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Piero Cipriani, pugliese, ha vissuto per dodici anni a Reggio Calabria dove ha Piero collaborato a pugliese, lungo conhadon Italoper Calabrò. Sud, nel Cipriani, vissuto dodici Ha annilavorato a Reggionel Calabria dove Piero Cipriani, pugliese, ha vissuto dodici anni Reggio Calabria dove mondo del volontariato, della pace, della lotta allaa mafia, della riforma ha collaborato a lungo con donper Italo Calabrò. Ha lavorato nel Sud, nel hamondo collaborato adiretto lungo tra conl’altro don pace, Italo Calabrò. Ha lavorato Sud, nel della politica. L’Osservatorio Meridionale. delHa volontariato, della della lotta alla mafia,nel della riforma mondo delprofessionista, volontariato, pace,daL’Osservatorio della lotta alla mafia, della RAI. riforma Giornalista collabora diversi anni aMeridionale. trasmissioni della politica. Ha direttodella tra l’altro della politica.professionista, Ha diretto tra l’altro L’Osservatorio Meridionale. Giornalista collabora da diversi anni a trasmissioni RAI. Giornalista professionista, collabora da diversi anni a trasmissioni RAI.

ISBN 88-87507-03-1 ISBN 978-88-6153-641-8

Euro 16,00 (I.i.) Euro16,00 16,00 (I.i.) (I.i.) Euro ∏ ∏

9 788887 507034 9 788887 507034

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ISBN 88-87507-03-1

ESCLUSO, NESSUNO ESCLUSO, AIAI NESSUNO MM

Don Italo Calabrò non è solo una persona cara, che rimane Don Italo Calabrò non è solo unalopersona cara, che rimane nella memoria e nel cuore quanti hanno conosciuto; è Don Italo Calabrò non èdi solo una persona cara, che rimane nella memoria e nel cuore di quanti lo hanno conosciuto; è anche un maestro, di quelli credibili, che hanno percorso le nella memoria e nel cuore di quanti lo hanno conosciuto; è anche un maestro, di quelli credibili, che hanno percorso le strade, di indicarle ad altri: un maestro-testimone. anche prima un maestro, di quelli credibili, che hanno percorso le strade, prima di indicarle ad (dalla altri: prefazione un maestro-testimone. di Giuseppe Pasini) strade, prima di indicarle ad altri:(dalla un maestro-testimone. prefazione di Giuseppe Pasini) (dalla prefazione di Giuseppe Pasini) A quasi trent'anni dalla scomparsa, questo libro vuole A quasil’esperienza trent'annie dalla scomparsa,di questo libro vuole ripresentare la testimonianza una straordinaria A quasi trent'anni dalla scomparsa, questo libro vuole ripresentare l’esperienza e la testimonianza di una straordinaria figura della Chiesa del Sud. ripresentare l’esperienza e la testimonianza di una straordinaria figura della Chiesa del Sud. Una spiritualità incarnata figura della Chiesa del Sud.nella storia e nelle contraddizioni Una spiritualità una incarnata nella storia e poveri nelle contraddizioni delUna Mezzogiorno, vitanella spesa pere inelle e la loro spiritualità incarnata storia contraddizioni una per vitalaspesa per i poveri e la loro del Mezzogiorno, liberazione, un impegno pace e contro la del Mezzogiorno, una vita spesa per i poveri eviolenza la loro liberazione, un impegno perquesti la pace e contro la violenza mafiosa che ha percorso i tempi: i segni distintivi di un liberazione, un impegno per la pace e contro la violenza mafiosapersonale che ha percorso i tempi:vissuto questinella i segni distintivi di un itinerario e comunitario duplice fedeltà mafiosa che ha percorso i tempi: questi i segni distintivi di un itinerario personale e comunitario vissuto nella duplice fedeltà aitinerario Dio e all’uomo. personale e comunitario vissuto nella duplice fedeltà a Diosolidarietà e all’uomo. a Una Dio e all’uomo.intelligente, creativa, popolare e dalla forte Una solidarietà intelligente, creativa, popolare e dalla forte dimensione politica, che costituì l’anima dell’esperienza di Una solidarietà intelligente, creativa, popolare e dalla forte dimensione politica,è che costituì l’anima dell’esperienza di don Italo Calabrò, un messaggio ancora oggi vivo dimensione politica, che costituì l’anima dell’esperienza di oggi vivo don Italo Calabrò, è un messaggio ancora edon dirompente. Contro ogni torpore e perbenismo Italo Calabrò, è un messaggio ancora oggi vivo Contro ogni compromesso torpore e perbenismo e dirompente. borghese, contro ogni tentativo al ribasso, e dirompente. Contro ognidi torpore e perbenismo borghese, contro ogni tentativo di compromesso al ribasso, nella società e nella Chiesa. borghese, contro ogni tentativo di compromesso al ribasso, nella società e nella Chiesa. nella società e nella Chiesa.

