trovare nel dolore abbracciato per amore di Gesù la vita, la gloria. Si potrebbe perfino dire: lui si lascia abbandonare per poter così abbracciare tutti noi! 2

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Può costatare che unirsi all’abbandonato nel dolore produce una trasformazione del dolore in amore”. E così, riepiloga fr. Gillet: “Gesù abbandonato, amato, vissuto, riconosciuto, non ha confini: apre il cuore su tutti, credenti e non credenti, perché tutti viviamo il paradosso del dolore, tutti abbiamo domande senza risposta, contraddizioni esistenziali, anche se i modi di gestirle sono diversi… Gesù abbandonato porta speranza, dona senso al dolore”. Queste intuizioni vengono convalidate nell’ipotesi che la frase di Gesù sulla croce (Mt 27,46 e Mc 15,34) possa venir intesa, oltreché come espressione drammatica di Gesù che si sente abbandonato dal Padre (allora però avrebbe detto, non “Dio mio, Dio mio”, ma “Padre mio, Padre mio”), come l’applicazione che Gesù fa a sé del Salmo 21(22). Esso inizia, sì, con quell’interrogativo, convalidato dalle ignominie che vengono affibbiate e dalle sofferenze che si devono sopportare (e che si ritrovano proprio nella passione di Gesù: “hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa”, perfino “si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte”), ma che poi esplode nelle conseguenze estremamente positive: ti loderò in mezzo all’Assemblea… al suo grido d’aiuto [il Signore] lo ha esaudito… loderanno il Signore quanti lo cercano… si prostreranno davanti a Lui tutte le famiglie dei poveri… e io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza… al popolo che nascerà diranno: Ecco l’opera del Signore.

Gesù deplora dunque le sofferenze che gli stanno infliggendo e che, secondo la risonanza immediata, indicano un abbandono da parte di Dio; ma in realtà questa sof14

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ferenza è accettata per neutralizzare il male e viene affrontata col coraggio e la fiducia che così si apre la porta della salvezza per tutti. Gesù verrebbe a dire: “quello che state vedendo (la mia estrema passione sulla croce, con l’indicazione di particolari previsti) è in realtà la condizione di salvezza per l’intera umanità; ed io – Gesù – per il mio estremo amore all’umanità, ad ogni essere umano di ogni tempo e di ogni spazio, affronto in piena libertà questi estremi tormenti perché ogni essere umano – in ogni tempo ed in qualunque luogo della terra – possa essere salvato”. Personalmente, di fronte a queste grandi intuizioni, devo ammettere che non ho mai partecipato intensamente a Movimenti ecclesiali, penso per amore di libertà o per restare aperto ugualmente a tutti, senza preferenze. Così facendo ho forse rinunciato ad approfondimenti preziosi ed ho perso l’appoggio di fratelli e sorelle che nei Movimenti trovano aiuto per il loro cammino spirituale ma aiutano altresì nel proprio cammino quanti vi partecipano. Sono rimasto coinvolto nel Movimento Jesus Caritas, nella spiritualità di fratel Carlo De Foucauld, che nel deserto amava la Parola di Dio, l’Eucaristia, la Chiesa e l’umanità (guarda caso, saranno poi gli argomenti delle quattro Costituzioni del Concilio Vaticano II). Così sono stato tra quelli che han portato il Movimento al clero italiano e, durante il Concilio, sono stato membro di un gruppo di Vescovi (alla fine del Concilio eravamo venti, ora siam rimasti in due) denominato, in analogia alla Fraternità dei piccoli Fratelli, “la Fraternità dei piccoli Monsignori”! Ma devo ammettere che non son riuscito a coinvolgermi fino in fondo. Così dei Focolarini e di Chiara Lubich ho una grande stima, anche per le costanti attenzioni verso di me proprio di Doriana Zamboni. L’unico incontro con Chiara l’ebbi a Fiera di Primiero, in una delle prime Mariapoli, 15

