Vittorio Bosio, Simone Digennaro, Roberto Lamborghini, Michele Marchetti
La VITTORIA dei PENULTIMI
Visioni e previsioni tra sport e Generazione Zeta
Vittorio Bosio, Simone Digennaro, Roberto Lamborghini, Michele Marchetti
LA VITTORIA DEI PENULTIMI
Visioni e previsioni, tra sport e Generazione Zeta
Tra storia e presente, si intrecciano le riflessioni di coloro che cercano di promuovere uno sport che unisca le persone. La confusione tra cultura sportiva, cultura semplicemente fisica, oppure motoria, genera discussioni non sempre lucide. Anche le istituzioni faticano, non comprendendo che la contemporaneità di tali dimensioni suggerisce differenziazione, analisi e assegnazione di competenze e funzioni diverse, piuttosto che un melting pot di servizi sportivi.
Se si pensa che il tutto accade mentre si assiste al posizionamento sociale, culturale, a breve anche economico e politico, della cosiddetta Generazione Zeta, si capisce bene come le riflessioni che seguono siano un tentativo di mettere in connessione sport, promozione sociale, educazione e giovani, come elementi irrinunciabili di evoluzione e di preziosi punti di riferimento per le politiche di qualsiasi tipo.
Il periodo storico pieno di crisi ha suscitato più di uno spunto per mettersi a pensare al valore e al protagonismo di giovani che hanno molto da esprimere, ma non hanno un mondo pronto ad assecondarli. Gli equilibri non ci sono ancora e occorre affrancare lo sport sociale da una nicchia di specificità di interventi, per farlo tornare ad essere strumento di aggregazione per i tanti che frequentano la quotidianità.
Perché c’è ancora bisogno di associazionismo sportivo? Perché si insiste con l’educare attraverso lo sport? Perché l’attività fisica non basta? Perché la cultura digitale non può essere messa tra parentesi? Perché evolve la percezione e la cultura del corpo?
Alle tante domande, non si danno risposte, ma si cerca di ragionare sulle potenzialità dell’esperienza sportiva, come opportunità di risposta, come sede di resilienza rispetto alle fratture dei tempi attuali. Come in un dibattito a distanza, si susseguono elementi, suggestioni e sensibilità, in attesa (o nella speranza) che lo sport possa rinnovare la propria forza educativa.
CapitoLo 1
Perché rIflettere sullo sPort?
di Vittorio Bosio1.1 C’è ancora bisogno dell’associazionismo sportivo e del Centro Sportivo Italiano
Spesso si rilegge la storia con un senso di superiorità che non ha ragion d’essere, come se le nuove esperienze e le conquiste sociali, culturali ed economiche acquisite nel tempo rendessero superato tutto quanto archiviato nelle vicende della storia. Errore gravissimo, perché nella storia si possono trovare i semi delle pagine successive. Ma soprattutto perché il tempo può rendere magari superato qualcosa legato ad una moda o ad un costume che può, passati gli anni, mostrare i suoi limiti. Ma il tempo non può diminuire la forza dei valori. Al contrario, rileggere la storia di una grande impresa aiuta a capire come si affrontano i problemi più complicati, anche quelli che sembrano inavvicinabili. E nella intuizione di chi volle far rinascere un movimento sportivo di ispirazione cristiana c’è un afflato profetico. Il Centro Sportivo Italiano è nato come gemmazione dalla FASCI (Federazione Associazioni Sportive Cattoliche Italiane) dopo il secondo conflitto mondiale. Si tratta perciò di una rinascita, perché la morte della FASCI fu una scelta consapevole e tenace del regime fascista che aveva capito le potenzialità del movimento cattolico in Italia e lo temeva perché difficilmente governabile. Prima che il conflitto mondiale si chiudesse definitivamente nel 1945, papa Pio XII aveva preso posizione indicando ai cattolici quale sarebbe stata la nuova strada da tracciare. Con intuizione davvero profetica (ci permettiamo di usare ancora questa parola tanto impegnativa), indicò quali compiti si dovessero assumere i cattolici. Si dovette poi accettare che l’organizzazione statale imposta dal fascismo si concludesse definitivamente e si dovette poi subito lottare con le tensioni sociali esistenti in Italia nell’immediato dopoguerra, per vedere la Chiesa assumere un ruolo
decisivo nel compito di ricostruire moralmente e materialmente l’Italia.
