Papa Francesco, il coraggio della nonviolenza
Prefazione del card. Matteo Maria Zuppi
Papa
Sergio
ParonettoSergio
ParonettoInterviste a
F. Barbero, J.M. Castillo, M. Fox,
E. Green, A. Maggi, V. Mancuso,
J. Moingt, L. Tomassone
Prefazione del card. Matteo Maria Zuppi
edizioni la meridiana paginealtre
Conquistare la pace, organizzare la speranza
Il libro di Sergio Paronetto intreccia gli interventi appassionati e incalzanti di papa Francesco sul tema della pace attorno al robusto filo multicolore della nonviolenza. Parola intensa e poliedrica è la nonviolenza, che chiarisce la scelta e impegna in stili di vita. Parola-profezia e sapienza, parola-“dizionario” (direbbe Tonino Bello che l’autore conosce e che il Papa sente come uno dei suoi punti di riferimento, soprattutto quando identifica la pace con la “ricerca del volto” e con la “convivialità delle differenze”). Parola-mosaico, declinabile come stile di vita e atto di fede, cammino ecclesiale ed esperienza sinodale, shalom e programma delle Beatitudini, misericordia e tenerezza, pedagogia e politica della cura, gestione costruttiva dei conflitti e pratica di riconciliazione, forza di liberazione e lavoro di trasformazione in profondità.
Per capire bene il magistero del Papa, l’autore ritiene fondamentale rifarsi ai testi di Evangelii gaudium (2013), Laudato si’ (2015), Fratelli tutti (2020) e ai messaggi annuali del 1° gennaio per le Giornate mondiali della pace (dal 2013 al 2023) tra i quali spicca in tutta la sua mobilitante bellezza (e novità) quello del 1° gennaio 2017 “La nonviolenza, stile di una politica per la pace”. Oggi, a sessant’anni dalla sua pubblicazione, Francesco chiede di
ripartire dalla Pacem in terris, i cui pilastri (verità, libertà, giustizia e amore, parole generatrici tipiche della nonviolenza) ha riproposto in più occasioni, e soprattutto nell’incontro con il corpo diplomatico del 9 gennaio 2023.
Una pace attiva e creativa, graduale e radicale, quindi, quella di papa Francesco, annunciata nei suoi viaggi (soprattutto nel Giappone di Hiroshima e Nagasaki, in Iraq, in Kazakhstan, nel Bahrein, in Congo e in Sud Sudan) e riproposta fino allo spasimo o alle lacrime della preghiera a Maria dell’8 dicembre 2022, nell’arco di tutto il tragico 2022. Pace come anelito dell’umanità e sogno di Dio affidato al nostro grato, costante e artigianale impegno. Non possiamo, quindi, abituarci a convivere con le violenze e con le guerre. Non possiamo accettare la militarizzazione delle menti, dei cuori e dei territori. Non possiamo assecondare l’indifferenza, evidente o raffinata, come se la violenza fosse una malattia ineluttabile. Papa Francesco ha affermato, col suo profondo pathos per la pace, che “con la guerra siamo tutti sconfitti” e che tutti noi, in qualsiasi ruolo, abbiamo il dovere di costruire la pace.
Sorge la domanda urgente per tutti, specialmente per i credenti: che cosa significa essere uomini e donne di pace? Cosa significa educare alla pace ed essere artigiani di pace?
L’interrogativo riguarda la Chiesa e noi tutti. Anzitutto la nostra preghiera, lamento di intercessione innanzi a Dio e protesta contro la guerra. Essa deve accompagnare sempre ogni azione di denuncia e di proposta. A Bologna Giacomo Lercaro, ispirato da don Giuseppe Dossetti, diceva che “di fronte alla pace non possiamo essere indifferenti o neutrali”. Nel suo viaggio nella nostra diocesi (ottobre 2017) il Papa l’ha ripetuto solennemente: non neutrali, ma schierati per la pace! Abbiamo bisogno di profeti e di politici di pace, capaci di tradurre l’aspirazione in architettura e prassi
di pace. È una sfida attuale collegata al lavoro costituente del 1947-1948, nel quale la guerra veniva compresa come un male da ripudiare. Un male per i vinti ma anche per i vincitori. Nessuno vince con la guerra, diceva don Primo Mazzolari, perché “non si costruisce l’avvenire di qualsiasi popolo sull’odio ai fratelli”. Il sogno di Luigi Sturzo e di Primo Mazzolari è stato quello di abolire la guerra, non come un auspicio di anime belle, ma come una necessità storica. Infatti, al termine del suo mandato, il generale e presidente americano Eisenhower, essendo un grande esperto di guerra, metteva in guardia dallo strapotere dei grandi gruppi produttori di armi, considerandoli un rischio mortale per la democrazia. Oggi il ripudio della violenza e l’esercizio di una cultura della pace sembrano essersi sbiaditi, come il ricordo tragico della Seconda guerra mondiale e della Shoah che ne rappresenta la massima ignominia e crudeltà. La mia piccola Lettera alla Costituzione dà spazio all’articolo 11. Sarebbe bello se esistesse una Costituzione europea con qualcosa di simile al nostro articolo 11, anche perché le guerre non finiscono mai solo con la firma degli armistizi e dolori e ferite durano più a lungo.