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i grandi Convegni del Movimento. Ci doveva essere un incontro speciale per i sacerdoti ed eravamo andati anche diversi preti da Bologna, celebrando là nei vari altari della chiesa parrocchiale (allora non c’erano ancora concelebrazioni). Mi chiesero se potevo aspettare e dire la Messa per Chiara, che era molto stanca. E fu la sola volta che la vidi3. Col Movimento mi ero incontrato più tardi, in un’altra Mariapoli in Val di Fassa. Il Card. Lercaro mi aveva mandato a conoscere il Movimento del “Riarmo morale”, un Movimento nato in America (dal pastore protestante Buchman, forse un po’ in chiave anticomunista), che lavorava anche all’Università di Bologna conquistando l’attenzione di molti giovani, orientandoli anche appunto ad un “riarmo morale”4. Siccome il Movimento, con la sede europea in Svizzera (a Caux sopra Montreux), aveva tra i dirigenti anche alcuni cattolici che avrebbero voluto una specie di “benestare” da parte del Vaticano (a Caux c’era anche una cappella dove noi preti cattolici potevamo celebrare con la partecipazione di chi lo desiderava), avevo pensato di collegarmi con un Movimento cattolico, e quello dei Focolari mi sembrava il più adatto. Lo feci in una Mariapoli di Vigo di Fassa (dove non parlai con Chiara, ma col Vescovo Bernareggi, Ausiliare a Milano); i Focolari Avrei dovuto trovarmi con lei – e dom Helder Camara e l’Abbé Pierre e altri – ad una grande manifestazione a Roma, nel gennaio del 1978; poi fummo estromessi, l’Arcivescovo brasiliano dal Vaticano, certo sollecitato dal suo Governo che lo boicottava, ed io – credo – perché non godevo della simpatia degli ultimi organizzatori. 4 Il Movimento presentava i suoi messaggi attraverso canzoni, una era “Viva la gente”, che gli anziani forse ricordano. Un’altra, mai tradotta in italiano, richiamava che, quando, chiudendo il pugno, col dito indice puntiamo qualche cosa, tre dita restano puntate contro di noi , e uno è puntato in alto, aggiungeva una donna africana: cioè, se ci mettiamo di fronte alla coscienza (o a Dio) quando pensiamo alle responsabilità degli altri, dobbiamo piuttosto chiederci: “E io cosa potevo fare? Cosa non ho fatto? Cosa vorrò fare?”. 3

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però, allora guardati dalla gerarchia con un certo sospetto, non volevano pregiudicare la loro situazione con apparentamenti non chiari, e non se ne fece niente. Fu poi il Vescovo di Friburgo, nella cui giurisdizione cadeva anche Caux, a convocare i preti che vi erano andati (una dozzina di diverse nazioni): stilammo per il Vaticano una relazione sufficientemente favorevole, che però non ebbe particolari risultati. Devo riconoscere che, da Vescovo, ho trovato il Movimento dei Focolari tra i più collaborativi, per la sua ispirazione e forse per la sua più lunga vita (i Movimenti, ai loro inizi, devono assestarsi e difendersi dai normali sospetti e dalle facili critiche). Per questo, appunto, i Focolarini collaboravano agevolmente con le parrocchie e con la Diocesi. Potremmo a questo punto – proprio in linea con quanto abbiamo finora riferito – sentire l’invito a cogliere anche noi, nello scorrere della storia (di quella collettiva e di quella personale), il significato profondo, completo, a cercare il valore totale, rompendo la chiusura dell’interesse personale, del singolo individuo, per collegarlo invece all’interesse complessivo: il bene particolare non è vero bene se non è inserito nel bene comune. Credo che questo sia il grande insegnamento datoci dalla Parola di Dio: “Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza” (Gen 1,26). E l’essere umano s’è rivelato fin dal principio costituzionalmente non individuo chiuso in sé, ma fatto per aprirsi all’altro da sé (“un aiuto che gli corrisponda” Gen 2,18), e Dio trae la donna dal costato dell’uomo,5 sottolineandole così l’u Le prime pagine della Bibbia non vanno prese come una cronaca (Adamo sarebbe arrivato 6000 anni prima di Cristo, a calcolare la genealogia di Gesù secondo Luca – 2,23-28 – mentre la scienza, oggi, 5