Un compito che ebbe una particolare accentuazione nella cura dei bambini e dei giovani, della loro formazione e della loro educazione. L’indimenticabile prof. Luigi Gedda, medico e presidente dell’Azione Cattolica, si caricò sulle spalle l’onere della costruzione di una nuova associazione capace di proporre l’attività sportiva fondata sui valori cristiani e in particolare dedita alla formazione e all’educazione dei più giovani. L’impresa riuscì e da quei semi è nato un albero rigoglioso di frutti ma soprattutto con radici profonde e ricche di nutrimento morale. A distanza di quasi ottant’anni possiamo guardare la nostra storia con l’orgoglio di chi ha ereditato un bene incommensurabile, e quindi anche con il senso di responsabilità di dover difendere e adeguare all’evoluzione dei tempi questa meravigliosa associazione.
Purtroppo, e sottolineo “purtroppo”, gli anni fra il 2020 e il 2022 hanno reso ancora più importante la nostra azione. In un Paese dilaniato dal dolore, dalla morte, dal panico provocato dall’arrivo di una pandemia spaventosa e a lungo impossibile da affrontare perché non se ne conosceva l’origine e quindi non se ne conosceva la cura, il Centro Sportivo Italiano è stato per molti un’ancora di salvezza, un porto sicuro a cui ricorrere in attesa che la tempesta si placasse. E infatti le parole d’ordine erano “coraggio”, “speranza”, “resistenza”, “fiducia”. Siamo usciti dalla voragine pandemica con ferite nell’anima e nel corpo difficili da curare, soprattutto per i più giovani, ma ecco di nuovo la presenza del CSI che sa offrire occasioni di incontro, di relazione, di gioco. Ecco di nuovo il CSI che dimostra di essere capace di mettersi al servizio dei più deboli e dei più fragili per offrire occasioni di sport inclusivi, aperti a tutti, a chi presenta maggiori limiti e a chi vive in una immaginaria “normalità” che altro non è se non il valore intramontabile dello sport per tutti.
1.2 I giovani sono sempre gli stessi e sempre diversi
Occorre andare a trovare i giovani dove sono, recuperarli nelle loro camere da letto e portarli a fare sport.
Ci sono stati gli anni della ricostruzione e il CSI c’era. Raccoglieva i ragazzi e i giovani offrendo loro un luogo dove trovarsi a giocare, a fare sport. A volte su dei campi tanto malconci da rappresentare una sfida anche solo nel prevedere la direzione dei rimbalzi del pallone. A volte senza disporre di un pallone di riserva da offrire a gruppi di ragazzi che non chiedevano altro se non poter giocare fino al calar della sera… Nelle case c’era ancora tanta indigenza, il lavoro era poco e mal pagato. Ma c’era una forza incontenibile nelle persone, una felicità per l’agognata conclusione di una guerra che tanto dolore aveva portato in tutte le case, che poteva finalmente guardare avanti con ottimismo. In quella Italia e in quella immediatamente successiva, nell’Italia del boom economico e sociale, il CSI era protagonista. Gestiva sport popolari come il ciclismo, l’atletica, il calcio, la pallavolo e tanti altri sport meno popolari eppure praticati da tanti appassionati. Lo sguardo dell’associazione era sempre particolarmente attento alle esigenze dei giovani. C’era da combattere le povertà? Il CSI lo faceva. C’era da inventare nuovi tornei, nuovi campionati, nuove manifestazioni per coinvolgere i giovani? Il CSI c’era. Sono venuti gli anni d’oro dei campi parrocchiali e dei numerosi oratori. Anche se non in modo uniforme, ma i cortili degli oratori, grazie alla presenza del CSI, erano il luogo di arrivo di tanti giovani che lasciavano le loro case dopo il ritorno dalla scuola o dai lavoretti svolti in aiuto alla famiglia, per stare qualche ora con gli amici.