La cultura deve oggi guarire dalla paura dell’altro, ritrovare la bellezza del vivere insieme, di ricostruire un “noi” in società frammentate. La convivialità delle differenze di don Tonino Bello ci aiuta a pensarci e a essere senza muri, che sono il primo dogmatismo, quello che impedisce di vedere la verità più semplice: che tu hai una faccia simile alla mia, anche quando è diversa, che l’altro è mio fratello e mia sorella, che siamo tutti parte dell’unica famiglia umana. Nasce da qui quello che è un vero diritto, lo ius pacis, che è anche un dovere, da invocare e per cui lavorare: il diritto di tutti a comporre i conflitti senza violenza. Artigiani di pace tutti e architetti di pace alcuni. Lo ricorda spesso il
Papa. Ma se ci sono tanti artigiani di pace – e dobbiamo esserlo tutti – da questi verranno anche architetti e quanti sapranno trovare ordinamenti indispensabili a trovare e mantenere la pace. Altrimenti difficilmente si impedisce alle persuasive “ragioni” della guerra di armare i cuori e le mani. Etty Hillesum scrisse:
Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso, se ogni uomo sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile.
Molti sono convinti dell’ineluttabilità della guerra, che accompagnerà sempre il mondo, come fosse un destino scritto nella stessa natura della persona e in una storia che non può cambiare. Perché dovrebbe essere un destino risolvere le controversie con le armi? Si è sempre fatto così?
Restiamo gli stessi? Se c’è un progresso su tutto, tanto che abbiamo realtà impensabili solo pochi anni or sono, possibile che non ci sia un progresso che permetta di dotarsi di organizzazioni internazionali capaci di evitare che le controversie diventino guerre?
Papa Francesco in visita all’Alma Mater felsinea nel 2017 ha proposto un lavoro artigianale centrato su alcuni diritti-doveri. Un primo diritto cui educare – diceva – è quello alla libertà dalla paura. Nella vita privata, la paura si esprime con la chiusura nella propria bolla esistenziale. Nella vita pubblica, la paura ha un grande ruolo nella ricerca del consenso e non ha sempre bisogno di prove, bastano le narrazioni. Basta pensare al tema dell’immigrazione e dei profughi, a una rappresentazione che introduce invasioni inesistenti, a fronte di numeri modestissimi a
confronto con qualunque Paese del terzo mondo e molti
Paesi europei. Mentre sovrabbondano i dati e le ragioni razionali che mostrano come l’immigrazione sia benefica per la nostra civiltà, la nostra economia, la nostra demografia, il nostro welfare. Davanti al dramma dell’ennesimo naufragio sulle coste di Crotone di fine febbraio 2023, l’acuto dolore che proviamo deve spingere a una presa di coscienza europea e internazionale orientata a una risposta strutturale, condivisa e solidale tra le Istituzioni e i Paesi. Perché nessuno sia lasciato solo e l’Europa sia all’altezza delle tradizioni di difesa della persona e di accoglienza.
Il secondo diritto, conseguente al primo, diceva Francesco, è il diritto alla speranza in un tempo in cui è forte una predicazione spicciola del disprezzo dell’altro, dell’aggressività facile, delle condanne perentorie. Il diritto alla speranza presuppone una coscienza, una morale, una capacità critica, una fede, tutti elementi così diversi dall’appiattimento sulle cattive notizie, sulle fake news, sul gossip, su populismi irresponsabili. La speranza perché sia vera deve essere coltivata dall’educazione, dalla conoscenza e si deve misurare con le prove della vita. Viene prodotta – sostiene san Paolo nella Lettera ai Romani – dalla pazienza nella tribolazione e, aggiungerei più modestamente, dal senso di responsabilità per la casa comune.