Piero Cipriani Piero Cipriani

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Nessuno Nessuno escluso, mai escluso, mai Italo Calabrò prete del Sud Italo Calabrò prete del Sud

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Piero Cipriani

NESSUNO ESCLUSO, MAI Italo Calabrò prete del Sud

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INDICE

PREFAZIONE di Giuseppe Pasini

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DENTRO LE CONTRADDIZIONI

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O PRETE O DELINQUENTE

17

COME UN «ANGELO TRADUTTORE»

35

EDUCARE ALLA VITA

47

DAI BANCHI ALLA CONDIVISIONE

53

QUALE COMUNITÀ

65

UN PRETE E LA SUA GENTE

75

SE LO STATO SPARA SUI CITTADINI

87

FUMI DI INCENSO

95

I POVERI: LA SCELTA DELLA CHIESA

105

SEGNI DEI TEMPI

119

L’INFERNO IN TERRA

131

NON PIÙ MATTI NEL TERRITORIO

147

DALLA PARTE DEGLI ULTIMI

161

UNA POLITICA IN NOME DELL’UOMO

175

DA NONVIOLENTI CONTRO LA MAFIA

183

«È TEMPO DI SCIOGLIERE LE VELE»

207

VERSO IL FUTURO

217


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PREFAZIONE Giuseppe Pasini

Don Italo Calabrò non è solo una persona cara, che rimane nella memoria e nel cuore di quanti lo hanno frequentato e conosciuto; è anche un maestro, di quelli credibili, che hanno percorso la strada, prima di indicarla agli altri: un maestro-testimone. Si è sorpresi nel riscontrare, a quasi dieci anni dalla sua scomparsa, l’attualità della sua figura. Leggendo la biografia scritta da Piero Cipriani, con stile agile e in un’ottica di piacevole concretezza, tanto vicina al parlare vivace, episodico, fantasioso di don Italo, si possono cogliere alcune linee di spiritualità cristiana e di impegno ecclesiale, che rispecchiano l’anima profonda del Vaticano secondo, che questo «prete del Sud» ha gustato e assorbito con entusiasmo, abbinando sempre la duplice fedeltà a Dio e alla storia, alla chiesa e alla comunità umana. Quanti leggeranno questo scritto, soprattutto se hanno avuto il dono di incontrare don Calabrò, non avranno difficoltà a riconoscere alcuni tratti della sua personalità che possono essere presentati come esemplari per il nostro tempo. La prima caratteristica riguarda la sua spiritualità. Potremmo definirla spiritualità dell’incarnazione, perché ricalcava lo stile di Dio. Sappiamo che il Signore si è reso costantemente presente nella storia della salvezza attraverso segni, fatti, 7


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eventi, che esprimevano la sua volontà e il suo amore per gli uomini e che si chiamarono di volta in volta liberazione dall’Egitto, invio dei profeti, richiamo forte dell’esilio; l’espressione più alta e definitiva del divino fatto evento è costituita dall’incarnazione del Figlio di Dio e dal mistero globale della redenzione. Don Italo aveva escluso dalla sua vita la fuga nello spiritualismo e concepiva la fedeltà allo Spirito come disponibilità a tradurre gli ideali in cui credeva in espressioni concrete, in fatti verificabili, che fossero insieme testimonianza e annuncio di verità... Così traduceva la sua fede nella Provvidenza in una grande sicurezza, anche nei momenti più difficili. All’inizio della sua ultima malattia, a un amico che gli diceva «Don Italo, cosa succederà di tante sue iniziative?», rispondeva «Lui lo sa!». Ugualmente esprimeva la gioia di essere sacerdote in una straordinaria capacità di infondere serenità e allegria in quanti incontrava; l’obbedienza sacerdotale al proprio vescovo in collaborazione attiva, rispettosa ma franca; il dovere evangelico del perdono in perdono effettivo e sincero a quanti lo avevano ingiustamente accusato; il carattere universale del Vangelo in un costume di dialogo con tutti, anche con i cosiddetti «lontani» secondo l’insegnamento del «Papa buono». Il pontificato di Papa Giovanni era stato per don Calabrò un evento che ne aveva segnato la vita. Non a caso a lui aveva dedicato la «Piccola Opera». In sintesi si può dire che le cose in cui don Italo credeva, le si poteva leggere nella sua vita, prima che ascoltarle nelle sue prediche. Una carità evangelica e conciliare è il secondo tratto che emerge dalla personalità di don Italo. Egli ha sempre saputo abbinare le cosiddette «relazioni corte» con le «relazioni lunghe»; la carità vissuta nel quotidiano, come tenerezza, misericordia, risposta immediata al bisogno emergente, con l’impegno a rimuovere le cause della povertà e dell’esclusione sociale. Egli sapeva vivere la carità come rapporto personalizzato, superando la «categorizzazione» e instaurando con le singole persone relazioni così calde e intense da creare in esse la sensazione di essere le preferite e le privilegiate. 8