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guaglianza della natura e l’attrattiva reciproca (“Questa volta è osso delle mie ossa, carne della mia carne… per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre” – ma lui, Adamo, che ne sapeva di padre e madre? – “e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne” – Gen 2,23-24). L’essere a somiglianza di Dio può però portare l’umanità, al di là della consapevolezza del proprio valore, anche allo stimolo di suggestioni negative, raffigurate dal serpente (“il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto” – Gen 3,1), a volersi sostituire a Dio, decidendo – ogni essere umano – ciò che è bene e ciò che è male (“si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male” – Gen 3,5), quindi chiudendo tutta l’attività secondo il bene particolare, ignorando o contrastando il bene comune. Dio si è fatto uomo per assumere nella sua umanità individuale la realtà dell’intera umanità che, chiusa in Adamo e in ciascuno di noi, può riaprirsi in Lui per la pienezza della vita: in Gesù, sulla croce, vengono uccise tutte le chiusure (i peccati) dell’umanità di ogni tempo e di ogni luogo, e in Lui nell’istante della morte, che è anche quello della risurrezione, l’umanità si rende partecipe della vita divina6. lo rimanda ad oltre 100.000). La storia controllabile inizia al Cap 12 della Genesi, con la chiamata di Abramo; prima, si presentano come storia, apprendibile anche dalla menti più semplici, i grandi principi che orientano, nel bene e nel male, la vita dell’umanità, e che quindi si ritrovano nell’umanità di tutti i tempi, dalla uguaglianza fondamentale tra l’uomo e la donna alla loro chiusura “originale” di fronte a Dio e alla violenza tra gli esseri umani di Caino e Abele, dalle divisioni tra i popoli della Torre di Babele agli interrogativi dei grandi mali, come il diluvio universale, o alla diversa configurazione dei figli di Noè, sempre invitando a riconoscere nella storia la presenza del male, ma a vederla alla luce di Dio e della Sua provvidenza. 6 San Paolo, nella Lettera ai Romani, si dilunga nel contrapporre Gesù ad Adamo, radice e simbolo dell’umanità e di ogni essere umano, “figura

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Se il grido di Gesù mi sconvolge soltanto, è perché non riesco a cogliervi il mistero di donazione, ma mi fermo all’immediatezza della sofferenza in sé. Ma allora sono io che, valutando solo l’aspetto della sofferenza, posso cogliervi una minaccia al mio benessere, una stroncatura della mia ricerca di emergere, di gratificarmi, di consolidarmi nella considerazione centripeta della realtà reputata al mio servizio. La chiusura in me stesso contrasta radicalmente con la prospettiva di Dio, che è Comunione delle tre Persone e si rivela in Gesù Cristo come donazione di sé, in adesione (obbedienza) alla Realtà che è Dio (“obbediente fino alla morte e a una morte di croce” Fil 2,8). E quindi non è Dio che mi ha abbandonato, ma sono io che abbandono Lui! Ripercorrere la storia dell’umanità secondo il criterio della nostra mentalità, strutturata secondo lo spazio e il tempo, ci fa riandare ai progenitori creati in grazia, ma impoveriti dal peccato – che è “originario” e affligge ogni essere umano che nasce – finché Gesù, preparato dalla storia del popolo ebraico di cui fa parte, redimerà l’umanità con la sua morte e risurrezione Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte… se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti. (Rom 5,12-15) 27