Terzo diritto è quello alla cultura. Siamo atterriti dalla guerra in Ucraina i cui lutti, innegabili, sembrano il più grande scandalo del nostro tempo. Ma una cultura universale ricorderà altre tragedie contemporanee, dalle proporzioni ignorate. La crisi del Tigrai, ad esempio, secondo le ultime valutazioni, avrebbe prodotto 600mila morti.
Trent’anni di guerra in Congo hanno prodotto 3 milioni di morti, fra l’una e l’altra regione investita dalla violenza in questo Stato immenso. Ogni vittima dell’odio altrui merita
rispetto, ma le attenzioni che rivolgiamo alle crisi internazionali sono talora più funzionali alle nostre politiche che alle loro oggettive dimensioni. Naturalmente diritto alla cultura significa molto di più. Ma vorrei dire almeno che c’è bisogno di una sapienza, che faccia aspirare a cose alte, che aiuti a tirar fuori il meglio dall’altro e da se stessi. E, infine, occorre educare al diritto – e al dovere – alla pace. Il tema dell’educazione alla pace si colloca quindi nel cuore dell’impegno scientifico, culturale e didattico delle scuole e delle Università. La pace e i diritti umani sono sempre più la cifra riconosciuta di una cultura e di una educazione che sanno guardare l’humanum e pensare un futuro comune per il mondo e per l’umanità. La cultura della pace deve radicarsi in una cultura dell’alterità; occorre infatti superare, per dirla con le parole di papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti, la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare i muri, muri nel cuore, muri nella terra per impedire questo incontro con altre culture, con altra gente. E chi alza un muro, chi costruisce un muro finirà schiavo dentro ai muri che ha costruito, senza orizzonti. Perché gli manca quest’alterità.
Penso allora che il mondo di oggi ha bisogno di immaginazione e audacia culturale ed evangelica. Ognuno di noi può contribuire a sciogliere la malattia spirituale che paralizza le nostre società e impedisce di sognare, vedere, costruire con immaginazione la pace e una nuova convivenza, più umana tra tutti. È proprio questo, mi sembra, il compito che sta davanti a noi.
Il libro di Paronetto, la cui storia personale e la profonda riflessione offrono a queste pagine la credibilità della vita vissuta, è uno strumento formativo utile per gruppi e comunità, per scuole e centri educativi. Papa Francesco,
Papa Francesco, il coraggio della nonviolenza
infatti, apre la strada al nuovo umanesimo della pace, a una nuova stagione della storia. Nei fatti si presenta come una guida universale, mite e determinata. Sembra evidente che non svolga solo il ruolo di vescovo di Roma, che presiede nella carità (nonviolenta) le altre chiese, ma il ministero di una convivialità planetaria. Lo diceva bene il famoso sociologo non credente Zygmunt Bauman, citato dall’autore:
Francesco è il più grande dono offerto dalla Chiesa cristiana al mondo contemporaneo, colui che senza ambiguità usa l’arte e la pratica del dialogo sopra tutti gli altri strumenti (e soprattutto la coercizione militare) per salvare l’umanità dalla minaccia del disastro. Possiamo solo pregare che la sua parola si incarni nelle nostre azioni.
Card. Matteo Maria ZuppiVescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana
Durante la veglia di preghiera mondiale del 7 settembre 2013 contro le guerre e l’imminente progetto di invasione della Siria, Francesco lancia un grido accorato.
Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? […] Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: sì è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le nazioni, rispondesse: sì lo vogliamo.
Bisogna convertirsi a nuove relazioni. Sempre la sera del 7 settembre il Papa esclama:
In ogni violenza e in ogni guerra facciamo rinascere Caino […]. Abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte!
Per Francesco, occorre risvegliarci dal sonno dogmatico delle guerre. La pace ama la vita. È vero atto creativo.
È “arte che si impara”, diceva spesso Tonino Bello 1. Per questo motivo nella Evangelii gaudium viene offerta un’inedita metodologia con l’elenco di quattro criteri (tempo-
ralità, unità, realtà, totalità poliedrica) che si richiamano a Romano Guardini.
Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone. È un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorità al tempo. Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi […]. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi (223).
Il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Deve essere accettato. Ma se rimaniamo intrappolati in esso, perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata (226). Occorre accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo (227). In questo modo, si rende possibile sviluppare una comunione nelle differenze , che può essere favorita solo da quelle nobili persone che hanno il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale e considerano gli altri nella loro dignità più profonda (228). La diversità è bella quando accetta di entrare costantemente in un processo di riconciliazione, fino a sigillare una specie di patto culturale che faccia emergere una diversità riconciliata (230).