Poi la società piano piano è cambiata. Sono arrivati gli anni della prima crisi energetica, con il divieto nelle domeniche di poter usare l’auto. Forte è subito emersa l’importanza dello sport: chi non ricorda la nascita delle camminate non competitive e la loro diffusione su tutto il territorio nazionale? Sono poi venuti gli anni della nuova crescita, addirittura dell’opulenza, delle grandi disponibilità economiche, del sogno di una progressione infinita della ricchezza. Che illusione! Gli italiani si sono voluti illudere che si potesse avere sempre di più, in una rincorsa senza fine. Invece nuove crisi erano dietro l’angolo, pronte a colpire le comunità e a far soffrire le famiglie. Purtroppo, quando questo succede, il prezzo maggiore lo pagano sempre i più poveri, anche se i meno responsabili.
La nostra associazione anche in questo caso è sempre stata presente e capace di fare proposte adeguate ai tempi. In quegli anni,
con l’avvio delle esperienze dei primi giochi informatici che si coniugava con il ripiegamento su se stessi verso l’individualismo, si fece più forte il rischio dell’isolamento dei giovani; infatti divenne presto un problema perché cresceva l’abitudine di stare in casa, davanti al computer, ascoltando musica, dedicandosi a giochi e intrattenimenti sempre più accessibili e riducendo così le uscite con gli amici, le scorribande nel quartiere o nel paese. La diffusione dei telefoni cellulari con le loro enormi potenzialità attrattive ha inferto un colpo durissimo alla voglia di relazioni vere tra i giovani, inducendo modalità più introverse, ancora una volta e sempre più individualistiche. La relazione della persona mediata da un telefono cellulare è sicuramente più comoda, anche se falsa rispetto al reale. Il 2020, l’arrivo del Covid e dei lockdown ha trasformato, destrutturandola, la società che, inerme, ha subito quanto stava succedendo, mostrando poi le ferite che tutti portano nell’anima.
Le istituzioni, la scuola, le famiglie, gli adulti, hanno perso per un po’ di tempo contatti fra di loro e con le generazioni più giovani e questo non è stato senza conseguenze. Ne è risultata una società smarrita, confusa, spesso arrabbiata, in cerca di nuovi punti di riferimento. E i giovani? Passata la bufera ecco che finalmente ci si accorge del loro silenzioso dramma. Tra le tante misure doverosamente e responsabilmente assunte per cercare di arginare la devastante pandemia, i confinamenti dentro casa (tecnicamente definiti lockdown) hanno avuto effetti pesanti soprattutto per ragazzi e giovani. Le ragioni sono molte e non si può qui tentare di semplificare fenomeni di vasta portata psicologica e sociologica, oltre che economica, ma di certo di fronte al divieto di uscire di casa o di andare a scuola, oppure ancora di poter stare con gli amici a giocare, ragazzi e giovani non avevano nessuna possibilità di autoproteggersi come invece hanno potuto fare gli adulti. Questa bufera psicologica che si è abbattuta su di loro ha lasciato segni molto seri e bene stanno facendo molti dirigenti delle società sportive, oltre che dei Comitati locali dell’associazionismo sportivo, a cercare di proporre occasioni di rinascita, di incontro con l’esterno, all’aria aperta o in palestra ma sempre, possibilmente, con gli altri. Questo è stato molto gradito alla stragrande maggioranza dei giovani che hanno risposto con entusiasmo e voglia di vivere, ma ciò non toglie che si debba continuare ad essere vigili per offrire occasioni di ripresa
soprattutto a quelli più fragili e che, a causa proprio della loro fragilità, hanno trovato nella loro stanzetta, con il cellulare, la TV e il computer, la possibilità di ricostruire un mondo accettabile e “amico”. Un mondo inesistente perché virtuale, però rassicurante e accogliente. Niente di più dannoso, soprattutto se in giovane età. Ansia, paura, insonnia, sono alcuni dei problemi che la pandemia ha lasciato in eredità, ma lo sport e l’ascolto dei disagi fra i giovani possono essere il punto di partenza per un ritorno ad una auspicabile “normalità”.