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Se invece tentiamo di misurare le cose con la visuale che ha Dio, il quale è nell’eternità, verrebbe da concludere che Gesù non è tanto il “secondo Adamo”, che riassetta i disastri del primo, ma è, come ci dice san Paolo nella Lettera ai Colossesi “Primogenito di tutta la creazione… tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono” (Col 1,16-17). Certo, poiché l’eternità di Dio riassume tutta la storia, il “Primogenito” porta in sé i peccati dell’umanità e la realizzazione della redenzione è piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli. (Col, 1,19-20)

Tutta la storia e il cammino dell’umanità (e, in questa, delle singole persone) verso la pienezza dell’amore è costantemente contrastato dalla tendenza – che è dentro di noi, ma è stimolata dall’ambiente umano – a rinchiudersi nel recinto dell’individualismo e dell’egoismo (dei singoli, dei gruppi, dei popoli). E questa è la grande tentazione, in cui Dio, creandoci, “ci induce”, ma insieme chiediamo che ad essa “non ci abbandoni” (sono le due formule – la vecchia e la nuova – del Padre nostro). Quando noi ci sentiamo abbandonati dal Signore è perché non siamo entrati pienamente nel Suo mistero; siamo noi che abbiamo abbandonato la pienezza della contemplazione della Pasqua del Signore, di Gesù morto e risorto, riducendolo agli schemi del nostro modo di pensare, forse umanamente saggio ma non aperto totalmente al mistero. E allora dobbiamo chiederci: “Mio Dio, mio Dio, perché Ti ho abbandonato?” Perché Ti abbandono? E se abbandono Te, non finisco per abbandonare anche i fra28

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telli, amandoli sì, ma non come Tu ci hai amati donando davvero tutto Te stesso, assumendo la nostra umanità e “svuotandola” (la kenosis – Fil 2,7: svuotamento non della divinità, ma dell’umanità in dimensione divina come sarà nella Trasfigurazione e dopo la Pasqua). Gesù umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, cioè accettando tutte le condizioni dell’umanità fino ad accettare la morte, e addirittura una morte obbrobriosa come quella sulla croce. Ma questa, obbrobriosa nella valutazione umana, è stata affrontata come l’unica possibilità di infrangere la tendenza a chiudersi in se stessi subordinandovi tutto il resto, per realizzare invece l’apertura totale a Dio e agli altri11. Gesù ha spinto questo suo dono agli altri fino a morire per tutti noi; per questo il discorso della “kenosis” conclude (2,4): “Dio l’ha esaltato e gli ha dato un nome al di sopra di ogni altro nome”, cioè ha rivelato che questo è il punto più alto dell’umanità. Se riandiamo – personalmente o collettivamente – alle situazioni o ai momenti in cui ci sentiamo abbandonati da Dio (quante volte ci viene da interrogarci: “Ma perché Dio ha permesso questo?”, così come si è scritto: “Ma dov’era Dio mentre si compiva Auschwitz?”, od oggi “mentre tanti immigrati muoiono in mare?”), dobbiamo riconoscere – come è stato detto – che dovremmo prima chiederci: “Ma dov’era l’umanità? quella che ha preparato e favorito il cammino di Hitler, quella che ha sfruttato l’Africa rendendola invivibile per i suoi stessi abitanti?”. Non è facile l’analisi dei presupposti, tanto meno è facile un impegno preventivo o efficacemente riduttivo; ma nella fede che Dio ci ha creati liberi e responsabili, personalmente e comunitariamente, dobbiamo credere che in Gesù (sì, proprio in Gesù “abbandonato”) Dio ricupera le nostre Dio, nella SS. Trinità, s’è rivelato non come l’Assoluto dell’individuali‑ smo, dell’“io”, ma come l’Assoluto della comunione, del “noi”. 11