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Ma allo stesso modo aveva la lucidità di identificare le strutture che mortificavano ed escludevano le persone e la costanza nel contrastarle. Vanno lette in tale ottica le sue battaglie per il riscatto del Mezzogiorno, la lotta alla disoccupazione, l’opposizione alla mafia, la denuncia di collusioni tra potere politico e potere economico e anche l’impegno per la smobilitazione dell’ospedale psichiatrico. In questo impegno di carità che ha caratterizzato tutta la sua missione sacerdotale, don Italo si è mosso seguendo alcuni precisi e illuminanti orientamenti: * i servizi di carità non vanno progettati a tavolino ma partendo dai bisogni reali e dalla domanda esplicita o nascosta di chi soffre; * per essere certi di servire i poveri è indispensabile ricercare e promuovere gli «ultimi» tra i poveri, siano essi persone o comunità umane – è commovente in tal senso l’affetto che egli ha nutrito per la piccola parrocchia di San Giovanni di Sambatello, nel cui cimitero ha voluto essere sepolto; * il vero servizio non è quello realizzato per i poveri, ma quello vissuto con loro: la sua casa era perciò una casa aperta, e inoltre considerava «sua casa», cioè luogo di visite quotidiane o molto frequenti, tutti i centri di accoglienza e di servizio, che via via andarono aprendosi lungo gli anni. Un terzo tratto della personalità di don Italo fu l’impegno di promozione della pace: egli è stato un vero costruttore di pace. Non era uomo di carattere tranquillo: anzi, per temperamento, s’accendeva facilmente e, quando lo riteneva necessario, usava parole di fuoco; ma aveva maturato nel suo intimo, a contatto con il Vangelo e nella sua lunga esperienza pastorale, la convinzione che la violenza crea violenza e l’odio dà solo frutti di morte. Perciò l’impegno per la pace è stato una «costante» del suo ministero. Non si può non ricordare il lavoro di «tessitura», per riportare la calma negli animi durante i «fatti di Reggio» del ‘70‘71; pur comprendendo le ragioni della protesta, fu risoluto nella condanna della violenza e della strumentalizzazione politica fatta da alcuni faziosi; disapprovò inoltre anche i metodi 9


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poco rispettosi usati in alcune occasioni dalle forze di polizia e si adoperò per difendere l’immagine della città sollecitando l’opinione pubblica italiana a capire le radici profonde del disagio. Un’espressione altamente significativa di questo impegno per la pace è stata poi la promozione dell’obiezione di coscienza e del servizio civile. Ne ha incoraggiato la nascita anche a livello di Chiesa italiana. Egli vedeva in questo fenomeno una grande speranza per costruire una società solidale, tollerante, aperta ai più deboli. Non si limitava però a incoraggiare la scelta nonviolenta, ma si preoccupava, attraverso un lavoro formativo indefesso, di alimentare nei giovani la «verità» e l’autenticità di tale scelta, perché non avvenisse – come egli amava esprimersi – che i giovani bandissero i cannoni, ma ritenessero opportuno e doveroso portare con sé il coltello a serramanico. Ma il banco di prova più impegnativo della sua ricerca di pace è stata la violenza mafiosa. Quanto ha sofferto e pregato di fronte ai morti ammazzati; quanti interventi per impedire che i bambini orfani di padri uccisi per vendetta crescessero in un clima di odio; e quanto coraggio nell’affrontare le minacce intimidatorie dei capimafia. Il fenomeno era da lui considerato così grave che solo un miracolo divino poteva modificare la rotta delle generazioni adulte, come egli dichiarò nell’intervista a Enzo Biagi: l’unica speranza era nelle generazioni nuove. Infine, la vita e l’apostolato di don Italo erano sostenuti da un sogno: costruire una comunità ecclesiale che fosse soggetto di pastorale. Egli immaginava una comunità cristiana unita, tutta solidale, presente nel territorio come fermento. Con il realismo che lo caratterizzava, egli aveva colto la necessità di una profonda purificazione della religiosità popolare; si dovevano eliminare da essa gli elementi equivoci e riscattarne gli aspetti positivi, rendendola così veicolo di una fede autentica e matura. L’obiettivo restava quello indicato da Giovanni Paolo II all’assemblea ecclesiale di Loreto: costruire parrocchie come comunità che vivessero il Vangelo della carità, in maniera così trasparente, che chiunque ad esse si accostava potesse «sperimentare e quasi toccare con mano l’amore di Dio». 10


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A questo scopo considerava necessario creare animatori, che fossero, dentro le comunità cristiane, segno e profezia dei traguardi perseguibili. Don Italo ha lavorato indefessamente per formare tanti giovani, tante coppie, tante famiglie, disponibili a costituire quasi l’avanguardia della comunità cristiana nel territorio. Gli ostacoli erano notevoli; il contesto appariva scoraggiante, soprattutto a livello politico, ma bisognava esplorare tutte le strade. E in questa situazione don Italo, senza esporre la chiesa, decise di incoraggiare i giovani a coinvolgersi attivamente nella vita politica, impegnandosi, sotto la propria responsabilità e facendo tesoro di tante convinzioni maturate nel servizio ai poveri, a cambiare con pazienza il volto della città. La spiritualità, la carità, la pace, il senso di chiesa: i quattro itinerari tracciati da questo straordinario sacerdote costituiscono altrettante piste percorribili per tutte le comunità ecclesiali, allo scopo di saldare insieme l’immersione nella storia e lo spirito di profezia, l’incarnazione nei problemi della gente e l’apertura alla speranza e agli ideali della solidarietà e della pace.