3. La realtà è più importante dell’idea
Questo implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza (231). Il criterio di realtà, di una Parola già incarnata e che sempre cerca di incarnarsi, è essenziale all’evangelizzazione. Ci porta, da un lato, a valorizzare la storia della Chiesa come storia di salvezza, a fare memoria dei nostri santi che hanno inculturato il Vangelo nella vita dei nostri popoli […]. Dall’altro lato, questo criterio ci spinge a mettere in pratica la Parola, a realizzare opere di giustizia e carità nelle quali tale Parola sia feconda (233).
4. Il tutto superiore alla parte Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia (235). Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro , che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità […]. Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro proprie potenzialità. Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti (236).
Nulla di scontato, quindi, nel ragionare di Francesco. Nessun generico pacifismo, come capita in molte esortazioni ecclesiastiche o in varie dichiarazioni politiche. Il Papa intreccia il dato personale (attenzione alle persone e ai drammi umani) con quello teologico (pace dono trinitario, beatitudine evangelica), economico-politico (giustizia, difesa del bene comune), sociale-civile (amore fraterno), personale (prendersi cura), ecologico (cura del creato). Per Francesco la pace è una realtà intima e globale, quotidiana e planetaria. Non è “tranquillità” ma inquietudine generatrice, pratica della giustizia, cammino di riconciliazione (15 giugno 2013). È scelta etica e atto di fede. Francesco non fa il diplomatico tradizionale, il giurista accademico o il tradizionale capo di stato. In lui non c’è la preoccupazione di definire la pace. C’è il desiderio di indicare cammini per cercarla e sperimentarla, costruirla con mezzi di pace, prevenire o porre fine alle guerre. L’azione di pace diventa, così, arte della riconciliazione, superamento dei conflitti, azione costante e multiforme in modo che la realtà della pace in azione riduca o elimini ogni ragionamento circa le possibilità di un conflitto armato, come se la sovrabbondanza di bene operante superasse l’abisso del male, come se la gestazione di un futuro migliore potesse porre fine alla preistoria delle guerre. Al Papa non interessa precisare le condizioni di una eventuale “guerra giusta” ma generare una storia nuova. Per lui la guerra è guerra senza aggettivi edulcoranti o devianti. Ai genitori dei soldati italiani uccisi in varie missioni militari, il 2 giugno 2013 dice che è “pazzia”, “suicidio dell’umanità”, “atto di fede nei soldi”, “affanno di più potere”, “peccato di idolatria”. Lo ribadisce anche a Putin, allora presidente del G20 il 5 settembre 2013:
I conflitti armati costituiscono sempre la deliberata negazione di ogni possibile concordia internazionale, creando divisioni profonde e laceranti ferite che richiedono molti anni per rimarginarsi. Le guerre costituiscono il rifiuto pratico a impegnarsi per raggiungere quelle grandi mete economiche e sociali che la comunità internazionale si è data […]. Gli interventi armati recano con sé una vana pretesa di soluzione dei problemi, sono un “inutile massacro”.
Fin dall’inizio il suo appello è rivolto a “un nuovo impegno a perseguire, con coraggio e determinazione, una soluzione pacifica attraverso il dialogo e il negoziato tra le parti interessate con il sostegno concorde della comunità interazionale”. Insomma, occorre “scrivere un nuovo capitolo di pace nella storia” (al Consiglio di sicurezza dell’ONU, 14 giugno 2023).
Davanti a guerre e a drammi sociali il Papa parte sempre dalle vittime, vede con orrore e trepidazione “le immagini di distruzione e di morte”, avverte sia il dolore dei deboli che il peso delle prepotenze, fiuta la sete di potere e di denaro. Così al corpo diplomatico (13 gennaio 2014) davanti al quale allarga lo sguardo verso la “pace ferita da qualunque negazione della dignità umana, prima tra tutte dalla impossibilità di nutrirsi in modo sufficiente”. Infatti, è guerra anche l’ingiustizia o la “cultura dello scarto”.
Milioni sono le vittime del lavoro forzato, osserva il 13 dicembre 2013. Troppi bambini diventano oggetti, ingannati, violentati, spesso venduti più volte, per scopi diversi, e alla fine uccisi o, comunque, rovinati nel fisico e nella mente, per finire scartati e abbandonati. È una vergogna.