1.3 Le società sportive e il valore dell’accoglienza
Quanti ne salva il CSI? Non lo so, ma non abbiamo mai mandato via nessuno. Ampio è il concetto di accoglienza espresso dal Centro Sportivo Italiano nel corso degli anni e in particolare negli anni recenti. Ancora una volta al centro dell’attenzione dei dirigenti delle società sportive ci sono ragazze, ragazzi e giovani. Mentre le dinamiche sociali che si sono consolidate nel tempo hanno portato a permettere l’emergere dei più bravi, dei più talentuosi, poche realtà si sono occupate di accogliere i ragazzi problematici, emarginati, lontani dalla possibilità di accedere a un qualsiasi “ascensore sociale” per un miglioramento della qualità della vita. Va riconosciuto che in Italia le agenzie educative e gli enti impegnati nella tutela dei più deboli hanno saputo realizzare progetti e attività di accoglienza. Penso ai Comuni, agli altri enti educativi, alle associazioni di volontariato. E penso in particolare alla scuola che negli anni ha rappresentato un punto di riferimento importante e complessivamente efficace. Ma insieme a queste realtà ecco confermata l’importanza della presenza e delle diverse iniziative delle società sportive del CSI, consapevoli che attraverso lo sport molto spesso si è offerto e si continua ad offrire a ragazzi e giovani, altrimenti “scartati”, la possibilità di fare qualcosa di buono. A volte addirittura nello sport si verifica il riscatto di ragazzi che diversamente non avrebbero alcuna possibilità di conquistare un posto nella società. Sono conosciute a tutti le difficoltà di molte famiglie in cui povertà e solitudine hanno spesso segnato la vita delle generazioni più giovani. I quasi 80 anni di vita del Centro Sportivo Italiano sono un medicamento di cui non è possibile avere riscontro og-
gettivo. Quanto bene è stato fatto alla società evitando la definitiva emarginazione di molti ragazzi? Non è possibile trovare fattori di misurazione di questo fenomeno, ma ciò non significa che non sia reale. Tutt’altro. Chi è stato vicino allo sport e alle società sportive conosce tante storie di drammi evitati, di vita ricollegata grazie allo sport. Stare in una squadra, correre o giocare con gli amici è sicuramente un rimedio salutare e determinante per tante situazioni che altrimenti sfocerebbero in disordine morale, personale e sociale. Con enormi costi umani ed economici. È possibile stabilire quanto? No. Il bene fatto è scritto nella storia umana con inchiostro che non lascia un segno grafico, ma che conquista i cuori e dona speranza di una vita degna.
1.4 A l servizio di tutti…
La fragilità esiste, è visibile, palpabile. Un tempo la fragilità estrema era definita “handicap” e “handicappati” erano ragazzi, giovani e adulti che ne soffrivano. Poi è cresciuta la consapevolezza che una società civile non poteva dimenticarsi delle persone maggiormente in difficoltà ed è iniziato un cammino d’inclusività che è stato segnato addirittura dal cambio delle definizioni. Non più “handicappati”, quindi, ma “disabili” e poi nemmeno “disabili” ma “diversamente abili”. In qualche caso la definizione era passata da un significato negativo ad uno positivo e le persone più fragili erano diventate “speciali”. Quanto è stato importante questo cammino? Tanto, veramente tanto. Stiamo vivendo l’epoca dell’inclusività divenuta norma e questo è un dato straordinario. Mai nella storia umana la presenza di persone fragili nella società era stata tanto significativa. Merito dei progressi della sanità e dell’impegno a tutela della vita nascente. Merito di tanti salvataggi fatti nelle neonatologie ospedaliere di bambini che un tempo sarebbero morti alla nascita o poco dopo. Qui ci sta il progresso della medicina ma anche quello economico generale, dell’agricoltura e dell’alimentazione nei Paesi più progrediti e fortunati. Fenomeni mai verificatisi prima nella storia. Basti pensare che, secondo le statistiche, agli inizi del 1800 solo un 10% di persone oltre i 15 anni poteva dirsi alfabetizzato. Oggi questa percentuale è di oltre l’80%. Sempre nei primi anni del 1800 solo un 10% circa di bambini poteva accedere alla scuola primaria. Oggi nei Paesi
ricchi più della metà delle giovani generazioni ha la possibilità di accedere all’Università.