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DENTRO LE CONTRADDIZIONI

La voce si diffonde attraverso i microfoni, forte e vibrante. Anche le auto che sfrecciano sulla vicina superstrada ionica rallentano dinanzi all’inconsueto spettacolo della grande folla che partecipa a quella Messa in piazza e ascolta quel prete che scandisce parole dure, insolite per queste parti. «Siamo qui per isolare i mafiosi. E io spero che questa mobilitazione di coscienze in chiave religiosa così pubblica e partecipata sia di insegnamento per tutte le comunità cristiane. Perché a gesti così disumani come quelli di un rapimento – e soprattutto del rapimento di un bambino – si risponda con una mobilitazione anche di coscienze cristiane oltre che della coscienza civile». Quel sacerdote si chiama Italo Calabrò, è vicario generale della diocesi di Reggio Calabria, oltre che figura molto conosciuta da anni per il suo coraggioso impegno sociale. E quella calda sera del 2 agosto 1984 sta segnando in qualche modo una svolta nella recente storia della Chiesa calabrese. Qualche giorno prima, proprio lì, a Lazzaro, venti chilometri da Reggio, è stato rapito il piccolo Vincenzo Diano, undici anni. Stava giocando con la sorella e due amici, seduto su un motorino. Il padre, Cesare, è proprietario di un’industria metalmeccanica, una delle poche aziende della zona. Non è il primo bambino sequestrato da bande criminali calabresi, né purtroppo sarà l’ultimo. Ma il rapimento Diano è avvenuto a poche ore dalla partenza della Commissione Parlamentare 13


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Antimafia e ha assunto quindi un ulteriore significato di sfida alla collettività. E poi, non si poteva continuare a subire in silenzio la legge del terrore e della vergogna imposta dai clan della ‘ndrangheta. Occorreva dare un segnale inequivocabile di rottura e di condanna. Il vicario generale così ha deciso che quest’anno a Lazzaro la consueta festa di inizio agosto per la Madonna delle Grazie non dovesse svolgersi. Il parroco del luogo e il vescovo, monsignor Sorrentino, hanno concordato. Sospensione dei festeggiamenti, dunque, come gesto di lotta alla mafia e una celebrazione pubblica di protesta e di condanna. È la prima volta che accade. La lettura scelta è tratta da san Paolo: «Sia chiara la vostra condanna e non date alcuna approvazione o sostegno a chiunque operi il male». Nell’omelia non ci sono i rituali appelli per la liberazione del bambino: don Calabrò sa che sono del tutto inutili nei confronti di un’organizzazione che fa della violenza il suo unico codice etico. E insiste: «Siamo qui riuniti per isolare i mafiosi: mandanti, esecutori, complici, chiunque essi siano e dovunque essi si annidino. Siamo qui per stabilire un costume di nonviolenta ma ferma opposizione alla mafia in tutte le sue manifestazioni, non offrendo nessuna protezione, nessuna complicità o approvazione. E vogliamo dire, dinanzi alla comunità nazionale e alla comunità ecclesiale, che noi intendiamo isolare tutti coloro che hanno scelto la via dell’odio, della violenza, della rapina e non vogliamo e non possiamo confonderci con loro: quella è la strada della morte e su quella strada non vogliamo volgere i nostri passi. Quella gente oggi in mezzo a noi esprime il potere di Satana, il regno del male: e con quel regno del male e delle tenebre noi non vogliamo confonderci». E poi le parole più sferzanti, riservate a quello che è il cuore della cultura e dell’identità stessa della mafia: il concetto dell’uomo d’onore. Don Italo ricorda che persino i brigatisti rapitori di Moro vennero chiamati «uomini delle brigate rosse» da Paolo VI: «li chiamò uomini, che è il termine più comune alla famiglia umana, ma anche il più nobile». Quest’espressione, però, non può essere usata per designare i 14


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mafiosi, «perché io conosco la deformazione che in seno alla mafia è stata data proprio a questa parola “uomo”: i mafiosi si ritengono uomini e addirittura – la parodia diventa sacrilega – “uomini d’onore”. Se c’è qualcuno che non è un uomo è invece il mafioso. E se c’è qualcuno che non ha onore è il mafioso. I mafiosi non sono uomini. I mafiosi non hanno onore». Che quel prete sia persona fuori dall’ordinario lo sanno bene i presenti in piazza a Lazzaro quella sera. E come loro tanti a Reggio e in Calabria, dentro e fuori la Chiesa. Da anni ne seguono le lotte sui problemi sociali più drammatici: il lavoro, l’emarginazione e la povertà, la mafia, la pace, la corruzione politica. Ne conoscono il coraggio, la forza della testimonianza e della denuncia, la scelta difficile del dialogo anche con i più lontani, la spinta per un cambiamento ecclesiale profondo, la capacità di creare intorno a sé un vasto movimento di idee e di persone: tanti giovani soprattutto. Un itinerario, quello di don Italo Calabrò, che attraversa la storia e le contraddizioni del Mezzogiorno. Con la scelta di condividerne le fatiche e le sofferenze, ma anche le speranze e le volontà di riscatto. Sempre nell’ottica dei poveri, che per lui sono il metro di giudizio della fedeltà al Vangelo. Sempre nel segno della fraternità. Come scriverà ai suoi amici nel giugno 1990, nel testamento spirituale: «Amate tutti coloro che incontrate sulla vostra strada. Nessuno escluso, mai». Un itinerario che parte da lontano. E che merita di essere ripercorso: per comprendere quella sera di agosto del 1984 e le tante altre pagine che segnano la vita di questo straordinario prete del Sud. Che ha saputo dare voce e corpo alla storia di tanti costruttori di futuro.