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deviazioni e le nostre resistenze, mettendoci di fronte alle nostre responsabilità e suscitando chi ci può incamminare e accompagnare in questo ricupero. È per questo che, in una visuale misteriosa ma soprannaturale, anziché ripiegare sul passato e rimpiangere le occasioni perdute, anche personalmente, e quindi incolpare quanti non ci han permesso di sviluppare possibilità ritenute positive, dovremmo incominciare a renderci conto di quanto può aver provocato, anche inconsapevolmente, queste reazioni. Questo vale appunto già sul piano storico e sociale: le contraddizioni di oggi hanno le loro radici nelle vicende di ieri, da riesaminare, non ovviamente per cambiarle, cosa ormai impossibile, ma per imparare dalle cattive scelte di ieri a non ripeterle oggi e ad orientarci invece, con le scelte di oggi, a rimediare agli errori di ieri. Mi viene spesso da pensare alla Rivoluzione francese, frutto dell’Illuminismo e inizio significativo della nostra modernità. I suoi tre ideali – libertà, uguaglianza, fraternità – sono stati l’insegna delle rivoluzioni successive: la libertà della rivoluzione industriale, l’uguaglianza di quella socialista-comunista; la fraternità… che non ha aperto finora una vera rivoluzione, dovrebbe segnare la rivoluzione della globalizzazione. Perché è vero che la libertà senza una vera uguaglianza favorisce chi ha il potere politico ed economico, impoverendo ed emarginando sempre più chi non ha quei poteri in misura sufficiente; così come l’uguaglianza, ricercata senza la libertà, porta a dittature che poi annullano le uguaglianze, riservando alle categorie direttive – della politica e dell’economia – privilegi che le allontanano sempre più dalla massa dei sudditi. La fraternità dovrebbe essere promossa dalle religioni (dalle singole e dal loro insieme), che si rifanno ad un unico Dio, creatore e padre, e quindi ad una fraternità universale. Esse dovrebbero sollecitare i loro membri a farsi 30

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enunciatori, promotori e sostenitori di questo messaggio nella sua traduzione “laica” e nella sua attuazione “civile”, da parte delle forze politiche ed economiche12. Ma purtroppo è vero che anche le “religioni” non condividono tutte e sempre questo ideale di fraternità universale, e spesso non ne vivono lo spirito all’interno delle loro stesse strutture. Così i cristiani si sono divisi in ortodossi, cattolici, protestanti (ma han poi dato origine a centinaia – forse migliaia? – di piccole comunità, perfino a gruppi nemmeno più “cristiani”, come i Testimoni di Geova), i musulmani si stanno facendo la guerra (e la esportano) tra sunniti e sciiti, e così via… Per noi cristiani “cattolico-romani” (come ci denominano gli altri cristiani), al di là delle separazioni che abbiamo subito (e provocato?), dobbiamo ammettere che vi sono ombre, anche se dobbiamo riconoscerle talora come provvidenziali, perché il Signore sa ricuperare il bene anche dal male. Per la Chiesa cristiana penso al bene derivato dalle decisioni dell’imperatore Costantino, che nel 313 decretò la libertà delle religioni realizzando così la fine delle persecuzioni che per secoli avevano prodotto innumerevoli martiri, e dalle decisioni dell’imperatore Teodosio, che nel 381 aveva decretato il Cristianesimo “religione di Stato”, favorendone così la diffusione. Ma quest’ultima decisione aveva in qualche modo subordinato la Chiesa allo Stato, obbligando i cristiani (un tempo obiettori di coscienza al servizio militare) a fare i soldati, per garantire lo Stato che garantiva la Chiesa. E questo ha portato poi i vertici della Chiesa cristiana a costituirsi come dominio civile (lo “Stato pontificio”), con tutte le conseguenze che ne sono derivate, favorendo anche le separazioni, prima dell’Oriente con gli “ortodossi”, poi Di questo ho parlato in Vescovo e laico? Una spiegazione per gli amici, EDB, Bologna 2010. 12