In modo analogo si esprime al n. 53 della Evangelii gaudium , vero programma del suo pontificato, emanata nel novembre 2013:
Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è iniquità […]. Grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie d’uscita.
Lo stesso metodo realistico ed esistenziale (quello di partire dalle vittime), è presente nei discorsi svolti in Giappone nel novembre 2019 e, soprattutto, nell’Enciclica Fratelli tutti (pubblicata nell’ottobre 2020). In essa Francesco esorta ad abbandonare discussioni teoriche e a prendere contatto con “le ferite” e con “la carne” delle persone:
Domandiamo alle vittime! […] Consideriamo la verità di queste vittime della violenza, guardiamo la realtà con i loro occhi e ascoltiamo i loro racconti col cuore aperto. Così potremo riconoscere l’abisso del male nel cuore della guerra e non ci turberà il fatto che ci trattino come ingenui perché abbiamo scelto la pace (261).
Operare per la pace significa, quindi, cercare un cambiamento radicale e additare una prospettiva rivoluzionaria anzitutto per i cristiani, discepoli di Cristo “nostra pace” (Ef 2,14). Al Convegno della Chiesa italiana di Firenze (novembre 2015), dichiara: “Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso”. Per questo occorre saper inquietare e innovare con libertà cre-
ativa: “La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo”.
Nel messaggio inviato al Convegno del 13 aprile 2016 per la promozione della nonviolenza evangelica, organizzato da Pax Christi International, dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e da altre associazioni, il Papa scrive che la misericordia che trova nella solidarietà la sua espressione, per così dire, “politica” poiché la solidarietà costituisce l’atteggiamento morale e sociale che meglio risponde alla presa di coscienza delle piaghe del nostro tempo e dell’inter-dipendenza tra la vita del singolo e della comunità familiare, locale o globale. Grande è, allora, nel nostro mondo complesso e violento, il compito che attende coloro che operano per la pace vivendo l’esperienza della non violenza! Conseguire il disarmo integrale “smontando gli spiriti” (Pacem in terris 61), creando ponti, combattendo la paura e portando avanti il dialogo aperto e sincero, è veramente arduo. Dialogare, infatti, è difficile, bisogna essere pronti a dare e anche a ricevere […]. Le differenze non faranno altro che arricchire gli scambi e contribuire al rinnovamento della testimonianza attiva della non violenza come “arma” per conseguire la pace.
Per fermare il degrado, occorre uscire dal sistema di guerra con buone politiche e azioni nonviolente. Una chiesa disarmata e disarmante, “ospedale da campo” in un mondo di conflitti, custodisce le ragioni necessarie per plasmare una nuova Europa e un mondo umano attivando “il valore politico della misericordia”2.
Nel suo primo messaggio per la Giornata mondiale del 1° gennaio 2014, “Fraternità, fondamento e via per la pace”, Francesco invita a muoversi in alcune direzioni:
• Accogliersi reciprocamente, “prendersi cura gli uni degli altri” (1, 2, 10);
• Sconfiggere la povertà con politiche efficaci per il bene comune (5);
• Riscoprire la fraternità nell’economia modificando modelli di sviluppo e stili di vita (6);
• Spegnere la guerra con il disarmo e il diritto alla pace (7);
• Avversare la corruzione e il crimine organizzato (8);
• Custodire e coltivare la natura curando la bellezza per le generazioni future (9).
Il primo messaggio del 1° gennaio 2014 costituisce la premessa dell’Enciclica Fratelli tutti , apparsa nel 2020. Il suo capitolo quinto (“La migliore politica”), dopo l’analisi dei populismi e dei liberalismi (156-162), indica la necessità di un potere internazionale legato alla riforma dell’ONU e alla sovranità del diritto (170-174; 153 e 257), evoca una politica popolare, comunitaria e democratica (169), non sottomessa all’economia tecnocratica (177) ma progettuale (178), trasformatrice (179), efficace (183). C’è bisogno dell’“amore politico” (186-192), inclusivo, attivo contro la fame e “lo spargimento di sangue innocente”, quotidiano e fecondo (193). “Anche nella politica – aggiunge Francesco – c’è spazio per amare con tenerezza. Cos’è la tenerezza? È l’amore che si fa vicino e concreto.