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O PRETE O DELINQUENTE

Nel 1925 Reggio Calabria è una città di circa sessantamila abitanti, il cui territorio già oltrepassa i torrenti Calopinace a sud e Annunziata a nord, estendendosi anche verso le colline circostanti, ma che non si è ancora del tutto ripresa dal tremendo terremoto del 1908 che l’ha interamente distrutta. Il panorama cittadino è ancora contraddistinto dalle baracche che hanno accolto i superstiti – in genere una struttura di legno, di due stanze e cucina, sormontata da tegole o eternit – costruite anche grazie agli aiuti internazionali. Questi però sono anche gli anni in cui si concretizza il progetto della «Grande Reggio»: raccogliere sotto un’unica amministrazione i quattordici comuni che circondano il capoluogo, per superare la frammentazione territoriale che soffoca le possibilità di sviluppo e favorire una più forte crescita economica, con la creazione di una zona industriale e di un nuovo porto. Dopo pochi anni i tre paesi dell’area di Villa San Giovanni otterranno nuovamente l’autonomia amministrativa, anche se il territorio comunale di Reggio resterà comunque immenso, estendendosi dalla costa fin nel cuore dell’Aspromonte e dimostrandosi ben presto di difficile gestione unitaria. Quanto ai sogni di uno sviluppo capace di preservare l’armonia con il territorio e di assicurare il benessere alla popolazione, andranno definitivamente perduti nei decenni successivi al secondo conflitto mondiale, quando il disordine edi17


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lizio e il saccheggio delle aree verdi e delle colline cancelleranno, stravolgendolo per sempre, il volto della «Reggio bella e gentile». Questa è la città nella quale Italo nasce il 26 settembre 1925. Il padre, Giovanni Calabrò, commerciante in tessuti, è nato nel 1884. La madre, Teresa Cilione, viene da Gallina, paese a pochi chilometri da Reggio, ed è più giovane del marito di quattordici anni. I due si sono conosciuti grazie alla vicinanza di alcuni fondi terrieri di proprietà delle rispettive famiglie. Caratteri diversi e complementari, guideranno la famiglia tra le alterne fortune che la vita riserverà loro. Italo è il primo di quattro figli: a lui seguono, nel corso di dieci anni, le sorelle Maria e Anna e il fratello Corrado. Una famiglia benestante: il negozio che Giovanni Calabrò gestisce insieme con il fratello Demetrio è specializzato nel commercio di stoffe e tessuti inglesi. È uno dei principali della città e, collocato nella centralissima piazza Italia, ha fra i suoi clienti le migliori famiglie reggine. La mamma Teresa ha anche portato in dote diverse proprietà terriere nei dintorni della città. La famiglia conta anche un sacerdote, don Antonino, zio paterno, parroco nella chiesa di Santa Maria della Cattolica dei Greci, in centro città, dove Italo viene battezzato il 26 gennaio 1926. Nella famiglia Calabrò il clima religioso è particolarmente vivo ma non bigotto. Mamma Teresa è una delle principali animatrici del settore femminile dell’Azione Cattolica ed è impegnata in attività caritative. Lo zio don Antonino, oltre a impegnarsi nelle consuete faccende parrocchiali, esercita il suo ministero nel carcere circondariale ed è oratore eloquente e ricercato in tutto il Sud. Inoltre, è riuscito con caparbietà a organizzare una banca popolare, dove si sono raccolti i risparmi di molte famiglie cattoliche della città. Molto simile alla mamma, donna di grande forza d’animo, Italo mostra già da ragazzo un carattere deciso e risoluto. «Quando andavamo alla scuola elementare – ricorda la sorella Maria – nostro padre ci comprò due cartelle: erano belle, ma troppo grandi per la nostra età e per le poche cose che dovevamo metterci. E così per gli altri bambini era facile 18


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prenderci in giro: “dove andate con quelle valigie? presto che perdete il treno...”. Italo non se ne curava granché, ma io ogni giorno scoppiavo a piangere. Lui, allora, escogitò la soluzione, coinvolgendo anche il bidello. La mattina arrivavamo a scuola prima degli altri, entravamo in classe, nascondevamo sotto i banchi le cartelle e quindi uscivamo alla svelta con in mano solo i libri, pronti poi a rientrare in aula con tutti gli altri scolari». E quando nel 1935 nasce il fratello più piccolo, Corrado, papà Giovanni è fuori casa. Mamma Teresa avverte l’arrivo delle doglie. È notte fonda. Italo esce di corsa, arriva sino in piazza Duomo dove sa di poter trovare una carrozza a noleggio: si fa accompagnare in un quartiere periferico a prelevare l’ostetrica che deve aiutare la mamma e la porta a casa. Con il suo carattere si afferma con naturalezza tra i coetanei. Al punto da far ripetere spesso a una zia materna: «Tu nella vita sei comunque destinato a comandare: o farai il prete o il delinquente». Previsione che Italo anche da adulto ricorderà spesso, ridendo e commentando che, per fortuna, tra le due alternative il Signore aveva preferito la prima.