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del Nord Europa con i “protestanti”, ma anche, all’interno dello stesso Stato pontificio, dove pontefici o vescovi si comportavano come sovrani o principi, nella loro vita privata o nell’esercizio dei loro poteri, ivi comprese molte modalità non evangeliche (ad esempio le Crociate o le “Sante” Inquisizioni, ma anche le condanne a morte per le colpe più gravi). Nello stesso esercizio normale del potere, la collaborazione con gli altri analoghi poteri politici e civili crea un costante pericolo di assimilazione, favorendo uno stile di dominio difficilmente accettabile per chi ha la missione di annunciare il regno di Dio, quindi di orientare l’umanità a riconoscere Dio e i Suoi Comandamenti, ma insieme di far crescere un’umanità sempre più sincera e fraterna. In un mondo tutto orientato al potere e al danaro, non è facile per chi annuncia Dio non cedere a qualche compromesso con “mammona” (Mt 6,24); ed è facile invece, per una gerarchia celibataria, rendere più articolata e più urgente la morale del sesso che non quella del danaro o del potere. È così che, se pur qualche volta, spiegando, ripeteremo l’inizio della Beatitudini (Mt 5,3 e Lc 6,20), cioè “Beati i poveri”, raramente aggiungiamo la continuazione che v’è in Luca (6,34): “Guai a voi ricchi, perché avete già la vostra consolazione” arrivando anche (16,9) a denominare “l’iniqua ricchezza” o a dichiarare (18,24): “Quant’è difficile, per quelli che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio! È più facile infatti per un cammello passare per la cruna d’un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio”13. Ed è perché la ricchezza ci fa vedere il danaro come la realtà più importante (san Paolo asserirà che l’avidità di danaro è come un’idolatria – Col 3,5) e ci chiude L’allusione sarebbe o al pelo del cammello, troppo grosso per entrare nella cruna d’un ago, o ad una strettissima strada di Gerusalemme soprannominata cruna d’un ago. 13

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di fronte a Dio e di fronte agli altri esseri umani, mentre “il regno di Dio” come abbiamo già ricordato, è il mondo come Dio lo vuole, cioè un’umanità aperta a Dio e aperta agli altri. La disponibilità delle Chiese verso le “mammone” pubbliche, cioè i poteri civili e finanziari, spinge a stipulare Concordati, per il bene e la pace dei membri della propria Chiesa, ma con garanzie di privilegi che saranno poi contro-pagati da chi non fa parte di questa Chiesa, ma anche da chi, nella Chiesa, sente sminuita la propria aspirazione evangelica. La Chiesa (non solo nei suoi vertici gerarchici, ma come “popolo di Dio”, quindi in ciascuno dei suoi membri) dovrebbe tenere costantemente presente questa tendenza comune (“peccato originale”) di ogni essere umano – quindi di ogni gruppo, di ogni popolo e nazione – a chiudersi in sé, nella valutazione prevalente del proprio bene particolare e conseguente svalutazione od obnubilamento del bene comune. Poste così le cose, se Dio è infinita Comunione e si fa uomo in Gesù Cristo per assumere l’umanità e, nella sua morte, romperne la chiusura del peccato aprendola poi, nella sua risurrezione, alla vita dell’amore e della comunione trasmettendo la forza dello Spirito, ne deriverebbero conseguenze anche sociali e politiche. Una volta si definiva questo orientamento privilegiato verso il proprio interesse come “destra”, e come “sinistra” il partire dal bene di tutti, a cominciare da quelli che hanno meno potere e minor benessere14. Ovviamente, que Già nel parlare comune, anche nella Bibbia, la destra è segno di forza e di potenza (essendo gli esseri umani al 90% destrorsi), mentre la sinistra è segno di debolezza e di sfortuna: si coglie il “destro”, ma si scongiura un “sinistro”. Anche nella Bibbia c’è sempre un grande elogio della potente “destra dell’Altissimo”, e san Paolo ripetutamente configura Gesù che ormai siede “alla destra di Dio”, il quale peraltro non “siede” e non ha “destra” e “sinistra” se non per metafora (ne ho parlato a lungo nel volumetto La sinistra di Dio, edizioni la meridiana, Molfetta (Ba) 1996). 14