E potremmo analizzare altri indicatori, ma non è necessario. È importante invece sottolineare che il Centro Sportivo Italiano (prima della seconda guerra mondiale quale componente della FASCI) ha avuto un ruolo in questo meraviglioso progresso. Oggi abbiamo molte ragioni di preoccupazione, ma se ci concentriamo sulla vita delle persone e sulle possibilità offerte a ciascuno non possiamo che riconoscere i progressi avvenuti. Si tratta di dati statistici, in quanto tali incontestabili. Allo stesso modo dobbiamo essere attenti a riconoscere tutto ciò che con il progresso è diventato invece pericolo, disastro ambientale, distruzione della natura. Ma questo impone di aprire un capitolo successivo e per certi aspetti diverso. Un capitolo nel quale il CSI è ancora protagonista assoluto essendo in grado di offrire progetti di vita e di attività sportiva sobri, aperti e accessibili a tutti, senza sprechi e danno alla natura.
L’associazionismo sportivo e il suo significato si stanno aggiornando. La promozione sportiva non va confusa con la promozione dell’attività fisica. La cultura sportiva è qualcosa di più: benessere, salute, economia, lavoro, riscoperta del senso della comunità... Quante sfide per lo sport. Si può osservare il movimento associazionistico sportivo da diversi punti di vista. In particolare si possono approfondire le caratteristiche sociali, culturali, economiche, sanitarie. E non è ancora tutto. L’osservatorio sociale colloca l’attività sportiva (quindi non l’educazione fisica) in un contesto ampio nel quale si sviluppano le relazioni, il bambino, il ragazzo, il giovane e anche l’adulto (da leggersi sempre, in questa nostra riflessione, sia al maschile che al femminile) incontra l’altro e da questo dialogo si sviluppa la personalità. Uomo e donna non sono fatti per vivere isolati ma per crescere nel confronto tra il proprio Io e quello degli altri. Nell’attività sportiva si scoprono e si spostano in avanti – con la fatica, la costanza, la gioia del gioco – i propri limiti. Giorno dopo giorno, una partita dopo l’altra, un esercizio dopo l’altro, un allenamento dopo l’altro. Intanto il bambino diventa ragazzo, poi giovane e poi adulto. Oggi, nell’epoca della post-pandemia, sono sotto la lente di ingrandimento degli specialisti gli effetti psicologici, a volte addirittura psichiatrici (quindi patologici) dei giorni dell’isolamento, della paura, della sfiducia in sé e negli altri. Tra
i possibili rimedi c’è l’attività sportiva, in particolare quella non selettiva. L’utilità di quest’attività è evidente “ad occhio nudo” ma è anche rilevata da recenti studi di sicuro riferimento scientifico, svolti applicando criteri statistici e modalità di rilevazione che rendono affidabile il dato finale, ottenuto non certo raccogliendo qua e là qualche impressione di singole persone (come succede invece, troppo spesso, nella contemporanea società dell’informazione falsata).
Dopo i grandi cambiamenti del secolo scorso, tra il 1945 e il 2000, con lo sviluppo industriale, la diffusione della società dei servizi, la crescita economica complessiva (con chiaro-scuri purtroppo ancora significativi) la società è apparsa molto contraddittoria, addirittura confusa. Ci sono stati gli anni della protesta e della ricerca della giustizia sociale ed economica, con grandi speranze e grandi delusioni. Ci sono stati gli anni della diffusione dell’intelligenza artificiale della quale i computer sono solo un piccolo seme che ha però cambiato il modo di produrre, di stare in relazione con il mondo, con importanti effetti sull’economia. Ma nulla è più importante delle persone; quindi oggi, in una ipotetica scala di priorità degli interessi della società, possiamo certamente collocare la salute, lo “star bene”.