L’atteggiamento della famiglia Calabrò nei confronti del fascismo, dopo i primi anni, è di crescente distacco. Questo anche grazie all’influsso di un amico di famiglia, il gioielliere Cipriani, assiduo frequentatore di casa Calabrò, che anche pubblicamente si fa beffa dell’arroganza e dell’ignoranza delle camicie nere e che per questo subirà una punizione da parte di una squadraccia in pieno corso Garibaldi, sotto gli occhi dei clienti e dei passanti. E c’è poi la contrarietà di zio Antonino, che raccoglie nella banca popolare i soldi di molta gente e avverte nel fascismo una minaccia per le sue attività sociali. Il clima respirato in famiglia favorisce in Italo il sorgere di atteggiamenti decisi e autonomi. Ma mai papà Giovanni si aspetterebbe una sorpresa come quella che gli riserva un giorno la visita, inattesa e poco gradita, di alcuni fascisti che vengono in casa a chiedere notizie del ragazzo, il quale, senza 19


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dir nulla in famiglia, non si reca mai alle attività pomeridiane del sabato fascista. Per il padre sarà difficile convincere le autorità che non ha alcuna responsabilità nelle sistematiche assenze del figlio maggiore dalle manifestazioni che il regime organizza. E Italo, da parte sua, continuerà a boicottare quelle che considera esibizioni stupide e inutili. Un giorno assiste a una delle consuete sfilate di avanguardisti: «Erano solo quarantasette – racconterà divertito per anni – ma sembravano non finire mai. Perché percorrevano il corso Garibaldi sino alla chiesa di San Giorgio, svoltavano sulla parallela e tornavano sul corso. E così per ore e ore, finché non scese il buio, sempre cantando giovinezza, giovinezza ed esaltandosi ogni volta che passavano da piazza Italia al saluto romano». Il suo tormento sono i temi a scuola. Sempre gli stessi: «l’aratro che traccia il solco e la spada che lo difende», «se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi». Alla fine, per evitare voti negativi, decide di assecondarli con frasi tipo «è giusto così», «avete ragione», «se lo dite voi, sarà vero». Il clou è un tema nel quale deve descrivere il coraggio dei giovani fascisti: «Il capo squadra si lanciò nel cerchio di fuoco stringendo il pugnale tra i denti e due bombe a mano in pugno». Il professore decide che è meglio lasciar perdere, forse per quieto vivere. D’altra parte non va dimenticato che, nonostante i Patti Lateranensi del 1929, i contrasti tra governo fascista e Santa Sede sono numerosi in questi anni sul tema dell’educazione dei bambini e dei giovani, inquadrati con una rigida organizzazione paramilitare all’interno dell’Opera Nazionale Balilla. E proprio l’Azione Cattolica entra nel mirino del regime, che l’accusa di eccessiva indipendenza. In questo contesto, generosità e forza d’animo sono le note distintive a cui mamma Teresa in particolare educa sin da piccoli i bambini, abituandoli a condividere ciò che c’è in casa con chiunque sia in difficoltà e a partecipare con lei all’opera di assistenza ai parenti e ai vicini ammalati o in punto di morte. E questo non solo nei tempi di agiatezza, ma anche in quelli di avversità che arrivano con il crollo finanziario inter20


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nazionale e le sanzioni economiche che colpiscono l’Italia, penalizzando dunque il lavoro di Giovanni e Demetrio Calabrò. «Ma fu soprattutto l’attività finanziaria dello zio parroco a entrare in crisi» – racconta il fratello di Italo, Corrado. «Il fascismo era impegnato a riportare sotto il suo controllo l’intero sistema bancario. La Banca Nazionale del Lavoro e altri istituti sostenuti dal regime erano gli strumenti attraverso cui si perseguiva l’obiettivo di strangolare le banche popolari e le cooperative di credito locali. Se al Nord, grazie a un tessuto sociale più robusto, queste riuscivano pur tra mille difficoltà a sopravvivere, al Sud la strategia mussoliniana ebbe più facile esito. E anche nostro zio Antonino non riuscì a proseguire la sua attività, nonostante i sacrifici di nostro padre, che si impegnò in prima persona per salvarla. Un ulteriore danno giunse dall’esproprio di un grande fondo coltivato a bergamotto, che doveva far spazio all’erigendo aeroporto di Reggio: la nostra famiglia venne ripagata con grande ritardo e con moneta ormai ampiamente svalutata».