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sto “in astratto”. Perché le sinistre, contestando l’ordine costituito spesso anche con la violenza, hanno indotto le istituzioni della Chiesa ad appoggiarsi alle destre, che ne hanno poi approfittato. Tanto più quando le sinistre, abbattendo un ordine statale ove la Chiesa era subordinata allo Stato15, diventavano negative e persecutrici delle religioni e dei loro fedeli. Questa contrapposizione va superata oggi anche perché le classificazioni politiche non sono più puntuali ed espressive al di là delle etichette; un cristiano che voglia farsi guidare dal Vangelo e faccia politica (e, sia pure a diversi livelli, è un dovere, e la politica è una forma concreta di carità!) deve mettere il bene comune al primo posto, subordinandovi i propri interessi. E poiché i primi bisognosi del bene comune sono i poveri, cioè la maggioranza senza potere e senza voce, un cristiano in politica deve mettere al primo posto i poveri16! Nei momenti migliori di riflessione e di impegno, dovremmo davvero chiederci: “Mio Dio, mio Dio, perché Ti ho abbandonato?” e fare il possibile di ricavarne buoni propositi per l’avvenire, riconoscendo le limitazioni del passa Nella Russia sovietica a Leningrado, nel 1976, nella Cattedrale trasformata in “Museo dell’ateismo”, accanto alle… prove scientifiche dell’evoluzione, che annullavano l’esistenza di un Dio creatore (!), v’erano le documentazioni sulle gerarchie ortodosse che benedicono i soprusi degli Zar. 16 In un mondo dominato dai ricchi e dai potenti, tutti tesi a difendere e promuovere il loro predominio, solo l’occhio e l’aspirazione dei poveri possono prevedere e anticipare un mondo di uguaglianza, di giustizia e di pace. Per questo la Chiesa, più che mai oggi, se vuol essere la Chiesa di Gesù e del Vangelo, dev’essere “la Chiesa dei poveri!”. Il card. Martin, già Prefetto della Casa Pontificia (praticamente l’organizzatore delle Udienze dei Sommi Pontefici) sotto sei Papi (da Pio XI a Giovanni Paolo II), nel volume Oltre il portone di bronzo (Ed. Paoline, 1996, p. 71), scrive di Papa Giovanni: “Quindi esprime una curiosa presa di posizione sulla ‘sinistra’ e sulla ‘destra’. Dice che quelli di destra vogliono conservare quello che hanno e questo è normale, e che la sinistra può forse eccedere nelle pretese ma, in fin dei conti, sia l’Antico che il Nuovo Testamento sono per quelli di sinistra!”. 15