Si tratta di un concetto molto ampio e complesso, che riguarda gli aspetti sanitari ma anche quelli psicologici e relazionali. Superati (ma non dimenticati) gli anni dell’edonismo, della ricchezza a tutti i costi, da ostentare a dimostrazione della capacità di raggiungere gli obiettivi più ambiziosi, stiamo vivendo gli anni della riflessione sul senso di tutto ciò. Sul senso della rincorsa al superfluo con il risultato di non saper valorizzare una vita vissuta sul necessario e sulla bellezza dello stare insieme. L’attività sportiva ha effetto su tutto questo. Contrasta la solitudine, la pigrizia psicologica, aiuta a vivere in armonia con gli altri e con il Creato. La mancanza di attività sportiva al contrario accentua i problemi di salute connessi alla eccessiva sedentarietà, alla concentrazione degli interessi sullo stare fermi davanti ad una TV, giocando con un computer o con il cellulare. Non è qui il caso di riportare dati statistici facilmente reperibili nel sito dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ma di rendere conto della diffusione – per fare un solo esempio – di patologie devastanti come il diabete nelle società più ricche. Ne siamo concretamente consapevoli. Un tempo non troppo lonta-
no il bambino non rischiava il diabete ma semmai, al contrario, la denutrizione che tanti terribili effetti ha sulla vita delle persone. Addirittura con danni cerebrali. Così come un tempo non troppo lontano si aspettava di avere un paio di scarpe usate dal fratello più grande o da uno zio per poter entrare in campo con i mitici “tacchetti” da calciatore. Chi non ricorda la necessità di trovare qualche amico più benestante che potesse portare il pallone in oratorio per dare finalmente il via alla partita? Basti ricordare, come scherzoso sintomo del costume di quel tempo quasi dimenticato, la battuta che ancora si usa tra amici: “Il pallone è mio e le regole le stabilisco io”… Bellissima l’espressione, in questo particolare contesto, dello sport che aiuta a vivere “il senso di comunità”. Questo è un senso indispensabile per la persona, uomo o donna che sia, perché è espressione di vita. Dentro la propria comunità si plasmano i valori, si creano le alleanze, si accendono le rivalità, si lotta per raggiungere gli obiettivi comuni… Il senso di comunità oggi dobbiamo addirittura porcelo come orizzonte perché il ripiegamento sull’individualismo rischia di offuscarlo.
1.5 Il quadro delle istituzioni sportive e il ruolo dell’associazionismo sportivo
Se dovessimo spiegare ad un giovane, oggi, che lo Stato moderno è un’organizzazione relativamente recente, nata dal tramonto della società feudale iniziato attorno al 1400 e concluso verso il 1800, ci troveremmo di fronte ad una risposta di tipo scolastico. “Ok. Grazie. Lo insegnano a scuola.” Ma se lo scopo di quest’analisi è quello di andare più a fondo e verificare il ruolo dell’associazionismo sportivo in uno Stato democratico, nato sulle ceneri di una Monarchia costituzionale quale fu il Regno d’Italia (finito nel 1946, proprio negli anni in cui nacque il CSI) il ragionamento merita uno spazio ben più ampio. Perché dallo sviluppo dello Stato, con le forme di governo attuali, si crea lo spazio per l’associazionismo sportivo. Uno spazio sempre più significativo, individuato da tempo con il concetto di “sussidiarietà” e formalizzato recentemente con la legge sul Terzo Settore. Ecco, appunto, il Terzo Settore, nel quale il CSI è legittimamente collocato pur mantenendo le prerogative di componente del
CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano). Sussidiarietà sociale significa, in breve, che se un’associazione, formata da cittadini che ne sottoscrivono scopi e modalità di vita, può svolgere compiti di organizzazione sociale, allora lo Stato si limita a verificarne la competenza e la correttezza delle attività esercitate in uno specifico perimetro normativo. Da qui la sussidiarietà nel settore sanitario, nelle scuole, nello sport e in tanto altro. Alla luce di tutto ciò possiamo affermare che il Centro Sportivo Italiano rappresenta un esempio particolarmente significativo di servizio sussidiario, tanto da aver meritato un ruolo centrale nella vita della nazione. Non servono dimostrazioni statistiche particolari, anche se potrebbero essere molto interessanti per verificare quanto bene ha fatto la nostra associazione nella storia dell’Italia: basta un po’ di spirito di osservazione. Ovunque in Italia ci sono strutture locali (di sussidiarietà appunto) che, riunendo e organizzando la forza delle Società sportive, propongono manifestazioni, gestiscono luoghi di incontro, partecipano alla vita delle comunità civili nelle quali operano. Per ognuno degli aspetti che abbiamo analizzato prima: culturale, educativo, formativo, sportivo, sociale, sanitario, ecc., la presenza del CSI è forte, incisiva, sussidiaria perché può fare meglio, molto meglio, di quanto potrebbe fare lo Stato. La dimostrazione è tutta nelle analisi fatte nelle pagine precedenti. Tutto bene dunque? Assolutamente no. Purtroppo lo Stato, anche in tempi recenti, ha esercitato non al meglio le proprie prerogative e, invece di limitarsi a tracciare i confini dell’operatività delle associazioni, è intervenuto con una serie di norme tra di loro contraddittorie e difficili da applicare. In questo modo la vita delle società sportive si è ulteriormente complicata e i dirigenti devono rassegnarsi ad essere anche un po’ commercialisti, un po’ assicuratori, un po’ legali, un po’ datori di lavoro, ma sempre continuando nell’impegno della gestione sportiva, affrontando problemi tecnici, organizzativi, psicologici (con i ragazzi e con le famiglie). Si fa perciò serio il rischio che tanti ottimi dirigenti, che sono stati capaci di portare le loro società sportive fuori dalla bufera della pandemia, perdano entusiasmo e gettino la spugna. Sarebbe un danno enorme, con la dissoluzione di preziose esperienze accumulate negli anni e offerte ai fruitori dell’attività sportiva di base, cioè alla portata di tutti.
La cosa più sensata da fare sarebbe invece una ridefinizione del ruolo delle associazioni sportive basata sul loro rispetto e sulla loro capacità di operare, stabilendo alcune regole base, semplici e applicabili in tutto il Paese. Questo non solo eviterebbe il rischio dell’abbandono, ma ridarebbe slancio ed entusiasmo ad un settore fondamentale per la vita della nazione.
Perché c’è ancora bisogno di associazionismo sportivo? Perché si insiste con l’educare attraverso lo sport? Perché l’attività fisica non basta? Perché la cultura digitale non può essere messa tra parentesi? Perché evolve la percezione e la cultura del corpo?
Queste e altre riflessioni sono il tentativo di mettere in connessione sport, promozione sociale, educazione e giovani, come elementi indispensabili di evoluzione e preziosi punti di riferimento per le politiche di qualsiasi tipo, considerando le potenzialità dell’esperienza sportiva come opportunità di risposta e sede di resilienza rispetto alle fratture dei tempi attuali.
Siamo usciti dalla voragine pandemica con ferite nell’anima e nel corpo difficili da curare, soprattutto per i più giovani, ma la presenza del Centro Sportivo Italiano ha rappresentato occasioni di incontro, di relazione, di gioco: ha dimostrato di essere capace di mettersi al servizio dei più deboli e dei più fragili per offrire occasioni di sport inclusivi, aperti a tutti, a chi presenta maggiori limiti e a chi vive in una immaginaria “normalità” che altro non è se non il valore intramontabile dello sport per tutti.
ISBN 978-88-6153- 990-7