Sono questi gli anni nei quali affiora la vocazione sacerdotale di Italo. Lo zio prete è stato per lui un buon esempio, ma in realtà la sua influenza sull’orientamento del ragazzo è relativa. In famiglia, però, non tutti sono entusiasti di questa prospettiva. Mentre la madre è più disposta a incoraggiare da subito la scelta del figlio, il padre teme che quello del suo primogenito sia soltanto un desiderio passeggero e gli chiede di terminare gli studi liceali, per essere così pronto in ogni evenienza a riprendere la sua vita laicale. E infatti, dopo l’ingresso in seminario, al termine del ginnasio, nel 1940, obbedendo alla richiesta paterna Italo consegue la maturità classica presso il liceo Campanella nel 1943. Un cugino paterno arriva a scrivere al giovane una lettera dai toni quasi apocalittici per cercare di dissuaderlo: «Sei un ragazzo dotato di grandi capacità, ma se insisterai in questa idea finirai a spazzare con la tua tonaca le strade di qualche 21


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paesino di campagna». Da prete, tra i viottoli e i campi della sua parrocchia di San Giovanni di Sambatello, don Italo rammenterà spesso, ridendo, quella lettera: «Non solo la tonaca, qui mi sporco qualsiasi cosa io metta addosso». Fin dai primi tempi del seminario, Italo evidenzia le sue doti umane e spirituali. «Era creativo in tutte le situazioni che affrontava» – ricorda monsignor Giuseppe Agostino, oggi arcivescovo di Cosenza, di un paio di anni più giovane di lui. «Uomo dalle molteplici relazioni sociali, estroverso, dotato di un’apertura di carattere che era certamente dono di natura ma anche trasformata in un’ottica di fede. La sua capacità di infondere gioia e allegria era un fattore temperamentale ma anche una scelta, un elemento intenzionale. E poi il fatto che avesse conseguito fuori dal seminario la licenza liceale era per tutti noi più giovani, in quel determinato momento storico, il segno che la sua non era una vocazione “tappabuchi” ma una sincera scelta di vita per Dio». Italo sente la sua vocazione come un fatto di felicità. Non riesce proprio a comprendere, come scrive nelle sue riflessioni spirituali, «quella convinzione paradossale, tipica dell’uomo “comune” e del cristiano “comune”: il credente in Cristo, soprattutto se è un prete o un religioso, è una persona non realizzata, quindi infelice». Ma non condivide anche altri atteggiamenti che riscontra, come «la poca partecipazione della comunità cristiana nella scelta e nella realizzazione della vocazione dei suoi membri, che viene vista come fatto solo personale» e la concezione riduttiva che identifica la vocazione «solo con quelle di speciale consacrazione: non è sufficientemente diffusa la visione della vita come vocazione divina, fondamento di tutte le vocazioni». Come scriverà anni dopo, «la vocazione è una relazione tra Dio, l’uomo e la comunità. È un atto di amore creativo, personale e unico. Dio chiama l’uomo “per nome” (Is. 43,1), cioè lo crea secondo il progetto di vita che ha pensato per lui. La vocazione, quindi, non è esteriore all’uomo, ma si iscrive nelle fibre del suo essere. Dio instaura così un rapporto personale e originale tale per cui ogni chiamato può e deve ripetere 22


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come il Newman: “Io sono stato creato per fare o per essere qualche cosa per cui nessun altro è mai stato creato. Poco importa che io sia ricco o povero, disprezzato o stimato dagli uomini. Dio mi conosce e mi chiama per nome. In qualche modo sono tanto necessario io al mio posto, quanto un arcangelo al suo”. È un aspetto della rivelazione divina. Dio si mette alla pari dell’uomo e apre il dialogo con lui per manifestargli chi è, che posto occupa e che cosa deve fare nel suo piano». Ma non si tratta di un fatto individuale. «La vocazione è un dono per una missione. Dio chiama ogni uomo perché sia manifestazione vivente del suo amore per l’umanità. Perciò Dio chiama per inviare ognuno per un servizio ai fratelli determinato dal dono personale di cui lo ha arricchito», come Mosè per il suo popolo, come Saulo folgorato sulla via di Damasco. All’uomo tocca dare una risposta libera e responsabile al dialogo avviato da Dio, che implica tre condizioni fondamentali. «Lo spirito di fede: guardare tutta la realtà con la mentalità di Dio, acquisita per mezzo della parola di Dio e del magistero della Chiesa. L’impegno di amore a Dio e ai fratelli: mettere a disposizione ciò che si è e si ha. Lo spirito di sacrificio: accettare la sofferenza che procurano la conversione richiesta quotidianamente dalla rinuncia al proprio modo di pensare, la donazione di sé e le incognite di Dio sul proprio cammino». E nel pieno della crisi delle vocazioni, negli anni del post-Concilio, don Italo annoterà «il fallimento di certi metodi pastorali apparentemente validi per risolvere la crisi (ad esempio il reclutamento soprattutto nella sua forma deteriore)», ma soprattutto ribadirà che anche la forte contrazione numerica può avere un aspetto positivo: se viene vissuta come il segno che Dio «vuole che la vocazione generale di tutti i battezzati al sacerdozio comune sia molto più sentita, molto più promossa».