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to, condizionato ovviamente dalla mentalità allora corrente ma senza quella sapienza e quella generosità che i profeti di allora andavano sollecitando. Perché grazie a Dio, ci sono sempre stati i “profeti” o testimoni, in genere perseguitati o malvisti dai contemporanei, ma seminatori di riflessioni e di proposte che poi avranno un loro sviluppo17. La realtà “mammona” che si contrappone a Dio, viene spesso, nel Nuovo Testamento, correlata col “mondo”. È vero che il “mondo” può indicare l’insieme dell’umanità, così come quando san Giovanni, all’inizio del suo Vangelo, parla del mondo fatto dal Verbo, o più avanti (Gv 3,16-17) afferma che “Dio ha tanto amato il mondo” – cioè tutta l’umanità, di ogni tempo e di ogni luogo, quindi anche ciascuno di noi di oggi, nelle sue caratteristiche e nelle sue situazioni personali – da dare il Figlio Unigenito18, e non per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Questa è la grande rivelazione – come confermerà la Prima lettera di Giovanni 4, 8-10 – che “Dio è amore… In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi Papa Francesco sta richiamando il valore di queste “profezie”, cioè di queste testimonianze di cristiani che vivevano il Vangelo con franchezza e audacia (la “parresia” degli Atti degli Apostoli, dagli inizi – 2,29 – fino all’ultima riga – 28,31) e disturbavano la quiete inerte di chi il Vangelo lo adattava alle proprie abitudini e ai propri interessi (Papa Paolo VI ebbe a dire di don Mazzolari che camminava così sollecito che si faticava a stargli dietro). Di qui le visite fatte da Papa Francesco a Bozzolo di don Mazzolari ed a Barbiana di don Milani, ai luoghi di Padre Pio da Pietrelcina e di mons. Tonino Bello, a Nomadelfia di don Zeno Saltini ed a Loppiano di Chiara Lubich. 18 La frase giovannea continua “perché chiunque crede in lui non vada perduto”, dove la virgola abitualmente viene messa dopo “in lui”, mentre forse andrebbe messa dopo “creda”, perché il greco “in lui” anziché essere di moto (eis autón) è di stato (en autó), che viene spiegato per l’analogia di chi guarda il serpente sull’asta senza andare ad esso; in un libretto (Chi crede, in Cristo sarà salvo, ed. Cittadella, Assisi (Pg) 2007) leggevo la dichiarazione che “in Cristo sarà salvo chiunque crede”, di qualunque fede, purché “creda”. 17

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e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”. Poi dirà (v. 11) che “se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri”, ma aveva già affermato (v. 9) che “Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui”. E questo deve portarci alla gioia di saperci salvati, oggi qui, senza rinvangare il passato, ormai perdonato cioè annullato nella Pasqua di Cristo, che ha ucciso nella sua morte i nostri peccati e le nostre debolezze passate, ma in quello stesso momento è risorto ed ha realizzato il regno di Dio, in cui nasciamo: ma sta a noi, al momento in cui prendiamo posizioni personali coscienti, il restarvi. Giovanni però usa per lo più la parola “mondo” per indicare la tendenza prevalente nell’umanità (affetta, avrebbe poi indicato la teologia, dal peccato originale) cioè il mondo del peccato, quello per cui non prega (Gv 17,6) e che altri Vangeli (Mt 6,24 e Lc 16,13) – come abbiamo detto – indicheranno come la “mammona” che si contrappone a Dio. Lo stesso Giovanni, in un successivo scritto (di lui o ispirato a lui, comunque è Sacra Scrittura), indica cos’è che caratterizza il mondo che non dobbiamo amare cioè: “la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita” (1Gv 2,15-16). L’antica parola “concupiscenza”19 può significare: “intenso desiderio di un appagamento, specialmente erotico; nella morale cristiana, passione intemperante, predominio della materia sullo spirito; in teologia, uno dei segni del peccato originale; per i protestanti, il peccato originale stesso”. Quanto a “carne”, con questa parola può intendersi l’essere umano nella sua consistenza materiale, nella sua Concupiscenza non si trova in tutti i dizionari moderni! Deriva dal verbo latino “concupiscere”, che è l’intensivo di “concupio”, quest’ultimo già “desidero ardentemente”. L’interpretazione che diamo è del dizionario Devoto – Oli (Ed. Selezione del Reader’s Digest e Le Monnier, 1967). 19

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Dio mio, perche’... abbandonato?

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Itinerari di spiritualita’

situazioni e l l a o m a i o: Se pens i chiediam c i u c n i , ti o questo?” s s o ai momen e m r e p a iva ’ Dio h re si comp “Ma perche t n e m o i D a tanti “Ma dov’er ’e’ mentre v o D “ o ” ? Auschwitz in mare?”, o n o i o u m i ci: immigrat ma chieder i r p o m m e r dov a’ a l’umanit “Ma dov’er to?” tutto ques o t a s u a c a che h


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