È un movimento che parte dal cuore e arriva agli occhi, alle orecchie, alle mani” (194). Chi sa esercitare la gentilezza accende una stella nell’oscurità (222-224). Nel messaggio all’incontro mondiale sulla fraternità umana del 10 giugno 2023, Francesco, per invitarci a promuovere con delicata decisione la fraternità, evoca i versi di Giuseppe Ungaretti nella poesia Fratelli: “parola tremante/ nella notte/ Foglia appena nata”. È “un bene fragile e prezio -
so”, dice. “È una scintilla che può riaccendere la luce per fermare la notte dei conflitti.” “La pace ha bisogno della fraternità e la fraternità ha bisogno di incontro.” “Quando gli uomini e le società scelgono la fraternità anche le politiche cambiano.”
Finisce la teoria della guerra giusta
Il capitolo settimo di Fratelli tutti (“Percorsi di un nuovo incontro”) intende promuovere la pace a partire dalla memoria “integra e luminosa” sia della Shoah, di Hiroshima, dei massacri etnici, del traffico di schiavi (247-249), sia quella di tanti attori del bene: “Fa molto bene fare memoria del bene” (249). Francesco si concentra, in particolare, sulla possibile efficacia del perdono sociopolitico (236-254), sulla riconciliazione, sul significato dell’amore per l’oppressore (238-243), sul superamento della guerra giusta (256-262) e della pena di morte (263-269). Citando il discorso all’ONU nel 2015 e la Laudato si’, osserva che il Catechismo della Chiesa Cattolica parla della possibilità di una legittima difesa mediante la forza militare, con il presupposto di dimostrare che vi siano alcune “rigorose condizioni di legittimità morale”. Tuttavia si cade facilmente in un’interpretazione troppo larga di questo possibile diritto. Così si vogliono giustificare indebitamente anche attacchi “preventivi” o azioni belliche che difficilmente non trascinano “mali e disordini più gravi del male da eliminare”. La questione è che, a partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile […]. Dunque non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’i-
potetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta” (258).
Sei anni prima, il 18 agosto 2014, in piena tensione a proposito dell’avanzata dell’ISIS in Medio Oriente, Francesco osservava che
dove c’è un’aggressione ingiusta, posso soltanto dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo: fermare Non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare dovranno essere valutati. Fermare l’aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo anche avere memoria! Quante volte, con questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista! Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto. Dopo la Seconda Guerra Mondiale è stata l’idea delle Nazioni Unite: là si deve discutere […]. Fermare l’aggressore ingiusto è un diritto dell’umanità, ma è anche un diritto dell’aggressore, di essere fermato per non fare del male.
Nel novembre 2019, di ritorno dal Giappone, osserva che il ricorso alla difesa armata può realizzarsi solo come “ultima risorsa” da valutare dopo aver esplorato tutte le possibilità diplomatiche e in un contesto di disarmo graduale. Cosa che non avviene mai. L’argomentazione bergogliana incrocia l’idea di alcune campagne per una “difesa civile non armata e nonviolenta” o per una “difesa popolare nonviolenta”, prefigurata da Tonino Bello durante e dopo il viaggio a Sarajevo del 19923. Considerazioni riguardanti il superamento della “guerra giusta” vengono riprese dal Papa nel tragico 2022. Ricordo, come vedremo, sia il colloquio con il patriarca ortodosso Kirill (16 marzo 2022), sia l’intervento alla Fondazione Gravissimum edu-
cationis (18 marzo 2022), sia quanto scritto in Vi chiedo in nome di Dio. Dieci preghiere per un futuro di speranza (Piemme, Milano 2022, 60):
Al rifiuto esplicito dei miei predecessori, gli eventi dei primi due decenni di questo secolo mi obbligano ad aggiungere, senza ambiguità, che non esiste occasione in cui una guerra si possa considerare giusta.
Per questi motivi, nel 2020 l’Enciclica Fratelli tutti ricorda il messaggio della Pacem in terris (260) sull’assurdità della guerra4 ribadendo che essa “è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male” (261). “Solo la pace è giusta!”, esclama Francesco nel messaggio al Consiglio di sicurezza dell’ONU del 14 giugno 2023. Di qui il progetto di riconvertire le spese militari per “un Fondo mondiale atto a eliminare la fame e per lo sviluppo”, come indicato da Paolo VI nel 1967 con la Populorum progressio (262).
“Un avvenire di pace non pioverà dal cielo, ma potrà arrivare se si sgombreranno dai cuori il fatalismo rassegnato e la paura di mettersi in gioco con gli altri. Un futuro diverso verrà se sarà di tutti e non di qualcuno, se sarà per tutti e non contro qualcuno.”
(Papa Francesco)
ISBN 978-88-6153-999-0
Euro 16,50 (I.i.)