In seminario Italo sa in breve conquistarsi anche la stima 23


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Piero Cipriani, pugliese, ha vissuto per dodici anni a Reggio Calabria dove ha Piero collaborato a pugliese, lungo conhadon Italoper Calabrò. Sud, nel Cipriani, vissuto dodici Ha annilavorato a Reggionel Calabria dove Piero Cipriani, pugliese, ha vissuto dodici anni Reggio Calabria dove mondo del volontariato, della pace, della lotta allaa mafia, della riforma ha collaborato a lungo con donper Italo Calabrò. Ha lavorato nel Sud, nel hamondo collaborato adiretto lungo tra conl’altro don pace, Italo Calabrò. Ha lavorato Sud, nel della politica. L’Osservatorio Meridionale. delHa volontariato, della della lotta alla mafia,nel della riforma mondo delprofessionista, volontariato, pace,daL’Osservatorio della lotta alla mafia, della RAI. riforma Giornalista collabora diversi anni aMeridionale. trasmissioni della politica. Ha direttodella tra l’altro della politica.professionista, Ha diretto tra l’altro L’Osservatorio Meridionale. Giornalista collabora da diversi anni a trasmissioni RAI. Giornalista professionista, collabora da diversi anni a trasmissioni RAI.

ISBN 88-87507-03-1 ISBN 978-88-6153-641-8

Euro 16,00 (I.i.) Euro16,00 16,00 (I.i.) (I.i.) Euro ∏ ∏

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ESCLUSO, NESSUNO ESCLUSO, AIAI NESSUNO MM

Don Italo Calabrò non è solo una persona cara, che rimane Don Italo Calabrò non è solo unalopersona cara, che rimane nella memoria e nel cuore quanti hanno conosciuto; è Don Italo Calabrò non èdi solo una persona cara, che rimane nella memoria e nel cuore di quanti lo hanno conosciuto; è anche un maestro, di quelli credibili, che hanno percorso le nella memoria e nel cuore di quanti lo hanno conosciuto; è anche un maestro, di quelli credibili, che hanno percorso le strade, di indicarle ad altri: un maestro-testimone. anche prima un maestro, di quelli credibili, che hanno percorso le strade, prima di indicarle ad (dalla altri: prefazione un maestro-testimone. di Giuseppe Pasini) strade, prima di indicarle ad altri:(dalla un maestro-testimone. prefazione di Giuseppe Pasini) (dalla prefazione di Giuseppe Pasini) A quasi trent'anni dalla scomparsa, questo libro vuole A quasil’esperienza trent'annie dalla scomparsa,di questo libro vuole ripresentare la testimonianza una straordinaria A quasi trent'anni dalla scomparsa, questo libro vuole ripresentare l’esperienza e la testimonianza di una straordinaria figura della Chiesa del Sud. ripresentare l’esperienza e la testimonianza di una straordinaria figura della Chiesa del Sud. Una spiritualità incarnata figura della Chiesa del Sud.nella storia e nelle contraddizioni Una spiritualità una incarnata nella storia e poveri nelle contraddizioni delUna Mezzogiorno, vitanella spesa pere inelle e la loro spiritualità incarnata storia contraddizioni una per vitalaspesa per i poveri e la loro del Mezzogiorno, liberazione, un impegno pace e contro la del Mezzogiorno, una vita spesa per i poveri eviolenza la loro liberazione, un impegno perquesti la pace e contro la violenza mafiosa che ha percorso i tempi: i segni distintivi di un liberazione, un impegno per la pace e contro la violenza mafiosapersonale che ha percorso i tempi:vissuto questinella i segni distintivi di un itinerario e comunitario duplice fedeltà mafiosa che ha percorso i tempi: questi i segni distintivi di un itinerario personale e comunitario vissuto nella duplice fedeltà aitinerario Dio e all’uomo. personale e comunitario vissuto nella duplice fedeltà a Diosolidarietà e all’uomo. a Una Dio e all’uomo.intelligente, creativa, popolare e dalla forte Una solidarietà intelligente, creativa, popolare e dalla forte dimensione politica, che costituì l’anima dell’esperienza di Una solidarietà intelligente, creativa, popolare e dalla forte dimensione politica,è che costituì l’anima dell’esperienza di don Italo Calabrò, un messaggio ancora oggi vivo dimensione politica, che costituì l’anima dell’esperienza di oggi vivo don Italo Calabrò, è un messaggio ancora edon dirompente. Contro ogni torpore e perbenismo Italo Calabrò, è un messaggio ancora oggi vivo Contro ogni compromesso torpore e perbenismo e dirompente. borghese, contro ogni tentativo al ribasso, e dirompente. Contro ognidi torpore e perbenismo borghese, contro ogni tentativo di compromesso al ribasso, nella società e nella Chiesa. borghese, contro ogni tentativo di compromesso al ribasso, nella società e nella Chiesa. nella società e nella Chiesa.

Piero Cipriani Piero Cipriani

Piero Cipriani Piero Cipriani

Nessuno Nessuno escluso, mai escluso, mai Italo Calabrò prete del Sud Italo Calabrò prete del Sud

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